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Cabras: l’Occidente esalta i diritti ma perseguita Assange
La prigionia e la libertà di JulianAssange costituiscono una questione cruciale del moderno Occidente. Quando Ernesto Balducci parlò dell’incontro dell’Europa con le popolazioni delle Americhe che c’erano prima di Colombo disse che «l’Uomo incontrò se stesso e non si riconobbe». Nacque cinque secoli fa una strana alienazione e doppiezza dell’Occidente, vero propulsore di meravigliose Carte dei diritti umani e capace nel contempo di perpetrare orribili genocidi. Anche oggi, con Assange, le libertà politiche occidentali incontrano se stesse e non si riconoscono. Il giornalismo occidentale incontra se stesso e non si riconosce. La giustizia democratica incontra se stessa e non si riconosce. Invece, riconoscere libertà politica, di parola, riconoscere la giustizia è ancora possibile. Da undici anni, Julian Assange è al centro di un caso diplomatico e giuridico. Nel 2006 aveva fondato il sito WikiLeaks con l’obiettivo di offrire uno spazio libero ai “whistleblower” disposti a pubblicare documenti sensibili e compromettenti, in forma anonima e senza la possibilità di essere rintracciati.Il sito ha fatto da palestra per il più efficace giornalismo investigativo degli ultimi anni, rivelando segreti e scandali, relativi, tra gli altri, a guerre, loschi affari commerciali, episodi di corruzione e di evasione fiscale. L’uomo che oggi langue da troppo tempo in una prigione britannica ha contribuito ad aumentare la consapevolezza di larghi strati della pubblica opinione mondiale rispetto a governi, uomini di potere, grandi lobby, reti di relazioni ed eventi, ben oltre la narrazione ufficiale. La sua Wikileaks ha consentito alla democrazia contemporanea di superare e mostrare i limiti del giornalismo tradizionale. Lasciare che Assange sia soggetto alle sue dure condizioni carcerarie è l’attentato definitivo – oltre che alla sua persona – al giornalismo investigativo, in un mondo che vede le leve dell’informazione in sempre meno mani. Avere invece un’informazione coraggiosa aiuta i parlamenti nel correggere i comportamenti opachi di vari governi.Parliamo di un dissidente che ha segnato a livello planetario un’epoca nuova nella tensione fra lo scrutinio democratico delle decisioni dei poteri di governo e la Ragion di Stato. La sua cattività pone un problema drammatico alla coscienza politica di tutto l’Occidente. Assange ha dato coraggio alla pratica del “whistleblowing” e dell’obiezione di coscienza, fino a farla riconoscere nelle leggi e nei codici etici a tutti i livelli. Niente retorica vuota sulla democrazia dal basso, Assange ha fatto una cosa pratica: un sistema che valorizzava il controllo dal basso e la democratizzazione dell’informazione nell’ambito di una rivoluzione tecnologica con un grande potenziale di liberazione per individui e popoli. La storia coraggiosissima di Julian Assange esige che sia riconosciuto il valore e il rango politico del suo attivismo, da sempre minacciato con ogni mezzo, che sia salvaguardata la sua incolumità, che non ci siano forzature politiche nelle procedure a cui sarà sottoposto.Si è fatto molti nemici, certo. Anche fra i giornalisti. Ce ne sono che si proclamano perfino difensori dei diritti umani. Ma, siccome una parte di loro li viola tutte le sere, privando la gente di una informazione decente, ovviamente non ama i disturbatori della quiete del Potere. C’è quello che condanna Assange dicendo che «gli Stati hanno bisogno delle loro zone d’ombra». C’è chi lo condanna perché ha rivelato segreti di Stato. C’è chi lo qualifica come agente di potenze nemiche. Chi afferma che è un «personaggio ambiguo». Assange non piace insomma a quella parte di giornalisti che non fanno tanto i giornalisti, quanto gli addetti alle pubbliche relazioni del Potere. Figuriamoci se possono assolverlo. Insomma, in troppi stanno zitti e lasciano che la minaccia colpisca tutti coloro che vorranno dire la verità. È normale che i governi e i potenti abbiano qualcosa da nascondere (che ci vuoi fare?); ma il compito dell’informazione, ineludibile, è quello di andare a scoprire i loro nascondigli e di rivelarli al pubblico, ai popoli. E se non lo fa, l’informazione, cessa di essere tale. Non è il momento di stare allineati e coperti.In oltre 15 anni, WikiLeaks ha diffuso più di 10 milioni di documenti classificati. Possiamo dire che ci sono 10 rivelazioni di Assange che hanno cambiato il modo di vedere il potere e li voglio elencare per inquadrare l’esatta dimensione di questa opera: gli archivi di Guantánamo; le notizie segrete sulle guerre e le torture, dall’Afghanistan e all’Iraq; i dispacci diplomatici dello scandalo Cablegate; i video sui civili bersagliati a Baghdad; i documenti dell’agenzia Stratfor sulla sorveglianza totale; le rivelazioni sui negoziati dei grandi accordi commerciali che diminuivano il peso delle democrazie a favore delle multinazionali; le magagne di tante e fortissime corporation dominanti; l’uso dello spionaggio globale come strumento geopolitico che ha diminuito la forza delle cancellerie europee; la messa a nudo del potere del clan dei Clinton e delle sue connessioni saudite; l’analisi spietata e dati alla mano dello strapotere del Big Tech nel determinare la morte della privacy per miliardi di individui.La mozione ricorda lo stato attuale delle condizioni di Assange. È una persecuzione contro una persona e una ritorsione contro il progetto WikiLeaks, ma rappresenta anche un brutto precedente per attivisti, giornalisti e “whistleblower” ovunque nel mondo. La sua detenzione – i cui presupposti erano già stati respinti nel 2015 dal Gruppo di lavoro dell’Onu sulla Detenzione Arbitraria e rivelatasi anche avvenire in condizioni gravosamente severe – nonché le eventualità di estradizione e persecuzione a vita negli Usa, sono uno scandalo denunciato dalle organizzazioni per i diritti umani. Nel novembre 2019 il relatore Onu sulla tortura ha dichiarato che Assange avrebbe dovuto essere rilasciato e la sua estradizione negata. Il Consiglio d’Europa ha fatto propria la dichiarazione. Nel dicembre 2020 lo stesso relatore Onu sulla tortura, oltre a rinnovare l’appello per l’immediata liberazione di Assange, ha chiesto, senza esito, che questi venisse almeno trasferito dal carcere ad un contesto di arresti domiciliari.Il 5 gennaio 2021 la giustizia britannica ha negato l’estradizione di Assange agli Stati Uniti per motivi di natura medica. Nonostante tutto, Assange è ancora detenuto in durissime condizioni nella prigione di Belmarsh. La mozione è semplice e impegna il governo a fare di tutto – anche in aderenza alle convenzioni internazionali e specificatamente alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali – affinché le autorità britanniche garantiscano la protezione e l’incolumità di Julian Assange e non procedano alla sua estradizione. Questo significa, di fatto, riconoscergli lo status di rifugiato politico e la protezione internazionale. Sarà un contributo alla libertà in grado di trovare le giuste vie diplomatiche senza morire di troppa prudenza. Viva la libertà! Viva Julian Assange!(Pino Cabras, “Riconoscere a Julian Assange lo status di rifugiato politico”; intervento alla Camera il 14 giugno 2021. Stretto collaboratore di Giulietto Chiesa, eletto deputato nel 2018 con i 5 Stelle, Cabras è oggi esponente del movimento “L’Alternativa c’è”).La prigionia e la libertà di JulianAssange costituiscono una questione cruciale del moderno Occidente. Quando Ernesto Balducci parlò dell’incontro dell’Europa con le popolazioni delle Americhe che c’erano prima di Colombo disse che «l’Uomo incontrò se stesso e non si riconobbe». Nacque cinque secoli fa una strana alienazione e doppiezza dell’Occidente, vero propulsore di meravigliose Carte dei diritti umani e capace nel contempo di perpetrare orribili genocidi. Anche oggi, con Assange, le libertà politiche occidentali incontrano se stesse e non si riconoscono. Il giornalismo occidentale incontra se stesso e non si riconosce. La giustizia democratica incontra se stessa e non si riconosce. Invece, riconoscere libertà politica, di parola, riconoscere la giustizia è ancora possibile. Da undici anni, Julian Assange è al centro di un caso diplomatico e giuridico. Nel 2006 aveva fondato il sito WikiLeaks con l’obiettivo di offrire uno spazio libero ai “whistleblower” disposti a pubblicare documenti sensibili e compromettenti, in forma anonima e senza la possibilità di essere rintracciati.
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Biglino, la Bibbia Nuda aiuta il Brasile dei Figli delle Stelle
Figli delle Stelle: furono lontani antenati, non terrestri, a donare agli sciamani il potere di connettersi con l’invisibile. Ne sono convinti i leader delle comunità indigene dell’Amazzonia e del Mato Grosso, come quella di Maria de Lourdes da Conceição Alves, per tutti “Cacique Pequena”, la Piccola Capa. Piccola, ma in realtà grandissima: la prima donna a diventare “capo”, nelle terre ancestrali incastonate dentro il Sudamerica travolto dalla Conquista cristiana e poi regolarmente colonizzato, ieri da spagnoli e portoghesi e oggi dagli “yanquis” nordamericani. «E gli sparvieri desolarono le isole», scrisse il comunista Pablo Neruda nel “Canto Generale del Cile”, che gli valse il Nobel per la Letteratura. Un atto di dolore per la fine dell’antica civiltà andina e il suo culto del Sole, sbaraccato insieme a tutto il resto nell’immane genocidio, per mano cattolica, dell’intero continente sudamericano. Una strage di proporzioni incalcolabili, a cui si sono sottratti praticamente soltanto loro, i nativi della selva: quelli che praticano la Tameana e in qualche modo parlano ancora, coi Figli delle Stelle venuti dalle Pleiadi. Poteva non incontrarli, Mauro Biglino?
