Archivio del Tag ‘Emilia Romagna’
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La crisi morde, ma la Cgil si rintana alla corte del Pd
In un convegno organizzato dalla Fiom a Bologna Susanna Camusso ha affermato che lo sciopero generale non basta più. Siccome è difficile credere che con ciò la segretaria della Cgil volesse annunciare il passaggio a forme di lotta rivoluzionarie, è probabile che sia giusta la interpretazione che ne ha voluto dare la stampa: basta con lo sciopero generale. Ma quanti scioperi generali ha fatto la Cgil in questi ultimi anni? L’ultimo che tutti i lavoratori ricordano con rabbia è quello di tre ore per non fermare la riforma Fornero delle pensioni. Uno sciopero finto, fatto per circostanza e con la chiarissima intenzione di non procurare difficoltà al governo Monti appena insediato. Nessuno sentirà la mancanza di lotte come questa, fatte solo per far guadagnare spazietti nei telegiornali, lotte che i lavoratori hanno imparato a disertare. Gli ultimi scioperi di quattro ore di Cgil, Cisl e Uil, sparpagliati in giornate e territori diversi, sono stati semiclandestini. È fallito anche lo sciopero proclamato dalla Fiom in Emilia la scorsa settimana: poche centinaia di persone in piazza a Bologna.È colpa delle persone che non hanno più voglia di lottare? No, è colpa dei gruppi dirigenti sindacali, che proclamano lotte che servono solo a far vedere che si esiste e che hanno la sola funzione di creare frustrazione ed impotenza in chi le fa. Nella più grave crisi economica del dopoguerra la Cgil vivacchia tra un convegno e l’altro, senza pensare al conflitto vero, quello che i lavoratori son ancora disposti ad affrontare con grande coraggio, come hanno mostrato i tranvieri di Genova. Che questa Cgil sia ora spaventata e affascinata dalla nuova leadership del Pd è evidente e anche questo è un segno della sua profonda crisi. Accantonato e dimenticato il goffo tentativo della Spi di sostenere Cuperlo, ora tutto il gruppo dirigente della confederazione spera in una legittimazione da Renzi. Il più lesto è stato Maurizio Landini, che al convegno di Bologna si è ben guardato dal polemizzare con la segretaria della Cgil sugli scioperi, e invece ha parlato tanto del sindaco di Firenze. Che incontrerà nella sua città in un convegno tempestivamente organizzato dalla Fiom locale.Tra Camusso e Landini si è quindi aperta la gara a chi si presenti più innovativo e corrisponda di più al messaggio delle primarie del Pd. La grande informazione ha subito colto il segnale e si prepara a misurare i dirigenti della Cgil in termini di maggiore o minore affinità con il renzismo. Peccato che le due principali figure della Cgil si siano messe d’accordo di fare il congresso sulla stessa posizione, come se nel Pd non si fossero svolte le primarie e ci fosse stata una intesa preventiva di vertice sulla composizione dei gruppi dirigenti. In mancanza di un confronto trasparente sulla guida del principale sindacato italiano, la contesa andrà avanti a convegni e controconvegni, indici di gradimento, battute di corridoio. Naturalmente si potrebbe anche pensare che alla Cgil e ai suoi rappresentati converrebbe oggi allontanarsi dal Pd, principale partito dei governi che praticano quelle politiche di austerità che stanno devastando il mondo del lavoro.Converrebbe anche alla democrazia una Cgil che non lasciasse la protesta sociale ai forconi e che con i lavoratori, i disoccupati, i precari, i pensionati, provasse a bloccare il paese. Invece di rinunciare preventivamente ad uno sciopero generale che da tempo immemore non convoca più. Ma questo sarebbe accusato di essere il sindacato vecchio, vecchio come quello che, nel pieno della rivolta reazionaria di massa a Reggio Calabria, portava i metalmeccanici a sfilare nella città e così a cambiare il segno politico di quella protesta. Ma quello era il sindacato degli anni ‘70, quello che credeva nella funzione degli scioperi generali. Vuoi mettere quel vecchio modello sindacale con le infinite possibilità di cambiamento della realtà che oggi offrono la partecipazione a Ballarò o a Servizio Pubblico? Solo una minoranza di sognatori contrasta questo modo di fare sindacato in Cgil, e ha chiamato questa sua posizione: “Il sindacato è un’altra cosa”. Ma cosa volete che importi, c’è Renzi.