Archivio del Tag ‘coerenza’
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Truffa 5 Stelle, il giocattolo preferito dei nemici dell’Italia
Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di ladroni”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.Per pesare lo spessore politico del loro attuale, pericolante portavoce, basta ricordare la disinvoltura con cui Luigi Di Maio nella primavera 2018 tendeva la mano indifferentemente alla Lega e al Pd, pur di far nascere un governo quale che fosse. Lo si è visto brillare puntualmente, Di Maio: prima amico dei Gilet Gialli e poi devoto ad Angela Merkel, socia della bestia nera dei Gilet Janunes, Emmanuel Macron. Una conversione folgorante, sulla via di Bruxelles, come quelle – altrettanto mistiche – sull’Ilva di Taranto, sul Tap pugliese, sulle trivelle petrolifere in Adriatico. Anticamente, i 5 Stelle blateravano di un referendum consultivo sull’euro. Poi, guidati dal loro padrone Beppe Grillo, hanno chiesto asilo a Strasburgo agli ultra-euristi dell’Alde. Mossa non riuscita al primo colpo, ma ora insaponata alla perfezione dall’operazione-Ursula: tra i nazi-euristi, oggi i 5 Stelle si sono aggregati tra gli applausi di chi l’Italia l’ha distrutta per davvero. Sono riusciti in un’impresa da record: tradire ogni tipo di promessa. Non volevano gli F-35 né l’obbligo vaccinale, ma si sono rimangiati tutto. Persino il Tav Torino-Lione è finito nella spazzatura grillina, con l’aggiunta della farsa parlamentare inscenata per recitare per l’ultima volta la commedia degli oppositori, in realtà allineati ai diktat indiscutibili del loro premier Conte e del solito padrone Grillo.Fondato nel 2009, il Movimento 5 Stelle non ha mai sentito il bisogno – in dieci anni – di confrontarsi in un regolare congresso, per misurare idee e verificare tesi e impostazioni. Ha offerto di sé uno spettacolo indecoroso, particolarmente rassicurante per il grande potere economico: una belante scolaresca al guinzaglio, al posto di quella che, nell’Europa devastata dall’austerity, doveva essere l’avanguardia di un riscatto popolare democratico. Non hanno solo tradito ogni aspettativa: hanno diserbato il terreno dove poteva crescere una protesta seria fino a tradursi in proposta concreta. Sono il giocattolo perfetto per chiunque abbia cattive intenzioni, e quindi interesse a disinnescare il dissenso, convogliandolo verso lidi innocui. Appena è comparso un concorrente – non un eroe omerico, solo il modesto Salvini – l’elettorato ex-grillino ha dato inizio all’emorragia, riconoscendo nel capo della Lega molte delle parole d’ordine del grillismo delle origini, messe in campo però con ben altra coerenza. Non appena Salvini ha accennato a contestare Bruxelles, cioè i dominatori che ci fanno la guerra da decenni, il potere ha prontamente usato i grillini per neutralizzare il potenziale disturbatore.Se si votasse oggi, dicono i sondaggi, i 5 Stelle scenderebbero attorno al 10% dei consensi. Se invece sorreggessero il governo anti-italiano al quale stanno affanosamente lavorando, per loro l’estinzione sarebbe garantita. Ma non importa, perché a questo dovevano servire: a disarmare il paese, mantenendolo debole e vulnerabile, dopo aver abilmente finto di raccogliere le migliore istanze degli italiani. Quello infatti era il pericolo: che avesse uno sbocco politico la rabbia di milioni di italiani, esasperati dalla “democratura” finanziaria gestita dall’establishment neoliberista col supporto dei collaborazionisti domestici. Più che servizievoli, i 5 Stelle hanno gareggiato in zelo con le peggiori maschere del vecchio potere italiano ed eurocratico. E ora eccoli – con Matteo Renzi – a progettare un esecutivo con un’unica missione: sabotare Salvini, cioè l’unico politico che mostri (in modo larvale, almeno) una specie di visione del futuro, avendo chiaro che lo status quo – i “signor no” della Commissione che tagliano i viveri all’Italia – può voler dire solo una cosa, e cioè crisi infinita. Gettata la maschera, contro l’Italia ora combattono a viso aperto anche i grillini, disperatamente avvinghiati ai loro seggi parlamentari: capiscono perfettamente che gli elettori, ferocemente traditi, non li perdoneranno mai.Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di pidioti”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.
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Rottamati i 5 Stelle, l’Italia resta prigioniera del voto-contro
Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.Se i militanti grillini, almeno all’inizio, furono coinvolti in una specie di palingenesi simil-rivoluzionaria a suo tempo coraggiosa, restando poi ipnotizzati dall’inerzia della dinamica interna fatalmente scaduta nel tifo e nel furore momentaneo per questa o quella causa contingente, milioni di elettori italiani – mai arruolatisi veramente nel circo pentastellato – erano stati indotti a votare 5 Stelle quasi per disperazione, non esistendo altro modo per contestare in modo squillante l’andazzo dei governi dimezzati, proni alla grande menzogna dell’austerity eterodiretta a scapito dell’Italia. Fu comunque un consenso freddo, vigile, pieno di riserve: chi votò per i grillini nel 2013 e nel 2018 vedeva benissimo quanto fosse ambiguo, confuso e inconsistente il programma esibito da Di Maio, che – in modo fin troppo eloquente – ometteva di citare la fonte prima del male oscuro italiano, cioè l’intollerabile sudditanza (psico-politica, finanziaria, economica) rispetto alla cricca degli avventurieri dominanti, il cartello delle industrie finanziarie private che manipolano l’Ue a loro uso e consumo, in questa fase utilizzando l’élite franco-tedesca, in combutta con l’establihment tricolore, per continuare allegramente a spolpare il Balpaese dormiente.Dove mai sarebbe potuto arrivare, il piccolo Di Maio, senza neppure gli spiccioli del mini-deficit al 2,4%, per finanziare in modo decente il più che discutibile reddito di cittadinanza, sbandierato in modo demenziale come orizzonte salvifico? Per fortuna, gli elettori hanno reagito tempestivamente, revocando in modo brutale il consenso imprudentemente concesso ai 5 Stelle. Molti peraltro si sono rifugiati nel limbo più frustrante, l’astensionismo: alle europee ha votato poco più che un elettore su due. Ora quel voto d’opinione si trova a un bivio altrettanto scomodo: provare a digerire il folkloristico Salvini, l’unico a non aver ancora rinnegato le sue promesse e la sfida lanciata all’attuale governance Ue, piuttosto che arrendersi agli zombie del partito eterno della morte civile e della svendita del paese a rate, all’infinito, ai poteri che banchettano su quella che una volta era la potenza industriale italiana. Le gazzette naturalmente propongono le loro Carola Rackete, le loro Greta, evitando accuratamente di informare il pubblico pagante su quanto sta avvenendo davvero, in Italia e nel mondo. E il pubblico, a sua volta, evita – ancora e sempre – di decidersi a fare qualcosa di concreto per avere, un giorno, la possibilità di regalarsi una proposta politica da votare con convinzione, senza turarsi il naso.Basterà, a fare pulizia, l’estinzione del super-bidone a 5 Stelle che ha coperto l’Italia di ridicolo anche in Europa, passando dal sostegno ai Gilet Gialli al voto decisivo per Ursula von der Leyen? L’impressione è che quei milioni di voti (oggi a spasso, o decisi a restare a casa) confluiranno mestamente verso altre scommesse azzardate, magari meno cialtrone ma altrettanto claudicanti, spurie, non trasparenti. Prima di suicidarsi, o di fingere di farlo, Salvini, Grillo e Conte sono riusciti a intonare insieme l’antico coretto della Torino-Lione, ancora una volta – come tutti i loro predecessori (Berlusconi e Prodi, Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) – senza degnarsi di spiegare, con la dovuta trasparenza, a cosa mai servirebbe quell’immane spreco di denaro, in un paese che ha un drammatico bisogno di grandi opere utili. In questa Italia passa velocemente di moda anche la quasi-tragedia dell’obbligo vaccinale, imposto di colpo nello stesso modo: senza spiegazioni. Silenzio assoluto sull’unica istituzione che abbia brillato per dovere civico, la Regione Puglia presieduta da Michele Emiliano, la sola capace di approntare un servizio di farmacovigilanza attiva (che per inciso ha svelato come 4 bambini su 10 abbiano subito reazioni avverse alle vaccinazioni somministrate in batteria anche ai neonati).Non c’è una vicenda – una sola – che si concluda in modo coerente, a quanto pare. La rissa a reti unificate contro il feroce Salvini che sbarra l’accesso ai porti è tutto quello che ha da offrire, il mainstream, di fronte al dramma plurisecolare dell’Africa aggravato dal globalismo finanziario. Il cardinale nigeriano Francis Arinze, voce nel deserto, sfida il fronte buonista capitanato dal pontefice: com’è possibile non capire che l’emorragia di giovani condanna il continente nero? Riflesso immediato, casalingo: il derby tra gli hoolingan dell’Ong di turno e quelli del bieco ministro dell’interno. C’è chi si dispera: è accettabile che non si creino mai le condizioni per un discorso serio, oltre l’emergenza? Come gli storici ben sanno, i risvegli generalmente sono drastici e burrascosi, innescati da veri e propri cataclismi. Viceversa, la sovrastruttura amministra il grande sonno reggendo i fili del discorso pubblico in modo più che attento, reticente e depistante, scegliendo anche gli innocui galletti da combattimento da gettare sul ring, uno dopo l’altro.Per contro starebbe crescendo, si dice, una specie di foresta: è ancora silente, ma più estesa di quanto si pensi. Una quota di popolazione che va riaprendo gli occhi: oggi, forse, un altro Grillo non riuscirebbe più a prendere in giro nessuno. Ma non basta. Il popolo del cosiddetto risveglio non ha ancora un lessico pienamente condiviso, né solidi strumenti per comunicare quello che pensa. L’ipotetica, nuova antropologia in arrivo sembra dover passare necessariamente per fenomeni come il post-leghismo di Salvini, largamente indigesto ai più, ancora in cerca di approdi univoci e meno divisivi. Mancano appigli, per il momento, diffusamente percepiti come viatico per la costruzione collettiva di un universo meno inospitale, più umano, con meno urlatori e più ragionatori. Il 99% della scena è tuttora intasato di scontri, bocciature, insulti, testa a testa. Vince il “no”, a mani basse: il voto-contro. E’ perfetto per rinviare all’infinito il voto-per, quello di cui tutti avrebbero bisogno. Che fare, per vedere finalmente l’arrivo di quel giorno?(Giorgio Cattaneo, “L’Italia non s’è desta, ancora prigionera dell’inutile voto-contro”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2019).Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.