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Mafia, finanza e slot machines: l’ultimo scandalo italiano
«Moralmente, non riesco più a esercitare questa professione. Sono stanco di essere considerato come un delinquente. Quello che mi pesa di più è che la gente ha ragione. Sono un dipendente dello Stato, costretto a queste regole ignobili. E se voglio continuare a fare questo lavoro, sono obbligato a essere il braccio armato di uno Stato criminale». L’uomo che parla – con viso coperto e voce travisata – è un noleggiatore di slot machines. Apre una video-denuncia realizzata da Claudio Testa, imprenditore del settore, che squarcia il velo sull’ultimo scandalo italiano, quello delle macchinette da gioco presenti nei bar e nelle tabacchierie: la guerra sporca contro la “ludopatia”, che ha portato alla chiusura delle sale gioco (sprangate a partire dal lockdown 2020) nasconde un disegno imbarazzante. Far crollare il settore privato legato ai “dispositivi da intrattenimento” (150.000 operatori coinvolti, oltre 100 miliardi di fatturato e 5 miliardi di tasse) avvantaggia intanto la criminalità organizzata. E soprattutto: spiana la strada alla grande finanza internazionale, pronta a fare un sol boccone dell’intero comparto.E’ la cronaca a parlare, coi numeri. Gamma Bidco, società controllata da fondi gestiti da Apollo Management IX – scrive “Finanza Report” – ha annunciato che Gamenet Group, controllata al 100% dalla società, ha concluso l’acquisizione del 100% della partecipazione detenuta da International Game Technology in Lottomatica Scommesse e Lottomatica Videolot Rete, tra gli operatori leader nel mercato italiano dell’online, delle scommesse sportive e delle “gaming machines”. «Con circa 1,6 miliardi di ricavi e 22 miliardi di raccolta nel 2019, la nuova Lottomatica diventa il primo player nel mercato regolamentato italiano del gioco». Attraverso Lottomatica, dunque, i finanziatori di Apollo (uno dei maggiori fondi d’investimento del pianeta) ereditano una base di clienti online di circa 800.000 giocatori, più una rete in franchising di 3.000 punti-scommesse. E questo, oltre a 1.400 sale giochi, 13.600 tabaccherie e bar, nonché 120 sale da gioco di proprietà. Dall’altra parte della strada, invece, il settore dei piccoli imprenditori sta morendo: strangolato da regole statali folli, che oltretutto depredano gli stessi giocatori, unici al mondo a essere spennati così tanto.«Sopra la gente lo Stato campa, sotto lo Stato la gente crepa», premette Claudio Testa, parafrasando un vecchio adagio popolare. Serve a lanciare un appello, “Io non apro”, che fa il verso a quello dei ristoratori oppressi dalle restrizioni-Covid. «Sono stato tra i promotori di “Io Apro”», chiarisce Testa, che spiega: «Un ristoratore poteva forzare la legge e tenere aperto nonostante i divieti, invece una sala gioco non può: per funzionare, deve avere i terminati collegati al sistema, che è statale. E quindi dico ai noleggiatori: non riaprite. Se non entra più un euro, in quelle macchinette, lo Stato sarà costretto a rinegoziare tutte le clausole, vergognose, che hanno portato il settore sull’orlo del collasso». Nel video, Claudio Testa propone immagini eloquenti, come quelle delle manifestazioni svoltesi a Roma e Milano lo scorso 12 febbraio, con 10.000 persone nelle piazze per chiedere di “liberare il gioco legale”. E’ lo stesso Nicola Porro a chiarire: «Aver bloccato il gioco legale non solo ha tolto 5 miliardi di introiti alle casse dello Stato, ma ha reso molto più forte il gioco illegale, gestito dalla mafia che campa sul gioco d’azzardo».Lo sottolinea anche Federico Cafiero de Rao, procuratore nazionale antimafia: «Giocare attraverso percorsi illegali significa sovvenzionare la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta», oltretutto derubando i giocatori: «In caso di vincita non si ha certezza di avere il risultato sperato». Sul tema insistono anche “Le Iene”, su Italia1: «Mentre le sale da gioco restano chiuse e 150.000 lavoratori fanno la fame, quelle illegali prosperano e la criminalità ringrazia». Ma se è così facile lucrare sul gioco illegale – sottolinea Claudio Testa – è perché, in Italia, le regole del “gioco lecito” sono semplicemente indecenti. Lo spiega benissimo “Achille”, l’operatore mascherato: «Ogni giocatore sa benissimo che, con gli apparecchi da intrattenimento, non si vince: difatti è un luogo comune definirli “macchinette mangiasoldi”». Attenzione: il problema è italiano. «Queste macchinette dovevano far divertire i giocatori, ma in Italia non l’hanno mai fatto. Gli apparecchi presenti in bar, tabaccherie, circoli e sale da gioco – identificati nell’articolo 110, comma 6, del Tulps (il Testo Unico Leggi di Pubblica Sicurezza) nacquero a condizione che restituissero una percentuale di vincita, a favore degli utilizzatori, non inferiore al 75% del “giocato”. Nel resto mondo, invece, la percentuale oscilla tra l’84 e il 96%».Capito? Siamo partiti con uno svantaggio che penalizzava i giocatori italiani, fino al 21% di differenziale. La quota-vincita doveva essere attorno al 90%, e invece era stata bloccata al 75%. Ma peggio: «Ora il gioco non paga oltre il 65%». E a chi va quel 35% non pagato al giocatore, ricavato abbassando le percentuali di vincita? «Non certo alla filiera del “gioco lecito”», assicura Testa. «E chi ha fatto le spese di questa scelta scellerata? Sempre e solo il povero giocatore». Il caso italiano è famigerato, nel mondo: per i produttori mondiali di questi apparecchi, spiega “Achille”, un margine di remunerazione delle vincite inferiore all’84% riduce o elimina definitivamente il carattere di intrattenimento (da un apparecchio che, invece, nasce proprio per intrattenere). E quando il “gioco lecito” non è più intrattenimento, diventa gioco d’azzardo. «E’ il governo», protesta in una piazza romana Antonia Campanella, «ad aver fatto sì che l’intrattenimento si trasformasse in gioco d’azzardo». Come? «Aumentando sempre di più i prelievi, la tassazione».«Siamo tassati sul “giocato”, siamo tassati sulle vincite: se un cliente vince deve lasciare il 20% allo Stato. E la beffa – aggiunge Antonia – è che il governo ha aumentato due volte la tassazione quando gli esercizi erano chiusi per il lockdown e le altre restrizioni introdotte con il Covid». Un sospetto fondato: «Probabilente questo gioco piace così tanto, al governo, che lo vuole prendere tutto per sé». Conferma, sempre a “Le Iene”, un rappresentante del Consorzio Noleggiatori Italiani: «Il 70-80% dell’introito degli apparecchi va nelle tasche dello Stato: lo stesso “reddito di cittadinanza”, in parte, è stato finanziato proprio dall’aumento della tassazione sui nostri apparecchi». Si domanda Claudio Testa: «Il legislatore era forse inconsapevole, fin dall’inizio, di imporre parametri ben diversi da quelli stabiliti nel resto del mondo?». Lo stesso “Achille”, il noleggiatore, gli ha confidato che i produttori mondiali di slot machines si sono rifiutati di tarare al 75% le vincite per le macchinette destinate all’Italia: «Sarebbe come chiedere alla Fiat di fabbricare auto senza i freni. Infatti in Italia non esistono produttori di slot, ma solo assemblatori».Poche voci, nel mondo della politica, sembrano pronte a pronuciarsi con franchezza su questa situazione: «Il governo vi disistima, ha un pregiudizio etico verso di voi», dice Andrea Ruggeri (Forza Italia) rivolto agli operatori scesi in piazza a Roma. Riassume la stessa Antonia Campanella: «Hanno fatto il Decreto Dignità e ci hanno calunniato in tutti i modi, come se fossimo il male assoluto». Il noleggiatore, l’esercente e l’operatore di sala – assicura Claudio Testa – vorrebbero un altro rapporto, con il giocatore. «Siamo stanchi di amministrare questo settore in questo modo», protesta “Achille”. «Gli apparecchi di intrattenimento sono diventati lo strumento di un disegno criminoso, che va a discapito (e non a tutela) dei giocatori». Ci rimettono anche gli operatori, aggiunge Testa, che illumina un altro dei lati oscuri di questa storia: quello creditizio. «Le banche – racconta – stanno stranamente chiudendo i conti correnti delle aziende che operano nel “gaming”. Ma così, le aziende non possono più versare il Preu (Prelievo Erariale Unico, oggi pari al 24% del giocato): e se all’erario non si versa il Preu, si incorre nel reato di peculato contro lo Stato». Come non chiamarla persecuzione?Uno degli stratagemmi perversi (ipocriti) utilizzati in questa “guerra sporca” contro le slot machines è la recente crociata contro la ludopatia, cioè la dipendenza dal gioco. «La dipendenza – sintetizza la psichiatra Sarah Viola – è la sostituzione della relazione con l’altro con un oggetto. Qualsiasi oggetto: alcol, droghe, sesso, shopping, device elettronici, gioco». Protesta Claudio Testa: «Se vogliamo davvero contrastare la ludopatia, perché non combattiamo tutti gli altri giochi, tipo “gratta e vinci” e Superenalotto? E a proposito: perché non indaghiamo anche sulle percentuali di vincita dei “gratta e vinci”? Forse non lo sapete, ma oggi sono intorno al 35%». La beffa è dimostrata, sostiene Claudio: «Comprando un blocco di “gratta e vinci” da 500 euro, un tempo si vincevano 400-420 euro. Oggi, acquistando lo stesso blocco da 500 euro, il “gratta e vinci” restituisce mediamente 120-130 euro. E non è ludopatia anche quella del “gratta e vinci”?». Ancora: «Perché combattere la ludopatia ma non le altre dipendenze come l’alcol, il fumo, lo shopping compulsivo, i device elettronici?».Ricapitolando: anche invocando la guerra contro la ludopatia, lo Stato picchia duro proprio sulle slot machines, dopo il massacro sociale dei lockdown e proprio adesso un colosso finanziario come Apollo si getta su Lottomatica, o meglio su un settore che sembra ormai decotto, alla frutta. Perché spendere un miliardo per comprarsi tutto il settore Vlt e Slot di Lottomatica? «Questi potentissimi investitori hanno “capito” che gestire direttamente un business da 103 miliardi di euro, che rende il 35%, potrebbe risultare un buon affare: piatto ricco, mi ci ficco». Piatto ancora più ricco se, per inciso, venissero eliminati gli attuali intermediari: cioè l’intera filiera italiana del settore (esercenti, noleggiatori, operatori di sala). Domanda: a questo serve lo sforzo attuale di portarli verso la chiusura? «Per raggiungere questo obiettivo, i fondi d’investimento potrebbero chiedere l’appoggio di presidenti di Regione e politici vari, anche sindaci, che magari alla fine “spunterebbero” qualcosa per questa loro collaborazione: vi pare inverosimile?».«E come potrebbero partecipare, alla demolizione della filiera, questi amministratori pubblici?» Semplice, secondo Testa: «Inventandosi la “lotta alla ludopatia”, naturalmente solo quella indotta delle slot machines, presentata come problema sanitario e dunque di competenza delle amministrazioni regionali e locali». La psichiatra sembra confortare questa ipotesi: «A far scattare la dipendenza è proprio l’assenza dell’oggetto del desiderio, la sua disponibilità non immediata», dice Sarah Viola. «Più allontani il soggetto dall’oggetto da cui dipende, più il desiderio aumenta. Più frapponi ostacoli tra il soggetto e l’oggetto della sua dipendenza, più il desiderio cresce. E’ chiaro, dunque, che proibire non fa altro che aumentare la dipendenza». Sarà anche per questo che, in posti come il Lazio – si domanda Claudio Testa – si sono inventati il Distanziometro? «Entro il 30 agosto 2021, tutti gli esercizi con “slot” dislocati nel raggio di 500 metri da “luoghi sensibili” (chiese, scuole, case di cura) dovranno chiudere». Da un’indagine Eurispes apprendiamo che, in pratica, «significa costringere alla chiusura il 97,8% degli esercizi con apparecchi da intrattenimento».Protesta Claudio Testa, esasperato: «Che senso ha, dopo 14 mesi di chiusura, riaprire (forse) a giugno, per poi chiudere definitivamente ad agosto?». Vero, si parla di una eventuale proroga di 12 mesi: «Ma varrebbe come l’ultima sigaretta concessa al condannato a morte: l’effimero piacere che però non annulla il fatale esito finale». E inoltre: «Che senso ha chiudere il Lazio quando puoi andare a giocare in Umbria, in Toscana, in Abruzzo, in Campania? Vogliamo incentivare il turismo ludico?». La verità è che gli operatori del settore «sono considerati una nullità: neppure inseriti nella road map delle riaperture». E dunque «perché continuare a uccidere l’economia di intere famiglie, per conto di una organizzazione – foss’anche lo Stato – che umilia e ignora questi lavoratori?». E non dimentichiamolo: «Chi ha deciso di trasformare il divertimento in gioco d’azzardo, abbassando le percentuali di vincita? Il legislatore, il Monopolio di Stato, i politici. Non certo il concessionario, il noleggiatore, l’esercente, l’operatore di sala».Le conseguenze della stretta sulle slot machines sono scontate e drammatiche: «Se le sale slot legali rimangono chiuse, poi restano aperte quelle in cui le macchinette non sono collegate al sistema di controllo dei Monopoli di Stato. E quindi, se il software è modificato e i giocatori perdono più del dovuto, non se ne accorgono e vengono letteralmente spennati. Certo, sull’apparecchio c’è il marchio “Gioco Legale e Responsabile”: ma la macchinetta è scollegata». A proposito, si domanda Claudio Testa: quanto è “responsabile” abbassare i parametri di vincita, al punto da trasformare un apparecchio di intrattenimento in uno strumento da gioco d’azzardo? Poi ovviamente «i gestori illegali eludono le tasse, staccando le loro macchine dalla rete dei Monopoli». Ma come valutarli, se concedessero maggiori possibilità di vincita? Sarebbero meno scorretti dello Stato? E’ evidente che si rasenta la follia, in una situazione in cui giocatori e operatori sono «vessati, discriminati, offesi, umiliati, depredati e istigati a compiere una reazione compulsiva». Con il più i rischi sociali legati alla situazione attuale: «Con la crisi, e quindi le difficoltà economiche per tante famiglie, il gioco d’azzardo aumenta sempre».Come uscirne? Facendo sciopero, propone il promotore di “Io non apro”: i noleggiatori avrebbero il potere di interrompere la catena. Claudio Testa chiede una trattativa per rinegoziare tutto: da cesinare i parametri e le regolamentazioni imposte a un settore colpito da limitazioni al limite del persecutorio, tramite leggi nazionali, regionali e norme a volte solo comunali, mirate a colpire solo e sempre una parte della filiera, quella delle slot machines. «Se i noleggiatori incrociassero le braccia, tutto il business passerebbe nelle mani della criminalità organizzata: a quel punto, se lo Stato non intervenisse, avremmo la prova del fatto che è connivente». Insiste Testa: «Noleggiatori ed esercenti non vogliono più che i giocatori si rovinino, per colpa di queste logiche imposte dal sistema. Vogliono più vincite per i giocatori, quindi più divertimento, più denaro giocato, più consumazioni per i bar. E meno dipendenza, quindi meno costi sanitari per lo Stato, meno drammi familiari, minor interesse nel settore da parte della criminalità e di quegli investitori speculativi, inclusi gli amministratori locali che vorebbero entrare a far parte anche loro del grande business del “gioco lecito”».Nel video, pubblicato su YouTube e anche sul canale Telegram @ioNONaproGiocoLecito, Claudio Testa pretende il risarcimento totale dei danni finora subiti con le chiusure: «Non vogliamo i “ristori”, che sono elemosine, ma veri e propri indennizzi, secondo la regola assicurativa del “danno emergente e lucro cessante”. E dato che il profitto è cessato per colpa di decisioni del governo, ora è il governo a dover risarcire interamente i danni che ha procurato». Un appello: «Cari noleggiatori: interrompere la vostra attività dimostrerà la vostra ferma intenzione di mettere fine a questa “azione a delinquere” per conto del sistema. E se poi lo Stato subentrerà con forme di gestione diretta, allora si capirà chi è il vero “criminale”». Per dirla con lo slogan di “Io non apro”: “Gioco lecito, game over”. Ovvero: «Stop alla criminalità, alla ludopatia, alla discriminazione, e sì all’intrattenimento». Claudio Testa fa sul serio: «Da questo momento il Re è nudo», dice. «La dea bendata, stavolta, vuole aprire gli occhi».«Moralmente, non riesco più a esercitare questa professione. Sono stanco di essere considerato come un delinquente. Quello che mi pesa di più è che la gente ha ragione. Sono un dipendente dello Stato, costretto a queste regole ignobili. E se voglio continuare a fare questo lavoro, sono obbligato a essere il braccio armato di uno Stato criminale». L’uomo che parla – con viso coperto e voce travisata – è un noleggiatore di slot machines. Apre una video-denuncia realizzata da Claudio Testa, imprenditore del settore, che squarcia il velo sull’ultimo scandalo italiano, quello delle macchinette da gioco presenti nei bar e nelle tabacchierie: la guerra sporca contro la “ludopatia”, che ha portato alla chiusura delle sale gioco (sprangate a partire dal lockdown 2020) nasconde un disegno imbarazzante. Far crollare il settore privato legato ai “dispositivi da intrattenimento” (150.000 operatori coinvolti, oltre 100 miliardi di fatturato e 5 miliardi di tasse) avvantaggia intanto la criminalità organizzata. E soprattutto: spiana la strada alla grande finanza internazionale, pronta a fare un sol boccone dell’intero comparto.
