Archivio del Tag ‘Diciotti’
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Tentazione: usare l’emergenza per un golpe, incluso il Mes
Il coronavirus sembra non volerne sapere dei modelli matematici fatti apposta per ingabbiarlo: le cifre crescono, e così assistiamo a una moltiplicazione dell’incertezza, mentre si consuma il balletto quotidiano dell’indecisione del governo. Attenti: il momento è propizio per instaurare uno “stato d’eccezione”. Lo afferma il professor Alessandro Mangia, ordinario di diritto costituzionale alla Cattolica di Milano, intervistato da Federico Ferraù sul “Sussidiario“. «L’emergenza – spiega Mangia – consente di fare infinite cose che in condizioni normali non si potrebbero fare», dalla nomina di un “commissario al coronavirus” fino alla firma del Mes, passando per l’introduzione forzata del wireless 5G. Esistono precedenti: all’indomani del terremoto di Messina del 1908, lo Stato neo-unitario inventò l’istituzione del decreto-legge. «La disciplina dell’emergenza si è sviluppata simultaneamente in tutta Europa, e se n’è fatto ampio uso durante e soprattutto subito dopo la Prima Guerra Mondiale: basti pensare a una calamità come l’influenza spagnola, che uccise soltanto in Italia quasi 400.000 persone». Un giurista come Santi Romano diceva che l’emergenza è una fonte del diritto: «Vale sicuramente per il coronavirus. Pensiamo al decreto-legge 6/2020 appena varato dal governo e ad altro che potrebbe arrivare».
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Magaldi: bravo Salvini, si fa processare sfidando gli ipocriti
Fa benissimo, Matteo Salvini, a sfidare apertamente chi lo vorrebbe alla sbarra. Ottima idea, quella del leader della Lega: opportuna e coraggiosa la decisione di sottoporsi al processo per il caso della nave Gregoretti, fermata l’estate scorsa davanti al porto siciliano di Augusta con i suoi 116 migranti. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: se qualcuno pensa di tornare a processare la politica nei tribunali (in questo caso, tentando di fermare per via giudiziaria un leader che sembra politicamente imbattibile), tanto vale affrontare l’accusa in aula e porre il problema, una volta per tutte, davanti alla nazione. Ha senso inquisire un ministro per i suoi atti politici? Tema drammaticamente illuminato dal film “Hammamet”, appena uscito nelle sale, e dai tanti libri freschi di stampa che propongono una radicale rilettura della sorte di Bettino Craxi, liquidato vent’anni fa ricorrendo all’iniziativa del pool Mani Pulite. Troppo spesso, sottolinea Magaldi, si è cercato di strumentalizzare le toghe (magari inconsapevoli) per fini politici: e il clamore sul caso Gregoretti, dove l’accusa di sequestro di persona appare effettivamente debole, secondo il leader del Movimento Roosevelt ha l’aria di una mera speculazione politica di basso profilo.In video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Magaldi chiarisce la sua posizione: per i politici (almeno, fin che sono in carica) è necessaria la tutela dell’immunità parlamentare assicurata nel modo più forte, anche per salvaguardare la piena dignità della funzione politica. Quanto a Salvini, ben venga il salto di qualità della sua condotta: fino a ieri, di fronte ad analoghe contestazioni (nave Diciotti), il capo della Lega era passato dall’ostentare tranquillità al quasi-implorare l’immunità, fino a essere “salvato” da Conte e Di Maio. Oggi, con il quadro parlamentare ribaltato e i 5 Stelle al governo col Pd, il no” agli sbarchi diventa materia giudiziaria: un pretesto per cercare di indebolire il nuovo leader dell’opposizione. Eloquente il parere di Zingaretti, secondo cui Salvini (che starebbe esasperando la vicenda) agirebbe «per motivi personali». Il che la dice lunga sulla perdurante ipocrisia di un Pd che, in fondo, è l’erede diretto di quella “casta di maggiordomi” che accettò senza condizioni il vincolo esterno dell’Ue, pur di sedersi al governo dopo il crollo (giudiziario) della Prima Repubblica. Un Pd senza idee né identità, che strizza l’occhio al neo-ambientalismo propagandistico di Greta e all’imbarazzante exploit delle Sardine, che pretendono di imbavagliare i ministri negando loro accesso a Twitter.Salvini tira dritto: vuole andare a processo per la Gregoretti (spiazzando anche la Meloni e Forza Italia) e intanto si protegge le spalle omaggiando Trump e Netanyahu: clamoroso l’applauso del leghista per l’uccisione americana del generale iraniano Qasem Soleimani, temuto da Israele. E a proposito: Salvini è tornato sul tema mediorientale, tifando per la promozione di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico, dopo aver equiparato l’antisemitismo alle critiche al sionismo. In un recente convegno alla presenza dell’ambasciatore israeliano in Italia, l’ex vicepremier si è rammaricato dell’assenza di Liliana Segre: «Lei avrebbe tanto da insegnare, Carola Rackete no», ha aggiunto, attaccando la “capitana” della Sea Watch che speronò una motovedetta della Guardia di Finanza. Il fatto che una tragedia come la Shoah venga costretta a galleggiare nello stesso mare in cui nuotano i migranti descrive bene il tenore della speculazione politica corrente, mentre l’Italia perde i pezzi: vessato dalla Commissione Europea, il Belpaese non riesce a risolvere nessuna delle sue crisi industriali, e in più assiste impotente anche alla perdita della Libia, ormai “appaltata” al duopolio russo-turco senza che il fantasmatico Conte-bis riesca a battere un colpo per dimostrare di esistere.«Salvini sta studiando», disse Magaldi la scorsa estate, dopo la diserzione del Papeete e la fine del governo gialloverde, clamorosamente rimpiazzato da quello giallorosso. Per i detrattori (e i grandi media), si trattò di un autogoal: il capo della Lega sperava nelle elezioni anticipate, mai si sarebbe aspettato che i 5 Stelle si stringessero al Pd – e a Renzi – per giunta mantenendo Conte a Palazzo Chigi. Salvini fornisce una versione diversa: gli sarebbe stato impossibile giustificare ancora, presso l’elettorato leghista, un governo senza risultati. Non solo la problematica autonomia regionale per il Nord-Est, ma soprattutto il miraggio della Flat Tax, o comunque il sollievo fiscale promesso da Armando Siri. Ai gialloverdi, leghisti inclusi, Magaldi non ha mai fatto sconti: «Bravissimi ad abbaiare contro Bruxelles, e altrettanto bravi a prendere ceffoni, tornando a Roma con le pive nel sacco e senza neppure la magra consolazione del 2,4% di deficit». Erano i tempi in cui il campione sovranista Salvini flirtava con Marine Le Pen e l’ungherese Orban, insieme all’intero cartello di Visegrad ostile alle frontiere aperte. Poi è arrivata la bombetta-Moscopoli, con i silenzi imbarazzati sulla presenza di Savoini al Metropol, intercettato (da quale servizio segreto?) mentre discuteva di forniture energetiche, non si sa a che titolo, con oligarchi russi.Nella conversione atlantista di Salvini, peraltro anticipata già nella visita in Israele lo scorso anno, Magaldi vede il bicchiere mezzo pieno: «Salvini si sta schierando, dopo esser stato tacciato di essere inaffidabile in quanto filo-russo». Per la precisione, si sta allineando a Trump e Netanyahu. Magaldi apprezza: «Sono a favore della creazione di uno Stato palestinese e denuncio gli abusi della politica israeliana», premette, non senza aggiungere: «Israele resta pur sempre l’unica democrazia dell’area: se si vuole la pace, è più facile partire proprio dagli elementi israeliani progressisti, piuttosto che dai paesi – tutti autoritari – che circondano lo Stato ebraico». E cita il coraggioso tentativo di Yitzhak Rabin, «massone progressista» assassinato nel ‘95 da un colono ultra-sionista per aver tentato, davvero, di stringere una pace storica coi palestinesi. Nulla di simile è oggi all’orizzonte: era ancora vivo Arafat quando la scelta della pace fu pagata, dall’Olp, con la secessione di Gaza, finita sotto il controllo di Hamas, «una formazione fondamentalista sciita, vicina all’Iran, che nega tuttora a Israele il diritto di esistere». Mala tempora currunt: Medio Oriente nel caos, Libia contesa da potenze lontane dall’Ue, Europa inesistente, Italia paralizzata da una crisi che sembra senza vie d’uscita. E in mezzo a questo disastro, l’impresentabile Pd pretende di crocifiggere Salvini, per via giudiziaria, con il pretesto dell’opposizione agli sbarchi?A far salire la temperatura, ovviamente, sono le imminenti regionali in Emilia Romagna: una lunghissima campagna elettorale, punteggiata dai comizi casa per casa dell’onnipresente Salvini, cui si oppone – agitando addirittura l’antifascismo – l’ambigua ciurma delle Sardine prodiane. Per Magaldi, sono tappe della guerra tattica che, dietro le quinte, vede contrapposti due supermassoni occulti, «il “fratello” Romano Prodi e il “fratello” Mario Draghi, entrambi proiettati verso la conquista del Quirinale, dopo Mattarella». Quanto all’Emilia, si tratta di una Regione «ben governata dall’uscente Stefano Bonaccini». Se dovesse perdere, però, non sarebbe una tragedia: «E’ inconcepibile – dice Magaldi – la pretesa di mantenere al potere sempre la stessa parte politica, ininterrottamente, per mezzo secolo: non bisogna avere paura dell’alternanza, che è il sale della democrazia, e questo dovrebbe valere anche per la Lega». Nel frattempo, resta comunque inevasa la questione di fondo: «L’Italia – sintetizza Magaldi – ha bisogno di un cambio radicale nella governance dell’Ue, ottenendo il via libera a investimenti per 200 miliardi non computabili nel deficit. C’è un paese da ricostruire, facendolo uscire dall’incubo artificiale dell’austerity, progettata da un’élite reazionaria di cui sia Draghi che Prodi sono stati al servizio, con la differenza che oggi Draghi si dice pentito del suo operato, mentre Prodi se ne guarda bene».Fa benissimo, Matteo Salvini, a sfidare apertamente chi lo vorrebbe alla sbarra. Ottima idea, quella del leader della Lega: opportuna e coraggiosa la decisione di sottoporsi al processo per il caso della nave Gregoretti, fermata l’estate scorsa davanti al porto siciliano di Augusta con i suoi 116 migranti. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt: se qualcuno pensa di tornare a processare la politica nei tribunali (in questo caso, tentando di neutralizzare per via giudiziaria un leader che sembra politicamente imbattibile), tanto vale affrontare l’accusa in aula e porre il problema, una volta per tutte, davanti alla nazione. Ha senso inquisire un ministro per i suoi atti politici? Tema drammaticamente illuminato dal film “Hammamet”, appena uscito nelle sale, e dai tanti libri freschi di stampa che propongono una radicale rilettura della sorte di Bettino Craxi, liquidato trent’anni fa ricorrendo all’iniziativa del pool Mani Pulite, ai tempi in cui la Lega Nord, in Parlamento, agitava il cappio. Troppo spesso, sottolinea Magaldi, si è cercato di strumentalizzare le toghe (magari inconsapevoli) per fini politici: e il clamore sul caso Gregoretti, dove l’accusa di sequestro di persona appare effettivamente debole, secondo il leader del Movimento Roosevelt ha l’aria di una mera speculazione politica di basso profilo.
