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Medico: scie chimiche, vaccini, glifosato. E’ per sterminarci
«Se io volessi essere malvagio, se volessi mettere in ginocchio l’umanità, spruzzerei su tutto il suo cibo del glifosato. Poi spruzzerei nell’aria dell’alluminio. E se questo ancora non bastasse, aggiungerei ancora un po’ di alluminio nei vaccini. In questo modo potrei riuscire a rendervi tutti quanti stupidi, e nell’arco di due o tre generazioni vi porterei all’estinzione». Lo afferma un medico tedesco, Dietrich Klinghardt. «Quello che mi occorrerebbe ancora per ottenere questo sono determinate frequenze elettromagnetiche, delle quali mi servirei per bloccare i vostri enzimi responsabili della disintossicazione. E sono proprio queste le frequenze che provengono dai ripetitori della telefonia mobile». Conclusione: «Se io fossi maligno, direi che dietro tutto questo dev’esserci un gruppo intelligente di scienziati molto, molto malvagi, e di politici». Dichiarazioni sconvolgenti, che il dottor Klinghardt ha rilasciato nel novembre 2015 nel corso delle Giornate Internazionali “Hellinger”. Un quadro agghiacciante, annota il blog “La Crepa nel Muro”: si profila un avvelenamento planetario senza precedenti. «Ma lo scienziato tedesco, nonostante le prospettive catastrofiche, non perde né il sorriso né la convinzione che l’umanità sappia uscire da questa situazione». E insieme ai suoi colleghi «sta portando avanti ricerche sulla disintossicazione da metalli pesanti».In trent’anni di lavoro, la sua équipe ha sviluppato metodi di cura molto efficaci. Due gli agenti più preoccupanti, il glifosato e l’alluminio, coinvolti nell’emergere di molte nuove problematiche: stanchezza cronica disabilitante, insufficienza immunitaria, autismo in aumento spaventoso. Klinghardt considera l’intossicazione da metalli pesanti un fattore rilevante. E ha sviluppato strumenti di cura e di disintossicazione a vari livelli. Il medico è convinto che una delle cause principali dell’aumento vertiginoso di intossicazioni da metalli pesanti sia il rilascio massiccio di particolati tossici in atmosfera (scie chimiche). Denunce analoghe giungono anche da scienziati statunitensi come Marvin Herndon e Russel Blaylock. Klinghardt non ha dubbi che avvenga questa forma di avvelenamento su larga scala. E spiega di avere “la fortuna” di riceverne conferme dirette da alcuni scienziati, in cerca di cure presso di lui. «La sua clinica è situata proprio tra la Boeing e la Microsoft, e diversi dei suoi pazienti arrivano proprio da loro. Ovviamente non può fare nomi. Secondo questi “informatori”, ben 42 paesi oggi sarebbero attivamente partecipi di queste operazioni di manipolazione atmosferica». Operazioni sotto controllo militare: geoingegneria, controllo del meteo, diffusione di “alluminio nanometrico”.Il dottor Dietrich Klinghardt, spiega “La Crepa nel Muro”, ha studiato medicina e psicologia a Friburgo, in Germania, proseguendo con un dottorato di ricerca sul coinvolgimento del sistema nervoso nelle malattie autoimmuni. Fin dall’inizio della sua carriera si è interessato agli esiti patologici della tossicità cronica indotta da piombo, mercurio, inquinanti ambientali e campi elettromagnetici. Ha inoltre potuto integrare la sua formazione occidentale lavorando in India, dove ha messo a fuoco le conoscenze orientali sull’eziologia, cioè lo strudio delle cause all’origine delle patologie. Questo ha gettato le basi per il suo sistema di “medicina integrativa”, in base alla quale «la guarigione vera richiede un lavoro simultaneo su 5 livelli». Emigrato negli Stati Uniti, Klinghardt ha operato come medico di emergenza prima di diventare direttore del Pain Centre a Santa Fe, in New Mexico. Dal 1970 ha contribuito significativamente alla comprensione della tossicità dei metalli in relazione a dolore, malattie e infiammazioni croniche. E’ considerato un’autorità in questo campo ed è stato determinante nel progresso della medicina biologica e del controllo del dolore in forma non invasiva. In più è esperto di medicina anti-invecchiamento, tossicologia, neuro-pediatria, psicologia, odontoiatria biologica e molto altro.Fondatore dell’Accademia Klinghardt (Usa) e dell’American Academy of Neural Therapy, Klinghardt è anche direttore medico dell’Istituto di Neurobiologia con sede a Woodinville, Washington. E’ inoltre fondatore e presidente dell’Istituto di Neurobiologia (Germania e Svizzera) e ha tenuto conferenze universitarie in Illinois e Utah, a Friburgo, Adelaide (Australia) e Washington, nonché nelle scuole di medicina di Ginevra e Zurigo. Tra il 1996 e il 2005 è stato professore associato (neurobiologia) presso la Capital University, Washington Dc. È regolarmente invitato a tenere seminari e conferenze in Europa e negli Usa. Molti dei suoi insegnamenti, in lingua inglese, sono disponibili sul sito della Klinghardt Academy. Il medico è pure stato premiato nel 2007 dalla Global Foundation of Integrative Medicine, mentre nel 2011 ha ottenuto il “premio dell’anno” dall’Accademia Internazionale di Odontoiatria Biologica e Medicina. Cosa ha detto di così sconvolgente, il dottor Klinghardt? Che ci stanno avvelenando. «In questo momento ci sono tre grandi “esperimenti” fatti con l’intenzione di ridurre la popolazione mondiale», e il primo è la cosiddetta “Agenda 21”, che è ufficiale presso l’Onu. «Una cosa importante è l’avvelenamento del feto nel corpo della madre. Alla facoltà di medicina avevo imparato che i veleni ambientali presenti nel corpo della madre non passano al feto, poiché il feto è difeso dalla placenta. Oggi sappiamo che non è vero: il nascituro riceve i due terzi dell’intero quantitativo di veleni della madre».«Dal momento che avveleniamo la Terra, veniamo avvelenati noi stessi», aggiunge Klinghardt. «E tramite i meccanismi epigenetici diventiamo sempre più sensibili a quantità sempre inferiori di veleni, fino al punto che non li sopportiamo più». Ma il medico non è catastrofista: «Quando assolutamente non ce la faremo più a reggere, allora ci sarà una volontà politica di cambiare qualcosa. E io sono saldamente fiducioso nel fatto che noi, come razza, sopravviveremo e andremo avanti bene». Da qui il dottor Klinghardt sviluppa la sua analisi anche politica: «Se conosciamo coloro che sono responsabili di aver causato le guerre, i responsabili delle pratiche agricole che ci avvelenano i suoli, coloro che stanno nell’industria delle comunicazioni e scelgono fasce di frequenze elettromagnetiche che sono dannose per noi, vediamo che sono sempre gli stessi piccoli gruppi che stanno dietro tutto questo». I nostri politici? «Sono troppo stupidi o troppo corrotti per comprendere che razza di sciagura stanno lavorando a produrre, ora come ora». Tocca a noi, sostiene il medico: «Il maggior numero possibile di noi deve risvegliarsi». In molti paesi, «le conoscenze sui danni enormi causati da questi veleni non sono ancora così avanzate».Il primo stadio di evoluzione, continua il medico tedesco, è quello in cui diciamo: “Noi siamo candidi e innocenti, e abbiamo fiducia che il mondo sia buono, in linea di principio”. Poi viene il secondo stadio, «nel quale vediamo la corruzione e il male nel mondo, e rispondiamo assumendo lo stesso grado (o ampiezza) di cattiveria, oppure diventiamo furiosi, oppure ci sentiamo impotenti, oppure semplicemente ci rifiutiamo di guardare». E questa, sottolinea Klinghardt, è la reazione più frequente. «Poi arriva lo stadio successivo, che è quello nel quale guardiamo negli occhi ciò che va male, ciò che c’è da cambiare, ma senza più coinvolgimento emozionale: ed è questa la fase in cui possiamo agire». Dietrich Klinghardt dichiara di aver speso oltre mezzo milione di dollari in test di laboratorio per scorpire che oggi, nel corpo umano, sono presenti più di 82.000 sostanze tossiche. «Ma l’80% per cento della tossicità complessiva, della capacità di far ammalare, è data solo da due sostanze: una è l’alluminio, l’altra è il glifosato». Quest’ultimo un erbicida prodotto negli Usa, smerciato da mezzo secolo in quasi tutti i paesi occidentali. «È il veleno principale che viene spruzzato sui terreni: ma noi, se lo sappiamo, possiamo proteggerci».Contro l’altro veleno, invece (l’alluminio) non esiste difesa naturale, bisogna ricorrere a farmaci a base di silicio. Oggi, sostiene il medico, sappiamo che l’autismo nei bambini è causato principalmente dall’alluminio, che dal corpo della madre viene trasferito in quello del figlio. Poi, ulteriore alluminio viene somministrato insieme ai vaccini. L’alluminio, ricorda Klinghardt, gioca un ruolo particolare nell’enorme aumento delle malattie neurologiche. «Il primo e principale sintomo è la perdita di memoria». In Europa e negli Usa, il mercurio – come “adiuvante” dei vaccini – è stato in gran parte sostituito dall’alluminio, nell’anno 2000. «La Bill Gates Foundation ha comprato in blocco tutti gli stock di vaccini contenenti mercurio e li ha venduti alla Cina, con la conseguenza che i cinesi oggi sono gravemente colpiti da questo; inoltre ha raddoppiato nei vaccini la quantità di mercurio, che notoriamente aveva causato molti danni neurologici nei bambini, e li ha imposti nei paesi africani». Il cambio di rotta, dal mercurio all’alluminio, è devastante: coi vaccini al mercurio, restava in vita il 35% delle cellule cerebrali, mentre l’alluminio le distrugge al 100%. «E se si aggiunge anche del testosterone (come quando a essere vaccinato è un maschietto), secondo questi studi pubblicati, le cellule cerebrali sono morte già dopo 4 ore».Klinghardt precisa di non essere contrario ai vaccini, ma «favorevole all’uso di vaccini ragionevoli», cioè sicuri. Vaccini che sarebbero già stati perfettamente sviluppati, ma che «per oscuri motivi non vengono utilizzati». Quali studi sono stati realizzati per testare l’impatto dell’alluminio “vaccinale” nel corpo umano? «Nessuno studio». Una rilevazione effettuata su 200 pazienti, continua il medico, dimostra che la quantità di alluminio presente nel nostro corpo «è più alta di un fattore 94 di quella della sostanza tossica successiva». Perché questa notizia non viene diffusa? Il medico mostra la foto di un aereo che rilascia scie bianche, e racconta: «Laboratori americani che fanno test sull’alluminio hanno ricevuto una lettera dal governo, che diceva: “Se non interrompete subito questi studi, vi chiudiamo il laboratorio”». Il dottore torna a addirare le “chemtrails” rilasciate dagli aerei – scie bianche che non fuoriescono dai motori, dalle turbine, ma dalle estremità delle ali: quello, dice, è il modo in cui viene contaminata anche la popolazione adulta, non sottoposta ai nuovi vaccini “all’alluminio”. Una normale scia di condensazione (“contrail”), evapora normalmente nel giro di 30 secondi. Le “chemtrails” invece «sono persistenti, si espandono lentamente e formano come una cappa grigia».I materiali abusivamente rilasciati dagli aerei sono composti di alluminio, che in cielo formano come una cappa di metallo: «Dei miei pazienti che operano nei servizi segreti americani – aggiunge Klinghardt – mi hanno rivelato che non sarebbe stato possibile spiare il telefono di Angela Merkel senza questa roba qui», anche se in realtà l’idea originaria sarebbe stata quella di creare una sorta di schermatura per riflettere i raggi del Sole, controllando il clima. Assistiamo ormai quotidianamente allo spettacolo di strane nuvole, del tutto innaturali. Al pubblico della conferenza tedesca, il dottor Klinghardt ha mostrato fotografie prodotte dalla Boeing: «Installano su questi giganteschi aerei dei serbatoi che vengono allestiti dalla stessa azienda che produce gli erbicidi – purtroppo non posso dire il nome. Questa tecnologia nel suo insieme viene chiamata geo-ingegneria. Per i tedeschi, si trova un’ottima pagina