Archivio del Tag ‘fantasmi’
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Il dopo-Renzi sarà anche peggio (si accettano scommesse)
Chi non ama il Rottamatore non ha di che consolarsi: il dopo-Renzi sarebbe anche peggio, un film dell’orrore. Con fantasmi come quelli di Enrico Letta e Massimo D’Alema, o il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. O magari l’avvento di Federica Mogherini, istruita a Bruxelles su come impacchettare quel che resta dell’Italia. Peggio ancora, un governo dei 5 Stelle al guinzaglio dell’Ue e degli Usa. E, gran finale, l’irruzione diretta della famigerata Troika. Mentre il premier traballa, dopo l’avvio della guerra a distanza ingaggiata con Juncker e l’Unione Europa, cioè con i terminali di potere della Germania, in Italia ormai impazzano le scommesse sulla durata residua del Fiorentino. Sul web si segnalano, tra i tanti, i pronostici di Federico Dezzani, Aldo Giannuli, Eugenio Orso. Quale sarà la prossima tegola che ci cadrà in testa? Una cosa è certa: la tenuta del governo «non è per niente certa per i mesi a venire, nonostante i Verdini di turno che corrono in soccorso». Un governo deciso all’esterno, dice Orso, «può essere dimissionato solo dai suoi “padrini sopranazionali”, non certo dal popolo bue».In palio, a quanto pare, ci sarebbe «la sostituzione del terzo governo italiano non eletto, filo-atlantista, euroservo e antipopolare». Secondo Dezzani, dopo Renzi ci sarà «un governo tecnico per attuare misure estreme contro di noi, il quarto non eletto dopo Monti, Letta e Renzi, forse guidato da Ignazio Visco». Oppure, piano-B: l’establishment euro-atlantico potrebbe giocare a sorpresa la carta del Movimento 5 Stelle, che Dezzani definisce «appositamente creato dagli angloamericani per catalizzare e addomesticare il voto di protesta». Secondo Giannuli, invece, potrebbe sorprenderci il ritorno del re dei dinosauri, il super-privatizzatore Massimo D’Alema, o magari quello dell’estromesso Letta, «per riorientare il partito», il Pd strattonato da Renzi. O ancora, il ritorno in Italia, a capo del governo, di Federica Mogherini, attuale “Lady Pesc”, che «farà addirittura rimpiangere Renzi». Eugenio Orso, poi, teme addirittura «l’avvento del famigerato governo-Troika commissariale definitivo, che non lascerebbe più spazio ai tentennamenti dei collaborazionisti locali nell’applicare le controriforme e fare le privatizzazioni, svendendo tutte le municipalizzate».E’ difficile dire cosa accadrà veramente, ammette Orso, visto che il 2016 che è appena agli inizi. Meglio allora procedere con cautela. Primo passo, un governo tecnico per attuare misure estreme, con a capo (come scrive Dezzani) Ignazio Visco. «Abbastanza probabile, se decideranno di continuare ancora per un po’ la sequenza di governi tecnici-nominati (dall’esterno, naturalmente)». La carta 5 Stelle? Secondo Dezzani, il movimento di Grillo non è che l’emanazione truffaldina, mascherata, dell’establishment euro-atlantico: «Del direttorio grillino – riassume Orso – il “papabile” potrebbe essere Di Maio, molto più di Fico e Di Battista, quotatissimo com’è negli immancabili sondaggi». Per Orso, sarebbe una soluzione «non troppo probabile», ovvero «possibile ma rischiosa per le élite, proprio per l’incapacità dei grillini nell’amministrare senza combinar casini (non nascondiamolo!) e per possibili resistenze alle controriforme contro il paese di una parte dei rappresentanti pentastellati e/o della base (i supporter del cinque stelle non sanno di essere eterodiretti!)».Sul ritorno di personaggi come D’Alema e Letta, «per superare il renzismo nel Pd e mantenere l’entità collaborazionista di governo», pronta ai diktat di Bruxelles, meglio sorvolare: una «minestra riscaldata», come dice Giannuli. E la Mogherini, distanziatasi da Renzi per fare da magafono dell’Ue? «Ha qualche probabilità in più», scrive Orso, «perché ci sarebbe, a supporto, per far digerire la pillola agli idiotizzati sinistroidi politicamente corretti, anche la retorica, amplificata dai lacchè giornalistici, sul primo capo di governo donna, emancipata, capace, relativamente giovane e brillante: Mogherini, la salvatrice dell’Italia al femminile, dopo Monti il salvatore e Renzi il rottamatore! Per noi, un deciso passo in avanti verso il burrone». In cima ai timori di Orso c’è però il commissariamento definitivo da parte della Troika: «Rappresenterebbe l’ultimo passo necessario per neutralizzare e saccheggiare l’Italia. Le élite renderebbero così il paese una pattumiera euroatlantista nel Mediterraneo, con poca industria e masse di straccioni adatti a lavori sottopagati, a “basso contenuto tecnologico”, esattamente quel che prevede il “sogno europeo” – ossia il progetto euroglobalista – fuor di retorica e propaganda per i gonzi».Chi non ama il Rottamatore non ha di che consolarsi: il dopo-Renzi sarebbe anche peggio, un film dell’orrore. Con fantasmi come quelli di Enrico Letta e Massimo D’Alema, o il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco. O magari l’avvento di Federica Mogherini, istruita a Bruxelles su come impacchettare quel che resta dell’Italia. Peggio ancora, un governo dei 5 Stelle al guinzaglio dell’Ue e degli Usa. E, gran finale, l’irruzione diretta della famigerata Troika. Mentre il premier traballa, dopo l’avvio della guerra a distanza ingaggiata con Juncker e l’Unione Europa, cioè con i terminali di potere della Germania, in Italia ormai impazzano le scommesse sulla durata residua del Fiorentino. Sul web si segnalano, tra i tanti, i pronostici di Federico Dezzani, Aldo Giannuli, Eugenio Orso. Quale sarà la prossima tegola che ci cadrà in testa? Una cosa è certa: la tenuta del governo «non è per niente certa per i mesi a venire, nonostante i Verdini di turno che corrono in soccorso». Un governo deciso all’esterno, dice Orso, «può essere dimissionato solo dai suoi “padrini sopranazionali”, non certo dal popolo bue».