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Vergogna M5S: ha tradito tutti, dai suoi elettori a Salvini
Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.E quanto all’Ue, il cambiamento da demolitori in aperti sostenitori non trova neppure una spiegazione razionale, perché quella del sostegno all’assetto dell’Ue in difesa del Pil italiano pronunciata dal senatore Lanzi lo scorso aprile è e rimane una “kaxxata” che solo persone prive di capacità cognitive potrebbero accettare per buona. Ma come, vieni a dirmi che dobbiamo difendere l’istituzione che ci ha massacrato economicamente e socialmente per 20 anni per salvaguardare proprio quel Pil italiano che è stato fatto a pezzi dai Lorsignori a marchio Bruxelles? E questo dopo che per 10 anni ripeti ovunque che quell’Europa istituzionale, che ora vuoi sostenere, è un Club Med di rispettabili criminali, arricchiti burocrati asserviti ai neoliberisti mondiali che nell’assetto dell’Ue e nelle sue regole capestro hanno trovato un altro giocattolo per far pagare le crisi finanziarie ai meno abbienti, italiani inclusi?Quanto alla Tav serve veramente a poco che Grillo dica che «non avere la forza numerica per bloccare l’inutile piramide non significa essersi schierati dalla parte di chi la sostiene». Servirebbe piuttosto chiedersi se il MoV ha cercato degli alleati per allargare il fronte istituzionale del dissenso in questi anni. Di fronte a fallimenti continui come si può affermare che qui si tratta di coerenza e non di rigidità? Con che coraggio o mancanza di vergogna si dichiara che se il resto d’Europa vuole la Tav, il M5S ha comunque coerentemente fatto tutto quello che doveva e quindi non è responsabile? Ma se impegnarsi e non riuscire a mantenere gli impegni comporta l’ammettere la propria inadeguatezza e andarsene – Casaleggio, mai sconfessato da Grillo, dixit – a cosa serve dire che si è fatto il possibile? E allora Pizzarotti che ha percorso tutte le vie legali per fermare l’inceneritore di Parma e non vi è riuscito cosa doveva fare? Andare di notte con un commando ed esplosivo e farlo saltare? Eppure lui doveva dimettersi – giustamente – e chi sta al governo che ha fatto un voltafaccia su tutto, no?!A questo punto rimarrebbe da spiegare il comandamento etico dei “pacta sunt servanda”, mai venuto meno per il M5S, e che in democrazia dovrebbe valere per tutti, semper Casaleggio Senior dixit. Dov’è il tradimento di Pizzarotti che, vistosi impossibilitato a mantenere una promessa elettorale, dopo aver esaurito tutte le vie legali, ha tentato di trattare con i poteri forti per restare a galla cercando di contenere i danni dell’inceneritore? Non è la stessa cosa che tenta di fare il M5S “per sopravvivere”, dopo che la decisione di Salvini di aprire la crisi di governo lo ha riportato alla realtà del voto e delle scelte maldestre e antitetiche al programma condiviso con la Lega in Europa? Quindi se fallire vuol dire “te ne vai”, anche se ci si può rifiutare comprensibilmente di associare al fallimento qualche dietrofront o inciampo su punti marginali, fallire totalmente su battaglie che in teoria rappresentavano l’anima politica del M5S, le promesse chiave di quel rinnovamento che voleva portare in Italia, cosa comporta? Starsene in poltrona per dire che si è coerenti e che gli altri sono brutti, cattivi e corrotti?Si leggono in questi giorni messaggi di ogni tipo su social che incolpano dell’attuale crisi di governo l’orco Salvini, l’irresponsabile traditore che vuole consegnare l’Italia all’ultradestra. Alternativamente Salvini cede il primo posto sulla gogna mediatica agli italiani, agli Usa, a Di Battista, meno a coloro che dirigono il M5S e che hanno sostenuto il suo sistema. Per i “veri” appartenenti al M5S, dal MoV dovrebbero uscire, anzi essere cacciati, i traditori, gli infiltrati, i fascisti… va bene, ma poi chi ti rimane? Intendo dire che se cacci i fascisti da un partito-azienda dove sopravvive e viene promosso chi fa la volontà del capo, che è una sola persona, non è che poi rimangono molti, dopo aver fatto pulizia. Ora, finché il proprietario era in vita e aveva una visione della storia e della politica ad ampio raggio, il messaggio innovatore poteva essere sostenuto, con qualche falla. Ma nel momento in cui è stato sostituito da un nuovo proprietario che al posto dei libri si interessa solo previsioni di vendita, di cosa ci illudiamo? Del cambiamento? Della Rivoluzione?Fatta da chi? Da una manica di gente messa insieme alla meno peggio e presentata ai cittadini dopo una selezione da casting televisivo su come si ripetono slogan messi a punto dalla Casaleggio, o su come vengono le zoomate fatte a 32 denti o sui tacchi? Se qualcuno davvero crede, dopo quanto il MoV ha mostrato nell’ultimo anno, che una simile compagine potesse davvero competere con Salvini e rappresentare un’alternativa al malgoverno sistemico di questa nazione, allora ha bisogno di supporto psichiatrico. E magari serviva pensare che a trattare con Salvini ci andava gente diversa da un ragazzo di 30 anni con una cultura, esperienza di vita e di lavoro molto limitata. E per capire questo non serviva una visione alternativa e unica della democrazia. Bastava il buon senso, anche se era contrario agli affari, per fare i quali serve impegnarsi solo nelle battaglie che portano utili, che però in questo caso non sono quelle che servono per cambiare l’Italia e abbattere la tanto detestata casta.Per cambiare la gestione sistemica dell’Italia serve ridare allo Stato italiano quella sovranità che non ha più, sovranità che a parole il M5S difende, e per farlo serve attaccare coloro che quella sovranità riducono, e che siedono a Bruxelles nel consesso dell’Ue. La battaglia è contro l’attuale assetto dell’Ue, contro i trattati applicati in modo diverso all’interno dei vari Stati, per cui mentre la Francia emette il franco coloniale contravvenendo al Trattato di Maastricht e in Germania le banche possono prestare denaro pubblico, come più e più volte ha evidenziato Nicoletta Forcheri, l’Italia non può fare nulla. La battaglia è contro la gestione del Mes, il Fondo europeo di stabilità finanziaria, di cui l’Italia è il terzo principale contributore dopo Germania e Francia, e nel quale finora ha versato miliardi di euro. Un fondo tanto generoso e gestito saggiamente che, se uno Stato in difficoltà ne avesse bisogno, verrebbe salvato con erogazioni a tassi di usura, per cui per ricevere in forma di aiuto quei soldi che ha versato deve pagare una tangente, come si fa con ogni rispettabile organizzazione mafiosa.La battaglia è contro la mancanza di una politica europea condivisa e seria sull’immigrazione, invece di favorire una tratta a pagamento di esseri umani gestita da Ong amiche e cooperative compiacenti, sotto la falsa pretesa di una solidarietà che vorrebbe che un continente ne ospitasse un altro “per risolvere i problemi di entrambi”, e che non ha nessun riscontro nella storia. A cosa serve risparmiare qualche ghello, anche tagliando i parlamentari, se poi dall’alto vi è chi ti dice comunque cosa devi o non devi fare, ti impone limiti di spesa, ti obbliga a versare miliardi con cui potresti sanare i debiti pubblici, e affossa i tuoi diritti? A niente, e se una forza politica “rivoluzionaria” si rifiuta di impegnarsi negli scontri veri inventandosi nemici immaginari, allora vuol dire che del cambiamento non gli frega niente. Questi sono i punti che il M5S dovrebbe trattare se volesse davvero cambiare le cose in Italia, e per farlo deve contrapporsi all’Europa così com’è. Certo costa, ma la via è quella. E invece su questi temi, dopo il famoso referendum consultivo sull’euro di 7 anni fa rimasto lettera morta, la propaganda del M5S e il blog non parlano mai… strano!Dovrebbe portare lo scontro in Europa, come ha dichiarato per 10 anni di voler fare. Avrebbe dovuto sostenere il fronte sovranista. E invece cosa ha fatto? Ha lasciato al manipolo di 14 europarlamentari eletti lo scorso maggio libertà di coscienza sulla votazione che avrebbe portato il piddino Doc Sassoli – quello che dice che il Parlamento Europeo per lui sarà sempre aperto all’immigrazione, come i porti, per intenderci – e ha votato alla presidenza della Commissione Ursula von der Leyen, eletta con appena 9 voti di scarto e alla quale non sono mancati quelli dei 14 del M5S. La signora Austerity, amica della Lagarde, la macellaia sociale dell’Ue, e di Angelona Merkel e sua ex ministra, è il correlativo oggettivo di Mario Monti in gonnella, e di Monti condivide oltre alla visione di austerity e tagli alle spese sociali, anche le amicizie importanti per le multinazionali e società di fondi d’investimento e di consulenza come la McKinsey. E mentre veniva incoronata presidente della Commissione Ue, Castaldo (M5S) è stato eletto vicepresidente nonostante i 5 Stelle siano senza gruppo a Bruxelles: è la prima volta in Europa. Ma sarà un caso?Queste “battaglie” del M5S sembrano più scambi di favori per chi vuole farsi gli affari propri a prescindere dalle promesse fatte al beneamato popolo che dovrebbe difendere. E mentre vende briciole di slogan di democrazia, il MoV si rifiuta di attuare le uniche vere scelte che dovrebbe fare se davvero volesse tener fede a quanto detto per una decade. Ma si sa, bisogna sopravvivere e poiché ‘l’amico del mio nemico può diventare amico mio” nel mondo dell’immaginifico politico stellato dove non esiste né destra né sinistra, le ideologie sono morte, ma il denaro rimane, ecco che allora anche l’ipotesi di allearsi con pezzi del Pd renziano può andar bene. Il cofondatore del M5S potrebbe infine illuminarci sulle ragioni – quelle vere, che ancora non conosciamo – per le quali la sua creatura politica è diventata europeista al punto di votare la von der Leyen, che rappresenta la reincarnazione femminile di Monti-aka Rigor Mortis, o chiarire il significato grillino – quello italiano lo conosciamo già – dell’espressione “comitati d’affari” tanto cara al MoV delle origini, lo stesso che nel 2011 condannava Rigor Mortis e che ora con metamorfosi politica – attuata per sopravvivenza o convenienza? – è arrivato camaleonticamente a fare le scelte di cui sopra. I nodi sono sempre quelli.(Alessandro Guardamagna, estratti da “Se pacta sunt servanda, chi ha tradito chi?”, da “Come Don Chisciotte” del 15 agosto 2019).Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.