Internet di informazione nel sito “Sauberer Himmel”». Allora, continua il medico, «ci siamo messi a pensare e ci siamo chiesti: è vero che effettivamente l’alluminio da lassù viene fatto piovere in giro? E così abbiamo finanziato misurazioni di laboratorio sulla pioggia». Bingo: il valore di sostanze metalliche irrorate supera anche di 7.000 volte la densità di 0,5 microgrammi per litro, soglia oltre la quale l’agenzia americana per la salute sostiene che la popolazione vada allertata. Naturalmente, «nessuna allerta della popolazione».Klinghardt racconta di una recente gita sciistica nella Foresta Nera: «La mattina c’era un bel cielo azzurro, poi sono arrivati grossi aerei “tanker” che hanno disegnato queste linee in cielo, quindi si è formata la coltre biancastra e, a causa delle condizioni meteo, la cappa si è abbassata e tutti abbiamo cominciato a tossire, ci è venuto mal di testa e ci siamo ritirati in albergo. Ci siamo accorti che anche molta altra gente aveva lasciato le piste, sebbene la neve fosse buona. Poi si è messo a nevicare e io ho raccolto un po’ di neve: dentro la neve c’era più alluminio che neve. E questo, in piena Foresta Nera. Poi abbiamo fatto delle misurazioni al suolo e abbiamo visto che al momento c’erano enormi quantità di alluminio nel terreno, e perciò anche nell’erba». Misurazioni ripetute in Norvegia, «dove le mucche stanno lì in piedi davanti ai pascoli pieni d’erba, senza brucare! E muoiono di fame nel pascolo pieno d’erba – al punto che gli allevatori norvegesi devono importare l’erba».La cosa più grave, spiega Klinghardt, è che l’alluminio provoca infiammazioni in tutti i vasi sanguigni. Questi depositi di alluminio in nanoparticelle diventano terreno di coltura per molte patologie da infezione. Dato interessante: gli studi sul nano-particolato di alluminio sono finanziati dalla stessa azienda che produce la miscela per gli aerei. «Finora sono noti i nomi di 42 paesi che prendono parte a questa attività, mentre in Cina e in Russia viene impiegata una minore quantità di miscela tossica. L’intera Europa, invece, viene irrorata». Per i medici, l’alluminio devasta i mitocondri delle cellule, dando il via a gravi patologie neurologiche. Nelle scie chimiche rilasciate dai “tanker” per le attività clandestine di “geoengineering”, “modificazioni meteorologiche” e “modificazioni climatiche”, sono contenute anche altre sostanze, «per esempio metalli radioattivi, uranio impoverito, e sono stati trovati perfino germi intenzionalmente aggiunti alla miscela». La cosa più pericolosa, per noi, «sono le minuscole, microscopiche sferette di fibra di vetro imbottite di alluminio che noi respiriamo, inaliamo». Non a caso, sono in forte aumento i tumori polmonari.«L’alluminio si smaltisce mediante l’acido silicico, e ci sono diversi prodotti», continua il medico tedesco. «Quello più importante viene dalla Russia, non è costoso e si chiama in inglese Enterosgel». Facile da assumere: con un cucchiaio da tè, tre volte al giorno lontano dai pasti. «Cosa interessante: quando si è saputo che è possibile eliminare l’alluminio dal cervello, negli Stati Uniti questo prodotto è stato immediatamente vietato». Dietrich Klinghardt si esprime con una chiaerezza disarmante, nel formulare denunce dirette. E afferma, letteralmente: «Io dico: c’è un motivo se Edward Snowden è andato in Russia. Al momento molti di noi ripongono le proprie speranze nella Russia, nel fatto che assuma un ruolo di leader, per una reale idea di libertà, e non quella pseudo-libertà che in Occidente ci viene fatta passare per libertà». Snowden, l’ex analista della Nsa, rifugiatosi presso Putin dopo aver rivelato lo scandalo del Datagate che ha inguaiato Obama: senza la “nube grigia” di metalli in sospensione, l’intelligence Usa non avrebbe potuto monitorare il cellulare di capi di Stato e di governo.Resistere è possibile, sostiene Klinghardt, citando il caso del Messico: dove gli agricoltori hanno rifiutato di impiegare il glifosato “Roundup” nel mais, i loro bambini non hanno subito le devastanti conseguenze neurologiche che hanno invece colpito i figli dei contadini che hanno fatto riscorso al micidiale diserbante. Una ricerca rivela poi che il glifosato e l’alluminio «interagiscono fra loro “magicamente” e sono una reale causa di depressione, demenza, comportamenti ansiosi, morbo di Parkinson e, naturalmente, autismo». Traduzione: fitofarmaci e alluminio irrorato nei cieli possono portare alla specie umana all’estinzione, specie se associati alle onde elettromagnetiche degli smartphone, che “disabilitano” gli enzimi in grado di disintossicarci. Il dottor Klinghardt, che vive negli Usa, considera gli americani estremanente ingenui e manipolabili: «Forse sono la popolazione, le persone più facilmente soggette ad abusi, e in questo momento alcune aziende fanno esperimenti sugli americani stessi». E i politici? «Vengono pagati per tenere la bocca chiusa».Due politici di punta in Ecuador, aggiunge il dottore, «sono stati pagati per dare il permesso di irrorare dall’alto tutto il territorio urbano in Ecuador con questi prodotti». Poi sono stati fatti dei campionamenti nella popolazione per verificare eventuali danni genetici permanenti. Affermativo: quei danni ci sono. «Qual è stato allora il passo successivo? È stato che noi negli Stati Uniti nelle grandi concentrazioni urbane abbiamo trovato chiare evidenze bio-chimiche che lì questa miscela è stata spruzzata dal cielo, che il glifosato era stato aggiunto alla miscela. Così prima c’è stato il piccolo esperimento in Ecuador, e poi di seguito l’applicazione alla popolazione negli Usa, che oggi hanno la percentuale più alta al mondo di patologie neurologiche». I sintomi? Ipertensione, ictus, diabete, obesità, colesterolo alto, Alzheimer, Parkinson, sclerosi multipla, autismo e diversi tipi di cancro. Ma il glifosato, classificato come cancerogeno dall’Oms, è tutt’altro che fuorilegge: viene notoriamente impiegato in modo massiccio, in agricoltura. L’Ue ha appena rinnovato la licenza di distribuzione alla Monsanto.Un’ulteriore, recente ricerca mostra l’inquinamento da fitofarmaci nel corpo delle gestanti, e rivela che il latte materno reso tossico può arrivare anche a modificare l’orientamento sessuale del neonato, modificandone la composizione ormonale. Si tratta di bambini che saranno vittime di tumori al cervello, iperattività, aggressività e altri disturbi del comportamento. Per l’Epa, l’agenzia Usa per la protezione ambientale (Environmental Protection Agency), è vietato smaltire nella toilette un liquido che contenga quantità di veleno che superi la soglia prestabilita: ma il latte materno, sottolinea il medico, in alcuni casi osservati supera di gran lunga quella soglia di sicurezza. Tramite quello che sappiamo dall’epigenetica, riassume Klinghardt, il danno che soffriamo nella nostra vita non ha un effetto solo su di noi, ma su tutte le future generazioni. «Prima, nella medicina, si pensava che solo la radioattività causasse dei danni genetici trasmissibili alla discendenza. Oggi invece sappiamo che le microonde che vengono usate per le comunicazioni dei ripetitori dei cellulari provocano gravi danni epigenetici, mentre gli erbicidi, i pesticidi e gli insetticidi provocano massicci danni alla nostra epigenetica. E ogni generazione che è esposta a questi fattori tossici accumula danni che vengono completamente trasmessi alla generazione successiva».In cima a tutto, conclude il medico, oggi c’è l’alluminio in forma di nano-particolato, «che viene spruzzato intenzionalmente nel cielo, in Germania quasi ogni giorno e quasi ovunque, molto pesantemente in Norvegia, Svezia, Gran Bretagna, ma anche in Italia e Spagna». La seconda sostanza per tossicità e diffusione è il glifosato. «E la combinazione di entrambi, alluminio e glifosato, distrugge il nostro cervello». Possiamo proteggerci da questo annientamento? Sì: «L’alluminio viene espulso mediante prodotti a base di acido silicico». Quanto al glifosato, «dobbiamo nutrirci con alimenti biologici», senza trascurare la purificazione mediante la sauna: «Dovremmo sudare ogni giorno per dieci minuti». Infine, occorre «proteggersi dalle microonde», stando il più lontano possibile dalle fonti, anche domestiche, di elettrosmog. «Per me – chiosa Klinghardt – è importante che vi abituiate a questo pensiero: se voi guardate dal vostro punto di vista il resto del mondo, è molto probabile che vedrete molti bambini che si ammalano in numero rapidamente crescente; sappiate che è un conseguenza di queste condizioni: ma è evitabile, ci si può proteggere completamente. Ci occorre una agricoltura completamente diversa. Sappiamo che esistono metodi naturali per coltivare cereali e per coltivare verdure senza l’uso di sostanze tossiche, oppure perfino per far arricchire il suolo sempre di più, raccolto dopo raccolto. Ma coloro che rappresentano questi metodi vengono oppressi; i media attualmente cooperano totalmente con coloro che detengono il potere in queste industrie che operano nascoste nel buio».«Nella mia generazione, quand’ero studente di medicina, eravamo tutti socialisti», ricorda il medico. «Il 90% dei miei colleghi di allora oggi cooperano con queste cose oscure, compresi coloro che “ce l’hanno fatta” ad andare a lavorare allo “Stern” o a “Der Spiegel”», o due maggiori settimanali tedeschi, «oppure coloro che sono diventati moderatori alla Tv». Si sono girati dall’altra parte, sono saliti a bordo, fanno parte del sistema: impossibile che oggi si decidano a dire la verità su quanto sta accadendo. «Vi dico ancora una piccola cosa che forse può rendere più chiaro il tutto», aggiunge Klinghardt. «Un mio paziente è un produttore di Hollywood. Due anni fa ha ricevuto un incarico dalla Walt Disney per rielaborare tutte le vecchie pellicole Disney, in modo da inserire nei cieli quelle strisce, così la gente quando vede questi film al giorno d’oggi, dice: “Tu, Klinghardt, dici che queste strisce in cielo sono peggiorate solo negli ultimi anni: ma guarda qui, c’è un film del 1954, guarda il cielo, lo vedi che c’erano già allora le stesse strisce. Le strisce sono un fenomeno naturale!”». Rivela Klinghardt, ridendo amaro: «Il mio paziente per quel lavoro ha ricevuto 60 milioni di dollari. Io, da questo paziente, ho intascato 700 dollari».«Se io volessi essere malvagio, se volessi mettere in ginocchio l’umanità, spruzzerei su tutto il suo cibo del glifosato. Poi spruzzerei nell’aria dell’alluminio. E se questo ancora non bastasse, aggiungerei ancora un po’ di alluminio nei vaccini. In questo modo potrei riuscire a rendervi tutti quanti stupidi, e nell’arco di due o tre generazioni vi porterei all’estinzione». Lo afferma un medico tedesco, Dietrich Klinghardt. «Quello che mi occorrerebbe ancora per ottenere questo sono determinate frequenze elettromagnetiche, delle quali mi servirei per bloccare i vostri enzimi responsabili della disintossicazione. E sono proprio queste le frequenze che provengono dai ripetitori della telefonia mobile». Conclusione: «Se io fossi maligno, direi che dietro tutto questo dev’esserci un gruppo intelligente di scienziati molto, molto malvagi, e di politici». Dichiarazioni sconvolgenti, che il dottor Klinghardt ha rilasciato nel novembre 2015 nel corso delle Giornate Internazionali “Hellinger”. Un quadro agghiacciante, annota il blog “La Crepa nel Muro”: si profila un avvelenamento planetario senza precedenti. «Ma lo scienziato tedesco, nonostante le prospettive catastrofiche, non perde né il sorriso né la convinzione che l’umanità sappia uscire da questa situazione». E insieme ai suoi colleghi «sta portando avanti ricerche sulla disintossicazione da metalli pesanti».
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Siamo un virus che devasta la Terra: chi ci deviò il genoma?
