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Della Luna: ci tocca smascherare l’Ue e attaccare per primi
«Il governo Salvini-Di Maio rischia di essere mitragliato, se resta a metà del guado». Gli interessi economici che stanno dietro Ue e Bce – scrive Marco Della Luna – già si muovono per denigrare, delegittimare e sgambettare il nuovo governo, nato dalla resistenza al loro potere e alle loro pratiche. «Cercheranno di coglierlo in fallo, di tendergli agguati, di dividerlo comprandone parti, e di farlo cadere, così da completare la sottrazione dell’autonomia politica e delle risorse economiche delle nazioni, iniziando con quelle più vulnerabili e incravattabili, come l’Italia». Perciò questo governo «può vincere la partita solo se attaccherà per primo», ovvero: se, dopo la fase di insediamento, «metterà a nudo e delegittimerà quegli stessi interessi prima i essere fatto fuori da essi, rovesciando il loro tavolo». Quindi, secondo Della Luna, deve «smettere di fare l’europeista benpensante, sostituire i corpi estranei al suo interno e cantar chiara la verità a quella gente che dovrà sostenere il contrattacco dei “mercati” (della Bce, dell’Eurogruppo, del rating)». Il governo gialloverde «dovrà anche lavorare – assieme agli altri governi “populisti” e agli Usa – non a riformare un ordinamento eurocratico (Ue, euro) che non è riformabile perché è nato proprio per quello che sta facendo, e neppure a prepararsi per uscire da esso unilateralmente – cosa che sarebbe devastante – ma invece a farlo crollare così da liberarsene tutti, per ritrovare la libertà politica, il diritto dei cittadini a un voto effettivo, e usarla per costruire un’Europa diversa (se possibile), cioè per le nazioni e non per gli usurai e per gli autocrati irresponsabili».Secondo Della Luna, è necessario che il governo Conte si ritiri anche dal Trattato di Velsen, «per prevenire che, in caso di caduta del governo e di sommosse popolari più o meno spontanee, ci arrivi la polizia militare antisommossa Eurogendfor a reprimere e a instaurare la dittatura degli usurai stranieri». Se Lega e 5 Stelle indugeranno invece a metà del guado, senza spiegare chiaramente ciò che è l’Unione Europea, che interessi serve e che scopo ha, fingendo che essa sia rinegoziabile e riformabile, che possa diventare “democratica” anziché autocratica, allora – insiste Della Luna – quei medesimi interessi «li faranno fuori con attacchi mediatici, giudiziari e finanziari – come hanno fatto fuori tutti coloro che cercarono di portare avanti una politica di interesse nazionale italiano: Mattei, Moro, Craxi». La chance dei gialloverdi – ripete l’avvocato Della Luna, autore di saggi assai critici sull’euro-sistema – sta in questo: «Delegittimare, prima di essere delegittimati e poi rottamati». In sintesi: «Se continueranno a lungo a fare i moderati per farsi accettare, sono fritti. O attaccano l’Ue e l’euro, e fanno la storia; oppure si allineano per le poltrone». Scoprire i giochi – aggiunge Della Luna – significa iniziare a spiegare all’opinione pubblica quello a cui l’Europa è servita – ad esempio raccontando, come ha fatto D’Alema, che la Bce prestava i soldi allo 0,75% ai banchieri francesi e tedeschi, i quali a loro volta usavano quel denaro per comprare i titoli del debito pubblico greco che pagavano il 15% di interesse «e corrompevano i governanti greci affinché facessero debito pubblico anche per comprare prodotti tedeschi come le navi da guerra».La storia è tristemente nota: quando la Grecia non ce l’ha più fatta a pagare gli interessi usurari, «l’Unione Europea ha imposto all’Italia e ad altri paesi di prestare soldi alla Grecia a un tasso inferiore a quello a cui li prendevano prestito – non per aiutare la Grecia, ma per far realizzare ai predetti banchieri i loro incassi usurari, anziché arrestarli (modelli analoghi sono stati applicati a Spagna, Portogallo, Irlanda)». Questo, aggiunge Della Luna, è quello che ha fatto innanzitutto Monti, tassando i beni immobili e facendone crollare il valore di circa un terzo, cioè di circa 2.000 miliardi, «che sono stati distrutti come patrimonio nazionale; e per far questo egli era stato messo a Palazzo Chigi e nominato senatore a vita». Ergo, «bisogna far capire alla gente che l’Ue è una costruzione progettata e realizzata dagli usurai per realizzare una usura radicale fino al totale svuotamento dei risparmi e degli assets dei paesi sottomessi». Per questo, secondo l’avvocato, il potere di Bruxelles «non è riformabile». Negoziare? Serve solo a «far emergere più visibilmente la sua non-riformabilità». Discorsi ieri impossibili da proporre, ma oggi non più: «Credo che gli ultimi avvenimenti abbiano predisposto l’opinione pubblica a capire», sostiene Della Luna, citando il caso di Mattarella: bocciando l’euroscettico Savona sotto pressione dell’Ue e della Bce, il Quirinale «ha fatto percepire come, riforma dopo riforma, senza che fosse dichiarato, il paese è stato portato a una degradata condizione di dipendenza e sottomissione a interessi esterni, tale da impedirgli di uscire dalla rotta prestabilita e da vanificare quindi la volontà del suo elettorato».Giuseppe Conte è in precario equilibrio tra “rassicuratori” euro-allineati e fautori dello strappo con l’Ue? Finora non ha chiarito quali misure adotterà in concreto, qualora i partner europei egemoni rifiutassero di rinegoziare i trattati, a cominciare da quelli sull’euro e sui migranti. «Se si va a trattative senza prospettare contromisure in caso di indisponibilità della controparte, non si ottiene un fico secco», taglia corto Della Luna. «Lega e 5 Stelle non hanno per il momento spiegato agli italiani che la situazione di sudditanza e squilibrio a danno dell’Italia, che essi vogliono cambiare rinegoziando i trattati comunitari, non si è creata per errore o per accidente». E’ stata invece «creata deliberatamente e programmaticamente, da precisi interessi, secondo un itinerario prestabilito molto tempo fa». Sicché, per cambiare le regole serve una forza superiore a quella che sostiene gli interessi contrari all’Italia. Dov’è questa forza? «Può venire solo da un’operazione di smascheramento del progetto eurocratico, che si colleghi a una ribellione concertata col gruppo di Visegrad, con l’Austria, con gli Usa». Un’operazione «diretta ad abbattere l’Ue e l’euro», bonificando il sistema da «speculatori e nuovi kapò franco-tedeschi».Secondo Della Luna, la nuova maggioranza «sta lasciando inespressa, non comunicata e non proposta al dibattito pubblico, la dinamica di fondo, in cui si colloca anche l’insieme delle caratteristiche nocive della costruzione comunitaria». La coalizione gialloverde «non ha ancora detto alla gente che, semplicemente, le cose che non vanno bene non sono venute in essere perché le hanno volute i tedeschi oppure una lobby di banchieri internazionali oppure di tecnocrati a Bruxelles». Salvini e Di Maio non hanno ancora detto a chiare lettere che queste regole-capestro «servono e corrispondono all’interesse del capitale finanziario internazionale che guida i processi di riforma». Per massimizzare il proprio potere e per conformare il mondo e le società e ai propri interessi, il neoliberismo ha bisogno precisamente di questo, «ossia di creare una dipendenza unilaterale della politica, delle nazioni e delle singole persone (togliendo loro le scelte politiche e lasciando esistere un simulacro di democrazia solo finché rimane nei binari voluti dal capitale) dal cartello bancario privato che produce e concede moneta e credito». Risultato raggiunto «togliendo agli Stati la sovranità monetaria e sottoponendoli alla pressione irresistibile del rating del loro debito pubblico». La ricetta di Della Luna? Denunciare il mostro, e attaccare per primi.«Il governo Salvini-Di Maio rischia di essere mitragliato, se resta a metà del guado». Gli interessi economici che stanno dietro Ue e Bce – scrive Marco Della Luna – già si muovono per denigrare, delegittimare e sgambettare il nuovo governo, nato dalla resistenza al loro potere e alle loro pratiche. «Cercheranno di coglierlo in fallo, di tendergli agguati, di dividerlo comprandone parti, e di farlo cadere, così da completare la sottrazione dell’autonomia politica e delle risorse economiche delle nazioni, iniziando con quelle più vulnerabili e incravattabili, come l’Italia». Perciò questo governo «può vincere la partita solo se attaccherà per primo», ovvero: se, dopo la fase di insediamento, «metterà a nudo e delegittimerà quegli stessi interessi prima i essere fatto fuori da essi, rovesciando il loro tavolo». Quindi, secondo Della Luna, deve «smettere di fare l’europeista benpensante, sostituire i corpi estranei al suo interno e cantar chiara la verità a quella gente che dovrà sostenere il contrattacco dei “mercati” (della Bce, dell’Eurogruppo, del rating)». Il governo gialloverde «dovrà anche lavorare – assieme agli altri governi “populisti” e agli Usa – non a riformare un ordinamento eurocratico (Ue, euro) che non è riformabile perché è nato proprio per quello che sta facendo, e neppure a prepararsi per uscire da esso unilateralmente – cosa che sarebbe devastante – ma invece a farlo crollare così da liberarsene tutti, per ritrovare la libertà politica, il diritto dei cittadini a un voto effettivo, e usarla per costruire un’Europa diversa (se possibile), cioè per le nazioni e non per gli usurai e per gli autocrati irresponsabili».
