Archivio del Tag ‘desideri’
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Greta recita: sta minacciando personalmente ognuno di noi
Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena cambiato il frigo e osato concedervi una vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Una viperetta tracotante, livida: ne saranno felcissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è suprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.Il grande artefice del disgelo, Mikhail Gorbaciov, sognava un mondo senza più guerre. Sfrattato dal Cremlino, ha visto l’Urss smembrata e la Russia brutalmente privatizzata e saccheggiata. Ma il colpo da maestro degli strateghi del globalismo a mano armata è stato permettere alla Cina di entrare nel gioco planetario con merci prodotte sottocosto, grazie anche a condizioni schiavistiche di lavoro, senza le tutele sindacali di Europa e Usa. In pochi anni il mondo è esploso, insieme al suo fatturato, in una sorta di festa truccata: l’europeo e l’americano medio hanno perso terreno, hanno smesso di crescere in termini di benessere, hanno cominciato a intaccare i risparmi familiari e a dover mantenere i figli senza lavoro, costretti a non sposarsi o a emigrare all’estero. Devastante il fenomeno delle delocalizzazioni, la fuga delle industrie nei paesi asiatici dove l’operaio costava un dollaro al giorno. In Europa – vero laboratorio mondiale del suicidio tecnocratico della democrazia – la truffa neoliberale ha indossato la maschera austera e perbenista dell’ordoliberismo autoritario, l’ipocrita moralismo del guru austriaco Friedrich von Hayek: l’illuminato economista concepiva il welfare (ridotto a poche briciole, s’intende) solo come misura estrema e preventiva per cautelarsi dalla rivolta delle masse impoverite.Agli italiani, personaggi come Ciampi e Prodi avevano presentato l’Ue e l’Eurozona come il paradiso, il regno dell’età dell’oro. Dopo meno di vent’anni non restano che macerie, nazioni che si guardano in cagnesco e che si fanno le scarpe appena possono, mentre il Belpaese (depredato, secondo i piani) ha perso il 25% del suo potenziale industriale. L’Europa intera ha assistito senza muovere un dito alla macellazione senza anestesia del popolo greco: cos’avrebbe da dire, Greta Thunberg, ai sopravvissuti della Grecia che si sono visti scippare il Pireo e gli aeroporti, chiudere i bancomat, tagliare i salari, ridurre le pensioni fino alla soglia della fame? Cicale irresponsabili, quelle che hanno assistito alla morte dei neonati, nei loro ospedali, per mancanza di medicine? Spendaccioni scellerati, i greci, che oggi devono vedersela con piaghe che si credevano sepolte dalla storia, come la malnutrizione infantile? E’ sconcertante la consonanza fra le parole di Greta e quelle degli oligarchi europei che hanno messo la Grecia in ginocchio, accusandola di aver abusato del debito pubblico. La canzone – vagamente nazista – è sempre la stessa: la colpa è vostra, peggio per voi.La Thunberg, si sa, è una pedina importantissima della grande manipolazione mediatica sul “climate change”, ovvero la teoria – non suffragata scientificamente – secondo cui il surriscaldamento globale (peraltro appena contestato all’Onu da 500 scienziati) sarebbe di origine antropica. Sommessamente, qualche anno fa, il fisico Carlo Rubbia, Premio Nobel, ricordava che, ai tempi dell’Impero Romano, le temperature medie erano superiori a quelle di oggi. Nel solo medioevo, come gli storici sanno, si è passati dalla mini-glaciazione (che d’inverno congelava il Tamigi e la Senna, attraversabili camminando) al grande caldo del periodo basso-medievale, con colture mediterranee come l’ulivo diffuse ovunque nel Nord Italia. Ancora nom c’era neppure la macchina a vapore, figurarsi le emissioni velenose delle odierne megalopoli. L’inquinamento è tangibile e pericoloso, quello sì: negli oceani galleggiano isole di plastica vaste quanto continenti. Come è possibile che non si impieghi la tecnologia necessaria a bonificare la Terra e riconvertire ecologicamente l’industria? E soprattutto: perché – in primis – i padroni dell’universo che muovono i fili della marionetta Greta vogliono, a tutti i costi, colpevolizzare noi per quanto sta accadendo, raccontandoci addirittura che il degrado della biosfera altera il clima del pianeta?E’ tutto talmente surreale da sembrare comico, se non fosse per il caos sanguinoso che sfiora o assedia miliardi di esseri umani. Il cielo è vistosamente coperto dalle emissioni aeree della geoingegneria (guai a chiamarle scie chimiche), mentre l’aviazione Usa ammette, di colpo, che i piloti dei jet sono frastornati dai continui avvistamenti di Ufo. Il Medio Oriente non fa più notizia, eppure dovrebbe: non si è ancora spenta l’eco del terrore scatenato dal sedicente Stato Islamico, protetto e armatissimo da precisi settori dell’intelligence atlantica prima dell’elezione di Trump alla Casa Bianca. Gli stregoni della finanza oggi hanno paura: temono un crollo catastrofico dell’economia fittizia gonfiata dalla speculazione. Mario Draghi smentisce integralmente la sua vicenda professionale e arriva a evocare addirittura la Modern Money Theory, cioè la restituzione della sovranità monetaria agli Stati, mentre Christine Lagarde, in uscita dal Fmi e diretta alla Bce, parla apertamente degli eurobond che metterebbero fine all’incubo dello spread, consentendo all’economia europea di tornare a investire e produrre lavoro. Sono voci frammentarie di élite potentissime che oggi appaiono divise e lacerate da faglie profonde, come quella che oppone il governo Usa al cartello Rothschild, ora schierato con Silicon Valley e con la Cina, pronto a sostituire il dollaro con un’altra possibile valuta internazionale, come propone la Bank of England.I segnali non sono rassicuranti, c’è chi teme un collasso che potrebbe spalancare scenari di guerra. Nell’Italia che assiste alla strage indiscriminata di alberi d’alto fusto, tagliati per fare spazio al misterioso 5G (vera incognita, per la salute), i genitori si rassegnano a sottoporre i bambini a vaccinazioni improvvisamente obbligatorie, somministrate in batteria – oggi ai neonati e forse domani anche agli adulti, pena la pedita del passaporto e della patente di guida come in Argentina? Ma non importa, evidentemente, se in tanti battono le mani alla piccola strega Greta Thunberg, che recita a soggetto davanti alle Nazioni Unite puntando il dito contro tutti noi. Un’intimidazione ad personam, minacciosa e sinistra: guai a voi, branco di incoscienti. Come osate continuare a sperare di migliorare la vostra vita? Musica, per le orecchie dei tagliatori di bilanci. Nulla che possa impensierire le major, gli oligarchi, le multinazionali. Greta ce l’ha con noi, con ognuno di noi: punta a far crescere il nostro senso di colpa, quello del giovane che sogna l’auto nuova, del pensionato che fatica ad arrivare alla fine del mese. Grazie a Greta, i cialtroni dell’austerity – da Palazzo Chigi alla Commissione Ue – potranno accanirsi sul popolo bue con meno scrupoli, specie se l’economia mondiale volgerà al peggio. Nuovi sacrifici in vista? Niente paura, in soccorso ai lestofanti arriva la lezione della piccola attrice svedese: soffrire è giusto, ce lo meritiamo.Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena comprato lo smartphone ultimo modello e avete osato concedervi una bella vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Sembra una viperetta tracotante, livida: ne saranno felicissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è soprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.
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Snowden a Saviano: il web ha hackerato la democrazia
«L’Europa ha perso un’occasione unica rifiutando l’asilo politico a Snowden: avrebbe potuto dimostrare il diverso approccio nel dare sicurezza ai cittadini». Lo afferma Roberto Saviano, nel presentare su “Repubblica” il suo colloquio via Skype con Edward Snowden, l’ex analista della Nsa rifugiatosi in Russia nel 2013 dopo aver rivelato il sistema di spionaggio di massa praticato dalla National Security Agency. «La cosa che rimpiango è non essermi fatto avanti prima», dice oggi Snowden, che ha 36 anni: «Rimpiango ogni anno che ho impiegato a decidere in cosa credessi, per rendermi conto di ciò che succedeva e decidere di fare qualcosa». Nel libro “Errore di sistema”, tradotto in Italia da Longanesi, l’ex operatore dell’intelligence Usa (cui è dedicato il film “Snowden” di Oliver Stone, uscito nel 2016) ripercorre la sua avventura: ha dato alla stampa le prove dei programmi XKeyscore, in grado di leggere qualsiasi email. Poi ha svelato l’esistenza di Prism, un programma di sorveglianza utilizzato per monitorare chat e videochat, comprese quelle su Skype. E infine ha tolto il velo su Tempora, programma che il governo britannico utilizzava per spiare le cancellerie europee. Se Paypal, Facebook, Apple e Microsoft nascono negli Usa – scrive Saviano – è anche perché l’Europa non ha considerato una sfida alla sua altezza il fatto di avere delle proprie piattaforme. Ma come poteva, l’Europa di cui parla Saviano, sfidare addirittura gli Usa?
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Le frontiere salvano popoli e libertà: ditelo, a John Lennon
“Le frontiere uccidono”, titolava una copertina recente de “L’Espresso”. È vero se pensiamo ai Vopos che uccidevano i loro connazionali, i tedeschi dell’Est che tentavano di varcare la frontiera per fuggire dal regime comunista. Se non sbaglio è stato l’ultimo capitolo in Europa di persone uccise perché volevano saltare il muro o il filo spinato. Ed era la frontiera di casa loro. A ben vedere, le frontiere che impediscono di entrare clandestinamente non sono malefiche perché salvaguardano popoli e territori, leggi, regole e cittadinanza, diritti e doveri; invece sono malefiche le frontiere che impediscono di uscire, come le cortine di ferro di tutti i regimi comunisti. Quelle si, furono frontiere criminogene che trasformavano le nazioni in prigioni e gli Stati in carcerieri. Ma dietro quel titolo e quella campagna contro le frontiere c’è un’ideologia, anzi c’è L’Ideologia del nostro Sconfinato Presente Globale. La riassume l’antropologo Michel Agier nella stessa rivista: «L’unica speranza è liberare il mondo dai confini», in modo da consentire «la libera circolazione delle persone». Senza limiti. Ma questo è il sunto della predica che ci propina ogni giorno la Fabbrica Mondiale dell’Opinione Corretta e che ha trovato in Carola Rackete la sua ultima testimonial, con tutto lo strascico di protettori e tifosi.È l’ideologia “no border”, morte ai confini, abbattiamo i muri e le frontiere di ogni tipo – tra popoli, tra territori, tra Stati, tra sessi, tra culture. È il Racconto Unico e Globale recitato ogni giorno come un rosario dell’uniformità, da stampa e propaganda, declamato dal Papa e da cantanti, artisti, intellettuali, opinionisti e bella gente. Nell’ideologia “no border” confluiscono più eredità: l’Internazionale socialista e comunista, il cosmopolitismo di matrice illuminista e massonica, il filone catto-umanitario, la filantropia e il capital-liberismo del Mercato Globale. Ma di mezzo c’è un passaggio. È l’utopia eco-pacifista e anarco-permissiva fiorita tra il ’68, l’Isola di Whight e Woodstock nell’estate del ’69, che fu l’apoteosi del mondo hippie. Libero amore, libera droga, niente limiti e confini. Quel clima trovò il suo manifesto ideologico in una celebre canzone del ’71, “Imagine” di John Lennon. Fu la bibbia di quei mondi. Non è un caso che la sigla di chiusura del comunismo in Italia sia stata proprio la canzone di Lennon, suonata a un congresso di Rifondazione Comunista al posto dell’Internazionale. Lenin lasciò il posto a Lennon.È una gran bella canzone, “Imagine”, ma le sue parole sono il manifesto del nichilismo presente e dell’ideologia “no border” in purezza, come la miglior cocaina. Leggiamo le sue parole: “Immagina che non ci sia il paradiso… e nessun inferno… Immagina la gente vivere per l’oggi… Immagina che non ci siano più patrie… Nessun motivo per cui morire e uccidere, nessuna religione, niente proprietà… E il mondo sarà una cosa sola”. È condensata in pochi versi l’Ideologia “no border” d’oggi: la negazione del senso religioso, dell’amor patrio e dei legami famigliari; il dominio assoluto del presente sul passato, sul futuro e sull’eterno, il pacifismo come fine della storia e risoluzione della politica, lo sradicamento globale e l’unificazione del pianeta, senza più frontiere. Ma se si vive solo per l’oggi, senza più motivi degni per vivere e per morire, se non ci aspettano cieli e inferni, se non c’è più Dio né patria né radice, perché poi lamentarsi se il mondo si riduce a un immenso spurgatorio e noi siamo i relativi materiali in transito, frutto di una liberazione che somiglia a un’evacuazione? È questo il senso ultimo della società liquida?Quell’utopia è piuttosto l’estinzione dell’umanità nel fumo e nella polvere dei desideri; al suo posto c’è un gregge vagante e belante in perpetua transumanza, che si vive addosso, senza storia e senza avvenire, senza confini e senza civiltà, guidato solo dall’io voglio. Ma se al mondo togli le frontiere, togli le norme che regolano i popoli, abolisci gli Stati e gli ordinamenti giuridici ad essi connessi, le tasse e i servizi, togli le garanzie di libertà e di sicurezza per i suoi cittadini, salta tutto. Salta la civiltà, che è fondata proprio sulla linea di frontiera tra il giusto e l’ingiusto, il bene e il male, il mio e il tuo, il naturale e il culturale. La libertà smisurata si rovescia nel suo contrario, e tramite l’anarchia conduce inevitabilmente al dispotismo, come insegnò Platone già 24 secoli fa. La libertà ha bisogno di confini, necessita di limiti, altrimenti sconfina, prima a danno della libertà altrui e poi annega nel caos universale. La libertà, come la dignità e la civiltà, si fonda sulle differenze. E ogni differenza delimita un’identità.La frontiera è il presupposto inevitabile per riconoscere l’altro, per confrontarsi e per dialogare. Il confine è il riconoscimento reciproco dei limiti. Del resto, il male peggiore per i greci era l’hybris, la tracotanza, il delirio di chi viola la misura e i confini. Per disintossicarsi da questa devastante utopia “no-border” consiglio di leggere almeno due libri, “Elogio delle frontiere” di Régis Debray (ed. Add) e “Dismisura” di Olivier Rey (ed. Controcorrente). Perduti Marx e Rousseau, che sopravvive come piattaforma nella caricatura grillina, perduto il socialismo di Lenin e di Gramsci, resta Lennon e l’Ideologia No Border ridotta a “Imagine”, anzi a imaginetta e spacciata come il toccasana per l’umanità. Resta immutata l’indole utopista, ma scende enormemente di livello. Immagina che bello, un mondo di replicanti a ruota libera…(Marcello Veneziani, “Le frontiere salvano i popoli e le civiltà”, dal numero 31 di “Panorama”, luglio 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).“Le frontiere uccidono”, titolava una copertina recente de “L’Espresso”. È vero se pensiamo ai Vopos che uccidevano i loro connazionali, i tedeschi dell’Est che tentavano di varcare la frontiera per fuggire dal regime comunista. Se non sbaglio è stato l’ultimo capitolo in Europa di persone uccise perché volevano saltare il muro o il filo spinato. Ed era la frontiera di casa loro. A ben vedere, le frontiere che impediscono di entrare clandestinamente non sono malefiche perché salvaguardano popoli e territori, leggi, regole e cittadinanza, diritti e doveri; invece sono malefiche le frontiere che impediscono di uscire, come le cortine di ferro di tutti i regimi comunisti. Quelle si, furono frontiere criminogene che trasformavano le nazioni in prigioni e gli Stati in carcerieri. Ma dietro quel titolo e quella campagna contro le frontiere c’è un’ideologia, anzi c’è L’Ideologia del nostro Sconfinato Presente Globale. La riassume l’antropologo Michel Agier nella stessa rivista: «L’unica speranza è liberare il mondo dai confini», in modo da consentire «la libera circolazione delle persone». Senza limiti. Ma questo è il sunto della predica che ci propina ogni giorno la Fabbrica Mondiale dell’Opinione Corretta e che ha trovato in Carola Rackete la sua ultima testimonial, con tutto lo strascico di protettori e tifosi.