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Ipnosi sociale Covid, l’eterna sindrome di Colin Powell
L’intera vicenda del Covid – qualunque cosa questa sigla significhi esattamente, sotto l’aspetto scientifico – ricorda in modo sinistro la storiella di Colin Powell alle Nazioni Unite: platea davanti a cui l’allora segretario di Stato agitò una fialetta, sostenendo che si trattasse di antrace. Un falso favoloso, ma inquietante: serviva a scatenare l’inferno della guerra in Iraq e a insanguinare la sospensione della democrazia occidentale all’alba del terzo millennio, e nel frattempo introduceva – come incubo – il fantasma della guerra biologica, incarnato da agenti tossici invisibili e inafferrabili quanto, secondo la narrazione dell’epoca, i terribili terroristi islamici, che poi si sarebbero reincarnati ininterrottamente fino ad assumere le sembianze dei barbarici tagliagole dell’Isis. A tracciare l’analogia tra il Covid e Colin Powell è Matt Martini, co-autore di “Operazione Corona” (Edizioni Aurora Boreale) nonché voce – con Tom Bosco e Nicola Bizzi – de “L’Orizzonte degli Eventi”, il giovedì sera sul canale YouTube di “Border Nights”.Comunque li si voglia leggere, i drammatici eventi che hanno travolto l’Occidente a partire dal 2020, emergono due dati sovrastanti: da un lato la totale intattendibilità delle fonti ufficiali, e dall’altro l’altrettanto sconfortante remissività della popolazione, che ha dimostrato ai manipolatori di essere pronta a subire qualunque vessazione, anche se non motivata da alcuna ragione credibile e seriamente presentata. A valle di questo doppio assunto, ogni altra considerazione si alleggerisce fatalmente di peso specifico, perdendo rilevanza. Se oggi il mainstream si divide, tra i falchi che vorrebbero proseguire in eterno con il delirio emergenziale e le colombe che hanno invece avviato una sostanziale de-escalation (fondata sull’imposizione propagandistica delle terapie geniche come unica possibile soluzione), dal canto loro i media continuano a recitare un copione surreale, mentre le voci indipendenti riescono a dividersi a loro volta, tra complotti ammissibili e cospirazioni immaginarie.L’enormità dell’accaduto – l’enfatizzazione allarmistica del pericolo, l’arresto dell’economia e della vita sociale, la sospensione delle libertà, l’imbuto stretto attraverso cui far passare la “ripartenza”, verso modelli socio-economici comunque inediti e disegnati dall’alto – non si vede come si possano coltivare qualche forma di ottimismo, quei (pochi) cittadini così ingenui da aver sperato di poter accedere in tempi ragionevoli a una qualche verità effettiva, conquistabile attraverso ordinari procedimenti politici orientati al raggiungimento di una giustizia condivisa, capace di mettere in ordine il prima e il dopo, il come e soprattutto il perché. Al massimo, sotto i riflettori finiranno capri espiatori, insieme alla sensazione – ormai solida – che almeno per il momento il cittadino comune non toccherà palla, essendo il suo destino (in un senso o nell’altro) interamente nelle mani di gestori sottili. Buoni o cattivi, nessuno di loro pare disposto a uscire allo scoperto, mettendo fine al genere di fitcion inaugurato nel 2003 dal vecchio Colin Powell.L’intera vicenda del Covid – qualunque cosa questa sigla significhi esattamente, sotto l’aspetto scientifico – ricorda in modo sinistro la storiella di Colin Powell alle Nazioni Unite: platea davanti a cui l’allora segretario di Stato agitò una fialetta, sostenendo che si trattasse di antrace. Un falso favoloso, ma inquietante: serviva a scatenare l’inferno della guerra in Iraq e a insanguinare la sospensione della democrazia occidentale all’alba del terzo millennio, e nel frattempo introduceva – come incubo – il fantasma della guerra biologica, incarnato da agenti tossici invisibili e inafferrabili quanto, secondo la narrazione dell’epoca, i terribili terroristi islamici, che poi si sarebbero reincarnati ininterrottamente fino ad assumere le sembianze dei barbarici tagliagole dell’Isis. A tracciare l’analogia tra il Covid e Colin Powell è Matt Martini, co-autore di “Operazione Corona” (Edizioni Aurora Boreale) nonché voce – con Tom Bosco e Nicola Bizzi – de “L’Orizzonte degli Eventi”, il giovedì sera sul canale YouTube di “Border Nights”.
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Biglino: Ufo ieri e oggi, il Truman Show dura da secoli
Riguardo al dossier Ufo (o Uap, come si dice oggi) sappiamo che il prossimo 25 giugno non tutto sarà reso pubblico: ci sarà comunque un capitolo che rimarrà “classificato”, quindi ci saranno delle cose che non ci diranno. Intanto, quello che sta avvenendo è già di una importanza fondamentale. Siamo davvero di fronte a uno spartiacque: fino a ieri ci si poteva domandare se “credere” o meno, all’esistenza di oggetti volanti non identificati, e la risposta “sì, ci credo” veniva accolta con un certo sarcasmo, perché gli avvistamenti degli Ufo venivano tutti apparentemente spiegati, anche con una certa faciloneria. Adesso non è più così: oggi, le fonti ufficiali ci dicono che questi oggetti volanti restano “non spiegati”: non si sa come facciano a muoversi nel cielo in quel modo, e non risultano appartenere a flotte terrestri. Ufficialmente, le cose che al momento si sanno sono queste: esistono, ma non sappiamo cosa sono, non sappiamo come funzionano e non sappiamo da dove arrivano.Ora che è assodato che questi oggetti esistano, le domande sono necessariamente altre. Che cosa sono? Chi li fabbrica? Chi li fa funzionare così, cioè in un modo che sembra violare le leggi della fisica? Tutte le facili spiegazioni di ieri vanno cestinate, se è vero degli Ufo non è chiaro niente. Restiamo dunque con la mente aperta, nell’attesa (e nella speranza) di saperne di più. Questo fenomeno però riguarda anche il passato: e se prima certi racconti contenuti nei testi antichi potevano essere derubricati con estrema facilità a racconti leggendari, miti, favole e invenzioni, adesso – a maggior ragione – abbiamo il diritto di domandarci se fossero veridici, quei racconti, visto che ormai “sappiamo” che quegli oggetti esistono. Finora, quei racconti dell’antichità venivano spiegati con un termine elegante: “paradossografia”. Cioè un canone letterario, destinato a indicare i fenomeni prodigiosi, fuori dall’ordinario. Il termine è stato usato in modo improprio: definire “paradossografico” un racconto significava classificarlo “falso”, facendolo diventare una favola.La definizione filologica di “paradossografia” si riferisce invece a “racconti che destano stupore, che suscitano meraviglia”: non a racconti “falsi”. Le favole di Esopo, con tutti quegli animali che parlano, non sono “racconti paradossografici”: sono favole, tant’è che nessuno si meraviglia nel leggere che la volpe e il corvo parlano (sappiamo che sono favole, un canone letteraro diverso). “Paradossografico”, semmai, è raccontare che esiste un pinguino rosa: ed è un racconto “paradossografico” autentico, perché poi si è scoperta una intera colonia, nella Georgia del Sud, con una livrea che ricorda il colore della pelle umana. Ecco un racconto “paradossografico”: quel pinguino desta meraviglia, ma esiste davvero. E se sfogliamo i classici, ci troviamo di fronte a situazioni simili. Nel libro “La guerra giudaica”, lo storico ebreo-romano Giuseppe Flavio offre il seguente racconto “paradossografico”, parlando degli anni in cui i Romani stavano arrivando a Gerusalemme: «Apparve una visione miracolosa, cui si stenterebbe a prestar fede», e infatti «potrebbe apparire una favola, se non avesse da una parte il sostegno dei testimoni oculari, e dall’altra la conferma delle sventure che seguirono».Quello che segue è un racconto che desta una tale meraviglia, che quasi non ci si può credere: però ha dei testimoni. Questa è la “paradossografia”. «Prima che il sole tramontasse – scrive Giuseppe Flavio – si videro in cielo, su tutta la regione, carri da guerra e schiere di armati che sbucavano dalle nuvole e circondavano le città». Lo stesso evento è riferito dallo storico romano Tacito, nelle sue “Historiae”: «Si videro nel cielo scontrarsi eserciti, rosseggiare spade, e il tempio risplendere di subitanei bagliori. Le porte del santuario si spalancarono d’un tratto, e una voce sovrumana esclamò che gli dèi fuggivano». Lo stesso Giuseppe Favio ci informa che i sacerdoti, entranti nella parte interna del tempio per celebrarvi i consueti riti, «riferirono di aver prima sentito una scossa e un colpo, e poi un insieme di voci che dicevano: da questo luogo, noi ce ne andiamo». Pare quindi di assistere alla partenza delle cosiddette divinità, che lasciano quel territorio quando arrivano i Romani, accompagnati (ipotizziamo) dalle loro divinità: una sorta di passaggio di consegne.Restando tra i testi antichi, nella sua “Naturalis Historia”, Plino il Vecchio ci racconta che, al tempo delle Guerre Cimbriche, accadde questo: «Clangore d’armi e squilli di tromba furono uditi nel cielo». Nel terzo consolato di Mario, «quelli di Amelia a Todi scorsero armi nel cielo scontrarsi fra loro, venendo da oriente e occidente, e furono sconfitte quelle che venivano da occidente». Aggiunge Plinio: «Che persino il cielo si infiammi non ha nulla di stupefacente, e in effetti lo si è visto spesso». Sono tutti racconti “paradossografici”. Ce n’è un’intera raccolta in un volume, “Il libro dei prodigi” (cioè il “Liber prodigiorum” di Giulio Ossequente), che offre un’esposizione ampia di eventi prodigiosi che vanno dal 190 all’11 avanti Cristo. Secondo la curatrice, docente universitaria, non ci sono dubbi sul fatto che, alla base, ci sia la monumentale opera di opera di Tito Livio: il confronto con l’originale liviano «permette di giungere alla conclusione che i fatti prodigiosi siano tratti direttamente dalla fonte», cioè il maggiore storico romano, autore di “Ab Urbe condita”.Riprendendo quindi ciò che aveva scritto Tito Livio, Giulio Ossequente riporta diversi fatti prodigiosi. Nel 166 avanti Cristo, per esempio, «a Cassino il sole fu visto per alcune ore della notte», e possiamo immaginare che cosa potesse essere. «Nel 163, a Formia, furono visti durante il giorno due soli, e il cielo si infiammò». Nel 154 avanti Cristo, «furono viste armi volteggiare in cielo», come nel caso dell’evento citato da Plinio il Vecchio. Ancora: nel 147 avanti Cristo, «di notte il cielo fu visto infiammarsi». Potrebbero anche essere fenomeni naturali, ci mancherebbe. Però dobbiamo anche prendere atto, per esempio, che nel 134 avanti Cristo «di notte, ad Amiterno, fu visto il sole, e la sua luce durò a lungo». Sempre in ordine cronologico: «Nel 122 avanti Cristo, in Gallia, furono visti tre soli e tre lune». Anche Plinio, nelle sue “Storie”, parla di tre lune: esattamente lo stesso fenomeno. Nell’antichità, gli avvistamenti sono veramente tantissimi, proprio come quelli odierni (che oggi siamo ufficialmente “autorizzati” a considerare veri: non possiamo più tentare di spiegarli con troppa faciloneria).Nel 106 avanti Cristo, a Roma, «fu udito un fragore in cielo e furono visti cadere dall’alto astri», e sempre