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L’Ue odia ciò che amiamo, proprio come la vecchia Urss
«Se controlli il significato de “il bene” e possiedi illimitate risorse propagandistiche e il controllo sulla stampa, nonchè il controllo di forze armate e forze di polizia, puoi edificare una nuova società in tempi relativamente brevi. Puoi spazzare via secoli di tradizioni in poche decadi. Se hai pure il sistema dell’istruzione nelle tue tasche poi, puoi persino cancellare la memoria di ciò che è esisitito. Nessuno ricorderà e a nessuno interesserà. Sta già succedendo in Europa, dove l’ignoranza è ormai forza» (John Rappoport, “The Underground”). Uno dei principi cardine del globalismo elitario è: fine dei confini, cessare l’esistenza di nazioni separate e distinte. L’Unione Europea fu concepita a tale scopo ed edificata, a piccoli passi, a partire dalle macerie della seconda guerra mondiale: una superburocrazia ed un sistema di gestione politica per l’intero continente. Ma questo non era ancora abbastanza. Doveva esserci pure un modo di demolire nazioni diverse tra loro e sovrane fino a lasciare una tabula rasa, un modo di alterarare radicalmente il paesaggio. Aprire i confini, lasciare che i territori nazionali fossero inondati da migranti.“Sostituire le popolazioni”, flussi di gente che non ha la minima intenzione di accettare costumi e stili di vita in voga nelle loro nuove case. Il risultato finale? Una riconfigurazione di fatto delle popolazioni nazionali, al punto che, guardando all’Europa tra vent’anni potremo dire: «Perchè mai parliamo di Germania, Francia o Inghilterra? Non esistono realmente. L’intera Europa è un miscuglio non omogeneo di vari migranti, l’Europa oggi è una sola nazione, è tempo di cancellare tutti questi confini artificiali». A un certo punto anche solo pronunciare parole quali “svedesi, norvegesi, tedeschi, francesi, olandesi” sarà considerata una più o meno micro, o macro, aggressione contro “le genti d’Europa”. Chiaramente una volta raggiunto questo stadio a ciò si accompagnerebbe un certo quantitativo di caos e violenza. La Ue sta scommettendo sulla sua capacità di gestire il disordine, di reprimerlo quando necessario, e consolidare e mantenere lo status di unica forza di governo effettiva in Europa.Ad un livello culturale, nomi come Locke, Shakespeare, Goethe, Mozart, Beethoven, Bach, Lorca, Goya, Cézanne, Monet, Van Gogh, Michelangelo, Rembrandt, Dante, Galileo, Faraday e persino nomi “moderni” come Bartok, Stravinsky, Rimbaud, Orwell e Camus non resteranno che vaghi fantasmi polverosi in grado di provocare null’altro che sguardi di incomprensione. “Il passato è morto”. “Ma non c’è nulla da temere, quel che conta è che ogni persona che vive in Europa è cittadino europeo e gode dei benefici che ne derivano. E’tutto molto umano, questo è il Bene, il trionfo dello Stato benevolo. Nient’altro conta”. Tutte le lingue europee cadranno progressivamente in disuso. Chi ha il diritto di esprimersi con parole che la maggioranza non è in grado di capire? Questo schizzo che sto tracciando descrive la griglia che sta per essere lanciata sull’Europa. E chiaramente, dal momento che l’automazione galoppa, molti “cittadini-lavoratori d’Europa” diventeranno inutili. Persino grandi multinazionali crolleranno, perchè non potranno più vendere i loro prodotti alle popolazioni impoverite. Non fanno che sperare che milioni di asiatici, Cina e India in testa, gli regaleranno nuovi mercati.Su questo sfondo l’essere umano individuale sarà considerato, dall’alto, come una cifra, una astratta unità buona per “modelli e algoritmi”. La domanda è: quanti individui abboccheranno e accetteranno di vedere se stessi come semplici parti interscambiabili nel sistema generale? Quanti getteranno via ogni speranza e accetteranno il futuro solo come una funzione di quello che lo Stato è disposto a concedere e che dallo Stato possono ottenere gratis? In quanti realizzeranno che il loro potere come individui è inconsequenziale, o meglio pura illusione? Come mai ho avuto voglia di far salire a galla cose simili? Perchè, nonostante la prevalente mentalità collettivistica, propagandata, promossa e sfruttata al livello dell’élite, la repressione di Stato, a tutti i suoi livelli, colpisce ogni individuo. Se il concetto stesso di individuo viene spezzato via, cosa ne resta? Nel 1859 John Stuart Mill scrisse: «Se ci fosse coscienza del fatto che il libero sviluppo dell’individualità è un fattore essenziale al benessere non ci sarebbe alcun rischio che l’importanza della libertà sia sottovalutata». Contrariamente, dove il libero sviluppo dell’individualità non è preoccupazione di nessuno, la libertà è destinata a morire.Boris Pasternak, lo scrittore e poeta Russo, che certamente sapeva un paio di cosette sulla repressione politica, scrisse (nel 1960): «Loro (i burocrati sovietici) non pretendono molto da te. Soltanto di odiare le cose che ami e amare le cose che odi». Questa inversione viene riproposta oggi, in Europa. I dissidenti della vecchia Urss lo riconosceranno in un lampo, dal momento che ci sono già passati. La versione europea ci tiene ad apparire più morbida e gentile, ma non è altro che questione di