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Proclamato: sappiamo tutto da sempre. Ditelo, alla scienza
Giorni fa una mia amica mi faceva notare un articolo, proveniente dal mondo scientifico, “Navigare tra i pensieri come nello spazio”. Così esordiva, testualmente: «Proposto un modello del pensiero umano secondo cui la nostra mente organizza le caratteristiche delle esperienze in dimensioni simili a quelle spaziali. Questa nuova teoria è basata sulla scoperta che nei test di memoria viene attivata la corteccia entorinale, la stessa che permette di orientarci nell’ambiente». E ancora: «Sulla rivista “Science”, una review firmata da ricercatori del Max-Planck-Institut per le scienze cognitive e le neuroscienze umane di Leipzig, in Germania, e del Kavli Institute for Systems Neuroscience di Trondheim, in Norvegia, definisce un modello del nostro sistema di navigazione che ha un ruolo importante in molte facoltà cognitive, e spiega perché la nostra conoscenza sembra essere organizzata secondo una modalità spaziale». In sintesi: «Nel cervello alcuni neuroni specializzati possono mappare l’ambiente costruendo una griglia esagonale che aiuta un animale a localizzarsi nello spazio. Ma le esperienze possono distorcere la griglia per dare maggiori dettagli alle aree di interesse» (cortesia Lucy Reading-Ikkanda, “Quanta Magazine”).Un tipo di scoperta che sinceramente non mi lascia indifferente, soprattutto oggi, in un momento in cui i miei studi, probabilmente, sono approdati a qualche tipo di risposta che presumo – lo ammetto: presumo – possa essere utile non solo a me, ma a tutti (e lasciatemelo dire, anche alla scienza). In pratica, sembra che l’ufficialità – molto timidamente – stia entrando in un campo, quello mentale, dove i pensieri (e vorrei dire non solo quelli animali, chiaramente) sembrano creare o aggirarsi in “mappe “ o “griglie” dove la geometria assume un certo tipo di valenza. Detto ciò, voi adesso mi dovrete scusare, oltre che armarvi di un minimo di pazienza, perché partendo da questo “suggerimento” vorrei mettere a vostra disposizione la sintesi del mio percorso conoscitivo, affinchè in molti possano rendersi conto del divario esistente fra ciò che il mio mondo conosce e ciò che la scienza arriverà a conoscere fra molti decenni, credo. Ma lo dico senza nessun tipo di alterigia, di sfida o senso di rivalsa verso nulla e nessuno. Scrivo semplicemente ciò che seguirà perché un profondo senso di responsabilità vorrebbe fosse a disposizione di tutti ciò che credo di sapere utile.Inoltre, e questo permettetemelo, quello che leggerete sarà trattato molto, ma molto più diffusamente nel mio prossimo libro, autoprodotto come quello in uscita su Salvador Dalì, che vedrà la luce questo autunno 2019, col titolo “Ottava e fisica emozionale”. Bene, fatta questa premessa, chi mi conosce si dovrà armare (come sopra) di un minimo di pazienza, che andrà riconosciuta anche a chi non mi conosce, affinché ciò che sto per descrivere possa avere un minimo di chiarezza e coerenza. Dovrò infatti incominciare… dall’inizio, quando “erano solo numeri”. Tredici anni fa, per primo, codificai un rosone nella mia città, l’Aquila, fra l’indifferenza di tutti e il mio stesso stupore. Si trattava del rosone centrale di Collemaggio. Allora, semplicemente, vidi al suo interno qualcosa di incredibile, un sistema numerico riassumibile attraverso le sue 36 braccia e 72 parti binarie, tutte nascenti da otto petali. Iniziava una vera e propria avventura verso quel sapere che mi avrebbe dato una nuova vita. Ricordo perfettamente una sensazione estremamente intima nel momento in cui capii come, utilizzando quelle informazioni, era possibile ottenere la Precessione degli Equinozi (36 x 72) e non solo.Quell’emozione sarebbe diventata fonte della mia continua ricerca. Non potevo sapere che quei numeri mi stavano risvegliando – in quel caso, attraverso il dolore. Dolore a me rinnovato da una persona che, a distanza di anni, anche oggi mi sta spingendo a scrivere, capire e condividere. Ma questa è la vita, e quando qualcuno ci fa morire, perché in vita si muore spesso, allora bisogna trovare il modo di rinascere (e questo è il mio). Tornando a noi, la ricerca di quei numeri – che non sapevo essere presenti ovunque in tutto il mondo, in mille modi a tutte le latitudini, da sempre e in qualsiasi testo sacro o misterico – era destinata a trovare rifugio in una serie illimitata di esempi o simboli. Non sapevo ancora di occuparmi dell’Ottava, e nulla sapevo del suo linguaggio simbolico. Io cercavo solo e assolutamente quei riferimenti, ovunque essi fossero. E viaggiavo, viaggiavo nel tempo. Trovavo nello Zodiaco di Dendera un magnifico rifugio.Nei avrei parlato per migliaia di volte nei miei libri, come nei miei seminari, che mai pensavo sarebbero stati seguiti. Ma era indubbio che, in questo caso, l’informazione aquilana fosse stata anticipata di migliaia di anni da quello zodiaco egizio, antropomorfizzandosi. Quei 12 esseri (con 24 braccia) abbracciano 72 corpi celesti, esattamente come nel mio rosone. Soprattutto – e qui vorrei la vostra attenzione – manifestano dinamiche comportamentali diverse: il Fuori e il Dentro dell’informazione. Tempo, spazio, movimento e materia sono appannaggio solo del Dentro e non del Fuori, dove quei 12 esseri mantengono un certo tipo di immobilità ottuplice. Ma a colpirmi non era tanto questo, quanto il fatto che all’esterno, fra gli esseri responsabili numericamente di quella visione celeste (che tanto dovrebbe insegnare a chi si ostina a occuparsi di astrologia in modo periferico e condominiale), si nascondesse un intervallo: un intervallo essenziale, per capire la mia legge (concedetemi il “mia”). Infatti, le direzioni sottolineano dei raggruppamenti sulle diagonali di 4 donne, sulla verticale di 4 Neter e sull’orizzontale di altri 4 Neter. Nasceva per me il famoso intervallo d’Ottava di “tre volte quattro” (o tre quarti), meglio conosciuto come Settenario, se sommato nella sua composizione numerica.Oggi, dopo anni, ho raggiunto la chiarezza di potervi dire che quell’intervallo è legge – in natura, come dentro di noi. Oggi posso dirvi con certezza che noi, esseri vibranti, parte integrante di un universo vibrante, siamo Settenario. Quello stesso Settenario che si avvale di sette note o sette colori per fare il famoso salto d’ottava, nello specifico il Do successivo e il bianco per lo spettro solare. Non sapevo che da millenni, in tutti i mondi spirituali come in quelli iniziatici, quello stesso salto veniva e viene provocato attraverso 7 virtù o 7 Chakra (ma questo è relativo). L’importante adesso è che voi capiate che dire “tre volte quattro” – o quattro stagioni di tre mesi – equivale a dire, numericamente, Rosone o Dendera o Settenario. E vi prego, risparmiatemi tutti gli shock addizionali del caso, esistenti all’interno di questa dinamica. E credetemi se vi dico che, anche in questo, il mondo cattolico sa immensamente più di quanto io abbia mai potuto leggere in merito. Mondo cattolico che stimo e studio con molta attenzione, cercando di distinguere il messaggio dai suoi portatori, non sempre consoni. Grandissimo stupore provavo poi nel rintracciare i miei numeri, sempre quelli, nella Lista Reale Sumerica. Stupore dettato dal fatto che questa volta apparivano in un contesto estremamente più antico dello zodiaco egizio.Otto Re in 5 città regnavano per 241200 anni. Di nuovo, i 12 esseri con le loro 24 braccia: e questa volta diventavano anni. Tanti anni: per gli esperti, decisamente troppi per essere presi sul serio. Perché tutte le civiltà della Terra sarebbero “nate” all’interno di pacchetti di tempo enormi? Eppure, quegli stessi anni mesopotamici erano e sono figli di una meccanica numerica che doveva far pensare, me per primo. Infatti, prima di ricomparire sotto il profilo decimale in Egitto millenni dopo, in Mesopotamia la stessa Lista veniva riassunta da 66 Sars e 6 Ners (Sar = 3600 anni; Ner = 600 anni); così almeno adesso sapete cos’è il 666. Soprattutto, quella civiltà aveva scelto un computo sessagesimale, per essere a sua volta evinto, sia a livello temporale che spaziale, dalla 216millesima parte di 12 milioni e 960.000 anni, pari appunto a 60 anni. Ma non è questo il punto, quanto il fatto che allora non sapevo cosa si celasse dietro quel “216” e tantomeno dietro… al Tempo.Poi, pochi anni fa, una telefonata amica mi informava che forse avrei fatto bene ad occuparmi delle Anatomie Sottili orientali, soprattutto di quella presente nell’Agopuntura. Lo feci. E improvvisamente il rosone divenne Agopuntura: 8 “meridiani curiosi” sono la matrice dei 12 organi principali come dei 12 meridiani secondari, a cui si aggiungono i 48 terminali. Su tutto si interagisce attraverso 360 agopunti. Io sommavo organi e meridiani e ottenevo 72 unità, che con i 360 agopunti andavano a costituire la matrice numerica di Collemaggio o Dendera o della stessa Lista sumera. Ma questa volta vi era una grandissima novità: scoprii che meridiani e organi rappresentano quell’anatomia sottile dalla quale sia il nostro corpo, come tutto il creato, prende forma. Soprattutto, nel mondo cinese si interagisce su di essi pensando che ospitino le nostre emozioni – che, se negative, possono sfociare in malattie. Cominciavo a rendermi conto che sulla Terra esisteva un medicina che presupponeva una realtà posta alla base di queata nostra realtà, simile a quella presente all’esterno del cerchio di Dendera. Oggi direi che di medicine multidimensionali sulla Terra ce ne sono moltissime, da millenni.Procedendo, mi occupavo dei simbolismi orientali. E scoprivo che tutto è collegato all’Ottagono, o all’Ottava – a questa legge che scoprivo ovunque, come nel Pak Ua. Oltre ad essere matrice del Feng Shui lo è dello Scintoismo come dell’I-Ching. E cosa scoprivo, dell’I-Ching, che avrebbe il compito di leggere il futuro? Si avvale di 8 trigrammi, quel “tre volte otto” presente nel labirinto di Collemaggio. Soprattutto, quei trigrammi sono composti da 12 linee unite e 24 spezzate, quindi 36 unità. Ma siccome l’I-Ching, se consultato, ha bisogno di 64 esagrammi, gli stessi vanno quindi raddoppiati, per cui da 36 passano a 72 unità consultabili. Così, mi accorsi che i numeri aquilani non solo erano utili a definire una dinamica spaziale come quella di Dendera, e non solo erano usati come anatomia umana e “creante”, ma esordivano nella visione del Futuro. Lo so, forse state pensando che io abbia fatto una partenza troppo lunga, ma vedrete che alle griglie mentali arriveremo.Andiamo avanti con la storia. Gli anni passavano e la mia ricerca mi portava ad occuparmi di sempre nuovi personaggi, che sapevo appartenere al mondo iniziatico proprio perché utilizzavano i “miei” numeri . Ormai non dubitavo più del fatto che tutto quel mondo, ovunque fosse rappresentato, utilizzasse immancabilmente quei parametri, da sempre. Arrivando a scrivere di architettura sacra, nello studio di Vitruvio (altro grande iniziato), attraverso il suo “De Architectura” ho intuito che i 3 stili principali di cui si occupa nell’opera – Corinzio, Dorico e Ionico – se suddivisi in parti o in componenti costruttivi, esprimono un ammontare di 216 unità. Non solo: se li si divide, avranno al loro attivo 72 parti (fra colonne, capitelli, fusto, trabeazione, e così via). E attenzione: per la prima volta ritrovavo quel riferimento come frazione del 216. Quello studio mi consentiva di capire come quegli stessi numeri fossero quindi essenziali, dal tempo delle Ziggurat fino ad arrivare al grattacelo di Renzo Piano a Londra, per ispirare qualsiasi tipo di costruzione civile o religiosa, in tutto il mondo.Vitruvio poi mi permetteva di fare un ulteriore passo avanti con un brano che vorrei riportare integralmente: «Del resto anche Pitagora e i suoi seguaci vollero esporre i loro precetti in volume secondo un sistema cubico e costruirono un cubo di 216 versi stabilendo che un trattato non dovesse essere composto da più di tre cubi. Il cubo è un solido composto da superfici piane uguali e quadrate; quando viene gettato rimane fermo, poggiando su una delle due facce, finché qualcuno non lo sposti, come avviene nel gioco dei dadi quando i giocatori li gettano sul tavolo. E pare appunto che i pitagorici si siano ispirati a questa similitudine, perché quel dato numero di versi rimanga impresso e fisso nella memoria, proprio come il cubo, qualunque sia la mente in cui è riversato. Anche i comici greci interruppero la lunghezza di un atto inframmezzandovi le parti corali. Quindi, dividendo l’azione secondo una proporzione cubica, alleggeriscono grazie alle interruzioni la recitazione degli attori». Già questo fa capire a che livello si trovasse il mondo iniziatico, millenni or sono, per quanto riguarda la modalità con cui questi pensatori supponevano che gli uomini facessero più “salda memoria”. Altro che griglie mentali! Da millenni, nel mio mondo si pensa che le griglie siano… cubiche.Tornando a noi, da quel momento – un momento non molto lontano dall’oggi – potei collegare i numeri aquilani ad una forma geometrica ben precisa (il Cubo) al numero 72, e 3 cubi al 216. E adesso posso fermarmi per riassumere alcuni passaggi e aggiungerne altri, in modo da avere una visione d’insieme più ampia:1) Il mondo mesopotamico riassumeva il suo sapere temporale e spaziale con il “3 volte 6” , che moltiplicato per se stesso è chiaramente pari al 216.2) Da ciò si può evincere che il 60 altro non è che un piccolo cubo nell’immensità temporale descritta.3) Dunque il Tempo, e quindi lo spazio descritto con questi numeri, è fatto di piccoli cubi (o anni) che si ripetono.4 ) La Precessione degli Equinozi, a livello numerico, è divisibile da “mesi cubici” pari a 2160 anni.5) Dendera altro non è che l’espressione spaziale, temporale e materiale proveniente da un evento numerico cubico.6) Le Anatomie Sottili orientali, come tutte le metodologie curanti, sono sempre impostate su una struttura cubica.7) La mente, o perlomeno la memoria umana, è cubica.Tutte le strutture architettoniche, almeno quelle costruite secondo i canoni numerici esaminati, hanno una matrice cubica.9 Il futuro può essere letto seguendo una dinamica cubica.Così andavo avanti, e sarebbe stato Giordano Bruno a regalarmi una perla di saggezza attraverso i suoi sigilli, come “Venere o Amore”. Brevemente, “Venere o Amore” si può definire il sunto geometrico della Legge dell’Ottava: risulta essere figlia di un triplice inizio, che usa una legge settuplice per approdare in natura con 5 geometrie ben precise, quelle platoniche. Per ora vorrei solo che notaste come su quei 7 cerchi campeggino tutta una serie di triangoli, uniti a originare forme geometriche precisamente determinate. L’Ottavo cerchio comprenderà il tutto. Ora, solo nel caso di questo simbolo, o sigillo, Bruno aggiungerà che le lettere che vedete rappresentano le iniziali corrispondenti agli Dei, mentre le linee che uniscono gli Dei altro non sono che le loro… EMOZIONI! Adesso però vorrei che osservaste meglio l’immagine, così potrete notare la presenza di 3 rombi (a:O:N:S-a:O:P:Q-a:S:R:Q). Fatto ciò, sarà facile evincere un cubo che contiene altri cubi, costituiti da geometrie platoniche a loro volta nascenti da triangoli.Quindi da questo momento abbiamo il diritto di aggiungere alla lista il punto dieci:10) Le emozioni sono cubiche.Da millenni, dunque, tutto il mondo iniziatico sa perfettamente che il corpo umano, la sua memoria e le sue emozioni sono il frutto di una matrice cubica. Sa che la creazione è di tipo cubico, considerando Dendera. Sa che dire cubo vuol dire Tempo, e che quindi noi siamo fatti di… ?DIO E’ UN IPERCUBOChiaramente anche la scienza sa qualcosa dei miei numeri, e non solo l’astronomia. Un giovane matematico indiano dei primi del secolo scorso, Srinivasa Yengar Ramanuyan, ebbe modo di creare le basi equazionali della Teoria delle Stringhe (oggi Teoria delle Membrane) attraverso le sue equazioni, da lui definite “modulari”. Guarda caso, quelle equazioni nascevano tutte da una trina numerica ben precisa: l’8, il 12 e il 24. Quindi la scienza forse non sa che quelle equazioni sono cubiche: e siamo arrivati al punto 11.Sicuramente la scienza è più attenta quando si parla di dimensioni: infatti, già dalla fine dell’Ottocento, ha contezza persino di una quarta dimensione (chiaramente non ne ha un’idea fisica, ma solo teorica). E postula una figura geometrica – fatta da un cubo con dentro un cubo – come modalità geometrica con cui definire una quarta dimensione, all’interno della quale noi siamo compresi, anche se non se siamo consapevoli; è una dimensione in cui spazio e tempo non si comportano