Archivio del Tag ‘delegittimazione’
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Scordatevelo, la storia non finisce con Donald Trump
Alla fine doveva succedere. L’America era spaccata in due non da mercoledì, e nemmeno dalle presidenziali; già all’indomani dell’elezione di Donald Trump partì una campagna di odio che delegittimava il presidente, democraticamente e liberamente eletto e spaccava in due razze l’America, i trumpiani e i dem. Vari furono i tentativi di impeachment per rovesciare Trump e le campagne mondiali per colpirlo e ridicolizzarlo. Fu considerato subito un guerrafondaio in lotta contro il mondo e un dittatore che avrebbe riportato indietro gli States. E invece Trump, pur con i suoi atteggiamenti da guascone, non ha fatto nessuna guerra e ha fatto crescere gli Usa sul piano economico e del lavoro come non succedeva da anni. Il consenso a Trump cresceva e la sua conferma alla Casa Bianca era nell’aria un anno fa. Poi arrivò il Covid e da un verso la campagna mondiale contro di lui, dall’altro le spavalderie di Trump lo portarono a perdere consensi e generare insicurezza.
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Trump “usato e gettato” per rottamare speranze: le nostre
Negli anni prima di Trump, la successone di presidenti orribili (i Bush, Clinton, Obama) aveva stancato il popolo americano. Non ne poteva più del loro interventismo globalista, che sacrificava gli stessi interessi degli Stati Uniti, favorendo la Fed e il militarismo. E allora che cosa si fa, in questi casi? Si prende un personaggio “nuovo”, che possa sembrare antipolitico (come il nostro Berlusconi). Ad agire è sempre lo stesso Deep State, che dice: devo poter tornare ad avere i miei “mercenari”, quei soggetti che hanno governato finora. Sono famiglie, gruppi, massonerie, personaggi dipendenti da certi ordini religiosi: preparati per lunghi anni, bravissimi a fare le politiche mondialiste di schiavizzazione, di alterazione della cultura, di elettromagnetizzazione del mondo. Solo che la gente, a un certo punto, non si fida più. E allora il potere dice: facciamo finta che ne venga fuori uno “nuovo”. Deve avere però una caratteristica: dev’essere ridicolizzabile, strano, pieno di vizi. Dev’essere criticabile: perché, dal giorno in cui andrà al potere, dovrà essere criticato. Si dovrà poter dire: è vero che ha sposato tanti temi buoni, o quantomeno popolari e contrari a tutte le malafette del potere, ma noi intanto cominciamo a “sporcarlo”. Vuoi vedere che, “sporcando” lui, prima o poi riusciamo a sporcare anche quei temi che la gente ha sposato?Vuoi vedere che, così facendo – ragiona il potere – un po’ alla volta la gente tornerà ai nostri temi? Ma intanto, dicono, mandiamolo avanti: perché la gente sta uscendo dall’ovile, e nell’ovile la dobbiamo riportare. Allora cosa serve? Un incantatore: ed ecco Trump. Così come Grillo ha avuto il ruolo di incantatore, da noi. I temi dei 5 Stelle, peraltro, erano migliori di quelli di Trump: meravigliosi, libertari. Trasparenza, scoperchiamo i palazzi, no ai vaccini, niente Tav né Tap. Come è andata a finire, lo si è visto. Ma la manovra è riuscita: mandi avanti il comico, rompi i problemi, crei un seguito di persone e poi tradisci la causa. Nel 2016, in America l’operazione parte nello stesso modo. Trump fa mosse populiste: sugli immigrati, sulla speculazione creata attorno al problema climatico. Si rende conto della minaccia cinese e della vera minaccia atomica iraniana, e le combatte. Ma tutto viene sempre ridicolizzato, dai grandi media: quello è uno col ciuffo biondo, è strano, si appoggia alla destra estremista. Come fa, a essere credibile? E poi: chissà come ha fatto i soldi, probabilmente è stato aiutato da Putin, eccetera. Tutti elementi potenzialmente veri: lui infatti è stato scelto proprio perché ricattabile. Così come, a suo tempo, Berlusconi.Al che, fin dal primo giorno, si passa a erodere incessantemente il suo consenso. Probabilmente il consenso c’è ancora, e le elezioni sono state truccate: poco o tanto, le elezioni sono sempre truccate. Ma c’è un problema: Trump resiste. Lo fa perché ha capito, o perché non ha ancora capito? Io temo che non abbia capito, perché non è un’aquila. Ma resiste: fa cose che piacciono alla gente, ma non al potere. Se la prende con la Fed, controllata in fondo dai Rothschild e dai loro alleati della finanza internazionale. Se la prende con la Cina, che – per i poteri oscuri – è destinata ad essere il nuovo strumento imperialista mondiale. Se la prende con gli eccessi della propaganda mondialista (Greta Thunberg) sul ruolo umano nel riscaldamento climatico. Trump non vuole l’immigrazione incontrollata, e la gente lo approva: ma anche qui il presidente esagera – nelle forme, nello stile – e così viene attaccato. Però rimane fedele a queste idee: vuole rimettere in piedi l’America, a partire dall’industria nazionale.Ma un po’ alla volta gli scandali, il ridicolo, determinano un’erosione che lo indebolisce, producendo un risultato sul quale poi, alle elezioni, non è difficile intervenire. Conteggi strani, schede fantasma: nulla è impossibile, per il Deep State. Tutto poi viene “sistemato” dalla magistratura, che è uno dei principali strumenti di controllo di cui il Deep State dispone. Le magistrature occidentali, in genere, fanno giustizia solo se la giustizia colpisce l’avversario della corrente dominante. E siamo ai giorni nostri: Trump, pensano, bisogna portarlo in una trappola. Una trappola che lo “sporchi” totalmente: così, “sporcando” lui, “sporchermo” anche tutti i temi (persino quelli “buoni”) che sono contro i mondialisti, i democratici, i gesuito-massonici. Come dire: non ce l’abbiamo con Trump, ce l’abbiamo con quei temi dei quali l’opinione pubblica si stava innamorando. Quelli, vogliamo abbattere, se vogliamo riportare la gente ad apprezzare le politiche degli avversari di Trump (perché sono più tranquilli, più buoni, in apparenza più puliti): non faranno neppure caso, al ritorno delle vecchie politiche. Non piaceranno, ma penseranno: Trump era peggio.Per fare questo, occorre montare un’ultima pantomima, forte ed efficace. E allora si sfrutta la campagna elettorale: Trump si rivolge sempre più alle frange estremiste (Q-Anon, Proud Boys), cioè la destra eversiva e ridicola, capace di spaventare un po’ anche l’opinione pubblica repubblicana. Si evidenzia un aspetto estremista, quasi nazista, e le facce dure di quel poveraccio di Trump aiutano, a dipingerlo come un Hitler col ciuffo biondo: un pericolo, per la democrazia. Ma quale pericolo, se quand’era alla Casa Bianca il Deep State gli impediva di fare quasi tutto, costringendolo a cambiare continuamente consiglieri e ministri? Nessuno, in fondo, faceva quello che diceva lui: erano tutti più fedeli al Deep State tradizionale, che non al presidente. Quindi: gli si lascia gonfiare le manifestazioni affollate da questi quattro gatti ridicoli, presentati come pericolossimi, e poi – dopo che tutti i giudici hanno fatto fallire i tentativi di Trump di ribaltare legalmente il risultato delle elezioni – arriva il giorno clou, quello della certificazione parlamentare, dopo la quale non si potrà fare più nulla. Trump che fa? Annuncia una grande manifestazione: invita i suoi a scendere in piazza e a marciare verso il Campidoglio, per protestare. E qui scatta il piano.I manifestanti vengono fatti avanzare in modo indisturbato, e qualcuno li guida. Succede sempre: in Italia, succedeva quando c’era la strategia della tensione. I servizi segreti (italiani, inglesi, israeliani, americani) infiltravano tutti i movimenti eversivi, per poterli usare: io faccio il morto, metto le bombe, rapisco, così la gente si spaventa e mi diventa più facile governarla, mandare i governi in certe direzioni, prendere delle misure, rendere le persone meno libere. I servizi segreti non fanno altro: durante il caso Moro, il capo delle Brigate Rosse era un ex fascista infiltrato dei servizi, e nella direzione strategica delle Br uno dipendeva dal Mossad, uno dalla Cia, uno dai servizi inglesi, e così via. Non ce lo dicono mai, ma funziona così: e per un servizio segreto, infiltrare movimenti fatti da ragazzi sprovveduti e fanatizzati è facilissimo. Ed è facilissimo scalare i gradini del gruppo, fino a comandare: è molto semplice. Perché non dovrebbero farlo? E infatti lo fanno sempre. Quindi lo capite, ora, chi c’era alla testa di quei gruppi di invasati che il 6 gennaio si stavano avviando verso Capitol Hill? Persone che dipendevano da quegli stessi soggetti che avevano deciso di montare la pantomima.Funziona: la polizia lascia fare, la Guardia Nazionale non arriva, e così si sfondano le finestre. Un assalto ridicolo, che ha smesso di essere ridicolo quando qualcuno ha creato i morti, rendendolo drammatico (altrimenti sarebbe rimasto una pagliacciata). La fine della democrazia? L’attacco alle istituzioni? Ma no: sono entrati quattro gatti, hanno detto qualche stupidaggine e poi se ne sono usciti in buon ordine, dopo qualche scontro. La gravità del fenomeno è venuta da chi ha sparato ad altezza uomo, mirando. Immagino Trump, che pensava a un ultimo atto dimostrativo, veemente ma pacifico, per restare almeno leader dell’opposizione. Immagino la faccia di Trump, quando ha visto che la polizia ha lasciato avanzare i manifestanti, consentendo loro addirittura di entrare nel Parlamento. Se è una persona veramente intelligente l’avrà capito: ecco, mi stranno fregando. Da quel momento in poi, i suoi consiglieri non riescono più a raggiungerlo. Lui a quel punto non si fida più di nessuno, e non sa che pesci pigliare. Quindi, passa del tempo. Per questo, riappare in televisione solo dopo che Biden l’ha spinto a intervenire. Alla fine, Trump si decide a chiamare la Guardia Nazionale. Ma è chiaramente la risposta di uno che ha perso.Un minuto dopo, si scatenano tutti: capi di Stato, giornalisti, professoroni. La più grave offesa mai fatta, alla democrazia americana. Certo: era esattamente previsto che si dovesse montare una cosa che dovesse sembrare “la più grave offesa alla democrazia americana”. Per renderla credibile andava resa più drammatica: per questo poi fanno, scientemente, quei poveri morti. E naturalmente, è tutta colpa di Trump: anche le destre, a livello mondiale, ormai ne prendono le distanze. E’ troppo grossa: un assalto al Parlamento, organizzato da Trump? No: Trump aveva promosso una marcia di protesta che arrivasse fin davanti al Parlamento, non dentro. Il troppo facile ingresso non pensiamo che l’abbia organizzato lui. Tutti a gridare al colpo di Stato: un golpe fatto in quel modo? Siamo seri. Non si può fare un colpo di Stato con quei quattro disgraziati, guidati dallo “sciamano con le corna”. Per fare un golpe serve più della metà dei servizi segreti, serve la maggior parte delle forze armate, gli stati maggiori. Servono pezzi di Fbi, di Cia, di Nsa. Dalla tua parte devono esserci la finanza e i veri poteri. Eppure, questa balla – il tentato golpe – viene riferita da tutti i media, quelli che ci ammorbano ogni giorno con la loro versione del virus.Non è Trump che ha cercato di fare un colpo di Stato, sono i poteri oscuri ad aver messo a segno un colpo: non solo ai danni di Trump, ma di una vasta fetta dell’opinione pubblica, che ormai sta rientrando nell’ovile. E il colpo, principalmente, è stato dato a tutti quei temi (quegli ideali, quegli interessi) che andavano contro il mondalismo, contro i “papati scientifici”, contro l’Oms, contro un’Onu depravata, contro un’Ue guidata da un gruppo osceno, contro una Cina neo-imperialista. Tutto depotenziato: già durante la presidenza Trump, e ora con questa pantomima finale. Ora si torna all’antico, alla tradizione che gli americani cominciavano a odiare: quella dei Bush, dei Clinton, degli Obama. Tutti finti buoni, come i finti buoni europei. Come Joe Biden, “il nonno d’America”. Guardate quei filmati, in cui riceve le famiglie: voi affidereste un bambino a Biden? Glielo fareste avvicinare? Il “nonno d’America” è suadente, ma solo nelle forme: quando aveva a fare con l’Iraq era un assatanato guerrafondaio, uno dei più feroci. Adesso fa la faccia del buono: così hanno sempre fatto, questi democratici americani. Apparenza vellutata, per mascherate azioni orribili.Non è che l’altra piramide di potere sia migliore, quella repubblicana e conservatrice: è solo meno brava, a fare il male. E’ più confusionaria: e quindi, in questa fase, meno pericolosa. E’ il classico gioco delle piramidi oscure, del divide et impera, del potere. Un gioco che, con le sue pantomime e le sue sceneggiate puntualmente riprese dai media, tende a ipnotizzarci. E’ un gioco che ci vuole distrarre, quando in realtà ci vogliono togliere la libertà, quando ci vogliono iper-vaccinare e iper-tassare, così come quando vogliono cambiare i programmi scolastici, devastare l’ambiente, elettromagnetizzare il mondo. Ci distrae, il gioco delle piramidi di potere, quando vogliono renderci degli automi sensoriali. Questo vogliono fare, ma noi resistiamo: per questo sono costretti a inventarsene sempre di nuove. L’umanità, infatti, è in risveglio: un po’ alla volta, cresce l’impulso a volere il bene dell’ambiente, delle persone intorno a noi. Non vogliamo limitazioni alla libertà, vogliamo ideali buoni: una pedagogia sana, una medicina buona che non danneggi la salute.Loro cercano di distrarci, per sottometterci alle loro politiche anti-umane. Noi che facciamo? Non certo i colpi i Stato in America o a Palazzo Chigi, e nemmeno in Vaticano, o in Germania. Però una cosa la possiamo fare, quella che a loro dà più fastidio: continuare a essere liberi interiormente. Criticarli, guardarli. Denunciare in tutti modi, senza malanimo, quello che fanno: denunciarlo come cosa, semplicemente, da non fare. Indignarsi, restando però sereni, per poter fare la cosa che a questi poteri dà più fastidio: fare il bene, intorno a noi. Per non cadere nelle loro trappole, coltivare ideali, amare il prossimo. Il nostro compito è orizzontale, intorno a noi: aumentiamo la nostra capacità di fare il bene, e vinceremo questa battaglia contro i poteri, il cui unico intento è ipnotizzarci, per poterci catturare. Restiamo liberi di fare il bene: l’importante è non dare alcuna credibilità, alle voci mediatiche del potere, sapendo che stanno cercando di fregarci. Riuniamoci in gruppi, per fare il bene. Da questi gruppi, un giorno, nascerà una nuova società. Una nuova politica, una nuova collettività: migliore, e più sana.(Fausto Carotenuto, estratto dal video-intervento “Colpo di Stato fallito o manovra del Deep State riuscita?”, pubblicata su “Coscienze in Rete” il 7 gennaio 2021. Carotenuto è stato, per lunghi anni, analista strategico dell’intelligence Nato).Negli anni prima di Trump, la successone di presidenti orribili (i Bush, Clinton, Obama) aveva stancato il popolo americano. Non ne poteva più del loro interventismo globalista, che sacrificava gli stessi interessi degli Stati Uniti, favorendo la Fed e il militarismo. E allora che cosa si fa, in questi casi? Si prende un personaggio “nuovo”, che possa sembrare antipolitico (come il nostro Berlusconi). Ad agire è sempre lo stesso Deep State, che dice: devo poter tornare ad avere i miei “mercenari”, quei soggetti che hanno governato finora. Sono famiglie, gruppi, massonerie, personaggi dipendenti da certi ordini religiosi: preparati per lunghi anni, bravissimi a fare le politiche mondialiste di schiavizzazione, di alterazione della cultura, di elettromagnetizzazione del mondo. Solo che la gente, a un certo punto, non si fida più. E allora il potere dice: facciamo finta che ne venga fuori uno “nuovo”. Deve avere però una caratteristica: dev’essere ridicolizzabile, strano, pieno di vizi. Dev’essere criticabile: perché, dal giorno in cui andrà al potere, dovrà essere criticato. Si dovrà poter dire: è vero che ha sposato tanti temi buoni, o quantomeno popolari e contrari a tutte le malafette del potere, ma noi intanto cominciamo a “sporcarlo”. Vuoi vedere che, “sporcando” lui, prima o poi riusciamo a sporcare anche quei temi che la gente ha sposato?