in pieno giorno «fu visto un bagliore che attraversava il cielo», scrive Ossequente, citando Tito Livio. Ancora: «A Todi e Armeria furono viste armi combattere in cielo da oriente e da occidente, ed essere sconfitte da occidente». E’ lo stesso episodio citato da Plino il Vecchio, nella sua “Storia naturale”. Ancora: «Nel territorio di Bolsena, una fiamma si sollevò da terra e fu vista toccare il cielo» (chissà cos’era partito, quel giorno, da Bolsena: forse non lo sapremo mai, ma certo si trattò di un prodigio). «A Tarquinia, nel 100 avanti Cristo, al tramonto, un oggetto rotondo simile a uno scudo fu visto attraversare il cielo da occidente a oriente, e si udì anche un frastuono di armi sotterranee». Sfogliando sempre le pagine di Ossequente: nel territorio dei Vestini, cioè nel Sannio, «in una tenuta di campagna piovvero pietre, e in cielo apparve un bagliore e tutto il cielo sembrò infiammarsi».Di nuovo a Bolsena: nel 93 avanti Cristo, «all’alba una fiamma fu vista risplendere in cielo: dopo essersi raccolta in un punto, la fiamma mostrò una bocca del colore del ferro, il cielo sembrò aprirsi e colonne di fuoco apparvero attraverso questa fenditura». Nel 92 avanti Cristo, a Fiesole, «in cielo fu visto un fascio di luce». Nel 91, ancora in Toscana, all’alba, «una sfera di fuoco apparve con grande fragore». Nella regione di Spoleto, «una sfera di fuoco del colore dell’oro cadde a terra e, divenuta più grande, fu vista essere trasportata da terra verso oriente, e coprì la grandezza del sole». Nella Bibbia, Zaccaria vede arrivare un Efà volante (una sfera) in cui, una volta a terra, si apre uno sportello mostrando al suo interno una donna. Poi arrivano in volo altri due esseri femminili, e questo oggetto viene preso e aviotrasportato verso oriente fino alla Terra di Shinar, cioè la Terra di Sumer, dove – dice la Bibbia – gli stanno costruendo una piattaforma. Un evento molto simile a quello ambientato in Umbria.«A Rodi, in un accampamento – scrive ancora Ossequente – un corpo di grandi dimensioni cadde dal cielo. Una figura dall’aspetto di Iside fu vista colpire con il fulmine una macchina da assedio. Fu sentita una grande risata, senza vedere di chi fosse». Nel 63 avanti Cristo, a Pompei, «una fiaccola ardente si estese in lunghezza verso il cielo a partire da occidente» (e in nota, si riportano conferme di fenomeni celesti date addirittura da Cicerone). Questo, per darvi un’idea della vastità di testimonianze su questi avvistamenti, anche nel mondo classico, di cui si tende a non parlare (salvo invocare la “paradossografia”, trentando con questo di far intendere che quei racconti fossero necessariamente inventati). Ora non è più così: adesso possiamo “fare finta” che quei fenomeni fossero reali. Nel 44 avanti Cristo, a Roma, «brillarono tre soli, e intorno al sole più basso una corona come di spighe sfavillò, assumendo la forma di un disco, e in seguito – ritornato il sole a un’unica orbita – per molti mesi vi fu una pallida luce». E così via.Come vedete, anche nel mondo degli storici romani – Tito Livio, Plinio, Tacito – i racconti dei prodigi sono numerosissimi. Torniamo quindi ai ragionamenti che oggi, finalmente, siamo “autorizzati” a fare: ci dicono che questi fenomeni esistono, ma ci dicono anche che non ne sanno nulla. Siamo di fronte a due possibilità. La prima: è vero, che non ne sanno nulla. Se è così, vuol dire che c’è qualcuno che ne sa più di loro: più degli americani, più dei cinesi, più dei russi. Qualcuno che – non sappiamo dove, né come – fabbrica quelle “cose” lì, le fa volare, e fa compiere a quelle “cose” delle manovre che il resto dell’umanità dice di non saper fare. Poi c’è una seconda possibilità: e cioè che questa affermazione (”non sappiamo cosa siano”) sia falsa. Cioè: la possibilità che loro sappiano. Il 25 giugno, un capitolo del dossier Ufo-Uap resterà comunque chiuso, inaccessibile al pubblico. Quindi siamo autorizzati a pensare che la loro affermazione (”non ne sappiamo nulla”) non sia sincera, cioè che loro ne sappiano molto di più.E allora viene da pensare che viviamo all’interno di una specie di Truman Show: ci raccontano solo ciò che vogliono. E ci raccontano da sempre solo ciò che vogliono, anche sulla storia dell’umanità: lo fanno per tenerci rinchiusi dentro precisi recinti, all’interno dei quali vengono distribuite delle verità. Ovvero: i “pastori” (non a caso le religioni usano questo termine) dicono a noi, “pecorelle”, quale erba dobbiamo brucare, tenendo la testa bassa e accontentandoci di quell’erba lì, perché altra non ce ne danno. Se ci accorgiamo di questo, ci rendiamo conto di essere dentro un Truman Show. E come nel film, alla fine – dopo questa tempesta di informazioni che ci viene data – anche noi potremmo arrivare a toccare la parete di questo grande teatro, nel quale siamo tenuti. Potremmo cominciare a salire i gradini della consapevolezza, che conducono verso quella porta di fronte alla quale anche noi – nel momento in cui scopriamo che, ancora una volta, non ci stanno dicendo il vero, e ci tengono nascosta la storia e l’attualità delle vicende che riguardano l’umanità – a quel punto, chissà, magari anche noi apriremo gli occhi: faremo anche noi il nostro bell’inchino, apriremo quella porta e usciremo finalmente da questo teatro, nel quale ci fanno vivere da secoli.(Mauro Biglino, estratti dal video “Dal Pentagono a Tito Livio e oltre”, pubblicato il 12 giugno 2021 sul canale YouTube “Il vero Mauro Biglino”).Riguardo al dossier Ufo (o Uap, come si dice oggi) sappiamo che il prossimo 25 giugno non tutto sarà reso pubblico: ci sarà comunque un capitolo che rimarrà “classificato”, quindi ci saranno delle cose che non ci diranno. Intanto, quello che sta avvenendo è già di una importanza fondamentale. Siamo davvero di fronte a uno spartiacque: fino a ieri ci si poteva domandare se “credere” o meno, all’esistenza di oggetti volanti non identificati, e la risposta “sì, ci credo” veniva accolta con un certo sarcasmo, perché gli avvistamenti degli Ufo venivano tutti apparentemente spiegati, anche con una certa faciloneria. Adesso non è più così: oggi, le fonti ufficiali ci dicono che questi oggetti volanti restano “non spiegati”: non si sa come facciano a muoversi nel cielo in quel modo, e non risultano appartenere a flotte terrestri. Ufficialmente, le cose che al momento si sanno sono queste: esistono, ma non sappiamo cosa sono, non sappiamo come funzionano e non sappiamo da dove arrivano.
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Vinča, in Europa gli uomini-serpente: sapevano scrivere
Lei è amorevole, come madre, nel tenere in braccio la sua creatura. Ma ha tre problemi: ha almeno 7.000 anni, indossa una tuta da astronauta (o da motociclista) e mostra una testa da lucertola, o da salamandra. E’ una delle tante statuette della misteriosa cultura Vinča, che prende il nome da un villaggio alle porte di Belgrado: una presenza archeologicamente documentata in una vasta area, dai Balcani ai Carpazi, e anche oltre. Divinità animalesche, alieni-rettile o semplici maschere zoomorfe? Gli stessi Dogon del Mali dicono di discendere da una “razza anfibia” venuta dalle stelle, ricorda Marco Enrico de Graya, nel video “Gli uomini-serpente e la cultura Vinča”, con Gianluca Lamberti sul canale YouTube “Facciamo finta che”. Notizia recente: il Dna estratto da 6 scheletri rinvenuti nell’area Vinča – dice l’esperto – non corrisponde ad alcun altro ceppo genico umano conosciuto.Progenitori rettiloidi, come quelli della narrazione complottistica di David Icke? Se a qualcuno viene in mente la vicenda del Nahash, cioè il “serpente” biblico della Genesi che si accoppia con Eva dando origine a Caino, De Graya racconta una storia che rinvia allo stesso Zecharia Sitchin, e quindi alla predilezione degli Anunnaki sumeri per l’oro. In base alla mitologia, la bellissima regina delle terre balcaniche (Echidna, figlia di Zeus) era metà donna e metà serpente, e sovrintendeva alla ricerca dell’oro: proprio nei Carpazi sono state rinvenute le più antiche miniere aurifere d’Europa, sfruttate molto prima che l’uomo imparasse a individuare, estrarre e fondere i metalli, almeno secondo la preistoria finora illuminata dagli studiosi. Ebbene, dall’unione tra Echidna e Ercole sarebbero nati i futuri popoli (europei occidentali, slavi e indo-iraniani): tutti figli di un semidio e di una regina-serpente?In realtà, stando alla narrazione attribuita a Thot – spiega Marco Enrico De Graya – Echidna e Eracle rappresentano la stessa cosa: l’ibrido umano-divino. «Il serpente è solo un simbolo, adottato per indicare le “divinità” del passato, che si presumeva (erroneamente) che fossero immortali». Perché proprio il serpente? «Perché ogni anno cambia pelle, dando la sensazione di restare eternamente giovane». L’origine “divina” spiega anche il fatto che al “serpente” sia sempre stata attribuita una speciale sapienza, compresa quella della medicina. «Se fosse stata davvero un serpente, Echidna, come avrebbe potuto accoppiarsi con Ercole?». Vale anche per Eva e il Nahash, ovviamente. Ma da dove viene, la cultura Vinča degli uomini-serpente? Nebbia fitta: anche sulla loro scrittura. Già, perché quel popolo era in possesso di una “protoscrittura” molto più antica di quella, cuneiforme, delle tavolette sumere.Dopo un primo ritrovamento in Ungheria risalente al 1875, il sistema simbolico Vinča è stato messo in relazione alle Tavolette di Tărtăria, ritrovate solo nel 1961 a Săliștea, in Romania. Secondo la datazione al carbonio, risalirebbero al IV millennio avanti Cristo, ovvero 1300 anni prima della scrittura cuneiforme. Non è tutto: dopo quelle prime scoperte, negli ultimi anni sono stati trovati circa un migliaio di reperti della stessa natura, disseminati nei Balcani (Grecia, Bulgaria, Romania) ma anche in Ungheria, in Moldavia e persino in Ucraina. Dunque è confermato: sapevano scrivere, i misteriosi Vinča, vissuti – assai prima dell’epoca dei sumeri – proprio alle porte dell’Europa occidentale, non lontano dall’Urartu caucasico dove sarebbe approdata l’Arca di Noè. Per intenderci: è la stessa area a nord della Mesopotamia, in cui gli studiosi situano l’Eden, la regione biblica all’origine della nascita di Adamo ed Eva.Lei è amorevole, come madre, nel tenere in braccio la sua creatura. Ma ha tre problemi: ha almeno 7.000 anni, indossa una tuta da astronauta (o da motociclista) e mostra una testa da lucertola, o da salamandra. E’ una delle tante statuette della misteriosa cultura Vinča, che prende il nome da un villaggio alle porte di Belgrado: una presenza archeologicamente documentata in una vasta area, dai Balcani ai Carpazi, e anche oltre. Divinità animalesche, alieni-rettile o semplici maschere zoomorfe? Gli stessi Dogon del Mali dicono di discendere da una “razza anfibia” venuta dalle stelle, ricorda Marco Enrico de Graya, nel video “Gli uomini-serpente e la cultura Vinča“, con Gianluca Lamberti sul canale YouTube “Facciamo finta che”. Notizia recente: il Dna estratto da 6 scheletri rinvenuti nell’area Vinča – dice l’esperto – non corrisponde ad alcun altro ceppo genico umano conosciuto.