come in questa dimensione (anzi, “non si comportano” e basta). Di nuovo, ciò che importa è la struttura geometrico-numerica che costituisce il “Tesseratto” (o “Ipercubo”, come viene comunemente chiamato) E’ costituito da 24 facce bidimensionali e 8 facce tridimensionali, come a dire: è fatto da 24 quadrati e 8 cubi. Numericamente è quindi composto da 48 parti bidimensionali e 24 parti tridimensionali. Totale: 72 parti.Adesso aggiungiamo il punto 12, il quale dice che «i numeri del Rosone di Collemaggio, usati da tutti gli iniziati della Terra, da sempre, per fare qualsiasi cosa in qualsiasi campo dello scibile umano, i numeri dell’Ottava insomma, altro non sono che un modo con cui utilizzare una matrice almeno quadrimensionale (conosco i Polychora e potrei dire altro, ma ne parlerò nel libro) come matrice non solo della nostra realtà ma del nostro essere psicofisico». E dopo una dichiarazione del genere, credetemi, parlare ancora di in termini esclusivamente misterici di Alchimia, di Tarocchi, di I-Ching, di Anatomie Sottili e di Chakra, di presunti Graal, di Tetraedi Stella di Merkaba, è a dir poco riduttivo, veramente. Esiste infatti un unico pseudo-mistero, ed è la Legge dell’Ottava. E siccome qualcosa io credo di averla capita, mi sembra giusto dire che è ora di finirla con questo presunto Esoterismo, come è ora che la scienza la smetta di ostinarsi nel non collaborare con “noi” che di simboli ci occupiamo, perché è con i simboli che si creano le Griglie – e non quelle esagonali, come l’ufficialità presume, ma quelle ipercubiche, come l’uomo è destinato a fare quando intraprende percorsi come i mei.Proseguo perché adesso si arriva al bello, visto che avete avuto la pazienza di arrivare fin qui. Vediamo un po’: io mi son chiesto (come molti, e da millenni) di cosa è fatto il Tempo. Un’idea credo di averla, ed è la seguente: intanto noi possiamo trasformare con molta semplicità un cubo in Tempo. Basta infatti trasformare i suoi dodici lati in 12 mesi di 30 giorni e il gioco è fatto – alla faccia di Nibiru. Così, i suoi 8 apici diventano 8 date ben precise. Allora è possibile trasformare “Venere o Amore” in Tempo, e quindi le emozioni in Tempo. Forse non ce n’eravamo mai accorti, ma il Tempo è vivo. E se è fatto di emozioni, è emozionabile. E allora emozioniamolo, con una bella preghiera – come fanno gli ebrei, attraverso le loro preghiere cubiche o il loro Dio fatto da 72 nomi di tre lettere, oppure come fanno gli arabi girando per 7 volte intorno alla Mecca. O noi cristiani quando entriamo in chiesa.La chiesa è una croce che – chiusa – diventa un Cubo; ma avendo sempre tra navata e transetto un Ottagono, si dimostrerà essere un luogo ipercubico, dove tempo e spazio… non si avvertono. Quindi perché stupirsi dell’Ottuplice Via buddista? Lo stesso Induismo, attraverso i 108 passi del Dio Shiva (36+72) vede creare il cielo e la Terra. E che dire dello Scintoismo, che vede l’essenza della sua spiritualità in 8 milioni di Kami o anime. E allora emozioniamolo, il Tempo. Forse non ci è chiaro, ma le tecniche per emozionarlo le conosciamo da millenni. E a volte funzionano, sapete – eccome, se funzionano.Però adesso aggiungiamo un punto alla nostra personale tabellina, il 13. E diciamolo chiaro: l’Umanità da sempre adora un Ipercubo – e non se n’è accorta, lei che è Tesseratto nel cuore (incredibile). Ma soprattutto, l’Ottava è Dio ed è Tempo… come noi. Non c’è nulla di male a dirlo. Infatti, tutti i mondi religiosi e iniziatici – attraverso 7 virtù ben precise, e vi prego di ricordare cosa vi ho detto sul Sette o Settenario – cercano di cambiare le “nostre” vibrazioni affinchè l’Ottava vibrazione (e cioè la santità) diventi tutt’uno con noi. Peccato però che né la scienza né tantomeno il mondo iniziatico abbiano mai preso carta e penna per dire che quelle Sette Virtù pregate e vissute in modo mantrico altro non sono che vibrazioni corrispondenti a dimensioni ben precise, da cui guardacaso arrivano capacità ben note, che il mondo cristiano poi chiama Doni o Carismi. Ma non fa nulla; io amo l’Ottava e, senza saperlo, ho amato Dio grazie a Collemaggio, per cui forse oggi ho abbastanza fede, speranza e carità per dire che tutti debbono “capire, per essere”.Ma a questo punto posso prendere e dare fiato per dirvi: visto che stiamo parlando di dimensioni e di corrispondenti vibrazioni, non stiamo forse parlando di griglie mentali la cui geometrizzazione spaziale è quadrimensionale? Quindi, cari scienziati, visto e considerato che già tantissimo avete fatto, ora fatevi aiutare come ai tempi della Protoscienza. Così riusciamo a creare una nuova tecnologia, compatibile e pienamente umana, visto che la vera macchina da scoprire siamo noi. Sì, perché nel momento in cui si capiscono certe cosette, l’autocoscienza ci permette di evolverci attraverso quelle nuove griglie. Così possiamo assolvere il mondo massonico da un compito davvero ingrato, quello di trasformare la pietra grezza in pietra d’angolo. Ecco, facciamocela da soli ’sta roba: è meglio.IL MONDO DEI DESIDERIEbbene, giustamente voi direte: e adesso, con tutto ciò che hai scritto che ci faccio? Allora cominciamo col dire che tutti coloro che vogliono il libretto delle istruzioni, il cacciavite, le pinze o la prodigiosa macchina guaritrice di turno non sono invitati. Qui o si diventa Ottava, o non si riesce a fare ciò che l’Ottava meglio sa fare. E cioè: creare nuovi mondi o nuove realtà. Io, nel mio piccolo, ci sono riuscito semplicemente perché ho fede in Dio. E sapete cos’è la fede? Semplicemente un’emozione, capace di eliminare spazio e tempo da questa tridimensionalità: si chiama onnipresenza. Insomma, come sopra: una dimensione al cui interno è presente l’onniscenza del mio rosone e l’immortalità del mio peregrinare, nel tempo come nello spazio. Signori, ma non lo avete capito? Noi siamo Tempo: nel momento in cui siamo coscienti di poterlo fare e scegliamo di farlo, noi siamo esseri capaci di muoverci nel Tempo, di modificarlo e plasmarlo, semplicemente perché il Tempo è l’essenza di ogni dimensione. Per cui non ho deciso (come qualcuno propone) di diventare immortale; no, mi darei una fregatura da solo. Ho deciso di percepire l’immortalità in vita. E quella sensazione è così potente da ridare vita, un domani, a un viaggiatore come me, che ha deciso di essere stato spesso qui. Perché l’Ottava questo può anche decidere di permettere.E così, da un po’, mi muovo nel tempo come ho fatto in questi anni. E quando ho deciso di creare qui il mio nuovo futuro mi sono accorto di non poterlo fare. E sapete perché?Semplicemente perché non ce l’avevo. Il presente, questo meraviglioso presente, pensavo fosse sufficiente, alla mia vita. Ma ho deciso che non è più così: dal futuro da cui vi sto scrivendo vi dico che tutto quello che amo io l’ho avuto. Perché la realtà che sto creando in questo preciso istante è già passato, prima di diventare futuro, e l’ho vissuto. Anche perché il Tempo non è solo trino, ma soprattutto… uno. E adesso immaginiamo qualcuno che sappia usare il tempo moooolto meglio di me: che cosa farebbe, secondo voi? Se avesse un desiderio, sapendo che il Desiderio è una struttura ipercubica da “riempire”, allora lo chiamerebbe 129600000 anni. E al suo interno ci metterebbe una civiltà, che nascerebbe estrapolando tutto il suo sapere cubico esattamente da questa Dimensione, che è fatta da un numero di anni ben preciso. Quindi il Tempo è una variabile dimensionale pensante e modificabile, che spazialmente è capace di rispecchiare, dentro di noi, le geometrie spaziali e dimensionali presenti in natura.Siamo ben oltre le griglie mentali. Siamo perciò emettitori di tempo, e ricettori dello stesso.Immaginate quante cose possiamo fare, quindi – altro che Costellazioni Familiari, Pnl, Reiki e mille altre cose, spesso russe o americane, tanto per non fare nomi… Possiamo per esempio (come ha fatto Gioacchino da Fiore) inventare un Terzo Tempo o Spirito Santo, utile a portare in questa realtà la Gerusalemme Celeste, che chiaramente era cubica, attraverso un protocollo mantrico fatto dalla ripetizione, per nove volte, del numero 7. Oppure possiamo fare un salto da Papà, che non c’è più (come ho fatto), e dirgli di stare tranquillo, perché da grande io ce la farò. Possiamo regalare tempo a una persona attraverso una dimensione come l’amore. Possiamo credere che Dio sia vivo e che ci ascolti, perché lui è Ottava, e possiamo parlargli attraverso le sue dimensioni – che in noi sono virtù.Possiamo darci e dare degli appuntamenti, nel Tempo, pur sapendo che non ci saremo fisicamente, come ho fatto con mio nipote. Possiamo utilizzare pensieri provenienti dal passato, come io ho fatto, e utilizzarne altri che provengono dal futuro, per sapere e capire. Possiamo pensare di essere sempre vissuti e rendere ciò vero, come ho fatto, e muoverci nel futuro come nel passato. Possiamo creare mondi come quelli cinematografici, dove attraverso un Cubo intere epopee di super-personaggi – dai Trasformers agli Avengers – fanno guadagnare alla Walt Disney miliardi di dollari. O creare un videogioco come Fortnite, con centinaia di milioni di giocatori che inseguono una struttura cubica. E qui mi fermo. Oppure, visto che a breve uscirà questo mio lavoro, possiamo immedesimarci con la morte in vita, e percepire attraverso un Ipercubo la sensazione meravigliosa di chi sa che la morte non esiste veramente. Possiamo rifare tutto e meglio, in questo mondo e di questo mondo. Con affetto, Michele Proclamato.(Michele Proclamato, “Le griglie mentali e la fine dell’esoterismo, ovverosia: quando cambiare tutto e cambiare tutti è possibile e necessario”, dal blog di Proclamato dell’8 giugno 2019).Giorni fa una mia amica mi faceva notare un articolo, proveniente dal mondo scientifico, “Navigare tra i pensieri come nello spazio”. Così esordiva, testualmente: «Proposto un modello del pensiero umano secondo cui la nostra mente organizza le caratteristiche delle esperienze in dimensioni simili a quelle spaziali. Questa nuova teoria è basata sulla scoperta che nei test di memoria viene attivata la corteccia entorinale, la stessa che permette di orientarci nell’ambiente». E ancora: «Sulla rivista “Science”, una review firmata da ricercatori del Max-Planck-Institut per le scienze cognitive e le neuroscienze umane di Leipzig, in Germania, e del Kavli Institute for Systems Neuroscience di Trondheim, in Norvegia, definisce un modello del nostro sistema di navigazione che ha un ruolo importante in molte facoltà cognitive, e spiega perché la nostra conoscenza sembra essere organizzata secondo una modalità spaziale». In sintesi: «Nel cervello alcuni neuroni specializzati possono mappare l’ambiente costruendo una griglia esagonale che aiuta un animale a localizzarsi nello spazio. Ma le esperienze possono distorcere la griglia per dare maggiori dettagli alle aree di interesse» (cortesia Lucy Reading-Ikkanda, “Quanta Magazine”).
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Bernays e il golpe mentale che ci ha trasformati in pecore
«L’individuo opera le sue scelte mosso da impulsi irrazionali e incontrollati. E’ compito di una minoranza di persone elette guidarlo “come un gregge di pecore va guidato”». Annoverato dall’autorevole rivista americana “Life” tra i 100 uomini più potenti del XX secolo, acclamato unanimemente come il creatore dell’ingegneria del consenso, Edward Louis Bernays è un nome poco familiare al pubblico europeo. Conosciuto forse a qualche curioso per la sua parentela con il padre della psicoanalisi, lo zio Freud, il giovane Louis assimila velocemente e rielabora brillantemente la teoria della rivoluzionaria conoscenza dell’inconscio. Di estrazione ebraica e borghese, si trasferisce giovanissimo nella New York dei primi del Novecento dove, abbandonata la strada prestabilita della prosecuzione dell’attività paterna, muove i primi passi nel mondo del giornalismo, per affermarsi in una veste di comunicatore del tutto inedita per i tempi. Dopo i fasti registrati dall’industria manifatturiera a servizio della produzione bellica della Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si trovano a dover affrontare il più spaventoso degli spettri del mercato: il rischio di sovrapproduzione.Il “brain storming” di illustri banchieri e influenti imprenditori porta a centrare la soluzione in modo deciso e inequivocabile: occorre traghettare il cittadino americano dalla cultura dei bisogni a quella dei desideri, rendendo le persone bramose di soddisfare necessità sempre nuove, gravose come impellenti bisogni. La logica economica, dopo aver asservito l’industria bellica per accrescere la propria produzione, si avvicina così alla neonata scienza della psicoanalisi. Ma come fare a convincere i cittadini a consumare nuovi prodotti non avendo esaurito i vecchi acquistati? Per Bernays, la risposta è semplice: basta «inquadrare l’opinione pubblica così come un esercito inquadra i suoi soldati». Lo zio Sigmund aveva dato luce alla parte oscura che muove il desiderio spinto dall’inconscio: attraverso il meccanismo di compensazione dei desideri, l’individuo sposta l’orizzonte del suo desiderio represso e non ammissibile verso la sfera esterna della materialità per poterlo soddisfare.Appresa la lezione, Bernays offre la sua preziosa consulenza nella campagna della American Tobacco Company per abbattere il tabù dell’America del primo dopoguerra verso la pratica del fumo da parte delle donne. Nel 1929 inscena la parata delle “fiaccole della libertà”: ingaggia una decina di suffragette che, nel pieno di una manifestazione pasquale, accendono in modo teatrale l’oggetto del desiderio manifesto allora proibito, le sigarette, che nell’inconscio femminile rappresentavano il pene. La notizia fa il giro del mondo, veicolata come gesto di libertà e emancipazione femminile, intaccando fortemente il tabù puritano. L’individuo, dunque, è disposto ad assumere comportamenti irrazionali, orientati al consumo di prodotti non solo inutili per la sua vita, ma addirittura dannosi, pur di sentir soddisfatti alcuni sui aneliti inconfessabili e inappagati, pur di veicolare all’esterno un’immagine che lo gratifichi e lo faccia sentire apprezzato dagli altri.E proprio perché in preda a forze inconsce gli essere umani vanno controllati, “come un gregge di pecore va guidato”. Alle minoranze più intelligenti (élite) spetta il compito di fare proselitismo e indirizzare le masse indisciplinate e irrazionali. Una sorta di compito morale degli eletti: «Solo così si può coniugare l’interesse individuale con quello collettivo per favorire lo sviluppo e il benessere dell’America» (“Propaganda”, 1928). L’elenco dei clienti di Bernays è un pullulare di nomi del gotha economico e politico americano: Procter & Gamble, l’American General Electric, la General Motors e il presidente Usa Eisenhower sono solo alcuni dei nomi presenti nello sterminato portfolio di Bernays, capace di camuffare da colpo di stato il golpe guatemalteco del 1953 per favorire, al fianco della Cia, gli interessi della United Fruit Company. La sua fama arriverà oltreoceano, conquistando con le sue teorie il Ministro della Propaganda nazista Goebbels, suo dichiarato fan. E’ a lui che devono la paternità tutte le attuali figure “professionali”, come gli spin doctor, che hanno fatto della propaganda l’arma del consenso sociale.(Ilaria Bifarini, “Il padre della propaganda: Edward Bernays”, dal blog della Bifarini del 29 aprile 2019).«L’individuo opera le sue scelte mosso da impulsi irrazionali e incontrollati. E’ compito di una minoranza di persone elette guidarlo “come un gregge di pecore va guidato”». Annoverato dall’autorevole rivista americana “Life” tra i 100 uomini più potenti del XX secolo, acclamato unanimemente come il creatore dell’ingegneria del consenso, Edward Louis Bernays è un nome poco familiare al pubblico europeo. Conosciuto forse a qualche curioso per la sua parentela con il padre della psicoanalisi, lo zio Freud, il giovane Louis assimila velocemente e rielabora brillantemente la teoria della rivoluzionaria conoscenza dell’inconscio. Di estrazione ebraica e borghese, si trasferisce giovanissimo nella New York dei primi del Novecento dove, abbandonata la strada prestabilita della prosecuzione dell’attività paterna, muove i primi passi nel mondo del giornalismo, per affermarsi in una veste di comunicatore del tutto inedita per i tempi. Dopo i fasti registrati dall’industria manifatturiera a servizio della produzione bellica della Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si trovano a dover affrontare il più spaventoso degli spettri del mercato: il rischio di sovrapproduzione.