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Trump cede, ma rischia di essere sfrattato in anticipo
«Ci sarà una transizione ordinata», ha infine garantito Trump, il 7 gennaio, dopo che il Congresso degli Stati Uniti è tornato a riunirsi per ratificare i collegi elettorali e dichiarare Joe Biden presidente. Il leader repubblicano del Senato, Mitch McConnell (ostile a Trump) ha detto che il Congresso non si farà intimidire «da un manipolo di delinquenti e dalle minacce». «È un’infamia che resterà per sempre sulla coscienza nazionale», ha dichiarato il leader dei democratici, Chuck Schumer. Di diverso avviso Donald Trump: «E’ solo l’inizio della nostra lotta per fare l’America di nuovo grande», ha dichiarato, in una nota diffusa dalla Casa Bianca. «Ho sempre detto che continueremo la nostra lotta per assicurare che a contare siano solo i voti legali». Dell’assalto al Campidoglio, il pomeriggio di follia che ha sconvolto l’America, è Roberto Festa a fornire un’accurata ricostruzione pubblicata l’indomani dal “Fatto Quotidiano”, partendo dalla ripresa notturma dei lavori parlamentari.L’obiezione di alcuni repubblicani al risultato dell’Arizona, che era discussa al momento dell’assalto, è stata rigettata. Così anche quella relativa alla Georgia. Obiezione da parte di una settantina di repubblicani anche alla legittimità del voto in Pennsylvania. Il Senato l’ha liquidata con 92 voti contro 7 (tra questi, i senatori Josh Hawley e Ted Cruz, che hanno guidato l’attacco al voto). Almeno quattro senatori repubblicani – tra cui Kelly Loeffler, appena sconfitta nel ballottaggio in Georgia – hanno cambiato idea dopo l’assalto al Congresso e deciso di sostenere la regolarità del voto, annota il “Fatto”. «Un gruppo comunque nutrito di repubblicani non si è fatto turbare dalle violenze del pomeriggio e ha continuato nell’ostinata operazione di delegittimazione dei risultati. La battaglia procedurale è continuata nella notte». Secondo Festa, «gli assalitori pro-Trump hanno quindi ottenuto un obiettivo: ritardare, sia pure di qualche ora, la designazione di Biden alla Casa Bianca».Con il passare delle ore, intanto, si è delineata meglio la dinamica degli incidenti, le vittime, le responsabilità della sicurezza. Sono quattro i morti nell’attacco al Congresso: una donna è stata uccisa dalla polizia sulle scale del Campidoglio, mentre altre tre persone sono morte dopo essere state condotte d’urgenza in ospedale. Cinquantadue, in tutto, gli arrestati. La polizia di Washington dichiara di aver trovato ordigni pronti a esplodere all’ingresso degli uffici del partito democratico e di quello repubblicano, mentre in un’auto avrebbe scoperto fucili e molotov. Analizzata anche la possibilità che l’arrivo di migliaia di persone a Washington sia stato in qualche modo sottovalutato dalle autorità di polizia, dal Pentagono, dalle autorità cittadine, che avrebbero schierato forze insufficienti a gestire il caos annunciato.«È stato il vicepresidente Mike Pence, e non Trump, a insistere perché contro la folla degli assalitori venisse schierata la Guardia Nazionale del Distretto di Colombia (oltre alla forze di polizia locale). Pence, in collegamento pressoché continuo col Pentagono, avrebbe accelerato i tempi della decisione, sollecitato anche dalle richieste di aiuto che venivano dalle forze schierate a difesa del Congresso, sempre meno capaci di contenere la folla». La notizia è interessante, sottolinea Roberto Festa: nel momento più grave dell’assalto all’assemblea legislativa della nazione, «la carica di “commander in chief” sarebbe stata esercitata dal vicepresidente e non dal presidente degli Stati Uniti». Secondo Festa, «l’esclusione totale di Trump dalle decisioni più difficili è stata confermata dai vertici stessi del Pentagono». Il segretario alla difesa, Christopher Miller, ha affermato che lui e il capo dell’esercito, Mark Milley, sono stati in contatto con Pence, con la speaker della Camera Nancy Pelosi e con il leader del Senato, Mitch McConnell, per decidere «come difendere il Congresso».Nemmeno un accenno a Trump: l’indiscrezione, secondo il “Fatto”, conferma l’immagine di un presidente ormai sempre più isolato, tenuto fuori dagli affari di governo, nonché «prigioniero di idee e deliri cospiratori sulla sua sconfitta elettorale». Le parole più usate in queste ore, da politici e commentatori, sono “insurrezione”, “sedizione”, “colpo di Stato”. «Le immagini dell’attacco al Congresso hanno sconvolto l’America come nient’altro nella storia più recente». Anche secondo Roberto Festa, «l’attacco alla democrazia di Trump è diventato letterale». E se lo “sdegno” dei democratici era atteso, «anche buona parte dei repubblicani appare compatta nella condanna». L’onda lunga dello shock, poi, è entrata anche alla Casa Bianca e nell’amministrazione: «Si sono dimessi Stephanie Grisham, chief of staff di Melania Trump ed ex press secretary della Casa Bianca, e il responsabile dei social di Trump, Rickie Niceta».Fonti interne all’amministrazione dicono che sarebbe sul punto di dimettersi Robert O’Brien, il consigliere alla sicurezza nazionale, come avrebbe già fatto – secondo la “Cnn” – il suo vice Matthew Pottinger. «In partenza sarebbe anche la segretaria ai trasporti, Elaine Chao». Nel frattempo, Trump è stato oscurato da Facebook, Instagram e Twitter. E intanto, aggiunge Festa, la parola “impeachment” torna a essere associata a Trump. In teoria resta in carica fino al 20 gennaio, ma alcuni chiedono apertamente la sua messa sotto accusa. Per la deputata democratica Ilhan Omar, «non possiamo consentirgli di restare in carica, è una questione di tutela della nostra Repubblica». La richiesta di impeachment arriva ovviamente anche dai grandi media, dal “Washington Post” a “The Atlantic”, Secondo la “Cbs”, poi, «diversi ministri» avrebbero addirittura «discusso la possibilità di invocare il 25esimo Emendamento e rimuovere Trump dalla Casa Bianca». La mossa, per ora soltanto ventilata, sarebbe stata presentata al vice Mike Pence. Una scelta che forse è destinata a sfumare, viste le garanzie di Trump sulla «transizione ordinata» che ora sarebbe disposto a concedere.«Ci sarà una transizione ordinata», ha infine garantito Trump, il 7 gennaio, dopo che il Congresso degli Stati Uniti è tornato a riunirsi per ratificare i collegi elettorali e dichiarare Joe Biden presidente. Il leader repubblicano del Senato, Mitch McConnell (ostile a Trump) ha detto che il Congresso non si farà intimidire «da un manipolo di delinquenti e dalle minacce». «È un’infamia che resterà per sempre sulla coscienza nazionale», ha dichiarato il leader dei democratici, Chuck Schumer. Di diverso avviso Donald Trump: «E’ solo l’inizio della nostra lotta per fare l’America di nuovo grande», ha dichiarato, in una nota diffusa dalla Casa Bianca. «Ho sempre detto che continueremo la nostra lotta per assicurare che a contare siano solo i voti legali». Dell’assalto al Campidoglio, il pomeriggio di follia che ha sconvolto l’America, è Roberto Festa a fornire un’accurata ricostruzione pubblicata l’indomani dal “Fatto Quotidiano“, partendo dalla ripresa notturma dei lavori parlamentari.
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Meno democrazia: fa comodo ai 5 Stelle e ai boss di partito
Una riforma che per punire la politica punisce il Parlamento equivale a prendere a calci l’automobile perché il pilota è scarso. Il taglio peggiorerà il sistema politico italiano e suoi eventuali sviluppi ulteriori potrebbero essere ancora più gravi, se saranno quelli che vuole il Movimento 5 Stelle. L’unica riforma seria da fare sarebbe quella di sottrarre, alla maggioranza del momento, il potere di scriversi la legge elettorale che gli fa più comodo, imponendo il quorum dei due terzi. Dico No al taglio dei parlamentari, perché a favore del taglio stanno solo motivazioni di tattica politica dei singoli partiti, 5 Stelle compresi, i quali sono riusciti a portare sulle loro posizioni prima la Lega, in cambio dell’autonomia differenziata, e poi il Pd, in cambio del patto di governo del settembre 2019 e della promessa di una nuova legge elettorale. Nel merito, non c’è nessuna evidenza scientifica che il semplice taglio dei parlamentari migliori rappresentatività ed efficienza delle Camere. I risparmi? I 500 milioni a legislatura sono poi 100 milioni scarsi all’anno. E siccome quei 100 milioni sono lordi, si scopre che alla fine i risparmi sono, all’incirca, di 60 milioni all’anno. Che, in un paese di 60 milioni di abitanti, non mi pare proprio un grande argomento. Però lo si ripropone ancora: segno che non c’è molto di più.Chi vincerà? È chiaro che dopo trent’anni di delegittimazione della politica, la tentazione può essere quella di votare un Sì punitivo. È che, se delegittimi le forme tradizionali della politica, poi che cosa ti resta? Qualcuno che fa politica c’è sempre, solo che la fa in sedi diverse da quelle pubbliche. Il ruolo del M5S? Arrivare a questo referendum è stato un loro capolavoro. Da un sì guadagneranno ossigeno, visto che le previsioni sulle regionali non appaiono per loro troppo rosee. Non mi aspetto una grande affluenza ai seggi, in tempi di Covid, e non vedo nemmeno un grande interesse. È una riforma che rischia di passare in sordina e che, alla fine, porterà solo ad una riduzione dei gruppi parlamentari. Sarà più facile per i partiti – o meglio, per le segreterie di partito – controllare i rispettivi gruppi. E’ così da quando i partiti sono diventati partiti personali, che selezionano i loro rappresentanti sulla base di un criterio di fedeltà al capo. Ha ragione Giulio Sapelli, a dire che ormai la cifra del sistema politico italiano è diventato il “caciquismo” sudamericano. Oggi non abbiamo più partiti strutturati che formano e selezionano un personale politico.Tangentopoli ci ha lasciato compagnie di ventura guidate da cacicchi locali, che si affrontano senza strategie a lungo termine. E che devono mandare in Parlamento masse di manovra di fedeli. Gruppi più piccoli e compatti sono più facili da manovrare. Viene da qui l’ambiguità delle posizioni dei partiti sul referendum: in fin dei conti, gli fa comodo e gli semplifica la vita. Che poi questo, a lungo termine, significhi un grosso passo avanti verso lo smantellamento del sistema parlamentare, interessa poco: quel che importa sono gli effetti politici a breve. Si dice: la riduzione non ha senso, perché non è inserita in una riforma più ampia, ad esempio quella di un superamento del bicameralismo? È piuttosto vero. In sé il taglio non ha un gran senso. Ma ha senso se collocato all’interno di un triangolo fatto di taglio dei parlamentari, potenziamento della legislazione popolare ed eliminazione o revisione del libero mandato del parlamentare. Nel progetto originario del M5S stavano – e stanno ancora – proprio queste cose. Portare ogni anno i cittadini a votare in referendum su leggi popolari, tagliare i parlamentari e vincolare in Costituzione i parlamentari alle direttive di partito, una sua logica ce l’ha. È la logica della sostituzione della democrazia parlamentare con la democrazia diretta.In realtà questa è la versione pubblicamente spendibile del progetto, la cui diffusione è affidata ai vari Fraccaro e Di Maio. Alla base di questo discorso sta in realtà un pensiero diverso, a metà tra la futurologia e la cibernetica, per cui i Parlamenti sarebbero destinati alla soffitta, sostituiti dal plebiscito continuo di cittadini connessi dai palmari sui social. Basta vedersi certi filmati in rete su “Gaia” e su “Prometeus” (senza h), della Casaleggio e Associati, per rendersi conto che dietro a certe idee sta un nucleo che non può essere proposto direttamente senza essere confinati nell’ambito dell’irrilevanza visionaria. Ma quello è alla base di tutto. La Piattaforma Rousseau, ad esempio, viene da lì. Quanto al Pd, ufficializzerà la sua posizione sul referendum in una direzione nazionale il 7 settembre (aveva detto di essere per il Sì). Il Pd su questa riforma è in grave difficoltà, visto che la sua base è in larga misura parlamentarista, e ha avversato questa riforma nei mesi precedenti. Solo che da una parte sta l’accordo di governo, insieme alla promessa di una nuova legge elettorale, e dall’altra un bel pezzo del suo elettorato.Tant’è vero che il Pd, dopo esser stato per trent’anni maggioritario, ora vuole una legge elettorale proporzionale. E in contemporanea rispolvera certi vecchi discorsi, in cui il taglio dei parlamentari doveva accompagnarsi al maggioritario in una logica da democrazia d’investitura di tipo francese. È la seconda volta che il Parlamento vota per autolimitarsi: la riforma dell’immunità parlamentare nel 1993 e adesso il taglio dei parlamentari. Questa riforma è figlia di Tangentopoli e ne rappresenta in qualche modo il completamento. È da allora che si è risuscitata la tradizione dell’antiparlamentarismo italiano, sulla base dell’equazione tra classe politica e Parlamento. E i frutti di quella resurrezione sono ora sotto gli occhi di tutti. Il messaggio è che per punire la politica bisogna colpire il Parlamento: a questo siamo arrivati. In realtà questa è una riforma che, in mancanza di sviluppi ulteriori, ratificherà soltanto il “caciquismo” del sistema politico italiano e la riscrittura continua della legislazione elettorale, in perfetto stile sudamericano. Altro non produrrà.(Alessandro Mangia, dichiarazioni rilasciate a Federico Ferraù nell’intervista “Il taglio dei parlamentari è solo la prima di tre riforme pericolose”, pubblicata dal “Sussidiario” il 1° settembre 2020. Il professor Mangia è ordinario di diritto costituzionale all’Università Cattolica di Milano).Una riforma che per punire la politica punisce il Parlamento equivale a prendere a calci l’automobile perché il pilota è scarso. Il taglio peggiorerà il sistema politico italiano e suoi eventuali sviluppi ulteriori potrebbero essere ancora più gravi, se saranno quelli che vuole il Movimento 5 Stelle. L’unica riforma seria da fare sarebbe quella di sottrarre, alla maggioranza del momento, il potere di scriversi la legge elettorale che gli fa più comodo, imponendo il quorum dei due terzi. Dico No al taglio dei parlamentari, perché a favore del taglio stanno solo motivazioni di tattica politica dei singoli partiti, 5 Stelle compresi, i quali sono riusciti a portare sulle loro posizioni prima la Lega, in cambio dell’autonomia differenziata, e poi il Pd, in cambio del patto di governo del settembre 2019 e della promessa di una nuova legge elettorale. Nel merito, non c’è nessuna evidenza scientifica che il semplice taglio dei parlamentari migliori rappresentatività ed efficienza delle Camere. I risparmi? I 500 milioni a legislatura sono poi 100 milioni scarsi all’anno. E siccome quei 100 milioni sono lordi, si scopre che alla fine i risparmi sono, all’incirca, di 60 milioni all’anno. Che, in un paese di 60 milioni di abitanti, non mi pare proprio un grande argomento. Però lo si ripropone ancora: segno che non c’è molto di più.