(Giorgio Cremaschi, “Camusso e Landini alla corte di Renzi”, da “Micromega” dell’11 dicembre 2013).In un convegno organizzato dalla Fiom a Bologna Susanna Camusso ha affermato che lo sciopero generale non basta più. Siccome è difficile credere che con ciò la segretaria della Cgil volesse annunciare il passaggio a forme di lotta rivoluzionarie, è probabile che sia giusta la interpretazione che ne ha voluto dare la stampa: basta con lo sciopero generale. Ma quanti scioperi generali ha fatto la Cgil in questi ultimi anni? L’ultimo che tutti i lavoratori ricordano con rabbia è quello di tre ore per non fermare la riforma Fornero delle pensioni. Uno sciopero finto, fatto per circostanza e con la chiarissima intenzione di non procurare difficoltà al governo Monti appena insediato. Nessuno sentirà la mancanza di lotte come questa, fatte solo per far guadagnare spazietti nei telegiornali, lotte che i lavoratori hanno imparato a disertare. Gli ultimi scioperi di quattro ore di Cgil, Cisl e Uil, sparpagliati in giornate e territori diversi, sono stati semiclandestini. È fallito anche lo sciopero proclamato dalla Fiom in Emilia la scorsa settimana: poche centinaia di persone in piazza a Bologna.
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Giunti e Teghille: ma il mostro eversivo si chiama Tav
Il Procuratore della Repubblica di Torino interviene sulla manifestazione di sabato 19 a Roma, spiegando che se una marcia pacifica si può fare a Roma allora in val Susa si possono e si devono isolare i violenti. Con il massimo rispetto per la sua figura e la sua storia, proviamo a esprimere qualche riflessione, perché da molti anni sentiamo ripetere questo ritornello. Giornalisti e politici, anche sensibili alle ragioni della protesta, spesso ci spiegano quali danni porterebbe alla causa non espellere le mele marce. Noi, stolidi montanari, continuiamo a non capire. In realtà anche a Roma qualche scontro si è verificato, certamente non come due anni fa, sempre in ottobre, quando un analogo corteo ha avuto tutt’altro esito, né come – ricordiamo tutti – a Napoli e ancor più a Genova nel 2001. In quelle situazioni, anche sabato scorso, i filmati mostrano che curiosamente la polizia fa agire i violenti per poi accanirsi con i più tranquilli. In qualche caso si vedono agenti in borghese confondersi con i manifestanti o con i giornalisti. La storia del nostro Paese ci ha fatto conoscere anche le figure dei provocatori e degli infiltrati. Non c’è ragione per credere che gli antitav siano riusciti a restarne immuni.Non è la popolazione della valle di Susa che, alimentando simpatie antagoniste, ha promosso il progetto Torino-Lione e l’apertura del cantiere di Chiomonte. Sono questi che, per la loro insostenibilità e protervia, hanno richiamato l’antagonismo, in maniera quasi turistica. D’altronde, se qualcuno ritiene – a torto – che possa scoppiare una rivoluzione, sarà inesorabilmente attratto dove sussistono forti tensioni sociali e ambientali. Non andrà certo a Montecarlo o in Costa Smeralda! La gran parte delle iniziative condotte in vent’anni contro la Torino-Lione sono azioni pacifiche e culturali. A cominciare dalle manifestazioni, che continuano a radunare migliaia di persone in marcia a volto scoperto, per arrivare alle assemblee, alle serate informative, alle feste e agli spettacoli, a decine di conferenze di ospiti interessanti e competenti. Focalizzarsi sugli episodi violenti e sui sabotaggi è facile e strumentale ma non rende onore alla verità e al lungo cammino percorso da questo movimento.L’opposizione NoTav non è un partito o un’istituzione. Non ha un segretario politico né un presidente. E’ fatta da centinaia di persone con sensibilità diverse, anche distanti, che si ritrovano concordi nel denunciare un sistema perverso di potere, di opere, lavoro ed economia deviati, che non deve più trovare albergo nel nostro paese. Quindi non esiste nessuno che possa, in nome di tutti gli