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Magaldi: Galloni e Rinaldi nei ministeri, contro la tecnocrazia
Tecnici per la democrazia e contro la tecnocrazia: come il leghista Armando Siri, appena nominato sottosegretario alle infrastrutture. Ma nella squadra ci sono anche gli economisti Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi, insieme a Claudio Quaranta e Aldo Storti. Nomi caldamente raccomandati da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in piena trasparenza: ci stiamo adoperando, spiega, per inserire personaggi-chiave nella nuova macchina governativa. Obiettivo: «Supportare il governo Conte e i suoi ministri, lungo l’esaltante ma insidiosissima traiettoria che li attende». Secondo Magaldi, servono esperti e tecnici di grande spessore anche nei gangli più decisivi e meno in vista, costituiti dalle super-burocrazie ministeriali: capi di gabinetto, dirigenti generali, funzionari superiori. «Hanno il compito fondamentale di supportare i membri dell’esecutivo giallo-verde nel conseguimento dei loro importanti obiettivi». Per far funzionare adeguatamente le macchine ministeriali del nuovo governo – economia e sviluppo economico, lavoro e politiche sociali, infrastrutture e trasporti, affari europei – secondo Magaldi «occorrono degli esperti-tecnici ispirati da un ideale di democrazia sostanziale, da una ferrea lealtà istituzionale verso la Costituzione repubblicana e da un’attenzione sollecita verso l’interesse del popolo sovrano».Nomi autorevoli, che sempre «sarebbero utilissimi al back-office ministeriale del governo Conte», come anticipato dallo stesso Magaldi a “Colors Radio”, nel formulare la prima “cinquina”. Il primo della lista è ovviamente Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: economista post-keynesiano allievo di Federico Caffè, Galloni è stato un altissimo dirigente del back-office ministeriale italiano, già impegnato a contrastare l’impianto del Trattato di Maastricht, denunciato come sfavorevole all’Italia. Poi c’è Antonio Maria Rinaldi, altro docente universitario, allievo di Paolo Savona e creatore del newsmagazine “Scenari Economici”: già consulente e collaboratore di diverse banche private e della Consob, Rinaldi è stato anche direttore generale della Sofid, società “capogruppo finanziaria” dell’Eni. Altro nome: Claudio Quaranta, già importante funzionario in aziende del gruppo Iri, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale malamente smantellato a suo tempo da Romano Prodi. Quaranta è un esperto di risorse umane e organizzazione gestionale; oggi è l’amministratore unico di Ics Group e coordinatore del progetto politico “Unione di Scopo”.Armando Siri? «Particolarmente adatto a un incarico viceministeriale, in questa fase», l’ha definito Magaldi, a poche dalla nomina. Per il futuro, il presidente del Movimento Roosevelt vede in Siri «un eccellente ministro dell’economia e finanze, o un titolare di altri dicasteri importanti». Neo-senatore eletto nelle fila della Lega, è l’ispiratore e curatore della «originalissima e benemerita» Scuola Politica del Carroccio. Magaldi considera Siri «tra i più importanti artefici della svolta della Lega in senso nazionale e della trasformazione del suo paradigma politico-economico in senso post-keynesiano, con inclusa proposta della Flat Tax: elementi “social”, quindi, positivamente contaminati con suggestioni autenticamente “liberali” di riduzione drastica delle aliquote fiscali». L’ultimo nome della “prima cinquina” proposta da Magaldi è quello di Aldo Storti, socio fondatore del Movimento Roosevelt nel 2015: ingegnere versato anche in studi umanistici, Storti è definito «intellettuale raffinato e studioso di tradizioni sapienziali occidentali e orientali». E’ il responsabile della regia tecnica della “Scuola politica della Lega”, nonché consulente in scienza della comunicazione e analisi socio-politiche. «La prospettiva pedagogica e culturale di area rooseveltiana – chiosa Magaldi – intende promuovere un nuovo ethos politico-civile». Tradotto: anziché tramare nell’ombra per le poltrone, è il caso di podurre esternazioni trasparenti, per rendere pubblico ciò che solitamente viene detto solo in privato.Tecnici per la democrazia e contro la tecnocrazia: come il leghista Armando Siri, appena nominato sottosegretario alle infrastrutture. Ma nella squadra dei virtuosi ci starebbero anche gli economisti Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi, insieme a Claudio Quaranta e Aldo Storti. Nomi caldamente raccomandati da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in piena trasparenza: ci stiamo adoperando, spiega, per inserire personaggi-chiave nella nuova macchina governativa. Obiettivo: «Supportare il governo Conte e i suoi ministri, lungo l’esaltante ma insidiosissima traiettoria che li attende». Secondo Magaldi, servono esperti e tecnici di grande spessore anche nei gangli più decisivi e meno in vista, costituiti dalle super-burocrazie ministeriali: capi di gabinetto, dirigenti generali, funzionari superiori. «Hanno il compito fondamentale di supportare i membri dell’esecutivo giallo-verde nel conseguimento dei loro importanti obiettivi». Per far funzionare adeguatamente le macchine ministeriali del nuovo governo – economia e sviluppo economico, lavoro e politiche sociali, infrastrutture e trasporti, affari europei – secondo Magaldi «occorrono degli esperti-tecnici ispirati da un ideale di democrazia sostanziale, da una ferrea lealtà istituzionale verso la Costituzione repubblicana e da un’attenzione sollecita verso l’interesse del popolo sovrano».
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La Gruber al Bilderberg, Mazzucco: davvero ve ne stupite?
Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.Nulla che, ovviamente, possa sperare di perforare il muro di gomma della cosiddetta informazione televisiva, nonostante il ruolo anche istituzionale del politico maltese – europarlamentare dal 2013. Ma appunto: qualcuno si aspetta, davvero, che Lilli Gruber e soci si mettano, di punto in bianco, a raccontare qualcosa che assomigli alla verità? Certo che no, rispondono ormai 3 italiani su 4: secondo l’ultimo sondaggio targato Pew Research, l’Italia è il paese europeo con meno fiducia, in assoluto, nei propri media mainstream, cartacei e radiotelevisivi. I soloni di “Repubblica” e del “Corriere”? Possono, appunto, continuare a pontificare a reti unificate nei salotti come quelli della Gruber, ma il prestigio dei loro giornali è in caduta libera, così come loro vendite. Secondo i ricercatori statistici, ormai l’Italia “gialloverde” la verità se la cerca altrove: il 50% del campione ammette di informarsi direttamente sul web, se vuol tentare di capire cosa sta succedendo nel paese e nel resto del mondo. Un italiano su due – come confermato platealmente dal risultato elettorale – sa benissimo che non può più fidarsi della “fabbrica delle fake news” denunciata magistralmente da Marcello Foa, nel saggio “Gli stregoni della notizia” che smaschera le bufale “vendute”, una dopo l’altra, dai grandi media.La Gruber al Bilderberg? Siamo seri, sottolinea Mazzucco: se il più malfamato club finanziario del mondo pubblica le liste degli invitati e pure l’ordine del giorno per il summit di Torino, significa che poi tanto segreto non è. «Esistono, le vere società segrete? Certamente. E in quanto tali, appunto, agiscono nella massima segretezza: non c’è caso che possiamo venire a sapere quello che combinano». Ma attenzione, avverte Mazzucco: «Il fatto che qualcuno provi a cambiare il mondo segretamente, non significa che poi ci riesca». Il nuovo ordine mondiale? Un progetto in pieno corso, ma non lineare: ci sono complotti, provocazioni, forzature. Ma non è un’unica piramide: anche ai vertici, ci sono spaccature profonde. «E poi esistono contropoteri, popoli, elezioni. Nel nostro piccolo ci siamo anche noi, che – facendo informazione – possiamo fare la nostra parte per limitare i danni provocati dalla manipolazione». La tesi della “massoneria buona” opposta a quella “cattiva”? «Perfettamente coerente con la divisione fondamentale dell’umanità: da una parte chi vuol tenere tutto per sé, e dall’altra chi tende, per indole e per cultura, a essere più generoso e democratico». L’importante, dice Mazzucco, è non dimentare mai che la storia non procede per linee rette. E comunque, nella storia, ci siamo anche noi.Ma davvero abbiamo bisogno di leggere che Lilli Gruber partecipa al salotto del Bilderberg per scoprire che la sua attendibilità è condizionata? Non ci arriviamo, da soli, a supporre che la Gruber parli regolarmente con qualcuno – non necessariamente il famigerato Bilderberg – prima di decidere cosa raccontarci, che tipo di contenuti somministrarci e quale genere di ospiti propinarci, invariabilmente, ogni sera? Insomma: va bene tutto, ma ormai siamo piuttosto grandicelli per fare i nostri ragionamenti, al di là del solito gossip complottistico e decisamente naif, pronto a scatenarsi non appena l’ombra del “diavolo” compare all’orizzonte. E’ lo sfogo, in apparenza semiserio ma in realtà serissimo, che Massimo Mazzucco affida agli ascoltatori di Fabio Frabetti, animatore di “Border Nights” e della diretta web-streaming “Mazzucco Live”, il sabato pomeriggio su YouTube. Un’occasione per riflettere su aspetti inesplorati del giornalismo, inclusi i risvolti recentissimi dell’attualità politica. «Salvini? E’ partito bene: impeccabile la sua denuncia dell’atteggiamento di Malta. Perché mai le navi-soccorso che passano davanti all’isola non vi sbarcano mai i migranti raccolti in mare, preferendo dirottarli in Italia?». Lo svelò un leader dell’opposizione maltese, Simon Busuttil: il governo Renzi sottoscrisse un patto segreto, in base al quale Malta smista su Lampedusa i naufraghi, e in cambio concede all’Italia il permesso di effettuare trivellazioni petrolifere.
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Massoni, manovre, bugie e omissioni sull’Italia gialloverde
Un presidente della Repubblica che ammette a reti unificate che il paese è ostaggio dei mercati finanziari privati. L’oligarchia euro-tedesca che minaccia apertamente la fine dell’Italia. E l’uomo di Trump che si precipita a Roma per ostacolare i terminali di Berlino e, infine, premere in senso opposto sull’establishment conservatore. Obiettivo: far nascere un governo ibrido e sotto ipoteca, con promesse impossibili da mantenere senza prima scardinare il paradigma teologico europeista del rigore suicida, imposto a mano armata dalla massoneria reazionaria che ha in mano la governance della Germania, della Bce e dell’Unione Europea. L’analista geopolitico Federico Dezzani sottolinea il ruolo di primo piano svolto dall’asse angloamericano nella crisi italiana, evidenziando le mosse di Steve Bannon e dell’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg, che ha incontrato Salvini e Di Maio a fine marzo. Quindi i britannici: «Lo stesso Movimento 5 Stelle è un prodotto più inglese che americano, come dimostrano la lunga carriera di Gianroberto Casaleggio presso il colosso dell’informatica inglese Logica Plc e il doppio passaporto, italiano e britannico, del figlio Davide». Sempre secondo Dezzani, Londra ha giocato un ruolo decisivo nella nascita del governo giallo-verde «attraverso il “protestante” Jorge Mario Bergoglio che, a sua volta, ha schierato l’ancora influente Conferenze Episcopale Italiana».