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Sapia, grillino ‘contro’: l’emergenza-Conte fa male all’Italia
Perché sono stato l’unico, nella maggioranza, a votare contro la proroga dello stato d’emergenza? Non siamo in una situazione di emergenza, perciò non si capisce perché si debba mantenere un accentramento di poteri, in capo al presidente del Consiglio, che allo stato non trova fondamento nella realtà. C’è sempre tempo per deliberare l’emergenza, se dovesse presentarsi per davvero. I contagi di questi giorni sono fisiologici dopo il lockdown. Tra l’altro il virus è molto più debole. Lo dicono anzitutto i clinici, con cui parlo spesso, che sono i medici che curano i malati. Qualcuno la butta per opportunismo sugli immigrati. Così l’analisi, povera e strumentale, si ferma lì, smentita peraltro dai numeri. Tanti abboccano, purtroppo. Cosa ci aspetta in autunno? Su larga scala non è chiaro il quadro di gravissima difficoltà economica del paese. A breve la crisi sarà terribile, se non ci sarà un piano per le imprese, specie per le piccole e le medie. Non vedo la volontà politica di prendere il toro per le corna. Prevalgono toni fuori luogo, troppo spesso pericolosamente propagandistici. Non si possono alterare ancora gli equilibri tra il potere esecutivo e quello legislativo. Dagli anni ‘90 il Parlamento conta di fatto molto poco, a dispetto delle sue funzioni. A causa della delegittimazione della politica, voluta e perseguita dai tempi di Tangentopoli, da allora si procede con la decretazione d’urgenza.Non c’è attività legislativa, confronto sui temi, sulle urgenze: semplificazione vera, politica fiscale, digitalizzazione della pubblica amministrazione, accesso universale ad Internet, disponibilità completa delle nuove tecnologie, riforma dell’istruzione e del diritto del lavoro, riorganizzazione della sanità, unificazione politica dell’Europa. Con il Covid, il ruolo delle due Camere è stato ridotto all’estremo. Mai come adesso, invece, c’è bisogno di un Parlamento attivo, propositivo, non litigioso ma capace di comprendere le trasformazioni in atto, di superare l’immobilismo in cui si trova l’Italia, ogni volta distratta dai movimenti viola, rosa o del pesce azzurro in scatola. E’ vero, ho detto: basta con gli yesman, con gli esperti alla Colao e con lo Stato di polizia. Questi estremismi li ravviso nella pesante deresponsabilizzazione della politica, durante la quarantena e dopo. Sono evidenti a tutti, tranne a chi ha scelto di seppellire la ragione e il senso critico, i limiti dell’eccessivo ricorso agli esperti, in virtù del quale abbiamo perso tempo, siamo rimasti indietro come paese e il Parlamento è stato esautorato. Lo dico con cognizione di causa, soprattutto per scuotere il Movimento 5 Stelle, cui appartengo. La democrazia e la rappresentanza richiedono la responsabilità, il diritto e il dovere di concorrere alle decisioni. Gli elettori non hanno scelto né Conte né Colao, per dirla in breve.Conte decide in solitaria la politica della maggioranza? Questa è una domanda che andrebbe rivolta in primo luogo a Rocco Casalino. Comunque, i fatti dicono di sì. Veda, per esempio, la soluzione nebulosa e incerta su Autostrade. Il presidente del Consiglio si sta appropriando della leadership del Movimento? Conte sta sfruttando il momento. Questo non è un reato, ma è legittimo. Se farà un suo partito, lo vedremo. Intanto noi del Movimento 5 Stelle abbiamo il dovere di uscire fuori dallo schema della delega in bianco, dell’uomo solo al comando. Abbiamo il dovere di riorganizzarci, il dovere di non rinviare più il confronto interno, il dovere di ragionare su dove eravamo nel 2018 e dove stiamo adesso. Lo stato d’emergenza non è necessario, perché l’emergenza non c’è. E’ un male per tutti, coprire l’attuale mancanza di politica con la proroga dell’emergenza. Sono stato l’unico parlamentare del Movimento che ha espresso e confermato il proprio dissenso. Per inciso, ho argomentato in largo questa mia posizione, che – esplicito – non è finalizzata a salti della quaglia o a prendere qualche poltrona. Se ora temo provvedimenti disciplinari? Io non temo mai niente e nessuno. Sono una persona libera; questa è la mia forza, se mi permettete.(Francesco Sapia, dichiarazioni rilasciate a Lucio Valentini nell’intervista “Dietro l’emergenza di Conte un disegno contro Pmi e famiglie”, pubblicata dal “Sussidiario” il 3 agosto 2020. Sapia è un deputato eletto in Calabria con i 5 Stelle nella primavera 2018).Perché sono stato l’unico, nella maggioranza, a votare contro la proroga dello stato d’emergenza? Non siamo in una situazione di emergenza, perciò non si capisce perché si debba mantenere un accentramento di poteri, in capo al presidente del Consiglio, che allo stato non trova fondamento nella realtà. C’è sempre tempo per deliberare l’emergenza, se dovesse presentarsi per davvero. I contagi di questi giorni sono fisiologici dopo il lockdown. Tra l’altro il virus è molto più debole. Lo dicono anzitutto i clinici, con cui parlo spesso, che sono i medici che curano i malati. Qualcuno la butta per opportunismo sugli immigrati. Così l’analisi, povera e strumentale, si ferma lì, smentita peraltro dai numeri. Tanti abboccano, purtroppo. Cosa ci aspetta in autunno? Su larga scala non è chiaro il quadro di gravissima difficoltà economica del paese. A breve la crisi sarà terribile, se non ci sarà un piano per le imprese, specie per le piccole e le medie. Non vedo la volontà politica di prendere il toro per le corna. Prevalgono toni fuori luogo, troppo spesso pericolosamente propagandistici. Non si possono alterare ancora gli equilibri tra il potere esecutivo e quello legislativo. Dagli anni ‘90 il Parlamento conta di fatto molto poco, a dispetto delle sue funzioni. A causa della delegittimazione della politica, voluta e perseguita dai tempi di Tangentopoli, da allora si procede con la decretazione d’urgenza.
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Il patriottismo dei mascalzoni sorregge il regime di Conte
Su, finitela con questa mascherata. Da quando, il 1° giugno, Sergio Mattarella ha invocato l’unità del paese allo scopo di delegittimare la manifestazione dell’opposizione del giorno dopo, la Cupola italiana – quell’intreccio di poteri che occupa istituzioni, governo, scena politica, media di Stato e giornaloni, poteri giudiziari e sanitari – ripete ogni giorno il mantra di restare uniti contro il virus, la destra e la piazza, che poi ai loro occhi coincidono. La chiamano unità ma intendono uniformità. La chiamano comunità ma intendono conformità. Ho speso una vita a difendere l’unità d’Italia e a cercare, al di là delle ragioni di parte, quell’essenza nazionale e comunitaria che ci porta, bene o male, a sentirci uniti in uno stesso destino di popolo. Erano idee forti, fino a qualche tempo fa, la comunità come destino, l’unità del popolo; e chi le usava – come me – veniva guardato con sospetto di fascioreazionario e nazionalpopulista: oggi vengono usate, anzi sbandierate, per salvare il governo Conte, il regime sanitario in vigore e gli assetti di potere vigenti. Quelle parole del gergo identitario le usa perfino il presidente Mattarella e i suoi organi di stampa e di riproduzione (della sua voce) le ripetono a pappagallo.