«Desidero condividere con te, Morpheus, una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura» (Agente Smith – Matrix). Perchè l’uomo non è in armonia con il cosmo? Il male è senza dubbio un fenomeno reale sperimentabile nel corso della storia umana. Ma allo stesso tempo è anche un mistero inspiegabile. Qual’è la sua origine? Se il cosmo e la natura umana fossero radicalmente malvagie, come si spiega la nostalgia del bene che abita il cuore umano, il rifiuto del male e dell’ingiustizia? D’altro canto, se il cosmo e l’uomo sono buoni, allora come si è giunti dunque a questa perversione?Spesso si giustifica il male come un’assenza di bene, ma a guardare bene le azioni dell’uomo nella storia, non possiamo limitarci a descrivere il male come una carenza di bene, ma come una vera e propria perversione, una perversione del senso dell’essere e dell’esistere. Il male degrada e violenta l’uomo. Esso lo pone in contraddizione con se stesso. Non è altro, dunque, che nonsenso e perversione. La gente se lo chiede: esiste un problema nella relazione tra l’uomo e l’uomo e tra l’uomo e il creato? Esiste una ferita nell’armonia cosmica che contraddistingue il creato e che l’uomo non è in grado di realizzare nel suo rapporto con la natura e con se stesso? Da più parti giungono segnali di un disagio profondo nel cuore umano, come se questo mondo non fosse il nostro. Non si comprende bene se siamo noi umani stranieri ad esso, vermi ingordi precipitati qui per caso, e perchè abbiamo ridotto questo pianeta, un giorno nostra culla accogliente, in un mondo ostile e minaccioso, tale da fargli assumere i nostri connotati di avidità distruttiva e di cinismo indifferente.L’uomo, da custode a predatore del creato. Forse bisogna andare all’inconoscibile giorno in cui l’uomo non avvertì più se stesso come natura, come figlio della terra. Da uomo della natura si scopri uomo nella natura, con niente simile a sé. Fu allora che si sentì padrone della Terra e non più custode, dominatore di tutto, per dimenticare l’orrore della sua fragilità e del suo destino di morte. Egli ridusse tutte le cose ad “oggetti” da tenere a bada e da sfruttare a suo piacimento. E’ così che nasce la cultura umana, la cultura tecnologica, del dominio e dello sfruttamento razionale, freddo, della natura. Per un po’ le cose vanno bene. La tecnica dà una mano allo spadroneggiare dell’uomo sulla terra, fino a quando il criterio che dirige ogni scelta sul pianeta non diventa l’economia. L’uomo-padrone arraffa quanto è economicamente utile e nel modo in cui è economicamente vantaggioso. Se serve, si devasta un territorio, lo si avvelena anche. Se serve, si cura un nemico o un operaio ferito. Se non serve, lo si lascia morire.La “new economy”, come oggi la si definisce, oltre a devastare la natura, schiaccia l’uomo, gli impedisce di vivere, a meno che non appartenga ad un ristretto numero di privilegiati. Perchè il creato è stato scippato a tutti ed è diventato proprietà di alcuni, con la complicità di chi ha definito diritto divino la proprietà privata. Così l’economia diventa incertezza quotidiana, guerra, annullamento dei diritti umani, menzogna, sovvertimento insensato della natura. Dobbiamo all’economia se oggi a presiedere uno Stato, molto spesso, non è un presidente ma la “banca”. La tecnica è il braccio armato dell’economia, una economia che annulla la dignità umana e che lo asserve all’avidità di pochi gruppi che influenzano la vita dell’intero pianeta. L’atomo gli fa vincere una guerra, ma inquina generazioni e generazioni. La biologia ci assiste nella fecondità umana, ma non è un suo problema se un giorno programmeremo, secondo le nostre esigenze, una generazione di atleti senza sentimenti, oppure soldati ottusi ed ubbidienti, oppure carne per il consumo sessuale. Gli organismi geneticamente modificati possono aumentare la produzione, ma la Monsanto si sente innocente se poi magari scopriremo che ci siamo avvelenati coi nostri soldi. Paradossale ma vero: l’economia non sa che farsene dell’uomo, non vuole la natura umana che in sé è collegata col tutto; vuole solo la propria autoconservazione. Cioè, in fondo, l’idolatria del dollaro e delle merci.Questa civiltà che ogni giorno, rispetto ad uomini e cose, si connota con il cinico usa e getta, non è ancora riuscita a farci dimenticare che se non siamo padroni della natura, tuttavia siamo ad essa inscindibilmente collegati, tanto che deturpare il creato è gesto autodistruttivo, e disprezzare l’uomo predispone ad assalire il creato. Una umanità senza sentimenti, puramente tecnica, non si accorge nemmeno della scomparsa di migliaia di specie animali e vegetali. Non prova nessuna nostalgia per una bellezza sprofondata nel nulla dopo millenni di cammino sulla terra. Dopo averne privato una parte consistente dell’umanità, abbiamo anche privato di diritti animali e piante. Questo discorso, nella logica occidentale viene presa per idiozia! Può una pianta, un animale avere dei diritti? Il punto è che sentendoci padroni di tutto, riconosciamo il diritto alla vita a chi vogliamo noi, secondo le convenienze. Si comincia a ridurre la pianta e l’animale ad oggetto, aprendo così la strada a vergognarci di quanto di animale c’è in noi! Fino a dire che anche certi umani sono sottouomini, privi di ogni dignità. E stabiliamo noi che deve vivere e chi deve morire.L’uomo è nato per distruggere? E’ biologicamente destinato alla distruttività? Quali dinamiche ostacolano o agevolano la possibilità di una società multiculturale? Con la fine della Guerra fredda, molti hanno sperato che si aprisse un’era di pace, in cui tanta parte delle risorse indirizzate a mantenere l’equilibrio del terrore potesse indirizzarsi finalmente al miglioramento delle condizioni di vita dell’umanità. Non è andata così. E’ solo cambiata la tipologia dei conflitti, con una diminuzione di quelli fra Stati, un aumento dei conflitti interni internazionalizzati, ossia di quelli che pur mantenendo l’epicentro all’interno di uno Stato finiscono per coinvolgere altre nazioni, e una prosecuzione inalterata degli altri conflitti interni, ma con potenziale coinvolgimento di un numero sempre superiore di persone, anche in relazione alla diffusione del terrorismo.E’ possibile guardare da una prospettiva scientifica a questo fenomeno? Può la scienza aiutare a chiarire i principali fattori che influenzano il rischio di conflitti e di violenze di massa? La domanda potrà apparire fuori luogo, o quanto meno fuori epoca, a chi ritiene che con l’Olocausto e la bomba atomica la scienza abbia “perso l’innocenza” e posto fine all’ultima delle “grandi narrazioni” che avevano permesso la coesione sociale e ispirato le utopie che si sono succedute nella storia dell’umanità, per aprire le porte a quella società post-moderna descritta da tanti sociologi, da Jean-François Lyotard a Zygmunt Bauman, che, divenuta “liquida” e priva di un senso di comunità, cerca di ritrovarlo attraverso la creazione di ghetti identitari più indifferenti che tolleranti verso gli altri e sempre pronti a entrarvi in conflitto.L’umanità è un virus per la Terra? Tutti noi potremmo essere meno umani di quanto pensiamo. Quantomeno è ciò che suggerisce una nuova ricerca, rivelando che il genoma umano è in parte un virus, per la precisione il Bornavirus, portatore di morte per cavalli e pecore. Sembra che 2 milioni di anni fa, questo virus abbia inserito parte del suo materiale genetico nel nostro Dna. La scoperta, pubblicata su “Nature” del 7 gennaio, dimostra come questi virus di tipo Rna possono comportarsi come i retrovirus (ad esempio Hiv) ed integrarsi stabilmente come ospiti dei nostri geni. Questo lavoro di ricerca potrebbe consentire di capirne molto di più sulla nostra evoluzione, rivelando come il mondo attuale sia anche il frutto del lavoro di un virus contenuto in ognuno di noi. «La conoscenza di noi stessi come specie è stata leggermente mal interpretata», afferma Robert Gifford, paleo-virologo presso l’Aaron Diamond Aids Research Center. Insomma non abbiamo tenuto conto che il Dna umano si evoluto anche grazie al contributo di batteri ed altri microrganismi e che le nostre difese immunitarie hanno fatto ricorso a quel materiale genetico per difendersi dalle infezioni. Sembra che fino all’8% del nostro genoma potrebbe ospitare materiale genetico dei virus.Nello studio, ricercatori giapponesi hanno trovato copie di un gene del Bornavirus inserite in almeno quattro zone diverse del nostro genoma. Ricerche condotte su altri mammiferi hanno rivelato la sua presenza in una vasta quantità di specie per milioni di anni. «Hanno fornito le prove di un reperto fossile con tracce del Bornavirus», afferma John Coffin, virologo alla Tufts University School of Medicine di Boston e coautore dello studio “Questo ci dice anche che l’evoluzione dei virus non è andata come pensavamo”. Nei risultati dello studio, i ricercatori guidati da Keizo Tomonaga della Osaka University, hanno scoperto che due geni umani sono molto simili al gene del Bornavirus. Gli scienziati sostengono che il questa “infezione preistorica” potrebbe essere una fonte di mutazione umana, specialmente nei nostri neuroni. A questo punto non si può che dare ragione all’Agente Smith di “Matrix” nella sua convinzione che soltanto un altro organismo sul pianeta si comporta come l’uomo: il virus.Quel misterioso salto evolutivo dell’Homo Erectus. Zecharia Sitchin in molti dei suoi libri afferma la teoria secondo la quale, in un passato molto remoto, un gruppo di viaggiatori extraterrestri provenienti dal pianeta Nibiru, chiamati Anunnaki, sarebbero scesi sulla Terra per sfruttare le risorse minerarie del nostro pianeta. Secondo Sitchin, avendo bisogno di manodopera per l’estrazione di minerali, gli Anunnaki pensarono di manipolare geneticamente la specie terrestre più simile a loro, innestandovi il proprio Dna: fu scelto un ominide, l’Homo Erectus. E’ possibile che questo intervento possa aver alterato il corso della naturale evoluzione umana? La nostra rapida evoluzione, incapace di armonizzarsi con i tempi e le regole della natura, potrebbe dipendere da questo? Nuovi ritrovamenti complicano il dibattito fra quanti ritengono che l’Homo Erectus abbia avuto origine in Africa orientale e quanti sostengono un’origine asiatica. Homo Erectus sarebbe stato in grado di fabbricare sofisticati utensili già 1,8 milioni anni fa, vale a dire almeno 300.000 anni prima di quanto si pensasse. Ad affermarlo è uno studio pubblicato su “Nature”, da un gruppo di paleoantropologi della Rutgers University e del Columbia University Lamont-Doherty Earth Observatory.Homo Erectus apparve circa 2 milioni di anni fa, andando a occupare vaste aree dell’Asia e dell’Africa. E proprio in Africa orientale si è ritenuto a lungo che si fosse evoluto, ma la scoperta nel 1990 di fossili altrettanto antichi in Georgia ha aperto la possibilità che esso abbia avuto origine in Asia. I nuovi reperti complicano ulteriormente la situazione in quanto gli strumenti trovati accanto ai fossili georgiani del sito di Dmanisi sono piccoli strumenti da taglio e raschiatori che mostrano caratteristiche piuttosto semplici simili a quelle della cultura di Olduvai, mentre fra quelli rinvenuti nella regione occidentale del Turkana, in Kenya, vi sono asce, picconi e altri strumenti innovativi che gli antropologi chiamano di tipo “acheuleano”, che permettevano di macellare e smembrare un animale per mangiarlo. Le abilità coinvolte nella produzione di uno strumento di questo tipo suggerisce fra l’altro che Homo Erectus fosse in grado di un pensiero “anticipatorio”.«Gli strumenti acheuleani rappresentano un grande salto tecnologico», ha osservato Dennis Kent, uno degli autori dello studio. «Perché Homo Erectus non avrebbe dovuto portare con sé questi strumenti con sé in Asia?». Gli strumenti analizzati provengono dal sito di Kokiselei, dove erano stati raccolti insieme a parte dei sedimenti immediatamente circostanti per poterne datare l’età. Parlando di salto tecnologico, vale la pena ricordare i misteriosi miti che narrano la nascita della civiltà e della tecnologia. Quasi tutte le culture umane raccontano di una divinità che nella notte dei tempi insegnò agli umani la fabbricazione di oggetti, l’agricoltura, le arti e le leggi civili. Basti pensare al mito greco di Prometeo che ruba il fuoco agli dei per consegnarlo agli uomini, oppure al dio dei Maya Quetzalcoatl, che agli albori della storia umana consegnò la sapienza agli uomini, ed infine, al racconto biblico del peccato originale nel quale l’uomo, sedotto da un serpente, esce dall’ordine cosmico per divenire “simile a Dio”.Gli antichi e misteriosi miti della “Colpa di Origine”. Quasi tutte le culture umane hanno miti che raccontano di una “colpa di origine”, di un evento antico che avrebbe “deviato” l’uomo dal suo percorso evolutivo naturale. Il più conosciuto è sicuramente quello raccontato dalla Bibbia e secondo l’interpretazione di un autore cristiano del III secolo, Ireneo di Lione, quello di Adamo è stato un peccato d’impazienza, un voler bruciare le tappe. Benchè già creato ad “immagine e somiglianza” di Dio, l’uomo cede alle lusinghe del serpente che gli promette di farlo diventare uguale a Dio. Ma chi è questo serpente? E’ possibile che antichi esseri extraterrestri abbiano modificato il genoma umano, intervenendo indebitamente sull’evoluzione naturale dell’umanità?(“Perché l’evoluzione umana è fuori dall’armonia del cosmo?”, dal blog “Il Navigatore Curioso”, 2017).«Desidero condividere con te, Morpheus, una geniale intuizione che ho avuto, durante la mia missione qui. Mi è capitato mentre cercavo di classificare la vostra specie. Improvvisamente ho capito che voi non siete dei veri mammiferi: tutti i mammiferi di questo pianeta d’istinto sviluppano un naturale equilibrio con l’ambiente circostante, cosa che voi umani non fate. Vi insediate in una zona e vi moltiplicate, vi moltiplicate finché ogni risorsa naturale non si esaurisce. E l’unico modo in cui sapete sopravvivere è quello di spostarvi in un’altra zona ricca. C’è un altro organismo su questo pianeta che adotta lo stesso comportamento, e sai qual è? Il virus. Gli esseri umani sono un’infezione estesa, un cancro per questo pianeta: siete una piaga. E noi siamo la cura» (Agente Smith – “Matrix”). Perchè l’uomo non è in armonia con il cosmo? Il male è senza dubbio un fenomeno reale sperimentabile nel corso della storia umana. Ma allo stesso tempo è anche un mistero inspiegabile. Qual’è la sua origine? Se il cosmo e la natura umana fossero radicalmente malvagie, come si spiega la nostalgia del bene che abita il cuore umano, il rifiuto del male e dell’ingiustizia? D’altro canto, se il cosmo e l’uomo sono buoni, allora come si è giunti dunque a questa perversione?