altri, prendere le distanze da qualcosa o espellere qualcuno. Al suo interno sono presenti anche moltissimi amministratori pubblici, sindaci in testa. Sempre, sempre, hanno condannato e rigettato – senza balbettare – ogni violenza, a cominciare proprio dagli eccessi nelle manifestazioni. Negare il fatto non lo cancella. Hanno anche ricordato, però, che i violenti sono molti. Persino lo Stato può esserlo, se prima impone un’opera, poi la camuffa come condivisa e infine la difende con i militari. Persino le forze dell’ordine e la Magistratura possono eccedere, non solo quando usano la forza fisica oltre il necessario, ma anche quando indagano con visioni preconcette e in una sola direzione. Persino i massmedia, se sono ossequiosi con lo sloganeggiante notabile di turno o se ignorano gli appelli alle istituzioni, i dati tecnici, la pochezza dei progetti, i dubbi espressi in altri Stati, possono fare violenza.La politica nazionale pare sappia rispondere soltanto con arroganza e con sotterfugi. L’ultimo esempio si trova nella legge sul femminicidio, che assimila i cantieri a caserme e allarga il perimetro dell’art. 260 del codice penale. Tratta di spionaggio e usa termini come stato in guerra, efficienza bellica, operazioni militari. Addirittura, in caso di conflitto, contemplava la pena di morte! Oppure si può analizzare la ratifica dell’ultimo accordo internazionale proposta al Parlamento: con essa si applicherebbe anche sul lato italiano il diritto francese, spostando oltralpe gli eventuali contenziosi ma soprattutto annullando ogni normativa antimafia, che là non esiste. Non sono forme di eversione anche le dismissioni di sovranità e lo svilimento dell’ordinamento dello Stato?La “Libera Repubblica” della Maddalena non voleva un altro Stato, ma uno Stato migliore e più rispettoso della Costituzione italiana. Rivendicava – forse immodestamente – il collegamento con la Resistenza da cui quella Costituzione nacque. Qualcosa come i 40 giorni di libertà della val d’Ossola, i 23 giorni della Città di Alba o la difesa del Monte Rubello. Non una “enclave” ma un laboratorio, fantasioso, disordinato, partecipato e vitale come ogni esperimento. Sono altre le enclaves che dovrebbero preoccupare gli italiani, le regioni dominate dalla criminalità organizzata, ad esempio, o i grumi affaristico-politico-finanziari i cui scandali scoppiano ogni settimana, ma sempre dopo che i guasti sono avvenuti. I NoTav invece, con tutti i loro difetti, stanno cercando di fermarli prima che accadano.Per quanto possa apparire blasfemo, i cittadini che si oppongono alla costruzione della Torino-Lione sono consapevoli di infrangere talvolta le leggi esistenti. Ma lo fanno in nome di un senso di giustizia più alto, magari confuso per gli altri ma limpido per loro, seguendo il principio che Giuseppe Dossetti, guardando alla Francia, avrebbe voluto inserire nella Costituzione della Repubblica Italiana: La resistenza individuale e collettiva agli atti dei pubblici poteri, che violino le libertà fondamentali e i diritti garantiti dalla presente Costituzione, è diritto e dovere di ogni cittadino. Tra quei diritti inviolabili ci sono la salute e il paesaggio che proprio la Torino-Lione massacrerebbe. Le buone ragioni di chi ha ragione non vengono cancellate da metodi poco ortodossi o addirittura illeciti. La compresenza di pratiche diverse per sostenerle non è motivo valido per sconfessarle o ignorarle. Restano valide, anche se è comodo nasconderle enfatizzando le azioni più clamorose.La fiducia nella giustizia e nei loro rappresentanti viene messa a dura prova. Cittadini informati e vilipesi l’hanno perduta perché ogni loro appello, denuncia, ricorso, esposto, è stato sempre lasciato cadere da chiunque l’abbia ricevuto, magistrato o Presidente della Repubblica che fosse. Si badi bene: non è stato accolto, giudicato e poi, eventualmente, ritenuto infondato nel merito. Non è proprio stato recepito. Non solo. Chi si è permesso di denunciare abusi e pericoli è stato inquisito per false comunicazioni e procurato allarme. Come una certa Tina Merlin a proposito del Vajont. Alla lunga una certa