Archivio del Tag ‘Francia’
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Siria, il generale Camporini: molto rumore, ma solo teatro
Molto rumore, ma pochi danni. E nessun rischio di un vero scontro fra Usa e Russia, anche se le difese russe, in caso di attacco, intercetteranno sicuramente molti missili americani, inglesi e francesi scagliati contro obiettivi siriani. Lo afferma il generale dell’aeronatica Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore delle forze armate italiane: «In questo momento quello che posso prevedere è un attacco dimostrativo limitato e senza finalità politico-militari, quindi un attacco non in grado di cambiare gli scenari siriani, né di mettere a rischio la sopravvivenza del regime». L’intensità dell’eventuale raid, dichiara Camporini (intervistato dal “Giornale”) dipenderà sostanzialmente dal numero di lanciamissili già in posizione e in grado di portare a termine l’attacco. «Sappiamo che davanti alle coste siriane c’è la Donald Cook, un cacciatorpediniere lanciamissili salpato recentemente dal porto di Larnaka a Cipro. Non siamo a conoscenza di portaerei pronte a far decollare i loro aerei. Quindi ritengo che assisteremo ad un attacco-fotocopia, molto simile a quello lanciato lo scorso anno, quando Donald Trump decise di punire Bashar Assad per un altro presunto attacco chimico contro le zone dei ribelli».Intervistato da Gian Micalessin, Camporini non prevede un intervento di grande portata contro la Siria. E soprattutto, non vede alcuna rischio di coinvolgimento del nostro paese: «Non siamo di fronte a un’operazione concordata in sede Nato», sottolinea l’alto ufficiale: «Siamo di fronte ad una azione unilaterale decisa dalla presidenza degli Stati Uniti». In queste ore si parla di aerei Poseidon P8 decollati dalla base di Sigonella. «I Poseidon sono aerei antisommergibile – spiega Camporini – e di certo non parteciperanno a questo tipo di attacchi». Non solo: «Per usare le basi di Aviano o Sigonella, gli americani dovrebbero chiedere l’autorizzazione del nostro governo. E un esecutivo dimissionario come quello del premier Paolo Gentiloni, chiamato soltanto a sbrigare gli affari correnti, non potrebbe concederla». Inoltre, ipotizzare una partecipazione italiana «significherebbe prefigurare un intervento molto più ampio di quello previsto dalla Casa Bianca». Dunque sarebbe un atto solo dimostrativo? «Sì, assolutamente», risponde Camporini. «Non siamo di fronte ad un raid in grado di cambiare la situazione sul terreno. Trump quasi sicuramente si limiterà a dimostrare di aver punito una nazione colpevole di esser andata oltre i limiti».Si parla, però, di un possibile intervento concordato con l’Inghilterra e la Francia: pronte a partecipare all’azione. «La natura dell’operazione dal punto di vista militare non cambierebbe», chiarisce il generale. «Gli inglesi potrebbero utilizzare le basi di Cipro e i francesi degli aerei decollati da una loro portaerei nel Mediterraneo. Potrebbero venir utilizzati dei missili Storm Shadow con un raggio di 560 chilometri utilizzati a suo tempo anche dall’Italia per colpire le installazioni militari di Gheddafi in Libia». Diretti contro quali obbiettivi? «Gli americani preferiranno basi militari per evitare perdite civili collaterali», dice Camporini. «Poi bisogna vedere quanti missili Tomahawk riusciranno a superare le difese dell’antiaerea». Dunque i russi parteciperanno alle operazioni di difesa del territorio siriano? «Su questo ho pochi dubbi», afferma il generale. «I radar e i missili russi garantiranno la copertura delle installazioni militari siriane». C’è il rischio che vengano colpite basi in cui sono presenti militari russi o iraniani? «Non penso siano previsti attacchi rivolti a colpire direttamente personale non siriano». E la reazione russa? «Ritengo che Putin, per quanto abbia minacciato di reagire, preferisca lasciar sfogare gli americani nella consapevolezza che la loro azione non cambierà gli scenari», sostiene Camporini. «Quindi non vedo il rischio di un allargamento dello scontro e tantomeno il rischio di un conflitto mondiale».Molto rumore, ma pochi danni. E nessun rischio di un vero scontro fra Usa e Russia, anche se le difese russe, in caso di attacco, intercetteranno sicuramente molti missili americani, inglesi e francesi scagliati contro obiettivi siriani. Lo afferma il generale dell’aeronatica Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore delle forze armate italiane: «In questo momento quello che posso prevedere è un attacco dimostrativo limitato e senza finalità politico-militari, quindi un attacco non in grado di cambiare gli scenari siriani, né di mettere a rischio la sopravvivenza del regime». L’intensità dell’eventuale raid, dichiara Camporini (intervistato dal “Giornale”) dipenderà sostanzialmente dal numero di lanciamissili già in posizione e in grado di portare a termine l’attacco. «Sappiamo che davanti alle coste siriane c’è la Donald Cook, un cacciatorpediniere lanciamissili salpato recentemente dal porto di Larnaka a Cipro. Non siamo a conoscenza di portaerei pronte a far decollare i loro aerei. Quindi ritengo che assisteremo ad un attacco-fotocopia, molto simile a quello lanciato lo scorso anno, quando Donald Trump decise di punire Bashar Assad per un altro presunto attacco chimico contro le zone dei ribelli».
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Fake-war, dopo l’annuncio di Trump sul ritiro dalla Siria
«Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003». Lo afferma Gianandrea Gaiani, su “Analisi difesa”. «Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco». Già in passato, scrive Gaiani, «attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete», mentre notizie e immagini diffuse dai “media center” sul terreno (Douma, Idlib, Aleppo e altre località in mano ai “ribelli”) «sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite». Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: «Fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali». La situazione in Siria non è mai stata tanto critica, scrive Marcello Foa sul “Giornale”: nel giro di pochi giorni siamo passati dall’annuncio di un possibile ritiro dei soldati americani a quello di un possibile e devastante attacco con i missili su Damasco. «Il rischio di una spirale, e dunque di una guerra, è concreto».Alla Casa Bianca, avverte Foa, ora c’è John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale: è l’architetto delle inesistenti super-armi di Saddam. «Trump riuscirà anche questa volta a resistere ai ricatti o dovrà mettersi a bombardare la Siria?». Se lo domanda lo scrittore Paolo Mosca, sul blog “Mosquicide”, che offre un’insolita analisi sul profilo psico-politico di Trump: «In questo momento storico Jeremy Corbyn è forse il mio politico preferito – premette – e lui non si sognerebbe mai di dire cose diverse da quelle che fa. E questo forse è un suo punto debole». Al contrario, “The Donald” «dissocia parola, tweet e atto». E così facendo «mette totalmente in crisi il Deep State che cerca costantemente di manovrarlo dietro le quinte». Infatti: «Trump abbaia contro il dittatore nord coreano, ma poi fa in modo che si distendano le relazioni tra le due Coree», quindi espelle i diplomatici russi «ma poi invita Putin a New York». Ancora: «Apre verso Israele, ma poi cerca di tirarsi fuori dalla guerra siriana». E non appena lo fa, sottolinea Mosca, accadono due cose: «La notizia di un nuovo attacco chimico in Siria (smentito dalla Russia che invoca l’intervento di ispettori) e la visita dell’Fbi al suo avvocato personale, Michael Cohen, a cui vengono sequestrati documenti riguardanti il presidente».E’ sempre il Deep State, secondo Paolo Mosca, a premere per i missili sulla Siria, in una pericolosissima sfida con la Russia: «Se il modo di parlare di Trump è da cattivo uomo di destra, il suo modo di agire è da presidente moderato che cerca di barcamenarsi tra le forze vischiose del potere che lo circonda». Aggiunge Mosca: «Credo che per molti aspetti queste elezioni avrebbe preferito perderle», magari per poi contrattare maxi-appalti da posizioni di forza, come leader dell’opposizione. Meno possibilista Foa, spaventato dagli sviluppi: annunci di attacchi imminenti, navi da guerra in avvicinamento, aerei d’attacco pronti al decollo. Il tweet dell’altro giorno in cui Trump ha accusato Putin di proteggere “un animale” come Assad è di una violenza incredibile, «volto chiaramente ad aprire il terreno a un attacco missilistico». Per Foa, «il Trump di queste ore non ha più nulla a che vedere con quello che è stato eletto 18 mesi fa». La nomina di un supefalco come Bolton (cioè «l’uomo, pericolosissimo, che sussurra all’orecchio del capo della Casa Bianca) secondo Foa «segna la conversione del presidente americano sulle posizioni che egli stesso e i suoi consiglieri della prima ora dichiaravano di aborrire».Il Trump di una volta, agiunge Foa, desiderava che il suo paese non fosse trascinato in nuovi inutili conflitti, mentre «il Trump di oggi è irriconoscibile: è diventato un neoconservatore, ovvero ha fatto proprio lo spirito aberrante che ha guidato la mano di Bush, in buona parte quella di Obama, e che eccitava quella di Hillary Clinton». Il copione della guerra “umanitaria” è invariato, nella sua monotonia: il presunto attacco chimico sulla popolazione civile «ha tutta l’aria di essere una fake news istituzionale creata ad arte per creare un casus belli». Gli spin doctor dimostrano scarsa fantasia: usano sempre il solito schema, ricorda Foa. «Nel 2013 l’attacco con le armi chimiche che provocò la morte di 1300 persone e per il quale Obama era sul punto di scatenare l’inferno, risultò essere, in seguito, un caso di “false flag”, ovvero un attacco lanciato dai ribelli affinché la colpa ricadesse su Assad al fine di giustificare un intervento della Nato. L’anno scorso, la dammatica notizia dei forni crematori in cui venivano inceneriti i prigionieri politici alle porte di Damasco, lanciata da Amnesty ed enafatizzata dal Dipartimento di Stato Usa, è risultata essere una bufala per sorprendente ammissione dello stesso governo Usa».Nei giorni scorsi, aggiunge Foa, abbiamo assistito al caso Skripal – che ricorda, nello “spin”, quello di Douma: «Una furia accusatoria implacabile e urgente nasconde quasi sempre un bluff». Ricordate? «Mosca ha 24 ore di tempo per discolparsi, ma non ci sono dubbi, sono stati i russi», tuonavano il premier May e il ministro degli esteri Johnson, rilanciati da una stampa occidentale come sempre straordinariamente priva di senso critico e analitico. A ruota, Washington e i paesi europei decisero l’espulsione dei diplomatici, e il governo americano adottò nuove sanzioni. «Ma la prova che l’attentato sia stato compiuto dal Cremlino non è mai arrivata. Gli esperti hanno dovuto ammettere che è impossibile stabilire chi abbia davvero prodotto il gas, che peraltro non è risultato nemmeno letale». Ora ci risiamo, sottolinea Foa: l’attacco al cloro è molto dubbio.«Dovrebbe essere verificato da una commissione indipendente, a cui però gli Usa non sono interessati. Bastano le immagini, commoventi, di bambini intubati per trascinare l’opinione pubblica. Molto probabilmente un giorno scopriremo la verità, ma la verità non interessa agli spin doctor». Concorda Gaiani, su “Analsi Difesa”: notizie e immagini di presunti attacchi chimici vengono subito diffuse dalle tv arabe appartenenti alle monarchie del Golfo, cioè agli sponsor dei “ribelli”, per poi rimbalzare quasi sempre in modo acritico in Occidente.