strategia. La cultura se la stanno cuocendo a fuoco lento. Ma il semplice fatto che non abbiamo la polizia segreta che bussa alle nostre porte nel mezzo della notte per eseguire arresti di massa non è di per sé garanzia che la libertà individuale regna. Parecchi politici europei dicono ai loro elettori: «Non avete il diritto di opporvi in nessun modo alla marea di migranti in arrivo. Dichiarare pubblicamente ostilità ai migranti è offensivo». Suona familiare?Il sogno segreto di ogni collettivista sta divenendo realtà. Tutto il potere accentrato al vertice; e totale conformità (definita “unità”) ad ogni altro livello. La nuova Urss. Ai vecchi tempi la polizia della Germania Est aveva un fascicolo su ogni cittadino e seminava per la popolazione spie e informatori. Il moderno Stato di sorveglianza ha rimpiazzato questi sistemi, cercando piuttosto i “nodi del malcontento”. I collettivisti possono, a parole, anche denunciare all’occorrenza i rischi di uno stato di polizia, ma ogni volta che questi sistemi sono usati per sbarazzarsi di qualcuno che possiede la visione di un mondo migliore di quello basato, tra le altre cose, sull’assenza di confini allora è soltanto “il Bene” imposto a chi non sa riconoscere il bene da solo. Se un tale nobile scopo umanitario ha bisogno di qualche spintarella per essere inculcato, perchè no?Per colletivisti fatti e finiti, la libertà non è solo un fastidioso blocco stradale, peggio, è una illusione irrilevante, non è mai esistita. Tutti gli esseri umani funzionano per come sono programmati a farlo, sin dalla nascita. Quindi, basta installare un programma migliore, inculcalo con ogni mezzo a disposizione, purchè si producano i desiderati “uomini-bambino”. E’un imperativo sia politico che tecnologico. Confini aperti ed immigrazione illimitata sono un ottimo caso-prova. Per la gente che pensa gli venga imposta la frammentazione delle proprie comunità, che si sentono personalmente minacciate, che abbiano la percezione che sia una operazione coperta per trasformare l’Europa in una nuova Urss, urge rieducazione al livello più profondo possibile. Per il loro bene, perchè certamente questa gente soffre di gravi disturbi. I loro circuiti sono bruciati, dev’esserci qualche difetto hardware del cervello, sono incapaci di vedere le cose correttamente.Tra le cose che non potrebbero vedere ad esempio ad esempio, è la saggezza in queste parole di Zbigniew Brzezinski, ovvero l’alter ego di David Rockefeller, che nel 1969 scriveva: «Lo Stato nazione, inteso come unità fondamentale nella vita organizzata dell’uomo ha cessato di rappresentare la principale forza creativa: le banche internazionali e le corporazioni multinazionali agiscono e pianificano in termini che scavalcano ed eludono i concetti politici delllo Stato-nazione». Qui vediamo il tattico globalista in azione, un uomo che apparentemente odia la vecchia Urss ma che in realtà punta all’istallazione del medesimo collettivismo attraverso altri mezzi. Se Lenin fosse vivo oggi, guardando all’Europa sarebbe d’accordo che la sua agenda è in pieno corso e gode di ottima salute. Potrebbe obiettare solamente per il passo relativamente lento a cui procede. Potrebbe sostenere che serve maggiore violenza. Ma non potrebbe non riconoscere come i suoi successori hanno scoperto un bel po’ di utili trucchetti nuovi. Approverebbe dell’“altruismo umanitario”, il modo in cui viene presentato e manipolato, in modo che l’edificio del “Bene” appaia come una luce che brilla nell’oscurità. Gran film. Bel lavoro di produzione. Le lacrime sulle gote degli spettatori. Le menti ridotte a una sola costante: dobbiamo interessarci a chi è meno fortunato di noi. Milioni di migliaia di migliaia di dollari spesi per instillare il sentimento, indipendentemente dalle circostanze o dalle vere intenzioni malevole sottostanti, o le indicibili sinistre intenzioni degli artisti elitari della realtà.(Jon Rappoport, “Il piano per la fine dell’Europa: la nuova Urss”, dal blog di Rappoport del 21 ottobre 2015, post tradotto da “Come Don Chisciotte”).«Se controlli il significato de “il bene” e possiedi illimitate risorse propagandistiche e il controllo sulla stampa, nonchè il controllo di forze armate e forze di polizia, puoi edificare una nuova società in tempi relativamente brevi. Puoi spazzare via secoli di tradizioni in poche decadi. Se hai pure il sistema dell’istruzione nelle tue tasche poi, puoi persino cancellare la memoria di ciò che è esisitito. Nessuno ricorderà e a nessuno interesserà. Sta già succedendo in Europa, dove l’ignoranza è ormai forza» (Jon Rappoport, “The Underground”). Uno dei principi cardine del globalismo elitario è: fine dei confini, cessare l’esistenza di nazioni separate e distinte. L’Unione Europea fu concepita a tale scopo ed edificata, a piccoli passi, a partire dalle macerie della seconda guerra mondiale: una superburocrazia ed un sistema di gestione politica per l’intero continente. Ma questo non era ancora abbastanza. Doveva esserci pure un modo di demolire nazioni diverse tra loro e sovrane fino a lasciare una tabula rasa, un modo di alterarare radicalmente il paesaggio. Aprire i confini, lasciare che i territori nazionali fossero inondati da migranti.
