Archivio del Tag ‘eurobond’
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Der Ring, il Tempio occulto da cui fare a pezzi l’Europa
L’Europa è a un bivio, incastrata all’interno di una cornice istituzionale che non può più reggere a lungo. Il processo di dolosa spoliazione del benessere dei popoli che abitano il vecchio continente, specie di quelli mediterranei, è in fase avanzata. Grecia, Portogallo e Spagna sono al collasso, mentre Italia e Francia boccheggiano. I perversi architetti che reggono le fila di tale disumana operazione, ovvero Draghi, Merkel e Schäuble su tutti, conoscono perfettamente le conseguenze politiche che una prolungata crisi economica giocoforza produce. Alla lunga, l’aumento esponenziale della povertà e della disoccupazione favorisce l’ascesa al potere di nuovi potenziali dittatori, pronti a cavalcare la crescente sfiducia nei confronti della democrazia e del parlamentarismo. Basti ripensare alla nascita del fenomeno nazista per rendersene conto. Ora, alla luce di tale macroscopica evidenza verrebbe da domandarsi: perché Draghi e Schäuble, protagonisti all’interno di una superloggia tenebrosa come la “Der Ring”, fanno di tutto per esasperare il quadro politico delle nazioni periferiche dell’Unione Europea?Forse perché entrambi, europeisti a parole, lavorano invece concretamente per favorire il ritorno in auge di un nazionalismo violento e autoritario? Il dubbio pare fondato, specie approfondendo il curriculum massonico dei sopramenzionati personaggi. Mario Draghi, per esempio, è affiliato anche presso la Ur-Lodge “Three Eyes”, officina latomistica esperta nell’organizzazione di colpi di Stato a matrice militare. Per non parlare di Wolfang Schäuble, “maestro venerabile” di una superloggia, la “Der Ring” per l’appunto, strettamente collegata ad altre Ur-Lodges sanguinarie e pericolosissime come la “Geburah” e la “Hathor Pentalpha”. Per inciso, furono proprio alcuni torvi emissari dell’officina guidata dall’attuale ministro delle finanze tedesco a riportare fin da subito il presidente Hollande a più miti consigli. Come ricorderete, il capo dei socialisti francesi vinse le elezioni del 2012 promettendo il varo degli eurobond e la fine delle politiche di austerità. Promesse divenute ben presto lettera morta. Un sapiente mix di blandizie e minacce, infatti, “normalizzò” rapidamente l’operato di Hollande, pronto per quieto vivere a calarsi con nonchalance nei panni del burattino etero-diretto da Angela Merkel.Si è mai visto un musicista che odia la musica? No. Bene, allo stesso modo non può esistere un europeista ferocemente contrario all’introduzione degli eurobond. Draghi e Schäuble sono infatti a tutti gli effetti degli anti-europeisti, ora finalmente smascherati dall’intraprendenza di Tsipras, premier greco bravo nell’evidenziare e mettere a nudo tutte le insostenibili incongruenze che accompagnano le scelte dei massimi dirigenti continentali. Pur di non dare fiato alla piccola Grecia, il cui Pil è pressoché irrilevante se valutato in un’ottica di insieme, Draghi e Schäuble sembrerebbero perfino disposti a negare liquidità al circuito bancario dell’Ellade. Si tratta di una ipotesi ricattatoria, scellerata e meschina, ventilata con il chiaro intento di costringe il governo greco a tornare forzatamente all’uso della dracma. Figuri come Draghi e Schäuble lavorano oramai a viso aperto al fine di estirpare il concetto stesso di europeismo dal cuore dei cittadini.Come ha ben sottolineato giorni fa lo scrittore Slavoj Zizek, le libertà economiche non sono più fedeli compagne delle libertà civili e politiche. In Oriente si sono progressivamente affermati sistemi che coniugano senza imbarazzo libertà sul piano economico e repressione su quello politico. A questo paradigma, già con successo sperimentato in una parte importante del mondo, si ispirano i contro-iniziati Schäuble e Draghi. Il redde rationem però si avvicina. Da una parte i fautori del “modello cinese” proveranno o a cristallizzare la situazione attuale o, in caso di oggettiva impossibilità, ad imporre nei paesi periferici dell’Unione dei governi filonazisti controllati dal centro. Dall’altra tutti i sinceri democratici e progressisti, fedeli ai valori di libertà ed uguaglianza, cercheranno di sconfiggere con coraggio e orgoglio le forze della reazione, dotando finalmente l’Europa di un governo democratico legittimato dalla fiducia espressa dal Parlamento Europeo in rappresentanza della volontà e della sovranità popolare. In questo senso, il timido sostegno garantito da Barack Obama al suo omologo greco è di buon auspicio per il prossimo futuro. Il destino dell’Europa dei prossimi decenni passa da questa delicata strettoia.(Francesco Maria Toscano, “Draghi e Schäuble sono i veri anti-europeisti”, dal blog “Il Moralista” del 9 febbraio 2015).L’Europa è a un bivio, incastrata all’interno di una cornice istituzionale che non può più reggere a lungo. Il processo di dolosa spoliazione del benessere dei popoli che abitano il vecchio continente, specie di quelli mediterranei, è in fase avanzata. Grecia, Portogallo e Spagna sono al collasso, mentre Italia e Francia boccheggiano. I perversi architetti che reggono le fila di tale disumana operazione, ovvero Draghi, Merkel e Schäuble su tutti, conoscono perfettamente le conseguenze politiche che una prolungata crisi economica giocoforza produce. Alla lunga, l’aumento esponenziale della povertà e della disoccupazione favorisce l’ascesa al potere di nuovi potenziali dittatori, pronti a cavalcare la crescente sfiducia nei confronti della democrazia e del parlamentarismo. Basti ripensare alla nascita del fenomeno nazista per rendersene conto. Ora, alla luce di tale macroscopica evidenza verrebbe da domandarsi: perché Draghi e Schäuble, protagonisti all’interno di una superloggia tenebrosa come la “Der Ring”, fanno di tutto per esasperare il quadro politico delle nazioni periferiche dell’Unione Europea?