«Basti pensare che in sette anni di guerra la fonte da cui tutti i media occidentali attingono è quell’Osservatorio siriano per i diritti umani che ha sede a Londra, vanta una vasta rete di contatti in tutto il paese di cui nessuno ha mai verificato l’attendibilità, è schierato con i ribelli cosiddetti “moderati” ed è sospettato di godere del supporto dei servizi segreti anglo-americani», scrive Gaiani, certo non sospettabile di posizioni filo-siriane o filo-russe. «Anche per questo non bastano i cadaveri dei bambini o dei sopravvissuti con mascherine collegate a supposte bombole ad ossigeno per dimostrare l’esito di un attacco chimico e la sua paternità». Ma peggio: Jaysh al-Islam, la formazione colpita a Douma, «è una milizia salafita nota per aver impiegato i civili come scudi umani e per aver utilizzato il cloro nelle battaglie contro i curdi dell’aprile 2016». Il cloro? «Non è un’arma ma un prodotto chimico che può essere letale in forti concentrazioni e in ambienti chiusi, facilmente reperibile e già utilizzato nel conflitto siriano anche dallo Stato Islamico. I miliziani dispongono quindi da tempo dello stesso aggressivo chimico e non è difficile ipotizzare, a Douma come in tanti altri casi incluso quello di Khan Sheykoun l’anno scorso, che siano stati gli stessi ribelli a liberare cloro ad alta concentrazione per uccidere civili e attribuirne la colpa a Damasco, puntando così a incoraggiare una reazione internazionale contro il regime di Assad».Quanto al “cui prodest”, Gaiani non ha dubbi: «Il presidente siriano è certo uomo senza scrupoli ma non ha alcun interesse a usare armi chimiche che sono, giova ricordarlo, armi di distruzione di massa idonee a eliminare migliaia di persone in pochi minuti, non a ucciderne qualche decina: per stragi così “limitate” bastano proiettili d’artiglieria e bombe d’aereo convenzionali». Assad sta “ripulendo” le ultime sacche di resistenza in mano ai ribelli jihadisti e sta evacuando i civili dalle zone di combattimento: perché mai – si domanda “Analisi Difesa” – dovrebbe scatenare la riprovazione internazionale proprio mentre sta per cacciare i ribelli anche da Douma? «Perché dovrebbe colpire quei civili che i suoi uomini stanno evacuando, per giunta dopo un accordo raggiunto con i miliziani di Jaysh al-Islam che consentirà il loro trasferimento forse in un’area vicina a Jarablus, al confine con la Turchia?». Israele ha intanto bombardato la base siriana T-4 vicina a Palmira, con missili lanciati dallo spazio aereo libanese, mentre Trump ora accusa anche Russia e Iran «in nome di un attacco chimico che nessuna fonte neutrale ha potuto finora verificare». Tutto questo, scrive Gaiani, «induce a ritenere che ci troviamo di fronte all’ennesima operazione propagandistica messa a punto usando lo spauracchio delle armi chimiche».La situazione sembra stia precipitando: Washington parla apertamente di azioni militari contro Damasco, caldeggiate anche da Parigi (che potrebbe partecipare a eventuali raid punitivi) mentre la Russia mette in guardia gli Usa contro un «intervento militare sulla base di pretesti inventati» in Siria, che potrebbe «portare a conseguenze più pesanti». Letteralmente, i russi avvertono: intercetteranno i missili americani e colpiranno anche le loro basi di lancio. Uno scenario teoricamente esplosivo, “perfetto” per chi sogna lo scatenarsi dell’apocalisse. Per Gaiaini, la cautela dovrebbe quindi essere d’obbligo, «specie dopo la figuraccia rimediata dal ministro degli esteri britannico Boris Johnson che sulla responsabilità russa nel “caso Skripal” è stato smentito dal direttore dei laboratori militari di Sua Maestà». Ed ecco il punto: «La denuncia dell’attacco chimico a Douma sembra cadere a proposito per scoraggiare il ritiro delle forze americane dalla Siria settentrionale e orientale, annunciato da Trump dopo il fallimento del proposito della Casa Bianca di far pagare ai sauditi qualche miliardo di petrodollari per finanziare le operazioni dei militari americani»Il ritiro dei duemila soldato americani rischia però di lasciare carta bianca alle truppe turche nel nord del paese e a quelle di Damasco nell’est, «per questo oltre agli arabi e agli israeliani anche il Pentagono si oppone alla decisione annunciata da Trump», che ora sembra “costretto” a cambiare idea di fronte all’indignazione dell’opinione pubblica e della “comunità internazionale” per i bambini “uccisi dal cloro di Assad”, cioè “l’animale” alleato di russi e iraniani per il quale Trump minaccia una punizione esemplare. E’ la tesi di Paolo Mosca: l’ennesima strage (forse addirittura inventata – secondo i russi, non ci sono neppure vittime) si è verificata con puntualità cronometrica, a orologeria, non appena Trump ha annunciato il ritiro dalla Siria. Legge dietro l’ufficialità è difficile. A frenare è il ministro della difesa, l’ex generale dei marines James Mattis: «Niente è ancora stato deciso», fa sapere. «Prima bisogna verificare cos’è successo davvero, in Siria».«Lo scenario che si sta delineando in queste ore nel conflitto siriano ricorda da vicino la “pistola fumante” delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein con cui gli Usa giustificarono agli occhi del mondo l’invasione dell’Iraq nel 2003». Lo afferma Gianandrea Gaiani, su “Analisi difesa”. «Ci sono infatti molte ragioni per esprimere scetticismo di fronte alla denuncia dell’ennesimo attacco chimico contro i civili siriani attribuito al regime di Damasco». Già in passato, scrive Gaiani, «attacchi simili sono stati attribuiti ai governativi senza che emergessero prove concrete», mentre notizie e immagini diffuse dai “media center” sul terreno (Douma, Idlib, Aleppo e altre località in mano ai “ribelli”) «sono evidentemente propagandistiche e palesemente costruite». Lo schema si è già ripetuto più volte fin dalla guerra in Libia del 2011 e poi in Siria: «Fonti “umanitarie” strettamente legate alle milizie jihadiste e ai loro alleati arabi diffondono notizie non verificabili per l’assenza di osservatori neutrali». La situazione in Siria non è mai stata tanto critica, scrive Marcello Foa sul “Giornale”: nel giro di pochi giorni siamo passati dall’annuncio di un possibile ritiro dei soldati americani a quello di un possibile e devastante attacco con i missili su Damasco. «Il rischio di una spirale, e dunque di una guerra, è concreto».
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Skripal, tutto falso: Londra perde la faccia, Gentiloni pure
Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.Del resto, aggiunge Blondet sul suo blog, hanno ancora cancellato neppure la “dichiarazione di guerra” dell’ambasciatore britannico a Mosca, Laurie Bristow, che il 22 marzo aveva convocato la stampa estera per confermare l’accusa. «Boris Jonson ha molte domande a cui dovrà rispondere», dice ora detto Jeremy Corbyn, il leader dell’opposizione laburista, che da settimane era sotto un inverosimile uragano di attacchi e insulti da parte dei media britannici (da “traditore” ad “antisemita”) per essersi rifiutato di unirsi al coro di condanne senza prove. Adesso tutti vedono che Corbyn aveva ragione: il governo May cadrà? Ma intanto 28 Stati occidentali, fra cui 15 dell’Unione Europea, si sono uniti all’accusa del tutto infondata abbandonandosi ad espulsioni in massa di diplomatici russi. Per bocca di Donald Tusk e Federica Mogherini, l’Ue ha dichiarato il suo appoggio assoluto al Regno Unito nelle sue false accuse, e la stessa Nato ha espulso sette addetti russi e rifiutato l’accredito a nuovi membri dello staff. «In pratica – osserva Blondet – tutte le nazioni occidentali hanno trattato la Russia da Stato canaglia, Stato criminale, paria delle nazioni, da appestato; hanno comminato nuove e più gravi sanzioni. Senza mai dar credito, nemmeno per un attimo, alle proteste russe di estraneità».E’ andata in scena «una spaventosa prova di aggressività demente, di inciviltà nei rapporti internazionali, che non poteva che preludere a qualche gravissima azione o provocazione bellica, tanto era palesemente mal fondata fin dalle prime fasi». Tanto più spaventosa, aggiunge Blondet, «perché tutti i media mainstream si sono uniti alla canea di accuse, con la bava alla bocca». Uno spettacolo inquietante: «Abbiamo avuto qui una prova dal vivo della criminosa irresponsabilità e del delirio di cui sono capaci i poteri forti, della loro attitudine al pericoloso sragionare in coro dei nostri politici, come ad un segnale convenuto, obbedendo ad automatismi di cui non scorgiamo l’origine, e per questo fanno più paura». Scherza col fuoco, l’Occidente: il governo cinese ha esplicitamente giudicato con sdegno questo comportamento incivile, sul piano internazionale, da parte di europei e statunitensi. E che l’abbia giudicato allarmante lo conferma la visita a Mosca, il 3 aprile, di una delegazione cinese capeggiata dal ministro della difesa Wei Fenghe, il quale ha detto ad alta voce: «La parte cinese è venuta ad informare gli americani di quanto siano stretti i legami tra le forze armate russe e cinesi». Un linguaggio senza edulcorazioni, chiaro e netto: «Quello che Pechino giudica il solo adatto ai gangster occidentali», avverte Blondet.Il punto è che, adesso, nessuno in Europa si sta scusando con Putin per questa «delinquenziale falsità, di cui non sappiamo ancora lo scopo vero». Gentiloni e Alfano? Pur “uscenti”, si sono vilmente accodati: hanno espulso due diplomatici russi, in ossequio alle menzogne di Londra. «Mogherini e Donald Tusk, Macron e Stoltenberg, Merkel, sono in grado di ammettere pubblicamente il loro errore – peggio che errore, solidarietà in una menzogna e complicità in un “false flag”? Per aver inscenato tutti insieme, delinquenti, una provocazione gravissima che solo la fermezza e i nervi d’acciaio di Putin e Lavrov hanno evitato di far precipitare in un conflitto armato, come era probabilmente nei piani di lorsignori?». Blondet è pessimista: «Non credo sapremo mai a cosa mirassero questi delinquenti che ci governano, recitando questa scenata. Forse a preparare una rivincita in Siria? Forse ad allargare fino a rendere irreversibile la frattura fra Russia ed Europa, mira storica della “geopolitica” britannica da McKinder?». Purtroppo, aggiunge Blondet, ci sono dei precedenti «altrettanto inspiegati, risalenti al 1994.Su un aereo proveniente da Mosca, ricorda Blondet, il 10 agosto di quell’anno la polizia di Monaco di Baviera “trovò” 363 grammi di plutonio. «Ovviamente, si scatenò un attacco concertato, da parte dei politici e dei media, sul presunto “commercio del terrore” che veniva dai mal guardati reattori nucleari sovietici; da cui malviventi evidentemente trafugavano plutonio (plutonio!) da vendere sul mercato del terrore». Questo clamore, osserva il giornalista, contribuì a far vincere le elezioni ad Helmuth Kohl. Ci volle quasi un anno di tempo prima che lo “Spiegel” uscisse con la vera storia: sull’aereo russo, il carico di plutonio era stato “piazzato” dai servizi di spionaggio tedeschi (Bnd). A quale scopo? «Varie serie di “rivelazioni” e “gole profonde” non fecero altro che rendere più complesso, e infine indecifrabile, il movente: un classico metodo di insabbiamento a cui in Italia dovremmo essere abituati, da Ustica al caso Moro», scrive Blondet. «Ovviamente ed italicamente, fu messa insieme anche una commissione parlamentare d’inchiesta sul caso – dopotutto sarebbe bene sapere come mai 336 grammi di plutonio fossero nelle disponibilità del Bnd – e come potete già indovinare, finì nel nulla. Il capo del Bnd fu mandato in pensione anticipata, e fu tutto».Non hanno solo accusato, isolato e punito Mosca, con sanzioni e rappresaglie diplomatiche, sulla base di menzogne. Per poterlo fare, qualcuno ha quasi ucciso l’ex spia Sergeij Skripal e sua figlia, due persone intossicate a tradimento con il gas nervino. Ora le loro condizioni stanno migliorando: i due non sono più in pericolo di vita. Ma la notizia è un’altra: l’accusa contro i servizi segreti di Putin sta crollando, rivelandosi una immane “fake news” di Stato, per coprire un auto-attentato “false flag” mal riuscito. Devastante l’ammissione del direttore di Porton Down, i laboratori militari britannici per le armi chimico-batteriologiche: non c’è prova che il Novichock usato (o che sarebbe stato usato) contro Skripal fosse di origine russa. Il punto è che il ministro degli esteri britannico Boris Johnson aveva assicurato, in un tweet del 22 marzo e subito diffuso nel mondo, che «analisi condotte al laboratorio di scienza e tecnologia bellica di Porton Down da esperti di livello mondiale hanno appurato che si tratta dell’agente nervino militare Novichok prodotto in Russia». Il governo, sottolinea Maurizio Blondet, aveva impegnato la parola dei suoi scienziati di fama mondiale senza averli interpellati, e prima ancora che conducessero le indagini. E non è tutto: lo stesso Johnson ha cercato di cancellare il tweet del 22 marzo, negando di aver sostenuto che il nervino fosse d’origine russa, benché sia ancora sul web una sua intervista a “Deutsche Welle” dove afferma «categoricamente» che Porton Down aveva riconosciuto il veleno come russo.