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Appello: ribelliamoci alla dittatura del Ministero della Verità
La tenaglia della censura sta per stringersi sulla Rete e sulle voci della libera informazione. I segnali ci sono già tutti. Questa voglia di censura si sta articolando su due fronti, precisi e distinti. Il primo ramo della tenaglia è la legittimazione del cosiddetto “giornalismo dei professionisti”, l’informazione mainstream, come unica fonte valida per ricevere informazioni affidabili. Il secondo ramo della tenaglia è la delegittimazione, uguale e contraria, delle voci della libera informazione. Noi siamo liberi, le grandi televisioni no: per vivere hanno bisogno degli sponsor pubblicitari. E se a uno sponsor un certo discorso non piace, quel discorso in Tv non viene fatto. Sulle televisioni nazionali non vedrete mai, ad esempio, una seria e approfondita discussione sulla sicurezza dei vaccini, perché le case farmaceutiche sono tra i maggiori sponsor delle televisioni, e alle case farmaceutiche non fa piacere che si metta in discussione la sicurezza dei vaccini. Ecco perché da Fazio vedrete sempre e solo Burioni che pontifica a senso unico, ma non vedrete mai nessuno che gli fa un serio contraddittorio. Né vedrete mai una seria discussione sulla potenziale pericolosità del 5G: perché tra gli altri grandi sponsor delle televisioni ci sono le multinazionali della telefonia, a cui non fa piacere che venga messa in discussione la sicurezza delle loro tecnologie.Attenzione: non sto dicendo necessariamente che i vaccini non siano sicuri, o che il 5G sia sicuramente dannoso per la salute; sto solo dicendo che discussioni vere, approfondite – con un vero contraddittorio, su questi argomenti importantissimi per la nostra salute – in televisione non le vedrete mai (perché le televisioni non sono libere, sono controllate dagli sponsor che gli pagano gli stipendi e i costi di produzione). Noi invece siamo liberi, possiamo fare tutte le interviste e i dibattiti che vogliamo: e questo naturalmente dà molto fastidio, a quelli che vorrebbero il controllo totale dell’informazione. E adesso che i nostri numeri stanno aumentando di parecchio, visto che ormai tutti insieme facciamo svariati milioni di visualizzazioni ogni mese, hanno deciso di partire al contrattacco. Questa è la premessa; vediamo adesso, più da vicino, i due rami di questa manovra a tenaglia che vorrebbe soffocarci tutti. Il primo ramo, come dicevo, è quello della auto-legittimazione: “Noi del mainstream siamo gli unici di cui potete fidarvi”. Chi lo dice? “Lo diciamo noi, del mainstream”. Autoreferenzialità, appunto. Mediaset: «Oggi più che mai, l’informazione influenza la nostra vita e la nostra sicurezza. Le notizie sono una cosa seria: fidati dei professionisti dell’informazione. Scegli gli editori reponsabili, gli editori veri. Scegli la serietà».“Scegli gli editori reponsabili, gli editori veri. Scegli la serietà”. Eccoli qui, gli editori responsabili: sono loro. La Rai, Mediaset e La7, più tutti i quotidiani più importanti. Peccato che, se vai poi a guardare più da vicino, i primi a raccontare “fake news” siano spesso proprio loro. Facciamo qualche esempio. Un classico, ormai passato alla storia, risale al 2014. Il ministro della salute Lorenzin va da Bruno Vespa e mette in atto una vera e propria azione di terrorismo mediatico, descrivendo una terribile epidemia di morbillo che sarebbe avvenuta a Londra l’anno precedente: «Sono morti 270 bambini». Poi qualcuno è andato a verificare sui siti del governo inglese, e ha scoperto che l’anno prima (il 2013) c’era stato un solo morto di morbillo – un adulto di 25 anni, fra l’altro, morto per una complicanza polmonare. La redazione di “Porta a porta” è stata travolta da una valanga di email di protesta – io stesso ne ho scritta una – chiedendo una correzione immediata della “fake news”. Ma non è successo niente: la correzione, da parte di Vespa, non c’è mai stata. Eppure il “codice deontologico del giornalista” dice chiaramente: «Il giornalista corregge senza ritardo errori e inesattezze».L’anno dopo, 2015, la Lorenzin ripete la stessa bugia nella trasmissione “Piazza pulita” di Corrado Formigli. «Di morbillo si muore, in Europa: in un’epidemia di morbillo a Londra, lo scorso anno, sono morti più di 200 bambini». Nuovo controllo: morti di morbillo a Londra nel 2015, cioè l’anno prima: zero. Nuova valanga di email di protesta, comprese le mie, con ripetute richieste di correzione. E nuovamente, nessuna correzione (in questo caso, da parte di Formigli). Eppure non c’è solo il codice deontologico, c’è anche il “testo unico dei doveri del giornalista” a ricordargli che «devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori». Invece niente, nessuna correzione: la bugia passa tranquillamente sul mainstream, viene ripetuta, rimane impressa nella mente degli spettatori. E quelli che si sono resi responsabili di propaganda non la correggono, pur sapendo benissimo che era un “fake” (lo sanno, perché li abbiamo informati noi).Altro esempio: Giovanna Botteri, corrispondente da New York, distorce platealmente una deposizione di Tex Tillerson, futuro segretario di Stato americano, per farlo apparire un amico di Putin che condona, in qualche modo, i suoi presunti crimini di guerra in Siria (presunti da Marco Rubio, ovviamente, che lo sta interrogando). «Rex Tillerson, che della Russia è notoriamente un amico, al Congresso prende le distanze da Mosca, ma non da Putin: alla domanda del repubblicamo Rubio se lo considera un criminale di guerra, risponde “no”». Io mi sono stupito di una risposta del genere, da parte di Tillerson. Allora sono andato a cercare lo scambio originale con Marco Rubio, e ho scoperto che la risposta di Tillerson è stata completamente distorta dalla Botteri. Tillerson non ha mai detto «no, per me Putin non è un criminale», e quindi (sottinteso) «condono le sue azioni in Siria». Ma ha detto che lui non userebbe mai quel termine; che si tratta di un’accusa molto grave; e che, prima di fare un’affermazione del genere, avrebbe bisogno di molte più informazioni, rispetto a quelle disponibili. Ora, è un fatto molto grave, per una giornalista della Rai, distorcere in quel modo le parole del ministro degli esteri americano. Anche in questo caso, avevo scritto alla redazione del Tg chiedendo una correzione, e anche stavolta la correzione non c’è stata.Altro esempio, Enrico Mentana: prima dichiara di sostenere apertamente la posizione del Cicap sull’11 Settembre, cioè la versione ufficiale del governo americano, e poi manda in onda 16 “fake news” consecutive (16 di numero, una dietro l’altra), raccontate da Paolo Attivissimo in una sola trasmissione. Un record assoluto: credo che non verrà mai battuto, nella storia. Io faccio un video, dove dimostro – documenti alla mano – che tutte le affermazioni di Attivissimo sono false, dalla prima all’ultima, e lo segnalo alla redazione di Mentana per chiedere una correzione: siamo ancora qui ad apettare che arrivi. Evidentemente, per giornalisti come Vespa, Formigli, Botteri o Mentana, il “codice deontologico” è solo carta straccia. Un ultimo esempio, clamoroso, avvenuto lo scorso gennaio sempre su La7. Andrea Purgatori presenta uno speciale sulla morte di Soleimani. Su Twitter annuncia, con gran fanfara, «le immagini dell’uccisione del generale Soleimani». Sentite con quale enfasi drammatica Purgatori commenta le immagini: «Sono immagini drammatiche, anche se in bianco e nero. Come vedete c’è un convoglio, sentite le parole del pilota che sta manovrando il drone. Guardate come vengono colpiti, uno ad uno, tutti i convogli. Ora ci saranno dei puntini bianchi (guardate, sulla destra): sono uomini che cercano di scappare da questo attacco». Peccato che le immagini che sta mandando in onda siano quelle di un videogioco. Non solo non sono le immagini dell’attentato a Soleimani: non sono nemmeno immagini reali.Preso in castagna, non solo Purgatori si rifiuta di correggere l’errore, ma raddoppia addirittura la posta. Stuzzicato su Twitter nientemeno che da Paolo Attivissimo, Purgatori risponde: «Certo che è un videogioco, lo sapevo, ma rappresentava tecnicamente una perfetta dimostrazione di come colpisce un drone». Peccato che lui stesso, in trasmissione, ci abbia confermato che non fosse un videogioco. Sentite: «Vi faccio subito vedere una cosa: somiglia molto a un videogioco, ma non è un videogioco». Quindi cosa fa Purgatori? Ci rifila un “fake”, e nel frattempo ci assicura che non si tratta di un “fake”. Cioè: ci mente, sapendo di mentire. Questo è un caso talmente perverso che non penso sia nemmeno contemplato, nel famoso “codice deontologico” dei giornalisti. Quindi i Bruno Vespa, i Formigli, le Botteri, i Mentana, i Purgatori… sarebbero questi i famosi “professionisti dell’informazione” di cui dovremmo fidarci a scatola chiusa? Come direbbe Antonio Razzi, “questo non creto”. Ci sono certamente, in giro, degli ottimi giornalisti, che riescono a fare bene il loro lavoro nonostante le pastoie che gli impone il sistema – e a questi vanno tutte le lodi possibili. Ma ce ne sono anche tanti, come abbiamo visto, che fanno i furbini. E mentono, sapendo di mentire, pur di portare avanti la loro agenda politica o personale. Quindi, come in tutte le cose, si giudica caso per caso. Non si danno pass generalizzati a nessuno, qui: non si fanno sconti per comitive. Troppo comodo dire “noi siamo l’informazione ufficiale, fidatevi di noi”. La nostra fiducia ve la dovete guadagnare giorno per giorno, servizio per servizio, telegiornale per telegiornale.Veniamo adesso all’altro braccio della tenaglia: l’attacco, sempre più serrato, alla libera informazione. E’ un attacco che tende chiaramente a criminalizzarla, per avere la scusa per poi tapparci in qualche modo la bocca. Questo disegno ormai è evidente è ben coordinato e arriva chiaramente dall’alto, visto che ormai è a livello governativo. L’Ansa: “Martella, sottosegretario alla presidenza del Consiglio: creata unità contro fake news”. Naturalmente si usa la scusa del coronavirus: e così, nel frattempo, ci si vuole arrogare il diritto di decidere cosa sia falso e cosa no. Poi, una volta stabilito questo principio, sarà molto facile utilizzarlo ovunque torni comodo. Addirittura, qualche sera fa, Andrea Purgatori – proprio lui – ha dedicato una puntata di “Atlantide” alle “fake news”. Il servizio si intitolava “Fake Room, la Fabbrica delle Bugie”. Cioè, praticamente: quelli che ce le propinano impunemente, sono anche quelli che dicono di voler smascherare. Fantastico, no? Un totale capovolgimento dei ruoli, nella classica logica orwelliana. Io comunque, di fronte a un titolo così importante come “La Fabbrica delle Fake News”, mi sono seduto comodo in poltrona a guardare attentamente. E cos’ho visto? Il nulla più assoluto. Purgatori ha fatto il solito minestrone di cose che non c’entrano nulla l’una con l’altra. Ha messo insieme l’invasione dei marziani di Orson Welles, la storia del finto alieno di Roswell, le missioni lunari, la morte di Paul McCartney, il rapimento di Aldo Moro, l’11 Settembre, la fialetta di Colin Powell, Hitler scappato in Sudamerica, “Elvis Presley è vivo”; mancava solo la “Terra piatta”, e il menù era completo.Fra l’altro, ringrazio: Purgatori ha anche inserito lo spezzone di un mio video, dando così un po’ di visibilità al mio canale. Bene, dopo tutto questo minestrone, mi son detto: vediamo un po’ cosa farà, il nostro eroe. Visto che la trasmissione si chiama “La Fabbrica delle Fake News”, vediamo un po’ come si fabbricano, queste fake news. E invece, niente: dopo il minestrone, Purgatori ha intervistato quello che secondo lui era un epidemiologo, Enrico Bucci, dell’università di Filadelfia. Ma in realtà, Bucci si è rivelato non essere affatto un epidemiologo. Sentite che figura: «Per prima cosa, smonto una fake news prima che diventi importante: io non sono un epidemiologo, sono un biologo chimico e mi occupo di analisi di dati complessi in bio-medicina». Povero Purgatori, ne calpesta una dietro l’altra… Non sa nemmeno con chi sta parlando. Comunque, a parte questa gaffe, il succo è che, nella trasmissione, non ha minimamente affrontato l’argomento fake news. Dopo il biochimico, Purgatori ha intervistato un archeologo (Valerio Massimo Manfredi), che ci ha spiegato che la Donazione di Costantino era un falso – come se per scoprirlo avessimo bisogno di lui, fra l’altro. E poi ha intervistato uno psichiatra (Paolo Crepet), che ci ha fatto il preciso ritratto clinico del fabbricatore di fake news. Ascoltate: «Il fabbricatore di fake news è uno che si mette lì, alle undici di sera…». Purgatori: «E ne inventa una». Crepet: «Se ne inventa una, non so… Con tutto il rispetto, magari fa un lavoro qualsiasi…».Il fabbricatore di fake news “è uno che si mette lì, alle undici di sera, e magari ne inventa una”. E dopo questa approfondita e rigorosa analisi scientifica, praticamente, la trasmissione è finita lì. Cioè: il tentativo – ormai classico – di associare le idiozie più disparate ai temi più seri; e poi, il nulla più assoluto. Questo non è giornalismo: questo è impressionismo mediatico, una pennellata e via. E’ il mordi e fuggi di chi, in realtà, non ha niente da dire. Molto più feroce, invece (e molto più subdolo) è stato il tentativo di Mentana di attaccare la cosiddetta galassia complottista, nel suo insieme. Sulla sua rivista online, “Open”, Mentana ha pubblicato un lunghissimo articolo, intitolato: “Coronavirus. Le fonti del movimento sovversivo Nuova Resistenza Italiana, che incita a violare la quarantena”. L’autore dell’articolo è David Puente, un debunker dell’ultima generazione che è diventato lo scudiero preferito di Mentana, per questo tipo di operazioni. Che cosa hanno fatto, in sostanza, con questo articolo? Non potendo attaccare noi direttamente, sono andati a prendere questo gruppo Facebook chiamato “Nuova Resistenza Italiana” (che io, fra l’altro, non conoscevo nemmeno), e hanno detto: loro incitano a uscire di casa, quindi a violare la legge; andiamo un po’ a vedere chi sono le loro fonti, da dove prendono le loro informazioni.Hanno quindi tentato di fare un percorso all’indietro, per cercare di collegare anche noi a quelli che loro definiscono “un movimento sovversivo”. Gli americani hanno un’espressione molto bella, per questo meccanismo; si chiama “guilty by association”, colpevole per associazione. Non puoi attaccare qualcuno direttamente, e allora lo accusi in qualche modo di essere collegato a persone che tu definisci come sovversive. Ora, andiamo a vedere più da vicino chi sarebbero, i colpevoli di questa malfamata associazione a delinquere. Per farci capire meglio come stanno le cose, David Puente ha fatto addirittura ricorso a una specie di mappa del crimine – un po’ come quando in televisione ti fanno vedere la mappa delle famiglie mafiose, nei documenti delle forze dell’ordine. E il primo della lista, di questi mafiosi, ovviamente è Claudio Messora. Vediamo qual è la sua colpa: «”Byoblu” di Claudio Messora ospita spesso personaggi controversi che riportano una “informazione alternativa al mainstream”». Oddio, questo è veramente un peccato mortale… Roba da metterlo subito al rogo, senza nemmeno processarlo. In realtà, la vera colpa di Messora è stata quella di aver intervistato Stefano Montanari. Vediamo il capo d’accusa di Montanari: «Stefano Montanari ha definito il coronavirus un “virus fasullo” che risulta innocuo e che il vaccino sarà una truffa colossale per “iniettarci qualunque cosa”».Quindi, Montanari non ha violato nessuna legge: ha semplicemente espresso la sua opinione (con la quale, fra l’altro, nessuno è obbligato a essere d’accordo). Io stesso ho intervistato Montanari tre giorni dopo, e con me ha ripetuto praticamente gli stessi concetti. Io non ero d’accordo con lui, l’ho detto chiaramente, ma gli ho comunque permesso di parlare – perché lo scopo del dibattito è proprio questo: confrontare opinioni diverse. Invece, il Patto per la Scienza di Burioni ha fatto addirittura un esposto contro Montanari, e nel frattempo ne ha approfittato anche per chiedere l’oscuramento di “ByoBlu” – così, en passant: mentre cerchiamo di silenziare il messaggio, proviamo anche a dare una bella legnata al messaggero. Un altro colpevole di crimini efferati, poi, è Giulietto Chiesa: «”Pandora Tv” di Giulietto Chiesa ospita personaggi controversi e teorici del complotto». Mamma mia! E’ pazzesco, quello che fa Giulietto Chiesa: “ospita personaggi controversi”, mettiamo subito al rogo anche lui.Puente, forse te lo sei dimenticato. Ma