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Il Fiscal Compact? Provano a nasconderlo ipotecando l’oro
Cancelliamo il Fiscal Compact? Forse, ma in compenso ipotechiamo gli Stati, dalle aziende leader alla riserva aurea, facendo persino riscuotere le tasse a un soggetto esterno, non più nazionale, in cambio dell’emissione di eurobond garantiti dall’Ue. «L’idea base di questo progetto è italiana, in quanto i primi a lanciarla, nell’agosto 2011, sono stati Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio». L’ipotesi è poi piaciuta anche agli economisti tedeschi che affiancano il governo di Berlino, i quali hanno anche suggerito alcune clausole sugli aspetti patrimoniali, pur manifestando il consueto scetticismo sugli eurobond. Tutto questo, a quanto pare, sarebbe stato architettato per tenere in piedi l’euro. A questo accordo, spiega Tino Oldani su “Italia Oggi”, starebbero lavorando in segreto economisti e politici di diversi paesi. «La novità centrale sarebbe l’istituzione di un nuovo fondo, l’European Redemption Fund (Fondo per il rimborso del debito), le cui caratteristiche sono illustrate in un “paper” dell’economista Luca Boscolo, discusso il 22 novembre scorso alla London School of Economics».Il punto di partenza sarebbe l’archiviazione del Fiscal Compact, maxi-tagliola approvata con perfetto autolesionismo dai paesi dell’Eurozona per volere dal “partito dell’austerità”? In breve, ricorda il blog “Senza Soste”, si tratta dello sciagurato accordo che impegna gli Stati a tagliare la spesa pubblica per comprimere il debito fino al 60% del Pil. In Italia si tratterebbe di 50 miliardi all’anno, per vent’anni. «Approvato quasi in segreto dal Parlamento, con il voto entusiasta del centrosinistra, il Fiscal Compact è velocemente sparito dalla scena», data la paura provocata da un’amputazione così abnorme del bilancio statale. Così, cominciano a circolare strane ipotesi: il debito considerato “in eccesso”, gravato dagli interessi passivi e divenuto “tossico” in quanto denominato in moneta non sovrana, finiebbe in una sorta di “bad bank” che lo governerebbe, usando come garanzia l’emissione di eurobond e le riserve auree dei vari paesi. Ma attenzione alle clausole-capestro: se un paese non paga, la “bad bank del debito” dovrebbe riscuotere direttamente le tasse, al posto dello Stato.Impossibile, ovviamente, tornare alla moneta nazionale. Per contro, ogni paese dell’Eurozona dovrebbe ipotecare il proprio oro e le principali aziende statali, oltre a dare l’ok a un soggetto esterno per la riscossione coercitiva delle tasse. A monte, l’obiettivo sarebbe completamente fuorviante: contenere il debito pubblico, che in realtà è proprio il motore dello sviluppo. Un lettore del “Corriere della Sera”, Mario Bocci, in una lettera al quotidiano milanese osserva: «Il debito è aumentato in ottobre di 23,5 miliardi e ha raggiunto quota 2.157,5 miliardi. Come faremo a pagare il Fiscal Compact?». Nonostante le manovre e le tasse, il debito cresce ogni anno. Attualmente rappresenta il 135,6% del Pil italiano. «In Europa – scrive “Italia Oggi” – ci supera soltanto la Grecia (174,1%), mentre la media dell’Eurozona è del 93,9%, con la Germania al 77,3%». Rispondere a Bocci non è facile, ammette Oldani, e il “Corriere” non ci ha neppure provato. Renzi ha proposto ai partner europei più flessibilità? Angela Merkel ha avuto gioco facile a bocciarlo, ribadendo le solite false verità neoliberiste, secondo cui non si può fare crescita aumentando la spesa e il debito pubblico.A smentire la Merkel è la storia: l’intero boom economico del dopoguerra, negli Usa e in Europa (e in particolare in Germania) è stato innescato esattamente dagli enormi investimenti statali, spesa pubblica a deficit, quindi debito pubblico. Ma visto che la verità è stata bandita dall’Eurozona, tiene banco il bullismo politico della cancelliera, longa manus delle banche tedesche. Solo che oggi il giocattolo degli speculatori si sta incrinando: «Tra gli economisti, c’è chi considera ormai fallita la moneta unica europea, e ne prevede sempre più vicina la “ropture”», annota Oldani. «Altri prevedono invece che l’euro sarà tenuto in vita grazie a un nuovo accordo europeo, destinato a superare il Fiscal Compact. E qui sta la vera novità, di cui non c’è ancora traccia nel dibattito politico». Così com’è, sostiene Luca Boscolo, l’euro ha troppi difetti per poter durare. E gli interventi della Troika per far rispettare il Fiscal Compact hanno peggiorato dovunque la situazione, invece di migliorarla. Inoltre, l’euro ha provocato pesanti squilibri nell’Eurozona, che lo stesso Fmi ha riconosciuto in un rapporto del luglio 2014: è una moneta sottovalutata in Germania (del 15%), mentre è sopravvalutata (10-14%) nei paesi periferici. Questo ha creato le condizioni per il surplus commerciale dell’export tedesco, superiore al 6% da tre anni, dunque passibile di sanzioni Ue, come lo è lo sforamento del 3% nel rapporto deficit-Pil.«Una situazione esplosiva, che mette in conflitto i paesi più forti con quelli più deboli, dalla quale si può uscire soltanto superando il Fiscal Compact». Come? Tra le soluzioni all’esame della Commissione Europea, rivela Boscolo, vi è appunto l’European Redemption Fund (Erf), in cui mettere tutte le eccedenze del debito dei paesi che sforano il limite del 60%. Dalle prime bozze, il Fondo Erf, da istituire con un nuovo trattato europeo, avrebbe le precise caratteristiche. La prima: il Fondo potrà emettere eurobond sui mercati, dando in garanzia i beni dello Stato interessato, oltre alle riserve valutarie e a quelle auree. Poi: in caso di mancato pagamento dei bond da parte degli Stati interessati, il Fondo potrà incassarne direttamente le tasse. Terza mossa: gli Stati aderenti non avranno più giurisdizione sul loro debito pubblico e non potranno più tornare alla moneta nazionale. Nel caso dell’Italia, spiega Boscolo, la parte del debito che eccede il 60% è pari a 1.182 miliardi: questa sarà la quota che dovrebbe andare nell’Erf. A garanzia dei bond, il nostro paese dovrebbe impegnare i propri asset di valore, cioé beni dello Stato come Eni, Enel e