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Magaldi: serve ben altro che il taglio (irrisorio) dei vitalizi
Non penseranno di cavarsela con la burletta dei famosi vitalizi, vero? Ben altre prove – assai più decisive, per il popolo italiano, di quei quattro spiccioli destinati agli ex parlamentari – attenderebbero Di Maio e Salvini, nel caso dessero un taglio ai minuetti e provassero a dar vita a qualcosa che assomigli ad un governo. A oltre un mese dal voto, sarebbe ora di darsi da fare: lo dice persino un compassato gentleman come Paolo Mieli, uno dei signori del mainstream italico, la tribuna vip che accolse Mario Monti come un salvatore della patria, Enrico Letta come il naturale successore e il suo “killer” Matteo Renzi come un formidabile rinnovatore, anche lui benedetto dagli stessi dèi. Ora è di scena l’ex impresentabile Di Maio: che aspetta a muoversi, onde annunciare poi a Mattarella di avere in tasca i numeri vincenti? Dopo il voto, lo stesso Mieli era tra quanti la prendevano con calma: tempo al tempo, nella speranza forse che il Pd si decidesse a dare udienza ai 5 Stelle. Ma ora l’intervallo sta scadendo. O meglio, dice Mieli, onnipresente nei talk-show: quei due hanno “spaccato” con argomenti forti, anzi fortissimi. Reddito garantito, tasse tagliate alla radice. Vogliamo cominciare a ragiornare, seriamente, per capire da che parte cominciare?Siamo nel mezzo di una torbida palude, dice un osservatore indipendente come Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt nonché fustigatore pubblico della massoneria più onnipotente, il regno misterioso delle superlogge-ombra come quelle in cui milita George Soros, che firmerà un contributo speciale nel sequel di “Massoni”, saggio di prossima uscita. Già nel primo volume, Magaldi sostiene che l’Italia sia un campo di battaglia decisivo, riguardo al futuro dell’Europa, anche per il mondo esclusivo delle Ur-Lodges: da una parte la fazione dominante, reazionaria, che ha impugnato la clava del rigore finanziario demolendo benessere e diritti, e dall’altra i progressisti, riemersi dall’ombra con Bernie Sanders alle primarie americane e con Jeremy Corbyn alla guida dei laburisti inglesi. La Francia? Dopo la grande delusione di François Hollande, sponsorizzato dalla “Fraternité Verte”, all’Eliseo è tornata una pedina dell’oligarchia destrorsa, il finto outsider Emmanuel Macron, sorretto dalla supermassoneria neo-aristocratica – che infatti annuncia tagli devastanti al welfare e storiche mutilazioni del pubblico impiego. “En Marche”, ma dalla parte opposta: quella raccomandata dall’élite cha trasformato l’Unione Europea in un bagno penale per “popoli superflui”, per usare un’espressione di Marco Della Luna.Siamo nella palude, dice Magaldi a “Color Radio”, ma non è detto che dal fango fertile non nasca qualche fiore. Purché, appunto, non si monti una gazzarra fuorviante sulla quisquilia dei vituperati vitalizi, pari a zero nel bilancio delle cose che contano davvero. Per esempio: reddito di cittadinanza e scure sulle tasse. Post-keynesiano come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, Magaldi tiene ai suoi distinguo: non è saggio pensare a un’assistenzialismo permanente, né a una Flat Tax come quella promessa da Salvini in campagna elettorale, con l’aliquota al 15%. Ma il reddito pentastellato è qualcosa di diverso: se ben amministrato, può essere un ammortizzatore molto utile, almeno in via temporanea. Beninteso: è il lavoro, il faro della riscossa del paese. E la leva strategica sono gli investimenti pubblici, destinati alle imprese private. Non si contano le infrastrutture ormai cadenti cui mettere mano, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Idem, le tasse: passi la boutade elettorale del 15%, ma non è pensabile che si continui a taglieggiare le aziende, messe in croce da uno Stato che sa essere efficiente solo quando veste i panni di esattore. Sono argomenti forti, quelli sul tappeto. L’importante è cominciare a spacchettarli: soccorso finanziario a chi è nei guai, e riduzione netta della tassazione. Si farà sul serio? Sappiano, i vincitori del 4 marzo, che l’Europa li sta guardando – insieme agli italiani che li hanno votati.Non pensino di cavarsela con la burletta dei famosi vitalizi. Ben altre prove – assai più decisive, per il popolo italiano, di quei quattro spiccioli destinati agli ex parlamentari – attenderebbero Di Maio e Salvini, nel caso dessero un taglio ai minuetti e provassero a dar vita a qualcosa che assomigli ad un governo. A oltre un mese dal voto, sarebbe ora di darsi da fare: lo dice persino un compassato gentleman come Paolo Mieli, uno dei signori del mainstream italico, la tribuna vip che accolse Mario Monti come un salvatore della patria, Enrico Letta come il naturale successore e il suo “killer” Matteo Renzi come un formidabile rinnovatore, anche lui benedetto dagli stessi dèi. Ora è di scena l’ex impresentabile Di Maio: che aspetta a muoversi, onde annunciare poi a Mattarella di avere in tasca i numeri vincenti? Dopo il voto, lo stesso Mieli era tra quanti la prendevano con calma: tempo al tempo, nella speranza forse che il Pd si decidesse a dare udienza ai 5 Stelle. Ma ora l’intervallo sta scadendo. O meglio, dice Mieli, onnipresente nei talk-show: quei due hanno “spaccato” con argomenti forti, anzi fortissimi. Reddito garantito, tasse tagliate alla radice. Vogliamo cominciare a ragiornare, seriamente, per capire da che parte cominciare?
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Giannuli: i 5 Stelle guastati dal potere che volevano battere
C’eravamo tanto amati. O meglio: rispettati e stimati, in vista di un futuro che però non è sbocciato. Ora siamo all’addio: «Scusate, scendo a questa fermata». Il pullman è a 5 Stelle, il conducente è Di Maio. L’ex passeggero deluso risponde al nome di Aldo Giannuli: scende dal carro sul quale in tanti, oggi, fanno a gara a salire. Storico e politologo, un passato militante da post-comunista, Giannuli è uno dei pochi intellettuali di sinistra indipendenti, non ostili ai grillini. Anzi, fin da subito si era schierato – con simpatia dichiarata – tra gli “osservatori amici” del grande test rappresentato dal Movimento 5 Stelle. Fine dell’illusione, anche se – chiarisce l’interessato nel suo blog – il M5S «ha tre meriti storici che nessuno può negare: aver abbattuto il falso bipolarismo Fi-Pd, aver posto in termini politici e non solo giornalistici il tema della casta e aver impedito che la protesta che stava montando sfociasse in movimenti di estrema destra come Alba Dorata o il Front National». Per queste ragioni, sottolinea il professore, non è affatto pentito di aver «costeggiato e appoggiato il M5S – pur senza mai entrare a farne parte – dal 2013 ad oggi». Niente sconti, comunque, nemmeno in precedenza: «Non ho mai evitato di criticare singoli aspetti o scelte del movimento che, però, complessivamente ho sempre difeso». Come i lettori del suo blog hanno potuto constatare, però, negli ultimi due anni, i motivi di dissenso sono andati crescendo.Le critiche di Giannuli si sono fatte più frequenti e forse più aspre, per cui non è stato un caso che nelle recenti elezioni politiche, alla Camera non ha votato 5 Stelle ma “Potere al Popolo”. «Non sono io che mi sono man mano allontanato dal M5S: io sono rimasto fermo, è il M5S che ha preso altre strade». Per esempio, la guida “carismatica” dell’uomo solo al comando. «Il M5S al quale mi ero avvicinato era quello dell’“uno vale uno” che, pur non senza contraddizioni anche evidenti, rifiutava l’idea di un capo politico che decidesse tutto». In quelle “contraddizioni anche evidenti”, Giannuli evita di nominare Grillo, il designatore di Di Maio; non che ai tempi di Beppe, cioè quando sulla scena stava l’ex comico, contasse davvero l’“uno vale uno”: bastava un sospiro del Capo per esiliare chiunque avesse osato ragionare con la propria testa, da Pizzarotti in giù. Comunque la si veda, secondo Giannuli, le cose sono ulteriormente peggiorate: «Oggi, nel movimento vige un regolamento che nessuno ha mai approvato e che dà pieni poteri al capo politico, sino al punto di dargli la possibilità di nominare i capigruppo parlamentari non più eletti (cosa che non ha precedenti nella storia del Parlamento repubblicano)».Aggiunge Giannuli: «Il M5S al quale mi ero avvicinato parlava di democrazia diretta, anche con un’enfasi eccessiva che si traduceva in un discutibile rifiuto della democrazia rappresentativa; oggi di democrazia diretta non si parla più ed è restato solo un antiparlamentarismo ancora più inquietante di ieri». Nostalgia dichiarata: «Il M5S cui mi ero accostato miscelava temi di destra (come l’ostilità verso gli immigrati) con temi di sinistra (come la difesa dell’articolo 18) ma aveva una decisa avversione ai poteri finanziari (ricordiamoci le partecipazioni di Grillo alle assemblee degli azionisti Telecom)». Oggi invece Di Maio «dice che i governi devono tener conto dell’orientamento dei mercati finanziari». Sta cadendo un velo che in realtà esisteva già prima: Giannuli non se n’era accorto? «Il M5S con il quale iniziai a collaborare – aggiunge – si schierò decisamente per la legge elettorale proporzionale e contro la riforma renziana della Costituzione in difesa della Costituzione repubblicana del 1948». L’edizione più recente del movimento, invece, «ha fatto non poche concessioni nel dibattito sulla legge elettorale (in particolare quando si parlò di metodo tedesco) e, con ogni evidenza, si appresta a sostenere il ritorno ad una qualche forma di maggioritario».Quanto alla Costituzione, la pretesa di avere la presidenza del Consiglio sulla base della maggioranza relativa ottenuta nel voto per l’elezione della Camera «è solo la premessa logica di una riforma di indirizzo presidenziale», sostiene Giannuli. «Ma allora, perché ci si è opposti alla riforma di Renzi?». Il professore ha combattuto il ras del Pd in quel referendum perché era «contrario alla sua riforma», non per fini reconditi. «Mi viene il dubbio – dice – che qualche altro ha combattuto quella riforma solo perché voleva togliere di mezzo Renzi». Di fatto, ribadisce Giannuli, cinque anni fa il Movimento 5 Stelle «entrò nelle stanze del potere per ribaltarle», mentre quello oggi capitanato da Di Maio «non si sottrae all’abbraccio mortale del potere consolidato». Non hanno cambiato il potere, scandisce il professore: al contrario, è il potere che ha cambiato loro. «Non sono mai le persone a fare progetti di potere: è il potere che fa progetti sulle persone», sostiene il saggista Gianfranco Carpeoro, altro estimatore della base grillina – ma severo censore del vertice: «Di Maio – dice – era la peggior scelta possibile, per i 5 Stelle: un uomo inconsistente e condizionato dalla finanza anglosassone, sovragestito da un personaggio ambiguo come il politologo statunitense Michael Ledeen, supermassone del B’nai B’rith, legato ad ambienti sionisti del massimo potere mondiale, specialisti in manipolazione geopolitica».Visto dal punto di vista di Giannuli (che, a differenza di Carpeoro, con i 5 Stelle ha interagito direttamente) il paesaggio è ingombro di macerie: «Il M5S con cui ho collaborato – racconta il professore – fece un’epica battaglia parlamentare contro la “riforma” della Banca d’Italia che ne faceva dono alle principali banche nazionali. La legge prevedeva tre anni di tempo per mettere sul mercato le azioni possedute in eccesso dai pochi oligopolisti, il limite è scaduto nel 2017 senza che sia avvenuto niente: e il M5S non dice niente, preferendo posare occhi vogliosi sulla Cassa Depositi e Prestiti, in perfetto stile “spoil system”. Certo, sin qui è stata gestita malissimo, ma quale è il rimedio? Piazzare qualche amico? Non so». Altrettanto preoccupante il rapporto con Bruxelles, capitale dell’austerity: «Oggi non solo non si parla proprio più di uscita dall’euro – scrive Giannuli – ma si fa dell’oltranzismo filo Ue, e si prospetta l’adesione al gruppo più eurista del Parlamento Europeo, “En Marche”». Il movimento grillino delle origini si diceva “né di destra né di sinistra”, certo, «ma in realtà ospitava nel suo seno sia destra che sinistra», rileva il politologo. E oggi? «Quella ambiguità è sciolta», ma nel modo peggiore: «Pur continuando a dirsi né di destra né di sinistra, il Movimento sta imboccando una strada decisamente di destra».Fatemi scendere, dice Giannuli. E spiega: «Io ero e sono sempre rimasto di sinistra», dunque la convergenza verso lo “xenofobo” Salvini sarebbe quanto mai indigesta. «Potevo convivere con l’ambiguità iniziale, ma non con una cosa esplicitamente di destra». Dopo aver lungamente tollerato la non-chiarezza dei grillini, ora Giannuli vota contro la spiacevole franchezza di Di Maio e soci. Per cui, aggiunge, non stupitevi: «Sapete che sono anticonformista». Ovvero: «In un paese in cui (quasi) tutti salgono sul carro del vincitore, io scelgo di scendere». Precisa: «Sarò grato ai conduttori televisivi che non mi presenteranno più come “vicino al Movimento 5 stelle” ma come persona “che è stata a lungo vicina al M5S». Intendiamoci, niente di personale: «Nessuna acrimonia e nessuna ostilità preconcetta». Distacco nel giudizio, serena equanimità: «Quando il M5S farà scelte condivisibili lo difenderò, quando ne farà di segno opposto lo criticherò». Ma sempre nel merito, assicura Giannuli. Perché, «nonostante tutto», cioè malgrado Di Maio, il Movimento 5 Stelle «è ancora oggi una importante risorsa per il paese». E quindi «sarebbe altamente auspicabile che correggesse questa discutibile rotta». Benvenuto tra noi, potrebbero dire a Giannuli alcuni milioni di italiani, tra il 27% degli aventi diritto, che il 4 marzo hanno valutato inevitabile l’astensionismo elettorale, dopo aver visto Di Maio inchinarsi ai santuari della finanza-canaglia.C’eravamo tanto amati. O meglio: rispettati e stimati, in vista di un futuro che però non è sbocciato. Ora siamo all’addio: «Scusate, scendo a questa fermata». Il pullman è a 5 Stelle, il conducente è Di Maio. L’ex passeggero deluso risponde al nome di Aldo Giannuli: scende dal carro sul quale in tanti, oggi, fanno a gara a salire. Storico e politologo, un passato militante da post-comunista, Giannuli è uno dei pochi intellettuali di sinistra indipendenti, non ostili ai grillini. Anzi, fin da subito si era schierato – con simpatia dichiarata – tra gli “osservatori amici” del grande test rappresentato dal Movimento 5 Stelle. Fine dell’illusione, anche se – chiarisce l’interessato nel suo blog – il M5S «ha tre meriti storici che nessuno può negare: aver abbattuto il falso bipolarismo Fi-Pd, aver posto in termini politici e non solo giornalistici il tema della casta e aver impedito che la protesta che stava montando sfociasse in movimenti di estrema destra come Alba Dorata o il Front National». Per queste ragioni, sottolinea il professore, non è affatto pentito di aver «costeggiato e appoggiato il M5S – pur senza mai entrare a farne parte – dal 2013 ad oggi». Niente sconti, comunque, nemmeno in precedenza: «Non ho mai evitato di criticare singoli aspetti o scelte del movimento che, però, complessivamente ho sempre difeso». Come i lettori del suo blog hanno potuto constatare, però, negli ultimi due anni, i motivi di dissenso sono andati crescendo.