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Donazione milionaria per Rackete, detestata dagli italiani
La vicenda Sea Watch è stata molto seguita dagli italiani: due su tre (il 63%) con molta attenzione, e il 29% ne ha almeno sentito parlare. Come nel caso della Diciotti, scrive Nando Pagnoncelli nel suo recente sondaggio per il “Corriere della Sera”, «gli italiani si confermano nettamente a favore della linea della fermezza che impedisca gli sbarchi sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni umanitarie: il 59% si dichiara molto (34%) o abbastanza (25%) d’accordo, mentre il 29% è contrario. Dieci mesi fa i favorevoli erano pari al 61%». Una nettissima inversione di tendenza: «Il consenso alla linea salviniana non appare tanto dettato dalla preoccupazione che il nostro paese non sia più in grado di accogliere altri migranti (solo il 28% è di questo parere)», continua Pagnoncelli, «quanto piuttosto dall’esigenza di coinvolgere gli altri paesi europei nella gestione dei flussi (71%)». Il braccio di ferro, quindi, «è considerato l’unico modo possibile per costringere le altre nazioni europee a fare la propria parte, nella convinzione – largamente diffusa – che l’ Ue ci abbia lasciato soli».E la capitana della Sea Watch, Carola Rackete? «Ebbene, in questo derby tra capitani la maggioranza degli italiani (53%) sta con “il capitano” Salvini, mentre il 23% si schiera con la capitana Rackete, e uno su quattro (24%) non si pronuncia». La pensano diversamente vari politici europei, che dopo l’arresto della tedesca – al comando del vascello olandese – si sono affrettati ad esprimerle supporto, a cominciare dal ministro tedesco dello sviluppo, Gerd Müller. Nel frattempo, scrive il “Corriere del Ticino”, numerosi cittadini europei hanno risposto all’appello lanciato su YouTube dai presentatori televisivi tedeschi Jan Boehmermann e Klaas Heufer-Umlauf in un video di 15 minuti, pubblicato su tutti i social media. «L’obiettivo della colletta è il pagamento delle sanzioni che saranno inflitte a Rackete per aver forzato l’ingresso nel porto di Lampedusa, oltre che per le spese giudiziarie». E al momento – questa la vera notizia – la raccolta di fondi ha già superato il milione di euro: 735.000 euro provenienti dalla Germania e oltre 410.000 euro dalla pagina Facebook italiana dell’iniziativa.«Quanto avanzerà verrà usato dalla Ong per procurarsi una nuova nave in caso di sequestro o confisca del natante comandato da Rackete», continua il quotidiano svizzero, ricordando che il promotore dell’iniziativa, Jan Boehmermann, ha subito commentato su Twitter il successo raggiunto, dicendo che «non si tratta soltanto di denaro urgente, ma anche di un chiaro segnale per i responsabili politici e coloro che si occupano di salvare le vite dei migranti». Infatti, sulla pagina web creata appositamente per le donazioni, Heufer e Umlauf introducono l’iniziativa dicendo che «chi salva vite non è un criminale». E aggiungono: «In tutto il mondo, ma soprattutto nella nostra libera, democratica e aperta Europa». Sono gli stessi media, tedeschi, che assistettero impassibili alla spietata strage della Grecia, inflitta ad Atene dalla “libera, democratica e aperta Europa”, su pressione delle banche tedesche e francesi. Ma i bambini greci – morti negli ospedali per mancanza di medicine – evidentemente fanno meno compassione dei migranti assistiti a spese dell’Italia e protetti da Carola Rackete, la tedesca che gli italiani detestano.La vicenda Sea Watch è stata molto seguita dagli italiani: due su tre (il 63%) con molta attenzione, e il 29% ne ha almeno sentito parlare. Come nel caso della Diciotti, scrive Nando Pagnoncelli nel suo recente sondaggio per il “Corriere della Sera”, «gli italiani si confermano nettamente a favore della linea della fermezza che impedisca gli sbarchi sul territorio italiano dei migranti soccorsi in mare dalle navi delle organizzazioni umanitarie: il 59% si dichiara molto (34%) o abbastanza (25%) d’accordo, mentre il 29% è contrario. Dieci mesi fa i favorevoli erano pari al 61%». Una nettissima inversione di tendenza: «Il consenso alla linea salviniana non appare tanto dettato dalla preoccupazione che il nostro paese non sia più in grado di accogliere altri migranti (solo il 28% è di questo parere)», continua Pagnoncelli, «quanto piuttosto dall’esigenza di coinvolgere gli altri paesi europei nella gestione dei flussi (71%)». Il braccio di ferro, quindi, «è considerato l’unico modo possibile per costringere le altre nazioni europee a fare la propria parte, nella convinzione – largamente diffusa – che l’ Ue ci abbia lasciato soli».