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Audasso: il “cervello quantico” è in ascolto, per esaudirci
L’ha scoperto la saggista Maria Soresina: la “Divina Commedia” di Dante rappresenta simbolicamente il Consolamentum, cioè l’unico sacramento previsto dalla maggiore eresia medievale, quella dei Catari, a cui il sommo poeta fiorentino era legatissimo. Lo dimostra l’importanza attribuita nel Purgatorio alla figura di Marco di Lombardia, vescovo cataro di Concorezzo. Ma, secondo Soresina, nella costruzione allegorica della “Commedia” c’è un elemento che, più di ogni altro, svela l’identità càtara dello stesso Dante: il ricongiungimento con l’amata Beatrice, ormai stabilmente residente tra i beati, allude infatti alla vera missione spirituale del Catarismo, che impegnava il credente a far “sposare” la sua parte animica, “prigioniera” del corpo mortale, con «l’altra parte dell’anima, mai incarnata», che nel poema è impersonificata dalla figura femminile, “angelicata” secondo il credo letterario del Dolce Stil Novo. Tradotto nel 2018: c’è qualcosa, dentro di noi, che attende di essere “risvegliato”? E’ la tesi di un ricercatore contemporaneo, Sergio Audasso, tra i primi in Italia a definire l’esistenza di un “cervello quantico”: una sorta di potenzialità teoricamente infinita, con un suo “programma di benessere” già inscritto del Dna, che solo le nostre paure finiscono per inibire.Non è una semplice suggestione, quella del Catarismo, data la passione con cui lo stesso Audasso studia la dottrina càtara. Ma, biografia a parte, il suo saggio “Neuro quantica evolutiva” (UnoEditori) è un agile manuale, estremamente pratico, che suggerisce come sia possibile riprendere gradualmente confidenza con quella parte di noi teoricamente “in sonno”, da qualche parte nell’encefalo, pronta a trasformarsi in coscienza attiva, fino a determinare nell’individuo un autentico cambio di stato: l’accesso a un diverso livello di consapevolezza, che “libererebbe” capacità prima impensabili. Audasso si occupa di fisica e meccanica quantistica già da molti anni: risale al 2007 il primo ebook sul “cervello quantico”, vero e proprio mini-bestseller pubblicato sulla piattaforma web di Italo Pentimalli. Nella vita, Audasso è formatore, “mental coach”, counselor, psicosomatista. Già membro della Sipnei (Società Italiana di Neuro Psico Endocrino Immunologia), è esperto delle basi neurali dei processi decisionali. Si occupa in particolare di “effetto Nocebo”, e sviluppa «metodi di auto-trattamento per la modifica dei codici epigenetici e per liberare se stessi dai pensieri bloccanti e auto-sabotanti».Il suo ultimo lavoro editoriale (sottotitolo, “Parlare al cervello quantico e cambiare la propria vita”) traccia un percorso preciso, nella direzione che Sergio Audasso studia da anni. La domanda centrale è la seguente: quanto siamo condizionati dalle abitudini che noi stessi abbiamo contribuito a creare? Possibile che sia sempre e solo il passato a dettare le regole del nostro futuro? Sono le domande che, nella sua vita professionale, Audasso si sente rivolgere di continuo: come diventare una persona sicura di sé, libera da condizionamenti? Cosa impedisce di raggiungere obiettivi di benessere e armonia? E soprattutto: com’è possibile convertire il potere della mente, mettendolo al nostro servizio? A metà strada tra psicologia, neurologia e nuove frontiere della ricerca scientifica come quelle che sondano la recentissima epigenetica, Audasso spiega innanzitutto perché, il più delle volte, l’autocontrollo (socialmente indotto) diventa una trappola che spinge l’indivuo a ripetere gli stessi errori, accumulando frustrazioni che poi pesano, nell’esperienza, fino a condizionare la possibiltà stessa di voltare pagina.L’autore individua l’esistenza di precise meccaniche, che poi “fabbricano” l’insoddisfazione quotidiana. Il suo libro non promette miracoli: svela meccanismi. Dimostra l’impatto interiore, a livello cognitivo, delle esperienze. E registra la costante assenza di un elemento che ritiene decisivo: la nostra mancanza di “dialogo” con il misterioso “cervello quantico”. Un motore potente, che secondo Audasso aspetta soltanto di essere finalmente messo in moto. L’autore cita Paul Valéry: «Il compito di una mente è di produrre futuro», senza pretendere l’infallibilità. Lo sapeva anche Charles de Gaulle: «Meglio prendere decisioni imperfette che essere alla continua ricerca di decisioni perfette che non si troveranno mai». Idee e pensieri: energie, emozioni, volontà. Una piccola guida, per step progressivi: «Sono sicuro di sapere cosa voglio dalla mia vita? Ho idea del prezzo che questo mi costa? E infine: sono disposto a pagarlo?». Ogni inciampo, sostiene Audasso, deriva dalla nostra mancanza di consapevolezza: subiamo troppe emozioni incontrollate, agiamo troppo spesso in modo automatico, senza ragionare in proprio. Attenzione: il “cervello quantico” è in ascolto. Che istruzioni riceve? Bisogna saperlo coltivare, dice Audasso, il “pensiero promotore”. Si può imparare, per gradi. Ma non senza prima aver capito come funziona, questo meccanismo, che secondo l’autore è squisitamente fisico, matematico.«Ogni nostra azione – spiega Audasso – si sviluppa attraverso l’utilizzo di una memoria “procedurale”, che a sua volta ne comprende altre due: la memoria “associativa”, identificabile con il condizionamento, e la memoria non-associativa, quella dell’abitudine». La tecnica “neuro quantica evolutiva” agisce in questo secondo ambito: «Con le neuro-associazioni e la memoria procedurale diamo la possibiltà alle nostre proteine una possibilità di “ancoraggio sinaptico”». A quel punto, le informazioni vengono trattenute e rese disponibili. In altre parole, è possibile porre delle “richieste” a quello che Audasso chiama “l’universo quantico”, per vederle realizzate. «Così facendo, però, si rimane nel vecchio paradigma: si riduce il “campo quantico” a poche alternative, sempre dettate dal passato, ottenendo nel migliore dei casi un semplice miglioramento». Si passa cioè «dal conosciuto al desiderato», mentre la “neuro quantica evolutiva”, secondo Audasso, consente di approdare al nuovo, all’ignoto, all’inaspettato. Nessun mistero: «Si attivano nuove neuro-connessioni, si eliminano le abitudini e si rinnova, davvero, la nostra vita».Il libro conduce il lettore verso progressive scoperte, fino «a comprendere i meccanismi che si muovono in lui (neuro), a interagire sul vecchio facendo agire il nuovo (quantica), liberando così i propri talenti (evolutiva)». Troppo difficile? Non per i lettori di Audasso, per i quali l’autore “smonta”, in modo perfettamente accessibile a tutti, i vari passaggi della dinamica cognitiva del pensiero “auto-sabotante” del quale ognuno di noi è così spesso vittima. Il motivo? Sempre lo stesso: l’auto-sabotaggio lo subiamo in modo sistematico, ma senza accorgercene. L’ostacolo è micidiale perché invisibile. Si chiama: deficit di consapevolezza. Diventare se stessi: questo è l’unico “prodigio” della conoscenza che Sergio Audasso maneggia. Obiettivo: «Riuscire un giorno a esprimere le proprie capacità, le abilità innate». Come? Imparando, innanzitutto, a “parlare” a quella parte di noi che, forse, ai tempi di Dante, qualcuno poteva ritenere “trascendente”. I catari, certo, la attribuivano al Padre Celeste. Sergio Audasso, più semplicemente, prova a spiegare come raggiungerla.(Il libro: Sergio Audasso, “Neuro quantica evolutiva. Parlare al cervello quantico e cambiare la propria vita”, UnoEditori, 168 pagine, euro 13,90).L’ha scoperto la saggista Maria Soresina: la “Divina Commedia” di Dante rappresenta simbolicamente il Consolamentum, cioè l’unico sacramento previsto dalla maggiore eresia medievale, quella dei Catari, a cui il sommo poeta fiorentino era legatissimo. Lo dimostra l’importanza attribuita nel Purgatorio alla figura di Marco di Lombardia, vescovo cataro di Concorezzo. Ma, secondo Soresina, nella costruzione allegorica della “Commedia” c’è un elemento che, più di ogni altro, svela l’identità càtara dello stesso Dante: il ricongiungimento con l’amata Beatrice, ormai stabilmente residente tra i beati, allude infatti alla vera missione spirituale del Catarismo, che impegnava il credente a far “sposare” la sua parte animica, “prigioniera” del corpo mortale, con «l’altra parte dell’anima, mai incarnata», che nel poema è impersonificata dalla figura femminile, “angelicata” secondo il credo letterario del Dolce Stil Novo. Tradotto nel 2018: c’è qualcosa, dentro di noi, che attende di essere “risvegliato”? E’ la tesi di un ricercatore contemporaneo, Sergio Audasso, tra i primi in Italia a definire l’esistenza di un “cervello quantico”: una sorta di potenzialità teoricamente infinita, con un suo “programma di benessere” già inscritto del Dna, che solo le nostre paure finiscono per inibire.
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Ci sfruttiamo l’un l’altro: questa civiltà è destinata a crollare
La nostra civiltà scomparirà. Come l’impero egiziano, con le sue monumentali piramidi, i suoi faraoni, il suo commercio, la sua cultura, la sua religione millenaria.Come l’impero babilonese con le sue imponenti ziqqurat, i suoi re, le sue tradizioni, le sue biblioteche e il suo commercio. Come l’impero fenicio, le sue invenzioni, la sua arte raffinata, le sue filosofie. Insomma, la nostra civiltà scomparirà. Anzi sta già scomparendo. Perché le civiltà sono come gli organismi: nascono, si sviluppano, decadono e muoiono. E poi perché le nazioni, le civiltà, le culture sono in realtà delle invenzioni. Invenzioni per cui la gente uccide, sogna, si dispera, combatte, ma pure sempre invenzioni. E sono irrazionali. Un po’ come il tifo calcistico: non c’è un motivo razionale per tifare Inter, Milan, Roma, Lazio, Juve… Eppure si è disposti a menare, a litigare, a spendere molti soldi, perfino a uccidere (o vi siete già dimenticati di Genny ‘a Carogna?). I confini tra Italia e Francia sono invenzioni. I confini tra Belgio e Germania sono invenzioni. I confini tra Usa e Canada sono invenzioni. I confini tra qualsiasi nazione e qualsiasi altra nazione sono invenzioni. Lo si vede con chiarezza guardando la cartina geografica dell’Africa: linee tirate giù con il righello. Non si presero neppure la briga di seguire il profilo idrogeologico.Oggi chi nasce a Roma è italiano. Fino a qualche decennio fa era cittadino vaticano. Oggi chi nasce in Corsica è francese. Prima era piemontese. Prima ancora era fenicio… I confini sono un’invenzione. E noi uccidiamo per quell’invenzione. Uccidiamo per la Patria. Uccidiamo per la Religione. Uccidiamo per l’Ideologia. La nostra civiltà – intendo la civiltà a livello mondiale, la civiltà umana – è al collasso. Perché ci sono dei circuiti perversi che accettiamo passivamente, dandoli per scontati, senza rifletterci. Pensateci: gente che si vende, tradisce, si abbrutisce, uccide per delle entità irreali. I numeri della Borsa – i milioni di miliardi che si muovono nei “mercati” ogni giorno – non corrispondono a niente. Il denaro stesso – che un tempo era il corrispettivo delle riserve auree – non corrisponde più a niente. Ma già l’oro in sé non corrispondeva a niente di veramente prezioso. Cos’è l’oro? Si mangia? Si beve? Ci si ripara? Gli Aztechi e i Maya pensavano che gli spagnoli se ne nutrissero, non capivano tanta avidità per un metallo.Pensateci: per questa concezione perversa dell’economia ci ritroviamo con vaste aree del globo terrestre ricchissime di tutto ciò che è prezioso (acqua, terreno, colture, clima, minerali…) che sono in miseria. E ci sono invece posti in mezzo al deserto, dove non cresce nulla e si vive a stento, in cui costruiscono piste da sci tra la sabbia, in cui fontane d’acqua dolce zampillano in ogni angolo e in cui la gente muore per il colesterolo alto. Vi sembra normale, questo? Pensateci: intere classi sociali, anche in Italia, si fanno a guerra per i pochi beni a disposizione. «Non c’è lavoro per tutti», si dice. «Non ci sono risorse per tutti», si dice. «È una guerra tra poveri», si dice. Ogni giorno i bar, le pasticcerie, i supermercati, le pizzerie, i ristoranti buttano via tonnellate di cibo. Ogni giorno. Tonnellate di cibo ogni giorno. Non ci sono risorse per tutti? Ogni stagione vengono lasciati marcire o schiacciati con i trattori tonnellate di pomodori, arance, zucchine, mele… Ettolitri di latte versato nel terreno. Non ci sono risorse per tutti? È una guerra tra poveri? Ma siamo davvero così poveri? Pensateci: non c’è lavoro per tutti. No. Siamo nel 2016.Un tempo per coltivare un campo che rendeva 100 dci volevano 20 persone. Oggi bastano 3 persone e un trattore. E il campo rende 300, grazie alle biotecnologie. Ci sono 19 persone di troppo. Certo, alcuni di quei contadini di troppo andranno a costruire i trattori. Ma sono comunque troppi. Ma il punto non è questo. Il punto è che il salario per il lavoro è un’invenzione. Se fossimo davvero nel 2016 e se fossimo davvero avanzati come civiltà, non ci sarebbe una cosa come “il salario”. Le ore di lavoro non sarebbero per la sopravvivenza – quella dovrebbe essere garantita dal fatto che sei un essere umano e hai diritto di vivere. Le ore di lavoro sarebbero il tuo contributo alla comunità nella quale sei nato. Perché lavorare non è una condanna ma un’opportunità di senso, di crescita personale, di identità. È diventato una schiavitù perché l’attuale lavoro è un ricatto e le condizioni di lavoro sono spesso da schiavitù. Lavoreremmo tutti, 4-5 ore al giorno. E il resto del tempo? Lo vivremmo. Lo passeremmo a coltivare le amicizie, a occuparci degli affetti, all’arte, alla crescita personale, al progresso della civiltà.Lo scriveva già quasi un secolo fa Bertrand Russell. Ma questo presupporrebbe, oltre a un radicale cambiamento di prospettiva, un controllo delle nascite. Le società animali lo fanno in modo naturale: dove c’è abbondanza di risorse si moltiplicano, dove c’è scarsità di risorse diminuiscono. Anche gli esseri umani lo fanno in modo naturale: dove le risorse sono distribuite e c’è un buon livello di benessere le comunità umane hanno meno figli. O meglio, fanno il numero di bambini proporzionato alle risorse. Nei paesi in cui l’aspettativa di vita è scarsa si fanno molti più figli perché il “gene egoista” cerca di sopravvivere dandosi più chance. Come le tartarughine: sono tantissime ma solo poche testuggini raggiungono il mare e sopravvivono. Per questo fanno tante uova. Il controllo delle nascite (come il controllo della sessualità, dell’alimentazione, etc.) negli uomini è regolato non dall’istinto ma dalla cultura. Infatti tutte le religioni controllano sessualità, cibo e desideri. E tutte le “culture” hanno norme su cosa è giusto o sbagliato in campo di sessualità, cibo e desideri.Il collasso della civiltà quindi non è solo una questione di “corsi e ricorsi storici” ma una questione di cultura. Ma secondo voi la nostra cultura ha fatto molti progressi? Sì, non c’è più la schiavitù. E le baraccopoli di braccianti africani in Puglia che raccolgono le tue cicorie bio? Non c’è più la schiavitù. E i capannoni alla periferia di Prato e di Roma in cui donne incinte e bambini cinesi cuciono la maglietta che indossi? Non c’è più la schiavitù. E i contratti precari con cui i lavoratori di oggi vengono tenuti sotto ricatto? Non c’è più la schiavitù. E le migliaia di ragazze deportate sulle nostre strade costrette a farsi violentare ogni giorno per qualche decina di euro “di divertimento”? Guardando la civiltà ateniese del III secolo ac, siete proprio sicuri che la nostra cultura ha fatto così tanti progressi? Guardando le comunità di nativi americani, siete proprio sicuri che la nostra cultura ha fatto molti progressi?(Chistian Giordano, “Il collasso della civiltà”, dal blog di Giordano del 14 luglio 2016).La nostra civiltà scomparirà. Come l’impero egiziano, con le sue monumentali piramidi, i suoi faraoni, il suo commercio, la sua cultura, la sua religione millenaria. Come l’impero babilonese con le sue imponenti ziqqurat, i suoi re, le sue tradizioni, le sue biblioteche e il suo commercio. Come l’impero fenicio, le sue invenzioni, la sua arte raffinata, le sue filosofie. Insomma, la nostra civiltà scomparirà. Anzi sta già scomparendo. Perché le civiltà sono come gli organismi: nascono, si sviluppano, decadono e muoiono. E poi perché le nazioni, le civiltà, le culture sono in realtà delle invenzioni. Invenzioni per cui la gente uccide, sogna, si dispera, combatte, ma pure sempre invenzioni. E sono irrazionali. Un po’ come il tifo calcistico: non c’è un motivo razionale per tifare Inter, Milan, Roma, Lazio, Juve… Eppure si è disposti a menare, a litigare, a spendere molti soldi, perfino a uccidere (o vi siete già dimenticati di Genny ‘a Carogna?). I confini tra Italia e Francia sono invenzioni. I confini tra Belgio e Germania sono invenzioni. I confini tra Usa e Canada sono invenzioni. I confini tra qualsiasi nazione e qualsiasi altra nazione sono invenzioni. Lo si vede con chiarezza guardando la cartina geografica dell’Africa: linee tirate giù con il righello. Non si presero neppure la briga di seguire il profilo idrogeologico.