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Giannuli: in un politico l’onestà non conta quanto l’onore
La polemica contro i politici che rubano è stata il cavallo di battaglia del M5S in questi anni, come lo è sempre stato per tutti gli antiparlamentarismi passati e presenti. Ovviamente, combattere la corruzione è uno dei compiti politici più importanti e non sarò certo io a negarlo, ma in questa polemica facile ci sono aspetti che meritano d’essere criticati. In primo luogo lascia perplessi proprio la scelta del temine per designare questa battaglia: onestà. Una cosa che fa pensare al fruttivendolo che non ti frega sul peso e sul resto o non ti rifila mele marce al posto di buone. L’onestà è un comportamento elementare ed è un dovere che riguarda tutti: dal fruttivendolo di cui sopra al partecipante a un concorso pubblico che non deve farsi raccomandare, ma deve combattere ad armi pari (perché rubare non è la sola forma di disonestà, ce ne sono molte altre). Ma in politica parliamo di una cosa più importante e impegnativa, e si chiama senso dell’onore. Parliamo di Sarkozy, oggi nei guai per aver accettato una sovvenzione di 5 milioni da Gheddafi per la sua campagna elettorale in cambio di imprecisati favori futuri: tecnicamente non ha “rubato” qualcosa, ma il suo è stato un gesto altamente disonorevole, anche a prescindere dalle successive eventuali concessioni a Gheddafi, che ha poi ripagato con i bombardamenti del 2011.Quando si fa politica ai massimi livelli (lui correva per la presidenza della Repubblica e poi vinse) certe cose sono inammissibili, e Sarkozy si è comportato da miserabile morto di fame la cui pena, oltre che quella detentiva, dovrebbe essere di essere trascinato al carcere fra ali di folla che gli sputano addosso, in segno di disprezzo. Ci sono cose che vanno molto oltre l’onestà: chi abusa di un rapporto fiduciario affidatogli (che sia il magistrato che trucca una causa anche solo per fare carriera o l’educatore che abusa sessualmente dei minori che gli sono affidati) non è semplicemente un disonesto, ma uno che perde qualsiasi onore personale. E così, in politica, ci sono forme di disonestà ben più gravi di quelle di chi riceve una mazzetta. Il politico che inganna gli elettori con promesse impossibili per arraffare voti è più disonesto di uno che prende una tangente. E lo stesso si deve dire di un politico che, solo per il vantaggio del suo partito, cambia posizione su questioni di principio, oppure del politico che trucca una elezione o di quello che viene meno ad un patto in cui ha impegnato la sua parola. Ormai sembra che questi comportamenti siano peccati veniali e la tangente sia il peccato grave.Non dico che la tangente sia una venialità, ma sicuramente quegli altri comportamenti che denotano disonestà intellettuale sono decisamente più gravi, perché investono il campo specifico della sua attività esattamente come un avvocato che, d’accordo con un suo collega, baratta una causa con un’altra, o il medico che viola il giuramento di Ippocrate anche non per soldi, eccetera. Parlare di semplice onestà, dunque, quasi che gestire lo Stato sia un’attività alla stregua di una piccola transazione commerciale, non solo è fuorviante ma, alla fine, banalizzala la colpa specifica del politico. E anche questo è un segno della perdita del senso del politico, in questa stagione di grande involuzione culturale.(Aldo Giannuli, “Onestà, onestà: ma cos’è l’onestà in politica?”, dal blog di Giannuli del 29 marzo 2018).La polemica contro i politici che rubano è stata il cavallo di battaglia del M5S in questi anni, come lo è sempre stato per tutti gli antiparlamentarismi passati e presenti. Ovviamente, combattere la corruzione è uno dei compiti politici più importanti e non sarò certo io a negarlo, ma in questa polemica facile ci sono aspetti che meritano d’essere criticati. In primo luogo lascia perplessi proprio la scelta del temine per designare questa battaglia: onestà. Una cosa che fa pensare al fruttivendolo che non ti frega sul peso e sul resto o non ti rifila mele marce al posto di buone. L’onestà è un comportamento elementare ed è un dovere che riguarda tutti: dal fruttivendolo di cui sopra al partecipante a un concorso pubblico che non deve farsi raccomandare, ma deve combattere ad armi pari (perché rubare non è la sola forma di disonestà, ce ne sono molte altre). Ma in politica parliamo di una cosa più importante e impegnativa, e si chiama senso dell’onore. Parliamo di Sarkozy, oggi nei guai per aver accettato una sovvenzione di 5 milioni da Gheddafi per la sua campagna elettorale in cambio di imprecisati favori futuri: tecnicamente non ha “rubato” qualcosa, ma il suo è stato un gesto altamente disonorevole, anche a prescindere dalle successive eventuali concessioni a Gheddafi, che ha poi ripagato con i bombardamenti del 2011.
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Eresia verde: l’ultima ideologia vincente prima del liberismo
Un mondo più pulito, e quindi più giusto. In una parola: più verde. Erano gli anni ‘80, e il nuovissimo radicalismo ecologista del “Sole che ride”, di matrice scandinava, poteva sembrare un lusso. Era una suggestione “da tempo di pace”, inoculata come un virus benefico in un sistema disordinato e molto inquinato eppure in costante crescita, fondato su un consumismo di massa sempre più condiviso, grazie al famoso ascensore sociale funzionante nella vituperata Prima Repubblica, la società consociativa governata da industriali e vescovi, partiti e sindacati. Superata la lunghissima stagione dell’estremismo, delle bombe e del brigatismo, restava la mafia in Sicilia a far strage di magistrati, mentre montava l’insofferenza per lo strapotere di una partitocrazia logora, corrotta e clientelare. Ma in quell’Italia, così provata dagli anni di ferro e di piombo che aveva appena attraversato, non c’era spazio per il dominio della paura. Non c’era neppure l’ombra dei fantasmi pre-moderni ora riapparsi: povertà e disoccupazione di massa, l’angoscia della vecchiaia senza pensione e di un futuro senza figli.La Grecia era ancora il paradiso in cui andare in vacanza, non l’inferno di oggi senza medicine per i bambini. Nessun esodo di esseri umani disperati: apostoli come Thomas Sankara lavoravano per un’Africa libera e dignitosa. Finiva in soffitta anche il gelido bullismo delle superpotenze: in accordo con Reagan, l’intrepido Gorbaciov stava per rottamare i suoi famosi missili. Quella italiana era una società relativamente rilassata e tollerante, ottimista e in parte progressista, già divorzista e abortista, non ostile alle provocazioni culturali. Gli intellettuali scrivevano libri, il “Nome della rosa” metteva alla berlina il potere medievale del Vaticano. E un certo Primo Levi prendeva posizione contro i massacri ordinati da Israele in Libano, il martoriatro paese mediorientale dove i soldati del generale Angioni sfilavano tra gli applausi, sui loro carri armati bianchi. Rivista oggi, quell’Italia imperfetta e minata da mali endemici era infinitamente più coesa e meno cinica, più serena e fiduciosa dell’attuale euro-periferia cronicamente depressa.C’è di mezzo un’era glaciale, è vero: senza Internet, le notizie facevano ancora notizia. Il terremoto in Irpinia e il business della camorra, la bomba di Bologna e la strage di Ustica, il bambino finito nel pozzo a Vermicino. Non esisteva Facebook, per gli italiani parlava Renzo Arbore. Minoli intervistava Agnelli, Gianni Minà ospitava De André. Guardava avanti, quell’Italia, verso successi inimmaginabili: una stagione di trionfi per l’economia, gli anni rampanti di Bettino Craxi, il boom del made in Italy. Stupiva il mondo, la penisola dell’Iri, proprio quando l’Inghilterra sprofondava nell’austerity varata dalla Thatcher. C’era già allora chi pensava di sabotarlo, il Belpaese – i medesimi poteri che l’avevano riempito di bombe, seminando il terrore nelle piazze. E c’era chi, al contrario, sperava di correggerne lo sviluppo tumultuoso, bonificandone le scorie. C’era stato un evento epocale, che aveva costretto tutti a fermarsi e pensare. Era saltata in aria un’enorme centrale nucleare sovietica, in Ucraina. Messaggio esplicito: nessuno può sentirsi al riparo; non c’è frontiera che tenga, di fronte a un simile disastro. Retromessaggio: il mondo ormai è strettamente interconnesso. La nube tossica di Chernobyl aveva investito l’intera Europa, ma l’Italia fu l’unico paese ad avere il coraggio di mettere al bando l’energia atomica.Riletto oggi, l’ideologo ecologista Alex Langer potrebbe sembrare un visionario epigono di Gandhi. Nel loro positivismo scientifico fondato sulla fiducia nella ragione, i fisici Gianni Mattioli e Massimo Scalia, primissimi parlamentari verdi, erano altrettanto consapevoli di predicare nel deserto: sapevano che sarebbero stati ignorati e poi derisi, prima di essere ascoltati. Dalla loro avevano una convinzione speciale, oggi estinta: la forza dell’ideologia. Cioè la visione profonda, prospettica, di un mondo diverso. Un pensiero lungo: come sarebbe bello, se la nostra consapevolezza di oggi potesse produrre, domani, una vita migliore – più sicura, più felice, con più diritti. Volevano un paese trasformato, in un pianeta progressivamente ripulito. Erano certi che la missione avrebbe richiesto decenni di duro lavoro, anche oscuro, fatto di studio e di consultazione progressiva con cittadini e territori, italiani e non. Sognavano un mondo “glocal”, i primi Verdi, rifondato secondo il preciso schema operativo riassunto dal loro slogan: pensare globalmente e agire localmente. Non seminavano odio, ma futuro. Non chiedevano di votare “contro”, ma “per”: in palio, secondo loro, poteva esserci un domani diverso e inclusivo, migliore per tutti. Non ha nemici, l’ideologia – solo avversari temporanei, popolo da persuadere, alleati potenziali da conquistare alla causa.Non hanno mai sbancato la lotteria delle elezioni, i Verdi italiani – anzi, col tempo si sono degradati fino a scomparire nell’irrilevanza, tra infime diatribe di potere. Non altrettanto si può dire delle loro idee: grazie a quell’eresia, è stata messa in cassaforte una legislazione scrupolosamente attenta alla tutela dell’ambiente. Una rivoluzione copernicana, tradotta in politica, ha imposto (per legge) un cambio di paradigma, nei confronti dell’ecosistema, dai piani regolatori ai depuratori delle fabbriche e delle città. Poi la cultura “green” è diventata moda, veganesimo chic, persino malaffare (l’opaco business delle rinnovabili). In mano al marketing politico-affaristico, l’ecologismo maninstream s’è fatto dogma, conformismo da pensiero unico, politically correct. Ma intanto la natura è salita in cattedra nelle scuole, e lo splendore dei parchi ha piena cittadinanza, tuttora, in televisione. Potevano sembrare una setta di pazzoidi