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“Bogre”, Fredo Valla: il mio film sul massacro dei Catari
«I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto», sono parole di Pierre Bayle (1647-1706), filosofo francese contemporaneo di Spinoza, che, perseguitato per la sua fede ugonotta, si rifugiò a Rotterdam nei Paesi Bassi. Parole che mi sono state di ispirazione nella realizzazione del mio ultimo film documentario “Bogre – la grande eresia europea”. Film dedicato alla storia dei “bogre” (si legge bugre), ossia dei Bogomìli bulgari, cristiani dualisti, e della loro filiazione in Occidente, i Catari della Francia del Midì (l’Occitania dei Trovatori), dell’Italia settentrionale e centrale, delle Fiandre, della Germania e della Bosnia. Tra loro non si dicevano Catari, né Bogomìli, ma buoni uomini o buoni cristiani. Tuttavia, in Occitania, in segno di disprezzo, li dissero “bogre”, che significa bulgaro, per la derivazione dall’eresia sorta nel X secolo nelle terre balcaniche.In Italia, il catarismo trovò terreno fertile a partire dal XI secolo, con forti comunità di buoni uomini a Desenzano, Concorezzo (Milano), Piacenza, Cremona, Sirmione, Verona, Marca Trevigiana, Firenze, Spoleto, Orvieto e, in Piemonte, a Monforte d’Alba, Roccavione, Cuneo e Acqui. Alcuni studiosi pensano che ai tempi di Farinata degli Uberti, una buona percentuale di fiorentini fosse catara. I rapporti fra le chiese catare d’Occitania, Italia e Bosnia con i bogomili di Bulgaria furono frequenti, perlomeno fino al XIII secolo, con un flusso dai Balcani di libri dottrinali e la partecipazione ai concili, favorito dai commerci e dal passaggio delle crociate verso la Terrasanta. A testimonianza della ricchezza di contatti e scambi in un’Europa medievale che siamo abituati a pensare chiusa e isolata.In Occidente il catarismo si propose come alternativa alla Chiesa di Roma. Per questo motivo nel 1209 Papa Innocenzo III scatenò contro i Catari una crociata di cristiani contro cristiani, chiamando a raccolta baroni e cavalieri del nord della Francia, coraggiosi ma spiantati – un po’ come i conquistadores spagnoli in Messico e Perù – promettendo loro la salvezza eterna e i ricchi feudi della Linguadoca. Il colpo più duro lo diede nuovamente il Papa nel 1230, con l’istituzione dei tribunali dell’Inquisizione, che crearono un clima di terrore e di delazione, che non può non portare alla mente il terrore staliniano. Ultima a resistere fu la Bosnia, dove il catarismo si estinse nella seconda metà del XV secolo con la conquista ottomana, quando la dottrina originaria già si stava esaurendo in un sincretismo religioso compromesso col potere.In che cosa credevano Bogomìli e Catari? Essenzialmente distinguevano fra Spirito e Materia. Tutto ciò che appartiene allo Spirito è stato creato dal Dio Buono, mentre tutto ciò che è Materia (quindi anche i corpi umani) sono creatura di un Demiurgo, Dio del Male o Demonio a seconda del nome che gli si voleva attribuire. In questo modo essi rispondevano alla domanda delle domande: Unde malum? Perché il Male? Il Male esiste – dicevano – perché esiste un Dio del Male. Sono anni che faccio documentari e mi occupo di lingua e di cultura occitana, quindi la vicenda dei Catari ha attraversato la mia vita. Poi nel 2005 ho avuto l’occasione di cominciare una collaborazione con Antonio e Pupi Avati, che producevano una serie di puntate sui paesi dell’Est per “Tv2000″. A me fu assegnata la Bulgaria. Là conobbi Axinia Dzurova, studiosa di testi slavi e glagolitici.Axinia, allieva di Ivan Dujcev, tra i maggiori studiosi dei Bogomili, mi rivelò – e fu una vera rivelazione – le relazioni fra Bogomìli e Catari. Da qui l’idea del film, per raccontare un’eresia europea che nessun film aveva mai raccontato. Tra il 2016 e il 2017 ho lavorato alla scrittura. Le prime riprese sono state in Bulgaria, nell’autunno del ’17, là dove la vicenda di questi eretici ha preso le mosse. A marzo di quest’anno, “Bogre” ha esordito con successo al Film Festival Internazionale di Sofia ed è un po’ come se si fosse chiuso un cerchio, come se il film cominciasse la sua strada da dove tutto è iniziato. Ma “Bogre” ha una storia particolare anche per ciò che riguarda il reclutamento della troupe, composta da ex allievi e collaboratori de “l’Aura”, la scuola di cinema che ho fondato col mio sodale Giorgio Diritti a Ostana, paese delle Alpi occitane davanti al Monviso. Girare è stato come fare scuola sul campo. Una bella soddisfazione, per me e per gli allievi che sono cresciuti facendo.“Bogre – la grande eresia europea” si presenta come un evento anche a partire dalla durata, 200 minuti, in cui chiedo allo spettatore di essermi complice, di entrare con me nella bolla e abbandonarsi alle immagini e alle parole del racconto. Per questo il film va visto al cinema e non in tivù. Duecento minuti che sono una scelta di linguaggio, in cui il film si dipana e si mostra nel suo farsi, con la mia troupe in scena, o io e il mio montatore, Beppe Leonetti che è anche co-produttore con Chambra d’Oc e Lontane Province, in sala montaggio. Ho sempre pensato che un film dura quanto deve durare. Questa volta mi sono sentito libero: come i Catari e i Bogomili. “Bogre” è un film sulla libertà di pensiero, sul diritto di scegliere (eresia significa scelta), su un’idea di giustizia in opposizione ai poteri intolleranti. Le vicende di questi eretici trovano un parallelo in storie a noi più vicine, come la Shoah, il genocidio armeno, l’intolleranza verso chi è diverso da noi e viene a “invadere” l’Occidente civilizzato. I “bogre” di oggi! Una storia estirpata dai libri di storia che ritorna, perché, ahimé, il male non finisce.(Fredo Valla, “Bogre, il mio film sulla libertà di pensiero, sul diritto di scegliere, su un’idea di giustizia contro i poteri intolleranti”, da “La Stampa” dell’8 giugno 2021. Autore, regista e sceneggiatore, Fredo Valla ha curato il copione di film come “Il vento fa il suo giro” e “Un giorno devi andare”, diretti da Giorgio Diritti. E’ un instancabile difensore della minoranza linguistica occitanica e della sua antica cultura, che sopravvive nelle valli alpine cuneesi e nel Sud della attuale Francia).«I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto», sono parole di Pierre Bayle (1647-1706), filosofo francese contemporaneo di Spinoza, che, perseguitato per la sua fede ugonotta, si rifugiò a Rotterdam nei Paesi Bassi. Parole che mi sono state di ispirazione nella realizzazione del mio ultimo film documentario “Bogre – la grande eresia europea“. Film dedicato alla storia dei “bogre” (si legge bugre), ossia dei Bogomìli bulgari, cristiani dualisti, e della loro filiazione in Occidente, i Catari della Francia del Midì (l’Occitania dei Trovatori), dell’Italia settentrionale e centrale, delle Fiandre, della Germania e della Bosnia. Tra loro non si dicevano Catari, né Bogomìli, ma buoni uomini o buoni cristiani. Tuttavia, in Occitania, in segno di disprezzo, li dissero “bogre”, che significa bulgaro, per la derivazione dall’eresia sorta nel X secolo nelle terre balcaniche.