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Polvere di Stelle: ko l’ambigua Scientology dei Casaleggio
Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.Facile cascare nel delirio collettivo provocato dalla genialità dell’esperimento di Gianroberto Casaleggio, però il M5S non è una forza politica nata dal basso, ma una semplice riproduzione della prima società di Casaleggio, la Webegg, gruppo per la consulenza delle aziende in Rete, controllata da I.T. Telecom Spa. Esperimento cui Casaleggio ha lavorato alla fine degli anni Novanta, quando da amministratore delegato cominciò a testare nei forum intranet dell’azienda i meccanismi di formazione e produzione del consenso attraverso la propaganda virale. Testi e regia dei Vday infatti, gli eventi antecedenti alla nascita del Movimento, erano in pratica decisi dalla Casaleggio. Grillo è stato l’uomo immagine, il frontman del consenso elettorale che poteva raccogliere e rilanciare la rabbia che saliva da più parti della società civile e incrementare il sentimento d’indignazione contro il sistema. In questa prima fase il MoV sosteneva alcune istanze che poi smentirà tutte: l’uscita dalla Nato, il rifiuto assoluto di comparire sulle tv, la decrescita felice, il plauso ad uno stile di vita francescano, un deciso sovranismo, una forte critica all’euro e all’Unione Europea.Gianroberto Casaleggio ha progettato attentamente la sua scalata al potere, tutelando con cura paranoica la fuga di notizie sulla sua storia professionale, anche se ai più attenti molte cose non erano sfuggite. Lo stesso Gianroberto teorizzava spesso sul potere degli ‘influencers’, i piazzisti di prodotti sul mercato, o fake persuaders, coloro che orientano il consenso degli utenti, creando e dirottando correnti di pensiero per finalità di marketing, anche politico. La persuasione funziona perfettamente quando è invisibile, e il marketing più efficace è quello che s’insinua subdolamente nella nostra coscienza, attraverso un processo di propagazione virale riprodotta sui social, simulando magnificamente l’autonomia delle nostre opinioni, che in realtà sono di altri. Il guru del web riuscì ad incastrare Grillo nell’avventura politica che si stava aprendo nel 2005, e con l’apertura del blog di Grillo cominciò la traversata nel deserto del nuovo partito populista. Tutta la comunicazione veniva studiata sistematicamente da Casaleggio, e Grillo serviva da amplificatore seducente e accattivante dei depistaggi ideologici, veri o presunti, della nuova creatura politica.Il blog fu subito ispiratore di liste civiche e di meetup territoriali, cui le persone partecipavano con grande entusiasmo, sentendosi protagonisti, esponenti preziosi del MoV, in realtà venivano spesso ignorati dai vertici, a meno che rispondessero ai canoni elettorali che facevano loro comodo, giovani, fotogenici, malleabili, succubi e dotati molto più di soft skills che di hard skills, più attitudini che competenze. Una volta eletti, una ‘squadra di esperti’ li avrebbero guidati nelle proposte e nei dibattiti politici. L’ipnosi collettiva scatenò effetti immediati, eliminò la sensazione d’impotenza, perché era taumaturgico gridare un “vaffa” verso i decrepiti e corrotti politici della casta, e illuse sulla possibilità di un riscatto, che poteva trovarsi finalmente a portata di mano. Il sogno si sa è sempre più forte del realismo, ed è la carica emozionale indispensabile per muovere le coscienze attraverso “parole guerriere”. Ma il riscatto non può arrivare, perché il MoV è una controrivoluzione, l’anarchismo interno in realtà è guidato dalla diarchia Casaleggio (oggi unico proprietario del simbolo e della società srl) e Di Maio, tutti gli altri stanno sotto.La selezione della classe dirigente è uno dei problemi seri, perché in Parlamento sono arrivate persone che non hanno mai letto la Costituzione, oppure diretti dipendenti, comprati a suon di promesse e di pretese. «Descrivere il potere dei Casaleggio è come comporre un puzzle», dicono due ex collaboratori del MoV, Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro ultimo libro di recente pubblicazione “Il sistema Casaleggio”. «Ci sono migliaia di pezzettini: associazioni aperte e chiuse, avvocati, notai, relazioni, contatti, incontri, cene, convegni, partiti politici, aziende pubbliche e private. Frammenti di racconto che presi da soli non hanno un grande significato. Bisogna ricostruire e collegare i tasselli con pazienza, per capire come ciascuno sia parte di uno schema coerente. Il paravento dietro cui si nasconde questo inganno è l’asserita volontà di costruire un nuovo modello di democrazia, la “democrazia diretta”, governata da un’applicazione web di pessima qualità chiamata Rousseau». Peraltro, secondo Davide Casaleggio, Rousseau dovrebbe sostituire i processi democratici esistenti oggi in Occidente: «Il Parlamento diventerà superfluo», ha profetizzato in un’intervista del luglio 2018.La scalata ai vertici del partito è avvenuta al momento della scomparsa di Gianroberto, quando il figlio Davide si è assicurato un ruolo assolutamente anomalo: non ha una carica politica eppure gestisce l’attività del MoV, come presidente dell’Associazione Rousseau, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti, le procedure di votazione dei candidati, le proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati dai donatori e dai parlamentari (300 euro al mese, 6 milioni in 5 anni di legislatura, quindi soldi pubblici che vanno ad un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può modificare le regole interne. Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017 e scritto dall’avvocato Luca Lanzalone (ora in carcere), blinda l’accordo tra l’Associazione e il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre, e il regolamento per le candidature quantifica la cifra di 300 euro al mese.Ora da un po’ di tempo si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale, ma nulla lascia prevedere che il MoV possa trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto ad uno strumento attraverso il quale i Casaleggio hanno concentrato nelle loro mani influenza e potere. Dopo il voto sulla Diciotti poi si è capito che gli iscritti sono pronti a ratificare qualsiasi proposta, se pilotati nel modo giusto da video orientati al lavaggio di cervello. Anche oggi, nel dopo tracollo alle europee, a decidere è solo un piccolo direttorio di poche persone, Casaleggio, Di Maio, Bugani. Il MoV si è presentato all’opinione pubblica italiana attraverso tre messaggi chiari: noi siamo il movimento della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. In realtà in questo non-partito, un soggetto non eletto da nessuno, attraverso un’associazione privata di nome Rousseau, controlla la gestione e le attività di un MoV, in maniera unidirezionale.Il conflitto di interessi, ambiguo e opaco, meriterebbe di essere messo a fuoco in modo netto: a quale titolo il capo di una srl impone a dei parlamentari eletti senza vincolo di mandato l’obbligo di essere sudditi di un’associazione privata? E comunque spiega perfettamente il crollo del MoV alle europee, perché se il partito del “né destra né sinistra” ha potuto raccattare moltissimi voti alle ultime politiche, proprio grazie all’ambiguità del proprio messaggio poliedrico e multilaterale, poi però di fronte alle sfide di governo non riesce più a gestire il consenso. Del MoV delle origini è rimasto solo un brand elettorale, svuotato di ogni energia progettuale di ampio respiro, adagiatosi costantemente su toni da political newsjacking perpetua, ostinatamente regolata su spot propagandistici di grande effetto, semplici, immediati, capaci di colpire l’immaginario collettivo. Ma la rappresentanza politica di istanze democratiche dovrebbe essere un’altra cosa…(Rosanna Spadini, “Polvere di Stelle”, da “Come Don Chisciotte” del 29 maggio 2019).Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.
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Giannuli: difficile che i gialloverdi sopravvivano al caso Siri
Questa di Siri è la grana peggiore capitata al governo gialloverde sin qui, perché avviene su un terreno come quello dei principi su cui nessuno dei due può fare un passo indietro; perché questo accade alla vigilia di una consultazione elettorale generale; perché non ha soluzioni di compromesso possibili. Se la Lega accetta di far dimettere Siri, dopo averlo difeso, la cosa suonerebbe come una resa a discrezione nei confronti dell’alleato, come l’accettazione del principio grillino delle dimissioni automatiche in caso di avviso di garanzia, e come l’indebolimento dell’immagine di Salvini che è stato, sin qui, l’uomo forte dell’alleanza. Viceversa, se i 5 Stelle cedessero, sarebbe la rinuncia ad un principio già seriamente messo in discussione sulla questione della Diciotti e, considerando anche quello che sta emergendo in tema di compromissioni con la mafia, anche al di là del semplice avviso di garanzia, la situazione non è tollerabile, pena spezzarsi il collo alle elezioni fra un mese. Mantenere l’attuale situazione di stallo, con l’interessato che resta sottosegretario senza deleghe, non sembra cosa che possa durare a lungo.Dunque, la logica porterebbe a pensare che stavolta è crisi senza rinvio. Però la cosa ha implicazioni inaccettabili sia per Di Maio che per Salvini: far cadere il governo dopo tutte le volte che si è giurato che il governo godeva di buona salute e che sarebbe durato 5 anni, e invece il governo cade prima ancora delle europee, suonerebbe come l’aperta ammissione di un fallimento. Sarebbe come dire che la formula di maggioranza è stato un errore sin dall’inizio perché i due contraenti non avevano nulla in comune; contratto o non contratto, hanno litigato su tutto per un anno, hanno fatto finta di fare qualcosa, non hanno realizzato alcun cambiamento e ora tutto viene a galla. Alla vigilia delle europee potrebbe costare molto caro a tutti due, e allora la soluzione del sottosegretario congelato per un mese non è poi così impossibile. Bisogna vedere anche se Conte avrà il coraggio di chiedere a Siri le dimissioni. Comunque, sarebbe il solito papocchio in attesa che si chiariscano i rapporti di forza elettorali.Dunque una crisi prima delle europee non appare probabile, anche se per evitarla bisognerà fare il doppio salto mortale carpiato. E quindi, per ora niente crisi, ma dopo le europee che si fa? A meno di un risultato imprevedibile (ad esempio la Lega resta al palo di partenza e il M5S resiste bene, per fare un esempio) il governo durerà anche dopo? Qui le cose si complicano: certamente superare le elezioni farebbe scendere la febbre, ma i danni prodottisi nel frattempo resterebbero tutti, e ormai il patto politico è in frantumi. Certo, l’opposizione fa di tutto per aiutare i due partiti al governo. Prendiamo il Pd: ha presentato una mozione di sfiducia al governo che con ogni probabilità sarà respinta da Lega e M5S, che si ritroverebbero compattati; quindi la questione Siri finirebbe nel polverone generale, senza esiti, aiutando i gialloverdi a uscire dall’imbarazzo. Avrebbe avuto più senso proporre una mozione in cui si invitava Siri a dimettersi, mettendo il M5S nell’imbarazzo di scegliere se votarla, spezzando così il patto con la Lega, oppure respingerla spiaccicandosi così di fatto sulla posizione della Lega. Ma tanta finezza non pare che faccia parte del modo di pensare del Pd.(Aldo Giannuli, “Siamo alla crisi di Pasqua? Non credo, però…”, dal blog di Giannuli del 24 aprile 2019).Questa di Siri è la grana peggiore capitata al governo gialloverde sin qui, perché avviene su un terreno come quello dei principi su cui nessuno dei due può fare un passo indietro; perché questo accade alla vigilia di una consultazione elettorale generale; perché non ha soluzioni di compromesso possibili. Se la Lega accetta di far dimettere Siri, dopo averlo difeso, la cosa suonerebbe come una resa a discrezione nei confronti dell’alleato, come l’accettazione del principio grillino delle dimissioni automatiche in caso di avviso di garanzia, e come l’indebolimento dell’immagine di Salvini che è stato, sin qui, l’uomo forte dell’alleanza. Viceversa, se i 5 Stelle cedessero, sarebbe la rinuncia ad un principio già seriamente messo in discussione sulla questione della Diciotti e, considerando anche quello che sta emergendo in tema di compromissioni con la mafia, anche al di là del semplice avviso di garanzia, la situazione non è tollerabile, pena spezzarsi il collo alle elezioni fra un mese. Mantenere l’attuale situazione di stallo, con l’interessato che resta sottosegretario senza deleghe, non sembra cosa che possa durare a lungo.