stravaganti, i discepoli di Langer, quando parlavano di prevenzione sanitaria e sovranità dei territori, qualità della vita e sicurezza alimentare: oggi l’Italia ha norme severissime, in materia, a tutela della genuinità delle filiere corte.E’ la filosofia del biologico, settore sempre più trainante, che ha spinto con successo milioni di giovani verso il ritorno all’agricoltura intelligente, pulita e selettiva. E persino nelle regioni terremotate dell’Italia centrale, ancora ingombre di macerie, è il consumatore della porta accanto a tenere in piedi l’economia del contadino, del piccolo artigiano. Cambiano le stagioni e tramontano i partiti, ma le idee camminano. Se hanno prodotto futuro, lo si vede alla distanza. Chi ne ha subito il fascino, in questi anni, ha condiviso un immaginario fondato su un’estetica, prima ancora che su un’etica: un mondo più verde è innanzitutto più bello. Oggi, i vincitori delle elezioni sono costretti a parlare soltanto di soldi: reddito garantito, meno tasse. Sono misure d’emergenza, richieste dalle circostanze. Siamo infatti tornati al “tempo di guerra”: non c’è più spazio per pensieri lunghi. Eppure, chi poi le guerre le vince per davvero – compresa l’ultima, mondiale – dalla sua parte non ha solo gli arsenali, ha anche e soprattutto un’idea chiara in testa, per il “dopo”. E’ quella, in fondo, che assicura la vittoria. Quella che oggi manca ancora, non a caso, rendendo proibitiva la percezione del futuro.E’ tutto più difficile, nel mondo digitale ultra-globalizzato? Eppure, in teoria, dovrebbe essere più facile far circolare idee, farle attecchire. A latitare è forse l’humus, il fertile terreno su cui coltivarle, dandosi tutto il tempo necessario. Sul piano culturale, l’ultima incarnazione dell’ecologismo nato negli anni ‘80 è stata la teoria economica della “decrescita felice”, sviluppata dall’italiano Maurizio Pallante con il francese Serge Latouche. La loro intuizione, mutuata da Bob Kennedy: alla crescita del Pil non corrisponde affatto quella del benessere. Non c’è stato bisogno di metterla alla prova: a stroncarla ha provveduto la “decrescita infelice” imposta dall’oligarchia europea. Una studiosa come Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta”, conferma che oggi, grazie alla deformazione strutturale del profitto finanziarizzato, la crescita del Pil non solo non migliora le condizioni del cittadino medio, ma addirittura le peggiora, accrescendo le diseguaglianze. Forse la soluzione non sta nel prodotto interno lordo, crescente o decrescente, ma risiede da tutt’altra parte: nel futuro, nel mondo delle idee.Il brutto film di oggi sembra fatto apposta per oscurarlo in ogni modo, l’avvenire: è un copione dell’orrore a corto raggio, che propone una normalità di sacrifici e sofferenze, terrorismo e guerra. Viviamo in un kolossal, scritto e diretto dal peggiore degli autori: la paura. Un labirinto cieco, che sembra senza uscita. Ma da ogni dedalo c’è sempre una qualche scappatoia – magari verticale, da indovinare alzando gli occhi al cielo. La forza dell’ideologia sta anche nell’universalismo delle idee: se qualcosa è buono qui, dev’esserlo anche altrove. Vale per tutti, ovunque: le idee non hanno nazionalità, ma possono salvare le nazioni. Globalizzare la democrazia, fermando il mostro onnivoro: roba da avanguardisti carbonari. Dicevano, i seguaci di Alex Langer: ma perché mai avvelenarci l’anima, in un paese favoloso (un Eden, per il turismo verde) che detiene la maggior parte dei beni culturali della Terra? Parole spese quarant’anni fa. Qualcuno oggi sa come saremo fra tre anni?(Giorgio Cattaneo, “Eresia verde, l’ultima ideologia vincente prima del neoliberismo”, dal blog del Movimento Roosevelt del 29 marzo 2018).Un mondo più pulito, e quindi più giusto. In una parola: più verde. Erano gli anni ‘80, e il nuovissimo radicalismo ecologista del “Sole che ride”, di matrice scandinava, poteva sembrare un lusso. Era una suggestione “da tempo di pace”, inoculata come un virus benefico in un sistema disordinato e molto inquinato eppure in costante crescita, fondato su un consumismo di massa sempre più condiviso, grazie al famoso ascensore sociale funzionante nella vituperata Prima Repubblica, la società consociativa governata da industriali e vescovi, partiti e sindacati. Superata la lunghissima stagione dell’estremismo, delle bombe e del brigatismo, restava la mafia in Sicilia a far strage di magistrati, mentre montava l’insofferenza per lo strapotere di una partitocrazia logora, corrotta e clientelare. Ma in quell’Italia, così provata dagli anni di ferro e di piombo che aveva appena attraversato, non c’era spazio per il dominio della paura. Non c’era neppure l’ombra dei fantasmi pre-moderni ora riapparsi: povertà e disoccupazione di massa, l’angoscia della vecchiaia senza pensione e di un futuro senza figli.
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La Francia ci calpesta? Ovvio: siamo lo zerbino del mondo
«In questo momento – scandisce Gianfranco Carpeoro – l’Italia è lo zerbino del mondo». Lo dimostra la disinvoltura con cui la gendarmeria doganale francese ha condotto un’operazione contro i migranti a Bardonecchia, in valle di Susa, su suolo italiano e senza neppure avvisare la nostra polizia. «L’Italia non conta nulla. Ed è tutta colpa è nostra», aggiunge Carpeoro: «Se il problema oggi sono i francesi è solo perché sono confinanti, e quindi ci sono più possibilità che commettano degli abusi. Ma nei confronti dell’Italia gli abusi li fanno tutti». Immediata (ma rituale) la reazione della Farnesina, che ha convocato l’ambasciatore francese. A stretto giro, Parigi difende i gendarmi: hanno agito in base ad accordi transfrontalieri stipulati negli anni ‘90. E’ vero solo a metà, sostiene Roma: gli agenti francesi hanno “invaso”, armi in pugno, un locale assegnato dall’Italia alle Ong che sostengono i migranti in difficoltà, i disperati che tentano di raggiungere la Francia (dove peraltro vige lo “ius soli”). Dal Viminale, Minniti avverte: potremmo stracciare quegli accordi e impedire ai poliziotti francesi di varcare la frontiera italiana. Se Di Maio approva la convocazione dell’ambasciatore di Macron, Salvini va oltre: anziché espellere diplomatici russi dopo l’opaco affare Skripal, dice, sarebbe il caso di allontare da Roma il personale diplomatico francese.In diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro taglia corto: inutile sperare che cambi qualcosa, dato il peso internazionale dell’Italia – ormai pari a zero. «D’altro canto, qui da noi, appena uno canta l’inno nazionale lo prendono in giro. Se noi stessi non abbiamo rispetto per quello che siamo, perché ne dovrebbero avere gli altri?». Avvocato e scrittore, nonché esperto simbologo, Carpeoro è un originale osservatore della situazione contemporanea. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” svela i retroscena (interamente occidentali, atlantici) dell’odierna strategia della tensione internazionale. Punta il dito sulla “sovragestione” occulta del massimo potere, che ogni tanto fa vittime eccellenti anche tra i suoi stessi esponenti – come Nicolas Sarkozy, ora nella bufera. Ma se il caso Sarkozy è un’eccezione, la regola nel Belpaese è un’altra: «L’Italia ha consentito che i suoi massimi esponenti politici fossero trascinati nel fango, senza tutelarli in nulla: ha consentito che dall’estero si pigliassero per il culo il propri leader».Proprio di Sarkozy si ricordano le grasse risate alle spalle di Berlusconi, condivise con Angela Merkel, di fronte alla compiacente stampa italiana, deliziata all’idea che i “paesi seri” si prendessero gioco del proprio premier “impresentabile”. «L’Italia è questo», insiste Carpeoro: «Noi per primi abbiamo utilizzato l’odio degli stranieri per “fottere” i nostri stessi connazionali». E’ una storia lunga e ripetitiva, che risale a Craxi e, prima ancora, a Mattei. Nel saggio “Il compasso, il fascio le la mitra”, che illumina gli aspetti più oscuri all’origine del fascismo, Carpero descrive i legami internazionali (Francia, Gran Bretagna) del faccendiere massone Filippo Naldi, uomo-chiave dell’ascesa e poi della caduta di Mussolini, nonché della spietata liquidazione di Giacomo Matteotti, che aveva scoperto (a Londra) la corruzione del sovrano, Vittorio Emanuele III, implicato nello scandalo petrolifero della Sinclair Oil. Sulla stessa nascita della repubblica italiana, Carpeoro ha manifestato perplessità: «Il socialdemocratico Pierluigi Romita ha potuto fare il ministro “a vita” perché suo padre, Giuseppe Romita, ministro dell’interno nel ‘46, custodì il segreto del vero risultato del referendum che ufficialmente bocciò la monarchia».Se la repubblica “antifascista” è nata già fragile, il resto l’hanno fatto gli italiani: «Non dobbiamo lamentarci di nulla, perché noi per primi non abbiamo avuto rispetto dell’Italia. Non possiamo pretendere che altri ce l’abbiano: non siamo in questa condizione», aggiunge Carpeoro. «L’italiano accetta questa situazione perché non assoggetta mai la propria individualità agli interessi generali, come invece avviene all’estero». Umiliazioni come quella appena inferta dai gendarmi francesi? Ne usciremo solo «quando cominceremo ad avere più rispetto del nostro Stato e delle nostre istituzioni, senza assoggettarle continuamente a trame e complotti dove abbiamo regolarmente chiesto noi l’aiuto per diffamare leader politici di fronte a fonti di informazioni estere».«In questo momento – scandisce Gianfranco Carpeoro – l’Italia è lo zerbino del mondo». Lo dimostra la disinvoltura con cui la gendarmeria doganale francese ha condotto un’operazione contro i migranti a Bardonecchia, in valle di Susa, su suolo italiano e senza neppure avvisare la nostra polizia. «L’Italia non conta nulla. Ed è tutta colpa è nostra», aggiunge Carpeoro: «Se il problema oggi sono i francesi è solo perché sono confinanti, e quindi ci sono più possibilità che commettano degli abusi. Ma nei confronti dell’Italia gli abusi li fanno tutti». Immediata (ma rituale) la reazione della Farnesina, che ha convocato l’ambasciatore francese. A stretto giro, Parigi difende i gendarmi: hanno agito in base ad accordi transfrontalieri stipulati negli anni ‘90. E’ vero solo a metà, sostiene Roma: gli agenti francesi hanno “invaso”, armi in pugno, un locale assegnato dall’Italia alle Ong che assistono i migranti in difficoltà, i disperati che tentano di raggiungere la Francia (dove peraltro vige lo “ius soli”). Dal Viminale, Minniti avverte: potremmo stracciare quegli accordi e impedire ai poliziotti francesi di varcare ancora la frontiera italiana. Se Di Maio approva la convocazione dell’ambasciatore di Macron, Salvini va oltre: anziché espellere diplomatici russi dopo l’opaco affare Skripal, dice, sarebbe il caso di allontare da Roma il personale diplomatico francese.