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L’Orizzonte degli Eventi: serve un’intelligence popolare
Un bel po’ di anni fa, dal grande Giampaolo Pansa udii queste parole: se avete una notizia, datela. Cioè: non stateci a pensare troppo, non abbiate paura dell’impatto che potrà avere. Certo, le notizie vanno prima controllate, verificate. Ma lo sport nazionale – aggiunse l’autore di “Carte false”, brillante pamphlet sulle troppe cialtronerie del giornalismo italiano – consiste nel non darle quasi mai, le vere notizie, se non in dosi omeopatiche e dopo aver sondato con infinita cautela tutti i potentati, anche politici, che potrebbero non gradire l’articolo in uscita. Il corollario del Pansa-pensiero: meglio una notizia imprecisa, piuttosto che il silenzio. Così almeno la lezione fu recepita, allora, dai giovani aspiranti colleghi, che ancora vedevano nella professione del reporter (proprio grazie alla presenza di fuoriclasse come Pansa) la possibilità di fare davvero i “cani da guardia della democrazia”. Con le dovute proporzioni, certo: al netto delle limitate capacità di ciascuno. E ben sapendo che l’errore, lo svarione e la presbiopia ideologica sono sempre dietro l’angolo.Il mondo di Pansa, come sappiamo, è tramontato con la fine dei grandi partiti, travolti da Mani Pulite, per poi inabissarsi definitivamente dopo l’11 Settembre insieme a tutto il resto (compresi i “cani da guardia” e la stessa democrazia, almeno per come la si era conosciuta e apprezzata negli anni d’oro del libero scrivere e del libero parlare). Dal pianeta delle stragi e delle “guerre al terrorismo” – passando per le tempeste artificiali dello spread – siamo approdati al nuovo universo della Verità Unica Pandemica, nel quale è diventato lecito anche togliere la parola al presidente degli Stati Uniti, sebbene ancora in carica. Banale dirlo, oggi: l’informazione stessa sembra sia stata letteralmente inghiottita da un buco nero, risucchiata nella terra di nessuno che gli astrofisici chiamano “l’orizzonte degli eventi”, oltre il limite misurabile dalla velocità della luce. L’Orizzonte degli Eventi è anche il nome della trasmissione web-streaming condotta il giovedì sera da Tom Bosco con Matt Martini e Nicola Bizzi sul canale YouTube di “Border Nights”. Obiettivo: monitorare gli accadimenti e provare a spiegarli, tentando di decifrarne il significato.Missione rischiosa, naturalmente: si può sempre essere imprecisi, specie in diretta. Ne è consapevole lo stesso Martini, chimico farmaceutico e appassionato studioso dei legami (anche di matrice esoterica) tra passato e presente, con una particolare predilezione per le culture orientali. Martini è anche co-autore e curatore, insieme a Bizzi, dell’instant-book “Operazione Corona”, trasformatosi in bestseller. Un libro editato a tempo di record da Aurora Boreale, con il contributo di personaggi come l’avvocato Marco Della Luna e, tra gli altri, di un medico del calibro di Stefano Scoglio, già candidato al Nobel per la Medicina. Ebbene: di fronte al prevedibile clamore suscitato dalla trasmissione, sempre più seguita, lo stesso Martini si è sentito in dovere di fornire qualche precisazione. Per esempio, questa: non si può pretendere che la nostra diretta del giovedì sera diffonda sempre e solo notizie certificate. A volte si limita, per così dire, a segnalare spunti, indizi, semplici opinioni e possibili tracce di verità eventuali. Siamo una sorta di “intelligence popolare”, dice Martini, spiegando: ve lo immaginate, un servizio segreto che trascurasse qualche pista?Il menù (proprio come quello degli 007) comprende inevitabilmente anche la possibilità di imbattersi nelle cosiddette bufale, quelle che oggi va di moda chiamare fake news. Per verificarle occorre tempo, e dunque ci si trova di fronte al famoso bivio: tacere (che è la scelta più comoda) o parlare comunque, pur sapendo di poter cadere in errore. La risposta del pubblico (decine di migliaia di visualizzazioni) sta premiando la scelta di immediatezza operata dalla trasmissione: parlare, sempre e comunque. Un “collega” come Massimo Mazzucco, anche lui presente nel circuito di “Border Nights”, è più prudente: sceglie di pronunciarsi solo quando è certo di poter documentare quanto afferma, sapendo benissimo che l’avversario (politici, media, debunker) non aspettano altro che un passo falso, magari su un aspetto secondario, per poter attaccare la fonte – screditandola – allo scopo di squalificare l’intero contenuto, scomodo, che ha presentato.Esemplare l’ultimo colpo messo a segno dall’inappuntabile Mazzucco: in un video documentatissimo anticipato sul suo canale (”Contro Tv”, fondato insieme a Giulietto Chiesa) ha dimostrato come l’establishment si sia rifiutato di riconoscere le ormai numerose terapie che contrastano il Covid in modo efficace, senza nemmeno dover ricoverare i pazienti. Perché lo hanno fatto? Perché l’abilitazione di una qualunque terapia – spiega Mazzucco – avrebbe reso impossibile la concessione dell’autorizzazione d’emergenza per i “vaccini genici”, ancora sperimentali, presentati (in modo fraudolento, dunque) come unica soluzione possibile. Si domanda Mazzucco: se le terapie messe a punto dai migliori medici italiani a partire dalla tarda primavera 2020 fossero state prontamente adottate, quante vittime in meno avremmo avuto? La risposta “sta soffiando nel vento”, per dirla con Bob Dylan, o magari è stata inghiottita – anche lei – dal grande buco nero nel quale sono finite le principali verità, riguardo allo spettacolo planetario della cosiddetta pandemia.Il paziente lavoro di Mazzucco – indagini e reportage – è strettamente correlato con quello di molti altri analisti che, a monte, si confrontano ogni giorno con fonti aperte, come ricorda lo stesso Matt Martini: si tratta sempre di notizie (o anche solo di voci e indizi) comunque rintracciabili “in chiaro”, sulla stampa o sul web. Blog, social media, siti ufficiali, web-tv: un “concerto” caotico e contraddittorio, worldwide, dal quale estrarre spunti da approfondire. Il giovedì sera, L’Orizzonte degli Eventi si comporta come una sorta di prima linea: registra dati, selezionandone alcuni. Non sappiamo sempre quanto siano attendibili, ammette Martini, che però spiega: non possiamo permetterci di trascurarne nessuno, di quelli che ci paiono interessanti. E il pubblico – è il caso di ripeterlo – apprezza questa scelta metodologica, che poi (nel caso de L’Orizzonte degli Eventi) viene declinata, legittimamente, in base alla sensibilità culturale degli speaker, alla loro esperienza e alla capacità effettiva di proporre analisi coerenti (in diretta) sulla base dei fatti evidenziati.Possono apparire surreali, queste riflessioni, in un mondo in cui una forte minoranza della popolazione ha ormai raggiunto una radicata convinzione: del mainstream, semplicemente, non ci si può più fidare. Ed è abbastanza illusorio sperare in una sua prossima “redenzione”, tenendo conto di un fatto basilare: le società che controllano i media sono pochissime, un pugno di operatori, strettamente correlati fra loro e al servizio dei massimi poteri. L’autonomia della singola redazione, in pratica, è come se si fosse estinta. Un giorno la situazione cambierà, come in fondo tutto, sulla Terra, finisce sempre per cambiare, prima o poi? D’accordo, ammettiamolo. Ma nel frattempo, chi si incarica di rilanciare informazioni, analisi e ipotesi che il mainstream tace? Certo, il rischio del manierismo cospirazionistico è evidente: si corre il pericolo di finire in un ghetto farneticante, comodissimo per il “potere” che si dichiara di voler contrastare. Vero, ma l’alternativa quale sarebbe? Tacere? Attendere di avere sottomano tutti gli elementi?Questo vale certamente per chi, come Mazzucco, costruisce solidi reportage giornalistici su argomenti precisamente delimitati. Ma il lavoro dei reporter come Mazzucco parte comunque da informazioni rilevate e rilanciate dagli operatori di prima linea, da quelli che Matt Martini chiama “l’intelligence popolare”. In tutto questo, trovo sia dirimente una parola preziosa e oggi infrequente: libertà. Puoi anche diffidare di certi contenuti, ma se non fossero circolanti sarebbe un male. E’ fondamentale dare conto delle idee che vengono espresse, anche quelle che possono apparire stralunate: fotografano benissimo lo stato emotivo, psicologico, cognitivo e politico della platea odierna. Alla censura, del resto, provvede già il mainstream, maestro innanzitutto di autocensura. Se si è liberi, si può sempre valutare serenamente ogni voce: senza averne paura, e anzi apprezzando la polifonia (anche stridente) dell’insieme. E senza mai dimenticare la lezione del vecchio Pansa, che ai cronisti in erba ripeteva: ascoltate tutto e tutti, ma non fidatevi ciecamente di nessuno – beninteso: nemmeno di me.(Giorgio Cattaneo, 11 giugno 2021).Un bel po’ di anni fa, dal grande Giampaolo Pansa udii queste parole: se avete una notizia, datela. Cioè: non stateci a pensare troppo, non abbiate paura dell’impatto che potrà avere. Certo, le notizie vanno prima controllate, verificate. Ma lo sport nazionale – aggiunse l’autore di “Carte false”, brillante pamphlet sulle troppe cialtronerie del giornalismo italiano – consiste nel non darle quasi mai, le vere notizie, se non in dosi omeopatiche e dopo aver sondato con infinita cautela tutti i potentati, anche politici, che potrebbero non gradire l’articolo in uscita. Il corollario del Pansa-pensiero: meglio una notizia imprecisa, piuttosto che il silenzio. Così almeno la lezione fu recepita, allora, dai giovani aspiranti colleghi, che ancora vedevano nella professione del reporter (proprio grazie alla presenza di fuoriclasse come Pansa) la possibilità di fare davvero i “cani da guardia della democrazia”. Con le dovute proporzioni, certo: al netto delle limitate capacità di ciascuno. E ben sapendo che l’errore, lo svarione e la presbiopia ideologica sono sempre dietro l’angolo.
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Severgnini fa l’apripista nella “guerra” ai non vaccinati
Nel mio ultimo video, “Covid, le cure proibite”, avevo previsto che in autunno sarebbe iniziata la battaglia contro le persone non vaccinate, nel tentativo di colpevolizzarle per la eventuale persistenza del virus. In altre parole, dicevo, si sarebbe tentato di mettere cittadini gli uni contro gli altri, nella speranza di usare i vaccinati per convincere le ampie sacche di non vaccinati a cedere definitivamente ai desiderata di Big Farma. Invece, a quanto pare, si vogliono accelerare i tempi. Già oggi il “Corriere della Sera” pubblica un video di Beppe Severgnini intitolato “Quanta pazienza con gli attempati no-vax”. Con il solito ditino alzato da maestrino di provincia, il nostro ignorante nazionale si rivolge ai circa 4 milioni di sessantenni che finora non si sono vaccinati, sentenziando: «Cari attempati no-vax, se potete permettervi certe fisime è grazie a noi, alle decine di milioni di italiani che disciplinatamente si vaccinano e vi proteggono, e con voi, diciamolo, hanno una gran pazienza».Questo, per chi non l’avesse capito, sarà il refrain autunnale. Severgnini viene semplicemente mandato in avanscoperta, “per vedere l’effetto che fa”. Ritengo quindi necessario rispondere immediatamente, in modo categorico, prima che questa diventi la narrativa ufficiale sul mainstream. Caro Severgnini, è veramente tragico vedere mescolate in una sola persona tanta presunzione e tanta ignoranza: 1 – Non esiste ad oggi una sola ricerca scientifica randomizzata in doppio cieco che dimostri in modo irrefutabile quale sia l’efficacia effettiva delle nuove terapie geniche (comunemente, ma erratamente, definite “vaccini”). L’equivalenza automatica vaccino = immunizzazione esiste solo nella testa degli ignoranti. 2 – Per quanto ne sappiamo, dopo sei mesi di campagna vaccinale abbiamo delle percentuali di contagio ed un numero di morti giornalieri molto simili a quelli dell’anno scorso, nello stesso periodo.Necessitano quindi dati statistici molto più completi prima di poter affermare che le vaccinazioni abbiano avuto un qualunque effetto reale sulla riduzione della diffusione del virus. 3 – Sappiamo anche che i vaccinati possono comunque trasmettere il virus, come portatori asintomatici. Non si può quindi escludere che siano proprio i vaccinati i primi responsabili per la persistenza del virus nel nostro ambiente sociale. 4 – È addirittura lecito sospettare che siano proprio i vaccinati a favorire l’emergenza delle nuove varianti. Senza queste varianti, il virus molto probabilmente sarebbe già scomparso dalla faccia della terra. Quindi, casomai, la persistenza del virus è colpa vostra. Cordialmente, da un “attempato” che si informa ad un altro attempato che, evidentemente, ignora gli elementi più essenziali di questa discussione.(Massimo Mazzucco, “Quanta pazienza, con gli ignoranti…”, da “Luogo Comune” del 7 giugno 2021).Nel mio ultimo video, “Covid, le cure proibite”, avevo previsto che in autunno sarebbe iniziata la battaglia contro le persone non vaccinate, nel tentativo di colpevolizzarle per la eventuale persistenza del virus. In altre parole, dicevo, si sarebbe tentato di mettere cittadini gli uni contro gli altri, nella speranza di usare i vaccinati per convincere le ampie sacche di non vaccinati a cedere definitivamente ai desiderata di Big Farma. Invece, a quanto pare, si vogliono accelerare i tempi. Già oggi il “Corriere della Sera” pubblica un video di Beppe Severgnini intitolato “Quanta pazienza con gli attempati no-vax”. Con il solito ditino alzato da maestrino di provincia, il nostro ignorante nazionale si rivolge ai circa 4 milioni di sessantenni che finora non si sono vaccinati, sentenziando: «Cari attempati no-vax, se potete permettervi certe fisime è grazie a noi, alle decine di milioni di italiani che disciplinatamente si vaccinano e vi proteggono, e con voi, diciamolo, hanno una gran pazienza».