disistima nelle istituzioni centrali appare giustificata. L’incrollabile convinzione del Procuratore di Torino sull’eversione ricorda con amarezza le “prove granitiche” che dieci anni fa sono state considerate dalla Cassazione insufficienti per sostenere proprio l’accusa di terrorismo nella nostra valle, non senza aver cagionato due suicidi in carcere e 4 anni di ingiusta detenzione al terzo indagato. Si sta recitando da capo lo stesso identico copione, e nessuno qui in giro vuole che si ripeta anche lo stesso epilogo.Nonostante tutto, rimane la speranza – forse ingenua – che la giustizia faccia il suo corso. Non si spiegherebbe altrimenti l’ostinazione nell’analizzare progetti, sorvegliare il cantiere, produrre documenti, redigere i famosi esposti. Va poi ricordato, per quanto fastidioso sia, che in tutta questa storia si annoverano tre sentenze: quella che ha assolto i presunti Lupi Grigi dall’accusa di terrorismo, quella che ha condannato la dirigenza Sitaf per turbativa d’asta per gli appalti di Venaus, quella che riconosce i pestaggi ingiustificati delle forze dell’ordine durante lo sgombero del 2005, sempre a Venaus. Quest’ultima addirittura proclama l’omertà dei funzionari e la loro reticenza davanti ai giudici! Sentenze, non chiacchiere NoTav. Tutte decisioni ultime della Magistratura che in qualche modo confermano le tesi degli oppositori alla Torino-Lione. Aspettiamo dunque rispettosamente le conclusioni dei processi istruiti negli ultimi due anni: potrebbero rivelare delle sorprese.Il Procuratore ha già radicato la convinzione che tutti i sabotaggi sono da ricondursi al movimento NoTav, nonostante non siano stati rivendicati, le indagini siano in corso, e addirittura alcuni bersagli abbiano dichiarato di pensarla diversamente. Ma il giudizio è già vissuto come inappellabile. Eppure, molti dubbi si affollano sulle dinamiche dei singoli episodi, così come sul contesto in cui sarebbero avvenuti. Ad esempio, si apprende dalla stampa che attentati simili si sono verificati nel chivassese e nell’emiliano, sempre a carico di ditte in qualche modo coinvolte nei movimenti di terre Tav. In quelle aree lontane, per fortuna, nessuno ha ancora incolpato i NoTav. Non sarà possibile, almeno in ipotesi, che anche in val Susa gli autori siano altri e abbiano altri scopi? Che la torta da spartire sia così succulenta da attirare appetiti più onnivori di qualche presunto contestatore più esuberante di altri? E’ positivo che la legge finanziaria in discussione preveda nuove risorse proprio per risarcire le ditte eventualmente colpite dai NoTav. Costringerà a individuare senza dubbi i veri autori dei danneggiamenti, perché senza responsabilità accertata in capo ai NoTav i risarcimenti saranno zero. Come in una famosa pubblicità: No colpevoli, No soldi!A nostro modo di vedere, c’è un sistema molto facile e immediato per scoprire se davvero esiste una frattura negli oppositori e se una frangia del movimento vuole lo scontro a tutti i costi. Ascoltare le voci degli amministratori e dei docenti universitari, che chiedono di fermarsi a riflettere – ma in maniera seria, trasparente e obiettiva – sui dati trasportistici, economici, ambientali e sociali dell’opera. Se dopo tale analisi si dovesse appurare che la Torino-Lione è utile, proposta in maniera cristallina, sopportabile dall’ambiente e dalle casse dello Stato, una buona parte di chi si oppone sarebbe disposto a farsi da parte. Noi, almeno, lo faremmo. In ogni caso, è indubitabile che sic stantibus rebus non si possa andare avanti. Occorre prendere atto che l’Osservatorio governativo istituito nel 2006 ha fallito. Era stato incaricato di condividere il progetto con il territorio, di facilitare l’accettazione dell’opera, di ridurre la contestazione e abbassare la tensione. Non c’è riuscito, per la semplice ragione che la Torino-Lione è indifendibile sotto ogni punto di vista.Per accorgersene definitivamente, basta smettere di ascoltare i proclami rassicuranti che il Commissario dipinge nei salotti e in luoghi protetti, ben lontano da ogni confronto. Non potranno certo essere installati i cantieri a Susa nei prossimi due anni, come più volte annunciato. In mezzo a quartieri abitati, aziende, scuole, strade e altre strutture pubbliche. Non ci si troverà più in una valle secondaria isolata tra i monti e disabitata. Dall’estate del 2011 Chiomonte e la val Clarea insegnano che costa di più difendere l’opera che costruirla. A Susa questi costi potrebbero decuplicare. E ormai dovrebbe essere evidente a tutti che repressione e falsità non sono i metodi idonei per uscire da questo buco.