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Il telefono è in ascolto: sa dove sei, chi incontri e cosa dici
Sono negli Usa. Compro un pacchetto di sigari e pago con carta di credito. Arrivo a casa, apro il pc per iniziare il lavoro quotidiano e mi compare una pubblicità di sigari. Pochi giorni fa vado nel bar di un mio amico che aveva messo in vendita su Internet una cucina da ristorante; mi racconta la sua avventura per vendere queste apparecchiature. Torno a casa, apro il cellulare, e mi compaiono annunci di vendita di cucine da ristorante. Quello che mi ha sorpreso è la rapidità con cui il dato che io avevo fornito col mio acquisto (sigari) è stato elaborato per mandarmi una pubblicità mirata. Il tempo trascorso dall’acquisto all’apertura del pc, infatti, era di circa trenta minuti. Un tempo poco superiore è trascorso nell’intervallo in cui ero a casa del mio amico e il momento in cui mi è comparsa la pubblicità delle cucine. Ora, premetto che pur essendo un complottista convinto, non sono affatto preoccupato che venga tracciato tutto ciò che faccio, vendo, compro, ecc. Quando certi strumenti saranno ancora più invasivi, sarà forse la volta buona che inizieremo a lasciare sempre più spesso a casa i cellulari e solleveremo sempre più lo sguardo dagli schermi dei nostri apparecchi elettronici, per volgerlo all’ambiente attorno a noi o al cielo. Le domande che mi faccio sono due, e di altro tipo.Innanzitutto a me pare che l’analisi dei dati che vengono immagazzinati per dare pubblicità sia sempre più sofisticata e vada molto al di là di quello che ci raccontano. Ci viene detto, infatti, che Google usa decine di indicatori per mandare pubblicità mirate, comprese il luogo in cui siamo. E fin qui ok, lo si può intuire anche dal fatto che ormai quasi tutti i siti ti chiedono “la tua posizione”, quando addirittura non la individuano in automatico. Mi accorgo infatti che se apro il pc in Francia, immediatamente mi compaiono pubblicità in francese; in Usa mi compaiono pubblicità in inglese, e così via. Se faccio una ricerca su Amazon compare in automatico “luogo di spedizione”, seguito dalla nazione in cui mi trovo. A me pare invece che emerga un controllo molto più permeante e globale, che comprende l’analisi immediata e incrociata di tutti i dati possibili, compresi gli acquisti fatti con carta di credito e il luogo specifico in cui ci troviamo (casa, supermercato, indirizzo di un amico, ecc.). Non si tratta, cioè, di un banale (si fa per dire) incrocio di dati, per rilevare la propensione al consumo degli utenti, ma di qualcosa di molto più specifico e permeante.Leggendo gli esempi che pubblichiamo alla fine dell’articolo, si può intuire che questo tipo di controllo comprende anche le cose che vengono dette a voce, e le attività effettuate nel quotidiano che vengono registrate in molti modi. Allora la domanda che mi pongo è: dal momento che esistono da tempo sistemi per monitorare tramite cellulare o pc gli stati d’animo e le emozioni di chi accede alla rete, tali sistemi sono già attivi sui nostri apparecchi elettronici? E in che misura? Il caso Cambridge Analytica ha fatto emergere un fenomeno molto più importante e grave della semplice raccolta di dati per fini politici (cosa di cui nessuno dubitava): è emerso che con i dati in possesso delle società di analisi si può accedere non solo alle caratteristiche, ai gusti, e alle tendenze dei fruitori della Rete, ma anche ai dati che si vorrebbero tenere nascosti (ad esempio si può capire se una persona è sessualmente impotente, se ha la tendenza al tradimento o meno, e ad altri dati che, in teoria, non sono così evidenti). Detto in altre parole, da Internet si può capire non solo ciò che scriviamo di noi, ma anche ciò che non scriviamo.Uno dei motivi per cui sulla maggior parte dei cellulari oggi in circolazione non si può togliere la batteria (una cosa assurda, dal punto di vista commerciale, logico, e pratico) è che rimaniamo connessi (quindi rintracciabili e individuabili) anche quando abbiamo il cellulare spento. Se tutto questo è vero, sorge spontanea un’altra domanda: perché non si utilizzano queste informazioni per la prevenzione alle varie forme di criminalità? Perché non le si utilizzano per fare indagini sempre più sofisticate sui crimini commessi? Il sospetto è che, dato il funzionamento della società, essi vengano utilizzati per commetterli, non per prevenirli o difendersi da esso. Mentre la creazione del diritto alla privacy, come abbiamo sottolineato in un altro articolo, è solo l’ennesima presa in giro di un sistema che fa finta di tutelare i cittadini, e poi usa tali strumenti per diminuirne i diritti anziché aumentarli. Di seguito posto quanto raccontato da persone che conosco. Da notare che cose simili erano capitate anche a me, ma le attribuivo alle cosiddette “coincidenze significative” di Jung. Invece era semplice tecnologia.SG. “Sto cercando una casa in affitto in Appennino e sabato appunto sono andata a fare un giro in una frazione di un paesino che non conoscevo ma che mi avevano detto essere bella. Mi sono fermata nell’unica trattoria della zona e ho chiesto se conoscevano un signore di cui mi avevano dato solo il soprannome dicendomi che affittava una casa molto carina. Quindi mi fermo a parlare con due o tre persone locali e ottengo il num di tel di questo signore. Bene, il giorno dopo, cioè ieri, sulla mia bacheca Fb mi si aprono come al solito le finestrine: persone che potresti conoscere” e tra di loro chi era il primo? Uno di quei tipi con cui ho parlato neanche 5 min in quella trattoria con cui non ci siamo nemmeno presentati e non ci siamo scambiati nessun numero o dato!!! Come mai succede questo?? Hanno rilevato la posizione?? Scusate l’ignoranza ma a me ha fatto un po’ impressione!!!”.MG: “Mi è capitato solo di scrivere il nome di una marca su Messenger, parlando con un’amica e mi sono ritrovata pubblicità di quella marca su Fb e Google…”.VN: “Una ragazza leggeva la storia del “piccolo principe” a suo nipote. Non aveva cercato nulla a riguardo online, e nemmeno su Google. Solo con la voce, e leggendo, raccontava il “piccolo principe”. Ebbene, dopo qualche giorno, le appare su Fb un’inserzione pubblicitaria che sponsorizzava gadget e agendine del suddetto racconto. Non si tratta solo di ricerche che noi stessi facciamo online, ma anche dei microfoni e delle fotocamere dei nostri cellulari super tecnologici”.(Paolo Franceschetti, “La pubblicità e il controllo nell’era di Internet”, dal blog “Petali di Loto” del 26 marzo 2018).Sono negli Usa. Compro un pacchetto di sigari e pago con carta di credito. Arrivo a casa, apro il pc per iniziare il lavoro quotidiano e mi compare una pubblicità di sigari. Pochi giorni fa vado nel bar di un mio amico che aveva messo in vendita su Internet una cucina da ristorante; mi racconta la sua avventura per vendere queste apparecchiature. Torno a casa, apro il cellulare, e mi compaiono annunci di vendita di cucine da ristorante. Quello che mi ha sorpreso è la rapidità con cui il dato che io avevo fornito col mio acquisto (sigari) è stato elaborato per mandarmi una pubblicità mirata. Il tempo trascorso dall’acquisto all’apertura del pc, infatti, era di circa trenta minuti. Un tempo poco superiore è trascorso nell’intervallo in cui ero a casa del mio amico e il momento in cui mi è comparsa la pubblicità delle cucine. Ora, premetto che pur essendo un complottista convinto, non sono affatto preoccupato che venga tracciato tutto ciò che faccio, vendo, compro, ecc. Quando certi strumenti saranno ancora più invasivi, sarà forse la volta buona che inizieremo a lasciare sempre più spesso a casa i cellulari e solleveremo sempre più lo sguardo dagli schermi dei nostri apparecchi elettronici, per volgerlo all’ambiente attorno a noi o al cielo. Le domande che mi faccio sono due, e di altro tipo.
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Il Cristo ufficiale cattolico, nato nel IV secolo dopo Cristo
Per “Cristo storico” si intende la intricata disputa fra teologi, esegeti, archeologi, studiosi laici e credenti, che dura ormai da oltre un secolo, sulla effettiva esistenza del personaggio di Gesù Cristo. In altre parole, molti nel corso del tempo si sono domandati, e continuano a domandarsi, “ma Gesù è esistito davvero, o è soltanto una bella fantasia”? Diciamo subito che non vi sono prove assolute né in un senso né nell’altro. Vi è però una sufficiente quantità di riscontri documentali – fra cui primeggiano ovviamente i Vangeli – per affermare almeno che un certo predicatore di nome “Joshua” abbia calcato il suolo della Palestina in quel periodo storico. Il vero problema, casomai, è stabilire quali episodi a lui attribuiti siano veri e quali eventualmente no. Nel cercare di ricomporre questo complicato puzzle, infatti, subentrano continuamente possibilità di una lettura allegorica, che spesso “sdoppiano” il personaggio di Gesù in una versione prettamente umana, ed un suo possibile duplicato “simbolico”, con valenze anche divine. In altre parole, il Gesù che predicava alle genti nelle piazze è lo stesso Gesù che faceva i miracoli e camminava sull’acqua? O forse quello “miracoloso” è uno strato aggiuntivo, sovrapposto alla figura del normale predicatore per aumentarne la credibilità presso i suoi contemporanei?Oppure ancora, i “miracoli” erano veri miracoli – nel senso che trasgredivano le leggi della natura – o erano solo rappresentazioni metaforiche di banali eventi quotidiani? (Ad esempio, nella comunità degli Esseni il sacerdote che praticava i battesimi raggiungeva il centro della pozza d’acqua camminando su una sottile plancia di legno, e visto da lontano sembrava che camminasse sull’acqua. Era infatti definito, all’interno della comunità, “colui che cammina sull’acqua”. Se Cristo fosse stato – come molti sostengono – un sacerdote esseno, faceva dei veri miracoli, o era semplicemente uno a cui non piaceva bagnarsi i piedi?). Ma il vero problema, che rende difficile una qualunque ricostruzione storica, sta nel fatto che la stessa fonte dei Vangeli sia “inaffidabile” per sua natura. Contrariamente a quanto molti credono, infatti, i Vangeli “degli apostoli” non furono scritti direttamente da Marco, Matteo Luca e Giovanni… ma dai loro discepoli, o dai discepoli dei loro discepoli, una cinquantina di anni più tardi. Al tempo di Gesù prevaleva ancora la tradizione orale, e soltanto sul finire del primo secolo si iniziò a sentire l’esigenza di mettere il tutto nero su bianco. E come ben sa chiunque abbia giocato a “passaparola”, una frase come “ho perso il sonno” fa molto in fretta a diventare “è morto il nonno”.Ecco perchè, in questo caso, assumono grande importanza i riscontri incrociati. Se il Vangelo “A” descrive un certo episodio, e lo stesso episodio si ritrova anche nel Vangelo “B”, si moltiplicano di colpo le possibilità che l’episodio sia accaduto davvero. Secondo la tradizione, infatti, i discepoli si sarebbero dispersi dopo la morte di Gesù, dando vita a “rivoli” separati di tradizione orale, che hanno viaggiato in modo indipendente fino al momento di venir fissati sulla carta. Per quanto preziosi, però, i riscontri incrociati rappresentano anche un’arma a doppio taglio: chi ci dice infatti che un certo passaggio del Vangelo “A”, invece di riportare la tradizione orale da cui deriva, non sia stato semplicemente copiato dal Vangelo “B”? Poichè nessuno conosce il momento esatto di pubblicazione di ciascun Vangelo, infatti, è possibile che certe comunità cristiane abbiano attinto da altri testi evangelici, già in circolazione al momento di scrivere il proprio. E’ lo stesso problema descritto da Walter Benjamin, duemila anni dopo, nel suo libro “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, ed è un problema che ormai tutti viviamo quotidianamente in Internet.Vi sono intere parti del Vangelo di Luca, ad esempio, che sono chiaramente tratte dal Vangelo di Marco (certi passaggi sono letteralmente copiati, parola per parola). La stessa cosa avviene per Matteo, di cui quasi la metà del testo è chiaramente tratta da Marco. Il Vangelo di Marco quindi viene collocato prima, in ordine di tempo, di quelli di Luca e Matteo. A loro volta, però, Luca e Matteo hanno molte parti in comune che non compaiono in Marco, portando ad ipotizzare l’esistenza di un quinto Vangelo, detto “Q”, che sarebbe stato contemporaneo di Marco. (“Q” sta per “quelle”, che in tedesco significa “la fonte”). C’è poi il Vangelo di Giovanni, fra i cosiddetti “canonici”, che