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Silenzio stampa sulla droga: la strage non è più di moda
Ci inchiodano per giorni e giorni a parlare di due tredicenni che chiamano sporco negro un immigrato e gli sparano a salve con la scacciacani, o di una capotreno che usa parole sconvenienti per far scendere dal treno zingari molesti senza biglietto e magari con portafogli altrui. O perfino di un barista che espone la foto di Mussolini. Tutto il circo è impegnato nell’impresa: dai clown del Pd ai trapezisti dell’ideologia, dai prestigiatori di notizie ai domatori di bufale, fino alle foche ammaestrate dalla sinistra da passeggio e da corteo. Ma nel frattempo passa inosservato un fenomeno quotidiano grave e preoccupante: lo spaccio e il consumo di droga crescente nel nostro paese, il numero di morti all’anno per overdose e in generale per droga, molti più dei femminicidi e di altre emergenze vere e presunte, il numero record di detenuti per reati connessi alla droga, gli incidenti anche mortali a causa di guidatori in stato di ebbrezza o di allucinazione, la scalata dell’Italia ai primi posti dei consumi e della tossicodipendenza. Quasi trecento all’anno: eran trecento, eran giovani e storti, e sono morti… Cresce l’eroina, per non dire delle droghe sintetiche, ottenute chimicamente, oltre quelle più note.Sono migliaia gli episodi di violenza, di minacce, di ricatti per procacciarsi la “signorina” che scorrono come un fiume quotidiano di sangue e di pazzia, e non ci facciamo più caso. Non c’è giorno che io non senta, magari col passaparola, episodi legati alla droga: infanticidi per alterazione mentale, uccisioni brutali di nonni, genitori, zii che non volevano più finanziare il vizio dei loro nipoti scellerati, aggressioni a donne, ex-conviventi, in stati di allucinazione dovuti alla droga, risse mortali davanti e dentro discoteche tra ragazzi in preda a deliri di droga, e potrei continuare… Certe zone, certi luoghi e certe ore sono off limits in tutte le città italiane perché è in corso la sagra dello spaccio, con relativa brutta umanità al seguito e sciame sismico di violenze e abusi. Si sente ogni tanto, a mezza bocca, notizia di partite di droga sequestrate; ma sono solo una piccola parte e solo il segnale di quale movimento, quale giro colossale vi sia dietro. Di tutto questo arriva poco o nulla alla Fabbrica delle Notizie e ai falsificatori di cui sopra, impegnati a denunciare un solo Male sotto mille vesti, il Razzismo.Perché passa sotto silenzio la droga, o si parla solo di qualche episodio ma senza la grancassa mediatica e intellettuale che ne indaga il fenomeno? Perché nella droga il razzismo o il nazionalismo non c’entra ma emerge piuttosto il suo rovescio, confluiscono due piaghe sconvenienti che si devono tacere: da una parte la manovalanza massiccia di migranti, soprattutto neri, nello spacciare e procurare la droga, dall’altro un modello di società libertaria, radical, trasgressiva, anti-proibizionista, che deriva dai piani alti della nostra società, dal nichilismo diffuso e dal cinismo degli imprenditori di morte. Diciamo che sulla droga s’incontra la libertà psichedelica del “tutto è permesso” di matrice sessantottina dove i diritti sconfinano nei desideri e l’accoglienza illimitata di migranti che, per fame ed estraneità al territorio, sono facilmente reclutabili nel racket. I due fattori, shakerati dall’ideologia radical, disegnano la nuova società verso cui andiamo incontro e che ha perso il senso del limite, personale e territoriale, morale e civile.Masse di espiantati, disperati, privi di tutto a disposizione dei racket e dall’altro masse di consumatori, disperati anch’essi, ma benestanti o comunque in grado di mungere soldi, privi di ogni riferimento. La tratta dei pomodori, lo schiavismo nelle campagne, assume – e giustamente – grande rilievo nei media; la tratta della droga, la vendita di morte, invece va in sordina. I caporali nelle campagne sono una brutta bestia ma impallidiscono in confronto ai caporali della droga e ai loro legami con la criminalità organizzata. Sentite mai parlare di campagne contro la droga, di emergenza droga, di educazione civica contro la droga? Macché, solo razzismo, nazismo, sessismo. L’omertà sulla droga e i mali derivati è una forma di complicità mediatica e politica assai grave. È anche un occultamento di cadavere: muore il senso del limite e della realtà e qui si festeggia il mondo global, senza frontiere tra i popoli, tra il bene e il male, tra il lecito e l’illecito. Un’informazione drogata.(Marcello Veneziani, “Silenzio stampa sulla droga”, dal “Tempo” del 14 agosto 2018; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ci inchiodano per giorni e giorni a parlare di due tredicenni che chiamano sporco negro un immigrato e gli sparano a salve con la scacciacani, o di una capotreno che usa parole sconvenienti per far scendere dal treno zingari molesti senza biglietto e magari con portafogli altrui. O perfino di un barista che espone la foto di Mussolini. Tutto il circo è impegnato nell’impresa: dai clown del Pd ai trapezisti dell’ideologia, dai prestigiatori di notizie ai domatori di bufale, fino alle foche ammaestrate dalla sinistra da passeggio e da corteo. Ma nel frattempo passa inosservato un fenomeno quotidiano grave e preoccupante: lo spaccio e il consumo di droga crescente nel nostro paese, il numero di morti all’anno per overdose e in generale per droga, molti più dei femminicidi e di altre emergenze vere e presunte, il numero record di detenuti per reati connessi alla droga, gli incidenti anche mortali a causa di guidatori in stato di ebbrezza o di allucinazione, la scalata dell’Italia ai primi posti dei consumi e della tossicodipendenza. Quasi trecento all’anno: eran trecento, eran giovani e storti, e sono morti… Cresce l’eroina, per non dire delle droghe sintetiche, ottenute chimicamente, oltre quelle più note.
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Cancro: la malattia come destino, per una vita da risvegliare
Rudiger Dalke e Thorwald Dethkefsen sono due autori di libri di grande successo, che hanno affrontato insieme un cammino per diffondere il concetto della medicina psicosomatica. Il primo è un medico che si è specializzato in medicina naturale e psicoterapia, autore dell’importantissimo “Malattia come simbolo”, un dizionario dei malattie con tutti i sintomi, il significato e l’interpretazione dal punto di vista spirituale delle patologie più disparate (il libro raccoglie oltre 1000 patologie e sintomi). Il secondo è uno psicologo autore del bestseller internazionale “Il destino come scelta” cui è seguito l’importantissimo “Malattia e destino”, scritto in collaborazione con Dalke. Il punto chiave della loro ricerca è che non esistono le malattie intese come entità a sé stanti, che compaiono in un corpo sano, ma esiste un’unica malattia, nel senso che ogni persona manifesta, nel corpo, una serie di sintomi che altro non sono che sintomi di altrettante condizioni dell’anima. La malattia è quindi un messaggio, e precisamente un messaggio che l’anima invia al corpo, su cui occorre lavorare per essere più consapevoli della propria condizione, dei propri conflitti, e talvolta del proprio destino. La malattia quindi non è – in senso tecnico – una patologia, ma una condizione dell’anima che accompagna l’uomo dalla nascita alla morte, e fa parte della vita come l’aria fa parte del respiro.Nell’introduzione al libro “Malattia come simbolo” l’autore utilizza un’espressione che è propria anche della medicina Hameriana: la malattia non è una patologia, una disfunzione dell’organismo, ma un “evento sensato” utilizzato dall’anima per rendere l’uomo consapevole dei propri conflitti irrisolti. In generale, per quanto riguarda il cancro, esso realizza fisicamente ciò che spiritualmente sarebbe necessario nel relativo ambito della coscienza. Il cancro è, in pratica, un’iniziazione, nel senso che segna un momento decisivo della vita, in cui occorre prendere coscienza di alcuni aspetti irrisolti della propria vita, offrendo la possibilità di rinascere a nuova vita, più forti, determinati e in salute rispetto al passato, oppure di morire fisicamente. In generale compare quando si sono repressi impulsi vitali troppo a lungo, e si è rimasti ancorati alla norma, con un adattamento sociale troppo perfetto. E’ anche un amore sul piano sbagliato e un principio di regressione. Il cancro costringe quindi a fare un bilancio della propria vita, per cercare di capire se la strada percorsa corrisponda a quella personale propria, costringendo il soggetto a ricordarsi dei propri sogni giovanili e dei desideri che aveva per la vita e trarre, dalla certezza di non avere ormai nulla da perdere, il coraggio di auto-realizzarsi e trovare la propria strada.Claudia Rainville è una studiosa olistica che ha chiamato i suoi studi “metamedicina”. La metamedicina non è una semplice medicina alternativa che si propone di sostituirsi ai farmaci e alle cure tradizionali; è molto di più e molto di meno. E’ molto di meno nel senso che non si sostituisce al medico personale scelto dal paziente. Ma è molto di più perché si propone di aiutare il paziente nell’opera di guarigione andando a fondo della causa delle malattie, ma come una vera e propria filosofia di vita che può cambiare l’esistenza. Andando infatti a cercare la causa prima della malattia, il paziente è portato a fare un vero e proprio percorso di guarigione dell’anima, o un percorso spirituale se si preferisce. Gli operatori di metamedicina quindi non si propongono come guaritori, ma si limitano a far prendere al paziente coscienza dei suoi problemi, tanto è vero che qualcuno ha inquadrato questa disciplina come medicina delle emozioni o medicina psicosomatica, altri come medicina dell’anima, altri come una vera e propria filosofia dell’anima.A titolo di esempio, i tumori vengono collegati alle seguenti cause: tumore al collo dell’utero: profonda delusione vissuta col partner; tumore dell’utero: problema collegato ad un familiare; tumore al seno: shock, sconvolgimenti e sensi di colpa nei confronti di coloro di cui ci si occupa, problemi con il padre o con la madre (a seconda che il problema sorga al seno destro o sinistro); tumore allo stomaco: forte ingiustizia subita nella vita; tumore al polmone: paura di morire; tumore all’intestino: paure legate alla propria situazione finanziaria o di vita; tumore al pancreas: forti emozioni di rabbia tristezza o repulsione; tumore alle ossa: senso di svalutazione. La medicina Hameriana (detta anche medicina Germanica, o delle 5 leggi biologiche) si allaccia alla metamedicina, come è espressamente affermato dalla stessa Rainville nel suo “dizionario della meta medicina” alla voce “tumore”. In Italia, la medicina di Hamer è stata divulgata da Claudio Trupiano, con il libro “Grazie dottor Hamer”, cui sono seguiti “Grazie ancora dottor Hamer” e altri ancora. La medicina Hameriana va alla ricerca di uno shock o di un evento traumatico, che è alla base della comparsa dei tumori in determinate zone.(Paolo Franceschetti, estratto da “Tumori, mente e anima”, dal blog “Petali di Loto” del 28 marzo 2018. Per “nuova medicina germanica” si intende quella teorizzata dal medico tedesco Ryke Geerd Hamer a partire dal 1981).Rudiger Dalke e Thorwald Dethkefsen sono due autori di libri di grande successo, che hanno affrontato insieme un cammino per diffondere il concetto della medicina psicosomatica. Il primo è un medico che si è specializzato in medicina naturale e psicoterapia, autore dell’importantissimo “Malattia come simbolo”, un dizionario dei malattie con tutti i sintomi, il significato e l’interpretazione dal punto di vista spirituale delle patologie più disparate (il libro raccoglie oltre 1000 patologie e sintomi). Il secondo è uno psicologo autore del bestseller internazionale “Il destino come scelta” cui è seguito l’importantissimo “Malattia e destino”, scritto in collaborazione con Dalke. Il punto chiave della loro ricerca è che non esistono le malattie intese come entità a sé stanti, che compaiono in un corpo sano, ma esiste un’unica malattia, nel senso che ogni persona manifesta, nel corpo, una serie di sintomi che altro non sono che sintomi di altrettante condizioni dell’anima. La malattia è quindi un messaggio, e precisamente un messaggio che l’anima invia al corpo, su cui occorre lavorare per essere più consapevoli della propria condizione, dei propri conflitti, e talvolta del proprio destino. La malattia quindi non è – in senso tecnico – una patologia, ma una condizione dell’anima che accompagna l’uomo dalla nascita alla morte, e fa parte della vita come l’aria fa parte del respiro.