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Email privata, il Corriere ‘brucia’ Savona: attacca Mattarella
«Mattarella non ha capito che ormai il popolo si è ribellato e deve dare una risposta». Firmato: Paolo Savona. A diffondere l’email è Massimo Franco, editorialista del “Corriere della Sera” e ospite fisso di Lilli Gruber su La7. Un elegante, impeccabile esponente di quell’establishment – composto da personalità come quelle di Paolo Mieli e Massimo Cacciari – mai espressosi, finora, né in termini analitici sull’economia dell’Eurozona, né tantomeno sulle rivelazioni ormai conclamate riguardo all’identità “supermassonica” del potere europeo, che attraverso istituzioni come la Bce e la Banca d’Italia condiziona la formazione di qualsiasi governo. Il 31 maggio, mentre è in corso l’ultima trattativa in extremis tra Salvini e Di Maio per riesumare il governo “gialloverde” (su pressione degli Usa, secondo “Il Sussidiario”), Massimo Franco provvede a rompere le uova nel paniere, con una “notizia” che potrebbe seppellire l’eventuale, ulteriore spendibilità del nome di Savona. «L’email è arrivata ieri – scrive Franco – allegata a quella di un amico che rivolgeva al “Corriere” critiche al limite dell’insulto. È datata 23 maggio, e reca l’indirizzo di posta elettronica del professor Paolo Savona, candidato al ministero dell’economia per conto della Lega».In risposta agli encomi sinceri e sperticati del suo interlocutore, il professore scriverebbe: «Il mio silenzio sdegnoso li offende più di una risposta». Mattarella? Non avrebbe compreso che ormai gli italiani si sono ribellati allo strapotere dell’élite: è necessario dare una riposta politica esauriente agli elettori. «È la conferma di un’irritazione profonda e covata a lungo nei confronti del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella», scrive Franco, che attribuisce a Savona «una netta scelta di campo». All’inquilino del Quirinale, aggiunge l’editorialista, Savona non perdona «di avere bocciato l’indicazione ultimativa di Salvini a suo favore, per l’ostilità dichiarata e storica alla moneta unica europea, alla Bce di Mario Draghi, al Trattato di Maastricht». Come dire: Paolo Savona ha gettato la maschera, anche se poi il 27 maggio aveva rotto il suo «sdegnoso silenzio» per denunciare la «scomposta polemica» sul suo nome, aggiungendo poi – il giorno seguente – un comunicato nel quale denunciava: «Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del paese, sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro». Come dire: Paolo Savona non era sincero, nascondeva il suo vero progetto. Meditava di uscire dall’euro in gran segreto, una volta raggiunta la poltrona di ministro dell’economia.Il problema – aggiunge Massimo Franco – è che a ospitare le sue parole è stato il sito “Scenari Economici”, che «osserva l’euro e i vincoli finanziari sottoscritti dall’Italia con l’Ue come una sciagura». Da quel pulpito digitale, prosegue con gratuito sarcasmo l’editorialista, Savona aveva già scritto una lettera al capo dello Stato il 22 agosto del 2015 intimandogli: «No a cessioni di sovranità», che sempre Massimo Franco definisce «un attacco insieme a Mattarella, alla Bce di Draghi e alla Germania». Ma soprattutto, poche settimane dopo, il 5 ottobre del 2015, lo stesso Savona aveva presentato, sempre su “Scenari Economici”, una “Guida pratica all’uscita dall’euro”, dopo 16 anni di drammatica crisi economica imposta all’Italia da una moneta unica governata da un’oligarchia bancaria privata. Basandosi su un rapporto della multinazionale finanziaria giapponese Nomura e dell’economista britannico Roger Bootle, Savona spiegava in che modo – come extrema ratio – sopravvivere a una eventuale fuoriuscita dall’euro: segretezza e non divulgazione, per evitare fughe di capitali in previsione di una svalutazione tra il 15 e il 25%, mettendo in campo contromisure per ridurre il boom dello spread e il crollo della Borsa, il pericolo della speculazione e di rappresaglie da parte dell’Eurozona.Perfettamente in linea con la “politica della paura” ufficializzata da Mattarella, a proposito delle “rivelazioni” su Savona, Massimo Franco Scrive: «Insomma, uno scenario da incubo, che secondo il professore poteva essere attutito con una procedura segreta, affidata a pochi funzionari-chiave delegati a preparare l’uscita in un mese; a comunicarla agli alleati della zona euro e alle organizzazioni monetarie internazionali di venerdì, a Borse chiuse; per poi reintrodurre la Lira dal lunedì successivo. Senza escludere un default e una riduzione unilaterale del debito italiano per i nostri creditori». L’uscita dall’euro non era neppure lontanamente ipotizzata dal “contratto” di governo firmato da Di Maio e Savini, ma evidentemente per il “Corriere della Sera” non conta: al giornalone, pronto a genuflettersi nel 2011 davanti a Mario Monti, plaudendo alla riforma Fornero e alla rottamazione dell’economia italiana, oggi interessa soprattutto che Paolo Savona resti fuori dall’eventuale governo. Il “Corriere della Sera”, del resto, è uno dei cardini del mainstream mediatico italiano, ancora tramortito dal crollo del Pd e dal boom dei 5 Stelle e della Lega. Un’élite post-giornalistica reticente e omertosa, ancora incredula di fronte agli eventi e spaventata dallo scetticismo degli italiani, che ormai ai giornali tendono a non credere più.«Mattarella non ha capito che ormai il popolo si è ribellato e deve dare una risposta». Firmato: Paolo Savona. A diffondere la presunta email è Massimo Franco, editorialista del “Corriere della Sera” e ospite fisso di Lilli Gruber su La7. Un elegante, impeccabile esponente di quell’establishment – composto da personalità come quelle di Paolo Mieli e Massimo Cacciari – mai espressosi, finora, né in termini analitici sull’economia dell’Eurozona, né tantomeno sulle rivelazioni ormai conclamate riguardo all’identità “supermassonica” del potere europeo, che attraverso istituzioni come la Bce e la Banca d’Italia condiziona la formazione di qualsiasi governo. Il 31 maggio, mentre è in corso l’ultima trattativa in extremis tra Salvini e Di Maio per riesumare il governo “gialloverde” (su pressione degli Usa, secondo “Il Sussidiario”), Massimo Franco provvede a rompere le uova nel paniere, con una “notizia” che potrebbe seppellire l’eventuale, ulteriore spendibilità del nome di Savona. «L’email è arrivata ieri – scrive Franco – allegata a quella di un amico che rivolgeva al “Corriere” critiche al limite dell’insulto. È datata 23 maggio, e reca l’indirizzo di posta elettronica del professor Paolo Savona, candidato al ministero dell’economia per conto della Lega».
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Via 250 miliardi di debito: è questo a spaventare l’oligarchia
Ma davvero credete che il problema fosse il professor Paolo Savona? A terrorizzare l’oligarchia Ue, afferma Fabio Conditi, è il “contratto” firmato da Di Maio e Salvini per il “governo del cambiamento”. Trenta punti, «dove per la prima volta si mette completamente in discussione il sistema monetario e bancario attuale e le politiche di austerity che ci propinano da anni». Lo spunto rivoluzionario: la volontà di cancellare 250 miliardi di euro di debito pubblico, cioè i titoli di Stato detenuti dalla Banca d’Italia, al cui governatore – per la prima volta nella storia – il presidente della Repubblica ha “affidato” il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, “invitato” da Mattarella a conferire con Ignazio Visco, uomo vicinissimo a Mario Draghi e all’euro-sistema dominato dalla Germania. Paolo Savona? Usato come pretesto, per sabotare la pulsione sovranista. «Ma voi pensate davvero che il presidente della Repubblica e i poteri che rappresenta – scrive Conditi su “Come Don Chisciotte” – si siano realmente preoccupati della grande esperienza di questo arzillo professore che nella sua vita, pur avendo vissuto all’interno delle istituzioni, ha manifestato qualche opinione critica verso l’euro senza aver mai denunciato il sistema del debito?».Qualcuno – si domanda Conditi, presidente dell’associazione Moneta Positiva – ha provato a capire che cosa, all’interno di quel programma “gialloverde”, spaventa l’attuale sistema al punto da costringere il presidente della Repubblica a rischiare l’impeachment, facendo cadere sul nascere – con mossa platealmente irrituale, politicamente sconcertante – il primo governo voluto dalla maggioranza degli italiani? Conditi mette in fila una serie di indizi e segnali, sul clima che in Italia starebbe vorticosamente cambiando verso una progressiva presa di coscienza. Parla da solo il successo della trasmissione televisiva del 4 maggio su “Canale Italia”, in cui Conditi – insieme a Nino Galloni, Marco Mori, Giovanni Zibordi, Giovanni Lazzaretti e Paolo Tintori – ha spiegato, in prima serata, “come si creano i soldi”, ovvero «come lo Stato può e deve creare soldi e come il debito pubblico può essere cancellato». Il 23 maggio è Carlo Freccero, nel super-prudente salotto di Lilli Gruber su La7, a gelare la conduttrice e il suo sodale, Massimo Giannini, dichiarando con semplicità «due verità scomode e rivoluzionarie: che il debito può essere cancellato e che uno Stato sovrano non può fallire perchè può sempre stampare soldi». Reazioni: la Gruber preoccupata, Giannini imbarazzato.Poi la mossa inaudita di Mattarella il 27 maggio, il siluramento di Savona. L’indomani, Conditi è tornato negli studi di Canale Italia – con Vito Monaco, Marco Mori, Gianfranco Amato e il cantautore Povia. La sintesi: «Da oggi l’articolo 1 della Costituzione deve essere riscritto. L’Italia è una Repubblica non democratica fondata sulla schiavitù. La sovranità appartiene alla finanza che la esercita nelle forme e nei limiti dei mercati finanziari». La decisione di Mattarella? Inaccettabile. E carica di conseguenze: di fatto, ha esposto il Quirinale a una crisi inaudita. La scusa? Per le sue critiche all’euro, Savona spaventa i mercati finanziari: per questo, secondo Mattarella, sarebbero a rischio i risparmi degli italiani. Per Conditi, il vero motivo del devastante sabotaggio del governo Conte è un altro: «Il programma di governo del M5S e della Lega contiene secondo noi alcuni obiettivi che non sono ritenuti accettabili dal potere economico e finanziario che in Italia ha sempre condizionato le nostre scelte politiche degli ultimi 40 anni». Mattarella? «Non doveva e non poteva esercitare questa sua prerogativa, rifiutando un governo formato da partiti e movimenti