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Qualcosa s’è rotto: traditi gli italiani, vi credevano diversi
Salvini: «Qualcosa si è rotto, negli ultimi mesi». E puoi dirlo forte, Matteo. Per non scadere nel turpiloquio, non si può dire che cosa si sia rotto. Ma che si sia rotto è indubbio. Qualcosa si è rotto vedendo questo sconcertante teatro di baruffe, dispettucci, gelosie e minacce, neanche foste liceali a una diretta del Grande Fratello. Qualcosa si è rotto a tutti gli italiani che, dopo il 4 marzo del 2018, avevano sperato in un governo capace di fare compromessi nell’interesse, per una volta, della maggioranza dei cittadini e non di una collezione di influenti minoranze. Il plauso della maggioranza degli italiani era andato all’idea di un governo che accettasse di essere proprio un “governo di coalizione” senza vergognarsene, un governo che trovava dei punti di compromesso tra istanze e elettorati chiaramente non coincidenti, ma proprio perciò un governo che non fosse la solita esibizione muscolare di galletti vanesi, di chiacchiere e distintivo, di “governismo”, di impazienza verso la mediazione.Se non l’avessi capito, caro Matteo, la fiducia non vi è stata mai data perché “promettevate così bene”, ma per il livello di nausea suscitata dai governi precedenti che uno dopo l’altro governavano per una manciata di lobby influenti, mostrando sempre maggiore impazienza verso i “riti della democrazia”. Che queste lobby fossero poi l’entourage di Berlusconi o le enclave di potere del Pd poco importa. Ma a poco più di un anno di distanza, e soprattutto ad un’elezione di distanza, si è visto che tutti i vecchi istinti di massimizzazione dell’interesse personale del ceto politico, e di tutela dei propri gruppi di pressione sono riemersi. Invece di fare uno sforzo nell’ottica di un interesse collettivo, le spinte sono ora solo quelle a capitalizzare l’onda di consenso (per chi ce l’ha), ad accontentare le proprie lobby nell’imprenditoria lombardo-veneta per la Lega, o a rincorrere i propri referenti sparsi nei No Tav o No Tap o No Vattelapesca per i Cinque Stelle.Tutto il resto è solo il gioco del cerino, alla ricerca di come addossare all’altro la colpa di un ritorno alle urne. In questo gioco naturalmente la Lega può avvantaggiarsi di una linea coerente di lungo periodo, mentre il M5S soffre per aver raccolto richieste sparse senza darvi alcuna unità organica. Ma a parte questa disparità di efficacia, che si ripercuote in un diverso successo presso l’elettorato, la dinamica del ritorno al “particulare” è evidente. Purtroppo non basta riempirsi la bocca di “Italia” e vestire magliette col tricolore per imparare a pensare in termini di interesse nazionale.(Andrea Zhok, “Qualcosa si è rotto”, dalla pagina Facebook di Zhok dell’8 agosto 2019; post ripreso da “Come Don Chisciotte”).Salvini: «Qualcosa si è rotto, negli ultimi mesi». E puoi dirlo forte, Matteo. Per non scadere nel turpiloquio, non si può dire che cosa si sia rotto. Ma che si sia rotto è indubbio. Qualcosa si è rotto vedendo questo sconcertante teatro di baruffe, dispettucci, gelosie e minacce, neanche foste liceali a una diretta del Grande Fratello. Qualcosa si è rotto a tutti gli italiani che, dopo il 4 marzo del 2018, avevano sperato in un governo capace di fare compromessi nell’interesse, per una volta, della maggioranza dei cittadini e non di una collezione di influenti minoranze. Il plauso della maggioranza degli italiani era andato all’idea di un governo che accettasse di essere proprio un “governo di coalizione” senza vergognarsene, un governo che trovava dei punti di compromesso tra istanze e elettorati chiaramente non coincidenti, ma proprio perciò un governo che non fosse la solita esibizione muscolare di galletti vanesi, di chiacchiere e distintivo, di “governismo”, di impazienza verso la mediazione.
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Di Maio cadrà sul Tav, Grillo e Casaleggio vogliono liquidarlo
Val Susa fatale per il governo gialloverde, e sicuramente per Luigi Di Maio: lo afferma Paolo Becchi, filosofo del diritto, ieri vicinissimo a Gianroberto Casaleggio e oggi alla Lega di Salvini. Campane a morto per il vicepremier pentastellato: Massimo Bugani, numero due della struttura di Luigi Di Maio a Palazzo Chigi, si è dimesso. Come per prepararsi – in accordo con Grillo e Davide Casaleggio – a un nuovo scenario: Di Maio a casa, e i 5 Stelle all’opposizione? Intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”, Becchi propende per le elezioni anticipate: il Movimento 5 Stelle, dice, non reggerà al voto sul Tav Torino-Lione. Doppia sconfitta: da un lato, elettori e militanti grillini non tollereranno l’ipocrisia di Di Maio (votare contro, già sapendo che non servirà), e dall’altro Mattarella prenderà atto che in Parlamento la maggioranza gialloverde non esiste più. Becchi insiste sulle clamorose dimissioni di Bugani: un uomo-chiave, nel potere pentastellato. All’indomani delle europee, coi 5 Stelle crollati al 17%, Grillo ha pubblicato sul suo blog un post enigmatico (“E adesso…?”), «facendo capire che sulla Tav non si può mollare, che il M5S dev’essere fedele alla propria storia, tornare alle origini. Tutte critiche velate a Di Maio, ma senza nominarlo».Dopo quel post di Grillo – aggiunge Becchi – è stato Bugani a dire la sua. Ha scritto un post «per dire che Di Battista è complementare a Di Maio, che entrambi rappresentano anime diverse e legittime del M5S». A quel punto, di Maio è andato su tutte le furie, intimandogli di astenersi dall’intervenire pubblicamente. «Bugani – aggiunge Becchi – è l’unico, nel M5S, che fa parte dell’associazione Rousseau, insieme a Davide Casaleggio». Per il professore, «quella di Bugani è una scelta politica: smarcarsi». Una decisione importante, «che sicuramente non ha preso da solo». Ovvero: «E’ evidente che ci sono dietro Casaleggio e Grillo». Come se non bastasse, «Di Battista su Facebook ha subito dichiarato di concordare con Bugani». Attenzione: «Stiamo parlando di pezzi da novanta», sottolinea Becchi: «Un messaggio molto forte, che tra l’altro arriva in un momento drammatico per il M5S, per via del decreto sicurezza bis e soprattutto per la Tav».Il Senato ha votato la fiducia al decreto sicurezza con 160 voti a favore. Forza Italia e Fratelli d’Italia hanno abbassato il quorum: era prevedibile. E ora passerà anche la Torino-Lione, ma non con i voti grillini. «Il dato politico è duplice», osserva Becchi: «E’ emerso un dissenso radicale verso Di Maio. Non parliamo di qualche parlamentare riottoso da espellere, ma di un fondatore del M5S. L’altro elemento è altrettanto grave: Di Maio non controlla più il movimento». Il giovane vicepremier «pensa di risolvere il problema con la discussione in Parlamento e un voto normale, non di fiducia, in cui Lega, frange berlusconiane fedeli a Toti, Fratelli d’Italia e qualcun altro dicono sì alla Tav. Governo salvo, 5 Stelle compatti e tutti amici come prima». E invece? «Questa è la strategia che ha pensato Di Maio per uscirne pulito: non farebbe una piega se Bugani fosse ancora al suo posto, ma non è così. Di Maio vacilla». Aggiunge Becchi: «Il sì alla Tav senza M5S mostrerebbe l’esistenza di una maggioranza diversa da quella che sostiene il governo su un voto strategico per il paese».Secondo Becchi, a quel punto Salvini ne prenderebbe atto e solleverebbe alcuni problemi.