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Cabras: è la lotta contro il Deep State a unire Lega e M5S
«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».Il convitato di pietra ha un nome preciso: si chiama supermassoneria reazionaria. «Se i gialloverdi fossero meno ipocriti sulla massoneria, la parte progressista di quel Deep State (che non è un monolite) li potrebbe aiutare», sostiene Gioele Magaldi. «A dire il vero l’ha anche già fatto: la rivolta francese dei Gilet Gialli contro Macron, proprio mentre il governo Conte affrontava Bruxelles sulla questione del deficit, è stato un regalo della massoneria progressista. Regalo di cui, incredibilmente, i gialloverdi non hanno saputo approfittare, per portare a casa almeno il loro iniziale 2,4%», comunque modestamente inferiore al 3% di Maastricht e, a maggior ragione, al 3,5% ora concesso all’Eliseo. Il guaio? «Con un atteggiamento discriminatorio, i 5 Stelle proclamano di non volere massoni tra le loro fila, ignorando che era massone lo stesso Gianroberto Casaleggio». Peggio: «Il governo Conte pullula di massoni. Per questo, fingere di non saperlo è ipocrisia pura». Tradotto: sacrosanta la denuncia contro il Deep State. Ma perché non chiamare le cose con il loro nome? Inoltre: se nello “Stato profondo” ci sono anche massoni contrari al dominio oligarchico, sparare a casaccio sulla massoneria non li invoglia certo a impegnarsi per assistere Di Maio e Salvini, alle prese con i tecnocrati di Bruxelles e i loro terminali italiani, da Bankitalia al Quirinale.Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del network massonico progressista internazionale, si candida a fare da “sindacalista”, in appoggio al governo. A una condizione: che i gialloverdi, e in particolare i 5 Stelle, smettano di dicriminare (a parole) i massoni. Dal canto suo, Cabras fornisce una lucida analisi sul vero potere che condiziona pesantemente il governo a partire dalla sua nascita. «Avremmo voluto altri ministri», ammette, alludendo anche al veto opposto da Mattarella alla nomina di Paolo Savona al dicastero strategico dell’economia. «Sappiate che quel potere di firma è decisivo, fa la differenza», sottolinea Cabras, che aggiunge: «Ci sono strutture molto “profonde”, che non possono essere ignorate, e che determinano ancora molto l’orientamento del potere. E non sono strutture facili da scardinare». Magaldi lo chiama “back-office”. Da noi, dice Cabras, «il back-office sta in un edificio molto in alto, a Roma, ed è il punto di equilibrio di tante realtà – che sono corpose, nella vicenda di uno Stato, e probabilmente sono diverse dal modo di pensare abituale della politica. Attenzione, questa cosa esiste in tutti gli Stati del mondo: non penserete che Trump sia il decisore unico, vero?».Pino Cabras prova a difendere l’operato del governo, fin dal primo giorno avversato dai media a reti unificate. Stando ai giornali sarebbe crollato l’export, che invece è cresciuto. Lo spread? La tempesta paventata non s’è vista. «Avevano detto che non sarebbe stato possibile fare una misura come “Quota 100”, che invece ha dato respiro a famiglie e lavoratori». Quanto al “decreto dignità”, «ha cercato di incentivare i contratti a lungo termine, e invece i media mainstream hanno ripetuto che avrebbe causato solo licenziamenti e disastri (e invece sta funzionando bene, lo dice l’Istat)». Il reddito di cittadinanza? Non è la cuccagna promessa in campagna elettorale, «ma almeno è una prima risposta al dilagare della nuova povertà». Troppo poco? Forse, ammette Cabras, ma non si può certo volare alto, con un deficit bloccato al 2%. «Ci hanno fatto davvero la guerra, un mare di pressioni. Hanno cercato di usare ogni possibile “waterboarding”, contro di noi». Lo si è visto: la macchina del fango si è avventata su Di Maio, mentre Salvini è stato accusato di sequestro di persona solo per non aver lasciato sbarcare i migranti della Diciotti, in realtà liberissimi di andarsene dove volevano.«Tra il dire e il fare c’è lo “Stato profondo”, che determina la libertà di decisione su tante cose», insiste Cabras, senza con questo voler accampare alibi. La sua, al contrario, è una denuncia esplicita. Il tema del convegno londinese era l’economia? Benissimo: ma il Piano-B a cui sta lavorando Cabras (moneta completamentare, sotto forma di crediti fiscali scambiabili come forma di pagamento alternativa) rischia di andare per le lunghe. «Eppure – rileva Fabio Zoffi – Lega e 5 Stelle avrebbero i numeri per attuarla in 24 ore, una misura del genere». Certo, ammette Cabras. Ma è impossibile fare i conti senza l’oste. Un esempio clamoroso? «I decreti attuativi per risarcire i risparmiatori truffati dalle banche, con la complicità dei governi precedenti. Stiamo parlando di un miliardo e mezzo di euro, già a bilancio», precisa Cabras. «Bene, quelle carte sono pronte da mesi: stanno su qualche scrivania al ministero delle finanze, ma nessuno le ha ancora firmate». Perché non denunciarli, i boiardi che remano contro, facendo nomi e cognomi? «Ci abbiamo provato, e ricordate cos’è successo? Tutti i media ci hanno dato addosso, facendoci passare per “sfasciacarrozze”». Memorabile la gogna mediatica cui fu sottoposto Rocco Casalino, per aver osato annunciare un “repulisti” nei ministeri.E quello della burocrazia ministeriale, sottolinea Magaldi, è solo lo strato più basso del Deep State: esecutori e passacarte. A monte c’è ben altro, ovviamente: Mattarella arrivò a “invitare” l’incaricato Conte a visitare Bankitalia, cioè il terminale italiano del supermassone Draghi. Pino Cabras, per ora, mostra una certa fiducia verso le elezioni europee in arrivo: spera che contribuiscano a indebolire l’euro-sistema. Ammette, francamente, che Lega e 5 Stelle sono divisi praticamente su tutto: famiglia, legittima difesa, concezione dello Stato, politica estera. «Però siamo uniti nell’impegno a “smontare”, poco alla volta, lo “Stato profondo”». Come? «Conquistando gradualmente alcune “casematte”». A chi rimprovera scarso coraggio ai gialloverdi, Cabras risponde: «Ho rispetto per Di Maio, ha solo 31 anni e ha già affrontato prove tali da far tremare i polsi. Lega e 5 Stelle hanno dimostrato un coraggio di cui non c’era traccia da anni, nella politica italiana». Il nocciolo è questo: «Vogliamo aumentare il potere d’acquisto dei cittadini, e rimettere l’Italia nelle condizioni di esprimere una politica economica». Il nemico è il Deep State, e siede nei posti-chiave. Di Maio e Salvini lo sanno, e hanno accettato di affrontare una guerra di logoramento. Per Magaldi non basta: serve una sfida frontale, perché la crisi italiana non aspetta. E senza veri risultati, gli elettori si ribelleranno: stanno già “scaricando” i 5 Stelle, e domani potrebbero dire addio allo stesso Salvini, anche se oggi sembra inaffondabile. Lo sembrava anche Renzi, che aveva il 40%.«E’ vero, nella maggioranza siamo in due, 5 Stelle e Lega, ma al governo c’è anche un terzo incomodo: lo “Stato profondo”». Ricompare a Londra, il fantasma del Deep State, nelle parole di Pino Cabras, neo-deputato grillino. Platea: il forum economico del Movimento Roosevelt per un New Deal europeo, che rottami l’austerity rispolverando Keynes. Tra i presenti Nino Galloni e Ilaria Bifarini, l’ex banchiere Guido Grossi, imprenditori come Danilo Broggi e Fabio Zoffi. Ammette Cabras: «Noi e la Lega siamo divisi su tutto, tranne che sul Deep State: siamo consapevoli di dover scardinare quel meccanismo». Paradosso: «Senza lo “Stato profondo”, il governo gialloverde non sarebbe neppure nato. Però era un’occasione irripetibile». In altre parole: Di Maio e Salvini hanno accettato di salpare con a bordo i controllori del potere-ombra. Altra possibilità non c’era. Del resto, sostiene Cabras, questo è l’unico governo che può provare a smontare il paradigma del rigore neoliberista: «Certo non può farlo il Pd di Zingaretti, di cui ho osservato con sgomento i primi dieci giorni da segretario: è allucinante che si sia mantenuto fedele al peggio del verbo di Renzi, cioè allo schema che ha imprigionato l’Italia in questi anni». In compenso, il Deep State non molla i gialloverdi: «Non avete idea delle pressioni a cui Di Maio e Salvini vengono sottoposti».