regolarmente eletti, che hanno la maggioranza in Parlamento e hanno stipulato un accordo di governo addirittura votato e approvato dai cittadini». Lo stop a Conte imposto il 27 maggio resta «un atto grave e pericoloso per la democrazia».Attenzione, però: «Se sono stati costretti ad una mossa così ingenua come quella di non far nascere un governo che, per la prima volta da anni, è stato regolarmente votato e voluto dalla maggioranza dei cittadini italiani – aggiunge Conditi – significa che il vento del cambiamento sta finalmente spirando nella direzione giusta». Quel famoso “contratto”, «volente o nolente, ha davvero la capacità di incidere e realizzare un cambiamento reale in questo paese a vantaggio di tutti, e non solo dei soliti privilegiati: per questo motivo non lo vogliono». Cosa prevede, infatti? Un provvedimento di inaudita importanza: la cancellazione di 250 miliardi di euro di debito pubblico, titoli di Stato detenuti da Bankitalia. Non solo: c’è anche «la possibilità per lo Stato di stampare Minibot, cioè una moneta di Stato». Ancora: «La creazione di un sistema di banche pubbliche, una per gli investimenti ed un’altra per il credito». Tutto questo, per finziare «politiche economiche espansive al posto delle politiche di austerity». Per esempio: reddito di cittadinanza, pensioni dignitose e abattimento delle tasse. Anche una sola di queste ipotesi – sottolinea Conditi – farebbe «vedere i sorci verdi al potere economico e finanziario che ci ha ridotto in schiavitù». Sicché, «vederle tutte insieme deve aver fatto prendere un coccolone nei piani alti: sono soddisfazioni che non hanno prezzo».Pur tra mostruose difficoltà politiche, ben rappresentate dalla minaccia telecomandata dello spread e dall’inaudito boicottaggio del presidente della Repubblica (il primo nella storia a rifiutare un candidato ministro per motivi ideologico-politici), i 5 Stelle la Lega – secondo Fabio Conditi – hanno comunque «imboccato finalmente la strada giusta». In estrema sintesi: «Il 99% della popolazione più povera deve essere unito per combattere contro quell’1% che ci vuole schiavi del debito e rassegnati alla miseria». E’ un fatto: nonostante le posizioni inizialmente distanti, il “contratto” di governo è stato costruito con fatica e in modo trasparente. Conditi incoraggia grillini e leghisti: «Avete una squadra di governo, avete la maggioranza della popolazione che vi approva, avete contro il potere economico e finanziario mondiale: l’unico errore che potete fare è tornare indietro sui vostri passi». Lo spread? Neutralizzabile con una sola mossa, secondo Conditi: «Basterebbe emettere titoli di Stato a valenza fiscale, cioè utilizzabili alla scadenza anche per pagare le tasse: in questo modo non ci sarebbe più il rischio che lo Stato possa non rimborsarli e quindi sarebbero impossibili le manovre speculative al ribasso di questi giorni. Inoltre queste nuove emissioni sarebbero più “appetibili” per gli investitori perché meno rischiose».Questo per dire che i mercati – quelli veri – non coincidono esattamente con i ristretti gruppi del potere oligarchico europeo che manovrano lo spread come una clava. Al menù del riscatto, Conditi aggiunge anche il Sire, sistema di riduzione erariale. «Serve assolutamente un sistema di pagamenti alternativo a quello del sistema bancario italiano, dove circoli uno strumento monetario a valenza fiscale che non possa essere “bloccato” dalla Bce e dalla Commissione Europea». Esiste un modo, quindi, per respingere il rigore (che è interamente politico) senza neppure violare i trattati-capestro su cui si fonda il sistema Ue. Con il Sire, dice Conditi, «si possono tranquillamente finanziare – senza fare debito – sia il reddito di cittadinanza che soprattutto la Flat Tax. In pratica come succede alla Coop, paghi le tasse normali, ma te ne restituisco una parte in buoni-sconto per le tasse future». E vogliamo parlare della banca centrale italiana, presso cui Mattarella ha “spedito” il povero Conte? «E’ necessario che lo Stato riprenda il controllo totale di Bankitalia – chiosa Conditi – riacquistando le quote di partecipazione attualmente in mano alle istituzioni e banche private». Per il resto, avanti tutta: euro o non euro, si tratta di riconquistare la sovranità della moneta: «Sarà comunque di proprietà dei cittadini e libera dal debito».Ma davvero credete che il problema fosse il professor Paolo Savona? A terrorizzare l’oligarchia parassitaria Ue, afferma Fabio Conditi, è il “contratto” firmato da Di Maio e Salvini per il “governo del cambiamento”. Trenta punti, «dove per la prima volta si mette completamente in discussione il sistema monetario e bancario attuale e le politiche di austerity che ci propinano da anni». Lo spunto rivoluzionario: la volontà di cancellare 250 miliardi di euro di debito pubblico, facendoli acquistare dalla Banca d’Italia, al cui governatore – per la prima volta nella storia – il presidente della Repubblica ha “affidato” il presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, “invitato” da Mattarella a conferire con Ignazio Visco, uomo vicinissimo a Mario Draghi e all’euro-sistema dominato dalla Germania. Paolo Savona? Usato come pretesto, per sabotare la pulsione sovranista. «Ma voi pensate davvero che il presidente della Repubblica e i poteri che rappresenta – scrive Conditi su “Come Don Chisciotte” – si siano realmente preoccupati della grande esperienza di questo arzillo professore che nella sua vita, pur avendo vissuto all’interno delle istituzioni, ha manifestato qualche opinione critica verso l’euro senza aver mai denunciato il sistema del debito?».
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Krugman: orrore, l’Italia preferisce l’euro alla democrazia
«Sono inorridito da quanto avvenuto in Italia». Firmato: Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia. Via Twitter, Krugman – economista democratico-progressista, spesso critico nei confronti dell’Eurozona – interviene direttamente sulla crisi italiana, esprimendo sconcerto per il veto del presidente Mattarella su Paolo Savona, che ha di fatto impedito la nascita del “governo del cambiamento” formato dai due partiti vincitori alle elezioni, 5 Stelle e Lega. Di formazione liberale e keynesiana, Krugman non è certo un “populista”. Figura di estremo prestigio intenazionale, nel campo delle scienze economiche e politiche, insegna economia e relazioni internazionali all’Università di Princeton. Ha vinto il Premio Nobel nel 2008 per la sua analisi degli andamenti commerciali e del posizionamento dell’attività economica in materia di geografia economica. «E’ veramente orribile», scrive, su Twitter: «Non è necessario che ti piacciano i partiti populisti che hanno vinto un chiaro mandato elettorale, per essere sconvolti dal tentativo di escluderli dal potere perché vogliono un ministro delle finanze euroscettico». Al primo tweet, Krugman ne ha fatto seguire un secondo, che sembra una risposta implicita a quella parte di opinione pubblica che si è affidata, come Mattarella, ai desideri dei mercati finanziari: l’Italia, scrive, preferisce l’euro alla democrazia?Krugman accenna a quali conseguenze può portare in campo globale ed europeo una scelta del genere, dettata dalla paura dei mercati: «La fede nella moneta unica supera la democrazia? Veramente? Le istituzioni europee stanno già soffrendo di mancanza di legittimità a causa del deficit democratico. Questo renderà le cose molto peggiori». Il Premio Nobel si era già espresso criticamente sulle politiche dell’Eurozona fondate sul rigore. E non è stato meno tenero, in passato, neppure sul “quantitative easing” praticato dalla Bce di Mario Draghi: «La politica monetaria convenzionale ha un effetto pari a zero», avverte Krugman. «E’ molto difficile addurre prove sul fatto che le manovre di “quantitative easing” abbiano effetto solo in quanto cambiano le aspettative della gente. La politica monetaria è un fattore molto marginale, in quello che sta accadendo». Per Krugman, «la cosa principale che avremmo dovuto imparare è che la politica monetaria non è sufficiente: è davvero necessario che ci sia anche una politica fiscale. Ma ciò non sta accadendo».Intellettuale “liberal” e ostile alla presidenza Trump, Paul Krugman appartiene all’élite mondiale progressista, anche massonica. Per questo, dal suo punto di vista, è inconcepibile che un paese come l’Italia, di tradizioni democratiche, non rispetti la volontà popolare, violandola nel modo più clamoroso. L’ha ripetuto in ogni sede: il sistema-euro alimenta una gigantesca ingiustizia sociale ed economica, e al tempo stesso rappresenta anche un inaudito “furto di sovranità”. Severissimo giudice del fallimento ormai storico del neoliberismo su scala planetaria, Krugman denuncia il carattere esclusivamente ideologico del dogma neoliberale (che prescrive il taglio spietato della spesa pubblica e dei deficit) e propone con assoluta convinzione il rilancio di politiche pubbliche di investimento, per salvare l’economia. Le stesse politiche promesse da Lega e 5 Stelle, a cui il Quirinale ha impedito di formare il “governo del cambiamento”.«Sono inorridito da quanto avvenuto in Italia». Firmato: Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia. Via Twitter, Krugman – economista democratico-progressista, spesso critico nei confronti dell’Eurozona – interviene direttamente sulla crisi italiana, esprimendo sconcerto per il veto del presidente Mattarella su Paolo Savona, che ha di fatto impedito la nascita del “governo del cambiamento” formato dai due partiti vincitori alle elezioni, 5 Stelle e Lega. Di formazione liberale e keynesiana, Krugman non è certo un “populista”. Figura di estremo prestigio intenazionale, nel campo delle scienze economiche e politiche, insegna economia e relazioni internazionali all’Università di Princeton. Ha vinto il Premio Nobel nel 2008 per la sua analisi degli andamenti commerciali e del posizionamento dell’attività economica in materia di geografia economica. «E’ veramente orribile», scrive, su Twitter: «Non è necessario che ti piacciano i partiti populisti che hanno vinto un chiaro mandato elettorale, per essere sconvolti dal tentativo di escluderli dal potere perché vogliono un ministro delle finanze euroscettico». Al primo tweet, Krugman ne ha fatto seguire un secondo, che sembra una risposta implicita a quella parte di opinione pubblica che si è affidata, come Mattarella, ai desideri dei mercati finanziari: l’Italia, scrive, preferisce l’euro alla democrazia?