«Innanzitutto l’incoerenza politica del M5S, che al governo con Conte e con il ministero delle infrastrutture – non Toninelli, che non ha firmato – dà parere favorevole alla Tav ma in Parlamento vota contro. Non solo: presenta una propria mozione contro quello che di fatto ha deciso il governo con il consenso di tutti, M5S compreso. Una cosa pazzesca». E le difficoltà non sarebbero finite qui: se domani i 5 Stelle presentassero in Parlamento una mozione contro la Tav, venendo sconfitti dal voto, come farebbe poi il governo, espressione a maggioranza grillina, a presentare la sua proposta a favore della Tav? A quel punto, secondo Becchi, Salvini «metterebbe Conte di fronte alle sue responsabilità». E cioè: «Il presidente del Consiglio dovrebbe constatare che in Parlamento si è venuta a creare una maggioranza diversa da quella che governa il paese. Non sarebbe il caso di avvisare il presidente della Repubblica? Cosa può pensare Mattarella di un governo che non si regge più sulla maggioranza che l’ha votato? Siamo pur sempre una repubblica parlamentare».Sarà dunque il maledetto Tav a far precipitare la crisi? Per tornare alle urne manca solo un piccolo dettaglio: che Mattarella sciolga le Camere. Salvini ci spera, i convincimenti del Colle sono altri. E quando una crisi di governo viene parlamentarizzata, scrive Ferraù, si sa come comincia, ma non come finisce. Qualcuno non ha mancato di far notare che Mario Draghi, stranamente, non ha accettato di sostituire Christine Lagarde alla guida del Fmi. E’ la carta di riserva per il dopo-Conte? Per ora, Becchi si limita a osservare che tutto il quadro politico sta cambiando: «Forza Italia è destinata a sparire, lacerata da una scissione profonda; il Pd di Zingaretti non è il Pd di Renzi e i parlamentari sono di Renzi; i rapporti di forza tra Lega e 5 Stelle sono di fatto esattamente rovesciati dopo le europee. Nel paese reale c’è una maggioranza diversa rispetto a quella che c’è nel governo. Inoltre se in Parlamento si aggregano forze diverse da quelle della maggioranza nata con la legislatura, non sarebbe giusto interrogare nuovamente il popolo con le elezioni anticipate?». E quando, nella primavera 2020? Prima possibile, chiosa Becchi: «Meglio una fine spaventosa di uno spavento senza fine».Val Susa fatale per il governo gialloverde, e sicuramente per Luigi Di Maio: lo afferma Paolo Becchi, filosofo del diritto, ieri vicinissimo a Gianroberto Casaleggio e oggi alla Lega di Salvini. Campane a morto per il vicepremier pentastellato: Massimo Bugani, numero due della struttura di Luigi Di Maio a Palazzo Chigi, si è dimesso. Come per prepararsi – in accordo con Grillo e Davide Casaleggio – a un nuovo scenario: Di Maio a casa, e i 5 Stelle all’opposizione? Intervistato da Federico Ferraù per il “Sussidiario”, Becchi propende per le elezioni anticipate: il Movimento 5 Stelle, dice, non reggerà al voto sul Tav Torino-Lione. Doppia sconfitta: da un lato, elettori e militanti grillini non tollereranno l’ipocrisia di Di Maio (votare contro, già sapendo che non servirà), e dall’altro Mattarella prenderà atto che in Parlamento la maggioranza gialloverde non esiste più. Becchi insiste sulle clamorose dimissioni di Bugani: un uomo-chiave, nel potere pentastellato. All’indomani delle europee, coi 5 Stelle crollati al 17%, Grillo ha pubblicato sul suo blog un post enigmatico (“E adesso…?”), «facendo capire che sulla Tav non si può mollare, che il M5S dev’essere fedele alla propria storia, tornare alle origini. Tutte critiche velate a Di Maio, ma senza nominarlo».
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Sì alla Torino-Lione: il M5S firma la sua condanna a morte
«Non c’erano e non ci sono governi amici, l’abbiamo sempre saputo». Così il movimento NoTav reagisce al “tradimento” gialloverde sulla Torino-Lione, anticipato da Conte: «Non fare il Tav costerebbe più che farlo». Alberto Airola, parlamentare 5 Stelle, si sente raggirato da Di Maio: «Il suo – dice – è un atteggiamento pilatesco: sa benissimo che in aula saremo gli unici a votare “no”». In una video-intervista al “Fatto Quotidiano”, Airola condanna la decisione di rinunciare al potere dell’esecutivo per bloccare l’opera, ricorrendo alla farsa del voto parlamentare (più che scontato) sul destino del progetto, costosissimo e inutile. «L’ho detto più volte, a Conte: l’opera – che è appena ai preliminari – si può fermare senza danni per l’Italia». Conte però ha finto di non sentire: «E’ stato mal consigliato?», si domanda Airola. Certo, in linea con Conte appare Di Maio, che sposa in pieno la tattica dell’ipocrisia: i 5 Stelle ribadiranno la loro pletorica contrarietà alla super-ferrovia, già sapendo che Lega, Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia voteranno a favore. Un mezzuccio un po’ meschino, per tentare di salvarsi la coscienza. «Credo che il Movimento 5 Stelle abbia deciso di scrivere il proprio testamento politico», sentenzia Nilo Durbiano, sindaco di Venaus, uomo-simbolo dell’opposizione della valle di Susa alla grande opera. Addio 5 Stelle: «La loro avventura è conclusa», dice Durbiano, nel cui Comune i 5 Stelle erano il primo partito.
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Italian Russiagate: le bufale di BuzzFeed, che odia Salvini
«L’attacco mondialista a Salvini dimostra proprio questo intento, riprendere il flusso dell’immigrazione fuori controllo e continuare a produrre dumping salariale». Tanto, «il presunto argine ‘antisistema’ rappresentato dai 5 Stelle appare sempre più inadeguato, incoerente e ambiguo», visto che lo stesso Di Maio – nel tentativo disperato di tamponare l’emorragia di voti verso la Lega – partecipa volentieri all’ultimo gioco al massacro contro Salvini, invitandolo a rispondere dei presunti finanziamenti russi davanti al Parlamento: «Quando il Parlamento chiama, il politico risponde, perché il Parlamento è sovrano e lo dice la nostra Costituzione». Sovranità limitata, in realtà: è Bruxelles, non Roma, a stabilire cosa può fare l’Italia, la cui Costituzione è stata deturpata dall’inserimento suicida del pareggio di bilancio. Se n’è dimenticato, Di Maio? È evidente, scrive Rosanna Spadini su “Come Don Chisciotte”, che il capo politico del Movimento 5 Stelle cita “BuzzFeed” come fonte d’informazione altamente attendibile, «celando di proposito le rivelazioni pregresse sulla macchina di propaganda web del MoV, e sul fatto che Alberto Nardelli interpreterebbe un trend politico decisamente di sinistra, avverso al governo gialloverde».