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Il “funerale” in Piemonte, poi la scissione: addio 5 Stelle?
Dopo l’Abruzzo anche la Sardegna: il crollo dei 5 Stelle sembra inarrestabile. Questa caduta dei consensi è una tendenza che sta toccando tutta l’Italia. Presto si voterà in Basilicata, ci saranno le comunali in Sicilia e le regionali in Piemonte, queste ultime in contemporanea con le europee, e questi appuntamenti elettorali ci confermeranno il sospetto che si tratti ormai di un trend nazionale inevitabile. Di Maio sta cercando disperatamente un rilancio dopo queste sconfitte. Da tempo parla di trasformazione del movimento in partito tradizionale. Il vero nodo che pongono i dissidenti, cioè quel 41% che ha votato contro Salvini sul caso Diciotti, non è tanto avere venti segretari regionali, come sembra si voglia proporre nei prossimi giorni, ma chi li elegge. Di Maio li vuole nominare lui, mentre giustamente i dissidenti dicono che devono essere eletti dalla base, regione per regione. E’ una cosa mai successa nel Movimento, perché all’idea di strutturarsi in partito c’è sempre stato prima il rifiuto di Casaleggio padre e ora del figlio Davide. Di Maio rischia di prendere un sonoro schiaffone dalla base? Sì, e possiamo già contare i mesi ormai prima che si arrivi alla scissione. Scissione che poi sarà indicata da Casaleggio, a seconda della posizione che prenderà. Lui è di destra, mentre i dissidenti come Fico sono di estrema sinistra. Assisteremo a una guerra totale.Una scissione tra l’anima di sinistra e quella più governativa? Secondo me, avverrà più per il metodo che per il merito. L’unico che è rimasto fedele all’anima del Movimento, nel caso del voto su Salvini, è stato Nicola Morra. Nel senso che nel M5S, che da dieci anni sostiene la politica dei manettari, adesso si sono messi a fare i garantisti con Salvini. Anzi, più che manettari, direi forcaioli. Hanno tradito la loro stessa anima, è evidente a tutti. Quanto vale Fico? Lui cerca di accreditarsi quel 41%. In realtà, di coloro che usciranno allo scoperto nella votazione su Salvini sono solo in 4. Fino alle europee staranno tutti zitti per la paura folle di essere espulsi. Rimarranno tutti fedeli a Salvini in nome del potere, della poltrona e dello stipendio. Insomma, tra gli eletti e la base c’è una differenza totale: sono due cose completamente diverse. Molti degli eletti non sono stati scelti con le “parlamentarie”, ma direttamente da Di Maio, come nel caso di personaggi come il comandante De Falco, che si è rivelato persona onesta e tutta d’un pezzo, ma neanche questi gli garantiscono fedeltà.Vorrei sottolineare un aspetto curioso: nessun organo di stampa ha approfondito chi sono i personaggi con cui Di Maio ha stretto alleanza in vista delle europee. Forse perché si tratta di signor nessuno, sono una barzelletta. Dei quattro alleati, due non sono neppure presenti nei rispettivi Parlamenti nazionali, uno è un rocker fascista polacco impresentabile. Sono tutti personaggi assurdi, peggio dei Gilet Gialli. I 5 Stelle non hanno nulla in comune con nessuno di loro. Che programma presenteranno? Sono alla disperata ricerca di qualche parola d’ordine forte, che gli faccia recuperare qualche voto, visto che Di Battista, dopo le figuracce che ha fatto da quando è tornato in Italia, è stato messo a tacere. Lo scenario più plausibile? Se vanno sotto il 20% sarà un crollo. Se invece riescono a dire che hanno gli stessi voti del 2014, il 21%, potranno sperare di tirare avanti ancora un po’. Fino a una inevitabile crisi di governo? La crisi di governo probabilmente ci sarà: quando in una coalizione uno dei due partiti crolla e l’altro raddoppia, nonostante tutta la buona volontà, non si può più stare insieme. E poi il classico centrodestra con Lega e Forza Italia sta funzionando benissimo. Il Piemonte darà un’indicazione decisiva: al Nord i grillini sono ormai al 10% rispetto al 20% raggiunto alle politiche. E quando sei al 10% nella parte che conta dell’Italia sei già morto e finito.(Mauro Suttora, dichirazioni rilasciate a “Il Sussdiario” per l’intervista “Crollo M5S, prima il funerale in Piemonte e alle europee, poi la scissione”, pubblicata il 26 febbraio 2019. Giornalista e scrittore, Suttora è un profondo conoscitore del Movimento 5 Stelle).Dopo l’Abruzzo anche la Sardegna: il crollo dei 5 Stelle sembra inarrestabile. Questa caduta dei consensi è una tendenza che sta toccando tutta l’Italia. Presto si voterà in Basilicata, ci saranno le comunali in Sicilia e le regionali in Piemonte, queste ultime in contemporanea con le europee, e questi appuntamenti elettorali ci confermeranno il sospetto che si tratti ormai di un trend nazionale inevitabile. Di Maio sta cercando disperatamente un rilancio dopo queste sconfitte. Da tempo parla di trasformazione del movimento in partito tradizionale. Il vero nodo che pongono i dissidenti, cioè quel 41% che ha votato contro Salvini sul caso Diciotti, non è tanto avere venti segretari regionali, come sembra si voglia proporre nei prossimi giorni, ma chi li elegge. Di Maio li vuole nominare lui, mentre giustamente i dissidenti dicono che devono essere eletti dalla base, regione per regione. E’ una cosa mai successa nel Movimento, perché all’idea di strutturarsi in partito c’è sempre stato prima il rifiuto di Casaleggio padre e ora del figlio Davide. Di Maio rischia di prendere un sonoro schiaffone dalla base? Sì, e possiamo già contare i mesi ormai prima che si arrivi alla scissione. Scissione che poi sarà indicata da Casaleggio, a seconda della posizione che prenderà. Lui è di destra, mentre i dissidenti come Fico sono di estrema sinistra. Assisteremo a una guerra totale.
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Tutti contro i 5 Stelle, eppure Di Maio sta limitando i danni
Marcucci (Pd) imputa il recente smottamento dell’industria italiana al reddito di cittadinanza che ancora deve entrare in vigore. Allo stesso tempo, come fanno anche molti altri del monopartito Pd-Fi, afferma che a causa dello spread gli italiani dilapidano soldi pubblici. In realtà se la Bce svolgesse il suo lavoro in modo efficace e non nazionalista (Aquisgrana) ma onesto, lo spread non dovrebbe proprio esistere, ma questo ai poveri cittadini non viene detto. Non viene detto nemmeno che quando Di Battista ha informato sul doping con cui la Francia riesce a resistere nella moneta unica (cioè lo sfruttamento dei paesi africani che ancora colonizza e che paghiamo anche noi italiani, economicamente e socialmente), lo spread si è impennato; e questo perché molto probabilmente soggetti finanziari francesi amici di “Didì” Macron hanno venduto titoli decennali italiani (magari comprandone di tedeschi). Una ritorsione quindi nazionalista, oltre che ovviamente di stampo speculativo. Sarebbe interessante che in questo splendido contesto di identità europea “spinelliana” (spero si colga l’ironia) nell’Europarlamento qualcuno si incaricasse di chiedere una indagine su come si sono mossi i capitali in questione.