(Luca Giunti e Bruno Teghille, “Riflessioni sulla lettera del procuratore della Repubblica di Torino”, 24 ottobre 2013. Giunti e Teghille sono due esponenti del movimento No-Tav).Il Procuratore della Repubblica di Torino interviene sulla manifestazione di sabato 19 a Roma, spiegando che se una marcia pacifica si può fare a Roma allora in val Susa si possono e si devono isolare i violenti. Con il massimo rispetto per la sua figura e la sua storia, proviamo a esprimere qualche riflessione, perché da molti anni sentiamo ripetere questo ritornello. Giornalisti e politici, anche sensibili alle ragioni della protesta, spesso ci spiegano quali danni porterebbe alla causa non espellere le mele marce. Noi, stolidi montanari, continuiamo a non capire. In realtà anche a Roma qualche scontro si è verificato, certamente non come due anni fa, sempre in ottobre, quando un analogo corteo ha avuto tutt’altro esito, né come – ricordiamo tutti – a Napoli e ancor più a Genova nel 2001. In quelle situazioni, anche sabato scorso, i filmati mostrano che curiosamente la polizia fa agire i violenti per poi accanirsi con i più tranquilli. In qualche caso si vedono agenti in borghese confondersi con i manifestanti o con i giornalisti. La storia del nostro Paese ci ha fatto conoscere anche le figure dei provocatori e degli infiltrati. Non c’è ragione per credere che gli antitav siano riusciti a restarne immuni.
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Le donne-coraggio che inventarono il welfare italiano
«Un ospite di una casa di riposo che stava sbucciando una mela mi disse: “Per favore, la porta a mia moglie? Quando vivevamo assieme a lei piaceva che io gliela sbucciassi”. Gli chiesi dove fosse sua moglie e rispose: “Nell’altra ala della rocca”. Donne e uomini, anche mariti e mogli, vivevano rigidamente separati anche di giorno». Per parlare di “La mela sbucciata” di Ione Bartoli, 83enne ex assessore della Regione Emilia Romagna ai servizi sociali e la scuola tra il 1970 e il 1980, non si può non iniziare da qui. Un botta e risposta che risale ai primissimi anni Settanta e che racconta lo stato del welfare italiano dell’epoca. Arretratezza anche e soprattutto culturale, povertà di mezzi, asili nido che assicuravano solo il cibo e il sonno a bimbi costretti in enormi camerate e, appunto, case di riposo che separavano marito e moglie anche durante il giorno, e li costringevano a passare gli ultimi anni della propria vita in solitudine.
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Quasi 1000 miliardi di euro in mano a 600.000 italiani
Nonostante la crisi e la stagnazione economica che ha colpito il nostro paese negli ultimi anni l’Italia è un paese ancora molto ricco. Uno studio di Prometeia, una delle più note società di consulenza finanziaria del nostro paese, rivela come il patrimonio finanziario delle famiglie italiane sia pari a 3.500 miliardi di euro, senza appunto l’inclusione dei beni immobiliari posseduti. Questo numero è la somma totale delle ricchezze accumulate dai 22 milioni di nuclei familiari che risiedono nel nostro paese, ma la maggior parte di questo patrimonio è concentrata in poche mani. Le famiglie ricche, ovvero coloro i quali hanno una ricchezza superiore ai 500.000 euro, sono 606.000 e detengono un patrimonio finanziario nell’ordine degli 897 miliardi di euro. Questa cifra è pari a poco meno di metà del nostro debito pubblico. In Italia ci sono quasi ottomila famiglie (7.896) che hanno ognuna un patrimonio finanziario di oltre 10 milioni di euro, per un totale di 134 miliardi di euro. E ben 164.000 quelle che posso vantare un tesoretto tra 1 e 5 milioni di euro.