l’articolo 21 della Costituzione dice: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Quindi, qui se c’è qualche sovversivo sei tu, Puente, nel senso che tu vorresti sovvertire la Costituzione, impedendo a queste persone di parlare. Andiamo adesso a vedere quali sono le colpe specifiche attribuite da Puente alle persone intervistate da “Pandora Tv”. «Manlio Dinucci, che scrive per il “Manifesto”, ha tirato in ballo l’esercitazione Nato nota come “Defender Europe 2020″ e i soldati americani “senza mascherina”». Signor Dinucci, ma cosa fa?! Tira in ballo i soldati americani senza mascherina?! E’ impazzito? Non lo sa che “tirare in ballo” è espressamente proibito dal codice penale? In realtà cos’ha fatto, Dinucci? Ha semplicemente citato un video ufficiale, del Pentagono, nel quale si vedono i soldati americani che atterrano in Europa per le esercitazioni Nato, e si salutano e si abbracciano tranquillamente, senza mascherina. Qual è il peccato di Dinucci? Aver commentato un video ufficiale del Pentagono. Tutto qua.Un altro criminale intervistato da “Pandora Tv” è Maurizio Martucci, «gestore di Oasisana.com e autore su “Il Fatto Quotidiano”», che «pone la teoria del rapporto tra 5G e il nuovo coronavirus». Oddio, Martucci ha addirittura “posto una teoria”… che eresia! Pensate, del 5G non sappiamo praticamente niente, perché nessuno ci dice niente, veramente; sappiamo ancora meno, del coronavirus, però David Puente ha già capito che non ci può essere nessuna correlazione fra le due cose, per cui si sente di mettere all’indice chi la suggerisce. Ma nemmeno ai tempi dell’Inquisizione, lavoravano così: almeno, gli inquisitori, una base teorica ce l’avevano. Poi ancora: «Marcello Pamio, gestore del sito Disinformazione.it, è un sostenitore della Medicina Tradizionale Cinese». Orrore… la medicina tradizionale cinese?! E’ lì da quattromila anni, a insegnarci come curarci in modo natuale e olistico, ma non lo si può sostenere – magari perché non vende i prodotti di Big Pharma? Sarà per quello che a Puente non piace, la medicina tradizionale cinese? E poi: «Secondo Pamio, la paura abbassa le difese immunitarie». No, Puente: non è “secondo Pamio”, è secondo tutti. Lo sanno anche i paracarri, che la paura abbassa le difese immunitarie: sta scritto persino sulle agenzie di stampa (AdnKronos: “Coronavirus: stress, paura e ansia riducono le difese immunitarie”). Ma questo, Pamio non lo può dire: perché Don Rodrigo Puente de Torquemada ha deciso che non si può.Ancora: «Francesco Oliviero, medico iscritto all’ordine che segue la Medicina Tradizionale Cinese e l’omeopatia, sostiene che il virus non si combatte stando a casa». Quindi «Vincenzo D’Anna, senatore e presidente dell’ordine dei biologi, sostiene che il Covid-19 sia poco più che un’influenza e che sia una grande cantonata politica». Nuovamente, Puente: sono opinioni (c’è scritto “sostiene”). Sono discutibili fin che vuoi, ma sono perfettamente legittime. Articolo 21 della Costituzione: non è così difficile da memorizzare, provaci. E poi naturalmente c’è una angolino anche per me, nella mappa del crimine: «Massimo Mazzucco, protagonista di diversi video di fantascienza complottista è autore del video che accusa gli americani dell’epidemia Covid-19». Per quanto riguarda la “fantascienza complottistica”, Puente, ti comunico che il mio film “11 Settembre, la nuova Pearl Harbor” è uscito già da sette anni, ed è ancora lì che aspetta qualcuno che lo smonti. Finora, nessuno ci ha mai nemmeno provato: i tuoi amici debunker se ne tengono saggiamente alla larga. Però, se tu vuoi confrontarti con me sull’11 Settembre, io sono a tua disposizione – così vediamo chi dei due racconta “fantascienza”. E poi, dai, Mazzucco sarebbe autore del video che accusa gli americani dell’epidemia Covid-19? Io non ho accusato nessuno: non sono così stupido da farlo.Nel mio famoso video “E’ stato il pipistrello”, ho semplicemente messo in fila i diversi elementi a sostegno di questa teoria, che fra l’altro è stata suggerita dallo stesso governo cinese. Ma io stesso ho detto, alla fine, che non posso esserne sicuro. Ascolta bene quello che dico, alla conclusione del video: «Ora, in posso sostenere che sia questa, per forza, la spiegazione di tutto quello che sta succedendo. Io ho solo messo in fila tutta una serie di elementi, che portano ad una conclusione sensata. Se ce ne sono altre, cari giornalisti, ben vengano: fatevi avanti». Quindi vedi, Puente? Dici pure le bugie, nel tuo articolo. Io non ho mai accusato nessuno. Tu distorci le frasi altrui e racconti fake news, proprio mentre sostieni di volerle combattere. In sintesi, qui abbiamo un intero articolo basato sul nulla più assoluto. Dov’è, tutto questo complottismo sovversivo? Niente, non c’è. Solo parole vuote, solo aria tiepida. Come dicevo prima, questo articolo è un po’ come un quadro impressionista, come il puninismo: visto da lontano sembra dare l’impressione di qualcosa. Ma poi, se ti avvicini, scopri che sono solo dei puntini colorati. Vedi la lontano questa mappa di presunti criminali; poi ti avvicini, e ti accorgi che siamo solo persone normali, che cercano di fare al meglio il loro lavoro, e che non hanno mai minimamente violato la legge. Con una differenza, però: i quadri impressionisti lasciano comunque nell’aria un senso di leggerezza e di allegria estetica; mentre questo articolo, caro Puente, lascia nell’aria un pessimo odore. E’ l’odore della diffamazione, l’odore del cattivo giornalismo, l’odore della censura travestita da finta indagine sociale.A questo punto, qualcuno dirà: va be’, chi se ne frega. Puente è solo un pessimo giornalista. In fondo ce ne sono tanti, in giro – uno più, uno meno, non è che faccia una gran differenza. No: non è così semplice. Perché il nostro caro David Puente, l’autore di questo articolo-spazzatura, è proprio una delle punte di diamante della tarsk force governativa contro le fake news. Avete capito, di che tipo di gente ci stiamo mettendo in mano? Questi sarebbero quelli che si arrogano il diritto di decidere cos’è falso e cosa no, e vorrebbero farlo addirittura a livello governativo. In conclusione: stiamo per uscire, tutti, dal tunnel del coronavirus, e stiamo andando incontro a un periodo estremamente difficile – cruciale, direi – per le nostre libertà. Finita questa pandemia, cercheranno di approfittare in tutti i modi della nostra debolezza, sia mentale che economica, per cercare di rendere permanenti alcune misure che ci avevano presentato come temporanee, e soprattutto per cercare di introdurne di nuove.Non stupitevi, se per caso – in autunno – vi ritrovate che, per andare allo stadio, oppure a un concerto, bisognerà prima aver fatto tutta una serie di vaccinazioni obbligatorie (altrimenti, tutti buoni e zitti, a casa a guardare le partite in televisione o ad ascoltare i concerti sul telefonino). Per è questa, la prima cosa che le società farmaceutiche cercheranno di ottenere, da tutto questo questo casino del coronavirus: cercheranno di far passare le vaccinazioni di massa, fino a farle diventare obbligatorie per tutti. Pensate che io sia paranoico? Guardate qua: “Zingaretti, vaccini obbligatori nel Lazio per 2,5 milioni e mezzo di persone” (”Il Messaggero”). «Stiamo valutando per il prossimo anno, nel Lazio, di rendere obbligatorio il vaccino contro l’influenza a tutti gli over 65, a chi lavora nella sanità e in altre categorie di lavoro più esposte e di attività essenzali». Quindi, siccome le “attività essenziali” le decidono loro, moltissima gente – se vorrà andare a lavorare – dovrà farsi il vaccino obbligatorio.E’ lì che vogliono arrivare, le case farmaceutiche. Per loro, questa del coronavirus è un’occasione d’oro, quasi irripetibile. E naturalmente utilizzeranno la televisione (che loro pagano profumatamente) per martellarci il cervello, in modo da arrivare prima o poi a vaccinarci tutti, obbligatoriamente, per qualunque cosa. Con buona pace della Costituzione, che (articolo 32) dice: «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge», e aggiunge: «La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Invece, i limiti li violeranno eccome: grazie alle nostre paure e al nostro stato di confusione. Vedrete, con la scusa del coronavirus, quanti limiti cercheranno di violare. Cercheranno di introdurre, ad esempio, il tracciamento elettronico dei nostri movimenti col telefonino, esattamente come hanno fatto in Cina con i cittadini di Wuhan. Da noi non oseranno mai fare una cosa del genere, dite? L’Ansa: «Coronavirus: app in arrivo, volontaria e anonima. Il lavoro della task force istituita per studiare l’utilizzo di una app per il tracciamento dei contatti per evitare il diffondersi del coronavirus è alle fasi conclusive».Naturalmente, per ora ti dicono che è “volontaria e anonima”; però poi cosa ti succede, se un giorno scopri che – se tu non sei tracciato – magari non puoi salire sull’autobus, non puoi andare in biblioteca o non puoi entrare in un supermercato? O accetti la tracciatura, oppure te ne stai chiuso in casa a marcire, e al supermercato ci mandi tua cugina? Quindi sarà pure “volontario”, ma bisognerà vedere a quali ricatti saranno sottoposti, quelli che non vorranno accettare. Ricordate che una cosa è volontaria solo se uno può scegliere davvero liberamente, senza condizioni; altrimenti, si chiama ricatto. E il bello è che, con l’aiuto del mainstream, cercheranno di far passare questa schedatura di tipo poliziesco come una meravigliosa “opportunità”. Guardate: «La Ferrari userà app-tracciamento per dipendenti». Nella terza fase, dice l’articolo dell’Ansa, ci sarà «l’opportunità per ciascun collaboratore di servirsi di una app, con tracciamento dei contatti, per un supporto medico sanitario nel monitoraggio della sintomatologia del virus». L’opportunità… Dovremo anche ringraziarli, alla fine, questi angeli premurosi che ci vogliono seguire dappertutto. Naturalmente, «il piano è nato dalla collaborazione con un pool di virologi – tra cui il professor Roberto Burioni», il nostro benefattore universale.Ma non basta: con la scusa del coronavirus, presto troveranno anche il modo per entrarci in casa e portarsi via chi vogliono loro. Nuovamente: pensate che siano paranoie complottiste? Michael Ryan, direttore esecutivo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, lo scorso 23 marzo, durante una conferenza stampa ha detto: «Il contagio non è più nelle strade, ora è circoscritto ai gruppi familiari. Ora dobbiamo andare a guardare nelle famiglie, per trovare chi eventualmente è malato, per rimoverlo e isolarlo in un luogo sicuro e dignitoso». E questa è l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che parla (non è la bocciofila di paese). Quindi, con la scusa del virus, vogliono poter entrare in casa vostra e portarvi via i fratelli, i genitori oppure i vostri figli, in modo “sicuro e dignitoso” (se lo riterranno opportuno). Poi tanti auguri, quando andate dal giudice per cercare di farveli restituire.Naturalmente, per arrivare a tutto questo hanno un bisogno assoluto di silenziare al più presto la libera informazione, altrimenti rischiano che ci siano troppe persone che protestano e si pongono delle domande – e questo non va bene. E non stiamo parlando solo del fronte sanitario, sia chiaro. Dopo il coronavirus, approfittando della confusione, ci sarà un tentativo globale di ridisegnare alla radice l’intera mappa del potere – naturalmente a favore delle élite e a discapito dei normali cittadini, su tutti i fronti. Ci installeranno il 5G dappertutto, senza nessun serio dibattito sulla sua pericolosità e senza nessuna garanzia scientifica sulla sua innocuità. E nuovamente, useranno le televisioni per invitare i loro esperti a raccontarci che non c’è nessun pericolo, e che il 5G è una manna perché aiuta i medici a comunicare meglio fra di loro (come se adesso i medici, per comunicare, usassero i segnali di fumo, e aspettassero con ansia l’arrivo del 5G). Ci seppelliranno sotto un debito di centinaia di miliardi, arrivati chissà da dove e con chissà quali clausole. E useranno le televisioni per raccontarci che va tutto bene e che dovremo essere felici, per tutti questi soldi che ci verranno prestati, salvo poi dover lavorare per i prossimi cinquant’anni per restituirli, ovviamente con interessi molto salati.E’ questa, la dittatura che ci aspetta nel prossimo futuro: la dittatura dell’informazione, che manda un messaggio unificato e non tollera nessun contraddittorio. In una democrazia, una voce alternativa all’informazione mainstream è assolutamente indispensabile. Le opinioni diverse sono il cuore stesso del progresso sociale. Senza quello, la democrazia muore. E si instaura la dittatura del pensiero unico. Non saremo più schiavizzati a livello fisico – come una volta, con le catene ai piedi – ma lo saremo a livello mentale, con le catene nel cervello (che è ancora peggio: perché, se controlli la mente delle persone, controlli molto più facilmente anche le loro azioni). Quindi, se noi verremo silenziati, non saremo più in grado di difendere voi, dalle restrizioni delle vostre libertà. E’ quindi fondamentale, in questo momento, far sapere che siamo in tanti e che simo tutti uniti. Dobbiamo mandare un messaggio, forte e chiaro: noi siamo uniti e compatti, e non siamo disposti a farci mettere la museruola da nessuno. Per questo, vi chiediamo di far circolare questo messaggio ovunque possibile. Non lasciate niente di intentato: non fermatevi, finché non avrete esaurito ogni possibile contatto, nella vostra agenda personale. Altrimenti, fra poco, verremo davvero tutti obbligati a inginocchiarci, senza più fiatare, di fronte al Ministero della Verità.(Massimo Mazzucco, video-appello trasmesso su “Contro Tv” e ripreso l’11 aprile 2020 su YouTube e su “Luogo Comune”. In coda, nel video l’appello è sottoscritto da Giulietto Chiesa, Marco Tosatti, Fulvio Grimaldi, Tiziana Alterio, Ivan Catalano, Fabio Frabetti, Raimondo Pische, Alessandra Devetag, Maurizio Blondet, Stefano Scoglio, Margherita Furlan, Davide Barillari, Patrizia Cecconi, Ugo Mattei, Marco Pizzuti, Corrado Malanga, Manlio Dinucci, Gustavo Alberto Palumbo, Marcello Pamio, Martino Chiorboli, Franco Fracassi, Leopoldo Salmaso, Gaia Pasi, Francesco Celani, Gabriele Sannino, Adriano Colafrancesco, Jeannie Toschi Marazzani Visconti, Enrica Perucchietti, Ugo Giannangeli, Roberto Germano, Tom Bosco, Lara Innocenzi, Roberto Quaglia, Giuseppe Turrisi. Tra i sottoscrittori del video-appello, Mauro Scardovelli afferma: «Stanno introducendo la censura, in Italia, che è vietatissima dall’articolo 21 della Costituzione. La censura infatti è tipica delle dittature: indica la fine della democrazia». Dal canto suo, Pietro Ratto propone «una task force uguale e contraria a quella istituita, per contrastare le fake news del sistema». Chiude la lista Claudio Messora, che definisce Mazzucco «uomo misurato, saggio, socratico: è il Socrate dell’informazione indipendente». Chiosa Messora: «Dato l’accerchiamento in atto, non è più il momento di essere tenui, cauti: è il momento di uscire allo scoperto e gridare forte che siamo liberi. Lo dice l’articolo 21, lo dice la Costituzione. E liberi vogliamo restare»).La tenaglia della censura sta per stringersi sulla Rete e sulle voci della libera informazione. I segnali ci sono già tutti. Questa voglia di censura si sta articolando su due fronti, precisi e distinti. Il primo ramo della tenaglia è la legittimazione del cosiddetto “giornalismo dei professionisti”, l’informazione mainstream, come unica fonte valida per ricevere informazioni affidabili. Il secondo ramo della tenaglia è la delegittimazione, uguale e contraria, delle voci della libera informazione. Noi siamo liberi, le grandi televisioni no: per vivere hanno bisogno degli sponsor pubblicitari. E se a uno sponsor un certo discorso non piace, quel discorso in Tv non viene fatto. Sulle televisioni nazionali non vedrete mai, ad esempio, una seria e approfondita discussione sulla sicurezza dei vaccini, perché le case farmaceutiche sono tra i maggiori sponsor delle televisioni, e alle case farmaceutiche non fa piacere che si metta in discussione la sicurezza dei vaccini. Ecco perché da Fazio vedrete sempre e solo Burioni che pontifica a senso unico, ma non vedrete mai nessuno che gli fa un serio contraddittorio. Né vedrete mai una seria discussione sulla potenziale pericolosità del 5G: perché tra gli altri grandi sponsor delle televisioni ci sono le multinazionali della telefonia, a cui non fa piacere che venga messa in discussione la sicurezza delle loro tecnologie.