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Harry Potter all’Eliseo: partiti (e cittadini) non servono più
Nei salotti mainstream campeggia la figura del nuovo Harry Potter francese sbucato dal nulla, il maghetto dei miracoli elettorali scaturito come un sortilegio con un’unica missione, sbarrare la strada dell’Eliseo a Marine Le Pen per tamponare la falla apertasi nell’euro-sistema dopo la defezione della Gran Bretagna. Umoristi e politologi si cimentano in suggestivi paragoni tra Macron e Renzi, l’uno “senza partito” e l’altro con al seguito il riottoso Pd, come se in Europa i partiti dell’establishment avessero prodotto un leader degno di tale nome, negli ultimi trent’anni. Partiti – tutti – fanatizzati (fronte destro) o infiltrati (fronte sinistro) dall’unico vero potere rimasto in campo, quello – non elettivo, non democratico, non responsabile – del Big Business, multinazionali finanziarizzate, cupole bancarie, retrobottega supermassonici internazionali alle prese, dagli anni ‘80, con le ininterrotte alchimie globaliste, fondate su rivoluzioni invisibili ma inarrestabili: lavoro e consumi, stili di vita, nuove tecnologie e colossali speculazioni, manipolazioni mediatiche e terremoti geopolitici regolarmente pilotati, fino all’abominio (indicibile) dell’auto-terrorismo funzionale alla “guerra infinita” con la sua filiera dell’orrore, dai super-armamenti al subdolo super-spionaggio di massa inflitto agli ignari cittadini, tra email e smartphone.E’ la fotografia – inquietante – che ormai scattano, sul fronte web, gli analisti più critici e pessimisti, allarmati da quello che appare uno scenario quotidiano di guerra, alimentato da crisi continue (economiche, finanziarie, climatiche, demografiche) e devastazioni sempre più dirompenti, di cui l’esodo biblico dei migranti sembra solo la vetta di un iceberg che persino gli osservatori meglio documentati faticano a misurare per intero, data la sua imponderabile vastità, in continua evoluzione. Un terremoto costante, senza più argini da parte di alcuna istituzione: il diritto internazionale sembra un residuato archeologico, smarrito nel feroce caos quotidiano, tra proiezioni, statistiche e “fake news” televisive, dove nessuno sembra in grado allungare davvero lo sguardo nemmeno sul semestre seguente, nell’unica certezza che il potere – quello dei veri decisori – sia lontanissimo, irraggiungibile e neppure coeso, ma dilaniato al suo interno da scontri durissimi. Guerre segrete senza quartiere, di cui al pubblico, qualche volta, può arrivare soltanto l’eco. Nonostante questo, si recita – ancora – lo spettacolo delle elezioni, la democrazia rappresentativa, che sa ancora generare fenomeni di auto-ipnosi fino alla tifoseria, dalla Brexit al referendum italiano, dal voto per la Casa Bianca a quello per la presidenza francese.I soliti esperti si affrettano a dichiarare chiusa la partita, in Francia, con la scontata vittoria di Macron, mentre altri osservatori – come il direttore di “Limes”, Lucio Caracciolo – preferiscono la prudenza: messi insieme, i due candidati antisistema (Le Pen e Mélenchon) sono il “primo partito” francese, e non è detto che i grandi sconfitti del primo turno riescano a far convergere i loro voti sul “maghetto” dei Rothschild. Che cosa poi riuscirebbe davvero a fare la Le Pen, se eletta, non è dato immaginarlo. Se non altro, il suo Front National è un super-partito a tutto tondo, tradizionale, fatto di sezioni e votazioni congressuali. Un “luogo della democrazia” dove il consenso cresce per gradi, confrontando opzioni e programmi. Cioè esattamente quello che è andato scomparendo altrove, dall’ectoplasma post-politico del Pd renziano fino all’estremo esperimento “apartitico” di Macron, che celebra l’estinzione definitiva dell’entità-partito come ponte, teorico e pratico, tra il cittadino e l’istituzione. Sembra il compimento del Vangelo di Lewis Powell, 1971: svuotare la democrazia per demolire la sinistra dei diritti sociali, da cui l’azione della Trilaterale e i cantori della “crisi della democrazia”. Un piano inclinato, inesorabile: la Guerra del Golfo, e l’11 Settembre, il Medio Oriente trasformato in inferno per profughi. Fino alla follia della guerra con la Russia, subita da un’Europa letteralmente frastornata, messa in croce dall’Eurozona.Rassegnatevi: i partiti non servono, non serviranno più. E’ il messaggio che proviene dal mezzo successo francese di Macron. Mettetevi l’anima in pace: è finita per sempre l’epoca delle assemblee, dei delegati. E’ già nella spazzatura della storia, insieme ai sindacati. E in Italia, la presunta alternativa in campo – il Movimento 5 Stelle – è guidato da un leader che licenzia chiunque non gli piaccia. Non è mai stato celebrato un solo congresso. Le periodiche votazioni, che pure avvengono, si svolgono online. E chi partecipa può scegliere solo in base a un menù predefinito, a monte, da un vertice-fantasma che nessuno ha eletto. L’avatar Macron è il futuro che ci aspetta? Certamente sì, scommettono i più esasperati, se i cittadini non si decidono a riappropriarsi della loro sovranità essenziale, fondata sulla partecipazione. Gli strumenti di ieri sono tutti caduti, archiviati, rottamati. Per contro, cresce la frustrazione degli esclusi, che sospettano di essere ormai la grande maggioranza. Un vastissimo popolo, ancora immobile. Strattonato dalle crisi a testata multipla – lavoro, sicurezza – e intimidito ogni giorno da notizie spaventose, attentati, previsioni angoscianti. La scomparsa del futuro è ormai spacciata per normalità. Il calcio tiene ancora banco, più che mai. E nelle tabaccherie furoreggia il Superenalotto. C’è chi sostiene che i grandi decisori siano inquieti, che temano la rabbia dei delusi, elettoralmente espressa dai cosiddetti populismi. Ma basta fare un giro su Facebook, su WhatsApp, per scoprire che non ci sono rivoluzioni culturali in vista.Nei salotti mainstream campeggia la figura del nuovo Harry Potter francese sbucato dal nulla, il maghetto dei miracoli elettorali scaturito come un sortilegio con un’unica missione, sbarrare la strada dell’Eliseo a Marine Le Pen per tamponare la falla apertasi nell’euro-sistema dopo la defezione della Gran Bretagna. Umoristi e politologi si cimentano in suggestivi paragoni tra Macron e Renzi, l’uno “senza partito” e l’altro con al seguito il riottoso Pd, come se in Europa i partiti dell’establishment avessero prodotto un leader degno di tale nome, negli ultimi trent’anni. Partiti – tutti – fanatizzati (fronte destro) o infiltrati (fronte sinistro) dall’unico vero potere rimasto in campo, quello – non elettivo, non democratico, non responsabile – del Big Business, multinazionali finanziarizzate, cupole bancarie, retrobottega supermassonici internazionali alle prese, dagli anni ‘80, con le ininterrotte alchimie globaliste, fondate su rivoluzioni invisibili ma inarrestabili: lavoro e consumi, stili di vita, nuove tecnologie e colossali speculazioni, manipolazioni mediatiche e terremoti geopolitici regolarmente pilotati, fino all’abominio (indicibile) dell’auto-terrorismo, funzionale alla “guerra infinita” con la sua filiera dell’orrore, dai super-armamenti al subdolo super-spionaggio di massa inflitto agli ignari cittadini, tra email e smartphone.
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La fine del mondo c’è già stata: lo dice la stele dell’Avvoltoio
Undicimila anni prima di Cristo uno sciame di comete colpì la Terra devastandola, modificando l’inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta, provocando l’estinzione di molte specie come quella dei mammut e causando un’era glaciale che durò mille anni. Lo afferma un gruppo di ricercatori dell’università di Edimburgo, che ha trovato la narrazione di questo cataclisma nel più antico libro di storia esistente: i bassorilievi portati alla luce nel 1995 nel sito archeologico di Gobekli Tepe, nel Sud della Turchia. All’annuncio della scoperta, i sostenitori della teoria secondo la quale antiche civiltà avanzate sono state distrutte da eventi catastrofici hanno esultato, e sono pronti a scrivere nuovi libri di successo. Una stele in particolare, quella chiamata “dell’avvoltoio”, ha attratto l’attenzione degli scienziati di Edimburgo. Riproduce attraverso simbolismi animali una serie di costellazioni, indicandone la posizione nel cielo. Grazie all’aiuto di un computer, è stato possibile stabilire che le stelle si trovavano in quel punto esattamente nel 10.950 a.C., alla fine del Pleistocene. Altri bassorilievi riproducevano la caduta dello sciame di comete e un uomo senza testa indicava la perdita di molte vite umane.La stele è importante perché conferma eventi che già conoscevamo, come il periodo glaciale noto come Dryas Recente (dal nome di un fiore della tundra) e l’anomalia dell’iridio osservata in Nord America, risalente all’11-10.000 a.C.: l’iridio è poco presente nel suolo e quando in uno strato geologico se ne trova molto di più, vuol dire che un meteorite o una cometa lo hanno portato sulla Terra, come avvenne nell’estinzione dei dinosauri. Per il professor Martin Sweatman, direttore della ricerca pubblicata su “Mediterranean Archaeology”, «questa scoperta, insieme all’anomalia dell’iridio, chiude il caso in favore dell’impatto di una serie di comete». Gobekli Tepe è il tempio più antico dell’umanità e pare fosse dedicato all’osservazione delle comete e dei meteoriti. I bassorilievi che narrano la catastrofe dell’11.000 a.C. erano tenuti in grande considerazione e conservati con cura, come se fosse importante non perderne la memoria. Inspiegabilmente, in epoca preistorica, il sito venne abbandonato e completamente ricoperto di terra, perché nessuno lo potesse individuare.Archeologi e antropologi collocano nel Dryas Recente l’inizio della civiltà umana, con le prime coltivazioni e i primi villaggi del Neolitico. Ma per altri ricercatori, che il mondo accademico non tiene in alcuna considerazione, la caduta delle comete ha causato la fine di una civiltà che già esisteva sulla Terra e ha costretto gli esseri umani sopravvissuti a un nuovo e faticosissimo inizio. Graham Hancock, nato a Edimburgo, ha scritto molti libri su questo tema e nell’ultimo, “Maghi degli dei: la saggezza dimenticata delle civiltà perdute”, ha sostenuto proprio la tesi che intorno al 12.000 a.C. l’impatto di una cometa abbia posto fine a una società molto evoluta, che ha lasciato tracce di sé nella perfezione delle piramidi di Giza e in altri inspiegabili monumenti ciclopici sparsi per il pianeta. Se l’asse della Terra si è davvero spostato a causa di quella catastrofe, forse l’Antartide era all’epoca libera da ghiacci e nasconde segreti che non tarderemo a scoprire, vista la progressione del riscaldamento globale.Hancock ha visitato il sito di Gobekli Tepe, giudicandolo uno dei grandi misteri dell’antichità. Se uno sciame di comete era in arrivo sulla Terra, gli astronomi del tempio le hanno sicuramente individuate in anticipo e forse quelle scie luminose arrivate nel Sistema solare interno sono state una presenza costante nel cielo per molti anni prima del loro devastante impatto. Forse da allora ci è stata tramandata la convinzione che tutte le comete (ma per lo meno bisogna salvare quella di Natale) portino sfortuna e siano messaggere di lutti e devastazioni. La teoria che grandi civiltà del passato siano state distrutte da eventi catastrofici è suggestiva e spiegherebbe le grandi costruzioni le cui rovine sono state trovate sui fondali dell’Oceano, dove Platone collocava Atlantide, così come la “piramide” sommersa che si trova vicino all’isola di Yonaguni, in Giappone. Ma c’è da sperare che i cultori delle civiltà perdute non abbiano ragione: gli sciami di comete sono infatti periodici e secondo Hancock quello descritto nella stele di Gobekli Tape potrebbe tornare nell’arco di qualche decennio. Meglio che l’autorevole e più rassicurante mondo accademico si affretti a rimettere ogni pietra, e ogni data, al suo posto.(Vittorio Sabadin, “La fine del mondo c’è gia stata: lo svela la stele dell’Avvoltoio”, da “La Stampa” del 24 aprile 2017).Undicimila anni prima di Cristo uno sciame di comete colpì la Terra devastandola, modificando l’inclinazione dell’asse di rotazione del pianeta, provocando l’estinzione di molte specie come quella dei mammut e causando un’era glaciale che durò mille anni. Lo afferma un gruppo di ricercatori dell’università di Edimburgo, che ha trovato la narrazione di questo cataclisma nel più antico libro di storia esistente: i bassorilievi portati alla luce nel 1995 nel sito archeologico di Gobekli Tepe, nel Sud della Turchia. All’annuncio della scoperta, i sostenitori della teoria secondo la quale antiche civiltà avanzate sono state distrutte da eventi catastrofici hanno esultato, e sono pronti a scrivere nuovi libri di successo. Una stele in particolare, quella chiamata “dell’avvoltoio”, ha attratto l’attenzione degli scienziati di Edimburgo. Riproduce attraverso simbolismi animali una serie di costellazioni, indicandone la posizione nel cielo. Grazie all’aiuto di un computer, è stato possibile stabilire che le stelle si trovavano in quel punto esattamente nel 10.950 a.C., alla fine del Pleistocene. Altri bassorilievi riproducevano la caduta dello sciame di comete e un uomo senza testa indicava la perdita di molte vite umane.