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Magaldi con Savona: via Mattarella, sgominare i poteri marci
L’alto tradimento di Sergio Mattarella rispetto alla Costituzione, rispetto allo Stato, rievoca un altro tradimento – sostanziale, anche se non formale – compiuto da Giorgio Napolitano. Anche nel suo caso il Movimento 5 Stelle propose l’impeachment, che però poi non andò avanti. Ma Napolitano, nel fare senatore a vita il massone tecnocratico, neo-aristocratico e reazionario Mario Monti, non violò la Costituzione formalmente. Ci fu il solito bombardamento di spread, in termini anche più sontuosi e violenti, e Berlusconi fu accompagnato a calci nel sedere fuori dalla porta, mentre Monti fu salutato da squilli di tromba. Di fatto, nella sostanza, fu un golpe – che privò gli italiani di un governo rappresentativo della volontà popolare e presentò come salvatore della patria uno dei becchini dell’Italia. Giorgio Napolitano ha avuto delle responsabilità enormi, in questo, e anche nell’abituare il popolo italiano all’idea che non si governa con il mandato popolare, ma si governa perché i sedicenti “illuminati”, che occupano indebitamente i palazzi del potere italiano ed europeo, decidono cosa è bene per il popolo bue. Per Napolitano non c’erano gli estremi per un impeachment formale, ma qui il discorso è diverso: come notato anche da autorevoli osservatori non ostili a Mattarella o non troppo empatici rispetto al governo “gialloverde” in costruzione, Mattarella ha fatto un discorso politico: e ha messo il veto su una persona per un reato d’opinione.Un reato d’opinione anche molto moderato: Paolo Savona, che in passato ha fatto analisi articolate sull’Eurozona, in un comunicato ha poi spiegato di voler interpretare il “contratto” politico che sottendeva il governo Conte, e di voler appunto (come ha detto anche Salvini) “trattare”, cioè porsi in una condizione di dignità dell’Italia rispetto all’Europa, per concorrere a costruire un’Europa più equa e più forte. Rispetto a questo, Mattarella ha detto che non se la sentiva, e (in modo protervo) che non voleva consentire la nomina e l’insediamento di Savona. Per questo ha respinto un governo legittimato dal voto popolare, affidando l’Italia a un rappresentante del Fmi come Cottarelli, che è parte di quella cricca di tecnici che hanno già malgovernato l’Italia e che rappresentano quei “poteri marci” che vogliono asservire non solo il popolo italiano, ma anche il resto dei popoli europei. Non pensano ad un’Europa prospera e democratica, ma ad una visione disgregatrice, dove il mercato, lo spread e presunti principi di teologia dogmatica, laica e neoliberista, governano il tutto: la bussola è già tracciata e le elezioni sono inutili. Questo è quello di cui si è fatto interprete Mattarella: quindi – al di là di quello che sarà l’iter – l’impeachment va sicuramente avviato, perché politicamente significa che ogni giorno, da qui al voto, si potrà ricordare al popolo italiano quello che è accaduto.Politicamente credo sia utilissimo e anche doveroso iniziare una mobilitazione popolare e comunicativa a favore della messa in stato d’accusa del capo dello Stato, che si è dimostrato infedele ai principi della Costituzione su cui ha giurato, al pari di Napolitano, Monti e Draghi. Ovunque siano insediati, questi uomini rappresentano i terminali di “poteri marci”, neo-aristocratici e massonicamente “controiniziatici”. In realtà, questi stessi poteri erano messi di fronte a uno scacco: la candidatura stessa di Paolo Savona era vista con molto favore dai circuiti massonici progressisti, che in Italia mi onoro di rappresentare. Le sue istanze sull’economia, l’Italia e l’Europa si sovrapponevano perfettamente alle nostre. Mattarella è stato fatto oggetto di pressioni inaudite, da parte di poteri extra-istituzionali, che hanno compiuto una sorta di golpe. Il solo fatto di trovarsi davanti a questo bivio ha messo Mattarella e tutti questi “poteri marci” di fronte a uno scacco: era Scacco al Re. Lo Scacco al Re può essere risolto con qualche mossa avveduta. Peccato che la mossa è stata quella sbagliata: nella sua tragicità, è una mossa che si rivelerà esiziale, per chi ha sin qui distrutto il sogno europeista di tanti italiani, per chi ha affossato un’Europa politica e democratica e ora sta avvilendo anche la dignità dell’Italia nel rapporto con le istituzioni europee e con le altre cancellerie continentali.Mattarella ha smascherato se stesso come maggiordomo di questi poteri, comportandosi da perfetto paramassone, come Enrico Letta: perfetto paramassone asservito anche Mattarella, a cui nemmeno è stato accordato il privilegio di essere direttamente tra i “fratelli” neo-aristocratici; è stato solo utilizzato, come altri, in un rango subalterno e servile. E servilmente, tradendo la Costituzione del suo paese, Sergio Mattarella ha fatto la scelta più sbagliata, per la sua parte: respingendo Savona e mostrando il vero volto di se stesso e dei suoi complici, ha offerto al popolo italiano (e anche a tutti gli osservatori internazionali che ci guardano) l’immagine di un Re Nudo. Un Re collettivo e post-democratico, un Re che non vuole che venga nemmeno messa in discussione la narrativa, la dogmatica politica economica che deve imperare. Usando una metafora cristiana, paradossalmente Mattarella diventa un po’ come Giuda che, compiendo un misfatto, consente però che Cristo muoia e poi risorga. Più modestamente, Mattarella – compiendo questo misfatto – offre finalmente una interpretazione di tutto ciò che è accaduto dal 2011 ad oggi (e anche molto prima).Già nel 2014 spiegavo che la battaglia per la democrazia, in Europa e nel mondo, si sarebbe combattuta in Italia. Quello che oggi è accaduto dimostra che non ero un “poetico visionario”, che non lo erano tutti quelli impegnati con me a combattere in questa direzione. La partita si gioca in Italia: adesso il popolo italiano sarà chiamato a regolarsi di conseguenza. Ovviamente c’è chi prova a seminare zizzania tra Di Maio e Salvini: si tratta di sicofanti, mezzani e professionisti dell’intrigo, per lo più provenienti dall’area di Forza Italia, che infatti teme come la morte che l’asse tra Lega e 5 Stelle possa essere tradotto anche in termini elettorali. Personalmente sarei a favore di quest’opzione, anche per un fatto di trasparenza e per celebrare in modo netto la prospettiva di un nuovo governo, magari persieduto proprio da Paolo Savona: un accordo elettorale, come il “contratto” di governo, con Lega e 5 Stelle che presentano Paolo Savona come candidato premier, gradito a entrambe le parti. Questa è la proposta che il Movimento Roosevelt farà nei prossimi giorni. Non credo che l’ipotesi di accordo elettorale tra Lega e 5 Stelle sarebbe ingenua e farebbe perdere voti: non solo avrebbe un alto valore etico-politico ma sarebbe anche vincente. Con l’attuale legge elettorale, Lega e 5 Stelle saranno forti a livello proporzionale, e in ambito maggioritario sarebbero comunque in grado di sgominare qualunque altro avversario: farebbero il pieno di voti.Berlusconi? Come al solito si è dimostrato verminoso, davvero spregevole, in questa sua solidarietà pelosa a Mattarella e in questo suo riavvicinamento alla “culona inchiavabile”, come definì la Merkel, e a tutti i rappresentanti “marci” del Partito Popolare Europeo, che sono parte di questo establishment che soffoca il continente. La prospettiva di Salvini non è quella di Berlusconi, con tutta evidenza: ha molte più affinità con quella del Movimento 5 Stelle. In un modo o nell’altro, in Parlamento si avrà una nuova maggioranza tra Lega e 5 Stelle. E se ci sarà anche l’impeachment, Mattarella sarà indotto a più miti consigli dalla sollevazione popolare che da oggi inizierà. E finalmente avremo un governo che possa rappresentare le istanze chiarissime espresse dalla volontà del popolo. In più, urge più che mai la costruzione del nuovo partito che serve all’Italia. Il Movimento Roosevelt lavorerà sia per cementare un asse rinnovato e fortificato tra Lega e Movimento 5 Stelle, sia per costruire un soggetto politico che possa supportare ulteriormente una prospettiva di cambiamento, perfezionandola – siamo convinti di aver già insegnato molto, a Lega e 5 Stelle, che sono maturati anche grazie ai nostri buoni consigli, pubblici e privati. Soprattutto, possiamo interpretare (forse anche meglio di loro) la necessità di un cambio di paradigma.Complimenti intanto a Paolo Savona, anche per lo stile con il quale – sottraendosi alle polemiche – ha di fatto “non commentato” gli eventi. Savona dimostra di essere uomo delle istituzioni: degno di fare il ministro dell’economia o il presidente del Consiglio, e magari anche il presidente della Repubblica. Sergio Mattarella? Dimostra di essere quello che è: un servile cortigiano, subalterno di poteri “marci” sovranazionali di ispirazione massonica neo-aristocratica. Cottarelli? Certamente deve andare a casa, e anche di corsa: la sua nomina è un insulto al popolo italiano. Cottarelli è l’uomo dei tagli, l’uomo del Fondo Monetario Internazionale. E’ una cosa scandalosa, il veto su Savona e l’aver proposto Cottarelli: è veramente un atto di arbitrio e di prepotenza. Quindi tutti a casa, si vada al voto. E, possibilmente, l’impeachment per Mattarella.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli per la diretta “Massoneria On Air” su “Colors Radio” il 28 maggio 2018. Massone, leader del Grande Oriente Democratico e presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi è l’autore del saggio “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, che denuncia il ruolo occulto di 36 superlogge sovranazionali al vertice del potere mondiale, con ramificazioni in ogni governo).L’alto tradimento di Sergio Mattarella rispetto alla Costituzione, rispetto allo Stato, rievoca un altro tradimento – sostanziale, anche se non formale – compiuto da Giorgio Napolitano. Anche nel suo caso il Movimento 5 Stelle propose l’impeachment, che però poi non andò avanti. Ma Napolitano, nel fare senatore a vita il massone tecnocratico, neo-aristocratico e reazionario Mario Monti, non violò la Costituzione formalmente. Ci fu il solito bombardamento di spread, in termini anche più sontuosi e violenti, e Berlusconi fu accompagnato a calci nel sedere fuori dalla porta, mentre Monti fu salutato da squilli di tromba. Di fatto, nella sostanza, fu un golpe – che privò gli italiani di un governo rappresentativo della volontà popolare e presentò come salvatore della patria uno dei becchini dell’Italia. Giorgio Napolitano ha avuto delle responsabilità enormi, in questo, e anche nell’abituare il popolo italiano all’idea che non si governa con il mandato popolare, ma si governa perché i sedicenti “illuminati”, che occupano indebitamente i palazzi del potere italiano ed europeo, decidono cosa è bene per il popolo bue. Per Napolitano non c’erano gli estremi per un impeachment formale, ma qui il discorso è diverso: come notato anche da autorevoli osservatori non ostili a Mattarella o non troppo empatici rispetto al governo “gialloverde” in costruzione, Mattarella ha fatto un discorso politico: e ha messo il veto su una persona per un reato d’opinione.