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Polvere di Stelle: ko l’ambigua Scientology dei Casaleggio
Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.Facile cascare nel delirio collettivo provocato dalla genialità dell’esperimento di Gianroberto Casaleggio, però il M5S non è una forza politica nata dal basso, ma una semplice riproduzione della prima società di Casaleggio, la Webegg, gruppo per la consulenza delle aziende in Rete, controllata da I.T. Telecom Spa. Esperimento cui Casaleggio ha lavorato alla fine degli anni Novanta, quando da amministratore delegato cominciò a testare nei forum intranet dell’azienda i meccanismi di formazione e produzione del consenso attraverso la propaganda virale. Testi e regia dei Vday infatti, gli eventi antecedenti alla nascita del Movimento, erano in pratica decisi dalla Casaleggio. Grillo è stato l’uomo immagine, il frontman del consenso elettorale che poteva raccogliere e rilanciare la rabbia che saliva da più parti della società civile e incrementare il sentimento d’indignazione contro il sistema. In questa prima fase il MoV sosteneva alcune istanze che poi smentirà tutte: l’uscita dalla Nato, il rifiuto assoluto di comparire sulle tv, la decrescita felice, il plauso ad uno stile di vita francescano, un deciso sovranismo, una forte critica all’euro e all’Unione Europea.Gianroberto Casaleggio ha progettato attentamente la sua scalata al potere, tutelando con cura paranoica la fuga di notizie sulla sua storia professionale, anche se ai più attenti molte cose non erano sfuggite. Lo stesso Gianroberto teorizzava spesso sul potere degli ‘influencers’, i piazzisti di prodotti sul mercato, o fake persuaders, coloro che orientano il consenso degli utenti, creando e dirottando correnti di pensiero per finalità di marketing, anche politico. La persuasione funziona perfettamente quando è invisibile, e il marketing più efficace è quello che s’insinua subdolamente nella nostra coscienza, attraverso un processo di propagazione virale riprodotta sui social, simulando magnificamente l’autonomia delle nostre opinioni, che in realtà sono di altri. Il guru del web riuscì ad incastrare Grillo nell’avventura politica che si stava aprendo nel 2005, e con l’apertura del blog di Grillo cominciò la traversata nel deserto del nuovo partito populista. Tutta la comunicazione veniva studiata sistematicamente da Casaleggio, e Grillo serviva da amplificatore seducente e accattivante dei depistaggi ideologici, veri o presunti, della nuova creatura politica.Il blog fu subito ispiratore di liste civiche e di meetup territoriali, cui le persone partecipavano con grande entusiasmo, sentendosi protagonisti, esponenti preziosi del MoV, in realtà venivano spesso ignorati dai vertici, a meno che rispondessero ai canoni elettorali che facevano loro comodo, giovani, fotogenici, malleabili, succubi e dotati molto più di soft skills che di hard skills, più attitudini che competenze. Una volta eletti, una ‘squadra di esperti’ li avrebbero guidati nelle proposte e nei dibattiti politici. L’ipnosi collettiva scatenò effetti immediati, eliminò la sensazione d’impotenza, perché era taumaturgico gridare un “vaffa” verso i decrepiti e corrotti politici della casta, e illuse sulla possibilità di un riscatto, che poteva trovarsi finalmente a portata di mano. Il sogno si sa è sempre più forte del realismo, ed è la carica emozionale indispensabile per muovere le coscienze attraverso “parole guerriere”. Ma il riscatto non può arrivare, perché il MoV è una controrivoluzione, l’anarchismo interno in realtà è guidato dalla diarchia Casaleggio (oggi unico proprietario del simbolo e della società srl) e Di Maio, tutti gli altri stanno sotto.La selezione della classe dirigente è uno dei problemi seri, perché in Parlamento sono arrivate persone che non hanno mai letto la Costituzione, oppure diretti dipendenti, comprati a suon di promesse e di pretese. «Descrivere il potere dei Casaleggio è come comporre un puzzle», dicono due ex collaboratori del MoV, Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro ultimo libro di recente pubblicazione “Il sistema Casaleggio”. «Ci sono migliaia di pezzettini: associazioni aperte e chiuse, avvocati, notai, relazioni, contatti, incontri, cene, convegni, partiti politici, aziende pubbliche e private. Frammenti di racconto che presi da soli non hanno un grande significato. Bisogna ricostruire e collegare i tasselli con pazienza, per capire come ciascuno sia parte di uno schema coerente. Il paravento dietro cui si nasconde questo inganno è l’asserita volontà di costruire un nuovo modello di democrazia, la “democrazia diretta”, governata da un’applicazione web di pessima qualità chiamata Rousseau». Peraltro, secondo Davide Casaleggio, Rousseau dovrebbe sostituire i processi democratici esistenti oggi in Occidente: «Il Parlamento diventerà superfluo», ha profetizzato in un’intervista del luglio 2018.La scalata ai vertici del partito è avvenuta al momento della scomparsa di Gianroberto, quando il figlio Davide si è assicurato un ruolo assolutamente anomalo: non ha una carica politica eppure gestisce l’attività del MoV, come presidente dell’Associazione Rousseau, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti, le procedure di votazione dei candidati, le proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati dai donatori e dai parlamentari (300 euro al mese, 6 milioni in 5 anni di legislatura, quindi soldi pubblici che vanno ad un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può modificare le regole interne. Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017 e scritto dall’avvocato Luca Lanzalone (ora in carcere), blinda l’accordo tra l’Associazione e il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre, e il regolamento per le candidature quantifica la cifra di 300 euro al mese.Ora da un po’ di tempo si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale, ma nulla lascia prevedere che il MoV possa trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto ad uno strumento attraverso il quale i Casaleggio hanno concentrato nelle loro mani influenza e potere. Dopo il voto sulla Diciotti poi si è capito che gli iscritti sono pronti a ratificare qualsiasi proposta, se pilotati nel modo giusto da video orientati al lavaggio di cervello. Anche oggi, nel dopo tracollo alle europee, a decidere è solo un piccolo direttorio di poche persone, Casaleggio, Di Maio, Bugani. Il MoV si è presentato all’opinione pubblica italiana attraverso tre messaggi chiari: noi siamo il movimento della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. In realtà in questo non-partito, un soggetto non eletto da nessuno, attraverso un’associazione privata di nome Rousseau, controlla la gestione e le attività di un MoV, in maniera unidirezionale.Il conflitto di interessi, ambiguo e opaco, meriterebbe di essere messo a fuoco in modo netto: a quale titolo il capo di una srl impone a dei parlamentari eletti senza vincolo di mandato l’obbligo di essere sudditi di un’associazione privata? E comunque spiega perfettamente il crollo del MoV alle europee, perché se il partito del “né destra né sinistra” ha potuto raccattare moltissimi voti alle ultime politiche, proprio grazie all’ambiguità del proprio messaggio poliedrico e multilaterale, poi però di fronte alle sfide di governo non riesce più a gestire il consenso. Del MoV delle origini è rimasto solo un brand elettorale, svuotato di ogni energia progettuale di ampio respiro, adagiatosi costantemente su toni da political newsjacking perpetua, ostinatamente regolata su spot propagandistici di grande effetto, semplici, immediati, capaci di colpire l’immaginario collettivo. Ma la rappresentanza politica di istanze democratiche dovrebbe essere un’altra cosa…(Rosanna Spadini, “Polvere di Stelle”, da “Come Don Chisciotte” del 29 maggio 2019).Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.
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Carpeoro: il governo cade, arriva Draghi. E Salvini è finito
L’allarme di Carpeoro è coerente con le anticipazioni fornite nelle scorse settimane: in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” aveva annunciato la tempesta giudiziaria che si sarebbe abbattuta sulla Lega, di cui la vicenda di Armando Siri rappresenta soltanto l’ultimo, gravissimo episodio. Secondo Carpeoro – su YouTube con Frabetti il 19 maggio – ora Salvini è in trappola: se trionfa alle europee dovrà rompere con Di Maio e convergere sul centrodestra, ma accettando la premiership di Draghi appena “suggeritagli” da Berlusconi. «Per il Cavaliere è l’ultima zampata: poi si ritirerà, cedendo lo scettro a Tajani, con la scusa delle sue precarie condizioni di salute». Ridotto a ruota di scorta di Draghi, Salvini sarebbe finito. Anche perché il super-banchiere metterebbe in atto una politica di austerity come quella di Monti: rigore assoluto, contrazione della spesa pubblica, tagli alle pensioni e magari anche una patrimoniale. Addio ai sogni leghisti come la Flat Tax, per la quale aveva lavorato proprio Armando Siri, sottosegretario disarcionato da Conte e Di Maio nonostante sia tuttora soltanto indagato. Sarebbe davvero la fine, per una Lega decisa a proporsi come vettore dell’affrancamento dal “giogo” neoliberista di Bruxelles. Addio all’alfiere del sovranismo italiano, costretto al guinzaglio da Draghi.Stessa musica, in ogni caso, se Salvini – per sua fortuna, si potrebbe dire – non dovesse andare così bene, il 26 maggio. Il governo gialloverde è comunque spacciato, secondo Carpeoro, avendo fallito nel suo obiettivo determinante: risollevare l’economia. Carpeoro è un dirigente del Movimento Roosevelt, che – attraverso il presidente, Gioele Magaldi – ha accusato i gialloverdi di eccessiva timidezza, con Bruxelles, al momento di contrattare il deficit 2019. Gli investimesti strategici avrebbero fatto crescere il Pil, riducendo l’incidenza del debito pubblico e quindi la pressione dei signori della finanza (spread) e degli oligarchi di Bruxelles, ben rappresentati dallo stesso Draghi. Appena la crisi si è mostrata in tutta la sua durezza, come si è mosso Di Maio? Ha attaccato Salvini, omaggiato la Merkel e difeso la disciplina europea del rigore. Come se ne esce? «Solo con una mezza rivoluzione», sostiene Carpeoro, assai pessimista. «Salvini si può ribellare soltanto se capisce in che trappola lo hanno cacciato». L’altra carta, per Carpeoro, è virtualmente rappresentata dalla base dei 5 Stelle: a suo parere, i militanti grillini non accetterebbero un governo Draghi. Ma per scongiurarlo dovrebbero prima “divorziare” da Di Maio e Casaleggio. In altre parole: Mario Draghi sembra ormai vicinissimo a Palazzo Chigi, cioè al nuovo commissariamento dell’Italia.