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Ciao Ue, pure i francesi di sinistra voteranno Marine Le Pen
La prossima mazzata che l’Unione Europea riceverà sarà dalla Francia: il paese è in crisi nera, i socialisti sono vicini all’estinzione e l’ultra-liberismo annunciato da François Fillon, alfiere del centrodestra, regalerà un trionfo al Front National. «Con la sua politica economica thatcheriana – scrive Fried Siegel sul “City Journal” – Fillon spingerebbe senza dubbio un gran numero di sindacalisti francesi del settore pubblico – e ciò che resta degli elettori della classe lavoratrice industriale – tra le braccia di Marine Le Pen, che potrebbe di fatto trasformarsi nel candidato di sinistra (se una tale definizione ha ancora un senso)». Facile previsione: «I molti milioni di persone che lavorano per il settore pubblico o che ricevono sussidi potrebbero silenziosamente sostenere il nazionalismo della Le Pen piuttosto che rischiare di perdere i loro privilegi». Chiunque sia il vincitore, in ogni caso, «la malnata Unione Europea riceverà un altro shock». Come i democratici americani «hanno marciato a ranghi serrati di sconfitta in sconfitta», ormai «anche le élite europee non danno segno di imparare alcunché». Fillon vuole «cancellare lo stato sociale, licenziare i lavoratori ed aumentare i giorni lavorativi?». Ed è così che Marine Le Pen diventa «la candidata della “sinistra” francese».Anche la Francia, dunque, sta per presentare il conto di «una globalizzazione avvenuta a rotta di collo», con un “politicamente corretto” «imposto aggressivamente e dall’arroganza delle élite». Qualcosa sta franando, scrive Siegel in una riflessione proposta da “Voci dall’Estero”, se è vero che i sondaggisti non ne azzeccano più una, dalla Brexit a Trump. Non sono nemmno riusciti a prevedere che l’ex primo ministro François Fillon avrebbe vinto le primarie per diventare il candidato conservatore alle elezioni presidenziali del prossimo aprile in Francia. Con le sue idee «conservatrici in ambito sociale ma liberiste in campo economico», Fillon «rappresenta un allineamento di opinioni che non si vedeva dagli anni ’40 dell’Ottocento». Tutto sta cambiando, e non se n’è accorto neppure Jean-Claude Juncker, «lussemburghese sconosciuto ai più», ormai «diventato il pubblico zimbello durante il periodo precedente al voto sulla Brexit». Fillon ha detto ai francesi che vuole “ridare al paese la sua libertà”. E come? «Ha promesso di tagliare mezzo milione di posti di lavoro nel settore pubblico, di mettere fine alla settimana lavorativa di 35 ore e di ridurre la corposa regolamentazione del lavoro francese da 3.000 ad appena 150 pagine». Sarebbe una sorta di rivoluzione, scrive Siegel: «La Francia moderna non si è mai sottoposta alle riforme liberiste che hanno ravvivato le economie di Gran Bretagna, Canada, Svezia e Germania».In Francia, continua Siegel, la spesa pubblica rappresenta oggi il 57% dell’economia, «e come negli Stati Uniti – ma peggio – il libero mercato è stato strangolato da uno statalismo fuori controllo». Lo scrittore cattolico George Marlin, di New York, ha descritto come gli elettori cattolici della “Rust Belt”, la fascia degli Stati Uniti centrali dove si collocano le maggiori capitali industriali, oggi in declino, sono «infuriati per l’atrofia economica e per il “politicamente corretto” del liberalismo sociale», e quindi si sono orientati verso Donald Trump, determinandone la vittoria. Qualcosa di simile è successo in Francia, scrive Siegel: «Nell’aprile 2017 Fillon, anglofilo e cattolico praticamente, potrebbe verosimilmente contrapporsi a Marine Le Pen, la leader anti-islamista del Front National, nel ballottaggio delle elezioni presidenziali francesi». Se ciò accade, «gli espertoni scopriranno che la loro mappa mentale è resa del tutto obsoleta da un conflitto tra due candidati entrambi “conservatori”». E questo è avvenuto «perché la classe lavoratrice francese, una volta rivendicata dalla “sinistra”, è stata abbandonata dai socialisti, così come è avvenuto con la loro controparte in America».I socialisti «si sono dissolti nella ricerca di una incoerente alleanza tra elettori gay, islamici e femministi». Ben li rappresenta il presidente François Hollande, che «ha governato con così tanta inettitudine da raccogliere oggi appena il 4% dei consensi». Al confronto, Hillary Clinton se l’è cavata piuttosto bene con gli uomini della classe lavoratrice bianca, ottenendo il 38% dei voti. «I socialisti francesi sono ritornati alla posizione marginale che avevano nell’Ottocento», scrive ancora Siegel, che ricorda che nel 2001 il padre di Marine Le Pen, Jean-Marie Le Pen, sostenitore della Francia di Vichy, scosse il mondo arrivando secondo alla prima tornata elettorale delle elezioni presidenziali francesi, scavalcando il socialista Lionel Jospin. Il 16% dei voti raccolto da Jospin fu quasi raggiunto da «un confuso assortimento da museo di comunisti, maoisti e trotskisti». Messi assieme, i partiti estremisti della destra e della sinistra avevano raccolto circa un terzo dei voti. Ma poi, nelle elezioni generali, i partiti mainstream si unirono per sostenere Jacques Chirac, che batté Jean-Marie Le Pen con l’82% dei suffragi. Ma il 2016 è diverso, avverte Siegel: «La Francia è demoralizzata. È scossa dall’aggressione musulmana. Si è trascinata per decenni con meno dell’1% di crescita annuale. Il suo tasso di disoccupazione è vicino alla doppia cifra, la disoccupazione giovanile al 24% spinge schiere di giovani verso Londra, Berlino e New York». A rivendicare le parole d’ordine della sinistra – lavoro, diritti, sovranità – è rimasta solo Marine Le Pen.La prossima mazzata che l’Unione Europea riceverà sarà dalla Francia: il paese è in crisi nera, i socialisti sono vicini all’estinzione e l’ultra-liberismo annunciato da François Fillon, alfiere del centrodestra, regalerà un trionfo al Front National. «Con la sua politica economica thatcheriana – scrive Fried Siegel sul “City Journal” – Fillon spingerebbe senza dubbio un gran numero di sindacalisti francesi del settore pubblico – e ciò che resta degli elettori della classe lavoratrice industriale – tra le braccia di Marine Le Pen, che potrebbe di fatto trasformarsi nel candidato di sinistra (se una tale definizione ha ancora un senso)». Facile previsione: «I molti milioni di persone che lavorano per il settore pubblico o che ricevono sussidi potrebbero silenziosamente sostenere il nazionalismo della Le Pen piuttosto che rischiare di perdere i loro privilegi». Chiunque sia il vincitore, in ogni caso, «la malnata Unione Europea riceverà un altro shock». Come i democratici americani «hanno marciato a ranghi serrati di sconfitta in sconfitta», ormai «anche le élite europee non danno segno di imparare alcunché». Fillon vuole «cancellare lo stato sociale, licenziare i lavoratori ed aumentare i giorni lavorativi?». Ed è così che Marine Le Pen diventa «la candidata della “sinistra” francese».
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Graham Hancock: il segreto della civiltà che ci ha preceduti
Quale segreto si nasconde nell’archeologia “misteriosa”, cioè tuttora non completamente “spiegata” dalla scienza ufficiale? La tesi: una civiltà preesistente alla nostra, molto evoluta, fu spazzata via dalla Terra circa 12.000 anni fa. Ma le sue tracce emergono regolarmente dai reperti e da profonde verità custodite da svariate tradizioni esoteriche. Nel libro “Lo Specchio del cielo”, Graham Hancock continua la ricerca cominciata nel suo bestseller “Impronte degli dei” per scoprire «l’eredità nascosta dell’umanità» e rivelare che le culture che noi consideriamo antiche erano, di fatto, eredi di una civiltà di gran lunga più antica, dotata di una «saggezza». Lavorando con la fotografa Santha Faiia, sua moglie, Hancock traccia il network dei siti sacri intorno al mondo in uno spettacolare viaggio di scoperta che ci porta dalle piramidi e templi dell’antico Egitto alle enigmatiche statue dell’isola di Pasqua, dalle rovine dell’America pre-colombiana allo splendore di Angkor Wat, in Cambogia, nel tentativo di decifrare il codice dei nostri antenati. Per l’editore, Corbaccio, «è un’odissea attraverso il mito e la magia, e incredibili rivelazioni archeologiche che ci costringono a ripensare la nostra concezione delle origini della civiltà».“Lo Specchio del cielo” è molto più che un seguito a “Impronte degli dei”: è «un’immersione nella spiritualità degli antichi, una ricerca della rivelazione di un segreto scritto nella lingua dell’astronomia, e conservato nelle fondamenta dei più sacri siti dell’antichità». Un segreto che «parla della misteriosa connessione tra cielo e terra, che trasforma templi in stelle e uomini in dèi». In altre parole, «il più oscuro e nascosto segreto del nostro passato dimenticato». Graham Hancock è nato in Scozia, a Edimburgo, ma ha vissuto a lungo in India, dove il padre lavorava come chirurgo. Tornato in patria, si è laureato in sociologia presso la Durham University e ha iniziato la carriera di giornalista, arrivando a firmare articoli per i più prestigiosi quotidiani britannici, come il “Guardian”, il “Times” e l’“Independent”, per poi passare anche alla produzione di libri a partire dal 1980. In una recente intervista realizzata Michael Parker per “Antidote”, scrive il blog “Segni dal cielo”, Hancock sostiene che gli indizi sulle antiche civiltà della Terra, misteriosamente scomparse, «potrebbero aiutare i ricercatori di oggi a scoprire i pezzi perduti della storia antica dell’uomo».Un gigantesco puzzle planetario: dalle incredibili costruzioni megalitiche, come quelli di Gobekli Tepe e Gunung Padang, alle «fonti di energia nascoste utilizzate da numerose antiche culture di tutto il mondo», poi scomparse in seguito a «estinzioni di massa», forse causate dall’impatto con un gigantesco meteorite: «Una ipotesi che viene accolta da molti scienziati – aggiunge “Segni dal cielo” – visto che, oltre Giove e Saturno, ci sono comete giganti che possono essere vettori di distruzione planetaria». Secondo Hancock, vi sono prove sufficienti che suggeriscono che tra il 10.800 e il 9.600 aC, uno tsunami di proporzioni epiche spazzò via interi contineti, a causa dell’impatto di una cometa. Nel tempio di Horus, nell’antica città egiziana di Edfu, celebri iscrizioni descrivono come “dèi” gli esseri che vi si erano rifugiati, «provenienti da un’isola sacra, distrutta da inondazioni e incendi». L’autore sostiene che un evento di estinzione antica «spazzò via Atlantide e le società avanzate di 12.000 anni fa». Le strutture megalitiche a Gobekli Tepe e Gunung Padang sarebbero «antichi centri di potere sepolti, dove viene nascosta una storia che gli archeologi non sono disposti a riconoscere».Sono in corso profonde revisioni della storiografia anche recente: alcuni siti archeologici terrestri, dalle piramidi di Giza ad Angkor Wat, sarebbero molto più antichi di quanto pensi l’archeologia ortodossa. Le piramidi d’Egitto e la Sfinge non sarebbero stati edificati 4.500 anni fa (nel 2.500 a.C.) ai tempi dei faraoni della IV dinastia, come oggi comunemente accettato, ma nel 10.500 a.C. e cioè 12.500 anni fa, ai tempi dell’ultima glaciazione. A sostegno di queste tesi le indagini eseguite sulla sfinge dai geologi Robert Schoch ed John Anthony West, che nel 1996, incaricati di studiare i segni di corrosione sulla Sfinge, hanno concluso che essi potevano risalire a circa 7.000 anni fa, quando ancora l’Egitto non era arido come adesso. Altre indagini sono state eseguite utilizzando il software Skyglobe, secondo il quale la costellazione visibile ai tempi della presunta edificazione della sfinge (2.500 a.C.), non fosse il Leone, del quale invece essa ne riproduce l’aspetto, come invece accadrebbe nel cielo visibile dalla Terra nel 10.500 a.C. Analoghi ragionamenti per il monastero di Angkor Wat o le statue dell’isola di Pasqua: alcuni siti terrestri sarebbero “lo specchio del cielo” che i loro costruttori vedevano nel 10.500 a.C. (la costellazione di Orione per le piramidi, quella del Drago per Angkor Wat).Hancock ipotizza anche la presenza sulla Terra di una civiltà evoluta, estintasi appunto 10.500 anni fa ai tempi dell’ultima glaciazione (l’Atlantide di cui parlava anche Platone). Si pensa che qualcosa, di quella civiltà, sia comunque sopravvissuto, al punto che – grazie alle sue conoscenze – l’umanità sarebbe stata in grado di costruire piramidi più recenti e altri immensi monumenti. Troppe “coincidenze”, in ogni caso: «Che cosa lega un mappamondo del 1513, le opere dei Maya, degli Atzechi, degli Incas e le monumentali costruzioni egiziane?», si domanda una recensione su “Leggere a colori”. «Hancock rivela un messaggio universale celato nelle grandi opere e riportato nei miti e nelle leggende di tutte le popolazioni». Partendo da Nazca fino ad arrivare in Egitto, passando da Perù, Bolivia e Messico, l’autore va alla ricerca di una connessione, un legame, tra mappe, miti e opere architettoniche, lasciateci da popolazioni geograficamente lontane le une dalle altre e con una preparazione culturale, tecnologica e ingegneristica apparentemente non così avanzata da poter realizzare tali opere.Il viaggio, racconta “Leggere a colori”, prende spunto dall’analisi del misterioso mappamondo di Piri Reis, disegnato nel 1513, in cui è riportata l’esatta linea costiera antartica che noi conosciamo grazie all’utilizzo di potenti mezzi tecnologici, ma che è nascosta all’occhio umano dalla calotta glaciale (che risale circa a 40.000 anni fa). «La mappa è sicuramente autentica e, altrettanto sicuramente, nel 1513 non avevano i mezzi per rilevare tale formazione al di sotto dello spesso strato di ghiaccio. La spiegazione più plausibile su come Piri Reis abbia potuto disegnare la sua mappa è che sia venuto a conoscenza di dati tramandati nei secoli; ma tramandati da chi? Questa misteriosa popolazione deve aver visto le coste prima della glaciazione e quindi essere esistita prima della classica preistoria. E ha qualcosa a che vedere con i misteri che circondano le grandi opere maya, inca, atzeche e egiziane?». Per rispondere a queste domande, Graham Hancock parte per un lungo viaggio che lo porterà ad analizzare in maniera molto tecnica e scientifica i principali siti archeologici delle prime civiltà a noi note. Un continuo susseguirsi di nuove scoperte, rilevando strane analogie tra opere architettoniche e miti di popoli e civiltà molto lontani tra loro.«Chi e perché, ha costruito quelle opere monumentali? È possibile che ci sia un legame tra tali opere? Sono solo costruzioni fini a se stesse o nascondo un messaggio?». Attraverso le sue osservazioni e i suoi approfondimenti, Hancock scopre caratteristiche comuni agli antichi popoli, non solo nei miti che ci hanno tramandato ma anche nelle conoscenze scientifiche e astronomiche. Trova un filo logico tra i miti raccontati dalle prime civiltà, le conoscenze astronomiche (che dovevano essere molto avanzate) e le grandi opere realizzate da una civiltà misteriosa: «A questo punto appare chiara la presenza di una civiltà ignota, data la mancanza di prove evidenti che possano attribuire competenze tali alla realizzazione di opere così complesse alle popolazioni da noi conosciute». Mettendo in discussione la datazione attribuita ai principali siti archeologici (più antichi di ciò che pensiamo, eretti prima della glaciazione) Hancock ipotizza che possano «celare una premonizione, che solo un elevato grado di conoscenza scientifco-astronomica potrebbe mettere in luce».Quale segreto si nasconde nell’archeologia “misteriosa”, cioè tuttora non completamente “spiegata” dalla scienza ufficiale? La tesi: una civiltà preesistente alla nostra, molto evoluta, fu spazzata via dalla Terra circa 12.000 anni fa. Ma le sue tracce emergono regolarmente dai reperti e da profonde verità custodite da svariate tradizioni esoteriche. Nel libro “Lo Specchio del cielo”, Graham Hancock continua la ricerca cominciata nel suo bestseller “Impronte degli dei” per scoprire «l’eredità nascosta dell’umanità» e rivelare che le culture che noi consideriamo antiche erano, di fatto, eredi di una civiltà di gran lunga più antica, dotata di una «saggezza». Lavorando con la fotografa Santha Faiia, sua moglie, Hancock traccia il network dei siti sacri intorno al mondo in uno spettacolare viaggio di scoperta che ci porta dalle piramidi e templi dell’antico Egitto alle enigmatiche statue dell’isola di Pasqua, dalle rovine dell’America pre-colombiana allo splendore di Angkor Wat, in Cambogia, nel tentativo di decifrare il codice dei nostri antenati. Per l’editore, Corbaccio, «è un’odissea attraverso il mito e la magia, e incredibili rivelazioni archeologiche che ci costringono a ripensare la nostra concezione delle origini della civiltà».