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Il pensiero positivo? Nato da Stalin, copiato da Hitler e Usa
La filosofia dei desideri è un po’ meno americana di quel che pensavo. Naturalmente poi in America ha avuto un suo particolare “giro”: la legge dell’attrazione, e tutto il resto. Già alla fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776, uno dei personaggi principali di questo fenomeno era Benjamin Franklyn – il taccagno, quello con la faccia da Paperon de’ Paperoni, che dice “I want you”. Già a quei tempi i desideri andavano forte. Una delle frasi più famose di Franklyn, illuminista, è: «Se una persona realizzasse metà dei suoi desideri, avrebbe il doppio dei problemi che ha». E’ chiaro: se tu desideri troppo, tutta la vita basata sul tuo “considerare” salta per aria – e questo agli americani non è mai piaciuto. Come sapete, noi siamo debitori degli Stati Uniti di due notevoli disgrazie culturali, che sono il pensiero positivo e l’autostima, cioè i due nemici più terribili del desiderio e i due alleati più potenti del “considerare”. Molto americani, nella loro diffusione, ma l’origine è russa: l’inventore di entrambi è Stalin. Negli anni Trenta, Stalin ha cominciato a schiacciare la Russia, in una maniera inaudita, nel mondo, fino a quel momento (secondo alcuni storici ha firmato 20 milioni di condanne a morte, secondo altri 40 milioni). Per giustificarsi, Stalin ha avuto l’intuizione – molto perversa – del pensiero positivo: noi siamo lo Stato migliore del mondo, da noi tutto va bene, e se qualcuno dice il contrario deve andare in galera o in manicomio, perché è pazzo.Quindi la critica non è permessa, è intesa come un esempio di psicosi. Vai in manicomio perché hai detto che c’era qualcosa su cui non eri d’accordo: hai pensato negativo. Stalin l’ha fatto, facendo sparire dalla Russia intere classi sociali – contadini, borghesi, militari. E il primo che l’ha preso seriamente in considerazione è stato Hitler. Al tempo del “Mein Kampf” no, negli anni Venti non ancora: Hitler allora era sempre incazzato e andava forte, cresceva tanto. Ma, una volta arriavato al potere, ha messo in moto il pensiero positivo staliniano con i tedeschi, dicendo: cari tedeschi, voi siete spaventati, terrorizzati, istupiditi dalla crisi economica, ma sbagliate, state pensando negativo. Pensiamo positivo: noi siamo il popolo superiore del mondo, non per motivi ideologici (come quei bastardi dei russi), ma per motivi razziali. Noi siamo gli ariani, siamo meglio di chiunque altro, e qualsiasi cosa sia ariana va bene. Questo è pensiero positivo – un misto di pensiero positivo e di autostima. In questo modo Hitler è riuscito ad avere un controllo formidabile su un popolo, e l’ha esteso ai minimi dettagli. Per esempio, cosa c’era scritto all’ingresso di diversi campi di concentramento? “Arbeit macht frei”, il lavoro fa diventare liberi. Cosa voleva dire? Dentro, mica lavoravano. Però uno scendeva dal treno, vedeva scritto “arbeit macht frei” e poteva pensare, vabbè, è un posto civile. Era un modo, quello lì, che poi gli americani hanno teorizzato e capito bene.Quando sono arrivati i russi, ad Auschwitz, hanno visto il campo di concentramento e han detto: sono dilettanti, non si fa così, la gente la si ammazza “normale”. Gli americani, invece – ingenui, ma pratici – vedono e contano: quanti prigionieri ci sono? Dodicimila. E quante guardie? Cento, e con anche una piscina per loro (quindi le guardie stavano rilassate). E pensano: come han fatto? Ci interessa. Come han fatto, in cento, a tenerne a bada dodicimila, che peraltro non avevano nessuna speranza di sopravvivere e quindi, in qualsiasi momento, potevano ammazzare quei cento, prendendosi almeno la soddisfazione? Si son detti: qui bisogna chiamare gli organizzatori. Presi, prelevati, arrivati in America insieme a un sacco di scienziati. E lì è venuto fuori il “positive thinking”. Però gli americani gli han detto: sentite, noi non siamo come voi pazzi, che usate queste cose per sterminare le persone. A noi interessa solo vendere. Ci interessano tre cose: vendere tanto, non avere comunisti tra i piedi e far sopportare alla gente l’inquinamento – non quello delle auto, quello radioattivo, che sta crescendo a livelli esponenziali.Nei bollettini meteorologici degli anni ‘50, in America, c’era scritto: per oggi è prevista pioggia, la temperatura sarà questa, il livello di radiazioni oggi sarà tollerabile. Uno legge questa roba e dice: «Voi siete pazzi. Livelli di radiazioni? Siete matti». Invece, dicono gli americani agli ex nazisti, noi vogliamo che i nostri concittadini siano contenti. Potete aiutarci? Sennò tornate in galera. E loro: eccoci pronti. Tanti sociologi ne hanno parlato – Adorno, Marcuse. L’idea era proprio: qui bisogna convincerli che tutto va bene. E la teoria che c’è dietro è bellissima. Rispetto a “Good”, l’espressione “Bad” vale cinque volte tanto, a livello energetico: per bilanciare un’esperienza “Bad” occorrono cinque esperienze “Good”. Quindi, se vuoi dominare un popolo, gli dai esperienze belle. Come si faceva, nei campi di concentramento, quando torturavano qualcuno? Chiamavano l’orchestrina. Non per coprire le urla: per abbassare l’energia. Se tu tieni la gente a livello “Good” per 10-15 anni, dopo puoi fargli quello che vuoi, perché sono tutti diventati deboli. Gli dai esperienze “Bad”? Non puoi fargli pagare le tasse al 73%, come adesso. In Francia non puoi, ti spaccano tutto. Il francese, dicono, è un italiano arrabbiato. Si permette esperienze “Bad”, non per niente ha fatto la rivoluzione – l’italiano no. Ma “Bad” non vuole dire cattivo, brutto. Vuol dire: difficile.Una cosa che colpisce, nel pubblico italiano, è che – a tutti i livelli – salta fuori qualcuno che dice: questo libro è difficile, cioè è “Bad”, ha un coefficiente di avversità alto. Dice: preferisco il libro “Good”. Ma non è vero che lo preferisce, è che non ce la fa più, non ci arriva più. A forza di esperienze “Good”, è cambiato in Italia il livello di attenzione, nell’arco di una sola generazione. Provate a guardare, su YouTube, un qualsiasi Carosello degli anni Sessanta. Dura tre minuti, erano 15 minuti in tutto e c’erano 5 Caroselli. Non riesci a seguirlo: non ce la fai, ti distrai. “La stella di Negroni vuol dire qualità”. Lo vedevano tutti, anche i bambini. Dopo, cos’è successo? “Good”, “Good”, “Good”, e l’energia cala. Ti do un libro “Bad”? Non ce la faccio più, non reggo. Devi fare un libro “Good”, perché la gente non ce la fa più. Ecco il prodotto del pensiero “Good”. Autostima, uguale: pensiero “Good”, applicato al singolo individuo. Se uno si autostima, cosa vuoi che desideri? Se per di più pensa positivo è già a posto, no? Ci mancherebbe che uno che si autostima avesse un’esperienza “Bad” come un desiderio.Il desiderio è un’esperienza “Bad”, perché vuol dire che tu dichiari che nella tua vita, alla tua età, ti manca ancora quella roba lì. E’ “Bad”, perché ammetti che ti manca. Ti spiace, riconosci questa mancanza. Gli altri ce l’hanno, quella cosa, e tu no. Ma, se hai dentro questa esperienza “Bad”, hai un desiderio: e allora la tua vita comincia a salire. Se invece sei abituato al “Good”, ti fermi. Pensi: non mi serve niente, ho già tutto. Naturalmente, uno che pensa positivo e ha un sacco di autostima, a un certo punto vede che qualcun altro esprime desideri. Allora ci prova anche lui, per evitare di avere un’esperienza “Bad”. Ma sono desideri finti, non sono cose davvero desiderate: sono cose copiate, e se non si realizzano non gliene frega niente. Ricordate Gesù? Due tizi salirono al tempio a pregare. Uno era un fariseo, e diceva quella bella preghiera farisaica che era tutta pensiero positivo: ti ringrazio, mio Signore, d’avermi fatto nascere ebreo, ricco e maschio. Si complimentava con Dio, per averlo creato bene. Invece l’altro era un pubblicano, cioè un mafioso, un delinquente, che diceva: che merda, mi sa che quando vengo qui a Te dà fastidio, Ti volti dall’altra parte, che brutta roba che sono… Chi dei due sarà piaciuto di più a Dio? Esatto: meglio l’esperienza “Bad” dell’esperienza “Good”.Autostima e pensiero positivo sono utilissimi nelle negoziazioni. C’è un aspirante suicida, in bilico sul cornicione al ventesimo piano, a un passo dal trovare il tremendo coraggio di lanciarsi nel vuoto? Cosa usa, nei suoi confronti, il negoziatore della polizia? Pensiero positivo e autostima. Un così bel ragazzo, perché vuoi buttarti giù? Non vedi che belle prospettive hai davanti? Via via che il negoziatore parla, gli fa calare l’energia. Alla fine, l’aspirante suicida ha talmente paura, che rientra. Gli cala l’energia, non ha più il coraggio di uccidersi. Se sei un suicida, ovviamente, pensiero positivo e autostima sono utilissimi – ma se non sei un suicida, no. Vuol dire che hai paura. Di cosa? Di quello che succede se cominci a desiderare – cioè a uscire dal “sidera”, dalle tue “stelle” prestabilite. Vengono fuori delle parti di te che sono spiazzanti, impreviste. Perché, se mollo il guinzaglio, salta fuori l’altro problema grosso, che è la paura. Non c’è praticamente mai, nella nostra vita, ma è il più grosso dei problemi che abbiamo. Se fai un testacoda, in macchina, ti ricordi che in quel preciso momento eri calmissimo; la paura è sopraggiunta dopo, quando eri già al sicuro. Ma quella non è paura, è paura derivata: paura di aver paura.La paura della paura ti tranquilizza: tu non ci sali, sul trampolino da dieci metri. Però vedi gli altri, in piscina, che invece ci salgono. E pensi: quasi quasi ci salgo anch’io. E senti che la tua “paura della paura” diventa un po’ agitata. E allora ricorri a un’altra cosa ancora: la paura della paura della paura. E’ il fatto che, in piscina, non ti volti mai verso il trampolino da dieci metri. E così finisci per non andarci neppure più, in piscina. Perché hai paura della paura di aver paura. E questo è il sentimento più diffuso, nel mondo occidentale. Uno molto coraggioso ha paura: arriva in certi stati in cui ha paura. Non che sia questa gran cosa, la paura: è energia frenata. Il topolino che spia il tuo frigorifero, quando scappa o lotta, non ha paura. E’ astuto e ride, o ringhia, o piange – però non ha paura. La paura è quando tu non puoi fare delle cose che sai fare: quella è paura, energia frenata. Produce una serie di ormoni, che girano nel cervello limbico: una serie di reazioni fisiche sono innescate da ormoni precisi, che scattano quando sei impedito nel fare qualcosa. Per cui una persona coraggiosa, che prova la paura, la prova per pochissimi istanti – se è libera. La prova giusto il tempo di accorgersi della sua energia frenata: allora la mette in moto e, da quel momento, non ha più paura. Poi gli resta la memoria di quella paura che ha avuto, che gli produce la paura della paura.Se fai un testacoda, hai una scarica di adrenalina forte che per un po, rimane in circolo. Ti spingerebbe, dopo un quarto d’ora, a fare un’altra cavolata. Non puoi farla, allora freni l’energia e viene fuori la paura, quando ormai sei al sicuro. Proprio per la paura di aver paura, quanti trampolini non vedi, durante il giorno? Quanta parte della tua vita non frequenti più, per paura della paura? Tanta. Naturalmente, “consideri”. Poi vedi che tutti gli altri fanno uguale, e allora dici: sono normale, va bene così. E no, che non va bene: perché poi ti accorgi che il desiderio non ce l’hai più. E formuli quel pensiero tremendo: se vengo via, non vado più a lavorare. Nelle lingue dell’Europa nord-occidentale, ma anche in latino e in greco, sono due le parole che indicano “lavoro”: in inglese sono “work” e “job”. In italiano ce n’è una sola, dal latino “labor”, che vuol dire: lavoro degli schiavi. In inglese, se dici “I work” non è “I have a job”. “Job” è sgobbare, suona anche uguale. “Work” è: fare delle opere, che ti piacciono. Le volte che trovo un bambino incustodito, gli dico: mi raccomando, tu non lavorare mai. E questo lo capisce al volo.Secondo la Bibbia, il lavoro è la piaga principale dell’umanità. La parola che indica “lavoro”, nella Bibbia, è la stessa che indica “schiavitù”, tale quale all’italiano “labor”, lavoro di schiavo, e al francese “travail”, nonché allo spagnolo “trabajo”. Il travaglio era uno strumento di tortura medievale, una gabbia fatta di travi. C’è gente che vive di “travaglio”, e poi dice: “Io, nel mio tempo libero”, e non si accorge mai di cosa sta dicendo. Nel tuo tempo libero fai le scemate e guardi Facebook? Ma tu sei pazzo. Tempo libero? E il resto del tempo cos’è? Tempo lavorativo. Il tempo dello schiavo, del travagliante. Ecco, se si comincia a mettere in discussione questo, si sa da dove di parte ma non dove si arriva. E’ lo stesso principio dell’Esodo: molliamo l’Egitto per andare dove? Si va verso di te, naturalmente. Però quel “tu” verso cui vai dà una bella preoccupazione – e poi vaglielo a spiegare, a casa, quando comincia ad andarvi stretto un po’ tutto, dal guardaroba al colore delle pareti, fino al coniuge…(Igor Sibaldi, estratto da YouTube della conferenza di presentazione del libro “Il mondo dei desideri”, sottotitolo “101 progetti di libertà”, edito da Tlön nel 2016).La filosofia dei desideri è un po’ meno americana di quel che pensavo. Naturalmente poi in America ha avuto un suo particolare “giro”: la legge dell’attrazione, e tutto il resto. Già alla fondazione degli Stati Uniti d’America, 1776, uno dei personaggi principali di questo fenomeno era Benjamin Franklyn – il taccagno, quello con la faccia da Paperon de’ Paperoni, che dice “I want you”. Già a quei tempi i desideri andavano forte. Una delle frasi più famose di Franklyn, illuminista, è: «Se una persona realizzasse metà dei suoi desideri, avrebbe il doppio dei problemi che ha». E’ chiaro: se tu desideri troppo, tutta la vita basata sul tuo “considerare” salta per aria – e questo agli americani non è mai piaciuto. Come sapete, noi siamo debitori degli Stati Uniti di due notevoli disgrazie culturali, che sono il pensiero positivo e l’autostima, cioè i due nemici più terribili del desiderio e i due alleati più potenti del “considerare”. Molto americani, nella loro diffusione, ma l’origine è russa: l’inventore di entrambi è Stalin. Negli anni Trenta, Stalin ha cominciato a schiacciare la Russia, in una maniera inaudita, nel mondo, fino a quel momento (secondo alcuni storici ha firmato 20 milioni di condanne a morte, secondo altri 40 milioni). Per giustificarsi, Stalin ha avuto l’intuizione – molto perversa – del pensiero positivo: noi siamo lo Stato migliore del mondo, da noi tutto va bene, e se qualcuno dice il contrario deve andare in galera o in manicomio, perché è pazzo.