«Stavolta la sovragestione internazionale di cui l’Italia è vittima ci ha combinato un trappolone senza via d’uscita», sostiene Carpeoro, che da mesi paventava l’irruzione di Draghi alla guida del governo. «Se la Lega vince le europee – profetizza – la tenaglia giudiziaria si stringerà ulteriormente sul partito di Salvini». Un indebolimento che costringerebbe Salvini – sulla difensiva – ad accettare un ritorno al centrodestra, sotto la “custodia” di Draghi (espressamente evocato da Berlusconi come il “miglior premier possibile”, oggi, per l’Italia). «L’urgenza, poi, verrebbe giustificata dall’aggravarsi della situazione economica». Se invece Salvini delude, alle urne, resterebbe in campo l’asse – sempre più ammaccato – con i 5 Stelle. «Ma sui parametri economici – sottolinea Carpeoro – Di Maio si è pronunciato in modo coerente con la linea di Draghi». Ovvero: vietato sforare il 3% di Maastrich, cosa che invece per Salvini, a parole, «si può e si deve fare». E quindi in quel caso «avremmo probabilmente l’ingresso trionfale di Draghi con questa maggioranza – perché comunque il governo, a causa della situazione economica, cadrà entro la fine dell’anno».Se non è zuppa è pan bagnato: «Comunque gli italiani votino, al 99,9% si ritroveranno Draghi presidente del Consiglio». Viceversa, aggiunge Carpeoro, l’Ue ci taglierà i viveri vietandoci di accedere al deficit, «e la situazione economica ci travolgerà». Dubbi? Uno: «Non so fino a che punto Salvini si scavi la fossa così», dice ancora Carpeoro, considerando che il capo della Lega – formidabile tattico e uomo-immagine – non ha però dato prova, finora, di particolare capacità strategica. «E’ capace di scavarsela davvero, la fossa: però deve saperlo, che per lui sarebbe la fine, perché sarebbe proprio lui il primo che farebbero fuori». Secondo elemento: «I grillini hanno ormai stabilito una cupola “sovragestita” su di essi, sia attraverso il figlio di Casaleggio, sia tramite lo stesso Di Maio. Cupola, cioè gruppo oligarchico di potere, che «utilizza cinicamente Di Battista» come paravento, per mantenere «un sorta di legittimazione», di “verginità” politica apparente. Però attenzione: «La base grillina non è questa: continuo a confidare che all’interno del Movimento 5 Stelle ci sia sicuramente maggior vitalità che dentro qualunque altro movimento», sostiene Carpeoro, che peraltro aggiunge: «Non nutro nessuna fiducia nella nuova sinistra o centrosinistra che dir si voglia, Zingaretti o meno». Per cui «non è una situazione allegra», quella dell’Italia.Tradotto: «Nella peggiore delle ipotesi ci ritroveremo Draghi, il che significherà comunque tagli draconiani sulle pensioni e probabilmente la riproposizione in chiave “cosmetizzata” della possibilità di una patrimoniale». Infine: «Non si farà nulla sul reddito di cittadinanza: l’ha già ammazzato Di Maio, che ha ammesso di aver rinunciato a investirvi un miliardo in più, che ora ha messo da parte. Vuol dire che il reddito di cittadinanza è stato svuotato, e quindi è fallito». Gianfranco Carpeoro (all’anagrafe Pecoraro, avvocato di lungo corso), ha pubblicato nel 2016 il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che mette in luce la “sovragestione” (largamente massonica) degli attentati targati Isis che hanno colpito l’Europa. Di questa “sovragestione”, in questo caso non più terroristica, sarebbe tuttora vittima l’Italia, abituale preda di potentati stranieri in combutta con settori dell’establishment nazionale. Nel saggio del 2017 “Il compasso, il fascio e la mitra”, sempre Carpeoro presenta lo stesso fascismo come prodotto di “sovragestione”: «Fu la convergenza, storicamente irripetibile, di tre poteri: il grande capitalismo italiano oggi scomparso, la massoneria nazionale – che allora contava – e il Vaticano». Anche per questo «non ha senso riparlare di fascismo nell’Italia di oggi», paese che però continua ad essere più che mai “sovragestito”.Se il Pd è clinicamente defunto, fino a ieri «al governo senza in realtà governare, esattamente come poi i gialloverdi», di fatto controllato dai superpoteri tramite ministri del calibro di Padoan, oggi restano solo i cocci della speranza suscitata da Lega e 5 Stelle, un anno fa. Unica chance: la possibilità che Salvini si smarchi dalla trappola, che gli sarebbe fatale, rovesciando il tavolo già apparecchiato per Draghi. Potrebbe aiutarlo la base grillina, forse, ma certo non Di Maio: Carpeoro lo descrive “coltivato” da anni, dentro e fuori l’ambasciata Usa di via Veneto, dal politologo statunitense Michael Ledeen, già uomo-uombra di Di Pietro e Renzi, massone reazionario del Jewish Institute, punta di diamante della lobby sionista, nonché esponente del B’nai B’rith, esclusiva massoneria ebraica riservata ai dirigenti del Mossad. Beffa gialloverde? Eccome: Mario Draghi officerebbe il funerale dell’unica coalizione politica che, in Europa, ha osato sfidare – almeno all’inizio, anche se solo a parole – lo strapotere oligarchico di Bruxelles e il dogma dell’austerity, sancito una volta di più dal pareggio di bilancio imposto da Monti coi voti di Bersani e Berlusconi. L’Italia ha provato a rialzare la testa? Peggio per lei: la “sovragestione” avrebbe pronto Draghi. La cui “terapia”, dal giorno dopo, decreterebbe la fine del sogno di uscire dalla crisi (e la morte politica di Matteo Salvini, destinato a vincere inutilmente le europee).Matteo Salvini è un morto che cammina: politicamente è finito. Che stravinca le europee o faccia cilecca, il risultato non cambia. Al posto di Giuseppe Conte, a Palazzo Chigi sta per arrivare Mario Draghi. L’attuale presidente della Bce, in scadenza a novembre, sarà presto alla guida di un esecutivo di centrodestra – con la recentissima benedizione di Berlusconi – oppure di una coalizione più larga, se la Lega restasse al di sotto del 30%. Motivo: i conti pubblici italiani sono disastrosi, e la situazione economica è pessima. Lo afferma Gianfranco Carpeoro, saggista e acuto analista dello scenario politico italiano. Già a capo della più tradizionale obbedienza massonica di rito scozzese, Carpeoro vanta contatti privilegiati con il network europeo dei grembiulini di area progressista. Anche grazie a questo, la scorsa estate aveva svelato l’indebita ingerenza della Francia nell’elezione del presidente della Rai. Berlusconi aveva cambiato idea sull’appoggio a Marcello Foa (in prima battuta garantito a Salvini), dopo la telefonata ricevuta da Jacques Attali, eminenza grigia di Macron, che avrebbe contattato anche Napolitano e Tajani. Oggi Carpeoro rilancia: «Dopo una fase di dissidio, la massoneria sovranazionale reazionaria si è ricompattata: sono tornati ad andare d’amore e d’accordo Attali, Tajani, Draghi e – udite udite – lo stesso Davide Casaleggio, figlio di Gianroberto». Non a caso, nelle ultime settimane, i 5 Stelle hanno attaccato Salvini in modo furibondo.
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Mazzucco: la droga dell’ignoranza, Salvini e la zia Cesarina
Ho visto Salvini, dalla Gruber, che lanciava la sua crociata contro “la droga”. Faceva quasi tenerezza, poverino, quando pronunciava la parola “droga”. Sembrava la mia zia Cesarina, che in dialetto milanese mi diceva: ehi, sta’ attento a andare in giro con quella gente, sono tutti drogati… Solo che mia zia Cesarina aveva 102 anni, quando me lo diceva, e non era mai uscita dal suo paesino di campagna, mentre Salvini è il ministro degli interni di una grande nazione moderna – e qualcosa in più dovrebbe saperla. Ma ovviamente lui fa finta di niente. Lui mescola tutto in un grande calderone con le parole droga, cannabis, Casamonica, guerra alla mafia, spacciatori… Lui fa tutto questo calderone, così non è costretto a fare nessuna distinzione. E allora la distinzione la facciamo noi, per lui. E chiariamo, per il nostro ministro un po’ pasticcione, alcune cose importanti. Primo: esistono droghe leggere e droghe pesanti; non puoi trattarle tutte allo stesso modo. L’eroina uccide, la cocaina uccide, le metanfetamine uccidono; la marijuana non uccide. La marijuana non ha mai ucciso nessuno da quando è stata scoperta, Salvini. Ti sfido a trovare un solo caso, nella storia, di morte per overdose di marijuana – uno – e io cancellerò questo video e ti chiederò scusa. Altrimenti, se non riesci a trovarlo, smettila di far finta che le droghe siano tutte uguali, e comincia a ragionare seriamente su questo argomento.Punto due: non è vero che la marijuana sia una droga di passaggio che ti porta inevitabilmente alle droghe più pesanti. Questo è un luogo comune, creato dalla propaganda americana degli anni ‘50, della quale apparentemente tu sei ancora vittima. Nuovamente: ti sfido a trovare una sola ricerca scientifica che dimostri come l’uso della marijuana porti automaticamente all’utilizzo di droghe pesanti, e io (nuovamente) cancellerò questo video e ti chiederò scusa. Ma tu quella ricerca non la troverai mai, perché – semplicemente – non esiste. In questo caso ti voglio dare io una mano, così non starai a sprecare troppo tempo. Ci sono state diverse ricerche scientifiche, sull’uso della marijuana, a partire dagli anni ‘40 del secolo scorso, fino ad oggi. E nessuna – ripeto, nessuna – ha mai confermato, in alcun modo, questa presunta pericolosità della marijuana. Ti faccio un breve elenco. La prima ricerca scientifica della storia, sulla marijuana, la fece