Finmeccanica, oltre alle riserve valutarie e auree.Vantaggi dell’operazione? Riduzione dell’eccesso di debito, medesimi tassi d’interesse nel mercato europeo dei bond, stabilizzazione sui mercati del debito pubblico, con tassi d’interesse più bassi. In definitiva, sparirebbe il rischio di bail-out (salvataggio): niente più prestiti di denaro agli Stati indebitati. Risultato: lunga vita per l’euro. Nemmeno per sogno, dice Boscolo, che ne descrive i rischi: «Sarà l’inizio della fine degli Stati così come li abbiamo conosciuti. Finiranno nelle mani dei grandi capitalisti, i quali hanno voluto l’euro e la globalizzazione per acquistare a prezzi stracciati gli asset dei paesi con moneta debole, per poi rivederli con ottimi guadagni, distruggendo così l’economia locale e impoverendone i cittadini». Va inoltre ricordato che ogni possibile soluzione – se si resta nell’euro – è votata al fallimento dello Stato democratico, premiando esclusivamente l’élite finanziaria. Solo grazie all’euro, infatti, il debito pubblico è diventato un problema esplosivo: non essendo più denominato in moneta sovrana (l’euro non è di nessuno, nemmeno della Bce), il debito in Eurozona va “garantito”, a spese dell’economia reale. Se lo Stato tornasse libero di fare il suo “mestiere”, e cioè realizzare la piena occupazione, secondo gli economisti della Mmt non avrebbe più neppure bisogno di emettere bond, gli basterebbe disporre liberamente di moneta. E il nostro debito farebbe la fine di quello del Giappone, che è enorme (quasi il doppio di quello italiano) ma non costituisce un problema, perché è sovrano e dunque sempre ripagabile, in qualsiasi momento.Cancelliamo il Fiscal Compact? Forse, ma in compenso ipotechiamo gli Stati, dalle aziende leader alla riserva aurea, facendo persino riscuotere le tasse a un soggetto esterno, non più nazionale, in cambio dell’emissione di eurobond garantiti dall’Ue. «L’idea base di questo progetto è italiana, in quanto i primi a lanciarla, nell’agosto 2011, sono stati Romano Prodi e Alberto Quadrio Curzio». L’ipotesi è poi piaciuta anche agli economisti tedeschi che affiancano il governo di Berlino, i quali hanno anche suggerito alcune clausole sugli aspetti patrimoniali, pur manifestando il consueto scetticismo sugli eurobond. Tutto questo, a quanto pare, sarebbe stato architettato per tenere in piedi l’euro. A questo accordo, spiega Tino Oldani su “Italia Oggi”, starebbero lavorando in segreto economisti e politici di diversi paesi. «La novità centrale sarebbe l’istituzione di un nuovo fondo, l’European Redemption Fund (Fondo per il rimborso del debito), le cui caratteristiche sono illustrate in un “paper” dell’economista Luca Boscolo, discusso il 22 novembre scorso alla London School of Economics».
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Il marcio Juncker? Perfetto per imporre all’Europa il Ttip
Imbarazzante, impresentabile, ricattabile. Cioè perfetto, per eseguire ordini senza discutere. E’ l’increscioso profilo del lussemburghese Jean-Claude Juncker, imposto dalla Germania alla guida della Commissione Europea. A tracciare il “nuovo” identikit di Juncker, massimo protettore europeo dell’evasione fiscale per i super-ricchi, è l’esplosivo dossier realizzato da Icij, consorzio internazionale di giornalisti basato negli Usa. In realtà, precisa Paolo Raffone, l’indagine svela una realtà già arcinota: da piccolo paese agricolo, il Lussemburgo si è trasformato in potenza finanziaria, collegata sia alla Svizzera sia alla corona britannica, e dagli anni ‘70 ha accomodato convenientemente gli interessi finanziari, con la massima discrezione, di Stati, imprese e facoltose famiglie. Semmai, l’offensiva anche mediatica contro l’indifendibile Juncker – a sua volta a capo di un’istituzione ormai famigerata come la Commissione Europea – può solo preludere a una stretta finale della finanza e delle multinazioni anglosassoni, che attraverso le loro potentissime lobby premeranno sul lussemburghese per ottenere la capitolazione dell’Europa di fronte al Ttip, il Trattato Transatlantico che metterebbe fine alla residua sovranità europea sulle merci e sulla tutela del suolo, della salute e della sicurezza alimentare.L’anello debole, oggi, si chiama innanzitutto Juncker. Qualcuno, scrive Raffone sul “Sussidiario”, dovrebbe ricordarsi dello scandalo Clearstream (“flusso pulito”), esploso grazie a un giornalista tra il 2001 e il 2002, che dimostrava come dagli anni ‘70 era stata creata una “camera di compensazione” per rendere non tracciabili le transazioni finanziarie. «Clearstream serviva da piattaforma “legale” per le compensazioni inter-bancarie (attività perfettamente illegale) che offriva soluzioni mondiali per l’evasione fiscale e il riciclaggio di denaro». Finite nel nulla le prime inchieste giudiziarie avviate in Lussemburgo e in Francia. Seguì una seconda indagine francese, nota come “Clearstream 2”, che attorno alla costituzione di fondi neri dell’industria franco-tedesca della difesa, Eads, coinvolse il presidente Jacques Chirac e il ministro Dominique De Villepin, ma anche indirettamente il presidente Nicolas Sarkozy e numerosi membri dell’establishment francese, oltre a oligarchi russi e narcotrafficanti colombiani. Nel 2013 si concluse con l’assoluzione dei molti politici coinvolti e la condanna di alcuni alti dirigenti della Eads.Un’indagine parlamentare, diretta dall’ex ministro socialista Arnaud Montebourg (poi silurato da Hollande perché contrario al rigore della Troika) si è limitata alla pubblicazione di un rapporto sul riciclaggio, mentre un’indagine del Parlamento Europeo «ricevette l’incredibile risposta dell’allora commissario Frits Bolkestein che ritenne che “non vi erano ragioni di non credere alle autorità del Lussemburgo”». Nel 2006, continua Raffone, l’eurodeputato olandese Paul Van Buitenen, famoso per aver denunciato lo scandalo di corruzione che fece cadere la Commissione Santer, contestò a Barroso la presenza di Frits Bolkestein nella Commissione, visto che lo stesso era nel consiglio di amministrazione della Shell che aveva conti “occulti” con Clearstream. La risposta di Barroso? Burocraticamente