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Il mondo sta crollando, ma niente ferma il Tav in val Susa
Tutto va male, anzi malissimo, e noi che facciamo? Scaviamo un buco, dal 2011, tra le montagne che separano la valle di Susa dalla Savoia. Un altro buco, molto ipotetico e molto più lungo e più grande, oltre 50 chilometri, potrebbe un giorno attraversarle, quelle montagne, grazie alla altrettanto ipotetica ferrovia Torino-Lione, ieri definita Tav, treno ad alta velocità per passeggeri, poi convertita in linea Tac (alta capacità, per le merci) dopo l’estinzione dei passeggeri, che da vent’anni ormai preferiscono i voli low-cost. Nel frattempo si sono estinte anche le merci: l’attuale linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle di Susa per collegare Italia e Francia è stata appena riammodernata, ma è deserta. Niente merci, niente treni. Eppure, la talpa che scava il buco – l’unico, finora, quello minuscolo, la breve galleria esplorativa di Chiomonte – non demorde, continua il suo lavoro sotterraneo tra rocce di amianto e vene radioattive di uranio. Scava il buco, la talpa, mentre l’Italia continua ad affondare, insieme a quel che resta dell’Europa, sempre più in bilico tra una pace precaria e l’assedio di una guerra deflagrante, con la certezza – ormai cronica – della cosiddetta “stagnazione secolare”, che condanna le economie del Pil alla non-crescita. Ma tutto questo, la talpa di Chiomonte non lo sa.Il progetto Torino-Lione sembra uscito da un romanzo di Dino Buzzati: si misura essenzialmente con l’assurdo, in una dilatazione spazio-temporale che rasenta la metafisica, archiviate l’economia e l’ingegneria, la scienza dei trasporti, le cifre del mondo reale. Come se un oscuro potere imperiale, quello che assiepa soldati alla Fortezza Bastiani nell’attesa eterna nel Nemico, avesse provveduto con incrollabile fede a istruire minuziose, inarrestabili procedure per l’avanzata della Grande Opera: una ferrovia-doppione, costosissima e devastante. Una strada ferrata che resterà senza treni, per mancanza di passeggeri e di merci, e ridurrà a deserto pericoloso e tossico il territorio attraversato. Ma non hanno orecchie, i grandi decisori, per ascoltare le argomentate proteste gridate e scritte, in tonnellate di carta, da ingegneri e geologi, ambientalisti, trasportisti italiani ed europei, criminologi antimafia, sentinelle mobilitate contro la finanza-canaglia che mette insieme partiti e banche, malaffare, alta burocrazia europea, élite industriale e finanziaria. Quella talpa cieca, semplicemente, deve continuare a scavare nel debito pubblico italiano, trasformato in tragedia dalla perdita di sovranità monetaria.Resiste a tutto, il progetto Tav Torino-Lione. Era nato alla fine degli anni ‘80, in previsione del collasso dell’Urss, per collegare via terra tutta l’Europa, da Lisbona a Kiev, proseguendo la sua corsa (largamente onirica) fino a Pechino. Erano gli anni della Perestrojka, della caduta del Muro. Poi vennero gli anni ‘90, la sciagura invisibile di Maastricht, Berlusconi e l’Ulivo di Prodi, Mario Draghi e il Britannia, Padoa Schioppa, Ciampi. La crisi in Somalia, la guerra in Cecenia, la devastazione della Jugoslavia, il Kosovo. Bill Clinton, la pace tra Rabin e Arafat, l’omicidio di Rabin e quello di Arafat, la fine del Glass-Steagall Act decretata da Clinton e quindi l’avvento della super-finanza onnivora senza più freni, fino all’apocalisse della Lehman Brothers. Era in corso una guerra invisibile, ma in Italia e in Europa di respirava ancora un clima di pace sostanziale, di economia non ancora in lacrime. Poi, nel 2011, la catastrofe. La Troika, Monti, la legge Fornero, la mannaia dell’austerity, il collasso di decine di migliaia di aziende, l’esplosione della disoccupazione. Nulla, comunque, che potesse fermare gli uomini d’acciaio decisi ad azzannare le rocce di Chiomonte, sgomberando a forza gli ultimi ostinati manifestanti, insieme alle loro insopportabili ragioni, tristemente verificabili come odiose verità matematiche.Da lì in poi, l’Italia non ha fatto che sprofondare in un incubo, smarrite tutte le certezze sociali ed economiche dei decenni precedenti, tra negozi sprangati e cervelli in fuga, giovani di quarant’anni mantenuti da genitori e nonni, aziende chiuse, suicidi a catena, licenziamenti in massa. Un terremoto senza precedenti, dal 1945. Spazzate via tutte le coordinate convenzionali della vita repubblicana, le tutele del lavoro rottamate insieme alla Costituzione e al sogno di una legge elettorale democratica. E attorno, un assedio livido e minaccioso, dall’Ucraina alla Siria fino alla Libia e al massacro della Grecia, vivisezionata senza anestesia a mo’ avvertimento, per tutti. Strategia della tensione, a livello internazionale: bombe e stragi “false flag”, i finanziamenti occulti e l’esodo biblico dei profughi, il terrorismo sporco dell’Isis e gli attentati opachi di Parigi. Prospettive, zero: un giovane su due è senza lavoro. Ma, naturalmente, la talpa di Chiomonte non si ferma: scava un buco, nel futuro più cieco di tutti i tempi.La storica battaglia dei NoTav era nata e cresciuta in tempo di pace, reclamando diritti a portata di mano, fino all’altro ieri. L’ambiente, il territorio, la salute, la giustizia, la trasparenza, l’economia reale. Era un mondo dove sembrava esserci ancora spazio per discussioni ragionevoli, seduti allo stesso tavolo. Ora, non c’è più neppure il tavolo: niente intermediazioni né dialogo, nessuna possibile trattativa. Siamo al diktat del 3%, imposto del super-potere bancario per tagliare la spesa sociale, anche a costo di far crollare, di conseguenza, l’economia privata, l’occupazione e il gettito fiscale, con ripercussioni fatali sul debito. Ma non importa, stiamo entrando nell’era del Ttip. Lo Stato senza più moneta, che deve farsi approvare il bilancio a Bruxelles, non conta più niente e conterà ancora meno, quando a dettare legge saranno direttamente le multinazionali, coi tribunali speciali istituiti dal trattato Usa-Ue che sbaraccherà ogni residua sovranità nazionale e locale. Fine dei microcosmi che abbiamo abitato, per decenni, confidando nella possibilità di migliorare la situazione. I NoTav sono ancora là, in valle di Susa, con le loro bandiere. Ma tutt’intorno, l’Italia sembra non esserci più – a parte quel buco ostinato e sempre più surreale, in quest’Europa desolata dagli oligarchi.Tutto va male, anzi malissimo, e noi che facciamo? Scaviamo un buco, dal 2011, tra le montagne che separano la valle di Susa dalla Savoia. Un altro buco, molto ipotetico e molto più lungo e più grande, oltre 50 chilometri, potrebbe un giorno attraversarle, quelle montagne, grazie alla altrettanto ipotetica ferrovia Torino-Lione, ieri definita Tav, treno ad alta velocità per passeggeri, poi convertita in linea Tac (alta capacità, per le merci) dopo l’estinzione dei passeggeri, che da vent’anni ormai preferiscono i voli low-cost. Nel frattempo si sono estinte anche le merci: l’attuale linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle di Susa per collegare Italia e Francia è stata appena riammodernata, ma è deserta. Niente merci, niente treni. Eppure, la talpa che scava il buco – l’unico, finora, quello minuscolo, la breve galleria esplorativa di Chiomonte – non demorde, continua il suo lavoro sotterraneo tra rocce di amianto e vene radioattive di uranio. Scava il buco, la talpa, mentre l’Italia continua ad affondare, insieme a quel che resta dell’Europa, sempre più in bilico tra una pace precaria e l’assedio di una guerra deflagrante, con la certezza – ormai cronica – della cosiddetta “stagnazione secolare”, che condanna le economie del Pil alla non-crescita. Ma tutto questo, la talpa di Chiomonte non lo sa.
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Tredici aquile morte, per il giudice Scalia morto il giorno 13
Tredici aquile americane stranamente trovate morte poco dopo la scomparsa del mitico giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia, baluardo dei conservatori ma integerrimo difensore del potere centrale dello Stato federale. Si chiama proprio Federalsburg – nome che sembra evocare il governo federale – la località del Maryland dove sono stati ritrovati i volatili. L’aquila di mare dalla testa bianca, detta anche aquila calva, è il simbolo araldico della nazione. In più le aquile morte sono 13, ed esattamente il giorno 13 (febbraio) si è spento l’alto magistrato, alle soglie degli 80 anni. E’ morto vicino a Shafter, in Texas, dove soggiornava in vista di una battuta di caccia. Animali, dunque: il giudice si apprestava a ucciderne, ma è deceduto prima di poter sparare; in compenso, altri animali – quelle aquile – sono “piovuti dal cielo”, fulminati: non cinque o dieci, ma proprio 13. Ce n’è abbastanza per scatenare la caccia all’ipotetico messaggio segreto contenuto in queste straordinarie “coincidenze”. Maurizio Blondet vi scorge una minaccia rivolta a Donald Trump, temutissimo da super-oligarchi come Soros e Murdoch, schierati con la Clinton. Altri, come Micheal Snyder, temono che la combinazione simbolica possa alludere all’imminente “morte” degli Stati Uniti.In un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, Snyder ricorda che l’aquila dalla testa bianca è l’animale “nazionale” degli Usa, rappresentato sul “Great Seal”, lo stemma ufficiale usato per certificare i documenti del governo federale. Attenzione poi al numero 13, che simboleggia proprio la morte, nel codice esoterico “praticato” dagli ambienti iniziatici di stampo massonico-crowleyano, in cui nomi, date e numeri non sono mai casuali. Tredici è anche il numero di Stati che in origine ratificarono la Costituzione degli Stati Uniti, e il Maryland era uno di questi. Conseguentemente, scrive Snyder, c’è chi suggerisce che la morte di queste 13 aquile sia un segno che la dipartita del giudice della Corte Suprema possa rappresentare l’inizio della fine anche per la Costituzione degli Stati Uniti, se non addirittura «la morte di tutta l’America». La notizia della strana strage di volatili non è sfuggita ai media mainstream: “Nbc News” ricorda che si tratta della più grande moria di aquile calve che mai abbia avuto luogo nel Maryland nel corso degli ultimi trent’anni. Un animale super-protetto: l’uccisione di anche un solo esemplare può essere punita con una multa da centomila dollari.Snyder insiste sulla sinistra ricorrenza numerica: sono 13 le colonie originali americane, così come il numero delle strisce sulla bandiera Usa. In un articolo per “Charisma News”, Ricky Scaparo dettaglia alcuni significati del numero 13 che risalgono all’antichità. Nimrod, il potente cacciatore che si era “posto davanti al Signore” (aveva cercato di prenderne il posto – Genesi 10:9), era il 13° nella linea genealogica di Cam, uno dei tre figli di Noè sopravvissuti al diluvio. Tredici, inoltre, sono i governi creati dagli uomini che, ispirati da Satana, si ribellarono all’Eterno. L’espressione “valle di Hinnom” è citata nella Sacra Scrittura 13 volte: la valle fu teatro dei riti diabolici ispirati al dio pagano Moloch, adorato dai Fenici, che comprendevano il sacrificio di bambini. Nell’Apocalisse (rivelazione), «il drago, simbolo di Satana, viene citato 13 volte». Per San Paolo (“Lettera ai Romani) i peccatori hanno 23 caratteristiche, e la tredicesima li qualifica come “nemici di Dio”.Ma anche il dollaro americano ha il numero 13 incorporato dappertutto, continua Snyder: sono 13 i gradini sulla piramide del “Great Seal”, e sempre 13 le lettere in “Annuit Coeptis”, la frase che sovrasta la scritta “novus ordo seclorum”: unendo le due frasi si ottiene “novus ordo seclorum annuit coeptis”. «Sono molte le ipotesi sulla traduzione di questa frase latina», annota Snyder: «Si va da “un nuovo ordine mondiale arride agli iniziati” a “un nuovo ordine mondiale, la divinità ha acconsentito”, o anche “si annuncia la nascita di un nuovo ordine mondiale”, oppure “una nuova era arride agli iniziati”». Ma non è tutto: sono 13 le strisce sullo scudo posto al di sopra dell’aquila, e ancora 13 le stelle al di sopra dell’aquila. Sono sempre 13 anche le lettere che compongono il motto nazionale americano “E pluribus unum”, cioè “da molti, uno soltanto”. E ancora: sono 13 le frecce nell’artiglio sinistro del volatile araldico. A queste, corrispongono le 13 le foglie e i 13 i frutti sul ramo d’ulivo nell’artiglio destro dell’aquila americana.«Non ho tutte le risposte, ma credo che siamo davanti ad un segnale molto importante per gli Stati Uniti», conclude Snyder. «La situazione era incredibilmente desolante anche prima della morte di Scalia. Il nostro paese sta morendo ogni giorno un po’ di più e i segnali sono ben visibili attorno a noi». C’è di che preoccuparsi? «Credo che dovremo affrontare momenti peggiori di quelli che il paese abbia mai visto fino ad ora». Per Wikipedia, il giudice Scalia era considerato un pilastro dell’ala conservatrice della Corte Suprema. Di origini siciliane, ha sempre aderito alla dottrina dell’interpretazione originaria della Costituzione. A differenza di altri suoi colleghi conservatori, ha mantenuto un punto di vista a favore del potere nazionale e di un esecutivo forte. Scalia, ricorda Roberto Festa sul “Fatto Quotidiano”, era stato nominato da Ronald Reagan nel 1986, primo italo-americano a far parte della Corte. Nato a Trenton nel 1936, cresciuto a New York, aveva iniziato la sua carriera legale nell’amministrazione Nixon.«Secondo Emendamento, finanziamento della politica, commercio, aborti, matrimoni gay, ruolo del potere esecutivo: non c’è campo della giurisprudenza e della società Usa dove Scalia non abbia fatto sentire la sua voce», ricorda il “Fatto”. Scalia era celebre per lo stile caustico di molte sue prese di posizione e sentenze. Contrarissimo al propagarsi dell’ideologia gender: lo scorso giugno, in occasione della legalizzazione dei matrimoni gay, aveva detto che i giudici «hanno preso posizione nella guerra culturale», e previsto effetti disastrosi anche su altre aree della morale e della sessualità. Dotato del gusto per la battuta tagliente, Scalia era un nemico del politically correct. Di recente, aveva dichiarato che gli studenti afroamericani potevano trovare giovamento nel frequentare «università meno prestigiose». Altrettanto importante, ricorda sempre Roberto Festa, è stato il suo ruolo nel 2013, quando la Corte ha scardinato alcune delle norme-chiave della legge che tutela il diritto di voto dei neri. «E centrale è stata la sua voce nella battaglia all’Obamacare e nella sentenza che dà il via libera ai finanziamenti alla politica da parte delle grandi multinazionali».Sempre secondo Festa, la morte improvvisa di Scalia complica seriamente i disegni dei repubblicani, in vista della corsa per la Casa Bianca. Oggi, la Suprema Corte è in assoluta parità: 4 giudici progressisti contro 4 conservatori. Storicamente, la Corte ha contribuito a orientare la società americana in un senso piuttosto che in un altro. «La Warren Court, quella presieduta da Earl Warren tra il 1953 e il 1969, allargò in modo drammatico i diritti civili, sindacali, politici. In anni più recenti, la Corte guidata da William Rehnquist ha invece sostenuto quella “rivoluzione conservatrice” che da Reagan in poi ha toccato gran parte della società». Scalia, sottolinea il “Fatto”, era anche una pedina essenziale nella campagna che gli Stati a guida repubblicana vogliono scatenare alla Corte Suprema per neutralizzare una serie di leggi invise ai repubblicani: la riforma sanitaria, appunto, e poi gli ordini esecutivi di Obama sull’immigrazione, l’aborto, la legge Dodd-Frank che rende più severe le regole per l’industria finanziaria. E ancora, quella che tutela le specie a rischio di estinzione: come l’aquila calva?