presenta una lettura molto diversa dai tre precedenti della vicenda di Gesù. I primi tre infatti sono detti anche “sinottici”, che significa letteralmente che “la vedono allo stesso modo”, implicando che Giovanni la vede invece in modo diverso. Ma la “tombola” delle possibilità non si esaurisce certo con l’identificazione storica delle diverse fonti evangeliche. Fra queste e i Vangeli giunti fino a noi, infatti, ci sono quasi 300 anni di dispute feroci fra i cosiddetti “Padri della Chiesa”, cioè i vescovi e i sacerdoti di tutte le più importanti comunità cristiane dell’epoca, su molte questioni di fondamentale importanza storica e teologica.La più nota di tutte fu la diatriba sulla reale natura di Gesù, fra chi sosteneva che fosse una entità separata da quella divina, che da questa discendeva, e chi invece diceva che fosse costituito dalla “stessa sostanza” del Creatore. Vinsero i secondi, che scomunicarono il vescovo Ario, sostenitore dlla prima ipotesi. Naturalmente, nell’ambito di queste dispute interminabili, i testi sacri passavano continuamente di mano in mano, creando infinite possibilità per la “scomparsa” di certi passaggi scomodi, come per la comparsa delle cosiddette “interpolazioni”. Alcuni scambi epistolari fra i vescovi dell’epoca, ad esempio, suggeriscono che Gesù predicasse la reincarnazione, “caratteristica” dell’esistenza umana che sarebbe del tutto scomparsa nella versione finale del cristianesimo, poichè in contraddizione con la visione escatologica della vita, di fondamentale importanza per chi avrebbe imperniato tutto il suo potere sulla “paura dell’inferno”. (Si campa una volta sola, ci dice il cristianesimo, e chi sbaglia è perduto per sempre. Se invece ci fosse stata la possibilità di ritornare, e di rimediare agli errori commessi nelle vite precedenti, i preti rischiavano di venire accolti da una selva di pernacchie ogni volta che nominassero l’inferno. Via quindi la reincarnazione, e avanti con il Diavolo, il tridente e il Giudizio Individuale).A loro volta, sul fronte delle interpolazioni ci sono diversi passaggi che lasciano decisamente in dubbio gli studiosi, in quanto sembrano inseriti apposta per rimediare a vistosi “buchi narrativi”, che a loro volta testimoniano della grande confusione che dovesse regnare fra i Padri della Chiesa in quel periodo. Vi sono alcuni casi in cui è stato addirittura possibile dimostrare che un certo passaggio sia platealmente falso, cioè aggiunto in seguito alla stesura originale. In una certa lettera di S.Paolo, ad esempio, l’apostolo utilizza una espressione verbale che sarebbe entrata in uso solo una cinquantina di anni dopo, dimostrando che il passaggio è stato aggiunto in seguito, da qualche scriba poco attento all’evoluzione del linguaggio. E’ come se in un film degli anni ’50 Alberto Sordi si mettesse improvvisamente a gridare «viulèeeenza!», quando tutti sanno che quell’espressione è stata coniata negli anni ’80 da Diego Abatantuono. In quel caso sarebbe chiaro che la scena è falsa, e che è stata aggiunta in seguito, ovvero “interpolata” fra quella che la precede e quella che la segue.In ogni caso, fu solo nel 325 che i Padri della Chiesa consegnarono nelle mani di Costantino la “versione ufficiale” del cristianesimo come lo conosciamo oggi. Era costituita da 36 libri della Bibbia ebraica (“Antico Testamento”) con l’aggiunta del “Nuovo Testamento”, che contiene i 4 Vangeli canonici (Marco, Matteo, Luca e Giovanni), gli “Atti degli Apostoli”, le “Epistole” e l’“Apocalisse di Giovanni” (il noto testo profetico in cui compaiono anche la “bestia”, la “grande prostituta” e il numero “666”). Va notato che Paolo viene considerato uno degli apostoli, per quanto non abbia mai incontrato Gesù nella sua vita. Solo dopo la sua morte si sarebbe convertito al cristianesimo (sulla via di Damasco), del quale propose una interpretazione “per i gentili” che avrebbe condizionato più di ogni altro apostolo la futura dottrina cristiana. Ma i problemi di discordia non finirono certo con la definizione dei Vangeli canonici: a furia di cambiare, di aggiungere, di tagliare e di interpolare, i Padri della Chiesa non si sono nemmeno accorti che questi quattro Vangeli finiscono spesso per contraddirsi fra di loro.Se prendiamo ad esempio la scena della crocefissione, abbiamo addirittura tre versioni diverse sulle ultime parole di Gesù. Marco: «Gesù gridò con voce forte: Eloì, Eloì, lemà sabactàni?» (che significa: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?). «Ma Gesù, dando un forte grido, spirò». Luca: «Gesù, gridando a gran voce, disse: “Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”. Detto questo spirò». Giovanni: «Gesù disse: “Tutto è compiuto!”. E, chinato il capo, spirò». Secondo Matteo, Luca e Giovanni, a Gesù fu dato aceto da bere, imbevuto in una spugna. Secondo Marco invece era vino con mirra. Per Marco la prima a visitare il sepolcro, la domenica mattina, fu Maria Maddalena, insieme all’“altra Maria”. Secondo Marco c’era anche Salomè. Secondo Luca c’erano Maria Maddalena, Giovanna, Maria madre di Giacomo, e altre donne. Secondo Giovanni, Maria Maddalena era sola. Marco racconta che all’alba della domenica le donne trovarono il sepolcro sigillato dalla grande pietra. Matteo, Luca e Giovanni dicono invece che la pietra era già stata rimossa. Eccetera eccetera eccetera…Non si tratta certo di contraddizioni gravi, poichè non intaccano la coerenza complessiva del racconto, ma testimoniano del percorso particolarmente “accidentato” che debbono aver fatto queste narrative prima di finire una volta per tutte sulla pagina scritta. E finora abbiamo parlato solo di quelli canonici, cioè dei Vangeli “ufficiali” che i Padri della Chiesa hanno scelto di inserire nel Nuovo Testamento. Ma esiste tutta una serie di Vangeli, detti “apocrifi”, che sono rimasti esclusi dalla selezione, e che raccontano spesso una storia molto diversa. Va notato che “apocrifo” non significa “falso”, come molti credono, ma “nascosto”. Il termine deriva dal greco apò-kryptomai, dove apò significa “sotto”, e kryptomai significa nascondere (da cui il termine “cripta”, che è un locale sotterraneo della chiesa, quasi sempre nascosto al pubblico). Pare infatti che alcuni preti, meno ubbidienti di altri, tenessero questi documenti ben nascosti “sotto l’altare”, per evitare persecuzioni da parte delle autorità ecclesiastiche, che ne proibivano la circolazione. Solo con il tempo, a furia di dichiarare questi Vangeli “falsi”, il termine apocrifo è venuto ad assumere quel significato.Gli apocrifi offrono quindi agli studiosi una serie ulteriore di riscontri incrociati, nella loro faticosa ricerca del Cristo storico. Se si prende ad esempio il Vangelo di Tommaso, ritrovato in Egitto nel 1947, e lo si confronta con i canonici, risulta che circa la metà degli episodi descritti nel primo (una cinquantina circa) compaiono anche nei secondi. E poichè il Vangelo di Tommaso, che risale circa al 200 d.C., ci è giunto praticamente intatto, grazie all’otre che lo ha protetto per 18 secoli, avremmo di fronte un’ulteriore conferma della probabile veridicità di almeno una parte degli episodi attribuiti a Gesù. Ce ne sono però almeno altrettanti che non trovano corrispondenza nei canonici, e questo ha gettato nel più totale scompiglio molti studiosi, aprendo le porte ad una serie di possibilità praticamente infinita sulla reale esistenza di Gesù. Paradossalmente, i dubbi non si dissolvono nemmeno con la sua morte, ma continuano anche dopo. Vi sono infatti diversi elementi che suggeriscono che Gesù non sia affatto morto sulla croce, ma sia stato salvato in extremis dai suoi discepoli, e portato via di nascosto durante la notte.Quando il costato di Gesù viene trafitto dalla lancia, ad esempio, esce del sangue. Questo significa che Gesù, nonostante le apparenze, fosse ancora vivo. (Da un cadavere trafitto non esce più sangue, perchè viene a mancare la pressione arteriosa). Sul finire della giornata entra in scena un curioso personaggio, Giuseppe da Arimatea, che chiede e ottiene da Pilato il permesso di portarsi via il corpo di Gesù. Chi era, da dove veniva, e perchè mai i discepoli e i familiari di Gesù glielo avrebbero concesso così facilmente? Quando giunge al Calvario, questo Giuseppe porta con sé 30 o 40 chili di unguento di aloe, con il quale ricopre il corpo di Gesù prima di seppellirlo. Ma l’aloe è anche un potente disinfettante, che in quel tempo veniva usato proprio per curare le ferite. Tutta la faccenda della pietra smossa, inoltre, sembra indicare più una fuga terrena, praticata in fretta e furia dai discepoli che si portavano via Gesù, che non un “risorgere” di tipo divino. Anche le bende lasciate all’interno del sepolcro vuoto sembrano testimoniare di una “rinascita” molto frettolosa e terrena.Per quanto noi siamo abituati a pensare che Gesù sia “andato direttamente in Paradiso”, infatti, va ricordato che i Vangeli ci parlano di un semplice “risorgere”, inteso come “rialzarsi”. «E’ risorto, non è qui», dicono i personaggi trovati dalle donne di fronte al sepolcro. «Ecco il luogo dove l’avevano deposto. Ora andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro che egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto». E infatti Gesù apparirà più volte ai discepoli, nei giorni seguenti, in situazioni del tutto “terrene”, mentre l’“ascensione” vera e propria avviene, sempre secondo i Vangeli, solo 40 giorni dopo. Nel libro “Jung e i Vangeli perduti” lo storico Stephan Hoeller ha raccolto tutti gli elementi, i dati storici e i reperti archeologici che sembrano supportare la tesi che Gesù sia effettivamente morto in India, una ventina di anni più tardi. Dopo essere sopravvissuto alla crocefissione, sostiene Hoeller (insieme ad altri storici), Gesù avrebbe predicato per un certo periodo lungo le coste della Turchia, prima di intraprendere un lungo viaggio, in compagnia della madre, che lo avrebbe portato prima in Persia, e poi fino alle pendici dell’Himalaya.Altri storici hanno trovato tracce di una prolungata permanenza di Gesù in Medio Oriente, dove avrebbe continuato a predicare fino al giorno della sua morte. Vi sono poi ipotesi di tipo “esoterico” – peraltro meno supportate storicamente – che sostengono che Gesù sia invece giunto in Francia, dove avrebbe dato origine alla stirpe reale dei Merovingi, a cui molti attribuiscono qualità divine. In ogni caso, quello che conta davvero è la vicenda del Cristo che tutti bene o male abbiamo assorbito nel corso della nostra vita, e che fa ormai parte integrante della nostra cultura. In altre parole, qualunque siano stati gli eventi realmente vissuti da Gesù, quel che conta è il cristianesimo come è giunto fino a noi, e come ha condizionato nel frattempo – nel bene e nel male – l’intero percorso della storia umana. E forse è persino un bene che sia impossibile fare chiarezza assoluta sulla vicenda reale di Gesù, lasciando così a ciascuno quel margine di interpretazione che è giusto lasciare ad un evento di tale portata storica e di tale valenza spirituale come il suo passaggio sulla terra.(Massimo Mazzucco, “Il Cristo storico”, dal blog “Luogo Comune” del 30 marzo 2018).Per “Cristo storico” si intende la intricata disputa fra teologi, esegeti, archeologi, studiosi laici e credenti, che dura ormai da oltre un secolo, sulla effettiva esistenza del personaggio di Gesù Cristo. In altre parole, molti nel corso del tempo si sono domandati, e continuano a domandarsi, “ma Gesù è esistito davvero, o è soltanto una bella fantasia”? Diciamo subito che non vi sono prove assolute né in un senso né nell’altro. Vi è però una sufficiente quantità di riscontri documentali – fra cui primeggiano ovviamente i Vangeli – per affermare almeno che un certo predicatore di nome “Joshua” abbia calcato il suolo della Palestina in quel periodo storico. Il vero problema, casomai, è stabilire quali episodi a lui attribuiti siano veri e quali eventualmente no. Nel cercare di ricomporre questo complicato puzzle, infatti, subentrano continuamente possibilità di una lettura allegorica, che spesso “sdoppiano” il personaggio di Gesù in una versione prettamente umana, ed un suo possibile duplicato “simbolico”, con valenze anche divine. In altre parole, il Gesù che predicava alle genti nelle piazze è lo stesso Gesù che faceva i miracoli e camminava sull’acqua? O forse quello “miracoloso” è uno strato aggiuntivo, sovrapposto alla figura del normale predicatore per aumentarne la credibilità presso i suoi contemporanei?