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Bernays: vi guideremo come pecore, sarete ai nostri ordini
Annoverato dall’autorevole rivista americana “Life” tra i 100 uomini più potenti del XX Secolo, acclamato unanimemente come il creatore dell’ingegneria del consenso, Edward Louis Bernays è un nome poco familiare al pubblico europeo. Conosciuto forse a qualche curioso per la sua parentela con il padre della psicoanalisi, dello zio Freud il giovane Louis assimila velocemente e rielabora brillantemente la teoria di rivoluzionaria conoscenza dell’inconscio. Di estrazione ebraica e borghese si trasferisce giovanissimo nella New York dei primi del Novecento dove, abbandonata la strada prestabilita della prosecuzione dell’attività paterna, muove i primi passi nel mondo del giornalismo, per affermarsi in una veste di comunicatore del tutto inedita per i tempi. Dopo i fasti registrati dall’industria manifatturiera a servizio della produzione bellica della Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si trovano a dover affrontare il più spaventoso degli spettri del mercato: il rischio di sovrapproduzione. Il “brain storming” di illustri banchieri e influenti imprenditori porta a centrare la soluzione in modo deciso e inequivocabile: occorre traghettare il cittadino americano dalla cultura dei bisogni a quella dei desideri, rendendo le persone bramose di soddisfare necessità sempre nuove, gravose come impellenti bisogni.La logica economica, dopo aver asservito l’industria bellica per accrescere la propria produzione, si avvicina così alla neonata scienza della psicoanalisi. Ma come fare a convincere i cittadini a consumare nuovi prodotti non avendo esaurito i vecchi acquistati? Per Bernays, la risposta è semplice: basta «inquadrare l’opinione pubblica così come un esercito inquadra i suoi soldati». Lo zio Sigmund aveva dato luce alla parte oscura che muove il desiderio spinto dall’inconscio: attraverso il meccanismo di compensazione dei desideri, l’individuo sposta l’orizzonte del suo desiderio represso e non ammissibile verso la sfera esterna della materialità per poterlo soddisfare. Appresa la lezione, Bernays offre la sua preziosa consulenza nella campagna della American Tobacco Company per abbattere il tabù dell’America del primo dopoguerra verso la pratica del fumo da parte delle donne. Nel 1929 inscena la parata delle “fiaccole della libertà”: ingaggia una decina di suffragette che, nel pieno di una manifestazione pasquale, accendono in modo teatrale l’oggetto del desiderio manifesto allora proibito, le sigarette, che nell’inconscio femminile rappresentavano il pene. La notizia fa il giro del mondo, veicolata come gesto di libertà e emancipazione femminile, intaccando fortemente il tabù puritano.L’individuo, dunque, è disposto ad assumere comportamenti irrazionali, orientati al consumo di prodotti non solo inutili per la sua vita, ma addirittura dannosi, pur di sentir soddisfatti alcuni sui aneliti inconfessabili e inappagati, pur di veicolare all’esterno un’immagine che lo gratifichi e lo faccia sentire apprezzato dagli altri. E proprio perché in preda a forze inconsce gli essere umani vanno controllati, «come un gregge di pecore va guidato». Alle minoranze più intelligenti spetta il compito di fare proselitismo e indirizzare le masse indisciplinate e irrazionali. Una sorta di compito morale degli eletti: «Solo così si può coniugare l’interesse individuale con quello collettivo per favorire lo sviluppo e il benessere dell’America» (“Propaganda”, 1928). L’elenco dei clienti di Bernays è un pullulare di nomi del gotha economico e politico americano: Procter & Gamble, l’American General Electric, la General Motors, il presidente Usa Eisenhower sono solo alcuni dei nomi presenti nello sterminato portfolio di Bernays, capace di camuffare da colpo di Stato il golpe guatemalteco del 1953 per favorire, al fianco della Cia, gli interessi della United Fruit Company. La sua fama arriverà oltreoceano, conquistando con le sue teorie il ministro della propaganda nazista Goebbels, suo dichiarato fan. E’ a lui che devono la paternità tutte le attuali figure “professionali”, come gli spin doctor, che hanno fatto della propaganda l’arma del consenso sociale.(Ilaria Bifarini, “Il padre della propaganda: Edward Bernays”, da “Scenari Economici” del 21 settembre 2017. Economista, la Bifarini è autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa, storia di una bocconiana redenta”).Annoverato dall’autorevole rivista americana “Life” tra i 100 uomini più potenti del XX Secolo, acclamato unanimemente come il creatore dell’ingegneria del consenso, Edward Louis Bernays è un nome poco familiare al pubblico europeo. Conosciuto forse a qualche curioso per la sua parentela con il padre della psicoanalisi, dello zio Freud il giovane Louis assimila velocemente e rielabora brillantemente la teoria di rivoluzionaria conoscenza dell’inconscio. Di estrazione ebraica e borghese si trasferisce giovanissimo nella New York dei primi del Novecento dove, abbandonata la strada prestabilita della prosecuzione dell’attività paterna, muove i primi passi nel mondo del giornalismo, per affermarsi in una veste di comunicatore del tutto inedita per i tempi. Dopo i fasti registrati dall’industria manifatturiera a servizio della produzione bellica della Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si trovano a dover affrontare il più spaventoso degli spettri del mercato: il rischio di sovrapproduzione. Il “brain storming” di illustri banchieri e influenti imprenditori porta a centrare la soluzione in modo deciso e inequivocabile: occorre traghettare il cittadino americano dalla cultura dei bisogni a quella dei desideri, rendendo le persone bramose di soddisfare necessità sempre nuove, gravose come impellenti bisogni.
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Pornografia e feticismo, la postmodernità delle anime morte
La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.Schiavitù economica contrabbandata come libertà per i singoli, ma fino a un certo punto, perché si mina alla base il concetto di uguaglianza (perché dovremmo essere uguali? L’individuo non deve essere uguale a nessun altro) per favorire l’individualismo thatcheriano. Negli ultimi 10 anni si sono diffuse in Europa vari tipi di forze politiche, che sono state definite dal potere “populismi”: Indignados, Sovranisti, Podemos, M5S. Ma secondo l’ordine simbolico e linguistico imposto dal potere, con il solo obiettivo di rinsaldare il proprio dominio sui dominati, è necessario controllare la popolazione, e mantenere la massa schiavizzata in una condizione di subalternità, in modo tale che la neolingua possa diventare veicolo di potenziamento dei valori del neoliberismo. Dal 1989 il capitale ha adottato una nuova neolingua, e chiunque metta in discussione il potere oligarchico viene demonizzato come disfattista, complottista, o populista. La categoria di populista serve esattamente a diffamare ogni prospettiva che assuma la parte del Servo e non del Signore (“Fenomenologia dello spirito”, W. Friedrich Hegel).Oggi viene diffamato chiunque prenda la difesa dei lavoratori precarizzati e schiavizzati, perché ciò contraddice il potere, che vuol contrabbandare i propri dogmi ideologici come fossero interessi universali: concorrenza, competitività, globalizzazione, delocalizzazione, cancellazione dell’articolo 18, licenziabilità senza giusta causa, flessibilità. Chiunque abbia il coraggio di svelare il vero significato oscurato della neolingua viene silenziato come populista e complottista, incapace di accettare la mera ricostruzione dei fatti e degli eventi prospettata dalla mediatizzazione della realtà, che il potere ci mostra quotidianamente sugli schermi televisivi. Il termine “populismo” o “antipolitica”, viene quindi usato dal potere con toni spregiativi e diffamatori, è diventato una specie di parolaccia. E i media ci presentano una realtà confusa e distorta, Grillo come Trump, Raggi come Obama, l’imperatore buono, Premio Nobel per la pace, in realtà ha sostenuto 7 guerre in contemporanea (Afghanistan, Libia, Somalia, Pakistan, Yemen, Iraq e Siria).Modernità e Postmodernità. Termini che indicano lo spirito di una civiltà, nel suo divenire storico, antropologico e culturale. La distinzione va ricercata secondo un’analisi marxista, l’aforisma di Marx, per cui «la cultura dominante coincide perfettamente con la cultura della classe dominante» (Karl Marx, “Ideologia tedesca”). Le realtà virtuali, l’iperrealtà, sono la matrice della Postmodernità, strettamente correlate all’uso di macchine creatrici di virtualità: Pc, Tablet, iPhone… Se la “produzione” è la cifra della Modernità, la “simulazione” è quella della Postmodernità. La Postmodernità ridimensiona la produzione per favorire la simulazione, sposta ingenti masse di salariati dalle fabbriche al terziario o oltre, azzera quella middle class che era il volano dell’economia dei consumi, chiude impianti produttivi. La disoccupazione di massa è la vera piaga della postmodernità: felicità virtuale e disperazione reale.L’Illuminismo aveva concentrato l’attenzione sull’impatto politico della nuova mentalità scientifica, che inneggiava all’“Homo faber fortunae suae”, e aveva indotto i nuovi uomini a sostenere le prime grandi rivoluzioni della storia, Rivoluzione Americana 1776, Rivoluzione Francese 1789. Il background filosofico culturale entro cui nasce il populismo è dunque l’età postmoderna, che propone una narrazione sempre più inquieta e socialmente devastante, dove le solide narrazioni della modernità si sono frantumate contro il nonsense di un sistema sociale globalizzato, sfilatosi verso una remota periferia a-ideologica. Diversi autori hanno percepito in anticipo l’avvento del postmoderno, e lo hanno interpretato attraverso la loro acuta sensibilità, a partire dagli anni ’70: Jean-François Lyotard, Guy Debord, Jean Baudrillard, Marc Augé, Zygmunt Bauman. Al popolo postmoderno non interessa la “verità” dei fatti né il senso degli eventi, perché vuole ascoltare solo le narrazioni, favole illusionistiche, simulacri evanescenti, emersi direttamente dal nuovo oscuro inconscio collettivo, e dalla società dello spettacolo.Le nuove minacce metropolitane sono: migranti e clandestini che invadono il paese, offrendo manodopera a basso costo, ingrossando le file della microcriminalità e minando così la serenità sociale; grottesche crociate contro l’Islam; politiche di austerity che massacrano l’economia dell’Italia, divenuta il Sud Europa. La “notizia” della postmodernità è una fake news, consiste nella negazione stessa dell’informazione, perché non mira a informare sulla “verità” dei fatti, ma li reinterpreta deformandoli, proprio per oscurarli completamente (Marco Travaglio, “La scomparsa dei fatti”). Jean-François Lyotard, nel suo testo “La condizione postmoderna” (1979), conia il nuovo termine di “postmoderno” per definire l’epoca attuale. Il termine designa uno sviluppo tecnologico e scientifico che ha delle ricadute immediate sulla vita quotidiana e sulla politica. Lo sviluppo tecnologico diventa sempre più invasivo per il benessere neurovegetativo umano (“Psyche e Techne”, Umberto Galimberti). La pornografia dei media produce la molteplicità dei linguaggi, la contaminazione degli stili, un citazionismo ossessivo (film di Quentin Tarantino), tipico di un’epoca che non ha più nulla da dire, se non ripetere all’infinito, in modalità sempre diverse, le stesse tematiche.Ne è derivata la perdita di centralizzazione nell’organizzazione dello Stato (federalismo), la perdita di sovranità (euro, Ue), un aumento dei “processi di disgregazione dello Stato Nazione”. L’Occidente sta vivendo una stagione sconcertante, attraversata dalle rapidissime trasformazioni scientifico-tecnologiche. Con grande lucidità, Lyotard propone una partizione storiografica tra l’epoca moderna (secoli XVII e XX) e l’epoca post-moderna, che si è affermata compiutamente nel tardo Novecento. I moderni e i postmoderni professano una visione dell’uomo, della società e in genere della realtà, antitetiche nei loro aspetti più essenziali. L’idea forte dei moderni è il progresso umano, essi concepiscono la storia come un processo di emancipazione progressiva nella quale l’uomo realizza e arricchisce le proprie facoltà. L’idea forte della modernità è il progresso, inteso come orientamento a un modello di vita e di azione, come aspirazione a valori ultimi, fondati sulla capacità dell’uomo di esercitare la ragione. Ciò che definisce l’essenza della condizione post-moderna, invece, è proprio la negazione della capacità umana di produrre il progresso, una sorta di nichilismo dei valori. Ne segue la negazione della scuola e dell’università come agenti di socializzazione e orientamento di valori. La perdita di potere e di funzione sociale dell’intellettuale, che a partire dall’età dei Lumi era stato la coscienza della modernità. Tutto molto strano per quella che viene definita la «società della conoscenza».Guy Debord, di formazione hegeliana e marxista, è stato uno dei critici più importanti delle società occidentali avanzate. L’incipit della “Società dello Spettacolo” (1967) riprende a un secolo di distanza quello del “Capitale” (1867) di Marx: «Tutta la vita delle società moderne in cui predominano le condizioni attuali di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di merci». L’incipit dell’opera di Debord è: «Tutta la vita delle società nelle quali predominano le condizioni moderne di produzione si presenta come un’immensa accumulazione di spettacoli» (“La Società dello Spettacolo”). Secondo Debord, La caratteristica principale del capitalismo moderno consiste nell’accumulazione del capitale, nell’espansione delle tecnologie della comunicazione, e nel «feticismo delle merci». Quest’aspetto dello spettacolo è sicuramente «la sua manifestazione sociale più opprimente» («Lo spettacolo non è un insieme di immagini ma un rapporto sociale fra individui mediato dalle immagini»). Tuttavia lo spettacolo è necessariamente falso ed ingannevole, giacché struttura le immagini secondo gli interessi di una parte della società.«Per il fatto stesso che lo spettacolo è separato, è il luogo dell’inganno dello sguardo e il centro della falsa coscienza». Lo spettacolo è così il prodotto della mercificazione della vita moderna, il progresso del capitalismo consumistico verso il feticismo e la reificazione. E poi, giacché la comunicazione dei media è unilaterale, il Potere giustifica se stesso attraverso un incessante discorso elogiativo del capitalismo e delle merci da esso prodotte. «Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine presente tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’autoritratto del potere». Lo spettacolo del capitalismo presuppone quindi l’assenza di dialogo, poiché è solo il potere a parlare. «Il sistema economico fondato sull’isolamento è una produzione circolare di isolamento». Ridotto al silenzio, al consumatore non resta altro che ammirare le immagini che altri hanno scelto per lui. L’altra faccia dello spettacolo è l’assoluta passività del consumatore, il quale ha esclusivamente il ruolo, e l’atteggiamento, del pubblico, ossia di chi sta a guardare, e non interviene. In questo modo lo spettatore è completamente dominato dal flusso delle immagini, che si è ormai sostituito alla realtà, creando un mondo virtuale nel quale la distinzione tra vero e falso ha perso ogni significato.