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Il terrorismo dei fantasmi che organizza funerali e ipocrisia
L’odio è un film di tanti anni fa, che finisce in un bagno di sangue proprio a Parigi, la città cosmopolita della grande scommessa integrazionista pensata ai tempi della decolonizzazione, quando gli orchi europei facevano ancora ammazzare i ribelli, i patrioti sovranisti non allineati, i Lumbumba, i Sankara, ma a presidiare la democrazia c’erano fior di partiti e sindacati, editori e intellettuali, università e società civile che volevano farla finita con l’ideologia e la pratica della sopraffazione, con l’abominio genocida, parassitario e schiavistico del terzo mondo. Erano già al lavoro le menti raffinatissime della barbarie, ma agivano nell’ombra delle officine bancarie, dell’alchimia finanziaria, per sottrarre alle masse il controllo dello Stato e della moneta. Presto avrebbero avuto bisogno di politici, e ne avrebbero reclutati a migliaia. L’odio, però, ufficialmente era ancora fuori dalla porta. Era il fantasma di Auschwitz, l’ecatombe di Hiroshima, lo spettro nucleare della guerra fredda. Allevati dai vincitori atlantici della Seconda Guerra Mondiale, gli europei coltivavano una loro relativa sovranità di benessere e privilegi grazie al primo welfare del mondo, fondato sul sacro principio in base al quale nessuno deve soffrire, perché non soffra il sistema.L’odio incandescente è quello che preme il grilletto a colpo sicuro e fa fuori il vignettista e il banchiere eretico, ma il suo mandante è l’odio freddo di chi progetta stragi e concepisce il mondo come un teatro da insanguinare costantemente, in modo che non si spenga la paura dei molti e la fiamma dell’odio non si estingua mai. L’odio è una promessa, una minaccia. Una punizione. Esemplare, a Parigi, la punizione degli irriverenti. Una lezione valida per tutti, musulmani e cristiani, mediorientali e occidentali: nessuno può ritenersi al sicuro, specie se ostenta idee spericolate e sciorina sberleffi, se pensa davvero di potersi prendere gioco del potere. La punizione prima o poi arriva, ed è un missile a testata multipla. Terrorizza la cosiddetta opinione pubblica, minaccia una nazione come la Francia e la ricatta, temendo la conversione sovranista del grande paese su cui si fonda l’Unione Europea. Minaccia e ricatta qualunque cittadino occidentale si creda libero. Minaccia e ricatta gli europei, trascinati loro malgrado nell’oscuro braccio di ferro autolesionistico con la Russia del gas. Il terrorismo spegne la democrazia, la ricaccia nella paura. Ed è sempre sporco, opaco e bugiardo, prima ancora che mostruoso e sanguinario.L’odio ha riempito un cimitero mondiale di oppositori, caduti sotto il fuoco dei golpisti, sotto le bombe, sotto il velo di strani incidenti. L’odio parla sempre con una sola voce: dobbiamo tutti avere paura, molta paura. Perché i primi a cadere sono sempre stati quelli che si erano battuti senza risparmio per insegnare all’umanità a non avere paura. Perché il potere ha davvero paura soltanto di chi non lo teme, di chi osa sfidarlo, di chi dimostra che l’oligarchia non è invincibile, sapendo che la storia dell’uomo è millenaria e nessun potere è eterno. Per questo l’odio teme la verità e predilige la menzogna, sfornando narrazioni mancine, fuorivianti, suggestive. I terroristi grotteschi, cavernicoli e deliranti, sono comparsi sulla scena soltanto negli anni ‘90, quando l’equilibrio della guerra fredda si era rotto per sempre. Prima, c’era stato soprattutto il terrorismo irredentista delle lotte di liberazione, sempre rivendicato, collegato a precise cause geopolitiche, l’Ira in Irlanda, l’Eta in Spagna, l’Olp in Palestina. Eserciti clandestini e irregolari, ma non fantasmi come quelli che misero le bombe nelle piazze italiane, sui treni, sugli aerei. L’altro terrorismo, quello dei fantasmi, è diventato improvvisamente internazionale solo dopo la fine dell’Urss, quando il teatro d’azione non era più solo l’Occidente, ma anche e soprattutto il resto del mondo.Oggi, il terrorismo fantasma torna invece nel cortile di casa. E’ comparso negli Stati Uniti, poi si è esteso all’Europa per mani di stragisti isolati, fanatici, pazzi, di cui però poi sono emersi imbarazzanti collegamenti con apparati di polizia e spezzoni di intelligence. Tutto questo, mentre il grande terrorismo – il più estremo e feroce – si è scatenato senza tregua contro le popolazioni civili della Cecenia, della Jugoslavia, dell’Iraq, dell’Afghanistan, contro gli inermi della Siria, i bambini di Gaza, gli abitanti del Donbass persi a cannonate. Chi piange le vittime di “Charlie Hebdo” macellate senza pietà dovrebbe domandarsi da dove viene la barbarie, chi l’ha coltivata. Chi è ben deciso probabilmente ad impiegarla ancora, e sempre di più, nel timore che il mondo si risvegli, che si risvegli la Francia, che si risvegli l’Europa. In Sicilia, ai tempi, si diceva che era sempre del killer la prima corona di fiori sulla bara dell’ucciso, sfregio definitivo alla memoria dell’assassinato e terribile monito per la comunità in lutto: siamo stati noi, e siamo invincibili. Rinunciare all’odio comporta prima di tutto un tributo supremo di verità, di ripudio dell’ipocrisia. Viceversa, si rischia di partecipare al funerale a braccetto coi camerieri dei veri mandanti del delitto, i “ministri dei temporali” pronti a tuonare comodamente contro una barbarie lontana e straniera. In un giallo, il commissario scoprirebbe che quei signori non hanno un alibi: alcuni di loro, la sera prima, erano a cena con l’assassino.L’odio è un film di tanti anni fa, che finisce in un bagno di sangue proprio a Parigi, la città cosmopolita della grande scommessa integrazionista pensata ai tempi della decolonizzazione, quando gli orchi europei facevano ancora ammazzare i ribelli, i patrioti sovranisti non allineati, i Lumbumba, i Sankara, ma a presidiare la democrazia c’erano fior di partiti e sindacati, editori e intellettuali, università e società civile che volevano farla finita con l’ideologia e la pratica della sopraffazione, con l’abominio genocida, parassitario e schiavistico del terzo mondo. Erano già al lavoro le menti raffinatissime della barbarie, ma agivano nell’ombra delle officine bancarie, dell’alchimia finanziaria, per sottrarre alle masse il controllo dello Stato e della moneta. Presto avrebbero avuto bisogno di politici, e ne avrebbero reclutati a migliaia. L’odio, però, ufficialmente era ancora fuori dalla porta. Era il fantasma di Auschwitz, l’ecatombe di Hiroshima, lo spettro nucleare della guerra fredda. Allevati dai vincitori atlantici della Seconda Guerra Mondiale, gli europei coltivavano una loro relativa sovranità di benessere e privilegi grazie al primo welfare del mondo, fondato sul sacro principio in base al quale nessuno deve soffrire, perché non soffra il sistema.