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Bugie su Mosca da un’Europa in pezzi. L’Italia? Obbedisce
Putin lapidato a reti unificate (ma senza prove) per l’attentato all’ex spia Sergeij Skripal, mentre a Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, viene isolato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, senza più connessione Internet. E’ in atto un’evidente offensiva, estremamente opaca e interamente basata su pretesti inconsistenti contro Mosca. Obiettivo: tentare di ricompattare una Nato che perde i pezzi, con Theresa May in grave difficoltà dopo la Brexit e un’Europa dove gli Usa faticano a farsi ascoltare da paesi come la Germania e la Turchia. Sul “Giornale”, Marcello Foa sgombra il campo da possibili equivoci: «Che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso». Sul piano diplomatico sarebbe stato un suicidio, «perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata», fino all’ultimo atto – l’espulsione coordinata dei diplomatici – a cui «l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè avrebbe potuto (e proceduralmente dovuto) astenersi». E tutti sanno che Putin, sempre così accorto, «non è leader da commettere questi errori».Quanto alle dichiarazioni del governo britannico, la stessa May continua a dire che «è altamente probabile» che l’attentato sia stato sponsorizzato dal Cremlino. «Altamente probabile non significa sicuro, perché per esserne certi bisognerebbe provare l’origine del gas, cosa che è impossibile in tempi brevi», aggiunge Foa. E nel comunicato congiunto diffuso da Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania si ribadisce che si tratta di «agente nervino di tipo militare sviluppato dalla Russia», che farebbe parte di un gruppo di gas noto come Novichok concepito dai sovietici negli anni Settanta. Ma “sviluppato” non significa prodotto in Russia: «Se non è stato usato questo verbo – o un sinonimo, come “fabbricato” – significa che gli stessi esperti britannici non hanno prove concrete a sostegno della tesi della responsabilità russa», che pertanto «andrebbe considerata come un’ipotesi investigativa, non come un verdetto». La stampa dovrebbe mostrare maggior cautela, specie dopo le maggiori “fake news” che ha propagato, dalle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein fino alle prove “incontrovertibili” (ma altrettanto inesistenti) della responsabilità di Assad nella strage coi gas nel 2013 (armi chimiche in realtà usate dai “ribelli” siriani per provocare un intervento della Nato).Come risalire addirittura a Putin nel giro di poche ore, soprattutto conoscendo l’efficienza dell’ex Kgb? Molto eloquente, sottolinea Ivan Giovi sul blog di Aldo Giannuli, la volontà di non mostrare la provetta che dimostrarebbe la produzione russa del gas nervino utilizzato contro Skripal, nonostante Boris Johson si sia scagliato contro il Cremlino, non a caso alla vigilia delle elezioni russe. Marcello Foa insiste: siamo regolarmente sommersi da “fake news” veicolate non dal web, ma dai grandi media. Penultimo esempio: sempre in Siria, nel 2107, Amnesty International e il Dipartimento di Stato denunciarono l’esistenza di un “formo crematorio” in cui venivano “bruciati i ribelli”, «rivelazione che indignò giustamente il mondo ma che venne smentita dopo un paio di settimane dallo stesso governo americano». Avverte Foa: «Quando il rumore mediatico è assordante, univoco, esasperato, le possibilità sono due: le prove sono incontrovertibili (ad esempio l’invasione irachena del Kuwait) o non lo sono ma chi accusa ha interesse a sfruttarle politicamente, il che può avvenire solo se le fonti supreme – ovvero i governi – affermano la stessa cosa e con toni talmente urlati e assoluti da inibire qualunque riflessione critica, pena il rischio di esporsi all’accusa di essere “amici del dittatore Putin”».Le istantanee adesioni europee alla condanna unilaterale inglese contro la Russia, scrive Giovi, fanno pensare a un tentativo di compattamento dei ranghi della Nato, «che sembra ormai tutto tranne che un’alleanza». Ovvero: più che un alleato, la Turchia «ormai sembra sempre più una spina nel fianco di Europa e Usa», mentre la Germania «ha intrapreso una guerra commerciale con gli Stati Uniti trascinando con sé tutta Europa». Dal canto loro, gli Usa «si lamentano in continuazione con gli Stati europei perché non contribuiscono abbastanza alla difesa comune». Tendenza in corso: ricompattare i ranghi della Nato ingigantendo il reale potere dei russi e «trovando pretesti assurdi per incolparli di qualsivoglia evento accaduto nel mondo occidentale (leggasi hacker russi che interferiscono con elezioni di mezzo mondo)». Senza peraltro riuscire nello scopo, «perché l’influenza russa negli ultimi anni si è estesa sempre di più, basti pensare alla Turchia che ha palesemente cambiato sponda o alla in Siria dove il vincitore a breve sarà nettamente Vladimir Putin». In questo quadro, Maurizio Blondet inserisce anche il giro di vite contro l’uomo che per primo ha smontato la propaganda militare Usa, mettendo in piazza i crimini commessi in Iraq: Julian Assange. L’averlo isolato – senza più Internet – per ragioni diplomatiche (buon vicinato con gli inglesi) rappresenta «una stretta imposta dal governo britannico nell’ambito dell’offensiva europea e americana contro tutte le voci libere».Per Blondet, si tratta di «un atto di barbarie identico (e connesso) alle espulsioni dei diplomatici russi sotto accuse spudoratamente false: una vera congiura della dittatura totalitaria occidentale in corso di consolidamento, una volontà di precipitare il conflitto con la Russia». Lo stesso Blondet ricorda che la Commissione Europea ha appena presentato un “Piano d’azione sulla Mobilità Militare” che obbligherà tutti i paesi membri a lasciare libero il passo agli eserciti Nato sul proprio territorio. Come sottolinea Thierry Meyssan, non si parla solo di eserciti europei: nella Nato, oltre agli Usa, c’è la Turchia. Per Blondet, questa misura «è l’identificazione finale della “Unione Europea” con l’Alleanza Atlantica, l’inglobamento dell’organizzazione essenzialmente economica nella lega militare oggi in postura offensiva». A 25 Stati membri viene ordinato di fornire carte delle loro vie di comunicazione (ferrovie, porti, aeroporti) nonché di precisare i lavori necessari per rendere praticabili ponti e le loro gallerie per i mezzi cingolati. «Dovranno anche cancellare le leggi e i regolamenti in vigore che vietano – o regolamentano – il trasporto di armamenti e materiali bellici sul loro territorio: è una Schengen per la guerra».Trionfante, Federica Mogherini – ancora lei, benché il governo che l’ha piazzata a Bruxelles non esista più – accoglie il progetto con entusiasmo: «Facilitando la mobilità militare nella Ue, siamo più efficaci nel prevenire crisi, più efficienti nel dispiegare le nostre missioni e più rapidi nel reagire quando sorgono delle sfide». “Prevenire crisi”, secondo Blondet, va inteso nei due sensi: «Secondo documenti interni all’Alleanza, la mobilità militare non serve solo per far correre le forze alle frontiere contro la Russia; servirà anche in caso di sollevazione popolare all’interno di uno degli Stati membri». Noi italiani non potevamo fare altrimenti che espellere diplomatici russi, pur con il già defunto governo Gentiloni? Non è vero, sottolinea Blondet: sono sono tutti così servili. Austria, Grecia e Portogallo si sono rifiutati di accodarsi a Londra, Parigi, Berlino e Roma. L’ha fatto anche la Repubblica Ceca: «Voglio vedere le prove», ha avvertito il presidente ceco Milos Zeman, rifiutando di compiere azioni ostili contro Mosca. Una dignità politica inesistente in Italia, la cui nave della Saipem per trivellazioni marittime è stata allontanata dalle acque di Cipro (sotto minaccia della flotta turca) senza che fiatasse il governo di Roma, in cui soccorso non è intervenuto nessuno – né l’Ue, né la Nato, cioè le potenze che dall’Italia poi ottengono obbedienza immediata se si tratta di colpire Mosca.E vogliamo parlare del “partner” Germania? «Mentre noi applichiamo le sanzioni alla Russia – aggiunge Blondet – Berlino ha appena firmato e confermato il North-Stream 2, il gasdotto baltico con la Russia, a dispetto delle proteste di Polonia, paesi baltici e Usa. Con quale motivazione? Che il gasdotto è una realizzazione “economica”, non politica». Dalla “guerra” con la Russia, invece, l’Italia ha riportato enormi danni. Secondo dati ufficiali Eurostat, fino a inizio 2017 il trend delle esportazioni italiane nella Federazione Russa era in crescita, con 10,8 miliardi di euro. Le importazioni, invece, ammontano a circa 20 miliardi di euro, principalmente nel settore degli idrocarburi e delle materie prime. Oltre 400 sono le imprese italiane che operano in Russia e circa 70 gli stabilimenti produttivi realizzati nella Federazione (tra questi le installazioni Eni, Indesit, Marcegaglia, più le filiali Intesa SanPaolo e Unicredit). «E’ chiaro che il vero nostro partner è la Russia», non certo i nostri “alleati” euro-atlantici. E se il Pd è rimasto sempre allineato ai diktat “imperiali”, solo Salvini ha eccepito sull’ultima offensiva antirussa. Di Maio? «Sulla questione degli espulsi russi ha taciuto: zitto zitto, per non dispiacere all’ambasciatore Usa e ai padroni del vapore in generale». In sostanza: neppure la nuova politica emersa il 4 marzo protegge l’Italia dalle “pazzie” geopolitiche in corso, riesplose subito dopo l’annuncio di Putin: grazie a nuovissimi missili nucleari iper-sonici “imparabili”, la Russia è al riparo da attacchi atomici. Putin chiede pace? L’Occidente risponde con una guerra di menzogne.Putin lapidato a reti unificate (ma senza prove) per l’attentato all’ex spia Sergeij Skripal, mentre Julian Assange, fondatore di WikiLeaks, viene isolato nell’ambasciata ecuadoregna di Londra, senza più connessione Internet. E’ in atto un’evidente offensiva, estremamente opaca e interamente basata su pretesti inconsistenti, contro Mosca. Obiettivo: tentare di ricompattare una Nato che perde i pezzi, con Theresa May in grave difficoltà dopo la Brexit e un’Europa dove gli Usa faticano a farsi ascoltare da paesi come la Germania e la Turchia. Sul “Giornale”, Marcello Foa sgombra il campo da possibili equivoci: «Che interesse aveva il presidente russo a tentare di eliminare un’ex spia, peraltro fuori dai giochi, ricorrendo al più spettacolare dei tentativi di omicidio, l’unico che – dopo la vicenda del polonio – tutto il mondo avrebbe attribuito al Cremlino? Ne converrete: non ha senso». Sul piano diplomatico sarebbe stato un suicidio, «perché avrebbe offerto all’Occidente lo spunto per un’ulteriore campagna antirussa, che infatti si è puntualmente verificata», fino all’ultimo atto – l’espulsione coordinata dei diplomatici – a cui «l’Italia dell’uscente Gentiloni si è accodata benchè avrebbe potuto (e proceduralmente dovuto) astenersi». E tutti sanno che Putin, sempre così accorto, «non è leader da commettere questi errori».
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Pensioni e maternità, la finanza già ricatta il futuro governo
Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.Solo un cretino può permettersi di non capire il messaggio che viene dai potentati: «No ad un governo euroscettico! No a battere i pugni sul tavolo europeo!». L’attacco alla tutela della maternità – almeno quello! – dovrebbe sollevare lo sdegno dei cattolici italiani, ma è più facile che scompaia la pedofilia nella Chiesa che il kompagno che sbaglia, al secolo Jorge Bergoglio, si ponga in modo fermo e deciso contro la globalizzazione. I cattolici che siedono ai vertici, si sa, vanno pazzi per il Medioevo, e non si faranno scrupolo alcuno a farlo tornare. Dunque, si illude fortemente chi pensa che il cattolicesimo possa offrire una sponda ai naufraghi della globalizzazione, anche se parliamo di milioni di europei. Ci sono infatti miliardi di asiatici e di africani da illudere, là fuori. Tornando all’attacco di BlackRock (capitanato dal Fmi), è superfluo aggiungere che sono tattiche già viste in Russia negli anni Novanta, in Grecia nel 2011 e nel 2015, oppure in Italia, fin dai tempi di Mario Monti. La differenza, non di poco conto, è però che questa volta sappiamo come attaccano. Sappiamo tutti dove vogliono andare a parare, e lo diciamo ancora chiaramente qui, finchè non entra anche nelle zucche più vuote.L’Europa vuole smantellare il welfare state di stampo keynesiano e garantito dalla Costituzione italiana perchè mira a competere con i paesi del terzo mondo in una gara alla produttività completamente priva di senso nel mondo dell’intelligenza artificiale. Si punta ad indebolire ulteriormente i deboli, per renderli ancora più addomesticabili e ricattabili, e sostituibili con altra gleba. L’Europa della Lagarde ricorda la Francia ai tempi di Napoleone, o ancor prima, di Luigi XIV, che si era fissata di incamerare grano da polenta e accumulare oro, mentre nel resto del pianeta i mercanti olandesi e inglesi facevano il bello ed il cattivo tempo con il commercio marittimo. La verità è che l’Europa è vecchia dentro. Malata dei suoi dogmi liberisti – dogmi che persino gli americani stanno rivedendo con sospetto. Nel Vecchio Continente si sta molto meglio che nel resto del mondo solo ed esclusivamente perché ha saputo mettere in piedi un sistema di welfare state. Senza di quello, vivere a Parigi o nel buco del culo di qualche quartiere malfamato di Città del Messico sarà la stessa identica cosa. Ed è a quello a cui puntano, shortando Italia.(Massimo Bordin, “La vendetta dei poteri forti”, dal blog “Micidial” del 26 marzo 2018).Inutile girarci troppo attorno: l’ombra di un governo italiano euroscettico e favorevole all’intervento pubblico in economia sta agitando i sonni dei potentati liberisti. Non è dato sapere se questa inquietudine sia ben riposta da parte dei diretti interessati, ma, nel dubbio, l’attacco è stato preparato fin nei minimi dettagli e, secondo qualche esperto, è già partito. Il diavolo si nasconde nei dettagli, di solito. In questa occasione, però, pare tutto fin troppo chiaro e non è nemmeno un caso che il fondo del miliardario Ray Dalio, il più grande hedge fund al mondo, dallo scorso ottobre abbia triplicato le sue posizioni al ribasso sulle società italiane. E non c’è solo la speculazione sulle azioni che se ne sta in agguato. A questo giro di giostra partecipano anche BlackRock e il Fondo Monetario Internazionale guidato da Christine Lagarde. L’Fmi ha pubblicato uno studio che pone l’accento sulla necessità, per lo Stato italiano, di rivedere completamente il proprio welfare state, attraverso tagli agli assegni di maternità e alle pensioni di reversibilità. La nota prende in esame però anche il sistema retributivo, che andrebbe penalizzato a livello contrattuale a causa di tredicesime e quattordicesime troppo costose per il sistema. Il fondo BlackRock ha rilanciato questo tema, dando l’allarme ai Btp italiani, una mossa che sembra anticipare un downgrade da parte delle agenzie di rating.