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Pd & Mps, massoni e Opus Dei. Giannuli: serve l’ergastolo
Pene pesantissime per i criminali finanziari: da vent’anni di carcere all’ergastolo, magari anche con il regime speciale del 41/bis, quello dei boss mafiosi. «Pensate che i reati finanziari siano meno pericolosi di quelli di terrorismo e mafia?». E’ la ricetta di Aldo Giannuli per uscire dalla crisi su cui lo scandalo Montepaschi ha aperto una voragine anche mediatica. Fermare la pirateria finanziaria? Col carcere duro, con la messa al bando dei titoli derivati e con la separazione tra banche d’affari al servizio della sola finanza e banche commerciali sane, al servizio dell’economia reale. E per favore: senza più ingerenze da parte della politica. Lo scandalo Mps cade come il cacio sui maccheroni, perché «mette a nudo una serie di questioni di cui proprio non si fa cenno in questa sordida campagna elettorale». Scandalo a orologeria, per ostacolare il Pd? Ovvio. Ma nessuno finga di sorprendersi: era noto a tutti, da anni, che il bubbone sarebbe esploso.
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Custodi dell’Appennino: l’importanza di essere piccoli
L’importanza di essere piccoli, nelle periferie della montagna italiana: fino a trasformare gli abitanti in spettatori partecipi, e poi addirittura in “custodi” dei loro spazi ricolonizzati e della loro cultura. Territorio e comunità, ovvero: l’ultima vera frontiera civile che ci resta, nel supermarket-mondo assediato dalla crisi globale, tra le macerie di istituzioni politiche in via di smantellamento, sotto il ricatto della crisi finanziaria. Sovranità democratica dei territori: è l’obiettivo di “SassiScritti”, coraggiosa associazione culturale attiva sull’Appenino tosco-emiliano, impegnata in una missione fondata sulla devozione civica, il recupero di borghi montani da far rivivere attraverso la cultura popolare. “Custodi” è in titolo del progetto, in lizza al concorso nazionale “Che Fare”, che mette in palio centomila euro per realizzare un sogno: è una vera e propria gara basata sull’eccellenza e fondata sulla democrazia del tele-voto, via web.
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Sapelli: meno tasse e più debito, salviamo l’Italia dall’euro
Le crisi da cui siamo investiti sono sostanzialmente due, con la terza prodotta dal loro incrocio. Una è la crisi finanziaria dell’eccessivo rischio, dovuta in particolare all’unificazione delle banche di investimento con le banche commerciali, da cui proviene l’eccesso di rischio; l’altra, è una crisi tipicamente industriale di sovracapacità produttiva. Messe insieme, le due crisi hanno fatto scoppiare la crisi dell’euro. Questa, in pratica, è una crisi dell’euro. L’euro è una pazzia, non esiste nella storia dell’umanità una moneta creata prima dello Stato. Nel nostro caso, la moneta unica è affidata a meccanismi di regolazione incompiuti e di bassissima competenza tecnica. Fin quando abbiamo avuto una crescita, la debolezza dell’euro era attenuata, ma dall’arrivo della crisi e a causa delle differenze di produttività del lavoro e delle differenze delle bilance commerciali tra paesi come la Germania in surplus commerciali e altri in deficit come Italia, Francia, Spagna, sono emersi tutti i limiti di questo esperimento mal riuscito.
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Monti-2 e i furbetti delle porte girevoli? No, meglio Grillo
Mentre Mario Monti si avvia verso la porta che, essendo girevole, dovrebbe farlo rientrare immediatamente nel gioco degli organigrammi prossimi futuri, i sondaggisti accreditano il Berlusconi sfasciagoverno (nella metafora, «il sole che ha oscurato la compagine monitana»: ma va là…) di un 15/20 per cento di consensi. Mentre tutto il resto risulta abbastanza scontato e prevedibile, questa è l’unica notizia davvero stupefacente: un quinto degli italiani continuerebbe a ritenere che il Cavaliere rappresenti la loro personale garanzia di poter continuare a farsi gli affaracci propri (la ragione vera, quanto inconfessabile, di un abbindolamento coronato da successo ventennale), quando la prova provata certifica che Lui si fa, si è fatto e si farà solo ed esclusivamente gli affaracci suoi. Alla faccia dei beoti creduloni che gli hanno prestato fede. Doppiamente tali se persistono.