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Carpeoro: Mattarella può bocciare Savona e poi dimettersi
Mi sembra che da questa vicenda del ministro Savona non ne esca bene, il nostro presidente della Repubblica. Capisco che possa sentirsi costretto a prendere questa posizione, ma non può sostituirsi alla responsabilità che si sono assunti gli italiani, che hanno votato questi due partiti, 5 Stelle e Lega, che hanno formato una maggioranza. E li hanno votati garantendo una maggioranza costituzionale necessaria perché questi due partiti governino. Mattarella si deve assumere le sue responsabilità. Se pensa che questo presidente incaricato, Conte, non stia gestendo bene il suo incarico, può non confermarglielo: può farlo. Il fatto che questo sia corretto democraticamente, poi, credo che consenta molte discussioni. Certamente Mattarella non può esprimere un parere sulla condotta di questo incaricato presidente del Consiglio solo sulla base del fatto che ne vuole praticamente far fuori un ministro, Paolo Savona. Io credo che tutto questo sia estremamente scorretto, dal punto di vista costituzionale e democratico. Credo sia l’ennesimo vulnus grave, che negli ultimi anni un presidente della Repubblica arreca agli equilibri garantiti dalla Carta costituzionale, che – può piacere o no – è in pieno e democratico vigore. E credo anche che questa vicenda sia pericolosissima, perché molto probabilmente non sarà indolore, se il presidente continua a irrigidirsi su questa posizione: probabilmente ci saranno dei movimenti di piazza.Il presidente della Repubblica deve assumersi dinnanzi al popolo la responsabilità del fatto che un governo non venga varato perché lui non è d’accordo su un ministro. La nomina del presidente della Repubblica è un atto formale: il presidente promulga le leggi, però le leggi le fa il Parlamento. Il Quirinale può rimandarla indietro, una legge, ma se poi il Parlamento gliela rimanda avanti può solo mandarla alla Corte Costituzionale per la verifica di costituzionalità. E se poi la legge va avanti, lui la deve firmare: come dovrà firmare i ministri. Sarebbe un atto gravissimo se non nominasse un ministro, nel caso il presidente del Consiglio incaricato insistesse su questa scelta. Perché nella Costituzione c’è scrittoche il presidente della Repubblica “nomina”, non “sceglie”. L’atto d’acquisto di una casa non è valido, se non è firmato da un notaio; ma l’accordo lo fanno le parti. E secondo me, l’atto immediatamente successivo, se il presidente della Repubblica non firmasse l’atto di nomina dei ministri, dovrebbero essere le sue dimissioni – affinché il Parlamento esprima un altro presidente della Repubblica, dotato della fiducia di un nuovo Parlamento.Questa posizione di Mattarella è politica, non costituzionale o istituzionale. Questo presidente, che sta prendendo questa posizione, non è stato eletto da questo Parlamento. E quindi non ha la forza di insistere su questo atteggiamento. Dovrebbe insistere, ma poi dimettersi. E vedere se un nuovo Parlamento eleggerà un presidente della Repubblica che ha questa linea. C’è davvero paura che il governo affronti una reale svolta anti-euro? Faccio notare che il presidente della Repubblica ha chiesto specificamente a Conte, nell’espletamento del suo mandato (di scelta e preparazione di una proposta istituzionale di governo) di incontrare il governatore della Banca d’Italia. Questo non era mai accaduto. Anche perché il governatore di Bankitalia ha sì poteri di autonomia, però non c’è mai stata una diarchia – sulle situazioni economiche – rispetto alle linee del governo. Perché Mattarella ha chiesto a Conte di incontrare il governatore della Banca d’Italia? Perché Visco ha avuto la libertà, in termini di “moral suasion” (lo dico tra virgolette: intimidazione, condizionamento) di dire a Conte le cose che direttamente non avrebbe potuto dire il presidente della Repubblica. D’altro canto, l’incarico di Visco è stato rinnovato su pressione del Quirinale, perché Renzi non lo voleva rinnovare.Come vedete, quella di Mattarella è tutt’altro che una presidenza diversa da quella di Napolitano. Solo che, siccome Mattarella è in carica, nessuno gli dice niente. Napolitano hanno cominciato a contrastarlo solo quando non è stato più in carica, perché l’Italia è un paese di eroi. La sovragestione del potere si è fatta più sfrontata, come dice qualcuno, visto che molti giornali scrivono apertamente che questo governo non deve nascere? La spudoratezza ormai è consuetudine: la gente ha una specie di narcosi, per cui basta dirgli una cosa come certa, e tanto basta per farla ritenere certa – c’è gente che vaccina i figli per il morbillo, perché gli hanno detto che di morbillo si muore, come di peste. Io comunque credo che sia uno scontro anche tra i reazionari, su questo governo: perché i reazionari americani lo vogliono, mentre i reazionari europei non lo vogliono. Quindi c’è uno scontro – all’interno di ambienti massonici, di Ur-Lodges e di ambienti finanziari – anche tra americani ed europei.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube, il 27 maggio 2018. Massone, già a capo della più antica obbedienza del Rito Scozzese italiano – da lui stesso disciolta – l’avvocato Pecoraro, eminente simbologo, ha firmato con lo pseudonimo Carpeoro romanzi e saggi, tra cui “Dalla massoneria al terrorismo” e “Summa Symbolica”. Esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi, Carpeoro ha denunciato la “sovragestione” del potere europeo e italiano operata da Ur-Lodges reazionarie, cioè superlogge internazionali di matrice neo-aristocratica che controllano i maggiori centri di potere economico e finanziario nonché le stesse istituzioni europee, condizionando in modo sistematico l’operato dei governi democraticamente eletti).Mi sembra che da questa vicenda del ministro Savona non ne esca bene, il nostro presidente della Repubblica. Capisco che possa sentirsi costretto a prendere questa posizione, ma non può sostituirsi alla responsabilità che si sono assunti gli italiani, che hanno votato questi due partiti, 5 Stelle e Lega, che hanno formato una maggioranza. E li hanno votati garantendo una maggioranza costituzionale necessaria perché questi due partiti governino. Mattarella si deve assumere le sue responsabilità. Se pensa che questo presidente incaricato, Conte, non stia gestendo bene il suo incarico, può non confermarglielo: può farlo. Il fatto che questo sia corretto democraticamente, poi, credo che consenta molte discussioni. Certamente Mattarella non può esprimere un parere sulla condotta di questo incaricato presidente del Consiglio solo sulla base del fatto che ne vuole praticamente far fuori un ministro, Paolo Savona. Io credo che tutto questo sia estremamente scorretto, dal punto di vista costituzionale e democratico. Credo sia l’ennesimo vulnus (grave) che negli ultimi anni un presidente della Repubblica arreca agli equilibri garantiti dalla Carta costituzionale, che – può piacere o no – è in pieno e democratico vigore. E credo anche che questa vicenda sia pericolosissima, perché molto probabilmente non sarà indolore, se il presidente continua a irrigidirsi su questa posizione: probabilmente ci saranno dei movimenti di piazza.