«Chi è attento a cogliere i “segni” ha messo in relazione la morte delle 13 aquile con la morte del giudice», scrive Maurizio Blondet nel suo blog, «e mai erano state trovate morte d’un colpo 13 aquile calve. Per di più, vicino alla cittadina di nome Federalsburg». Impossibile, per Blondet, non ricordare che gli àuguri traevano segni sul destino di Roma dal volo degli uccelli, aquile o corvi. «Un malaugurio per la Federazione?». Blondet ipotizza che il “messaggio” sia rivolto direttamete all’outsider Donald Trump, che gli oligarchi repubblicani (che hanno perduto Scalia) temono, in quanto non omologato al loro sistema di dominio. Molto prima dell’avvento di Trump, l’Italia sperimentò – con Berlusconi – la comparsa di un nuovo tipo di capo «populista, miliardario e mediatico, che il popolo ha votato in funzione anti-establishment». Del resto, lo stesso Mussolini «anticipò Hitler», e i fascismi europei di quegli anni «furono imitatori di quello italiano». Come sappiamo, «la storia si è ripetuta in forma di farsa», ma Berlusconi «non ha capito quello che la storia voleva da lui». E Trump? Cosa penserà di quelle 13 aquile calve, ritrovate dopo la morte del giudice Scalia il giorno 13?Tredici aquile americane stranamente trovate morte poco dopo la scomparsa del mitico giudice della Corte Suprema, Antonin Scalia, baluardo dei conservatori ma integerrimo difensore del potere centrale dello Stato federale. Si chiama proprio Federalsburg – nome che sembra evocare il governo federale – la località del Maryland dove sono stati ritrovati i volatili. L’aquila di mare dalla testa bianca, detta anche aquila calva, è il simbolo araldico della nazione. In più le aquile morte sono 13, ed esattamente il giorno 13 (febbraio) si è spento l’alto magistrato, alle soglie degli 80 anni. E’ morto vicino a Shafter, in Texas, dove soggiornava in vista di una battuta di caccia. Animali, dunque: il giudice si apprestava a ucciderne, ma è deceduto prima di poter sparare; in compenso, altri animali – quelle aquile – sono “piovuti dal cielo”, fulminati: non cinque o dieci, ma proprio 13. Ce n’è abbastanza per scatenare la caccia all’ipotetico messaggio segreto contenuto in queste straordinarie “coincidenze”. Maurizio Blondet vi scorge una minaccia rivolta a Donald Trump, temutissimo da super-oligarchi come Soros e Murdoch, schierati con la Clinton. Altri, come Micheal Snyder, temono che la combinazione simbolica possa alludere all’imminente “morte” degli Stati Uniti.
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Di Caprio: gas, petrolio e carbone lasciamoli sotto terra
Dopo aver dedicato il Golden Globe alle popolazioni indigene, Leonardo Di Caprio è tornato a fare parlare di sé. A Davos, in Svizzera, durante il Forum Mondiale dell’economia l’attore americano, da tempo impegnato sul fronte della tutela dell’ambiente, ha lanciato un’invettiva contro le multinazionali delle fossili, invitandole a lasciare sottoterra petrolio, carbone e gas. Di Caprio non finirà mai di stupirci. Donazioni milionarie, campagne per la difesa degli animali in via d’estinzione non bastano all’attore, che non perde occasione per puntare il dito contro chi, in barba alle questioni ambientali, pensa solo ad arricchirsi. «Non possiamo permettere che l’avidità delle industrie del carbone, del petrolio e del gas possa determinare il futuro dell’umanità», ha detto sul palco di Davos, dove ha denunciato senza giri di parole le società che privilegiano i profitti sull’ambiente.Ma non solo. Ha puntato il dito non soltanto contro le multinazionali ma anche contro i governi che hanno chiuso un occhio per non pestare i piedi ai colossi dell’energia a livello mondiale: «Gli enti che hanno un interesse finanziario nel preservare questo sistema distruttivo hanno negato e anche coperto l’evidenza del nostro clima che cambia». Secondo l’attore, il nostro pianeta non può essere salvato se non lasciamo i combustibili fossili alla terra a cui appartengono. «Vent’anni fa, abbiamo descritto il problema come una dipendenza. Oggi possediamo i mezzi per porre fine a tutto questo», ha detto.L’attore, durante il suo discorso, ha annunciato che la sua fondazione donerà 15 milioni di dollari destinati a finanziamenti per sostenere progetti di sostenibilità in tutto il mondo. I cinque progetti si impegnano a controllare la pesca commerciale, proteggere la foresta pluviale indonesiana, sostenere le popolazioni indigene in Ecuador, proteggere le barriere alle Seychelles e promuovere le energie rinnovabili negli Stati Uniti.(Francesca Mancuso, “Leonardo Di Caprio attacca le multinazionali delle fossili: lasciate petrolio, carbone e gas sottoterra”, da “GreenMe” del 22 gennaio 2016).Dopo aver dedicato il Golden Globe alle popolazioni indigene, Leonardo Di Caprio è tornato a fare parlare di sé. A Davos, in Svizzera, durante il Forum Mondiale dell’economia l’attore americano, da tempo impegnato sul fronte della tutela dell’ambiente, ha lanciato un’invettiva contro le multinazionali delle fossili, invitandole a lasciare sottoterra petrolio, carbone e gas. Di Caprio non finirà mai di stupirci. Donazioni milionarie, campagne per la difesa degli animali in via d’estinzione non bastano all’attore, che non perde occasione per puntare il dito contro chi, in barba alle questioni ambientali, pensa solo ad arricchirsi. «Non possiamo permettere che l’avidità delle industrie del carbone, del petrolio e del gas possa determinare il futuro dell’umanità», ha detto sul palco di Davos, dove ha denunciato senza giri di parole le società che privilegiano i profitti sull’ambiente.
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Giannuli: ha stravinto l’élite, non esiste alternativa politica
Espropriati di ogni diritto, privati del lavoro, rasi al suolo come cittadini. E’ il nuovo ordine neoliberista, e non abbiamo scampo. Lo sostiene lo storico Aldo Giannuli, che analizza l’eclissi epocale della sinistra in ogni sua forma, da quella storica – assorbita nella socialdemocrazia – a quella “radicale”, che voleva cambiare il sistema ed è in via di completa estinzione. Peggio ancora: nessuna, delle nuove formazioni politiche che si affacciano tra le macerie dell’Europa, ha le carte in regola per progettare una via d’uscita. Siamo in trappola, schiacciati dal primo comandamento della “rivoluzione neoliberista”: lo Stato dei cittadini deve morire, per lasciar posto al primato della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica. Fine delle trasmissioni. Con tanti saluti alle illusioni del riformismo, che nei decenni del dopoguerra riuscì a convertire l’aspirazione rivoluzionaria in correzioni sociali all’interno del sistema, estensione del benessere relativo, ascensore sociale, garanzie, welfare. Tempo scaduto: i nuovi padroni del mondo non hanno più tempo per la democrazia, fabbricano leader-servi, impongono leggi, sbaraccano Costituzioni.La rivoluzione neoliberista, scrive Giannuli nel suo blog, si è imposta costruendo un ordine gerarchico mondiale tendenzialmente monopolare (oggi in crisi) che riduce la sovranità degli Stati nazionali. Poi ha sottratto i grandi capitali finanziari al fisco, attraverso la mobilità mondiale dei capitali, che consente al “grande contribuente” di scegliere il fisco cui pagare le sue tasse. Fondamentale, poi, la delocalizzazione produttiva, insieme alla liberalizzazione degli scambi commerciali: questa globalizzazione «inevitabilmente premia i paesi a costo del lavoro più basso, agendo quindi come attrattore verso il basso dei livelli salariali». Quindi, la moneta: il sistema valutario sganciato dalla base aurea, o comunque da parametri oggettivi, e basato solo sull’apprezzamento reciproco delle monete, «fa dipendere la stabilità monetaria di ciascuno dalla dittatura del rating e dalle decisioni dei mercati finanziari (in realtà da Wall Street) di fatto, riducendo ai minimi termini la sovranità monetaria dei singoli paesi».In più, c’è la fittissima ragnatela del Wto e degli accordi e trattati internazionali, dagli storici accordi di Marrakech del 1993 al mostruoso Ttip in gestazione: rapporti economici a livello mondiale, «che precludono ogni politica diversa da quella neoliberista e proibiscono esplicitamente l’intervento statale in economia». Non solo: «Impedendo ogni politica industriale nazionale, privatizzando le imprese pubbliche e promuovendo grandi fusioni internazionali a guida finanziaria», i grandi predoni neo-feudali hanno sostanzialmente imposto un cambio di sistema: non viviamo più in un regime controllabile dalle popolazioni, sempre più in sofferenza anche grazie alla liquidazione dei presupposti stessi dello Stato sociale – scuola, sanità, assistenza, pensioni, tutele civili. «Di conseguenza – continua Giannuli – l’ordine neoliberista ha carattere politicamente monistico e non ha spazio per una sinistra interna», né per «politiche keynesiane, compromessi welfaristi e, di conseguenza, per ogni politica riformista». L’ordine neoliberista «non prevede alcuna sinistra interna, è tutto e organicamente di destra». Così, a fronte dell’assolutismo neoliberista, «il riformismo, anche il più moderato, assume valenza antisistema al pari di qualsiasi indirizzo rivoluzionario».Ne consegue che occorre abbandonare la pratica istituzionale per passare a forme di lotta violente o addirittura armate? «Per nulla: sarebbe una risposta incongrua rispetto all’obiettivo». Anche perché, qualora si prendesse il potere in un paese «tanto per via pacifica e legale quanto per via violenta ed illegale», il problema non si sposterebbe di un centimetro, «perché il nuovo governo, comunque formatosi, avrebbe di fronte lo stesso problema di fare i conti con un ordine mondiale ostile, dove l’unica variabile decisiva sarebbe quella dei rapporti di forza». La Cina, come unica alternativa? Pechino «ha realizzato un sistema di capitalismo di Stato che si discosta per più versi dall’ordinamento neoliberista, ma può permetterselo perché i rapporti di forza economici, finanziari e, non ultimo, militari, glielo consentono». La Cina «rappresenta una torsione del sistema internazionale nella misura in cui i rapporti di forza glielo consentono». Il passaggio a politiche diverse, non liberiste? «E’ antisistema, nella misura in cui presuppone la rottura dell’ordine mondiale e della sua rete di trattati e accordi».Dunque, al di là della praticabilità di forme di lotta radicali, il problema si pone in termini diversi, ovvero: «Come maturare i rapporti di forza internazionali che consentano di aprire spazi a politiche sociali ed economiche non liberiste. Il che significa che l’asse dell’azione politica si sposta dall’arena nazionale a quella internazionale». Chi dunque potrebbe riaprire i giochi a livello globale? Non certo le sinistre riformiste (Spd, socialisti francesi e spagnoli, Labour party), che «perdono terreno e sono destinate all’estinzione o all’assorbimento organico nelle formazioni di destra, perché all’interno di questa cornice di sistema non possono avere altra sorte». Peggio ancora le sinistre “radicali” (Linke, Front de Gauche, Izquierda Unida, Rifondazione Comunista e Sel), che «stanno subendo lo stesso declino perché non hanno iniziativa politica e non possono averla, perché, incapaci di iniziativa internazionale (neppure a livello europeo), mancano di una proposta politica che non sia pura propaganda senza contenuto».Niente di buono neppure da Grecia e Spagna: secondo Giannuli, “Syriza” è destinata al fallimento «perché non trova supporto internazionale e perché non ha il coraggio di utilizzare l’unica arma (a doppio taglio) in suo possesso: il ricatto del debitore». Quanto a “Podemos”, che lo storico dell’ateneo milanese considera «una variante intermedia fra Sel ed il M5S», è destinata ad analogo insuccesso, «perché non pensa neppure di mettere in discussione la cornice europeista». E in Italia? «Il M5S temo sia destinato a schiantarsi contro le resistenze del sistema perché, pur avendo intuito che il nodo è quello dell’ordine internazionale (come dimostra la posizione sull’euro), non riesce ad articolare questa intuizione in un progetto politico adeguatamente articolato». Per Giannuli, il Movimento 5 Stelle «non svolge alcuna azione internazionale e, quando tenta qualcosa, sbaglia (leggi Ukip), perché non ha costruito uno strumento organizzativamente adeguato allo scontro».Come si vede siamo in un cul de sac, conclude Giannuli. Un vicolo cielo, «dal quale non usciremo né con improbabili referendum e colpi di testa, né con le solite alchimie di orrendi cartelli elettorali costruiti sul nulla». Il politologo vede solo una possibilità, in termini di avvicinamento preliminare alla soluzione, nella costruzione di una piattaforma europea delle opposizioni, ancorché debolissime e divise. «Sarebbe già un passo avanti una convenzione europea, nella quale “Podemos”, “Syriza”, M5S, la “sinistra radicale”, i restanti partiti comunisti e le sinistre socialdemocratiche concordino una o più campagne europee sulla ristrutturazione del debito, sull’uscita concertata dall’euro, la revisione dei principali accordi internazionali». Certo, ammette il professore, «non sarebbe la soluzione dei nostri problemi, ma un possibile inizio». L’unica opportunità da mettere in campo, perché «il resto è già votato al fallimento».Espropriati di ogni diritto, privati del lavoro, rasi al suolo come cittadini. E’ il nuovo ordine neoliberista, e non abbiamo scampo. Lo sostiene lo storico Aldo Giannuli, che analizza l’eclissi epocale della sinistra in ogni sua forma, da quella storica – assorbita nella socialdemocrazia – a quella “radicale”, che voleva cambiare il sistema ed è in via di completa estinzione. Peggio ancora: nessuna, delle nuove formazioni politiche che si affacciano tra le macerie dell’Europa, ha le carte in regola per progettare una via d’uscita. Siamo in trappola, schiacciati dal primo comandamento della “rivoluzione neoliberista”: lo Stato dei cittadini deve morire, per lasciar posto al primato della finanza sull’economia e dell’economia sulla politica. Fine delle trasmissioni. Con tanti saluti alle illusioni del riformismo, che nei decenni del dopoguerra riuscì a convertire l’aspirazione rivoluzionaria in correzioni sociali all’interno del sistema, estensione del benessere relativo, ascensore sociale, garanzie, welfare. Tempo scaduto: i nuovi padroni del mondo non hanno più tempo per la democrazia, fabbricano leader-servi, impongono leggi, sbaraccano Costituzioni.