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Software manipolabile e affari privati, l’imbroglio Rousseau
Si scrive Movimento 5 Stelle, ma si legge “sistema Casaleggio”. Ovvero: come si tradisce una rivoluzione. Non perché al governo c’è Di Maio piuttosto che Di Battista, ma perché «il calcolo e l’inganno hanno dato il benservito al desiderio di rinnovamento e alla passione politica». A dirlo è Marco Canestrari, sviluppatore e blogger. Oggi vive e lavora a Londra, ma un tempo seguiva Grillo ovunque, scrive sul “Sussidiario” Federico Ferraù, che lo ha intervistato. Il tecnico ha visto nascere, per avervi collaborato e lavorato, la macchina organizzativa del M5S. Quello che sa lo ha scritto con Nicola Biondo in “Supernova”. La piattaforma Rousseu? «Il voto ha valore zero, non è certificato da nessuno e si svolge attraverso un software manipolabile, insicuro e privato», dice Canestrari. Alla vigilia della votazione sull’autorizzazione a procedere contro Savini, ha detto: «Quale sarà il modo in cui questa volta prenderanno in giro i propri elettori lo sanno solo loro». Dopo il voto in Abruzzo – tra Tav, riforme e caso Diciotti – i 5 Stelle appaiono incerti e frastornati, annota Ferraù. Per Canestrari «c’è una cosa che spiega tutto», e cioè «i due giorni di assenza di Di Maio dopo il voto in Abruzzo, l’incertezza, il cambio di marcia, l’idea di una struttura più tradizionale». Il problema? «Siamo ancora abituati all’idea del movimento che aveva Casaleggio: Gianroberto, intendo». Ormai il capo è il figlio Davide, e secondo Canestrari il movimento «non è più l’evoluzione dei MeetUp, ma il ramo d’azienda politico di un’entità più grande che io chiamo “sistema Casaleggio”».«Mentre Gianroberto voleva mettere alla prova nella realtà le sue teorie sulla rete – sostiene Canestrari – a Davide interessa solo mantenere e sviluppare il controllo del sistema. E lo fa attraverso la piattaforma Rousseau, con cui conosce tutto, ma proprio tutto, di iscritti ed eletti a M5S». L’accusa: è il sistema-Casaleggio ad avere al suo interno il M5S. «Il movimento, l’associazione Rousseau, la piattaforma: si tratta di vere e proprie unità organizzative aziendali». Qualche giorno fa, aggiunge Canestrari, l’edizione americana di “Wired” ha rilanciato una notizia interessante: la conferma di un incontro tra Steve Bannon e Davide Casaleggio in Italia ai primi di giugno 2018. «Perché gli aderenti al movimento e gli eletti non l’hanno saputo? Di cos’hanno parlato i due? La verità – dice Canestrari – è che ad avere in mano il pallino è Davide, non altri. Lo fa come presidente della Casaleggio Associati e dell’Associazione Rousseau, seguendo un’agenda sconosciuta a tutti gli altri». Quindi la piattaforma Rousseau è la vera la leva dell’ingranaggio? Soltanto in apparenza, dice Canestrari: «Nella sostanza è solo uno specchietto per le allodole che serve a profilare gli utenti, siano essi iscritti, candidati o parlamentari».La sua gestione, prosegue il tecnico, è segnata da episodi controversi: «E’ stato il Garante della privacy a dire che i gestori sapevano come votavano gli iscritti alla piattaforma perché i dati erano conservati “in chiaro”». Aggiunge Canestrari: «Davide Casaleggio sa tutto, è questo il segreto del suo “soft power”, che in M5S non è paragonabile a quello di nessun altro, nemmeno Di Maio, figuriamoci Grillo». Come sono oggi i rapporti tra Casaleggio e Di Maio? «Sono ottimi – risponde Canestrari – per il semplice motivo che gli interessi sono convergenti». Quello di Davide è «mantenere il controllo della struttura», e Canestrari ricorda che l’associazione Rousseau «incassa quasi 9 milioni di euro a legislatura dai parlamentari e dalle donazioni al M5S». Ma se i grillini volessero liberarsi di Rousseau non potrebbero farlo, sostiene sempre Canestrari, «perché nessuno può rimuovere Casaleggio dal suo ruolo: la sua carica nell’associazione non è elettiva, la può occupare solo un socio fondatore e Davide è l’unico rimasto dopo la morte del padre». E alla luce di tutto questo – domanda Ferraù – Di Maio che ruolo ha? «E’ l’amministratore delegato del ramo d’azienda politico del sistema-Casaleggio». E’ evidente che le dispute sulle correnti di Fico, Di Battista e via dicendo «sono solo accademia», teatro. «Ciò che conta è chi resta e chi se ne va. E a restare sarà Davide Casaleggio».Nel suo blog, Canestrari parla di evidenti conflitti d’interesse: proprio mentre Di Maio annunciava il riconoscimento legale alla tecnologia blockchain (ad uso del Made in Italy), la Casaleggio Associati presentava un rapporto sulla tecnologia blockchain ad uso delle imprese. «In platea c’erano gli imprenditori che stavano aspettando di capire come accedere a quei fondi: indovinate chi gli farà le consulenze». Sempre secondo Canestrari, il “sistema-Casaleggio” viene prima di qualsiasi nodo politico sul tappeto, come il Tav Torino-Lione che oppone i 5 Stelle alla Lega. «Io penso che il governo regga – dice l’informatico – per il semplice motivo che il 70% dei parlamentari sono di prima nomina e nel settembre del 2022 matureranno il diritto alla pensione». Poi ci sono ragioni anche politiche: «Nel febbraio del ’22 si elegge il presidente della Repubblica: dubito che Di Maio e Salvini vogliano lasciarsi sfuggire l’opportunità di decidere chi va al Colle». Nel frattempo potranno esserci, al massimo, «dei rimescolamenti di poltrone». E sul Tav valsusino, domanda Ferraù, alla fine i 5 Stelle cosa faranno? «Andiamo a vedere cos’è successo quando hanno affrontato un problema del genere: il Tap si è fatto, il Muos anche, lo stesso dicasi per il Terzo Valico».«Tutte le battaglie che in questi anni il movimento ha appoggiato non sono mai state battaglie sue, ma di altri che il M5S appoggiava», sottolinea Canestrari. «Alla fin fine non sono mai stati in grado di rispondere in modo decisivo alle esigenze di chi manifestava. E poi, in un’opera che muove interessi così grandi, non vedo speranze per il M5S». Si può immaginare che, al massimo, sulla Torino-Lione «trovino un compromesso». E se in Italia i consensi sono in calo, per l’ex consulente di Grillo il vero problema sono le elezioni europee: «Il Movimento è alla disperata ricerca di compagni di strada per formare un gruppo e potrebbe non farcela. Significherebbe dire addio ai fondi e alle cariche». Canestrari non esclude una possibile intesa con il gruppo di Salvini, «magari con altro nome», che consenta ai grillini «di portare a casa i soldi e qualche carica», cedendo «alla destra europea». Nel periodo che ha condotto alla formazione del governo gialloverde, ricorda Ferraù, Mattarella ha certamente favorito i 5 Stelle. Sarà ancora così? Canestrari ne dubita: «Penso che il Quirinale abbia capito che il M5S si muove secondo logiche in parte sconosciute e in parte non riconducibili a obiettivi politici tradizionali, e che quindi il suo giudizio sia molto più cauto».Si scrive Movimento 5 Stelle, ma si legge “sistema Casaleggio”. Ovvero: come si tradisce una rivoluzione. Non perché al governo c’è Di Maio piuttosto che Di Battista, ma perché «il calcolo e l’inganno hanno dato il benservito al desiderio di rinnovamento e alla passione politica». A dirlo è Marco Canestrari, sviluppatore e blogger. Oggi vive e lavora a Londra, ma un tempo seguiva Grillo ovunque, scrive sul “Sussidiario” Federico Ferraù, che lo ha intervistato. Il tecnico ha visto nascere, per avervi collaborato e lavorato, la macchina organizzativa del M5S. Quello che sa lo ha scritto con Nicola Biondo in “Supernova”. La piattaforma Rousseu? «Il voto ha valore zero, non è certificato da nessuno e si svolge attraverso un software manipolabile, insicuro e privato», dice Canestrari. Alla vigilia della votazione sull’autorizzazione a procedere contro Savini, ha detto: «Quale sarà il modo in cui questa volta prenderanno in giro i propri elettori lo sanno solo loro». Dopo il voto in Abruzzo – tra Tav, riforme e caso Diciotti – i 5 Stelle appaiono incerti e frastornati, annota Ferraù. Per Canestrari «c’è una cosa che spiega tutto», e cioè «i due giorni di assenza di Di Maio dopo il voto in Abruzzo, l’incertezza, il cambio di marcia, l’idea di una struttura più tradizionale». Il problema? «Siamo ancora abituati all’idea del movimento che aveva Casaleggio: Gianroberto, intendo». Ormai il capo è il figlio Davide, e secondo Canestrari il movimento «non è più l’evoluzione dei MeetUp, ma il ramo d’azienda politico di un’entità più grande che io chiamo “sistema Casaleggio”».