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Attori “antifascisti”: impedite a Veneziani di salire sul palco
Il due novembre scorso il Teatro Verdi di Padova ha aperto la sua stagione con Marcello Veneziani portando in scena “1919. I rivoluzionari”, dedicato a quell’anno in cui nascque il fascismo, il partito popolare, l’italo-comunismo e ci fu l’impresa fiumana di D’Annunzio. Attori che recitavano testi di Marinetti, don Sturzo, Mussolini, Gramsci e D’Annunzio, musiche d’epoca e Veneziani che raccontava quegli eventi. Gran successo, «dieci minuti d’applausi» fa notare il presidente del Teatro Stabile Veneto, Giampiero Beltotto. Ma il Collettivo Attori Antifascisti, non sappiamo come altro definire il gruppo di attori che fa capo alla compagnia Anagoor, guidata da tale Simone Derai, ha avviato una raccolta di firme per contestare il teatro di aver chiamato «un controverso personaggio come Veneziani». Il Collettivo premette che non ha visto lo spettacolo; non giudica i contenuti, dunque l’attacco è alla persona, a priori, e a prescindere da quel che ha detto e fatto. Per loro è inconcepibile che «un’istituzione di rilevanza nazionale finanziata con soldi pubblici» affidi un argomento così delicato a Veneziani che «non festeggia il 25 aprile» perché a suo dire «non è una festa inclusiva e nazionale, ma è sempre stata la festa delle bandiere rosse e del fossato d’odio tra due Italie». Dunque un presunto reato d’opinione interdirebbe a Veneziani il diritto di andare in scena.Veneziani non è solo un giornalista “controverso”, ha scritto più di una trentina di opere, e anche sul tema ha dedicato libri pubblicati dai principali editori e curato antologie (come “Anni incendiari 1909-1911″). Ma a sinistra ignorano le tue idee, non discutono le tue opere ma censurano la tua esistenza e reputano che il semplice fatto di esprimerti a teatro sia un segno del “clima” preoccupante che viviamo (fascismo dappertutto, schizzi di sangue e merda ovunque…). Veneziani è stato chiamato dal Teatro e ha raccontato un anno in un modo che è apparso al pubblico appassionato quanto onesto, rispettoso dei fatti e dei personaggi, non partigiano. Ma il Collettivo Attori Antifascisti decreta che uno come lui va condannato a priori senza leggerlo né ascoltarlo. Gli va impedita la libera espressione, e soprattutto non può accedere in luoghi e teatri che hanno un finanziamento pubblico. Come dire, il Teatro è Cosa Nostra, giù le mani dar valoroso palcoscenico dei compagni pagato coi soldi pubblici. Polemica tardiva? Ma no, semmai preventiva: serve a intimidire chiunque voglia replicare o l’invito. Interpellato da “Il Gazzettino”, Massimo Cacciari dice: «Non mi pare proprio che Veneziani possa essere una persona non affidabile, non mi pare che gli si possa imputare una sorta di apologia. Veneziani svolge con coerenza, secondo la sua impostazione di storico, le sue tesi». Veneziani «non è CasaPound», e comunque «ha altro a cui pensare» rispetto a questi attacchi.Su “La Verità”, Adriano Scianca fa notare che, non entrando nel merito dei contenuti, «non ti censurano per quello che dici, ma per quello che sei», o meglio, che appari ai loro occhi miopi di faziosità ideologica. Anche l’assessore regionale Elena Donazzan fa notare che non si può stroncare senza vederlo uno spettacolo che è piaciuto al pubblico anche di altro orientamento, per la sua efficacia e leggerezza. Il presidente del Teatro Beltotto, che già chiamò Veneziani lo scorso anno al Teatro Goldoni di Venezia per parlare di Ezra Pound, fa notare che non ci sono stati dissensi né fischi a teatro: Veneziani «è un intellettuale di vaglia», e l’anno precedente aveva aperto la stagione teatrale con un altro personaggio “divisivo” come Cacciari, e nessuno lo ha contestato. A parti rovesciate, infatti, nessuno a “destra” e dintorni condanna a priori l’idea di chiamare sul palcoscenico non un terrorista o un pregiudicato, ma un intellettuale di sinistra. Al più critica sui contenuti, dopo aver visto lo spettacolo. Ma questa è la sinistra antifascista, condannata a ripetersi e a contrastare col giudizio della gente. Poi si chiedono perché si è ridotta a una setta, a una mafia, una casa d’intolleranza. Il teatro è Cosa Nostra. Scrive Marco Gervasoni: «Saranno una minoranze di zecche rosse, il Veneto è sano, ci sono pochi comunisti; comunque, viva @VenezianiMar, mandare ai matti il fegato della sinistra è sempre una grande soddisfazione».(”Impedite a Veneziani di andare in palcoscenico”, dal blog di Veneziani, novembre 2019).Il due novembre scorso il Teatro Verdi di Padova ha aperto la sua stagione con Marcello Veneziani portando in scena “1919. I rivoluzionari”, dedicato a quell’anno in cui nascque il fascismo, il partito popolare, l’italo-comunismo e ci fu l’impresa fiumana di D’Annunzio. Attori che recitavano testi di Marinetti, don Sturzo, Mussolini, Gramsci e D’Annunzio, musiche d’epoca e Veneziani che raccontava quegli eventi. Gran successo, «dieci minuti d’applausi» fa notare il presidente del Teatro Stabile Veneto, Giampiero Beltotto. Ma il Collettivo Attori Antifascisti, non sappiamo come altro definire il gruppo di attori che fa capo alla compagnia Anagoor, guidata da tale Simone Derai, ha avviato una raccolta di firme per contestare il teatro di aver chiamato «un controverso personaggio come Veneziani». Il Collettivo premette che non ha visto lo spettacolo; non giudica i contenuti, dunque l’attacco è alla persona, a priori, e a prescindere da quel che ha detto e fatto. Per loro è inconcepibile che «un’istituzione di rilevanza nazionale finanziata con soldi pubblici» affidi un argomento così delicato a Veneziani che «non festeggia il 25 aprile» perché a suo dire «non è una festa inclusiva e nazionale, ma è sempre stata la festa delle bandiere rosse e del fossato d’odio tra due Italie». Dunque un presunto reato d’opinione interdirebbe a Veneziani il diritto di andare in scena.
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Avete mai avuto la sensazione di esser presi per i fondelli?
Avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli? Era il 1978 quando John Lydon, alias Johnny Rotten, pronunciò quella frase – non proprio da incorniciare nei libri di storia – al termine di un mediocre concerto dei suoi Sex Pistols, a San Francisco. Sono passati quarant’anni, e il punk imperversa ovunque sotto forma di trash. Ma quanti hanno la stessa onestà dell’allora giovane frontman inglese, nell’ammettere che lo show è truccato, visto che sul palco si agitano un bel po’ di cialtroni senza talento? Come verrebbe, la foto di gruppo, se Di Maio si facesse crescere una bella cresta viola e il suo ex preside-fantasma, il tuttora oscuro Giuseppe Conte, andasse in giro con canottiere strappate e giacconi borchiati? Nel paese di Pinocchio, se uno vuol farsi veramente del male, non ha che ha accendere il televisore un qualsiasi martedì sera, magari proprio il giorno in cui l’eroico Parlamento della Repubblica ha osato decespugliare senatori e deputati, quei puzzoni impresentabili. Per fare cosa, poi? Con quale costrutto e quale nuova legge elettorale? Lo saprete alla prossima puntata, sibila l’attore Di Maio, in attesa che la produzione gli passi il seguito del copione.Zapping: sul tema, Bianca Berlinguer interpella due numi pensosi, l’imperscrutabile Mieli e il sempre esecrante Cacciari, mentre l’immortale Lady Gruber si avvale del formidabile vaticinio di una leggenda del giornalismo mondiale come Beppe Severgnini. Altro giro, altro canale: il capocomico Floris scatena il suo zoo contro Matteo Salvini, obbligandolo a non-rispondere sul mitico Russiagate, lo scivolone del sciùr Savoini: la sua celebre cenetta coi petrolieri russi, con confidenze riservatissime affidate ai microfoni di non si sa esattamente quale servizio segreto. A proposito: sempre all’osteria di Floris si ciancia su come i servizi (italiani) avrebbero prima aiutato la Clinton, con Renzi, su richiesta di Obama, per ostacolare la corsa di Trump, salvo poi intervenire con Conte, in modo simmetrico e altrettanto irrituale, ancora una volta nelle lande dell’orso russo, per aiutare The Donald a inguaiare il suo avversario Biden, già braccio destro di Obama. Nel suo piccolo, l’ex rocker da strapazzo Johnny Rotten, campione di humour, non rischia forse di sembrare un gigante?Se poi – sempre per ridere – si finge di credere che esista davvero, qualcosa che assomigli all’irraggiungibile Olimpo marmoreo che i giornali continuano a chiamare L’Europa, non si può fare a meno di notare che dal bar di Bruxelles è sparito il simpatico Juncker, quello che citava Marx in segno di vicinanza politico-spirituale con le dolenti masse degli oppressi (ellenici in primis). Niente più bourbon, purtroppo, ma solo le bevande analcoliche servite dall’elegantissima barista Ursula von der Leyen, assistita da camerieri in livrea del calibro di Paolo Gentiloni, discendente dell’antica corte del Papa-Re. Nel personale di servizio figura lo stesso David Sassoli, un tempo mezzobusto del Tg1, temibile allevamento di giornalisti di razza, veri e propri “cani da guardia della democrazia”. A proposito di virtù canine: già ferocissima gregaria del mastino Angela Merkel, Frau Ursula è lì grazie all’ex comico televisivo Beppe Grillo, occasionalmente rivoluzionario (ma solo per i più piccini) prima di firmare, la scorsa primavera, il memorabile Patto per la Scienza insieme a Matteo Renzi, il suo attuale socio di governo (scopo del Patto, pietra miliare nella storia della medicina: zittire e delegittimare qualsiasi voce scientifica non allineata al nuovo affascinante dogma della Vaccinazione Universale).Come in tutti gli show, è il finale a riservare le vere sorprese. Ed è a quel punto che entrano in scena i fuoriclasse. Lui e lei, naturalmente: gran bella coppia. Mario & Christine: noti ai fan come insuperabili mattatori nei filmoni di guerra, nei thriller, nei plot più drammatici. Suspence, terrore. Severissima austerità, dolore copiosamente sparso con fermezza inflessibile. E invece adesso eccoli là, con in faccia il cerone della commedia: si scherzava, ragazzi, era tutta una burla. E’ vero, vi avevamo raccontato che non c’erano alternative: sangue, sudore e lacrime. Ci eravate cascati? Certo, siamo stati bravi. Ma adesso, sapete, cambierà tutto. E quelle maledette banconote, per le quali vi abbiamo spremuto fino al midollo, ora ve le getteremo dalla finestra: helicopter money! Che diamine, la moneta appartiene al popolo: non lo sapevate? Gli spettatori esitano, spiazzati – quasi quanto gli economisti da patibolo e il loro codazzo di coristi radiotelevisivi. Contrordine? Siamo per caso rimasti all’oscuro di decisioni epocali? Ci è sfuggito qualcosa di fatale che forse è maturato, lassù, tra le sfuggenti divinità? La produzione, caritatevole, sente che al pubblico – per il quale mostra compassione – bisogna pur concedere qualcosa di rassicurante. E allora, mentre le luci si abbassano, sul palco viene rispedito il solito usciere dall’aria dimessa, con lo storico annuncio: abbiamo tagliato i parlamentari. Tradotto in cifre, agli italiani viene offerto un caffè. Purtroppo lo steward non è Johnny Rotten, è solo Di Maio. Ma il risultato è lo stesso: avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli?(Giorgio Cattaneo, “Avete mai avuto la sensazione di esser presi per i fondelli?”, dal numero 12 de “La Voce Rooseveltiana”, 17 ottobre 2019).Avete mai avuto la sensazione di essere presi per i fondelli? Era il 1978 quando John Lydon, alias Johnny Rotten, pronunciò quella frase – non proprio da incorniciare nei libri di storia – al termine di un mediocre concerto dei suoi Sex Pistols, a San Francisco. Sono passati quarant’anni, e il punk imperversa ovunque sotto forma di trash. Ma quanti hanno la stessa onestà dell’allora giovane frontman inglese, nell’ammettere che lo show è truccato, visto che sul palco si agitano un bel po’ di cialtroni senza talento? Come verrebbe, la foto di gruppo, se Di Maio si facesse crescere una bella cresta viola e il suo ex preside-fantasma, il tuttora oscuro Giuseppe Conte, andasse in giro con canottiere strappate e giacconi borchiati? Nel paese di Pinocchio, se uno vuol farsi veramente del male, non ha che ha accendere il televisore un qualsiasi martedì sera, magari proprio il giorno in cui l’eroico Parlamento della Repubblica ha osato decespugliare senatori e deputati, quei puzzoni impresentabili. Per fare cosa, poi? Con quale costrutto e quale nuova legge elettorale? Lo saprete alla prossima puntata, sibila l’attore Di Maio, in attesa che la produzione gli passi il seguito del copione.