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L’uomo conobbe i dinosauri? Un fossile inquieta la scienza
Il corno di un triceratopo scoperto a Dawson County, Montana, nel 2012, sta mettendo in crisi l’opinione corrente secondo la quale i dinosauri si sono estinti circa 65 milioni di anni fa. La datazione al radiocarbonio del reperto, infatti, ha restituito un’età di 33.500 anni fa, il che significherebbe che uomini e dinosauri hanno camminato insieme sul nostro pianeta. Il reperto è conservato presso il Glendive Dinosaur and Fossil Museum, il quale ha richiesto la datazione di un frammento del corno alla Center for Applied Isotope Studies dell’Università della Georgia. Il campione è stato suddiviso in due parti, che sono state sottoposte a due tecniche di datazione differenti, così da valutare la coerenza dei risultati. I campioni hanno restituito rispettivamente una datazioni di 33.570 e 41.010 anni, abbastanza concordi da far saltare i paleontologi sulla sedia. Il triceratopo (nome che significa “faccia con tre corna”), infatti, è un dinosauro erbivoro che secondo le conoscenze attuali è vissuto verso la fine del Maastrichtiano (tardo Cretaceo), circa 68 milioni di anni fa, in quello che è oggi il Nord America, estinguendosi circa 66 milioni di anni fa.Dunque, come ci è arrivato un triceratopo nel periodo in cui l’uomo moderno cominciava a muovere i primi passi? In realtà, secondo gli scienziati del Paleochronology Group, un gruppo di geologi, paleontologi, chimici e ingegneri che indaga su quelle che vengono definite “anomalie della scienza”, la datazione del triceratopo non sorprende affatto, ma conferma quello che si sospetta da tempo, e cioè che i dinosauri non si sono affatto estinti milioni e milioni di anni fa, ma ci sono prove sostanziali che essi sono vissuti fino a 23.000 anni fa. Su quale fondamento è possibile affermare una cosa del genere? Fino a poco tempo fa, la tecnica del carbonio-14 non si riteneva necessaria per datare le ossa di dinosauro, dato che il test è affidabile solo fino a 55.000 anni indietro nel tempo. Poichè i fossili di dinosauro vengono spesso trovati negli strati del terreno che corrispondono a milioni di anni fa, a cosa serve datarli? Gli scienziati infatti stabiliscono l’età di un fossile di dinosauro sulla base della misurazione radiometrica dei sedimenti vulcanici depositati sotto e sopra il reperto, un metodo che secondo il Paleochronology Group presenta «seri problemi e richiede la formulazione di troppe ipotesi».«È diventato chiaro anni fa che i paleontologi non solo trascuravano di datare le ossa di dinosauro con il C-14, ma addirittura si rifiutavano», ha spiegato Hugh Miller, capo del Paleochronology Group. «Normalmente, un buon scienziato sarebbe curioso di confrontare i metodi di datazione». Secondo quanto dice Miller, i risultati della datazione del triceratopo non sono unici: numerosi test eseguiti su altre ossa di dinosauro hanno restituito tutti risultati che risalgono a migliaia di anni fa, piuttosto che a milioni di anni fa. Il fatto che i dinosauri possano essere più giovani di quanto si pensi è un’idea che numerosi ricercatori indipendenti sostengono da tempo, ritenendo che un tempo i grossi rettili e gli uomini abbiano camminato insieme sul nostro pianeta. Esistono, infatti, numerose opere d’arte antiche e manufatti che sembrano rappresentare proprio i dinosauri, realizzati migliaia di anni prima che la scienza scoprisse il primo fossile e ricostruisse il loro aspetto.Tra gli esempi più noti ci sono le controverse pietre di Ica, una collezione di pietre di andesite recanti una serie di incisioni superficiali, fra cui rappresentazioni di dinosauri e tecnologia avanzata. Sono state scoperte in una grotta vicino alla città di Ica, in Perù, e rese note dal medico peruviano Javier Cabrera Darquea. Meno controverso l’emblematico esempio offerto da un incisione in pietra posta sul tempio buddista di Ta Prohm, in Cambogia, divenuto noto come lo “Stegosauro di Ta Prohm”. Gli archeologi ritengono che il tempio di Ta Prohm risale a circa 800 anni fa. E allora, come è possibile che gli antichi cambogiani conoscessero i dinosauri, dato che i primi fossili sono stati tirati fuori sono un paio di centinaia di anni fa? In una tomba scoperta nella regione di Nazca risalente a 1300 anni fa, furono ritrovati alcuni reperti ornamentali, tra cui ceramiche e tessuti, con la rappresentazione di quelli che sembrano autentici dinosauri.Sebbene il Paleochronology Group afferma di non appartenere a un credo specifico, alcuni critici contestano i risultati perchè sarebbero viziati dalla tendenza “creazionista” di alcuni suoi componenti. Tuttavia, il gruppo di ricercatori ha replicato invitando gli scettici ad eseguire rigorose datazioni C-14 sui campioni di dinosauro il loro possesso, così da poter confrontare i risultati. Sebbene la sfida sia stata lanciata, la comunità scientifica “ortodossa” ha incredibilmente rifiutato e i precedenti tentativi di pubblicare i risultati dei test sulle riviste d’élite sono stati ripetutamente bloccati. Inoltre, è stata anche impedita la presentazione dei dati grezzi, cioè senza interpretazione, in numerosi simposi scientifici: nel 2009 dal North American Paleontological Convention, nel 2011 e 2012 dall’American Geophysical Union e dalla Geological Society of America. «Il pubblico deve essere informato sul fatto che le datazioni dei reperti e le raffigurazioni antiche dei dinosauri rendono le attuali convinzioni obsolete», ha detto Miller. «Il ruolo della scienza è quello di trovare prove, non di rimanere prigioniera delle proprie convinzioni, lasciandole cadere dove possibile».(“Uomini e dinosauri contemporanei? Il fossile che inquieta i ricercatori”, da “Il Navigatore Curioso” del 27 gennaio 2015).Il corno di un triceratopo scoperto a Dawson County, Montana, nel 2012, sta mettendo in crisi l’opinione corrente secondo la quale i dinosauri si sono estinti circa 65 milioni di anni fa. La datazione al radiocarbonio del reperto, infatti, ha restituito un’età di 33.500 anni fa, il che significherebbe che uomini e dinosauri hanno camminato insieme sul nostro pianeta. Il reperto è conservato presso il Glendive Dinosaur and Fossil Museum, il quale ha richiesto la datazione di un frammento del corno alla Center for Applied Isotope Studies dell’Università della Georgia. Il campione è stato suddiviso in due parti, che sono state sottoposte a due tecniche di datazione differenti, così da valutare la coerenza dei risultati. I campioni hanno restituito rispettivamente una datazioni di 33.570 e 41.010 anni, abbastanza concordi da far saltare i paleontologi sulla sedia. Il triceratopo (nome che significa “faccia con tre corna”), infatti, è un dinosauro erbivoro che secondo le conoscenze attuali è vissuto verso la fine del Maastrichtiano (tardo Cretaceo), circa 68 milioni di anni fa, in quello che è oggi il Nord America, estinguendosi circa 66 milioni di anni fa.
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Avidi, stupidi e bugiardi: stiamo perdendo anche gli oceani
Sono un ammiratore delle inchieste di Dahr Jamail. Nell’articolo “Oceani in crisi”, Jamail ci dice che stiamo perdendo gli oceani. Parla della distruzione degli oceani da parte dell’uomo. È una distruzione reale, con conseguenze ad ampio spettro. Il fatto è inequivocabile. Dal mio punto di vista la distruzione degli oceani da parte dell’uomo è un ulteriore sintomo della natura rovinosa del capitalismo privato. Nel capitalismo non c’è alcun pensiero volto al futuro del pianeta e dell’umanità, solo per i bonus e i profitti a breve termine. Di conseguenza i costi sociali sono ignorati. Il capitalismo può funzionare se i costi sociali ed esterni possono essere inclusi nei costi di produzione. Però le compagnie più potenti possono bloccare un capitalismo socialmente funzionante grazie ai loro contributi alle campagne politiche. Di conseguenza, sono i capitalisti stessi a fare del capitalismo un sistema disfunzionale. Potremmo aver raggiunto il punto in cui i costi esterni di produzione sono maggiori del valore del tornaconto capitalista. L’economista Herman Daly ha fatto un caso studio su questo punto.Mentre i potenti capitalisti usano l’ambiente per se stessi come una discarica gratuita, i costi accumulati minacciano la vita di tutti. Sembra che nulla possa essere fatto, poichè gli oceani sono “proprietà comune”. Nessuno ne è proprietario, per cui nessuno può proteggere la loro integrità ed il loro contenuto. Ci stiamo confrontando con la forza più distruttiva della storia: la miopia dell’umanità. L’uomo vuole distruggere l’ambiente in cui vive, le leggi che lo regolano, le verità che lo sostengono. Senza dubbio l’uomo è disposto a distruggere tutto ciò che garantisce la vita in cambio di incrementare i propri introiti nel trimestre o nell’anno successivo. Ho un amico che mi diverte raccontandomi storie su come l’essere umano sia un alieno sul pianeta terra, esiliato qui da un governo intergalattico che involontariamente si è sbarazzato dei rifiuti su un pianeta brulicante di vita. Gli inumani, non gli umani, sono stati impegnatissimi fin dal principio a sterminare una dopo l’altra le altre specie e la vita sul pianeta stesso.Nel mondo occidentale la verità sta morendo. I soldi delle aziende e dei governi hanno comprato molti scienziati, così come i media ed i politici. Gli scienziati indipendenti che restano incontrano grandissime difficoltà ad ottenere fondi per le loro ricerche, ma quelli prezzolati ne hanno di illimitati per corroborare le loro bugie. Gli scienziati, come i giornalisti, migliorano la loro posizione mentendo per l’establishment. Quelli che dicono la verità e le talpe sono definiti “estremisti domestici”, “terroristi” e sono sotto stretta sorveglianza. Alcuni sono stati arrestati con il sospetto che avrebbero potuto commettere un crimine in futuro. Qui negli Usa abbiamo la strategia di Jeremy Bentham di arrestare i “sospetti” prima che commettano un crimine sulla base del fatto che possano commetterlo in futuro. Il tutto mentre i governi di Usa e Gran Bretagna, Australia e Canada stanno compiendo crimini efferati contro altre nazioni nel mondo, in cui le popolazioni, come quelle di Iraq, Libia, Siria, Afghanistan, Palestina, Somalia, Yemen, Pakistan, Ucraina, non contano nulla. Queste persone sono sacrificabili, mediocri, come i vietnamiti, laotiani, Cherokee, Sioux, Apache, etc. Queste persone non contano. Siamo noi statunitensi a contare. Noi siamo “eccezionali”. Noi siamo “indispensabili”.(Paul Craig Roberts, “La distruzione degli oceani”, dal blog di Craig Roberts del 1° aprile 2015, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Sono un ammiratore delle inchieste di Dahr Jamail. Nell’articolo “Oceani in crisi”, Jamail ci dice che stiamo perdendo gli oceani. Parla della distruzione degli oceani da parte dell’uomo. È una distruzione reale, con conseguenze ad ampio spettro. Il fatto è inequivocabile. Dal mio punto di vista la distruzione degli oceani da parte dell’uomo è un ulteriore sintomo della natura rovinosa del capitalismo privato. Nel capitalismo non c’è alcun pensiero volto al futuro del pianeta e dell’umanità, solo per i bonus e i profitti a breve termine. Di conseguenza i costi sociali sono ignorati. Il capitalismo può funzionare se i costi sociali ed esterni possono essere inclusi nei costi di produzione. Però le compagnie più potenti possono bloccare un capitalismo socialmente funzionante grazie ai loro contributi alle campagne politiche. Di conseguenza, sono i capitalisti stessi a fare del capitalismo un sistema disfunzionale. Potremmo aver raggiunto il punto in cui i costi esterni di produzione sono maggiori del valore del tornaconto capitalista. L’economista Herman Daly ha fatto un caso studio su questo punto.