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Usa-Kiev, bugiardi nel panico. E Merkel: no alla guerra
L’invasione della Russia in Ucraina? Una bufala penosa, subito smascherata da tutti gli osservatori indipendenti: i tank russi spiati dal satellite erano a Rostov, a 50 chilometri dalla frontiera ucraina. Eppure la “notizia” è stata proposta senza pudore al grande pubblico, proprio mentre l’Ue tratta sottobanco perché non vengano chiusi i rubinetti del gas in vista dell’inverno, e la Merkel avverte che con Putin bisogna trovare un accordo e smetterla coi giochi di guerra promossi dalla Nato. Giochi sporchi, nutriti di menzogne e disinformazione, che non accennano a diminuire: chi attacca sono gli Usa, ma i cattivi sono sempre e solo i russi. «C’è qualcosa di davvero inquietante in questa forsennata reiterazione di puerili bugie che l’America e l’Europa, istericamente, rovesciano sulle opinioni pubbliche frastornate dell’Occidente. Smentirle ad una ad una si può senza difficoltà, ma non si può ignorare la tremenda potenza inquinatrice – e preparatoria alla guerra – che esse producono». Per Giulietto Chiesa, questa cortina fumogena sembra «il segno di qualche cosa di molto grave che si prepara».«Avrete notato che del Boeing malaysiano non si parla più?», continua Chiesa su “Pandora.tv”. «Siamo a quasi un mese e mezzo e tutto tace. Se avessero le prove che la colpa è dei russi – come hanno gridato subito, a gran voce, tutti i media occidentali – lo avrebbero tirato fuori, con clamori e sanzioni. Ma non l’hanno fatto. E si avvicina il momento in cui dovranno dire qualcosa. Per esempio che ad abbattere il Boeing è stata l’Ucraina, con quell’ormai famoso aereo che volava attorno al Boeing. Oppure dovranno dire che i dati – delle scatole nere, delle registrazioni tra i controllori a terra ucraini e l’equipaggio – sono andati tutti perduti, “accidentalmente”». A quel punto, tutti finalmente capirebbero, «salvo gli stupidi irrimediabili e i disonesti interessati». L’altra cosa grave, e ormai evidente, è che «Kiev sta perdendo la guerra». Il regime ucraino insediato dal golpe di piazza Maidan «sta subendo una vera e propria disfatta, con una carneficina di soldati e ufficiali di cui Poroshenko e amici dovranno dare conto ai loro cittadini». Disfatta targata Usa e Ue, che quindi «deve essere nascosta agli occhi dei pubblici mondiali», perché «è sconfitta di Obama, sconfitta della Merkel, sconfitta della Polonia e dei baltici». Un disastro «politico, militare, diplomatico».Allora che si fa? «Si moltiplicano freneticamente le bugie». Esempio: «La Russia invade l’Ucraina». Un’altra volta? Ma non l’aveva già invasa? Sono «bugie fragilissime». Se non ci fossero «direttori senza vergogna, come Mauro di “Repubblica” e De Bortoli del “Corriere” (tanto per cogliere due crisantemi dal mazzo), se ne accorgerebbero tutti». Le foto satellitari dell’ultima “invasione” «sono truccate male», e le stesse dichiarazioni di Poroshenko «sono tradotte male». Tutto diventa «senza fondamento», surreale. La Russia “invade” l’Est dell’Ucraina con 1000 uomini? «Ma, suvvia, scherziamo? E come fa una persona intelligente come Federico Rampini a crederci? Non si sono neanche accorti che gli stessi ribelli, attraverso la voce del primo ministro della Repubblica del Donbass, hanno dichiarato che tra di loro ci sono circa 4.000 volontari russi? Hanno bisogno di tirare fuori 1.000 fantasmi inviati da Putin che, peraltro, nemmeno gli osservatori dell’Ocse hanno visto passare?». E’ evidente, al contrario, che Putin in tutti questi mesi «ha puntato a una soluzione diplomatica di un problema non creato da lui».Il presidente russo non ha la minima intenzione di “prendere Kiev”, e nemmeno di “prendersi il Donbass”, continua Giulietto Chiesa. «A Minsk, Putin ha detto chiarissimo che non intende neppure fare il mediatore», affermando testualmente che «la questione è un affare interno dell’Ucraina». Ora, «se i leader europei non fossero degli sciocchi vassalli ricattati, prenderebbero le distanze da questa America che punta alla guerra. Direbbero a Obama che la patata rovente ucraina se le deve prendere in mano lui, che l’ha creata. Non occorre dirgli che è un bugiardo, basta lasciarlo al suo destino. Ma è ovvio che stanno facendo i vassalli». Giulietto Chiesa lancia un appello a Beppe Grillo: «E’ il momento che la gente, in Italia, intervenga. L’unico che può farlo è il M5S». Serve «una manifestazione nazionale per chiedere un cambio di linea», invocato da «un palco di “salvezza nazionale”», dal quale parlino «tutti quelli che ci stanno». Perché «non è questione di dare una spallata: è questione di salvare la nostra pelle, di tutti. Se aspettiamo i “pacifisti” e le sinistre, allora stiamo freschi: i tempi della crisi ucraina precipitano, non c’è tempo da perdere. Troppo pochi sono quelli che capiscono che il pericolo è sempre più vicino».Se l’Italia dorme, una soluzione può venire solo dalla Germania. Lo afferma un altro osservatore internazionale, Pepe Escobar, che sottolinea le parole di Angela Merkel intervistata dalla televisione pubblica “Ard” all’indomani del vertice di Minsk: «Deve essere trovata una soluzione alla crisi Ucraina che non faccia male alla Russia». Ovvero, «ci deve essere un dialogo: ci può essere solo una soluzione politica, non ci sarà una soluzione militare a questo conflitto». Chiaro, no? «Noi [Germania] vogliono avere buone relazioni commerciali con la Russia. Vogliamo relazioni ragionevoli con la Russia. Confidiamo l’un l’altro e ci