il famoso sindaco di New York, Fiorello La Guardia, ancora negli anni ‘40. Commissionò una ricerca scientifica per verificare quali fossero veramente gli effetti della marijuana sull’individuo; 31 scienziati indipendenti lavorarono per oltre cinque anni, portando a termine quella che di fatto rimane la prima indagine scientifica conosciuta, sull’uso di marijuana.Pubblicato nel 1944, il Rapporto La Guardia presentava risultati sorprendenti: la marijuana, diceva, non provoca atteggiamenti aggressivi o antisociali, non causa un aumento del desiderio sessuale e non altera gli aspetti fondamentali della personalità. Poi, negli anni Sessanta, ci fu una famosa ricerca scientifica fatta dall’Università della California, a Palo Alto, per chiarire meglio quali fossero gli effetti della marijuana sull’individuo. I risultati furono di tutto, meno che terrificanti. Poi, negli anni Settanta arrivò Richard Nixon (che è sicuramente fra i tuoi eroi preferiti). Lui addirittura istituì una commissione scientifica apposita, sull’uso della marijuana, perché voleva scatenare una “guerra alla droga” basata su una solida documentazione scientifica. Ma anche a lui andò male: ancora una volta, i risultati furono del tutto opposti a quelli previsti. «Le raccomandazioni della commissione, nel suo primo rapporto – disse il presidente, Raymond Shafer – sono che non crediamo che l’uso personale, o il possesso personale, in casa propria, debbano essere bollati come un crimine. Le persone che vogliono fare questa esperienza – aggiunse – non vanno trattate come criminali, per quel particolare comportamento».Richard Bonnie è stato il co-direttore di quella commissione: «Divenne chiaro – disse – quanto poco si sapesse, sugli effetti di questa droga, e quanto scarse fossero le prove s supporto del suo presunto pericolo». Qualche anno dopo ci provarono in Inghilterra, ma anche lì il risultato fu identico. Una ricerca simile era stata affidata alla baronessa Wootton, una nota sociologa e criminologa, che aveva collaborato spesso con il governo inglese. I risultati furono molto simili a quelli della Commissione Nixon: «Il consumo prolungato di cannabis in dosi moderate – diceva il rapporto – non ha effetti dannosi: non vi sono prove che questa attività porti a crimini violenti, aggressioni o comportamenti antisociali, né che produca in una persona – altrimenti normale – stati di assuefazione o di psicosi che richiedano cure mediche». Hai capito, Salvini? Non troverai mai una ricerca scientifica che dica che la marijuana è pericolosa, semplicemente perché questa ricerca non esiste.Punto tre: i negozi di cannabis che ci sono oggi vendono cannabis legale, che è depotenziata (con un livello del Thc intorno allo 0,2%), quindi assolutamente senza effetti psicotropici per il fumatore. Se tu trovi qualche negozio di cannabis che vende illegalmente la droga sottobanco, lo fai chiudere e fai arrestare i proprietari; ma non chiudi un’intera categoria di negozi legali, con un florido business nascente – uno dei pochi che abbiamo oggi in Italia, fra l’altro – solo perché qualcuno vende qualcosa di illegale. Se trovi un bar che vende cocaina sottobanco cosa fai, arresti il proprietario o fai chiudere tutti i bar, da Bolzano fino all’isola di Lampedusa? Punto quattro: se sei davvero così impegnato a difendere la salute dei cittadini, allora comincia a occuparti di far proibire l’alcol e il tabacco. Lì sì che ci sono centinaia di migliaia di persone, ogni anno, che muoiono o si rovinano la salute, per l’alcol e il tabacco. Perché tu non fai niente, in quel caso? Se sei una persona coerente, che vuole veramente salvaguardare la salute dei suoi cittadini, allora comincia a combattere anche l’alcol e il tabacco, no?Punto cinque (forse il più importante di tutti): la guerra alla cannabis non è stata fatta per combattere “la droga”, ma è stata fatta perché im questo modo – colpendo la droga – si poteva colpire un intero mercato che, partendo dalla pianta di cannabis, produceva combustibili, alimentari, tessuti e medicinali – in modo da favorire la nascente industria petrolchimica. Senza questa lotta alla cannabis, portata a termine a metà del secolo scorso grazie alla demonizzazione della marijuana, l’industria del petrolchimico non avrebbe mai prevalso. E quindi oggi tu, combattendo la cannabis (che sta tornando), combatti una pianta che ha un potenziale enorme, per tutta una serie di prodotti industriali assolutamente sani, biodegradabili ed eco-sostenibili. Quindi pensaci bene, prima di tornare a combattere la cannabis, mettendola insieme alle droghe pesanti. Informati meglio, Salvini, prima di tornare a parlare di cose che non sai. Sei il ministro degli interni, dopotutto; non sei mia zia Cesarina.(Massimo Mazzucco, “Salvini, il vero drogato sei tu!”, video-editoriale su “Luogo Comune” il 9 maggio 2019. Le fonti sulle ricerche storiche inerenti la marijuana sono tratte dal documentario di Mazzucco “La vera storia della marijuana”, uscito nel 2010, oggi disponibile anche su YouTube oppure in formato dvd).Ho visto Salvini, dalla Gruber, che lanciava la sua crociata contro “la droga”. Faceva quasi tenerezza, poverino, quando pronunciava la parola “droga”. Sembrava la mia zia Cesarina, che in dialetto milanese mi diceva: ehi, sta’ attento a andare in giro con quella gente, sono tutti drogati… Solo che mia zia Cesarina aveva 102 anni, quando me lo diceva, e non era mai uscita dal suo paesino di campagna, mentre Salvini è il ministro degli interni di una grande nazione moderna – e qualcosa in più dovrebbe saperla. Ma ovviamente lui fa finta di niente. Lui mescola tutto in un grande calderone con le parole droga, cannabis, Casamonica, guerra alla mafia, spacciatori… Lui fa tutto questo calderone, così non è costretto a fare nessuna distinzione. E allora la distinzione la facciamo noi, per lui. E chiariamo, per il nostro ministro un po’ pasticcione, alcune cose importanti. Primo: esistono droghe leggere e droghe pesanti; non puoi trattarle tutte allo stesso modo. L’eroina uccide, la cocaina uccide, le metanfetamine uccidono; la marijuana non uccide. La marijuana non ha mai ucciso nessuno da quando è stata scoperta, Salvini. Ti sfido a trovare un solo caso, nella storia, di morte per overdose di marijuana – uno – e io cancellerò questo video e ti chiederò scusa. Altrimenti, se non riesci a trovarlo, smettila di far finta che le droghe siano tutte uguali, e comincia a ragionare seriamente su questo argomento.
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Sapelli: l’Italia si salva con Roosevelt, fuori dal rigore Ue
La Flat Tax voluta dalla Lega è una misura sensata perché espansiva, ma da sola non basta. Andrebbe fatta insieme alle sburocratizzazione, e su questo punto l’avvocato e premier Conte dovrebbe essere d’accordo. Dopo quello destinato alle partite Iva, adesso Salvini chiede l’introduzione di un secondo modulo: tassa del 15% per i redditi di lavoratori dipendenti e famiglie fino a 50.000 euro. La Flat Tax per le partite Iva è stata un passo avanti importante. Anche questa seconda detassazione mi pare equa, progressiva. Per capirci: i ricchi continuano a pagare le tasse. È quello che preme a Di Maio? Ho letto. In ogni caso, il vecchio vocabolario politico l’avrebbe definita una misura socialdemocratica. È molto significativo dei tempi che corrono. Questo depone a favore della Lega. Con l’economia ferma, può aiutare i consumi e quindi la produzione e il lavoro? Quando c’è una crisi si devono fare misure espansive. Non come fece Hoover, che subito dopo il ’29 aumentò le tasse, ma come fece Roosevelt, che le diminuì e aumentò invece la spesa pubblica. Perché la Flat Tax funzioni, però, ci vuole tempo. Tempo per introdurre altre misure di politica economica che funzionino.Penso per esempio a ciò che occorre perché le famiglie investano di più nell’educazione dei figli. Una famiglia italiana non dovrebbe vedersi precluse delle scuole di qualità perché costano troppo. Serve un disegno più ampio di politica economica, ma non lo vedo. Da un lato perché il pensiero economico non esiste più; a Bruxelles governa quello algoritmico. Dall’altro perché occorrerebbe anche essere favorevoli alle infrastrutture, alle opere pubbliche. E contrari a una commissione parlamentare permanente di inchiesta sulle banche, altrimenti nessuno investirà più in questo paese. Si dice che Mattarella sarebbe pronto a nominare Draghi senatore a vita, come per un Monti-bis? Non voglio nemmeno pensarci. Ho troppa stima del presidente della Repubblica, della sua persona oltre che del suo ruolo istituzionale, per immaginare che possa avere in mente una cosa simile. E mi sembra anche incredibile che qualcuno dotato di buon senso possa pensare che lui lo pensi. Perché vorrebbe dire non avere proprio imparato nulla. Abbandonare il regime parlamentare per instaurare di fatto un sistema neo-presidenziale e tecnocratico ha ridotto l’Italia a un cumulo di macerie. Sarebbe l’epilogo di una deriva sbagliata, iniziata con Carli e proseguita con Ciampi. Un volta, quando i governatori avevano finito il loro mandato, stavano a casa. Magari a scrivere libri, come Paolo Baffi.Di Maio ha scritto una lettera al “Corriere” in cui, da alleato di governo di Salvini, fa professione di europeismo. È solo campagna elettorale? Anche se lo fosse, sarebbe comunque nell’ordine delle cose. Il M5S sta svolgendo lo stesso compito assolto in Grecia da Tsipras e si va sempre più caratterizzando come movimento alla Boulanger. Non mi stupisce: la base è formata dal “popolo degli abissi”, ma la cuspide, il gruppo dirigente, è neoliberista, e come tale incorpora l’ordoliberismo, come Orbán e compagnia. Dicono di fare una battaglia per l’Europa sociale, poi appena possono si adeguano alle regole europee. E pian piano si dimenticano di essere stati eletti per rinegoziare i trattati, se mai ne sono stati consapevoli. Dunque il M5S non è l’alleato giusto per la Lega? Io ho sempre pensato che il rapporto fosse innaturale. La Lega potrebbe e dovrebbe diventare il partito della borghesia