evasiva, in pieno stile Ue: un altro lussemburgese, Jacques Santer, nel 1999 fu costretto a dimettersi da presidente della Commissione Europea per un caso di corruzione. Dal 2002, aggiunge Raffone, Clearstream è controllata al 100% da Deutsche Borse. E, insieme alla consorella Euroclear, che fu di Jp Morgan, è il secondo oligopolista mondiale come “depositario centrale internazionale”, cioè dove si trattano tutti gli eurobond e si opera la “clearence” delle transazioni, dai derivati ai conti bancari.Nel 2011, dopo 10 anni, Clearsteram ha perso tutte le cause contro Denis Robert, il giornalista che aveva reso nota la “lavanderia del Lussemburgo”. Clearstream è da sempre legalmente basata in Lussemburgo, continua Raffone, mentre Euroclear è in Belgio, dove dal 1973 risiede anche Swift, cioè il monopolista mondiale della rete di telecomunicazione per le relazioni finanziarie interbancarie, con oltre 9.000 istituzioni collegate in più di 209 paesi. «Coincidenze o il Benelux ha qualcosa di “speciale”?». Per Raffone, l’offensiva anti-Juncker coincide con la grave sconfitta di Obama nelle elezioni di midterm. E i finanziatori della Icij sono tutti anglosassoni, «ampiamente membri delle élites della mondializzazione e del “nuovo ordine mondiale”», mai teneri con l’Europa. Tra loro spiccano la Open Society Foundation (americana, legata a Soros), la Ford Foundation (americana, con collegamenti israeliani), la Adessium Foundation (famiglia Van Vliet, olandese naturalizzata americana e specializzata in asset management), il Sigrid Rausing Trust (famiglia di origine svedese proprietaria della Tetra Pack, basata nel Regno Unito), la David and Lucile Packard Foundation (la famiglia americana fondatrice di Hp), e poi Pew Charitable Trusts (americana, svolge attività di lobbying nel settore pubblico e possiede il terzo più influente think tank di Washington) e la Waterloo Foundation (britannica, impegnata nelle cause ambientaliste).Quanto allo scandalo attuale, che coinvolge «la reputazione e la credibilità di Jean-Claude Juncker nella sua nuova funzione di presidente della Commissione Europea», per Raffone bisogna partire dal passato recente di Juncker che, nel luglio 2013, dopo 18 anni da primo ministro del Lussemburgo, ha dovuto rassegnare le sue dimissioni in seguito allo scandalo delle “intercettazioni segrete” che, per sua negligenza e omesso controllo e vigilanza, i servizi segreti del Granducato avevano compiuto per alcuni anni. «I fatti dell’inchiesta riferiscono che tra il 2004 e il 2009, oltre alle 300 schede personali di politici e imprenditori e almeno 13.000 “fiches d’information” sui 500.000 abitanti, erano state eseguite violando tutte le leggi vigenti». Secondo il capo dei servizi lussemburghesi, durante la guerra fredda erano oltre 300.000 le “note d’ascolto” collezionate dall’agenzia statale. «Inoltre, sono emerse anche commistioni tra il mondo dell’intelligence lussemburghese, gli affari finanziari, il dipartimento delle imposte e alcune aziende che forniscono beni di lusso».Decisamente grave, per il leader di un paese fondatore dell’Ue. «Possibile che nessuno abbia trovato che già questo evento fosse sufficiente a far dubitare dell’onorabilità di Jean-Claude Juncker prima della sua recente elezione a capo della Commissione Europea?». Eppure era persona ben conosciuta, premier dal 1995 al 2013, poi ministro delle finanze, e infine (dal 2005 al 2013) primo presidente dell’Eurogruppo. «Nessuno sapeva? La spiegazione – afferma Raffone – è che a livello dell’Unione Europea vige la regola dell’omertà, che si cristallizza nella relazione incestuosa tra le alte burocrazie nazionali e le tecnocrazie europee». Pletoriche e tardive le proteste di politici come Gianni Pittella o del belga Guy Verohstadt, del gruppo Alde. Juncker dovrebbe “fare chiarezza” al Parlamento Europeo? «È una farsa che avrebbero potuto risparmiarci. Più dignitosa è stata la difesa d’ufficio del capogruppo Ppe, il tedesco Manfred Weber, che reclama “l’imparzialità” di Juncker.», mentre «la voce più chiara è stata quella di Marine Le Pen, del Fn francese, che ha chiesto le dimissioni incondizionate di Juncker e della sua Commissione».Strada senza uscita, scrive Raffone: se Juncker cade, crolla tutto. Ma se resta al suo posto, la credibilità delle istituzioni europee «sarà indecentemente rovinata». Ipotesi: «Un aiuto a quella creazione del “caos” che a certa parte dell’establishment americano, soprattutto dopo la vittoria dei repubblicani, fa molto comodo per “disciplinare” gli europei nell’alleanza transatlantica?». Scandaloso non è solo il regime fiscale del Lussemburgo, ma anche il fatto che Juncker, come premier, abbia concluso oltre 340 accordi con multinazionali perché la loro tassazione fosse inesistente oppure dell’1%. E ancor più grave, aggiunge Raffone, è che questi accordi fossero segreti. «Le solite società di auditing hanno fatto il resto. La patetica difesa della Pwc ricorda quella della blasonata Arthur Andersen quando nel 2007 esplose il caso della Aig americana, che portò alla chiusura di quella “casa di contabili”. Perché Juncker lo ha permesso? E per conto di chi?». Niente di nuovo, comunque: «Per qualsiasi piccolo investitore che cercasse di “ottimizzare” la propria tassazione, era ben noto che in Lussemburgo si potesse “triangolare” con estrema facilità e compiacenza del governo per fare schemi di elusione fiscale trans-europei, coinvolgendo società di comodo in Belgio, Olanda, Polonia, Germania, Italia, Spagna e Regno Unito, senza disdegnare la Svizzera e lo Stato americano del Delaware. Insomma, un gioco fai da te, disponibile anche su Internet».C’è da chiedersi perché la Germania abbia fatto la voce grossa con il principato del Liechtenstein – i famosi nomi trafugati dai servizi tedeschi – mentre sul “suo” Lussemburgo tace. Probabilmente, ipotizza Raffone, il Liechtenstein era uno specchietto per le allodole, mentre la “ciccia” era chiaramente nel Granducato. «Nella guerra finanziaria in corso tra il sistema angloamericano, che in Europa è rappresentato dalla City di Londra, e quello “Ost” rappresentato dalla