sono tanti altri conflitti nel mondo in cui dobbiamo lavorare insieme, quindi spero che potremo fare progressi». Tradotto: l’Ucraina non diventerà un avamposto della Nato coi missili puntati su Mosca, perché «quello che dice la Germania, l’Unione Europea lo esegue», scrive Escobar su “Rt”. «In geopolitica, questo significa anche un enorme passo indietro che dovrà fare Washington», nel suo ossessivo «accerchiamento della Russia», in parallelo con «contenimento e accerchiamento della Cina».L’Ucraina è ko, l’economia agonizza in una depressione catastrofica, banche e moneta sono crollate, e qualsiasi fondo in arrivo «servirà solo per pagare i conti in sospeso e per alimentare (sprecandolo) la scricchiolante macchina militare», senza contare che «le condizioni di “aggiustamento strutturale” richieste dal Fmi prevedono un dissanguamento per gli ucraini». Quanto all’Europa, «l’idea che la Ue pagherà le mostruose bollette (energetiche) dell’Ucraina è un mito», perché la Germania ha rallentato la sua crescita proprio a causa dell’interruzione delle relazioni commerciali con Mosca. Per questo sono ripartite le trattative tra Bruxelles e Cremlino, cominciando proprio dal gas: «Il Generale Inverno, ancora una volta, decide ogni guerra». In sostanza, aggiunge Escobar, è l’Unione Europea (non la Russia) a dire al presidente ucraino Petro Poroshenko di «smetterla con questa sua “strategia” perdente di insistere su una lenta pulizia etnica dell’Ucraina orientale». Mosca, peraltro, accetterebbe volentieri «una soluzione di decentramento, che tenga in considerazione gli interessi – e i diritti linguistici – della gente di Donetsk, Lugansk, Odessa, Kharkov», senza che il Cremlino incoraggi nessuna secessione.«Poroshenko, d’altra parte, è il tipico oligarca ucraino che balla in mezzo agli altri oligarchi», continua Escobar: «Ora che è in alto, non vuole rischiare di farsi ammazzare per strada. Ma potrebbe esserlo, se continuerà a fidarsi del sostegno dei neo-nazisti del Pravi Sektor e di Svoboda, perché con loro non si arriverà mai a nessuna soluzione politica». E’ “l’Impero del Caos” a non volerla, una soluzione politica: «Una Ucraina neutrale, economicamente legata sia alla Ue che alla Russia e parte di una integrazione economico-commerciale con tutta l’Eurasia è un anatema». A premere per la guerra è Washington, che finora ha contato sulla Nato. E se la Germania cambiasse linea? «Ogni diplomatico Ue che abbia una coscienza – non ci crederete, ma ne esistono – sa che l’isteria senza fine fondata sul “rischio russo” per l’Europa orientale è un mito spacciato da Washington, che serve solo a rafforzare la Nato». A Bruxelles non è un segreto per nessuno: «I grandi poteri europei, semplicemente, non vogliono che ci siano delle basi permanenti della Nato in Europa orientale. Francia, Italia e Spagna sono decisamente contrari». La Germania? «E’ ancora seduta sul muretto, in attesa di capire bene come non inimicarsi né la Russia né gli Stati Uniti». Se ne parlerà al vertice convocato in Galles: fino a che punto l’Europa “tedesca” continuerà a seguire Obama nelle pericolose provocazioni contro Putin, la cui vittima principale – a cominciare dal gas – è proprio l’Unione Europea?«L’impostazione neoliberale ormai data agli asset, una privatizzazione senza esclusione di colpi e un selvaggio saccheggio a titolo definitivo dell’Ucraina, il tutto travestito da prestiti e “aiuti”, è ormai un processo inarrestabile», scrive Escobar. «Eppure, aver preso il controllo dell’agricoltura e del potenziale energetico dell’Ucraina non sembra essere ancora sufficiente per l’Impero del Caos: vuole indietro anche la Crimea (che in futuro dovrà essere la base Nato di Sebastopoli), vuole schierare un sistema di difesa missilistica in Polonia e nei paesi baltici e poi non gli dispiacerebbe anche che cambiasse il regime in Russia». E poi c’è sempre il volo malese Mh-17: «Se – meglio prima che dopo – si dimostrerà che l’Impero del Caos ha ingannato l’Europa imponendo sanzioni controproducenti, basate su prove più che inconsistenti, l’opinione pubblica tedesca costringerà la Merkel ad agire di conseguenza». Indizi importanti: «La Germania si è mossa in segreto dietro il vertice di Minsk, vediamo ora se si muoverà in segreto anche dietro il prossimo vertice del Galles. Alla fine toccherà alla Germania impedire che la “Guerra Fredda 2.0” divampi ogni giorno di più in tutta Europa».L’invasione della Russia in Ucraina? Una bufala penosa, subito smascherata da tutti gli osservatori indipendenti: i tank russi spiati dal satellite erano a Rostov, a 50 chilometri dalla frontiera ucraina. Eppure la “notizia” è stata proposta senza pudore al grande pubblico, proprio mentre l’Ue tratta sottobanco perché non vengano chiusi i rubinetti del gas in vista dell’inverno, e la Merkel avverte che con Putin bisogna trovare un accordo e smetterla coi giochi di guerra promossi dalla Nato. Giochi sporchi, nutriti di menzogne e disinformazione, che non accennano a diminuire: chi attacca sono gli Usa, ma i cattivi sono sempre e solo i russi. «C’è qualcosa di davvero inquietante in questa forsennata reiterazione di puerili bugie che l’America e l’Europa, istericamente, rovesciano sulle opinioni pubbliche frastornate dell’Occidente. Smentirle ad una ad una si può senza difficoltà, ma non si può ignorare la tremenda potenza inquinatrice – e preparatoria alla guerra – che esse producono». Per Giulietto Chiesa, questa cortina fumogena sembra «il segno di qualche cosa di molto grave che si prepara».