nazionale, fatta di piccole-medie imprese e di lavoratori. Per questo Salvini farebbe bene a non andare con Marine Le Pen.Salvini ha riunito a Milano esponenti di partiti “sovranisti” europei come Afd, Finns Party e Dansk Folkeparti. Molti sottolineano le contraddizioni tra la Lega e il rigore sui parametri che alcuni di questi alleati pretenderebbero dall’Italia dopo il voto? Non uso la parola “sovranismo” perché non vuol dire nulla. Dico però che la Lega è stata l’unico partito a non votare il Fiscal Compact nel 2012. In Europa ci sono contrari al Patto di stabilità a sinistra, al centro e a destra. La Lega deve essere coerente con quello che ha fatto e privilegiare le alleanze con chi è d’accordo su questo punto. Purtroppo non sappiamo cos’avrebbero fatto i 5 Stelle. Cosa dovrebbe fare Salvini? Guardare al Ppe. Se si cambieranno le regole europee, si farà perché lo vuole la Germania. Occorre parlare con i tedeschi. Manfred Weber è bavarese, non prussiano. Mi sembra una persona ragionevole. Ha detto che alleanze con Salvini non ne vuol fare? Non importa. In Parlamento si va per fare politica, non per seguire la “tradizione” di chi rema all’indietro.E il Pse? Il Partito socialista è perduto, è fuori dalla storia. Il socialismo francese è morto, anche se io sono convinto che in qualche modo risorgerà. In giro, però, ci sono uomini più vicini alla Lega di quanto non si creda: Chevènement, Mélenchon… Leghisti in pectore? Difendere la nazione oggi ha senso non per rinchiudersi in un mandato nazionalistico, che non a caso è l’accezione deformante confezionata su misura dagli avversari del “sovranismo”, ma per tornare ad impossessarsi della politica economica. Questo bisogna fare, non affidarsi ad alleati che non si sa dove portano. Un suggerimento a Giovanni Tria? Si ricordi che suoi colleghi come Baldassarri e Paganetto hanno avuto molti dubbi sul Fiscal Compact. Manifesti anche i suoi, di dubbi. Continui a mediare tra le istanze politiche e le esigenze che abbiamo di non spaventare i mercati. E faccia di tutto per impedire una stoltezza come la Commissione parlamentare di inchiesta sulle banche. Il paese uscirebbe dal consesso civile.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Europee 2019: non basta un Def, l’Italia si salva se cambia i trattati Ue”, pubblicata su “Il Sussidiario” il 9 aprile 2019).La Flat Tax voluta dalla Lega è una misura sensata perché espansiva, ma da sola non basta. Andrebbe fatta insieme alle sburocratizzazione, e su questo punto l’avvocato e premier Conte dovrebbe essere d’accordo. Dopo quello destinato alle partite Iva, adesso Salvini chiede l’introduzione di un secondo modulo: tassa del 15% per i redditi di lavoratori dipendenti e famiglie fino a 50.000 euro. La Flat Tax per le partite Iva è stata un passo avanti importante. Anche questa seconda detassazione mi pare equa, progressiva. Per capirci: i ricchi continuano a pagare le tasse. È quello che preme a Di Maio? Ho letto. In ogni caso, il vecchio vocabolario politico l’avrebbe definita una misura socialdemocratica. È molto significativo dei tempi che corrono. Questo depone a favore della Lega. Con l’economia ferma, può aiutare i consumi e quindi la produzione e il lavoro? Quando c’è una crisi si devono fare misure espansive. Non come fece Hoover, che subito dopo il ’29 aumentò le tasse, ma come fece Roosevelt, che le diminuì e aumentò invece la spesa pubblica. Perché la Flat Tax funzioni, però, ci vuole tempo. Tempo per introdurre altre misure di politica economica che funzionino.
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L’antisionismo non è antisemitismo, follia proibirlo per legge
I vecchi tabù di carattere sessuale e morale, nelle società occidentali, sono caduti e ne sono sorti di nuovi, il più inviolabile dei quali riguarda la questione israelo-palestinese. Il solo chiedere di parlarne, viene visto dai grandi media come una provocazione e quelli che conducono programmi di informazione politica, alla proposta di affrontarlo, reagiscono con un misto di timore e di costernazione di fronte a una richiesta tanto osé, similmente a come avrebbero reagito, al tempo della televisione di Bernabei, all’idea di un programma sui piaceri della pornografia. La parola d’ordine è “evitate l’argomento”. Non si tratta di censura, piuttosto di elusione. Quando poi in rarissime occasioni, per distrazione, se ne parla, si evita accuratamente di far sentire le opinioni e le argomentazioni di coloro che criticano aspramente la politica del governo israeliano e la definiscono colonialismo, oppressione di un intero popolo, segregazionismo e razzismo. Gli oppositori di tale politica, se si esprimono con schiettezza, vengono immediatamente apostrofati e classificati con l’insultante epiteto di antisemita (!). I sedicenti amici di Israele hanno accolto l’equazione “critico del governo di Israele uguale antisionista, uguale antisemita”. Altrettali sono definiti quelli che chiedono piena dignità e diritti per il popolo palestinese.I meno accaniti di questa eletta schiera di sostenitori del sionismo e amici di Israele accusano i sostenitori delle legittime rivendicazioni palestinesi di diffondere l’antisemitismo perché le critiche allo Stato ebraico portano la pandemia antisemita. Falso! Il climax del veleno antisemita si manifestò quando Israele non esisteva e gli ebrei vivevano in diaspora. In Israele, peraltro, alcuni giornalisti coraggiosi e di altissimo profilo si esprimono senza alcun timore, apertis verbis et ore rotundo. Gideon Levy su “Haaretz” (quotidiano israeliano pubblicato in Israele, da un editore israeliano, letto da lettori israeliani) in un suo articolo dal titolo palmare, “In U.S. Media, Israelis Untouchable”, scrive: «You can attack the Palestinians in America uninterrupted, call to expel them and deny their existence. Just don’t dare say a bad word about Israel, the holy of holies». E a proposito della proliferazione dei sentimenti antisemiti nota: «Jews are not as hated as Israel would like: only 10 percent said they had any negative feelings about them». La mia opinione, come quella di autorevoli esponenti della società israeliana, è che le classi dirigenti e il governo Netanyahu utilizzino strumentalmente l’accusa di antisemitismo al solo scopo di ricattare i paesi dell’Occidente per legittimare l’occupazione e la colonizzazione delle terre palestinesi e per annettere terre che la legalità internazionale assegna al popolo palestinese.Così, a proposito dell’equiparazione di antisionismo e antisemitismo, scrive lo storico israeliano Shlomo Sand: «Il tentativo del presidente francese Emmanuel Macron e del suo partito di criminalizzare oggi l’antisionismo come una forma di antisemitismo mostra di essere una manovra cinica e manipolatoria. Se l’antisionismo diventa un crimine, mi sento di raccomandare a Macron di far condannare, con effetto retroattivo, il bundista Marek Edelman, che fu uno dei leader del ghetto di Varsavia e totalmente antisionista. Si potrebbe anche inviare a processo i comunisti antisionisti che, piuttosto che emigrare in Palestina, scelsero di combattere, armi in pugno, contro il nazismo. Se intende essere coerente nella condanna retroattiva di tutti i critici del sionismo, Macron dovrà aggiungere la mia insegnante Madeleine Rebérioux, che ha presieduto la Lega dei diritti umani, l’altro mio insegnante e amico Pierre Vidal-Naquet e, naturalmente, anche Eric Hobsbawm, Edward Said e molte altre eminenti figure, ora scomparse, ma i cui scritti sono ancora autorevoli».«Se Macron desidera attenersi a una legge che reprime gli antisionisti ancora viventi, la cosiddetta futura legge dovrà applicarsi anche agli ebrei ortodossi di Parigi e New York che rifiutano il sionismo, a Naomi Klein, Judith Butler, Noam Chomsky e molti altri umanisti universalisti, in Francia e in Europa, che si autoidentificano come ebrei pur dichiarandosi antisionisti. Si troveranno, naturalmente, molti idioti antisionisti e giudeofobi, come non mancano pro-sionisti imbecilli, pure giudeofobi, ad augurare che gli ebrei lascino la Francia ed emigrino in Israele. Li includerà in questa grande impennata giudiziaria? Stia attento, signor presidente, a non lasciarsi trascinare in questo ciclo infernale, proprio quando la popolarità è in declino!». Personalmente ritengo che debbano cessare retoriche, propagande, calunnie insensate e strumentalizzazioni, che non sia più tollerabile tacere sulla crudele oppressione del popolo palestinese. E’ ora che i paesi occidentali affrontino la questione con coraggio e onestà intellettuale.(Moni Ovadia, “L’antisionismo non è antisemitismo”, dal “Fatto Quotidiano” del 29 marzo 2019; articolo ripreso da “Come Don Chisciotte”).I vecchi tabù di carattere sessuale e morale, nelle società occidentali, sono caduti e ne sono sorti di nuovi, il più inviolabile dei quali riguarda la questione israelo-palestinese. Il solo chiedere di parlarne, viene visto dai grandi media come una provocazione e quelli che conducono programmi di informazione politica, alla proposta di affrontarlo, reagiscono con un misto di timore e di costernazione di fronte a una richiesta tanto osé, similmente a come avrebbero reagito, al tempo della televisione di Bernabei, all’idea di un programma sui piaceri della pornografia. La parola d’ordine è “evitate l’argomento”. Non si tratta di censura, piuttosto di elusione. Quando poi in rarissime occasioni, per distrazione, se ne parla, si evita accuratamente di far sentire le opinioni e le argomentazioni di coloro che criticano aspramente la politica del governo israeliano e la definiscono colonialismo, oppressione di un intero popolo, segregazionismo e razzismo. Gli oppositori di tale politica, se si esprimono con schiettezza, vengono immediatamente apostrofati e classificati con l’insultante epiteto di antisemita (!). I sedicenti amici di Israele hanno accolto l’equazione “critico del governo di Israele uguale antisionista, uguale antisemita”. Altrettali sono definiti quelli che chiedono piena dignità e diritti per il popolo palestinese.