È vero ciò che lo spettacolo ha interesse a mostrare. Tutto ciò che non rientra nel flusso delle immagini selezionato dal potere, è falso, o non esiste. Come l’immagine si sostituisce alla realtà, la visione dello spettacolo si sostituisce alla vita. I consumatori piuttosto che fare esperienze dirette, si accontentano di osservare nello spettacolo tutto ciò che a loro manca. Per questo lo spettacolo è il contrario della vita. Debord descrive in questi termini l’alienazione del consumatore: «Più egli contempla, meno vive; più accetta di riconoscersi nelle immagini dominanti del bisogno, meno comprende la sua propria esistenza e il suo proprio desiderio». In una società mercificata, sostiene Debord, è la merce ad avere un ruolo centrale. Ogni merce promette il soddisfacimento dei bisogni, e quando arriva l’inevitabile delusione, dovuta al fatto che tali bisogni sono fittizi e manipolati, subentra una nuova merce pronta a mantenere la promessa disillusa dall’altra. Si crea così una concorrenza tra le merci, rispetto alla quale il consumatore frustrato è un mero spettatore.Questo modello impregna di sé, ormai, tutta la vita sociale, divenendo il prototipo di ogni competizione, compresa quella politica. Questa si riduce alla competizione tra leader che vendono la propria immagine come una merce, e fanno promesse che non manterranno mai. Il tutto nell’assoluta passività e apatia dei “cittadini”. Alle regionali siciliane Vittorio Sgarbi si presenta con un movimento, “Rinascimento siciliano”, insieme a Morgan e Giulio Tremonti, proponendo un trinomio decisamente bizzarro, composto da vecchi arnesi della politica spettacolo, camuffati da nuova proposta rinascimentale. La società è completamente dominata da immagini falsificate che sostituiscono la realtà, facendo scomparire qualsiasi verità al di là della falsificazione continua. Ciò determina una disincantata rilettura della storia, definitivamente sottratta a ogni finalismo e quindi anche della democrazia. La finzione di democrazia è mantenuta in vita solo attraverso la costruzione di un nemico comune, il quale consente una falsa unità che ricopre la realtà della separazione gerarchica tra dirigenti ed esecutori. È questo il ruolo del terrorismo. «Questa democrazia così perfetta fabbrica da sé il suo inconciliabile nemico, il terrorismo. Vuole infatti essere giudicata in base ai suoi nemici piuttosto che in base ai suoi risultati».La mondializzazione dell’economia è l’apogeo di questo processo che si distingue da ciò che l’ha preceduta per un solo elemento, ma d’importanza decisiva. «Il fatto nuovo è che l’economia abbia cominciato a fare apertamente guerra agli umani; non più soltanto alle possibilità della loro vita, ma anche a quelle della loro sopravvivenza». Si può quindi affermare che «l’economia onnipotente è diventata folle, e i tempi spettacolari non sono altro che questo». Nella comunità la comunicazione prende la forma del dialogo e della discussione ai quali ciascuno può partecipare, condizione necessaria per prendere decisioni in comune. Questa comunicazione diretta è l’opposto di quella unilaterale dello spettacolo, nel quale una parte separatasi dalla totalità pretende di essere l’unica a parlare impartendo ordini che il resto della società deve limitarsi ad eseguire. Per essere rivoluzionario, dunque, il proletariato dovrebbe riprendere coscienza del tempo storico, ossia del fatto che l’economia è il vero motore della storia. A questa presa di coscienza si oppone lo spettacolo che cerca di perpetuarsi diffondendo la finzione di un eterno presente che pretende di aver posto fine alla storia.Jean Baudrillard poi, altro acuto osservatore del postmoderno, ha illustrato la frammentazione dell’identità e l’immagine frammentata del mondo e dell’uomo, confezionata dai mass media contemporanei, i quali trasformano il mondo in una serie di pseudo-eventi di natura spettacolare. Per lo spettatore dei media tutto si riduce ad apprezzare l’intensità e le sensazioni della superficie delle immagini, senza poter attivare in modo consistente meccanismi di identificazione e di proiezione nei confronti di personaggi e caratteri. Baudrillard inizia con la critica polemica verso il capitalismo. Smantellate le grandi teorie che guardavano alla realtà come un sistema complesso ma ordinato e descrivibile (“Idealismo o Positivismo”), il presente diventa ora un insieme di segni. Oggi predomina una iperrealtà virtuale, fatta di segni e simulacri (“Simulacri e simulazioni”, 1981). Ad essere messo in discussione è il concetto di realtà, non di verità, come spesso era accaduto in passato. Lo sguardo di Baudrillard che si proietta sul quotidiano è pessimistico, per non dire tragico e drammatico. La cultura produce qualcosa senza significato, e la sola branca del reale che è in grado di tenere in mano le sorti dell’uomo è l’industria, la società dei consumi.I nuovi media hanno giocato un ruolo cruciale nella fabbricazione del significato o finto valore della realtà. Nel suo libro “Il delitto perfetto. La televisione ha ucciso la realtà?” (1996), Baudrillard ha spiegato come la televisione abbia sostituito la realtà. Tutto ciò che vediamo attraverso lo schermo è una comunicazione artificiale, un reale contraffatto, che diventa la vera realtà. Consideriamo Disneyland, Las Vegas, dove tutto è incastrato in un meccanismo di funzionamento invidiabilmente impeccabile, un mondo finto che però funziona alla perfezione. Ci rechiamo volontariamente in tali luoghi perché attratti dalla spettacolarità magnetica della ri-creazione, della meraviglia, del simulacro. Siamo assorbiti dalla manipolazione dei media, dei programmi informatici e delle psicologie commerciali. Qual è l’originale realtà per noi? Viviamo di segni e simulacri realtà virtuali o siamo in grado di coglierne la differenza con criticità? Viviamo nei non-luoghi, definiti così da Marc Augé nel libro “Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità”. Gli spazi privi di identità, relazioni e storia: autostrade, svincoli e aeroporti, mezzi di trasporto, grandi centri commerciali, outlet, campi profughi, sale d’aspetto, ascensori… ecc ecc. Spazi in cui milioni di individui si incrociano senza entrare in relazione, senza entrare in contatto, senza discutere, parlare, guardarsi, dialogare… l’esatto contrario dell’agorà di Atene, culla della democrazia. Sospinti solo dal desiderio frenetico di consumare o di accelerare viaggi e percorsi.I nonluoghi sono prodotti della società della postmodernità, dove i luoghi della memoria sono confinati e banalizzati in posizioni limitate e circoscritte alla stregua di “curiosità” o di “oggetti interessanti”. Le differenze culturali sono massificate, in ogni centro commerciale possiamo trovare cibo cinese, italiano, messicano e magrebino. Il mondo con tutte le sue diversità è tutto racchiuso lì. I nonluoghi sono incentrati solamente sul presente, caratterizzato dalla precarietà assoluta dalla provvisorietà, dal viaggio, dal passaggio e da un individualismo solitario. Le persone transitano nei nonluoghi ma nessuno vi abita. Nel film “The Terminal” di Steven Spielberg, il protagonista, Tom Hanks, un cittadino di un immaginario Stato dell’Europa orientale, atterra a New York e dopo aver scoperto che nel suo paese è avvenuto un colpo di Stato, diviene improvvisamente un uomo senza nazionalità, e perciò impossibilitato sia a uscire nella tanto agognata New York, sia a fare ritorno a casa, quindi resta prigioniero e si integra perfettamente nel nonluogo. I nonluoghi sono presenti anche sulla moneta Euro, con l’effigie di edifici e monumenti privi di identità e di storia, a differenza delle immagini presenti sulla Lira di Caravaggio, Verdi, Montessori, Galileo, Marconi, Colombo…Gli utenti si accontentano della sicurezza di poter trovare in qualsiasi angolo del globo la propria catena di ristoranti preferita o la medesima disposizione degli spazi all’interno di un aeroporto. Da qui un paradosso: il viaggiatore di passaggio smarrito in un paese sconosciuto si ritrova solamente nell’anonimato delle autostrade, delle stazioni di servizio e degli altri nonluoghi (“Villaggio globale”, Marshall McLuhan). Il rapporto fra i nonluoghi e i suoi abitanti avviene solitamente tramite simboli, parole o voci preregistrate. L’esempio lampante sono i cartelli affissi negli aeroporti vietato fumare oppure non superare la linea bianca davanti agli sportelli. L’individuo nel nonluogo perde tutte le sue caratteristiche di cittadino e i suoi ruoli personali per continuare a esistere solo ed esclusivamente come cliente o utente. Non vi è un riconoscimento delle classi sociali, come siamo abituati a pensare nel luogo antropologico. Si è socializzati, identificati e localizzati solo in occasione dell’entrata o dell’uscita dal nonluogo; per il resto del tempo si è soli e simili a tutti gli altri utenti/ passeggeri/ clienti/ consumatori che si ritrovano a recitare una parte che implica il rispetto delle regole.La società che si vuole democratica non pone limiti all’accesso ai nonluoghi. Farsi identificare come consumatori solvibili, attendere il proprio turno, seguire le istruzioni, fruire del prodotto e pagare. Anche il concetto di “viaggio” è stato pesantemente attaccato dalla surmodernità: i grandi “nonluoghi” posseggono ormai la medesima attrattività turistica di alcuni monumenti storici. Il più grande centro commerciale degli Stati Uniti d’America, il “Mall of America”, richiama oltre 40 milioni di visitatori ogni anno. Scrive il critico Michael Crosbie nella rivista “Progressive Architecture”: «Si va al Mall of America con la stessa religiosa devozione con cui i Cattolici vanno in Vaticano, i Musulmani alla Mecca, i giocatori d’azzardo a Las Vegas, i bambini a Disneyland». Anche i centri storici delle città europee si stanno sempre di più omologando, con i medesimi negozi e ristoranti, il medesimo modo di vivere delle persone e addirittura gli stessi artisti di strada. L’identità storica delle città è stata ridotta a stereotipo di richiamo turistico. Nell’Europa che tenta di fermare l’ingresso dei migranti, si crea un’ambivalenza dei nonluoghi: quelli dell’abbondanza, e quelli della miseria, come campi profughi, centri di detenzione dei migranti et similia. In essi però l’identità è pericolosa per chi ci si trova, poiché espone al rischio di espulsione o incarcerazione.Zigmunt Bauman è stato forse il pensatore, che ha meglio interpretato il disorientamento contemporaneo. Molti saggi di grande successo, a partire da “Dentro la globalizzazione” del 1998, o “Modernità liquida” del 2000, lo hanno decretato il guru del pensiero della postmodernità. La modernità liquida, concetto fra i più noti del sociologo, ci dice che con la fine delle grandi narrazioni del secolo scorso sono finite anche le certezze del passato in ogni ambito, dal welfare al lavoro fisso, dalla sanità pubblica alle pensioni, la postmodernità le ha smontate tutte, dissacrandole e mescolandole a pulsioni nichilistiche. L’unica comunità dell’individuo è diventata il consumo, la sua unità di misura l’individualismo antagonista ed edonista in cui nuotiamo tutti noi senza più una missione comune (“Amore liquido”, 2003 o “Vita liquida”, 2005). La fase che viviamo è propizia alla nascita dei populismi, che nascono dall’indignazione. Dagli Indignados ad Occupy Wall Street fino ai movimenti populisti europei, l’ordine costituito viene fortemente contestato, con istanze naturalmente diverse ma sempre antisistema. La modernità poggiava sull’etica del lavoro, perché il capitalismo produttivo aveva bisogno di quadri dirigenziali, che facessero funzionare le industrie, fonte del proprio profitto, quindi c’era necessità di welfare, scuola pubblica, benessere per la collettività destinata a gestire le fabbriche.Al contrario, la postmodernità esalta l’estetica del consumo, che trasforma il mondo in un “immenso campo di sensazioni sempre più intense”. Un mondo spesso investito dalla pubblicità o dal venditore di turno. L’esasperazione della soggettività, trova anche incredibili attuazioni tecnologiche come la realtà virtuale (“La solitudine del cittadino globale”, 1999). Bauman in particolare nel libro “Sesto potere. La sorveglianza nella modernità liquida” del 2014, parla di un approccio del tutto diverso rispetto alle strutture di potere. Jeremy Bentham e Michel Foucault avevano parlato di Panopticon, inteso come carcere centralizzato che controlla migliaia di detenuti, e in cui bastano pochi agenti di sicurezza per la custodia, metafora evidente del potere centralizzato della modernità e del suo controllo sulla società moderna. Bauman invece parla di un modello di società in cui le forme di controllo assumono le fattezze dell’intrattenimento e dunque del consumo, in cui sotto l’attenzione delle organizzazioni transnazionali finiscono i dati e le persone, o meglio le loro emanazioni digitali, i cui rischi più elevati sono la privacy, la libertà di azione e di scelta. La novità postmoderna è che questo spazio del controllo ha perso i muri, e a dire il vero non occorrono neanche più i sorveglianti, visto che le “vittime” contribuiscono a collaborare al loro stesso controllo. Sono impegnati nell’autopromozione e non hanno gli strumenti per individuare l’aspetto oscuro nascosto sotto a quello seduttivo.La globalizzazione è dunque un processo intimamente legato alle forze di mercato che ha ripercussioni su molti altri settori della vita, in pratica è una nuova forma d’imperialismo finanziario, impadronirsi dell’economia degli Stati, della loro moneta e della loro sovranità. Le forze economiche, infatti, hanno trasceso la dimensione nazionale, hanno perso ogni legame col territorio, dettano legge e non si prefigurano più come sistema produttivo dell’uomo per l’uomo, ma come sistema auto-referenziale, fine a se stesso. Le corporation trasnazionali muovono in uno spazio extraterritoriale, volano sopra i confini dello Stato nazionale, fino ad oggi strumento di rappresentazione delle identità sociali, eludendo ogni sorta di controllo politico e collettivo, ignorando le differenze economiche, politiche, culturali, etniche e religiose delle singole nazioni. Il potere della globalizzazione economica è ormai senza volto e senza luogo, introduce la flessibilità come dogma e preannuncia l’incertezza delle esistenze, vissute nell’affannosa rincorsa per rimanere nella società dei consumi. Il potere ci tiene in scacco lasciandoci soli, levandoci qualsiasi capacità di autodeterminazione e programmazione futura.Nascere in Italia 40 anni fa significava avere buone probabilità di vivere la propria vita in quegli stessi luoghi, avere la speranza di trovare un lavoro vicino a casa, di conoscere i propri concittadini, la possibilità di fare previsioni verosimili sul proprio futuro. Oggi, si nasce in luoghi che mediamente vengono lasciati nella prima adolescenza, i giovani seguono opportunità di lavoro fugaci, sempre più volatili ed evanescenti, i lavoratori vengono assunti in aziende che da un momento all’altro potrebbero delocalizzare. Le spinte all’individualismo e alla competizione determinano questo stile di vita veloce che porta con sé nuova alienazione: quella dell’uomo e dei suoi rapporti. Per il cittadino globale la leggerezza e la velocità di spostamento sono caratteristiche fondamentali, meno vincoli si hanno e più si è pronti alla sopravvivenza nella selva-mondo virtuale, senza barriere né confini. Anche le relazioni umane, dice Bauman, si adeguano e si plasmano sulla base di un consumo ipertrofico, sono sempre più numerose ma sempre più brevi e superficiali. E così, la nostra situazione affonda in un mare di indifferenza, che è l’unica arma di difesa valida a breve termine nei confronti dell’incertezza di ogni giorno.Nella postmodernità è nata una nuova immagine di società, come spazio che racchiude una molteplicità di individui senza più alcuna cornice comune, sempre più uguali nei loro destini ma sempre più divisi e soli nelle proprie vite. Aumenta poi costantemente il divario tra la condizione dei poveri e quello dei ricchi. Il populismo, in modo particolare il M5S, per quanto riguarda la situazione italiana, è quindi la reazione culturale e politica rispetto alle condizioni sociali drasticamente mutate nel tempo della postmodernità, dopo il golpe messo in atto dalla nuova classe sociale dominante, quell’aristocrazia finanziaria che mira a distruggere i diritti del lavoro, a proletarizzare la middle class, a desovranizzare gli Stati, ad americanizzare l’Europa. Data la potenza propagandistica dei media, riuscirà veramente a vincere le prossime elezioni politiche e a prendere il potere? Oppure sarà costretto inevitabilmente ad abbandonare istanze essenziali delle proprie battaglie, soggiogato dalla potenza della restaurazione liberista?(Rosanna Spadini, “Populismi e postmodernità”, da “Come Don Chisciotte” del 28 settembre 2017).La postmodernità non è un esercizio filosofico, è la prassi che la nuova classe finanziaria dominante ha messo in atto per appropriarsi di ulteriori ricchezze attraverso un insieme di strategie comunicative e tramite la colonizzazione dell’inconscio. Nel contesto politico attuale, nel tempo malsano e degradato dell’egemonia dei banksters, la democrazia appare sempre più agonizzante e i Parlamenti degli Stati europei si sono svuotati di potere politico rappresentativo. I partiti tradizionali non avendo veri programmi si sono trasformati solo e unicamente in dispositivi elettorali per vincere le elezioni, e il liberismo ha sostituito le classi sociali con le categorie borghesi e popolari a-politiche e decontestualizzate: le “donne”, i “giovani”, gli “immigrati”, i “gay”, e via discorrendo. Ai diritti sociali, tutela del benessere moderno, welfare e lavoro, si sono sostituiti i diritti civili ed estetici: unioni civili, ius soli, maternità surrogata. Sparite dunque le classi (e le lotte di classe) oggi ci si concentra sull’individuo. Del resto «la società non esiste, esistono gli individui», chiosava Margaret Thatcher, punta di diamante del neoliberismo delle origini, capace di coniugare saldamente dumping salariale e riduzione del welfare a condizioni individuali, formalmente libere dalle imposizioni morali ma anche sociali tipiche delle ideologie.