Germania, per capirci tra Euroclear e Clearstream, questa volta i falchi anglosassoni hanno colpito l’Ue per punire la Germania». Quest’ultima è rea di pensare a un eventuale “Eurogruppo 2” e si è permessa di sfidare il Regno Unito, chiedendo che «decida subito cosa fare, se stare o meno nell’Ue». Detto fatto, reazione puntuale: «A farne le spese non sarà solo la Germania, ma tutti i paesi dell’Eurozona». Juncker? «E’ stato una pessima scelta anche per la Germania», che si è affidata a un politico iper-ricattabile da troppi poteri. Per esempio, gli americani: «Obama deve rabbonire i suoi falchi, ormai vincitori a casa sua. Quindi può avere una sola possibilità per farlo: la resa incondizionata e definitiva dell’Unione Europea all’egemone americano. Primo passo, la firma del Ttip prima del prossimo Consiglio Europeo di dicembre». Forse, conclude Raffone, Renzi e la Mogherini lo avevano intuito, e quindi sin da subito avevano dichiarato che «il Ttip non è solo un accordo commerciale, ma strategico, una scelta culturale».Imbarazzante, impresentabile, ricattabile. Cioè perfetto, per eseguire ordini senza discutere. E’ l’increscioso profilo del lussemburghese Jean-Claude Juncker, imposto dalla Germania alla guida della Commissione Europea. A tracciare il “nuovo” identikit di Juncker, massimo protettore europeo dell’evasione fiscale per i super-ricchi, è l’esplosivo dossier realizzato da Icij, consorzio internazionale di giornalisti basato negli Usa. In realtà, precisa Paolo Raffone, l’indagine svela una realtà già arcinota: da piccolo paese agricolo, il Lussemburgo si è trasformato in potenza finanziaria, collegata sia alla Svizzera sia alla corona britannica, e dagli anni ‘70 ha accomodato convenientemente gli interessi finanziari, con la massima discrezione, di Stati, imprese e facoltose famiglie. Semmai, l’offensiva anche mediatica contro l’indifendibile Juncker – a sua volta a capo di un’istituzione ormai famigerata come la Commissione Europea – può solo preludere a una stretta finale della finanza e delle multinazioni anglosassoni, che attraverso le loro potentissime lobby premeranno sul lussemburghese per ottenere la capitolazione dell’Europa di fronte al Ttip, il Trattato Transatlantico che metterebbe fine alla residua sovranità europea sulle merci e sulla tutela del suolo, della salute e della sicurezza alimentare.
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Basta Ue: sovranità nazionale, per salvare la democrazia
Rivendicare la sovranità nazionale e disobbedire al Patto di Stabilità imposto dalla Troika:«Occorre una rottura, un bagno di realismo e uno scatto di coraggio di fronte a questa crisi e a questa Unione Europea che opprime e disunisce i popoli europei». L’ideologia dell’europeismo lubrifica il diktat economico dell’Ue, vera causa della catastrofe, mentre le ultime elezioni rivelano i sentimenti di un’opinione pubblica che «diventerà prevedibilmente sempre più anti-Unione Europea», avverte Enrico Grazzini. Senza una rivolta politica radicale la musica non cambierà, perché «alla base della politica europea e tedesca dell’austerità senza fine, della deflazione e della disoccupazione di massa ci sono i trattati di Maastricht, e poi del Fiscal Compact, del Two Pack e Six Pack», già sottoscritti dai governi di centrodestra e centrosinistra. «Senza modificare o ripudiare questi trattati-capestro è praticamente impossibile rilanciare la spesa pubblica e invertire l’attuale rotta europea», che ci sta portando al disastro.Sono proprio quei trattati-sciagura che la Merkel impugna per imporre la sua politica «suicida e insostenibile», con «regole rigidissime sui limiti ai deficit pubblici», in una situazione già drammatica in cui «gli investimenti privati e i consumi sono in caduta libera». E’ storia: «Grazie all’Ue, l’Europa è diventata da anni il malato grave dell’economia mondiale, e non riesce a vedere la fine del tunnel». L’Unione Europea uscita da Maastricht, scrive Grazzini su “Micromega”, «non è la patria degli europei», ma solo un’istituzione intergovernativa oppressiva. Modificare i trattati è pressoché impossibile, perché servirebbe l’unanimità degli Stati? «L’unica possibilità è allora di ripudiarli, di uscire da queste regole rovinose: disconoscere i trattati significa percorrere una strada difficile e dolorosa, piena di rischi, ma probabilmente non esistono alternative», anche se nemmeno la Lista Tsipras se n’è ancora resa conto: «La sinistra è culturalmente succube di un europeismo federalista che oggi ormai è completamente fuori dalla realtà».Parlano i fatti: il Parlamento Europeo, eletto solo dal 40% della popolazione del continente, è dominato da una coalizione pro-austerità ancora più larga di quella prevista prima delle elezioni: democristiani, socialisti e liberali. La Commissione Europea verrà guidata dal lussemburghese Juncker, che «rappresenta da sempre gli interessi della grande finanza europea». In ogni caso saranno i governi, «quello tedesco su tutti», a decidere le questioni economiche e politiche di sostanza. Tsipras sperava che i socialisti europei cambiassero la loro politica pro-Merkel, svoltando verso la crescita dell’occupazione? Per questo volevano Martin Schulz come presidente, ma «il compagno Schulz», è stato confermato alla guida del Parlamento Europeo «da democristiani e liberali», e quindi non cambierà politica, senza contare che Strasburgo «può poco o nulla in materia economica, monetaria e fiscale».I trattati come il Fiscal Compact riguardano direttamente i governi, e quello tedesco determina le politiche economiche dell’Unione e dell’Eurozona: «La Germania non mollerà sugli eurobond e non prende neppure in considerazione la possibilità di una maggiore solidarietà europea», continua Grazzini. «E ovviamente Germania, Francia e naturalmente la Gran Bretagna, nonostante i bei discorsi di Renzi, si oppongono a ogni lontanissima ipotesi di federazione europea». Anche Syriza dovrà rivedere la sua linea: in Grecia ha vinto, ma non al punto da conquistare il governo. La situazione greca resta disperata: il debito esplode e il paese è virtualmente fallito, a causa «dell’ingordigia delle banche tedesche e francesi che in tempi di vacche grasse hanno prestato enormi somme a governi corrotti». Quest’anno Atene ha raggiunto una bilancia commerciale in attivo e un avanzo di bilancio pubblico, quindi non ha più bisogno di capitale estero: secondo alcuni analisti, alla Grecia comviene dichiarare default, tornare alla moneta nazionale e svalutare per recuperare competitività verso l’estero. Una strada senza alternative, per un paese strangolato: «Se anche vendesse il Partenone, il suo debito pubblico continuerebbe ad aumentare a causa del pagamento degli interessi sul debito estero».Se la destra finanziaria tedesca impone un neoliberismo neo-feudale al resto d’Europa, all’appello manca – disastrosamente – la sinistra, assente o addirittura complice della “dittatura” tecnocratica. In altre parole, dice Grazzini, questa Unione Europea è semplicemente antieuropea. Per cui, «al posto di nutrirsi, come il giovane Renzi, di nobili e vacue illusioni federaliste sugli Stati Uniti d’Europa, la sinistra europea dovrebbe riconoscere una realtà sempre più evidente: l’Unione Europea nata a Mastricht non è e non sarà mai l’Unione dei popoli europei», ma solo un organismo intergovernativo «che intende garantire la sottomissione degli Stati europei agli imperativi della grande finanza tedesca e internazionale». La Ue «è prona ai diktat dei mercati finanziari e non ascolta il grido di dolore dei cittadini: se mai c’è una istituzione che, come anticipava Marx, rappresenta il “comitato d’affari” del grande capitale, questa è proprio la Ue».Per capire la Ue è meglio leggere Machiavelli piuttosto che Mazzini o Spinelli, aggiunge Grazzini. Bruxelles è un mostro giuridico, che ha tradito le aspettative dei leader del dopoguerra, da De Gasperi a Adenauer, mentre «la politica federalista di Spinelli era già fallita a causa del nazionalismo francese». Il quadro europeo è cambiato di colpo con la caduta del Muro di Berlino, la nascita della nuova potenza tedesca e la creazione dell’euro. E attenzione: «Due socialisti hanno cambiato (in peggio) la storia d’Europa: il francese Mitterrand e il tedesco Schroeder. Il primo ha imposto la moneta unica alla Germania, accettando però che l’euro fosse fin dalla nascita un marco mascherato; il secondo ha creato, con la deregolamentazione del mercato del lavoro in Germania, con l’introduzione dei mini-jobs e la sua politica pro-business e pro petrolio russo, le condizioni della supremazia tedesca. Da allora, la storia europea è dominata dall’economia e dagli interessi tedeschi».L’euro di Maastricht «ha reso impossibili le svalutazioni e le rivalutazioni», e con la crisi globale del 2008 stava per saltare: «Lo ha salvato la Merkel, concedendo che la Bce di Mario Draghi intervenisse in sua difesa “con tutti i mezzi possibili”», ma «solo perché conveniva alla Germania che l’euro non finisse nel caos». Questa moneta unica, di cui gli Stati non hanno più il controllo, non elimina solo la sovranità nazionale: «Divide strutturalmente le economie e impedisce uno sviluppo sostenibile. E’ una gabbia rigida e stupida, e mortale per le nazioni meno competitive». Infatti, l’impossibilità di svalutare all’esterno i prezzi dei prodotti nazionali – come invece fanno «senza vergogna e con successo» gli Usa, la Cina e il Giappone – comporta automaticamente la necessità di «svalutare internamente il lavoro e il proprio patrimonio pubblico e privato», e infine di «offrirsi in vendita ai paesi creditori per ripagare i debiti».La crisi ha reso evidenti i limiti della gabbia monetaria disegnata a Maastricht, continua Grazzini. «Dilagano la disoccupazione e la deindustrializzazione a favore del capitale estero, mentre continuano ad aumentare i debiti pubblici degli Stati periferici, come l’Italia». Prevedibilmente, la Ue non cambierà politica, anzi «diventerà sempre più rigida nel chiedere il rispetto del Fiscal Compact», intervenendo «in maniera sempre più autoritaria» nelle economie dei singoli paesi, «dettando le sue ricette anche a livello fiscale e di spesa pubblica». Bruxelles impone il taglio della spesa sociale, più tasse sui consumi, la privatizzazione del welfare e dei beni comuni, la deregolamentazione selvaggia del mercato del lavoro con i mini-job alla tedesca e la messa sul mercato delle industrie strategiche nazionali, amputando anche il risparmio dei cittadini e delle banche. La stessa Unione Bancaria «è funzionale alla politica di centralizzazione dei capitali». Idem «le controriforme di Renzi», anch’esse «funzionali al disegno europeo e agli imperativi dei mercati finanziari».Ma, anche se Renzi riuscisse a fare i “compiti a casa”, «cioè a ottenere un Senato debole e non eletto dai cittadini, una legge elettorale ultra-maggioritaria, l’introduzione dei mini-job a 400 euro al mese», il premier «non avrà nulla dall’Ue: in cambio delle (contro)riforme italiane otterrà dall’Europa ancora più austerità», a parte «qualche briciola di investimento che però non modificherà la drammatica situazione italiana». Vie d’uscita? Una: far saltare il banco e rivendicare la sovranità nazionale, che non si capisce per quale motivo debba essere considerata “di destra”. Stati Uniti d’Europa? Implicherebbero «la sottomissione dei paesi europei ad ulteriori regole sempre più centralizzate e oppressive, per integrare l’Europa su base tedesca». Sicché, «al posto di reclamare una impossibile (e comunque autoritaria) Federazione Europea, la sinistra farebbe invece bene a proporre una politica aggressiva di denuncia per destrutturare questa Unione, ridare voce all’opposizione di massa a questa Ue della finanza e della tecnocrazia».Sovranità nazionale, certo, perché «solo a livello nazionale è possibile che i popoli riescano a incidere democraticamente sull’economia e sull’occupazione», sottolinea Grazzini. «E’ una favola sciocca che il nazionalismo sia solo di destra: anche Garibaldi e i partigiani erano nazionalisti e patrioti. Anche Enrico Mattei era un patriota». Sovranità nazionale oggi significa solidarietà e democrazia, «sviluppo sostenibile orientato alla piena occupazione, alla garanzia di un salario