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Carotenuto: Iran-Israele, gli oligarchi della prossima guerra
La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.Ognuno ha una parte di ragione, ma nessuno la racconta giusta: la destra israeliana investe sulla paura ben sapendo che Israele «dispone di un territorio così piccolo che, in caso di guerra, potrebbe essere invaso in mezza giornata». Al tempo stesso, Tel Aviv – che denuncia il pericolo del nucleare iraniano – finge di non sapere di disporre di 230 testate atomiche: «Un potenziale pari almeno a quello della Francia e probabilmente della Gran Bretagna, tale da mettere Israele in grado di colpire anche le capitali europee, con missili o almeno con aerei». Sul fronte opposto, non è che l’Iran sia un modello tranquillizzante: «E’ un paese imperialista, fautore di un Islam ostile all’Occidente, e che persegue un suo cinico disegno di potenza regionale». La Russia? «In tanti vedono in Putin una sorta di pacificatore». Ma, al di là dell’effettivo ruolo di stabilizzazione attualmente svolto, il Cremlino «non fa altro che gli interessi della potenza russa». A sua volta, il fronte islamico è spaccato: e gli sciiti iraniani sono quelli che più si sono avvantaggiati dall’aggressione occidentale contro paesi sunniti come l’Iraq. Per l’Occidente, una sequenza di autogol a catena: oggi i soldati di Teheran combattono in Siria al fianco di Assad, il presidente che Obama voleva rovesciare. E in Siria si sono saldati con la potente milizia sciita di Hezbollah, proveniente dal Libano.Gli apprendisti stregoni che dopo l’11 Settembre hanno dato alle fiamme il Medio Oriente devastando l’intera regione, dall’Iraq alla Siria, dalla Libia allo Yemen, oggi vedono Israele accerchiato da nemici filo-iraniani. A sua volta, lo Stato ebraico enfatizza il pericolo per invocare come sempre il supporto degli Usa, senza il quale Tel Aviv non potrebbe disporre del temibile apparato militare che ne fa la principale potenza dell’area. Facile profeta, anni fa, il generale americano Wesley Clark: rivelò che i neocon firmatari del Pnac, il Piano per un Nuovo Secolo Americano, prima ancora del Duemila avevano messo nel mirino tutti i paesi – dall’Afghanistan alla Siria – poi effettivamente colpiti dalle guerre “per conto terzi” a cui stiamo assistendo, con strascichi grottechi che si estendono alla Somalia, dove miliziani filo-sauditi combattono contro guerriglieri armati dal rivale Qatar. Smisurate follie innescate dalla Cia e dal Mossad, che hanno regalato consenso e influenza territoriale proprio all’Iran, l’unico paese – della famosa lista nera – non ancora attaccato direttamente. Succederà a breve? Il rischio è concreto, ammette Carotenuto: ma in caso di guerra, aggiunge, Teheran si rivelerà un osso durissimo. E in ogni caso, prima o poi, avrà l’atomica: raggiungerà cioè una parità strategica con Israle, che già oggi potrebbe cancellare l’Iran a suon di bombe.Carotenuto invita a leggere la situazione evitando semplificazioni o, peggio, l’errore tipico delle tifoserie che parteggiano per gli ipotetici buoni contro gli altrettanto ipotetici cattivi. Si fa presto a dire “Israele”, “l’Iran”, “gli Usa”, come se in guerra fossero intere nazioni. Si tratta di élite pericolose, di oligarchie nascoste. La guerra la fanno davvero, ma il più delle volte sotto falsa bandiera – utilizzando il terrorismo – e comunque agitando retoriche patriottiche che non corrispondono mai alle vere intenzioni degli oligarchi che intessono trame dinamitarde, ogni giorno più pericolose. Da decenni il Medio Oriente petrolifero è la polveriera del mondo: possono cambiare gli attori e il copione può subire variazioni, ma la sostanza non cambia. L’uomo che volle fermare una volta per tutte questa follia – Yitzhak Rabin – fu assassinato nel ‘95 a Tel Aviv: non da palestinesi, ma da un estremista ebraico. Da allora, la situazione è preciptata: l’11 Settembre, le guerre “americane”, l’orrore dell’Isis e l’affermarsi della potenza iraniana, a sua volta – sostiene Carotenuto – controllata da un gruppo di potere “oscuro” che non finirà mai in televisione. Tutti si guardano in cagnesco, col dito sul grilletto. Il pericolo di un’esplosione cresce. Ma i popoli della regione non hanno mai avuto una sola occasione per parlarsi e chiarirsi, in modo trasparente. A dominare, più che mai, è il vecchio copione della guerra, fondato sulla menzogna di chi agita bandiere ma pensa soprattutto ai soldi, sapendo che in ogni caso il “vortice della tensione” è l’alimento perfetto per rendere eterna la logica aberrante del conflitto, che pare destinata a non finire mai. Fino a quando?La cattiva notizia? Vogliono trascinarci in guerra, provocando l’Iran. L’altra notizia è altrettanto deprimente: nessuno ha ragione, nessuno racconta tutta la verità. Già analista internazionale per conto dell’intelligence, Fausto Carotenuto offre una visione lucida sull’ennesimo, pericoloso smottamento geopolitico in Medio Oriente: Israele cerca la rissa col presunto nemico di turno, il regime degli ayatollah, confidando nell’appoggio della potente lobby ebraica americana e nel presidente Trump, che ha appena trasferito l’ambasciata statunitense a Gerusalemme, provocando la reazione dei palestinesi di Gaza guidati dagli sciiti di Hamas, vicini a Teheran. In più, Netanyahu ha esibito un dossier del Mossad che dimostra la progressione nucleare dell’Iran, preparando lo strappo della Casa Bianca, ritiratasi dall’accordo siglato da Obama. Tutto vero, dice Carotenuto in web-streaming per “Coscienze in Rete”, ma la realtà è un’altra. Non ci sono buoni e cattivi, ognuno recita la sua parte. E il film dell’orrore prosegue imperterrito, verso esiti particolarmente rischiosi, essenzialmente per un motivo: il rifiuto, da parte della destra reazionaria che oggi governa Israele, di fare la pace con i palestinesi. Cosa che metterebbe fine a tutte le altre guerre parallele già in corso, in cui ogni attore fa leva sull’alibi irrisolto della Palestina per alimentare il vortice artificioso della tensione.
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Giovagnoli: perché la Chiesa ci ha tolto gli alberi millenari
Solo questo, oggi, possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Era il manifesto poetico e politico di Eugenio Montale, sotto il fascismo. Letteratura a suo modo eroica, da Premio Nobel: ermetismo, frammentismo. Bandire le convenzioni letterarie, le leziosità, i virtuosismi formali e accademici. La verità, innanzitutto. Da allora, la poesia si è frantumata in un “solve et coagula” decisamente alchemico, che a volte l’ha fatta anche risorgere, sotto mentite spoglie, persino nell’universo mercenario degli spot pubblicitari. Di alchimia si occupa un poeta dei nostri giorni, molto sui generis: si chiama Michele Giovagnoli e faceva la guida naturalistica sui monti delle Marche, tra le ultime foreste di cerro. Poi si è ammalato, ed è entrato in crisi. Un problema al colon: incurabile, per la medicina ufficiale – ma non per il bosco: «Sono entrato nel bosco di notte, e il bosco mi ha guarito», racconta, ai microfoni di “Border Nights”. «Già l’indomani, i medici hanno constatato la mia completa guarigione. Mi hanno chiesto se fossi stato a Lourdes: ma quello è l’ultimo posto dove sarei andato». Già, perché il poetico alchimista Giovagnoli – un folletto, dalla chioma che ricorda quella di Branduardi – ha intrapreso una battaglia personale contro il potere che, racconta, ha condannato a morte le foreste primordiali, quelle degli alberi millenari. Pochi lo sanno, ma fu proprio la Chiesa di Roma – nel nono secolo dopo Cristo – a decretare la distruzione sistematica degli alberi antichi, venerati dalla popolazione.Nelle catacombe della storia cristiana, con l’aiuto di archivisti, Giovagnoli ha scovato le carte dello sconosciutissimo Concilio Namnetense, vero e proprio “fantasma” persino su Google, prima che uscisse “La messa è finita”, libro-denuncia nel quale il Folletto marchigiano riesuma lo sconcertante anatema lanciato dal Vaticano contro gli alberi più vetusti, ovviamente associati a misteriosi dèmoni. Altrettanto sconcertante il trattamento che vescovi e preti medievali si impegnarono a riservare alle maestose piante: dovevano essere segate e abbattute, poi addirittura sradicate, fatte a pezzi e infine bruciate – come fossero eretici in carne e ossa, e non monumenti (viventi) del mondo vegetale. Il sommo Guido Ceronetti, scrittore atipico e coltissimo traduttore, ha spiegato cosa c’è nella testa del piromane, quando non è un semplice incendiario a pagamento, reclutato dalla mafia della speculazione edilizia. E’ vero, il maniaco del fuoco prova sempre un segreto piacere nel veder divampare le fiamme, preparandosi poi a godersi di nascosto l’altro “spettacolo”, quello dei soccorsi. Ma c’è altro, in fondo alla sua mente: e cioè il gusto (probabilmente inconsapevole) della dissacrazione, della profanazione sacrilega. Perché i boschi, da che mondo è mondo – ricorda Ceronetti – sono sempre stati la dimora dei dèi. Ovvero: il tempio naturale di una sorta di patto sacro, tra l’uomo e l’universo.Giovagnoli collega le cose in modo diretto, persino brutale: la stessa mano che ci ha privato degli alberi millenari, dice, è quella che ha incatenato il mondo occidentale per 1700 anni, inaugurando la raffinata schiavitù psicologica della fede. Come Machiavelli, lo scrittore-alchimista la considera un sopraffino “instrumentum regni”: la sottomissione spinge gli uomini a mettersi in ginocchio e a chiedere assurdamente perdono – a umanissimi burocrati della religione – per non si sa quali peccati. «Ai romani servivano le catene, ai cristiani bastò il crocifisso». Un simbolo potentissimo e onnipresente, persino sulle cime dei monti: in molte conferenze, ora disponibili su YouTube, Giovagnoli propone un impetoso parallelo tra l’emblema cristico scelto dai cattolici – l’uomo in agonia sulla croce, atrocemente torturato – e «l’altro modello cristico, il meraviglioso Uomo Vitruviano di Leonardo, con tutti i suoi “centri di potere” liberi di esprimersi: la testa non cinta dalla corona di spine, mani e piedi non trafitti da chiodi ma in contatto con terra e cielo, e poi il sesso – i genitali tranquillamente esposti, non “bannati” come quelli del Gesù cattolico, nascosti da un panno». Citando il drammaturgo Alejandro Jodorowsky e il filologo-esegeta Igor Sibaldi, Giovagnoli sintetizza: «L’eros è la nostra maggiore forza creativa, quella che ci rende capaci di ribellarci; imprigionarlo e mortificarlo significa voler produrre generazioni di servi».Nella veemente invettiva anticattolica di Giovagnoli – fiero di essersi “sbattezzato” – c’è spazio anche per le entusiasmanti frontiere scientifiche dell’epigenetica, che studia i mutamenti “alchemici” che avvengono nel corpo umano di fronte a particolari sollecitazioni emotive. «Recenti studi esaminano l’effetto deprimente del suono delle campane: a chi le ascolta, in ultima analisi, ricordano l’onnipresenza di un potere superiore, insuperabile. Sono le stesse campane, dal suono grave, che venivano suonate per ammonire i fedeli: stai attento e vedi di rigare dritto, se non vuoi fare la fine degli eretici o degli ultimi sacerdoti