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Magaldi: perché mi fido di Draghi, nonostante i vaccini
Gioele Magaldi continua a scommettere su Mario Draghi: non ha ancora cambiato paradigma, su come affrontare il Covid, però sta facendo da rompighiaccio per uscire, definitivamente, dal tunnel dell’austerity. La prova? Non vuol saperne, di aumentare le tasse. Massone progressista, già iniziato alla superloggia “Thomas Paine”, nel 2014 Magaldi ha arricchito la narrazione sui retroscena del potere con il bestseller “Massoni”, edito da Chiarelettere, che indica – per la prima volta – l’esistenza di un livello decisionale apicale, super-massonico (quello delle Ur-Lodges) che condizionerebbe le stesse strutture “paramassoniche” – Bilderberg, Trilaterale, Davos – che a loro volta orientano notoriamente i media e la politica dei governi, a prescindere dai risultati elettorali. Dello stesso Draghi, Magaldi ha offerto la seguente interpretazione: nato in seno alla tradizione keynesiana (quella di Federico Caffè), assai prima del Britannia (e della sparizione di Caffè, nel 1987) approdò al nascente mainstream neoliberista, dominato dai gruppi massonici neo-conservatori che si sono inventati l’ordoliberismo dell’euro-sistema.Una cavalcata folgorante, quella di Super-Mario: direttore del Tesoro (privatizzazioni), Banca Mondiale, Goldman Sachs, Bankitalia e Bce. Dottrina: agevolare il privato, colpire la capacità di spesa dello Stato e sottoporre la politica all’ipocrita “pilota automatico” della finanza, cioè all’esclusivo interesse privatistico dei gruppi dominanti. Poi, il ravvedimento: l’evocazione della Mmt (il ritorno a Keynes) già prima di lasciare Francoforte, e quindi l’appello del 2020 sul “Financial Times” per il nuovo “whatever it takes”, stavolta giustificato dall’emergenza economica innescata dal Covid. Tradotto: emissione oceanica di denaro, per prestititi non destinati a trasformarsi in debito da ripagare. Cos’è successo, nella testa dell’ex super-banchiere, ancora a capo del Gruppo dei Trenta? Magaldi lo spiega così: dopo trent’anni (in cui ha brillato, come demolitore dell’Italia), Draghi ha disertato dalla corrente supermassonica “neoaristocratica”, cioè oligarchico-reazionaria, per tornare alle origini e offrirsi, alla massoneria sovranazionale progressista, come Grande Pentito, pronto a mettere il suo intatto prestigio a disposizione della causa: il ritorno alla sovranità democratica, dunque al ruolo generoso dello Stato nell’economia.Sta accadendo proprio questo, dice Magaldi, fiducioso nel metodo-Draghi per la “resurrezione” del paese, cominciando dal Recovery Fund nella modalità gestionale inevitabilmente iper-tecnocratica disegnata dall’ex capo della Bce. Solo un peso massimo mondiale come Draghi – è sottinteso – avrebbe potuto puntare a cambiare davvero il paradigma economico, declinato in Italia negli ultimi tre decenni dall’infausta Seconda Repubblica, nata dal golpe bianco di Tangentopoli e sopravvissuta (agonizzante) nella finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra: schieramenti entrambi sottomessi ai diktat della massoneria reazionaria che ha sin qui pilotato l’Ue, utilizzando il peso politico-economico dell’élite tedesca per imporre la sanguinosa follia del rigore di bilancio. Poi è arrivato il Covid, e tutto è cambiato: anche nel grande potere. Da una parte la filiera del rigore assoluto, decisa a usare la pandemia (e la Cina) per distruggere l’Occidente soffocando libertà e democrazia, e dall’altra l’élite antagonista, decisa a dare battaglia a tutto campo.Ci crediate o no, insiste Magaldi (già sostenitore di Trump), l’avvento del gruppo che sostiene Joe Biden è stato positivo: nemmeno Trump aveva avuto il coraggio mostrato da Biden (ovvero da Janet Yellen, e da Draghi) nell’ultimo G7, che ha dichiarato guerra ai paradisi fiscali, impegnandosi per un’equa tassazione, finalmente, a carico delle multinazionali. Altri segnali? Sì: dopo la “bastonatura” di Bill Gates, maschera del “terrorismo sanitario” e bio-politico, ora viene ridimensionato anche il sodale Anthony Fauci, fino a ieri intoccabile. E a proposito, si domanda Magaldi: che fine ha fatto il Great Reset nella versione da incubo distopico, risuonato al Forum di Davos? Magaldi rimprovera i “complottisti” disattenti: il loro dogmatismo, dice, è perfettamente speculare a quello del mainstream, che è in malafede quando dipinge il Covid come un male terrificante e quasi incurabile. Bene ha fatto, Michele Santoro, a protestare in televisione: agli italiani, rinchiusi in casa da Conte, non è stato permesso nemmeno di ascoltare voci scientifiche alternative, come quella di Montagnier, Premio Nobel per la Medicina.D’accordo, e Draghi? Sull’approccio al Covid siamo ancora ben lontani dalla soluzione, ammette Magaldi: è grave che non sia stato ancora predisposto un adeguato protocollo per le terapie domiciliari, ed è grave che non sia stata nemmeno riconosciuta ufficialmente la loro efficacia (cosa che avrebbe reso impossibile l’autorizzazione d’emergenza per i vaccini). Magaldi è sempre stato per “lasciar correre” il virus: immunità di gregge. Non è contrario ai vaccini “genici”, purché non li si imponga come unico rimedio. A Draghi, aggiunge, va comunque riconosciuto di aver cambiato i parametri per valutare la gravità della situazione: non più il numero di “casi”, cioè semplici contagi (spesso asintomatici), ma le ospedalizzazioni. E’ però vero che, se ci si cura a casa in modo tempestivo, è difficilissimo finire all’ospedale: meglio sarebbe basarsi, al massimo, sull’affollamento delle terapie intensive. Però intanto l’aria è cambiata, il rigorismo di Speranza è stato stoppato. E le sospirate riaperture, in Italia (al netto dei “ristori” insufficienti) stanno comunque procedendo meglio e più velocemente, rispetto ad altri grandi paesi europei.Va tutto bene, allora? Niente affatto: c’è da temere che, in autunno, il “partito della paura” rialzerà la testa. La notizia, semmai – secondo Magaldi – è un’altra: s’è finalmente messo in moto un insieme di forze, che ieri dormivano o addirittura remavano contro. E’ questa, la novità incarnata da Draghi: un possibile Piano-B di lungo respiro, che avrà bisogno di tempo per potersi esprimere, lottando contro i “neoaristocratici”. Piccolo paradigma italiano: oggi, Draghi invita a non temere l’assenza di “coperture” finanziarie, visto che il debito pubblico può sempre essere virtualmente ripagato. E’ l’esatto contrario di quanto affermava quand’era a capo della Bce, nella Torre dell’Austerity di cui è ancora prigioniero il Pd del “montiano” Enrico Letta, così come la “sinistra” di Speranza (leggasi D’Alema e Bersani) che vorrebbe sempre introdurre una patrimoniale, in ossequio ai grandi padroni del vapore che in questi tre decenni – quando Draghi era ancora con loro – non hanno fatto altro che impoverire la base per arricchire il vertice della piramide sociale.La cattiva notizia, semmai, è che la politica è assente: quelle di cui parla Magaldi sono “guerre” tra élite, mille miglia al di sopra di qualsiasi dibattito parlamentare alla portata del comune cittadino, diligentemente disinformato dai media. I discussi vaccini “genici”? Sono gli italiani – prima ancora del generale Figliuolo – a fare la fila per ottenere il sospirato inoculo. Lega e Fratelli d’Italia? Non hanno mosso un dito, quand’erano all’opposizione, per contrastare la “dittatura sanitaria” del Conte-bis, inclusi lockdown e coprifuoco. Come dire: da un tunnel così buio non si può pretendere di uscire in pochi mesi. E se i media continuano a essere colonizzati in modo pressoché totalitario, seguitando a raccontare l’opposto della verità e censurando ogni voce eretica, non si può nemmeno sperare che gli italiani si rendano conto di quello che sta avvenendo davvero, lassù, nel mondo di cui parla Gioele Magaldi, con le sue frequenti esternazioni – a volte complete, a volte no – riguardo ai complessi disegni delle “aristocrazie massoniche” che si starebbero dando battaglia per disegnare la fisionomia del nuovo mondo, quello del post-Covid.Gioele Magaldi continua a scommettere su Mario Draghi: non ha ancora cambiato paradigma, su come affrontare il Covid, però sta facendo da rompighiaccio per uscire, definitivamente, dal tunnel dell’austerity. La prova? Non vuol saperne, di aumentare le tasse. Massone progressista, già iniziato alla superloggia “Thomas Paine”, nel 2014 Magaldi ha arricchito la narrazione sui retroscena del potere con il bestseller “Massoni”, edito da Chiarelettere, che indica – per la prima volta – l’esistenza di un livello decisionale apicale, super-massonico (quello delle Ur-Lodges) che condizionerebbe le stesse strutture “paramassoniche” – Bilderberg, Trilaterale, Davos – che a loro volta orientano notoriamente i media e la politica dei governi, a prescindere dai risultati elettorali. Dello stesso Draghi, Magaldi ha offerto la seguente interpretazione: nato in seno alla tradizione keynesiana (quella di Federico Caffè), assai prima del Britannia (e della sparizione di Caffè, nel 1987) approdò al nascente mainstream neoliberista, dominato dai gruppi massonici neo-conservatori che si sono inventati l’ordoliberismo dell’euro-sistema.
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Uap, l’inspiegabile: Biglino e l’ultimo show del Pentagono
Si intitola “L’Inspiegabile”, l’ultimo kolossal di Hollywood co-prodotto dal Pentagono: il succulento trailer è appena stato distribuito al Congresso, con anticipazioni-bomba sulla grande stampa. Il noto critico cinematografico Mauro Biglino sottolinea l’inarrivabile humour degli sceneggiatori: i favolosi Uap (eredi dei vecchi Ufo, la cui presenza è stata risolutamente negata per 70 anni) ora finalmente “esistono”, in via ufficiale. Ma li protegge un impenetrabile mistero: cosa sono? Da dove vengono? Non dagli Usa, né dalla Russia o dalla Cina. E dunque? Suspence… La trovata fenomenale – ammette Biglino, autore di spettacolari recensioni di capolavori del passato – consiste in questo: viviamo monitorati da una rete di satelliti che saprebbero indicare anche il numero di targa di ogni veicolo circolante sul pianeta, eppure la prima intelligence militare del mondo non sa proprio dire quale stabilimento, sulla Terra, possa produrre quei velivoli che schizzano nel cielo esattamente come i “carri celesti” della Bibbia, dei poemi omerici e del Ramayana indiano.Possibile che il sequel sia anticipato dalla sit-com “Aiutiamo il Pentagono”, con anche un reality in cui – ognuno a bordo del proprio Uap televisivo – i concorrenti soccorranno gli sceneggiatori della Space Force, suggerendo la possibile origine (non aliena, forse sacra, eventualmente psico-visionaria) delle apparizioni multidimensionali che visitano lo spazio-tempo. Sarebbe un modo divertente per ispirare i formidabili autori della serie, già ideatori della leggendaria fiction che nel 1969 propose l’indimenticabile Sbarco sulla Luna a bordo di simpatiche scatolette di latta incerottate alla buona, col nastro isolante. Anche il Comitato Grandi Verità (sezione Akasha) conferma la coerenza narrativa delle ultime produzioni worldwide: attraverso Lorenzo Cherubini (in arte Jovanotti, autore della hit “Sono un ragazzo vaccinato”), lo stesso Bilderberg Group approva lo stile narrativo – tra il fantasy e il cartoon per la prima infanzia – proposto al grande pubblico mondiale.Applausi a scena aperta dal Club Zero Reticuli, che apprezza infinitamente tutto quello che sta accadendo sul nostro pianeta negli ultimi mesi: l’allusione si riferisce evidentemente all’altro reality, quello in corso sul suolo terrestre, in cui – attraverso un preciso sistema di punteggi – ogni partecipante (oltre 7 miliardi, gli iscritti) fa a gara nel credere a tutto quanto viene raccontato dal Ministero della Verità. Già in odore di Oscar il cast internazionale – da quello statunitense a quello italiano – per le strepitose performance nei ruoli drammatici, specie se interpretate da magistrali attori nei panni di pensosi scienziati. Il grande spettacolo (”Come in cielo, così in terra”) potrebbe essere replicato anche per tutto il 2021, anche se alcuni segnali di stanchezza da parte del pubblico lasciano pensare a colpi di scena. Indizi? Avvertono gli storici osservatori del memorabile Uap apparso a Fatima, in Portogallo: se guardiamo alla fine che hanno fatto i tre show precedenti (”Il Mistero dell’Isis”, “Chi ha paura dello spread” e “My Name Is Greta”, tutti scomparsi dai radar), possiamo immaginare che anche “Il Grande Virus” (con il suo sequel, “Il Grande Vaccino”) potrebbero essere rimpiazzati da qualcos’altro, sempre nell’abito della stessa produzione (Great Reset International).Si intitola “L’Inspiegabile”, l’ultimo kolossal di Hollywood co-prodotto dal Pentagono: il succulento trailer è appena stato distribuito al Congresso, con anticipazioni-bomba sulla grande stampa. Il noto critico cinematografico Mauro Biglino sottolinea l’inarrivabile humour degli sceneggiatori: i favolosi Uap (eredi dei vecchi Ufo, la cui presenza è stata risolutamente negata per 70 anni) ora finalmente “esistono”, in via ufficiale. Ma li protegge un impenetrabile mistero: cosa sono? Da dove vengono? Non dagli Usa, né dalla Russia o dalla Cina. E dunque? Suspence… La trovata fenomenale – ammette Biglino, autore di spettacolari recensioni di capolavori del passato – consiste in questo: viviamo monitorati da una rete di satelliti che saprebbero indicare anche il numero di targa di ogni veicolo circolante sul pianeta, eppure la prima intelligence militare del mondo non sa proprio dire quale stabilimento, sulla Terra, possa produrre quei velivoli che schizzano nel cielo esattamente come i “carri celesti” della Bibbia, dei poemi omerici e del Ramayana indiano.