minimo e di un reddito garantito per chi non ha lavoro». Aggiunge Grazzini: «L’autodeterminazione dei popoli contro la globalizzazione selvaggia implica una dura lotta per ristabilire l’autonomia nazionale contro i poteri sovranazionali di stampo neo-coloniale. La brutta novità di questo decennio è che, anche grazie alla Ue, il neocolonialismo monetario ed economico per la prima volta colpisce direttamente le più avanzate nazioni europee e non solo gli Stati del Terzo Mondo».Per questo motivo, è «folle e suicida» lasciare la rivendicazione sovranista alla «destra populista», che non a caso oggi «occupa lo spazio popolare che la sinistra ha colpevolmente abbandonato». L’iniziativa del referendum italiano contro il Fiscal Compact, avviata da Riccardo Realfonzo? Ottima, da sostenere: «La sinistra dovrebbe proporre di cambiare o ripudiare i trattati europei, di ristrutturare i debiti pubblici, di avviare politiche espansive mirate a combattere la disoccupazione e a reprimere la speculazione. E dovrebbe ridiscutere radicalmente la moneta unica che conviene solo alla Germania». Riaprire i giochi: «Proporre di concordare il ritorno alle monete nazionali con cambi fissi aggiustabili, e creare una moneta comune (ma non unica) europea verso il dollaro, lo yuan e lo yen». Forse allora «l’Europa potrebbe rinascere», ma per questo servirebbe un terremoto politico. E servirebbe una sinistra onesta e coraggiosa, di cui in Italia non c’è più traccia da troppi anni.Rivendicare la sovranità nazionale e disobbedire al Patto di Stabilità imposto dalla Troika: «Occorre una rottura, un bagno di realismo e uno scatto di coraggio di fronte a questa crisi e a questa Unione Europea che opprime e disunisce i popoli europei». L’ideologia dell’europeismo lubrifica il diktat economico dell’Ue, vera causa della catastrofe, mentre le ultime elezioni rivelano i sentimenti di un’opinione pubblica che «diventerà prevedibilmente sempre più anti-Unione Europea», avverte Enrico Grazzini. Senza una rivolta politica radicale la musica non cambierà, perché «alla base della politica europea e tedesca dell’austerità senza fine, della deflazione e della disoccupazione di massa ci sono i trattati di Maastricht, e poi del Fiscal Compact, del Two Pack e Six Pack», già sottoscritti dai governi di centrodestra e centrosinistra. «Senza modificare o ripudiare questi trattati-capestro è praticamente impossibile rilanciare la spesa pubblica e invertire l’attuale rotta europea», che ci sta portando al disastro.
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Cremaschi: l’euro è stato creato per demolire la sinistra
A trenta anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer vorrei ricordare, tra le sue scelte scomode allora come oggi, la decisione del 1979 di rompere con i governi di unità nazionale dicendo no all’adesione dell’Italia allo Sme. Il trattato che definiva allora il cosiddetto serpente monetario era il primo passo verso la moneta unica. Il Pci decise di opporsi a quel trattato anche per uscire dalla disastrosa politica di unità nazionale con la Dc, ma le motivazioni usate contro la rigidità della moneta (e allora il liberismo veniva chiamato non a caso monetarismo) valgono ancora oggi. Nella Banca d’Italia era stata appena liquidata la gestione del governatore Baffi, che era stato arrestato insieme al direttore Sarcinelli, su mandato del giudice neofascista Aliprandi. Successivamente furono entrambi completamente scagionati e l’inchiesta su di loro si rivelò completamente falsa. Ma intanto la Banca d’Italia era stata decapitata e aveva cambiato completamente politica monetaria.Infatti la scelta distintiva del governatorato di Baffi era stata proprio la manovra sulla moneta. La lira veniva rivalutata rispetto al dollaro, in modo da rendere meno pesante la bolletta energetica, e svalutata rispetto al marco, per sostenere la produzione industriale. Baffi motivò esplicitamente queste scelte con la necessità di non svalutare i salari e fu l’unico governatore a non demonizzare la scala mobile e il sistema di protezione sociale. Lo Sme invece mise al centro della politica economica la rigidità monetaria, adottando quel liberismo che andava al governo in Gran Bretagna con Thatcher e negli Usa con Reagan. I nostri primi interpreti di quella svolta furono il governatore Ciampi e il ministro del Tesoro Andreatta. Che assieme decisero nel 1981 la separazione del Tesoro dalla Banca d’Italia, con il conseguente obbligo di vendere sul mercato i Bot per finanziare la spesa pubblica. E con l’attacco alla indicizzazione dei salari che ebbe il suo apice in quel decreto Craxi di taglio della scala mobile, contro cui Enrico Berlinguer fece la sua ultima battaglia.In sintesi l’euro e la perdita formale della sovranità monetaria a favore della Bce sono il punto di arrivo, e non la partenza, di un sistema di accordi e decisioni che avevano un obiettivo dichiarato: rendere impossibili le politiche economiche keynesiane, imporre gli interessi della globalizzazione finanziaria e dei mercati come vincoli insuperabili per gli Stati. Il pareggio di bilancio in Costituzione, votato da noi anche dalla destra oggi anti-euro, è l’ultimo atto formale di tale politica trentennale. L’effetto euro sulle economie europee é stato duplice. Da un lato la moneta unica è stata lo strumento per istituzionalizzare ovunque le politiche liberiste. La Grecia é stata distrutta con il ricatto della sua espulsione dall’euro. Da noi lo slogan “lo vuole l’Europa” ha accompagnato ogni operazione di smantellamento dei diritti del lavoro e dello Stato sociale. Dall’altro lato la moneta unica forte ha finito per mettere alla pari economie che pari non erano, facendo della zona euro non un’area di crescita comune, bensì il campo di battaglia della competizione estrema.Di questo si è avvantaggiata profondamente l’economia tedesca, che con il governo socialdemocratico Schroeder all’inizio del duemila ha colpito duramente i diritti del lavoro, aprendo così la via all’era Merkel. La depressione salariale da sola non fa competitività, ma se si somma ad un sistema industriale forte che gode di una