pagani, appesi ai loro alberi sacri e lasciati morire lentamente, con il ventre squarciato». Campane e crocifissi, libertà di pensiero: opinioni, interpretazioni. Ma gli alberi? «In tutte le culture del mondo, l’albero rappresenta da sempre un cardine imprescindibile della spiritualità, un punto di riferimento visivo e simbolico, un’espressione viva che unisce Terra e Cielo. In tutte, tranne che in quella cattolica». Baobab immensi in Africa, sequoie millenarie in America, foreste incontaminate in Asia. Niente di simile, purtroppo, in Europa: tranne rarissimi casi – come quello degli olivastri sardi, vecchi anche di tremila anni – da noi i grandi alberi generalmente non superano i 2-3 secoli di vita.Niente a che vedere con le maestose querce meravigliosamente raccontate da Plinio il Vecchio, nella sua “Naturalis Historia” scritta al seguito delle legioni romane: sul Baltico, le querce millenarie erano così immense da formare archi grandiosi, sotto i quali potevano transitare squadroni di cavalleria. Certo, ammette Giovagnoli, la rivoluzione industriale ha dato il colpo di grazia alle foreste madri europee. Ma la “guerra” contro i grandi alberi nasce prima, ed è squisitamente culturale: qualcosa di molto più sottile e profondo delle mere istanze economiche. Notare: «Più ci si allontana geograficamente dal fulcro del dominio cattolico, quindi da Roma, e maggiore è la probabilità di incontrare esemplari di dimensioni straordinarie», insieme a popoli «con tradizioni che riconoscono all’albero un potere super partes nel vissuto spirituale». Non è un caso, aggiunge, se l’Italia si è data una legge-quadro sui parchi naturali solo negli anni ‘90. C’è stata una «evidentissima reticenza politica» nel concedere al verde la propria naturale importanza, in un paese cresciuto al suono dei campanili. «Al Grande Parassita – scrive Giovagnoli, alludendo al cattolicesimo – la natura selvatica non è mai piaciuta tanto; anzi, l’ha sempre considerata un intralcio», forse anche perché «chi conosce la natura selvatica comprende meglio e più velocemente anche la propria».A lui è accaduto anni fa, racconta, quando era alle prese con un dramma: nessun medico sembrava in grado di curarlo. «Mi sono allora comportato da alchimista», dice a Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Ho cercato volutamente lo stato di “nigredo”, la dissoluzione dell’Io, calandomi da solo nella cosa che più mi faceva paura: il bosco di notte». Scendere nel proprio buio: come Dante, che la sua resurrezione iniziatica la comincia proprio dalle tenebre dell’Inferno. «A un certo punto – racconta Michele – ho sentito un gran caldo alla pancia, e sono crollato in un pianto dirotto, fino all’alba. Tornato a casa, sono andato dal medico e ho scoperto che ero guarito». Come? Mistero: «Posso solo dire che l’albero è il nostro più grande alleato, sulla Terra». Inutile chiedere a un poeta di fare un disegno. Meglio assecondare la sua vena: «Un bosco ti sente, ti ascolta, percepisce la tua energia vibrazionale. Può anche mutare all’istante la sua composizione chimica, producendo acido acetil-salicilico. E’ qualcosa di prodigioso, che cambia la qualità dell’aria e può entrarti nella pelle, per osmosi». Alchimista autodidatta ed entusiasta, “miracolato” dai suoi alberi, Giovagnoli fa notare come sarebbe bello, se oggi avessimo a portata di mano quelle piante millenarie, oscenamente distrutte nel medievo. «Erano un pezzo della memoria vivente del mondo: avevano respirato la stessa aria di Gesù». E a proposito di aria: «Non potremmo vivere, senza gli alberi: sono loro a fabbricare l’ossigeno che ci tiene in vita».In tutte le tradizioni autenticamente esoteriche, inclusa quella ben conosciuta dal citato Leonardo, lo specchio è un simbolo principe: capovolgendo l’immagine, offre la visione integrata e complementare dell’insieme. Tradotto in “giovagnolese”: «Fateci caso: gli organi che respirano l’ossigeno prodotto dal bosco sono come alberi rovesciati: i polmoni la chioma, e sopra di loro i bronchi, le radici, ramificate in modo frattale esattamente come i rami delle piante». Serve altro, per capire come mai i grandi alberi erano sacri? «C’erano prima di noi, sono la storia della Terra. Sono stati i primi a uscire dall’acqua, creando un’atmosfera respirabile per gli esseri umani». Di più: «E’ come se gli alberi entrassero in noi, a partire dalla nascita: quella che respiriamo è la loro aria, il loro ossigeno». Gli alberi, poi, non conoscono frontiere: «Pensate a quando vanno in amore, in primavera: il polline di un noce greco può volare sul mare, per andare a “corteggiare” un noce cresciuto in Puglia». Aprite gli occhi, ripete Giovagnoli: «Non c’è una croce a congiungerci con l’universo: c’è un albero. Per questo, chi ha diffuso croci ha voluto abbattere gli alberi. E il più delle volte, le chiese sono state erette proprio là dove prima sorgevano alberi millenari». Teologia: la visione trascendente “sfratta” la divinità dal mondo: Dio c’è, ma è altrove. Non è immanente, nella natura. «Tutto falso», assicura il Folletto. «Non ci credete? Provate. Il bosco vi aspetta. Ed è pronto ad aiutarvi, come ha fatto con me».(Il libro: Michele Giovagnoli, “La messa è finita. Come liberarsi dal più subdolo dei parassiti. Gli acutissimi strumenti di dominio in dotazione al clero”, Uno Editori, 174 pagine, euro 12,90. Giovagnoli ha inoltre scritto “Alchimia selvatica. La via del riveglio attraverso le arti magiche del bosco”, Macro Edizioni, mentre con Uno Editori ha appena pubblicato “Imparare a parlare con gli alberi. Manuale pratico per comunicare, evolvere e guarire con il bosco”).Solo questo, oggi, possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo. Era il manifesto poetico e politico di Eugenio Montale, sotto il fascismo. Letteratura a suo modo eroica, da Premio Nobel: ermetismo, frammentismo. Bandire le convenzioni letterarie, le leziosità, i virtuosismi formali e accademici. La verità, innanzitutto. Da allora, la poesia si è frantumata in un “solve et coagula” decisamente alchemico, che a volte l’ha fatta anche risorgere, sotto mentite spoglie, persino nell’universo mercenario degli spot pubblicitari. Di alchimia si occupa un poeta dei nostri giorni, molto sui generis: si chiama Michele Giovagnoli e faceva la guida naturalistica sui monti delle Marche, tra le ultime foreste di cerro. Poi si è ammalato, ed è entrato in crisi. Un problema al colon: incurabile, per la medicina ufficiale – ma non per il bosco: «Sono entrato nel bosco di notte, e il bosco mi ha guarito», racconta, ai microfoni di “Border Nights”. «Già l’indomani, i medici hanno constatato la mia completa guarigione. Mi hanno chiesto se fossi stato a Lourdes: ma quello è l’ultimo posto dove sarei andato». Già, perché il poetico alchimista Giovagnoli – un folletto, dalla chioma che ricorda quella di Branduardi – ha intrapreso una battaglia personale contro il potere che, racconta, ha condannato a morte le foreste primordiali, quelle degli alberi millenari. Pochi lo sanno, ma fu proprio la Chiesa di Roma – nel nono secolo dopo Cristo – a decretare la distruzione sistematica degli alberi antichi, venerati dalla popolazione.
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Foa: terrorismo contro Lega e 5 Stelle, cioè contro gli italiani
Dobbiamo avere fiducia, nel nuovo governo con 5 Stelle e Lega? Be’, se ascoltiamo i telegiornali e leggiamo i giornali la risposta è no: vi stanno terrorizzando, vi stanno dicendo che sarà una catastrofe, che violiamo tuti i patti europei, che è una sciagura, che sono irresponsabili. Io vi dico: no, tutto questo è sbagliato. Bisogna avere fiducia, in questo governo, per una ragione molto semplice: io ho ammirato il modo in cui le due delegazioni si sono incontrate, in cui per giorni – avendo poco tempo a disposizione – si sono sedute in modo responsabile e costruttivo al tavolo delle trattative, per arrivare a una “quadra” tra due programmi che erano molto diversi su molti punti. E ci sono riusciti: hanno anteposto il disegno di un programma credibile alla ricerca spasmodica delle poltrone, come hanno sempre fatto i politici fino ad oggi (ed è quello che la gente rimproverava alla casta). Ebbene, Lega e 5 Stelle hanno dato prova di un approccio diverso alla politica. E soprattutto, hanno dimostrato che si possono tentare delle nuove strade per risolvere i problemi che stanno più a cuore ai cittadini.Infatti, cosa ci dicono? Vogliono rilanciare l’economia, vogliono dare più attenzione alle piccole e medie imprese, vogliono risolvere i problemi della sicurezza, vogliono dare una speranza a chi è senza lavoro, vogliono proteggere le pensioni, vogliono cercare di anteporre l’interesse nazionale a interessi sovranazionali che non sempre sono legittimi, e soprattutto che non sempre sono davvero nell’interesse degli italiani. Ce la faranno? Non lo so, lo vedremo. Ma dovremo dar loro cinque anni di tempo per provarci, mentre quel che sta avvenendo, secondo me, è molto grave. Stanno cercando di creare un clima di terrore verso questo governo. E’ un’operazione che non mi sorprende, visto che queste operazioni le conosco da tanto tempo, ma a cui non bisogna dare troppo retta. Bisogna dire: lasciamoli lavorare, giudichiamoli sui fatti, e non sul pregiudizio.(Marcello Foa, video-editoriale pubblicato sul blog “Il Cuore del Mondo” ospitato dal “Giornale” il 19 maggio 2018. Già caporedattore con Indro Montanelli, Foa è una delle voci più libere e autorevoli dell’attuale giornalismo italiano. Ha collaborato anche con la Rai e con la Bbc. A capo di TiMedia, gruppo editoriale del Canton Ticino nella Svizzera italiana, ha fondato con Stephan Russ-Mohl l’Osservatorio Europeo di Giornalismo. Docente universitario in Svizzera, è vicepresidente dell’associazione culturale “Asimmetrie” diretta dall’economista Alberto Bagnai, ora eletto senatore con la Lega. Nel 2018 è uscita una versione aggiornata del fortunatissimo saggio “Gli stregoni della notizia”, edito da Guerini, il cui Foa denuncia il sistema mediatico attuale, prigioniero di schemi ricorrenti di manipolazione, “fake news” e “post-verità”).Dobbiamo avere fiducia, nel nuovo governo con 5 Stelle e Lega? Be’, se ascoltiamo i telegiornali e leggiamo i giornali la risposta è no: vi stanno terrorizzando, vi stanno dicendo che sarà una catastrofe, che violiamo tuti i patti europei, che è una sciagura, che sono irresponsabili. Io vi dico: no, tutto questo è sbagliato. Bisogna avere fiducia, in questo governo, per una ragione molto semplice: io ho ammirato il modo in cui le due delegazioni si sono incontrate, in cui per giorni – avendo poco tempo a disposizione – si sono sedute in modo responsabile e costruttivo al tavolo delle trattative, per arrivare a una “quadra” tra due programmi che erano molto diversi su molti punti. E ci sono riusciti: hanno anteposto il disegno di un programma credibile alla ricerca spasmodica delle poltrone, come hanno sempre fatto i politici fino ad oggi (ed è quello che la gente rimproverava alla casta). Ebbene, Lega e 5 Stelle hanno dato prova di un approccio diverso alla politica. E soprattutto, hanno dimostrato che si possono tentare delle nuove strade per risolvere i problemi che stanno più a cuore ai cittadini.