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Bruxelles produce odio, cresce il rischio di una guerra
Ciò che sta accadendo in Italia va letto nel contesto della deflagrazione dell’Unione Europea, provocata dall’aggressione finanzista guidata dalla Banca centrale europea e dal governo tedesco. Da Maastricht in poi, il ceto finanzista globale ha deciso di cancellare in Europa le tracce della forza operaia del passato, la democrazia, la garanzia salariale, la spesa sociale. In nome del fanatismo liberista ha finito per sradicare le radici del consenso su cui si fondava l’Unione Europea. L’effetto, però, non è solo il dimezzamento del monte salari dei lavoratori europei, la distruzione della scuola e della sanità pubblica, l’abolizione del limite dell’orario di lavoro, la precarizzazione generalizzata. E’ anche la guerra. Era prevedibile, era previsto, ora comincia ad accadere.La disgregazione finale dell’Unione europea possiamo leggerla sulla carta geografica. Cominciamo da est. L’insurrezione ucraina è prova di come sia mutata la natura d’Europa. Nata come progetto di pace tra tedeschi e francesi, e quindi di pace in tutto il continente, l’Unione è oggi divenuta l’esatto contrario. Gli europeisti ucraini usano l’europeismo come arma puntata contro l’imperialismo russo, e risvegliano fantasmi del nazismo. L’ingresso in Europa è visto come una promessa di guerra, e la precipitazione del conflitto in Ucraina non potrà che avere conseguenze spaventose per l’Europa intera. Bruxelles reagirà aprendo un confronto con la Russia di Putin, oppure lascerà che la Russia di Putin soffochi una rivolta che è nata nel nome dell’Europa?Spostiamoci a ovest. Il Parlamento catalano ha indetto il referendum indipendentista per l’autunno del 2014. I franchisti del governo madrileno hanno risposto che il referendum non si farà mai. Nel frattempo, in Francia i sondaggi prevedono che il Front National diverrà partito di maggioranza alle prossime elezioni. A quel punto il patto franco-tedesco su cui si fonda l’Unione sarà cancellato nella coscienza della maggioranza dei francesi, e la balcanizzazione del continente precipiterà. Questa dinamica mi pare il contesto in cui leggere le convulsioni agoniche della penisola italiana. Il governo Letta Alfano Napolitano, filiale del partito distruttori d’Europa, è in camera di rianimazione. Può durare o crollare poco importa: non è in grado di mantenere nessuna promessa, neppure quelle fatte ai suoi padroni di Francoforte.Il movimento dei forconi è tracimare del nervosismo sociale. Nel 2011 il movimento anticapitalista tentò di fermare l’aggressione finanzista, ma non ebbe la forza per mettere in moto una sollevazione solidale. La precarizzazione ha sgretolato la solidarietà tra lavoratori, e il movimento si risolse in una protesta che il ceto politico-finanziario, per criminale interesse e per imbecillità conformista, rifiutò perfino di ascoltare. Ma la sollevazione non si ferma, perché ha i caratteri tellurici di una disgregazione della base stessa del consenso sociale. E’ una sollevazione priva di interna coerenza, priva di strategia progressiva. Ci sono dentro elementi di nazionalismo, di razzismo, di egoismo piccolo-proprietario, ma anche elementi di ribellione operaia, di democrazia diretta e rabbia libertaria. Non è importante la sua confusa coscienza, le contrastanti ideologie e i contrastanti interessi che la mobilitano. Conta il fatto che il suo collante obbiettivo è l’odio contro l’Europa. Questo odio non può che essere portatore di disgrazie.(Franco “Bifo” Berardi, “I forconi e la deflagrazione dell’Europa”, da “Micromega” del 13 dicembre 2013).Ciò che sta accadendo in Italia va letto nel contesto della deflagrazione dell’Unione Europea, provocata dall’aggressione finanzista guidata dalla Banca centrale europea e dal governo tedesco. Da Maastricht in poi, il ceto finanzista globale ha deciso di cancellare in Europa le tracce della forza operaia del passato, la democrazia, la garanzia salariale, la spesa sociale. In nome del fanatismo liberista ha finito per sradicare le radici del consenso su cui si fondava l’Unione Europea. L’effetto, però, non è solo il dimezzamento del monte salari dei lavoratori europei, la distruzione della scuola e della sanità pubblica, l’abolizione del limite dell’orario di lavoro, la precarizzazione generalizzata. E’ anche la guerra. Era prevedibile, era previsto, ora comincia ad accadere.
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Ville e castelli, grande svendita dei tesori degli italiani
Il governo italiano prevede la vendita della villa del Grande Inquisitore, del Forte dei Papi e di una delle isole della laguna veneta, allo scopo di tagliare il deficit di bilancio. Secondo quanto riportato dai mass media italiani, la dismissione di questi 50 luoghi di prestigio dovrà apportare al Tesoro all’incirca 500 milioni di euro. Si dice che il passaggio ai privati di parte del patrimonio immobiliare dello Stato permetterà di contenere il deficit di bilancio nel 2013 entro la soglia del 3% del Pil, come esige l’Unione Europea. A parte la riscossione immediata di questi importi, il governo auspica che le ville e i castelli siano convertiti in ristoranti, musei ed alberghi, così da consentire la creazione di nuovi posti di lavoro.Anche la Grecia, altro paese al quale l’Unione Europea ha prescritto un duro regime di controllo del bilancio, l’anno scorso si è trovata a dover svendere ai privati alcune delle sue isole, spiagge e luoghi di villeggiatura. L’Italia, a sua volta, aveva già messo in vendita con successo alcuni fari sull’isola della Sardegna. Secondo il “Corriere della Sera”, tra le proprietà immobiliari statali in dismissione, quest’anno si troverebbe anche il Castello Orsini, vicino Roma, fatto costruire da Papa Nicola III nel 1270, dalla metà del 19° secolo fino al 1989 utilizzato come prigione. La gente del posto ne parla male, come se vi vivessero i fantasmi.Un’altra vestigia nazionale di cui si prepara la messa in vendita è Villa Mirabello, situata non lontano da Milano, costruita nel 1700 dal Cardinal Durini, grande inquisitore di Malta. Nella laguna veneta gli investitori potranno acquistare l’isola di San Giacomo, che dall’undicesimo secolo è stata residenza dei monaci; nel secolo scorso fu trasformata in base militare e poi, dal 1962, dismessa e abbandonata al degrado. Secondo esperti locali, il governo italiano non ha le forze per mantenere adeguatamente questi monumenti, senza contare che molti paesi europei adesso si adoperano per fare cassa attraverso tutte le risorse possibili.(“L’Italia svenderà i castelli storici per risanare i buchi di bilancio”, da “Russia Today” del 16 ottobre 2013, ripreso da “Come Don Chisciotte”).Il governo italiano prevede la vendita della villa del Grande Inquisitore, del Forte dei Papi e di una delle isole della laguna veneta, allo scopo di tagliare il deficit di bilancio. Secondo quanto riportato dai mass media italiani, la dismissione di questi 50 luoghi di prestigio dovrà apportare al Tesoro all’incirca 500 milioni di euro. Si dice che il passaggio ai privati di parte del patrimonio immobiliare dello Stato permetterà di contenere il deficit di bilancio nel 2013 entro la soglia del 3% del Pil, come esige l’Unione Europea. A parte la riscossione immediata di questi importi, il governo auspica che le ville e i castelli siano convertiti in ristoranti, musei ed alberghi, così da consentire la creazione di nuovi posti di lavoro.