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Il cinismo della disperazione: Di Maio svuota la democrazia
Lo scellerato auto-affondamento del Parlamento, voluto da un Di Maio ridotto alla disperazione, produrrà danni incalcolabili al sistema democratico italiano. Prossimo colpo, magari: il divieto di cambiare casacca, riducendo il parlamentare a burattino. La primogenitura dell’attacco alla rappresentanza popolare «va molto più in là del governo gialloverde». Secondo Federico Ferraù «arriva fino ai “politici ladri” degli anni di Tangentopoli, passando per la “casta”, indimenticata bandiera antipolitica che tanto senso comune ha prodotto negli anni novanta e duemila». Gioele Magaldi va ancora più indietro: evoca il Piano di Rinascita Democratica della P2 e, prima ancora, il “dimagrimento” delle Camere voluto da Mussolini. «Ovvio: se i parlamentari sono pochi, il potere oligarchico nemico della democrazia li controlla più facilmente». Secondo il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, è penoso lo spettacolo dei parlamentari che corrono a decurtare le proprie file: «Siamo al cinismo della disperazione», all’autoliquidazione di chi non è più classe politica e pertanto non ha più ragione di esistere. Perché mantenerlo in vita, un Parlamento, se è solo un peso?Ci rimette anche la Lega, rimasta «imbottigliata per una anno e mezzo sullo scambio tra autonomia differenziata e riduzione del numero dei parlamentari». Già, l’autonomia per il Nord-Est: «Per mesi è stata avvolta da una nebbia fittissima», e oggi «non se ne vede nemmeno l’ombra». Innanzitutto, osserva Mangia nella sua analisi offerta a Ferraù sul “Sussidiario”, si dovrebbe aver capito che il taglio dei parlamentari «è un modo per bloccare il funzionamento del sistema elettorale, rendere impossibili elezioni a breve e creare le premesse per un dialogo infinito sulla legge elettorale prossima ventura». Che dovrà essere infinito, «perché altrimenti questa situazione di democrazia sospesa, che permette di evitare le elezioni, finisce». E se Lega e Pd assecondano il populismo di Di Maio, a “vincere” è il Movimento 5 Stelle: «Il dato veramente incredibile è che i 5 Stelle siano riusciti, in momenti diversi, e per una serie di casi fortunati, a portare prima la Lega e poi il Pd su un progetto tanto inutile e pretestuoso rispetto agli obiettivi dichiarati». Di Maio parla di un risparmio di 100 milioni all’anno. «Appunto: roba che uno Stato con un bilancio di 800 miliardi nemmeno se ne accorge», sottolinea Mangia. L’Osservatorio di Cottarelli, poi, parla di un risparmio reale di appena 57 milioni all’anno, cioè la metà di quanto propagandato.Ma il vero pericolo è più serio: «Se il parlamentare oggi si concepisce come uno schiacciabottoni, tanto da dirlo apertamente – osserva il professore – significa che il problema non è il taglio dei parlamentari, ma l’involuzione della classe politica nel suo complesso, tanto da arrivare per prima a concepirsi come inutile. Tanto da credere di potersi rigenerare attraverso un’automutilazione». È un atteggiamento che ricorda da vicino la riforma delle immunità del 1993 votata in piena Tangentopoli, sotto la pressione di Mani Pulite. «Anche allora si pensava che spogliando il parlamentare dell’immunità, e denudandolo di fronte alla magistratura, la classe politica si sarebbe rigenerata». E invece, «quell’automutilazione non solo ha cambiato gli equilibri tra i poteri dello Stato, ma ha spianato la strada alla dissoluzione di una classe politica, dopo la quale non ce ne è mai stata un’altra». Ma a quel punto, allora, «perché non risolvere tutto in un vertice tra segretari di partito, dove ciascuno pesa in ragione del pacchetto di azioni che rappresenta, come in un’assemblea degli azionisti?».Qualcuno potrebbe dire: sapete quanti soldi continuano a costare 400 deputati e 200 senatori? «Se si sfonda una linea, trovare poi un limite davanti al quale fermarsi diventa difficile», avverte Mangia. «Tant’è vero che da allora, e cioè da Tangentopoli, si è sempre andati avanti nella stessa direzione in un gioco di delegittimazioni reciproche». Una classe politica «ha coscienza di sé e del suo ruolo, e la coscienza del ruolo ha un implicito effetto di legittimazione». Non a caso, in altri tempi, «i re non tagliavano la testa agli altri re, perché se no passava l’idea che ai re si poteva tagliare la testa e il sistema crollava». Se manca la consapevolezza di un ruolo – dice il costituzionalista – alla fine di quel ruolo manca anche la percezione tra chi lo deve rispettare. Dunque: parlamentari tagliati «non perché siano troppi, ma perché, tutti assieme, non fanno una classe politica». Fermare lo scempio con un referendum? Il professor Mangia è scettico: «Dopo 25 anni di delegittimazione della classe politica, chi andrebbe oggi a dire ai cittadini che lasciare il Parlamento così com’è non sarebbe affatto un male? Ci si esporrebbe alla solita obiezione del voler salvare le poltrone».Secondo il professore «si congelerà la situazione per un po’ e ci si sposterà sulla legge elettorale». Su quella non c’è accordo, perché i leader «si sono accorti che il proporzionale enfatizzerebbe a dismisura quanto sta accadendo: l’imperversare di Renzi e forse, un domani, dell’amico-nemico Di Maio». Cosa fare? «Non lo sa nessuno. Qualcuno vuole un proporzionale puro; altri lo vogliono con lo sbarramento “alto” per mettere in difficoltà Renzi; altri lo sbarramento alto con la sfiducia costruttiva; qualcuno parla di doppio turno da vent’anni e continua a farlo oggi». Per prendere tempo «si allargherà il campo e si giocherà sull’abbassamento dell’età per votare, sulla base regionale per l’elezione del Senato, sui regolamenti parlamentari». Secondo Mangia, «è il solito armamentario delle riforme che gira da vent’anni senza però riuscire a cambiare granché, se non in peggio». Perché quell’armamentario «è il figlio dell’illusione che basti cambiare le regole per cambiare la politica: un’illusione che ha guidato la fase dello sperimentalismo costituzionale». Adesso è solo «materiale per una tattica parlamentare che usa spregiudicatamente la Costituzione per comprare tempo. È il cinismo della disperazione», sintetizza il professore.Alessandro Mangia inquadra con precisione il disegno politico dei 5 Stelle: «Ridurre il peso politico del Parlamento, spostare quel peso sulle consultazioni dirette – e cioè Twitter, referendum e Rousseau: tanto nella loro ottica è tutto uguale». In questo modo, si finisce per cambiare il funzionamento delle istituzioni. «Non a caso le due riforme, taglio dei parlamentari e riforma del referendum, sono sempre andate di pari passo». Tant’è vero che ora se n’è ricominciato a parlare: «Sarà la prossima frontiera». Altra mina, i cambi di casacca: il vincolo di mandato. Limitazioni che i 5 Stelle erano già riusciti a inserire nel “contratto di governo” con la Lega, e che hanno cercato di introdurre con le sanzioni ai dissidenti che abbandonano il gruppo. Il tribunale di Roma le ha già dichiarate nulle, «come è nullo ogni contratto contrario a norme imperative». Ma il rischio è dietro l’angolo: «Credete che sarebbe difficile, volendo, far partire una campagna contro i parlamentari voltagabbana che si staccano e fanno un loro gruppo o che passano da una maggioranza all’altra? È la stessa tecnica usata per il taglio ai parlamentari». Fatto quello, a che serviranno deputati e senatori? «Più a nulla. Nemmeno a schiacciare il bottone. Basterà il palmare o il telecomando». Del resto, chiosa Mangia, se è vero che se “uno vale uno”, allora “uno vale l’altro”, a prescindere dalla volontà degli elettori.Lo scellerato auto-affondamento del Parlamento, voluto da un Di Maio ridotto alla disperazione, produrrà danni incalcolabili al sistema democratico italiano. Prossimo colpo, magari: il divieto di cambiare casacca, riducendo il parlamentare a burattino. La primogenitura dell’attacco alla rappresentanza popolare «va molto più in là del governo gialloverde». Secondo Federico Ferraù «arriva fino ai “politici ladri” degli anni di Tangentopoli, passando per la “casta”, indimenticata bandiera antipolitica che tanto senso comune ha prodotto negli anni novanta e duemila». Gioele Magaldi va ancora più indietro: evoca il Piano di Rinascita Democratica della P2 e, prima ancora, il “dimagrimento” delle Camere voluto da Mussolini. «Ovvio: se i parlamentari sono pochi, il potere oligarchico nemico della democrazia li controlla più facilmente». Secondo il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, è penoso lo spettacolo dei parlamentari che corrono a decurtare le proprie file: «Siamo al cinismo della disperazione», all’autoliquidazione di chi non è più classe politica e pertanto non ha più ragione di esistere. Perché mantenerlo in vita, un Parlamento, se è solo un peso?
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A chi obbediscono le docili istituzioni del Protettorato Italia
Finalmente anche all’opinione pubblica è arrivato il problema della condizione internazionale dell’Italia come paese dominato da altri paesi – Francia e Germania – che sono in grado di imporre, anche con l’aiuto della Ue e della Bce che stringono o allargano la borsa all’Italia secondo le convenienze di Parigi e Berlino, politiche e governi contro l’interesse e la volontà nazionale. Da diversi anni vado spiegando che la funzione reale del Presidente, nell’ordinamento costituzionale e internazionale reale – ripeto: reale – è quella di assicurare alle potenze dominanti sull’Italia, paese sconfitto e sottomesso, l’obbedienza del governo e delle istituzioni elettive. Affinché possa svolgere cotale ruolo contrario al bene della nazione, il Presidente, nella struttura costituzionale, è posto al riparo della realtà e delle responsabilità politiche. Grazie a ciò può metter su governi che sa benissimo non avere il consenso del popolo, bensì quello di potentati stranieri portatori di interessi contrapposti a quelli italiani e ammantati di falso europeismo. Sia pure con differenziazioni tra loro, i sociologi della scuola italiana (Vilfredo Pareto, Gaetano Mosca, Robert Michels) ravvisano una costante, ossia una legge empirica, nella strutturazione sociale: ogni società è dominata da una élite od oligarchia e non si governa da sé.