moneta particolarmente favorevole, allora la fa eccome. Perché l’euro desse risultati economici con un minimo di equilibrio ci sarebbe voluto un boom salariale in Germania. Invece sono nati a milioni i cosiddetti mini-job, lavori precari con paghe da pochi euro l’ora, per i quali dal Belgio son partite denunce alla Corte di Giustizia Europea a causa delle delocalizzazioni che hanno lì provocato. E questa politica continua oggi in primo luogo per opera della socialdemocrazia e della complicità sindacale. La legge sul salario minimo, vantata come un successo progressista, è in realtà una formalizzazione del dumping sociale. Stabilire che nel 2017 la paga minima in Germania sarà di 8,50 euro all’ora, quando ora in Francia è di 10, significa usare l’euro come arma di devastazione economica di massa.Ora i due partiti che guidano l’Unione Europea, la Germania e gli altri principali governi, Pse e Ppe, promettono un allentamento dei lacci delle politiche di austerità. Ma mentono sapendo di mentire perché in realtà il sistema euro, con i suoi trattati non rinegoziabili, da Maastricht al Fiscal Compact, non prevede alternative alle politiche liberiste. O salta o continua come sempre, e proprio di questa rigidità si fa forte la signora Merkel, che così ha spianato ogni debole ostacolo da parte della Spd. Tre anni fa una intervista di Giuliano Amato a Rossana Rossanda puntava sul ritorno al governo dei socialisti in Francia e Germania per farla finita con l’austerità. Non voglio infierire – certo il centrosinistra europeo è oramai una formazione social-liberale che ha ben poco della sinistra – ma la realtà è che il sistema europeo non è riformabile.Le tre misure più avanzate di cui si discute in campagna elettorale – condono di una parte del debito per i paesi del sud Europa, Eurobond, trasformazione della Bce in un istituto che dia i soldi direttamente agli Stati e non alle banche – non sono realizzabili senza cancellare, e non semplicemente aggiustare, i trattati che stanno a presidio dell’euro. E in ogni caso sarebbero impedite da qualsiasi governo tedesco. Chi sostiene queste misure dovrebbe aggiungere: o si fa questo, o salta la baracca perché così non si può andare avanti. Invece questo non viene detto, e così il sistema di potere economico finanziario che guida l’Europa capisce che non si fa sul serio. Il fondatore della Linke tedesca, Oskar Lafontaine, aveva proposto un piano europeo di smontaggio dell’euro, ma il suo stesso partito non ha avuto il coraggio di sostenerlo. E tutta la sinistra europea oggi esprime la stessa paura.È chiaro che dire no all’euro non basta se non si rimuove la politica economica liberista che ha portato alla sua costruzione, ma la fine della moneta unica è una condizione necessaria per poter ricostruire una politica economica e sociale fondata su eguaglianza e democrazia. È una condizione necessaria, ma non sufficiente; e proprio questa insufficienza avrebbe dovuto essere il campo d’azione di una vera sinistra. Come ho cercato di spiegare, l’euro non é tutto, ma è il simbolo monetario delle politiche liberiste e di austerità. La sinistra non doveva subire il ricatto psicologico di chi accusa di nazionalismo la rivendicazione della sovranità monetaria, mentre in realtà difende l’internazionalismo di banche e finanza. La sinistra non avrebbe dovuto avere il tabù dell’euro, ma anzi avrebbe dovuto fare della contestazione della moneta unica la leva per spingere in campo una critica popolare e di massa al liberismo.La sinistra doveva dire no all’euro dal suo punto di vista, e così questo punto di vista sarebbe tornato in campo nella crisi europea. Invece il campo è stato abbandonato e così il no all’euro è diventato vessillo delle destre autoritarie, xenofobe e neofasciste. Che ovviamente lo usano a loro modo e per i loro fini. Il risultato è che la politica europea è bloccata tra la continuazione delle politiche di austerità sotto le larghe intese Ppe-Pse e la contestazione degli euroscettici reazionari. E il sostegno Ue al governo ucraino infarcito di neonazisti, mostra che ci sono momenti e situazioni in cui questi due schieramenti possono trovare sintesi. Un’alternativa di sinistra a tutto questo si ricostruirà solo quando le sue forze sapranno proporre senza tabù la messa in discussione dei poteri e delle politiche dell’Europa reale, senza trastullarsi con una Europa ideale tanto ipocrita quanto inesistente.In Italia questo significa una sinistra che rompa davvero con il Pd e apra il confronto e il dialogo con il “Movimento 5 Stelle”, che avrà tanti limiti e contraddizioni, ma che finora ha anche il merito democratico di aver impedito un lepenismo di massa nel nostro paese. La prima cosa da proporre subito dopo le elezioni europee è un referendum costituzionale sui trattati e sull’euro, così come si fece già nel 1989. Lo chieda anche la sinistra che non vuol morire renziana. Aveva ragione Berlinguer a dire no allo Sme, e ha torto oggi la sinistra a non mettere in discussione quell’euro che è stato messo lì per distruggerla.(Giorgio Cremaschi, “Perché la sinistra deve dire no all’euro”, da “Micromega” del 14 maggio 2014).A trenta anni dalla scomparsa di Enrico Berlinguer vorrei ricordare, tra le sue scelte scomode allora come oggi, la decisione del 1979 di rompere con i governi di unità nazionale dicendo no all’adesione dell’Italia allo Sme. Il trattato che definiva allora il cosiddetto serpente monetario era il primo passo verso la moneta unica. Il Pci decise di opporsi a quel trattato anche per uscire dalla disastrosa politica di unità nazionale con la Dc, ma le motivazioni usate contro la rigidità della moneta (e allora il liberismo veniva chiamato non a caso monetarismo) valgono ancora oggi. Nella Banca d’Italia era stata appena liquidata la gestione del governatore Baffi, che era stato arrestato insieme al direttore Sarcinelli, su mandato del giudice neofascista Aliprandi. Successivamente furono entrambi completamente scagionati e l’inchiesta su di loro si rivelò completamente falsa. Ma intanto la Banca d’Italia era stata decapitata e aveva cambiato completamente politica monetaria.