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I Minoici in America: come occultare Atlantide e i Titani
E se tutto questo improvviso agitarsi attorno all’ultimo tabù, quello degli Ufo, nascondesse anche la paura per qualcosa che potrebbe accadere nel 2024, con l’ingresso di Plutone in Acquario, che per gli astrologi significa “rivoluzione”, cambio di passo epocale per il pianeta? Non è che i protagonisti dell’attuale ultimo show, la cosiddetta “disclosure aliena” (perfetta per archiviare l’altro spettacolo planetario, quello del Covid) hanno il fondato timore che, esattamente fra tre anni, lo spazio possa riservare sorprese indesiderabili, per gli odierni dominatori della Terra? Ragionando ad alta voce a “L’Orizzonte degli Eventi”, sul canale YouTube di “Border Nights”, Nicola Bizzi la butta lì: c’è chi pensa sia possibile che, proprio nel 2024, tornino dalle nostre parti quelli che la tradizione mitologica ha chiamato Titani. Ovvero: “divinità” che sarebbero approdate 90.000 anni fa alle nostre latitudini, provenienti dal sistema solare di Tau-Ceti.Ne parla Esiodo nella Titanomachia racchiusa nella Teogonia: i Titani sarebbero stati sfrattati 20.000 anni fa dopo aver perso una “grande guerra cosmica” con altre entità, che poi si sarebbero fatte conoscere come dèi olimpici nell’Ellade, e con nomi diversi in altri continenti. E perché mai sarebbero così importanti, i Titani come Prometeo, Atlante e Poseidone? Perché sarebbero stati i nostri “padri”, nientemeno: i discendenti di Giapeto ci avrebbero “fabbricati” geneticamente 80.000 anni fa, dando origine all’Uomo di Cro-Magnon, nei territori – non ancora sommersi e non ancora frazionati in arcipelago – del più mitico dei continenti scomparsi: Atlantide. Un’area vastissima, probabilmente estesa dalle Azzorre alle Svalbard, con le sue propaggini orientali non distanti da Gibilterra. Era comodo, il “continente perduto”, per raggiungere sia l’America che il Mediterraneo.Bene, e chi lo dice? Chi la racconta, questa storia? Platone, innanzitutto: nel Crizia, soprattutto nel Timeo e poi forse anche nell’Ermocrate, altro dialogo del sommo filosofo greco (andato smarrito o addirittura mai scritto, solo pensato). Però l’esistenza di Atlantide la davano per scontata anche autori come Tucidide e Tertulliano, Diodoro Siculo, Strabone, Plinio il Vecchio, Seneca: per loro era storia, non leggenda. Lo ricorda lo stesso Bizzi, nel monumentale saggio “I Minoici in America”, che ripercorre “le memorie di una civiltà perduta”. Dettaglio: anche tramite Solone, suo avo, Platone attinge le sue informazioni dall’Egitto, dove i sacerdoti avrebbero conservato il ricordo ancestrale dei primissimi colonizzatori venuti dal mare: la Stirpe del Leone, che avrebbe disseminato le rive del Nilo di piramidi e sfingi dalla testa leonina.Se l’origine “titanica” dell’umanità occidentale è una radicata convinzione della tradizione misterica eleusina, non suffragata però da documenti originali e fonti dell’epoca, Nicola Bizzi – con lo sguardo dello storico, monitorando attentamente l’archeologia – dimostra il clamoroso oscuramento, più che sospetto, della maggiore civiltà mediterranea che gli eleusini considerano di origine “atlantidea”: l’Impero Minoico di Creta. La tesi esposta: i “popoli del mare” risalenti a quel tempo (lelegi, pelasgi, egei e, infine, cretesi e troiani) restano “scomodi”, da studiare; si tende a sminuirne il ruolo, proprio per non dover approfondire la loro provenienza. Da dove venivano, le genti che seppero erigere i palazzi di Festo e Cnosso millenni prima dell’età greca?Erano provetti navigatori, presenti in Egitto ben prima dei faraoni. Guerrieri, mercanti, formidabili architetti. Una civiltà stranamente avanzata, in possesso di una lingua come il Lineare A. La progenie dei Minosse si era espansa in tutto il Mare Nostrum, fino all’Anatolia e al Mar Nero, anche se si stenta sempre a evidenziare le sue tracce. Mezza Europa, poi – dalla Sardegna alle Isole Britanniche – mostra i segni di una cultura affine, megalitica, che “specchia il cielo con le pietre” riproducendo costellazioni, esattamente come poi faranno le culture precolombiane dell’America centro-meridionale. C’era un mondo molto più vasto, nel 3000 avanti Cristo, di quello che la storiografia ufficiale (sempre più spiazzata dai ritrovamenti recenti, come quello di Göbekli Tepe in Turchia) sia tuttora disposta a riconoscere? C’era stato un Grande Prima, che poi è stato meticolosamente occultato fino ai nostri giorni?Purtroppo, premette Bizzi, l’archeologia resta ingessata nelle sue ataviche pigrizie: continua a non ammettere (con un atteggiamento ben poco scientifico) la necessità di incrociare i propri dati con quelli di altre discipline. Per esempio: solo nel 2014, i geofisici hanno finito di capire che la Terra è stata terremotata da un doppio schianto apocalittico, di origine cometaria: la prima onda d’urto nel 10800, la seconda nel 9600 avanti Cristo. Il che – annota lo storico – corrisponde con la datazione (tradizionale, eleusina) dell’inabissamento di Atlantide. Una sorta di spaventoso Grande Reset, dal quale quella civiltà sarebbe poi risorta – dopo il “diluvio” – arrivando a rifiorire nel Mediterraneo fino all’altro cataclisma, l’esplosione del vulcano Santorini (attorno al 1600) che decretò il declino irreversibile dei Minoici, la cui ultima battaglia – la Guerra di Troia, che Omero narra nell’Iliade – verso il 1250 avrebbe messo fine all’ultimo capitolo dei popoli di origine “titanica”, non indoeuropea.In realtà, alle fonti eleusine è dedicato solo l’ultimo capitolo de “I Minoici in America”, in cui Bizzi esibisce inediti documenti custoditi dai discendenti italiani di quella corrente culturale, che si vuole originata dall’apparizione a Eleusi (alle porte di Atene) della dea Demetra: nel 1216, caduta Troia, la dea avrebbe rivelato alla comunità eleusina (di origine minoica) la sua vera storia, preannunciando un lunghissimo esilio, le persecuzioni in arrivo (puntualmente verificatesi, da Teodosio in poi) e infine un ritorno, da parte delle divinità “titaniche”. Chi è appassionato ai risvolti meta-storici, spesso classificati come mitologici, noterà certe ricorrenti ridondanze: per gli eleusini, Demetra veniva da Enna, in Sicilia, mentre Virgilio (nell’Eneide) affiderà al troiano Enea il ruolo di fondatore di Roma. La radice “En”, avverte Bizzi, significa “inizio”. E proprio En’n era il nome dell’isola maggiore del leggendario arcipelago perduto nell’Atlantico.Loro, gli Ennosigei, avrebbero egemonizzato le Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente: da un loro geroglifico (”Hath-Lan-Thiv-Jhea”) il nome Atlantide, che in antico suonerebbe “la Grande Madre venuta dal mare”, a sottolineare l’impostazione matriarcale delle origini. Per gli eleusini, dice Bizzi, non è un caso che – sconfitti i Titani – le nuove divinità “usurpatrici” abbiano imposto culti dogmatici e schemi sociali basati sul potere patriarcale. Sempre secondo l’autore, il corpus sapienziale eleusino (il Tesoro del Tempio e gli Hierà) riuscì a sopravvivere in clandestinità grazie a Nestorio il Grande, leggendario Pritan degli Hierofanti eleusini, che lo fece sparire prima che a Eleusi facessero irruzione i Goti di Alarico, invitati dai vescovi cristiani perché mettessero le mani su tutti quei rotoli. Come se il culto “titanico” dovesse sparire dalla scena, per cancellare la memoria dell’imbarazzante origine atlantica? Operazione riuscita solo a metà, se è vero che l’ombra di Eleusi – mille anni dopo – riuscì ad allungarsi sul Rinascimento italiano, ispirando svariate signorie italiane a cominciare da quella medicea.Va però precisato che “I Minoici in America” non è un libro a tesi: attraverso 600 pagine di trattazione documentata, densa di citazioni puntualissime e corroborata da una bibliografia scientifica imponente, Nicola Bizzi si concentra soprattutto sugli studi dei ricercatori di oggi, pronti e denunciare le falle più vistose dell’archeologia ufficiale. Si mettono così a nudo le lacune e le contraddizioni di una narrazione che sembra voler parlare il meno possibile di Creta e dei suoi regnanti, delle loro fondamentali conquiste agevolate dalle superiori conoscenze di cui erano in possesso. Una su tutte – quella metallurgica – avrebbe permesso al Mediterraneo di entrare nell’Età del Bronzo, attingendo di colpo a un’enorme quantità di rame, ben superiore a quella disponibile a Cipro.«E’ stato stimato che oltre un milione di tonnellate di rame sia stato estratto, da ignoti minatori e per un periodo continuativo di circa mille anni, in migliaia di pozzi e gallerie sull’Isle Royal e sulla penisola Keweemaw, nello Stato americano del Michigan, nella zona dei Grandi Laghi al confine con il Canada». Lo si legge nell’incipit del capitolo “Le miniere minoiche del Michigan”: la datazione al radiocarbonio dei resti delle travi di legno utilizzate nelle gallerie risale fino al 3700 avanti Cristo. Secondo punto: per l’odierna mineralogia, che consente di determinare il “Dna” dei metalli e dunque la loro provenienza, il rame di Creta corrisponde esattamente a quello del Michigan. Terzo punto: come si naviga (a vela e a remi) dall’Egeo al Lago Superiore? Lo spiegano benissimo i tanti navigatori, antichi e poi medievali, che dall’America andavano e venivano tramandandosi rotte segrete e gelosamente custodite, dai tempi dei fenici e, prima ancora, dell’Impero dei Minosse.Dopo “Da Eleusi a Firenze” (e in attesa di “Da Eleusi a Washington”), chi apprezza le indagini di Bizzi non potrà che trovare appagante l’immersione tra le pagine di quest’ultimo prezioso lavoro, capace di incrociare dati ufficiali, riscontri mitologici e testimonianze archeologiche “scomode”, lungo una narrazione sempre avvincente e scorrevole malgrado l’esorbitante abbondanza di note, citazioni e riferimenti bibliografici estremamente accurati, classici e contemporanei. L’impressione è quella di percorrere una storia parallela, i cui punti cardinali coincidono con quelli convenzionali, facendogli però cambiare segno: come se davvero una specie di grande segreto proteggesse scoperte scoraggiate in ogni modo, dalle navi minoiche cariche di lingotti alle città (greche) rinvenute nella selva amazzonica da esploratori coraggiosi, poi spariti nel nulla. Non c’è bisogno di fantasticare sugli eventuali Ufo “titanici” del 2024, per interrogarsi sulla domanda di fondo a cui Bizzi prova a rispondere: perché tanto accanimento, nel secolare “cover up” archeologico sui Minoici?(Il libro: Nicola Bizzi, “I Minoici in America e le memorie di una civiltà perduta”, Edizioni Aurora Boreale, 616 pagine, 30 euro).E se tutto questo improvviso agitarsi attorno all’ultimo tabù, quello degli Ufo, nascondesse anche la paura per qualcosa che potrebbe accadere nel 2024, con l’ingresso di Plutone in Acquario, che per gli astrologi significa “rivoluzione”, cambio di passo epocale per il pianeta? Non è che i protagonisti dell’attuale ultimo show, la cosiddetta “disclosure aliena” (perfetta per archiviare l’altro spettacolo planetario, quello del Covid) hanno il fondato timore che, esattamente fra tre anni, lo spazio possa riservare sorprese indesiderabili, per gli odierni dominatori della Terra? Ragionando ad alta voce a “L’Orizzonte degli Eventi“, sul canale YouTube di “Border Nights”, Nicola Bizzi la butta lì: c’è chi pensa sia possibile che, proprio nel 2024, tornino dalle nostre parti quelli che la tradizione mitologica ha chiamato Titani. Ovvero: “divinità” che sarebbero approdate 90.000 anni fa alle nostre latitudini, provenienti dal sistema solare di Tau-Ceti.