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Perché Falcone e Borsellino saltarono in aria in quel modo
Saltarono in aria, quei giudici, perché avrebbero fatto saltare per aria il sistema. «Con Falcone arriva il segnale della pace tra Stato e mafia, mentre con la strage di via D’Amelio in cui muore Borsellino si dà il via alle leggi che azzerano i poteri della magistratura». Sul blog “Petali di Loto”, il 19 luglio 2019 – anniversario della strage di via D’Amelio – Stefania Nicoletti richiama le analisi offerte nel corso degli anni dall’avvocato Paolo Franceschetti, con l’aiuto dell’allora collega Solange Manfredi. Già legale delle “Bestie di Satana”, Franceschetti ha dedicato studi coraggiosi al fenomeno dei delitti rituali (dal Mostro di Firenze in poi), tutti “firmati” in realtà da killer dediti a forme di esoterismo degenerate in occultismo criminale. Uomini protetti da forti coperture a livello istituzionale, a volte funzionale alla strategia della tensione o comunque alla manipolazione psicologica delle masse. «Esempio: l’individuo che viene arrestato non è mai un giudice, un politico, un notaio, un medico, un ufficiale, un docente universitario. E’ sempre un contadino semi-analfabeta, una povera madre presentata come pazza, un giovane drogato e sbandato. E’ il capro espiatorio perfetto, attraverso cui far sapere alla gente che è in buone mani e non corre pericoli, visto che il potere è pulito. Invece è vero esattamente il contrario».Lo si è intuito, in modo atrocemente sanguinoso, osservando i retroscena inquinatissimi delle morti ravvicinate di Falcone e Borsellino. Dopo la seconda, in particolare, si cominciò a parlare di “trattativa Stato-mafia”. Affrontò il tema Vincenzo Calcara, uno dei pochi collaboratori di giustizia che possono veramente essere chiamati “pentiti”. «Il dottor Borsellino – scrisse, nel suo memoriale – era in possesso di verità scomode», di fronte alle quali «in tanti si devono vergognare per averlo lasciato solo al suo destino». Calcara era stato segnato dall’incontro col magistrato, che gli aveva cambiato la vita: una vera e propria redenzione morale. C’erano due piani alternativi per uccidere Borsellino, ricorda Franceschetti: il primo prevedeva l’uso di un fucile di precisione ed era affidato proprio a Calcara, mentre nel secondo caso – un’autobomba – il futuro pentito avrebbe svolto soltanto un lavoro di copertura. «Poi però da Palermo arrivò l’ordine, direttamente da Totò Riina: prima, avrebbe dovuto essere ucciso Giovanni Falcone». Così, Calcara riuscì a non uccidere l’uomo che, anni dopo, gli avrebbe salvato la vita, facendolo rinascere come essere umano. Ma Riina era veramente “il capo dei capi”, o invece era solo il “prestanome” di qualcuno molto più potente, protagonista occulto dell’infinita finita strategia delle tensione italiana?Lo stesso Riina affermò che Borsellino non sarebbe stato “condannato” dalla mafia, ma probabilmente da uomini dello Stato. E nel caso, perché mai? «Forse perché aveva capito che la cosiddetta “trattativa” non era altro che un accordo per realizzare un piano eversivo di destabilizzazione dello Stato, condotta da un “sistema criminale” composto da mafia, massoneria deviata e servizi segreti deviati?». Riguardo alla possibile manovalanza, alternativa o contigua a quella strettamente mafiosa, Solange Manfredi cita le dichiarazioni rese da un ex paracadutista della Folgore, Fabio Piselli, coinvolto nelle indagini sul rogo della nave “Moby Prince”. Una ricostruzione scioccante, che mette insieme la strage di Capaci e quella di via D’Amelio, l’autobomba fiorentina di via dei Georgofili e la bomba romana di via Fauro. Italia fragilissima, all’epoca: Tangentopoli e passaggio cruciale dalla Prima alla Seconda Repubblica, sotto le forche caudine di Bruxelles, dopo aver spazzato via – a colpi di inchieste – l’intera classe politica. Decisivo, secondo Solange Manfredi, il ruolo nefasto di una sigla-fantasma ma onnipresente, in quegli anni: la Falange Armata.Esisteva dal 1985, sembra, ma compare per la prima volta soltanto il 4 gennaio 1991, quando a Bologna vengono uccisi tre carabinieri nel quartiere del Pilastro. L’ultima apparizione mediatica è del 27 novembre 1994, con il seguente comunicato: “Di Pietro è un uomo morto”. Di mezzo ci sono Falcone e Borsellino, le minacce a Di Pietro per le indagini su Craxi, un’autobomba scoperta a Roma in via dei Sabini a cento metri da Palazzo Chigi, il palagiustizia di Padova dato alle fiamme. Il 19 luglio ‘92, la Falange Armata rivendica l’attentato costato la vita a Borsellino. Un anno dopo, il 16 settembre del ‘93, la Procura di Roma individua in 16 ufficiali del Sismi i telefonisti che rivendicarono le azioni della fantomatica sigla terroristica. Cos’era, la Falange Armata? Secondo l’ex parà Fabio Piselli, «è stata una operazione modello, continuata e mai inquinata, compartimentata e soprattutto posta in sonno e mai disattivata da parte di un organo inquirente o ispettivo». In questo modo «ha raggiunto i propri obiettivi». Dopodiché “l’operazione” «è stata semplicemente conclusa», e i suoi “operativi”, di fatto, «hanno continuato a fare il proprio lavoro», dedicandosi ad altre mansioni e lasciando gli inquirenti impegnati a inseguire una falsa pista, cioè «una “organizzazione”, e non una semplice “operazione”».Risultato scontato: indagini finite in un nulla di fatto, «o con l’arresto di mere, ignare pedine, o di qualche povero innocente sacrificato per confondere gli inquirenti, il quale si è fatto qualche mese di galera ingiustamente e la cui vita è stata rovinata». Omicidi, rapine, attentati, sequestri. E poi: infiltrazioni in attività militari e politiche, trafugamento di armi dello Stato, addestramento di civili in attività militari. Ancora: spionaggio politico e militare, intercettazioni illegali, violazione e utilizzo del segreto d’ufficio, peculato, attentato alla democrazia. «E’ ciò che l’operazione Falange Armata ha posto in essere fra il 1985 ed il 1994 attraverso gli operatori, attivati singolarmente o in piccole squadre», dice Piselli. E’ tutto? No, certo. Sulla “trattativa”, la prima indagine fu archiviata nel 2000 per decorrenza dei termini, ricorda Franceschetti, prima che Antonio Ingroia riaprisse il caso, su cui ormai si sono scritti fiumi di inchiostro. Quello di cui invece Franceschetti è rimasto l’unico a parlare, invece, è un dettaglio sfuggente: il ricorrere – veramente impressionante – delle stesse modalità simboliche che costellano i fatti di sangue “mediatici”, sia gli attentati terroristici che molti delitti in apparenza comuni, destinati alla semplice cronaca nera.Dopo anni di ricerche, Franceschetti ha individuato una “firma” ancora più elusiva di quella della Falange Armata: è la Rosa Rossa, specializzata in delitti rituali anche eccellenti, come quelli del cantante Rino Gaetano e del ciclista Marco Pantani. Personaggi da “punire” secondo lo schema – dantesco – della “legge del contrappasso”, attraverso modalità maniacalmente simboliche, a partire dai nomi dei luoghi (mai casuali) e delle date in cui i delitti si consumano. La morte come tragico cerimoniale, in cui si mette in scena – capovolgendolo – ciò che il malcapitato aveva rappresentato, in vita. Gaetano? Vittima di uno stranissimo incidente stradale, soccorso da una strana ambulanza e morto dissanguato dopo esser stato rifiutato da quattro diversi ospedali – esattamente come nella “Canzone di Renzo”, uscita postuma, in cui saranno gli stessi assassini a portare a spalle la bara. Pantani? Ucciso al residence “Le Rose” di Rimini. Accanto al corpo, un biglietto: “Oggi le rose sono contente, e la rosa rossa è la più contata”. A chi dava fastidio, Pantani? Al business del doping, che coinvolge potenti ambienti massonici: droghe prodotte nei laboratori di Big Pharma, testate sui ciclisti e poi immesse sul mercato (anche quello della guerra, destinate ai soldati).E Rino Gaetano? Nel brano “Nuntereggae più” cita Vincenzo Cazzaniga, storico percettore dei fondi neri Usa indirizzati alla Dc, mentre nella canzone “Mio fratello è figlio unico” menziona “il rapido Taranto-Ancona”, che poi le indagini sugli anni di piombo avrebbero rivelato essere “il treno delle spie”, usato dai servizi deviati per trasportare gli esplosivi destinati alle stragi nelle piazze. Secondo Franceschetti, neppure Falcone e Borsellino sono sfuggiti al lugubre copione simbolico del “contrappasso”: riferendosi all’inferno della Divina Commedia, «la persona da eliminare morirà secondo la logica di far patire alla vittima il “peccato” che questa avrebbe commesso». Un classico: «Molti dei testimoni del disastro di Ustica, il Dc-9 dell’Itavia abbattuto, moriranno in un incidente aereo». Lo stesso Fabio Piselli, testimone dell’incendio della “Moby Prince”, è caricato su un’auto che poi viene incendiata: doveva quindi morire in un rogo, anche lui. Oppure il caso del perito Luciano Petrini: stava facendo una perizia sulla strana fine del colonnello Mario Ferraro, del Sismi, trovato impiccato all’asciugamani del bagno. Ebbene, Petrini morirà a colpi di portasciugamani».La casistica esaminata da Franceschetti è davvero vasta. L’antropologa Cecilia Gatto Trocchi, che smascherava crimini di matrice esoterica, volò dal balcone: «Chi sale troppo in alto, viene gettato dall’alto». Le vie dei killer sono pressoché infinite: «Qualcuno può morire fulminato dalla corrente elettrica come il giovane contestatore siciliano Giuseppe Gatì, perché il fulmine simboleggia la folgore di Zeus che punisce la persona che ha osato troppo». E la chiave simbolica della spaventosa morte di Falcone e Borsellino, entrambi dilaniati dall’esplosivo? Tragicamente semplice: «Li hanno fatti letteralmente saltare in aria, perché quei due stavano per far saltare in aria il sistema parallelo che collega la mafia alla parte oscura del potere ufficiale». Falcone, innanzitutto, «doveva morire in Sicilia – e non a Roma, dove sarebbe stato più facile assassinarlo – perché proprio sull’isola si erano svolte le sue indagini: la regola del contrappasso esigeva quindi che morisse nella stessa terra ove aveva “peccato”». Inoltre, aggiunge Franceschetti, «doveva saltare in aria in modo eclatante, proprio perché voleva far saltare il sistema». Attenzione: «Falcone aveva capito che il fulcro del sistema criminale in Italia non è la mafia. E’ lo Stato. E sono le banche. Quindi doveva saltare in aria perché l’esplosione con cui muore fa da contrappasso all’esplosione che lui voleva assestare al “sistema”».Non è casuale neppure la scelta del luogo dell’agguato: «Falcone è morto a Capaci, a simboleggiare che chiunque sia “capace”, deve morire». La cosa può suonare ridicola, ammette Franceschetti, ma suggerisce di riflettere sul fatto che «stiamo parlando di un’associazione che non lascia nulla al caso, neanche i nomi delle persone che vengono messe in determinate posizioni di vertice politico, finanziario, o amministrativo». C’è anche dell’altro, dietro al nome Capaci: la cittadina prese il nome dalla parola “pace” (Capaci, “cca-paci”) per siglare la fine di una leggendaria punizione, la reclusione sulla vicina Isola delle Femmine di 13 fanciulle. Scoppierà una “pace”, dopo “l’attentatone” costato la vita a Falcone e alla sua scorta? «Esatto: non a caso, come risulta dalla sentenza sulla strage di via dei Georgofili (che riuniva in un solo processo ben sette stragi, commesse a Firenze, Milano e Roma) e dalla sentenza sul Capitano Ultimo, dopo la strage di Capaci venne avviata la famosa trattativa tra Stato e mafia, di cui si fece portavoce il generale Mario Mori, per raggiungere, appunto, la pace». Probabilmente, aggiunge Franceschetti, la morte così eclatante di Falcone «segna anche, simbolicamente, uno spartiacque tra il vecchio metodo di eliminazione dei magistrati (ucciderli) e quello nuovo (delegittimarli). Non più attentati, quindi, ma le cosiddette “armi silenziose per una guerra tranquilla”».La morte di Falcone simboleggia quindi una storica tregua? Fateci caso: dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio, la mafia siciliana sembra quasi non esistere più: finiscono in carcere Riina e Provenzano, imprendibili per decenni, dopodiché cala il silenzio. «Addirittura, l’allora procuratore antimafia Pietro Grasso è andato al “Maurizio Costanzo Show” a declamare gli immensi successi dello Stato sulla mafia», ormai ridotta – secondo lui – al lumicino. Ricapitolando, il simbolismo della strage di Capaci è: auto, esplosione, Isola delle Femmine, Capaci. «Il probabile significato: Falcone voleva far saltare il sistema (esplosione), quindi dal cielo (auto) arriva la punizione che lo fa saltare in aria; dopodiché dovrà scendere la pace, tra lo Stato e la mafia (Capaci). Così muoiono le persone capaci di arrivare al cuore del sistema». Non è tutto: «A firmare la strage, ci sono due elementi: il gruppo di mafiosi si era posizionato sulla collina vicino Capaci; e la collina si chiama “Raffo Rosso“, ove raffo in ebraico significa “Dio che guarisce”. RR, firma della Rosa Rossa». L’organizzazione di cui parla Franceschetti si ispirerebbe – in modo deformato e deviato – alla confraternita sapienziale inziatica dei Rosa+Croce? Eccola: «La moglie di uno degli agenti di scorta, la donna straziata che fece il famoso discorso ai funerali, si chiama Rosaria Costa: le iniziali, RC).E Borsellino? «Fu ucciso nello stesso modo, anzitutto perché aveva seguito le orme dell’amico. Poi perché anche lui, col Memoriale Calcara, aveva avuto notizie che erano in grado di far saltare il sistema». Non mancano ulteriori indizi simbolici: «Credo che un aspetto della simbologia della sua morte vada trovata anche nella via dove avvenne l’esplosione, via Mariano D’Amelio: un politico che fece leggi sulla magistratura. Chiaro il messaggio: la magistratura deve essere azzerata». Dopo quelle orrende mattanze, «inizialmente sembrò che la magistratura acquistasse più poteri, e che lo Stato volesse realmente fare la guerra alla mafia». Nacque infatti lo strumento del 41 bis, il carcere duro per i mafiosi, e ci furono alcuni ritocchi al codice di procedura penale. «Ma poco dopo – aggiunge Franceschetti – arrivarono leggi che, di fatto, azzerarono il potere della magistratura riducendolo ad un formalismo vuoto, cosicché oggi l’80% dei reati cade in prescrizione, e per reati gravissimi vengono comminate pene ridicole». Sparì di fatto il reato di falso in bilancio, scomparve l’ergastolo per il reato di “attentato agli organi costituzionali”, si cercò di limitare le intercettazioni. Di fatto, dopo la morte di Borsellino, scattò «un’opera sistematica di demolizione dei poteri dei magistrati». Fantasie? Non esattamente, purtroppo.Saltarono in aria, quei giudici, perché avrebbero fatto saltare per aria il sistema. «Con Falcone arriva il segnale della pace tra Stato e mafia, mentre con la strage di via D’Amelio in cui muore Borsellino si dà il via alle leggi che azzerano i poteri della magistratura». Sul blog “Petali di Loto”, il 19 luglio 2019 – anniversario della strage di via D’Amelio – Stefania Nicoletti richiama le analisi offerte nel corso degli anni dall’avvocato Paolo Franceschetti, con l’aiuto dell’allora collega Solange Manfredi. Già legale delle “Bestie di Satana”, Franceschetti ha dedicato studi coraggiosi al fenomeno dei delitti rituali (dal Mostro di Firenze in poi), tutti “firmati” in realtà da killer dediti a forme di esoterismo degenerate in occultismo criminale. Uomini protetti da forti coperture a livello istituzionale, a volte funzionale alla strategia della tensione o comunque alla manipolazione psicologica delle masse. «Esempio: l’individuo che viene arrestato non è mai un giudice, un politico, un notaio, un medico, un ufficiale, un docente universitario. E’ sempre un contadino semi-analfabeta, una povera madre presentata come pazza, un giovane drogato e sbandato. E’ il capro espiatorio perfetto, attraverso cui far sapere alla gente che è in buone mani e non corre pericoli, visto che il potere è pulito. Invece è vero esattamente il contrario».