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Tav, bombe e menzogne: storia di una vergogna nazionale
Massimo Numa, destinatario di un misterioso pacco-bomba recapitatogli alla redazione della “Stampa”, è il giornalista più noto in valle di Susa, e il più temuto. Nella rovente estate 2011, gli attivisti lo accusarono direttamente: sostennero che proprio dal suo computer era partita una email-fantasma, firmata “Alessio”, nella quale si tentava di sostenere che un militante No-Tav, gravemente ferito al volto da un lacrimogeno il 23 luglio, fosse in realtà finito all’ospedale per essere semplicemente “caduto da solo”. Lo stesso Numa ammise che quella velenosa mail, palesemente destinata a inquinare la verità, era stata davvero inviata dal suo ufficio, anche se – disse – non era stato lui a spedirla. Nonostante questo increscioso episodio, non solo Numa è rimasto regolarmente in servizio alla redazione della “Stampa”, ma il direttore del giornale, Mario Calabresi, gli ha consentito di continuare a occuparsi quotidianamente della drammatica vertenza della valle di Susa, come se nulla fosse accaduto.
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Generazione fragile: quando Monicelli mise in riga Moretti
Mario Monicelli – che si è suicidato a novantacinque anni, la sera del 29 novembre 2010, lanciandosi dalla finestra del bagno al quinto piano del reparto di urologia dell’ospedale San Giovanni di Roma, e diventando il fantasma italiano acutissimo che ci ossessionerà ancora a lungo, consigliandoci e aiutandoci in questi tempi difficili – aveva le idee molto chiare su ciò che era successo all’Italia: «Ci ha fregato il benessere. La generazione che l’ha toccato per prima si è illusa che fosse eterno, inalienabile. Invece era stato conquistato dai padri con sofferenza e sacrificio. Così l’ha dissipato senza trovare la formula per rinnovare il miracolo, e gli eredi di quel gruppo umano hanno deluso le aspettative ad ogni livello. Gente senza carattere, priva di ambizioni, sommamente pretenziosa e basta».
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Snowden, chi era costui? Qualcuno lo spieghi a Casaleggio
Nell’elenco dei “buoni” figurano personaggi molto controversi: dal Clinton che aprì le porte all’inferno della cupola finanziaria mondiale abolendo la barriera di sicurezza che separava le banche d’affari dal credito commerciale, fino all’attuale presidente Obama che esaltò il fund raising via Internet oscurando i fondi ricevuti dalle peggiori multinazionali dell’orrore – Ogm, Big Pharma, industria della guerra cibernetica. E’ lo stesso presidente che ha dato la caccia a un certo Edward Snowden, l’uomo che l’ha smascherato rivelando al mondo che la tanto decantata Rete è (anche) la più grande infrastruttura planetaria per lo spionaggio di massa. Nel suo intervento al fortino di Cernobbio, santuario blindato dei poteri forti, Gianroberto Casaleggio evita incredibilmente di citarlo, anche se Obama – nel tentativo di acciuffare l’ex consulente Cia-Nsa riparato in Russia – è giunto alla pirateria internazionale sequestrando in Austria il presidente della Bolivia.
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Strategia della tensione: l’ombra della violenza-fantasma
«Attorno alla Tav ci sono anche vicende torbide: siamo convinti che non tutti gli attacchi di questi mesi siano riconducibili a persone che fanno parte del movimento». Con queste parole è il sindaco di Venaus, Nilo Durbiano, a evocare il pericoloso clima della strategia della tensione, dopo i recenti incendi notturni che a Bussoleno, Salbertrand e Gravere hanno colpito aziende coinvolte nel cantiere di Chiomonte. Tra le “vicende torbide” a cui Durbiano fa riferimento, probabilmente, ci sono anche i 12 attentati incendiari e dinamitardi che già nella seconda metà degli anni ’90 scossero la valle di Susa, rivendicati da strane sigle come “Lupi grigi” che spinsero i media a parlare di “eco-terroristi”. In carcere finirono – e morirono – i due giovani anarchici “Sole e Baleno”, Edoardo Massari e Maria Soledad Rosas, poi riconosciuti estranei agli attentati, sui quali peraltro non è mai stata fatta piena luce. Fantasmi che tornano tristemente d’attualità, nel clima di scontro che oppone i No-Tav e i promotori dell’opera, senza che la politica si sia ancora degnata di spiegare la presunta necessità di realizzare la contestatissima Torino-Lione.
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Quirinale e governo: ecco i veri potenti che decidono tutto
Commissione Trilaterale, Bruegel, Aspen, Astrid. E in primo piano la Fondazione Italianieuropei di Massimo D’Alema. Questi i soli e veri tavoli abilitati a giocare la partita per la guida del paese, tanto a Palazzo Chigi quanto al Quirinale: una ragnatela di interessi di potere e personaggi collocati in ruoli di vertice, dentro sigle e fondazioni che da tempo reggono le sorti dei paesi occidentali. A sorpresa, scrive “Dagospia” in un’analisi sui retroscena delle manovre, dentro gli organigrammi dei più “prestigiosi” istituti politici ricorre anche il nome di Giulio Napolitano, figlio del capo dello Stato uscente. «Partite che, alla luce di questi scenari, appaiono dall’esito scontato: proprio come ai tempi del Britannia», quando la transizione tra Prima e Seconda Repubblica fu “commissariata” dalle lobby mondiali delle privatizzazioni sul panfilo dei reali inglesi, nella cena in cui fu scelto il loro uomo: Mario Draghi.
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Tra i fantasmi dell’ex zoo, in marcia per liberare la città
Ras, il leone, non mangia più perché dalla sua gabbia ha smesso di vedere la pantera nera e il leopardo aggirarsi dietro le sbarre. Pamela e Snoopy, i due rinoceronti, dopo il digiuno e una buona dose di tranquillanti non volevano salire sui Tir con destinazione lo zoo di Zagabria. Ultima a lasciare i 25.000 metri quadrati del giardino zoologico torinese di Parco Michelotti, la giraffa Romeo. Così la cronaca cittadina di “Repubblica”, il 31 marzo 1987, registra la prima chiusura di uno zoo italiano: Torino in anticipo sul resto d’Italia, pronta a chiudere il parco faunistico lungo il Po dopo 32 anni di onorato servizio. Da lì in poi, il capoluogo piemontese avrebbe conosciuto ben altri record: la città più indebitata, dopo l’effimero boom olimpico e il maquillage del centro storico, nonché il primato della città più inquinata. Ma anche “capitale” della cultura giovanile: capace, a volte, di “resuscitare” persino i fantasmi buoni dell’ex zoo.