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Giannuli: partiti ko, un italiano su quattro voterà Grillo
Bruciante il verdetto della Sicilia: solo un cittadino su tre ha ancora fiducia nell’attuale sistema politico, totalmente impotente di fronte alla grande crisi. Se il centrodestra si dissolve, il Pd non rappresenta alcuna alternativa: «Affonda più lentamente, ma affonda». Numeri impietosi: il Pdl perde due voti su tre (da 900.000 a 247.000), il Pd quasi uno su due. Malissimo anche l’Udc: «Non solo non intercetta un voto di quelli persi dai partiti maggiori, ma ne perde 130.000 dei suoi», dicendo addio a un elettore su tre. Perde 25.000 voti anche l’alleanza tra Sel e Federazione della sinistra, mentre il “Movimento 5 Stelle” decuplica i voti rispetto a quattro anni fa, sfiorando il 15%. Per la prima volta nella storia democratica, lo “sciopero del voto” supera il 50%, «evidente segno politico di ritiro della fiducia degli elettori nei confronti del sistema nel suo complesso», sostiene Aldo Giannuli.
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Pd: le primarie del nulla, al guinzaglio dei diktat europei
Risulta praticamente impossibile prendere sul serio commentatori, alcuni con curriculum prestigioso e buona produzione scientifica, che affermano che «il Pd ha un programma innovativo», oppure che «Bersani ha superato lo scoglio delle regole sulle primarie». Si possono comprendere le dinamiche di posizionamento, sottintese a queste affermazioni, ma si deve evidenziare anche che in certi commentatori è ormai conclamata l’incapacità di capire che è finito un mondo. Quello in cui in cui, assieme al posizionamento entro il più importante partito dello schieramento progressista, si potevano negoziare spazi di autonomia politica e personale. Ricordando che, effetto dei tagli sull’onda dell’antipolitica e del potere reale sull’Italia che passa tra Bruxelles e Berlino, si stanno esaurendo anche i margini concreti per i posizionamenti di carriera tramite la politica istituzionale.
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Ortaggi km-zero dai contadini, vola la spesa alternativa
Dalle vendite “porta a porta” ai gruppi di acquisto solidale (Gas) fino alla spesa a chilometri zero, direttamente dal produttore. Con la crisi, vola la spesa alternativa: in netta controtendenza rispetto a quella tradizionale. È quanto emerge da una analisi della Coldiretti dalla quale si evidenzia che parallelamente agli acquisti a domicilio aumenta anche chi preferisce fare la spesa direttamente dai produttori nelle aziende agricole o nei mercati di “Campagna amica” dove hanno fatto la spesa oltre 9 milioni di italiani. Una tendenza positiva – sottolinea la Coldiretti – come quella registrata dalla vendita del cibo a domicilio, che ha chiuso il 2011 con un aumento del giro d’affari del 3,4% rispetto al 2010, assestandosi sugli oltre 223 milioni di euro.
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Legge-truffa in arrivo, anche Grillo costretto ad allearsi?
Sarà la nuova legge elettorale – ancora in gestazione ma pensata solo per la sopravvivenza dei grandi partiti e della grande coalizione del Quirinale a sostegno di Monti – sarà forse l’unica strettoia in grado di indurre Beppe Grillo a stringere alleanze, pena l’esclusione dal Parlamento nonostante un prevedibile successo elettorale, pari ad almeno il 15% dei voti degli italiani. Lo afferma l’analista Aldo Giannuli, registrando l’appello unitario di Giulietto Chiesa e le aperture di Di Pietro e Landini per un’alleanza tra le forze che osteggiano il “governo dei banchieri” e la disastrosa politica di rigore imposta da Bruxelles. Grillo ha la possibilità di “correre da solo”, salvaguardando il marketing vincente del “Movimento 5 Stelle”, o di «accordarsi con movimenti della società civile (associazioni, sindacati, gruppi culturali, movimenti ecologisti) e con la variabile del proprio simbolo o di un simbolo unitario». Terza ipotesi, formare un cartello che includa anche Idv, Rifondazione, ambientalisti e forse anche radicali: lo stesso Pannella è tra i “corteggiatori” di Grillo.