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Salvini-Diciotti, Magaldi: quando la Lega tifava per i giudici
Ma che razza di democrazia è, quella in cui si affida a un’anomima piattaforma informatica la decisione sulla sorte di un ministro, per giunta alleato di governo? Possibile che i 5 Stelle non riescano a difendere in modo netto Matteo Salvini, senza dover consultare gli iscritti? Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, prende atto della preoccupante debolezza politica dei pentastellati: la loro classe dirigente non osa assumersi la piena responsabilità di schierarsi fino in fondo con il leader della Lega, messo alla berlina dalla magistratura per aver ostacolato lo sbarco dei migranti a bordo della nave Diciotti. Sequestro di persona? Questa l’ipotesi di reato, formulata dai magistrati siciliani. Durissimo, in proposito, un altro esponente del Movimento Roosevelt, Gianfranco Carpeoro: non è possibile sanzionare un politico per un legittimo atto governativo, dice Carpeoro in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «I migranti della Diciotti non erano affatto sequestrati: nessuno impediva loro di dirigersi altrove, Salvini ha solo frenato il loro ingresso in Italia», sostiene Carpeoro, che ipotizza un abuso extra-costituzionale. «Mi auguro – aggiunge – che altri magistrati valutino l’operato dei colleghi che hanno deciso di indagare Salvini».L’avvocato Pierluigi Winkler, altro “rooseveltiano”, fa notare che il sequestro di persona, come reato, dovrebbe avere alle spalle una finalità criminale: e di quale crimine si dovrebbe accusare il governo italiano, in questo caso? Concorda lo stesso Magaldi, a sua volta in diretta web su YouTube con Frabetti: «E’ evidente che Salvini non ha commesso alcun reato, e bene ha fatto il resto del governo – cioè i 5 Stelle e lo stesso Conte – a dichiararsi corresponsabile della decisione di Salvini. Quello che stupisce, semmai – aggiunge Magaldi – è che Di Maio e soci non abbiano trovato il coraggio di prendere la decisione di proteggere Salvini dall’azione giudiziaria, ricorrendo invece alla consultazione online degli iscritti». Democrazia diretta? «Va bene che il popolo dev’essere sovrano. Ma se proponesse una follia? Un gruppo dirigente deve sapersi assumere precise responsabilità, senza rinunciare a dire come la pensa». Pesa, sui 5 Stelle, il recentissimo passato giustizialista: tanti voti sono arrivati al movimento di Grillo proprio grazie alla retorica anti-casta, alla crociata contro i privilegi. Fino al punto da esporre un alleato di governo al rischio di farsi processare – concedendo l’autorizzazione a procedere – solo per aver tenuto fede alla sua linea politica?Gli stessi leghisti, peraltro – ricorda Magaldi – sono reduci della stessa “malattia” dei 5 Stelle: anche loro, guidati da Bossi, agitarono il cappio in Parlamento nella battaglia campale contro i politici corrotti. Invasione di campo, da parte della magistratura? «Negli anni ‘90, gli esponenti forcaioli della Lega Nord erano ben lieti che il pool di Mani Pulite facesse a pezzi i partiti della Prima Repubblica». Beninteso: i reati vanno perseguiti, e i partiti italiani scontavano un tasso elevato di corruzione, oltre all’ipocrisia sul finanziamento pubblico (tollerato, benché irregolare). Per contro, gli stessi magistrati – per decenni – non avevano mai osato mettere sotto accusa ministri e segretari di partito. Il motivo? Geopolitico: l’Italia era troppo importante, come baluardo contro l’impero sovietico. Per consentire ai pm di indagare Craxi c’è stato bisogno del crollo del Muro di Berlino. Magistrati anche valorosi e in totale buona fede, aggiunge Magaldi, sono diventati lo strumento di un gioco pericoloso, costruito per indebolire l’Italia. Un gioco avviato proprio in quegli anni dal separatismo nordista della Lega di Bossi, che – nella sua vulgata – criminalizzò l’intero processo dell’unità nazionale, rappresentando il Risorgimento come una tragica farsa.Suscita malinconia, oggi, riscontrare la singolare consonanza di vedute tra i vetero-leghisti degli anni ‘90 e i propagandisti neo-borbonici, cioè tra il Nord che si ritiene vampirizzato finanziariamente dal Meridione “scansafatiche” e il Sud che, a sua volta, si dichiara vittima dell’imperialismo coloniale nordista, garibaldino e sabaudo. Pura ignoranza della nostra storia, dice Magaldi: impossibile dimenticare che i combattenti meridionali aderirono all’esercito di Garibaldi perché non ne potevano più del regime assolutista dei Borboni, violento e autoritario, privo di Costituzione, fondato sull’arbitrio e sullo sfruttamento schiavistico di milioni di “cafoni” costretti a faticare nei latifondi. Pessima, poi, la gestione post-unitaria dopo la perdita di Cavour, col prevalere degli aspetti più reazionari della pessima monarchia torinese. Ma da qui a rimpiangere la cricca parassitaria del sovrano di Napoli, ne corre. Piuttosto: ci siamo mai domandati perché periodicamente esplodono queste polemiche fondate sulla non-conoscenza della storia?Se voglio colpire un paese, ragiona Magaldi, per prima cosa lo divido, mettendo il Nord contro il Sud. Poi magari uso la magistratura per decapitarne la classe dirigente (nel caso dell’Italia, protagonista di un notevole riscatto economico nei decenni del dopoguerra). In altre parole, la manipolazione produce una specie di harakiri: un paese indifeso, proprio quando i grandi poteri globalizzatori stanno per assalirlo e depredarlo, grazie alle regole truccate della nuova Ue. Fino a ritrovarsi poi con Mario Monti a Palazzo Chigi, spedito a commissariare l’Italia dagli stessi poteri che hanno lavorato, anche con l’aiuto della Lega Nord, per sabotare il Belpaese. Quindi è bene prestare la massima attenzione, se il potere giudiziario si mette contro il potere esecutivo. «Provo una sorta di compassione – ammette Magaldi – per come il Movimento 5 Stelle sta facendo di tutto per dissipare il consenso che aveva raccolto in questi anni. Possiamo anche relativizzare la recente débacle alle regionali abruzzesi, ma come non vedere che l’elettorato contesta ovunque il mancato rispetto delle promesse elettorali?». Pessima idea, quella di rifugiarsi nella piattaforma Rousseau sul caso Salvini-Diciotti: «Se per assurdo gli iscritti decidessero un bel giorno che dobbiamo ripristinare le leggi razziali, i dirigenti 5 Stelle si adeguerebbero?».Ma che razza di democrazia è, quella in cui si affida a un’anonima piattaforma informatica la decisione sulla sorte di un ministro, per giunta alleato di governo? Possibile che i 5 Stelle non riescano a difendere in modo netto Matteo Salvini, senza dover consultare gli iscritti? Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, prende atto della preoccupante debolezza politica dei pentastellati: la loro classe dirigente non osa assumersi la piena responsabilità di schierarsi fino in fondo con il leader della Lega, messo alla berlina dalla magistratura per aver ostacolato lo sbarco dei migranti a bordo della nave Diciotti. Sequestro di persona? Questa l’ipotesi di reato, formulata dai magistrati siciliani. Durissimo, in proposito, un altro esponente del Movimento Roosevelt, Gianfranco Carpeoro: non è possibile sanzionare un politico per un legittimo atto governativo, dice Carpeoro in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «I migranti della Diciotti non erano affatto sequestrati: nessuno impediva loro di dirigersi altrove, Salvini ha solo frenato il loro ingresso in Italia», sostiene Carpeoro, che ipotizza un abuso extra-costituzionale. «Mi auguro – aggiunge – che altri magistrati valutino l’operato dei colleghi che hanno deciso di indagare Salvini».
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Salvini nell’Anno del Maiale (in compenso, l’Asino siamo noi)
«Una notte di metà dicembre, nella fattoria il maiale si diverte a prendere in giro l’asino: “Il padrone ti bastona, ti affama, ti costringe ai lavori più faticosi e umilianti. Guarda me, invece: non devo far altro che mangiare, dormire, e rotolarmi nel fango!”. L’asino gli dà un’occhiata, e poi gli chiede: “Tu non sei quello dell’anno scorso, vero?”» (Antica barzelletta). Oggi Matteo Salvini è apparentemente il politico più popolare d’Italia. Sembra che non debba far altro che mangiare, ghignare, e rotolarsi sui social, per continuare a guadagnare consensi a spese di tutti. La cosa spaventa molto i suoi soci a cinque stelle, ormai pronti a rimangiarsi persino la loro Prima Direttiva legalitaria, pur dì garantire al pingue leghista l’impunità che pretende. Giuseppe Conte l’ha spiegato molto bene ad Angela Merkel: i grillini sono nel panico per il calo nei sondaggi del Movimento a favore della Lega, perciò si sono buttati alla disperata rincorsa di Salvini sul terreno – anzi, nelle acque – della peggiore propaganda razzista, mentre contemporaneamente fanno mostra di sfidarlo sul “no” al Tav. Un gioco delle parti sempre più spericolato.«Lo so», ha commentato la Merkel, serafica. «Salvini è contro Francia e Germania?», ha chiesto. «Salvini è contro tutti», ha risposto Conte. La Merkel ha sorriso, divertita. Questo grottesco esecutivo Grilloverde è esattamente il “Nemico” del quale lei e l’Europa carolingia del Patto di Aquisgrana hanno bisogno. Proprio come il maiale della barzelletta, oggi Matteo Salvini è all’ingrasso. Mediaticamente, politicamente (e fisicamente). L’Unione Europea lo adopera come spauracchio, allo stesso modo in cui lui strumentalizza i migranti. Salvini è l’Uomo Nero d’Europa. L’intenzione delle élite europee è lasciare che questo governo di arroganti babbei scaraventi l’Italia nel burrone, per poi usarlo come esempio e monito. Esporre l’Italia in gabbia sulle mura esterne della Fortezza Europa, e citare il Grilloverde per dare del coglione fascista a chiunque oserà in futuro mettere in discussione il liberismo.Così che tutte le feroci stronzate di Salvini e Toninelli vengano rinfacciate anche a chi a sinistra le avrà combattute. Come oggi gli si rinfaccia Pol Pot. E l’inevitabile fallimento Grilloverde trascini alla rovina tutte le forze antagoniste – sia vere, che false come il M5S – mentre la Lega di Giorgetti e Zaia torna al governo coi Moderati, dopo aver voltato per l’ennesima volta la verde gabbana. Se Salvini è il metaforico maiale della barzelletta, l’asino siamo noi. La nostra condanna è quella di Sisifo al contrario: ogni volta che riusciamo a buttare giù il maiale seduto in cima alla collina, ce ne viene issato sopra un altro. E nessuno butta giù il padrone. (Secondo l’oroscopo cinese, il 2019 è l’anno del maiale).(Alessandra Daniele, “L’anno del maiale”, da “Carmilla” del 3 febbraio 2019).«Una notte di metà dicembre, nella fattoria il maiale si diverte a prendere in giro l’asino: “Il padrone ti bastona, ti affama, ti costringe ai lavori più faticosi e umilianti. Guarda me, invece: non devo far altro che mangiare, dormire, e rotolarmi nel fango!”. L’asino gli dà un’occhiata, e poi gli chiede: “Tu non sei quello dell’anno scorso, vero?”» (antica barzelletta). Oggi Matteo Salvini è apparentemente il politico più popolare d’Italia. Sembra che non debba far altro che mangiare, ghignare, e rotolarsi sui social, per continuare a guadagnare consensi a spese di tutti. La cosa spaventa molto i suoi soci a cinque stelle, ormai pronti a rimangiarsi persino la loro Prima Direttiva legalitaria, pur dì garantire al pingue leghista l’impunità che pretende. Giuseppe Conte l’ha spiegato molto bene ad Angela Merkel: i grillini sono nel panico per il calo nei sondaggi del Movimento a favore della Lega, perciò si sono buttati alla disperata rincorsa di Salvini sul terreno – anzi, nelle acque – della peggiore propaganda razzista, mentre contemporaneamente fanno mostra di sfidarlo sul “no” al Tav. Un gioco delle parti sempre più spericolato.
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Abruzzo, Caporetto 5 Stelle: più vicina la fine del governo
«Nel decennale del tragico terremoto dell’Aquila parte dall’Abruzzo un terremoto di altro genere, meno cruento, ma destinato a far sentire le proprie onde sussultorie sino a Roma». Lo scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, di fronte al risultato delle regionali in Abruzzo: vittoria del centrodestra e tracollo dei 5 Stelle, che vedono dimezzare il 40% ottenuto alle politiche meno di un anno fa. Quello che ha più colpito chi ha potuto osservare l’andamento del consenso attraverso i sondaggi – osserva Del Duca – è stato il progressivo indebolimento dei grillini, rimontati persino dal Pd. «La batosta grillina appare ancora più evidente di fronte a un’ottima tenuta del centrodestra unito, che stravince con un candidato targato Fratelli d’Italia», Marco Marsilio, ma soprattutto «grazie a una Lega straripante». Per la maggioranza gialloverde «non ci poteva essere un campanello d’allarme più rumoroso». Nell’immediato è probabile che non succeda nulla, aggiunge Del Duca, anche perché Salvini si è affrettato a spiegare che a Roma non cambia nulla. «Ma fra due settimane, se il trend abruzzese dovesse essere confermato nelle elezioni regionali della Sardegna, allora davvero si potrebbero aprire scenari imprevedibili».Secondo il “Sussidiario”, la sconfitta in Abruzzo potrebbe avviare la resa dei conti dentro il Movimento 5 Stelle, con Di Maio sul banco degli imputati. «E una seconda solenne sconfitta in terra sarda potrebbe costituire per la sua leadership il colpo di grazia». Del resto, annota Del Duca, l’elenco dei fronti caldi per i grillini si allunga giorno dopo giorno: la Tav, la Francia e da ultimi la polemica di Di Battista contro Napolitano e quella contro la Banca d’Italia. «Per di più, solo in quest’ultimo caso si è registrata una perfetta identità di vedute con l’alleato leghista. Per il resto la distanza è siderale». Si pensi alla crisi venezuelana, all’autonomia delle Regioni del Nord, alla legittima difesa o all’autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Diciotti. «Unica speranza di invertire il trend, il reddito di cittadinanza». Il Movimento 5 Stelle «vive con apprensione l’isolamento crescente che verifica intorno a sé, compreso il crescente pressing del Quirinale, che ormai non perdona passi falsi. «Alla Lega, al contrario, si rivolgono in tanti, ad esempio sindacati e imprenditori, come l’unica forza ragionevole, in grado di stoppare le leggerezze di un governo giudicato del tutto inadeguato».Finora, prosegue Del Duca, il rapporto personale fra Salvini e Di Maio ha puntellato il traballante governo Conte. Presto però potrebbe non bastare, «se l’ala dura dei grillini dovesse pretendere di più». Allo stesso modo, Salvini «potrebbe non riuscire più a resistere alle sirene di chi gli chiede di staccare la spina». Per prendere una decisione sul futuro il tempo stringe: a fine maggio ci sono le europee, ma soprattutto – in prospettiva – si preannuncia «una legge di bilancio drammatica, con la necessità di trovare una cifra enorme, 23 miliardi, solo per evitare l’aumento automatico dell’Iva». Sarà quindi una manovra “lacrime e sangue”, «di quelle che si possono fare solo in una fase immediatamente successiva a un turno elettorale, non subito prima». Secondo Del Duca, infatti, “zoppica” l’ipotesi che questo governo possa arrivare a fine anno, e poi portare il paese alle elezioni a inizio 2020. Mattarella si convincerà che il voto è il male minore per il paese? «Dall’Abruzzo però potrebbe davvero essere partita una valanga in grado di travolgere l’esecutivo gialloverde».«Nel decennale del tragico terremoto dell’Aquila parte dall’Abruzzo un terremoto di altro genere, meno cruento, ma destinato a far sentire le proprie onde sussultorie sino a Roma». Lo scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, di fronte al risultato delle regionali in Abruzzo: vittoria del centrodestra e tracollo dei 5 Stelle, che vedono dimezzare il 40% ottenuto alle politiche meno di un anno fa. Quello che ha più colpito chi ha potuto osservare l’andamento del consenso attraverso i sondaggi – osserva Del Duca – è stato il progressivo indebolimento dei grillini, rimontati persino dal Pd. «La batosta grillina appare ancora più evidente di fronte a un’ottima tenuta del centrodestra unito, che stravince con un candidato targato Fratelli d’Italia», Marco Marsilio, ma soprattutto «grazie a una Lega straripante». Per la maggioranza gialloverde «non ci poteva essere un campanello d’allarme più rumoroso». Nell’immediato è probabile che non succeda nulla, aggiunge Del Duca, anche perché Salvini si è affrettato a spiegare che a Roma non cambia nulla. «Ma fra due settimane, se il trend abruzzese dovesse essere confermato nelle elezioni regionali della Sardegna, allora davvero si potrebbero aprire scenari imprevedibili».