Archivio del Tag ‘gesuiti’
-
“Se fossi Zelensky, oggi avrei paura: ma non di Putin”
In passato poteva anche accadere che gli occidentali uccidessero il loro uomo, per far credere che l’avessero assassinato i russi. Seriamente: se fossi la Russia, io oggi mi preoccuperei di proteggere Zelensky. Lo vedete che il palazzo presidenziale di Kiev non lo attaccano manco a morire? C’erano gruppi che davano la caccia a Zelensky? Ah, ma attenti: questo ce l’hanno detto le fonti occidentali. I russi, invece, non fanno che ripetere: noi riconosciamo il governo di Zelensky. Sanno che rappresenta una parte consistente del suo popolo. E quindi a loro serve vivo, per arrivare al vero obiettivo di Mosca: una trattativa che metta fine al conflitto in Ucraina nel più breve tempo possibile, permettendo a Putin di salvare la faccia portando a casa qualche concessione territoriale. Forse i russi hanno anche un altro timore, probabilmente fondato: che qualcuno, in Occidente, speri di trasformare l’Ucraina in una sorta di Afghanistan, di Iraq europeo, fonte perpetua di instabilità e di minaccia per la Russia. Che infatti, non a caso – al di là della martellante disinformazione occidentale – si sta muovendo con estrema prudenza.Vale sempre, il vecchio adagio: la prima vittima della guerra è la verità. Pure in tempo di pace, però, non c’è mai da fidarsi delle versioni ufficiali. Quanto ai giornalisti, buio pesto: dei conflitti non capiscono niente, nemmeno se vanno sul posto. Anche per questo è ridicola, la roboante propaganda che l’Occidente riversa sulla strana guerra dei russi, omettendo la domanda chiave: perché Mosca sta rinunciando a sfruttare la sua schiacciante superiorità aerea, che le consentirebbe di annientare le resistenze ucraine? In appena tre giorni, dopo aver distrutto a terra i velivoli avversari, i russi hanno acquisito il pieno dominio dei cieli. Però non intendono avvalersene per fare piazza pulita degli ucraini: perché? Forse, lo choc iniziale (un’invasione così massiccia) doveva servire anche a innescare un possibile ribaltone interno, che avrebbe chiuso la partita in poche ore: ma evidentemente, i generali di Kiev – sicuramente in contatto con il Cremlino – non se la sono sentita, di rovesciare Zelensky. Così, è scattato il Piano-B: la manovra a tenaglia per imbrigliare l’Ucraina, senza però raderla al suolo.Il bombardamento su Mariupol? Colpire seriamente una sola città è uno strumento di pressione: vale come monito per tutte le altre, che però non sono state ancora prese davvero di mira. Come dire, è l’ennesima spinta verso l’obiettivo a cui la Russia punta: non la distruzione dell’Ucraina, né la sua occupazione permanente, ma una trattativa che porti a un accordo credibile. Per questo è cresciuto anche il bilancio delle perdite russe: schierare artiglierie campali “napoleoniche”, quasi senza usare missili (e senza ricorrere all’arma più efficace, l’aviazione) espone l’esercito di Mosca a rischi inevitabili. Di nuovo: è un altro modo per “comunicare”, sia pure nell’atroce linguaggio bellico, una volontà negoziale. Lo stesso dicasi per l’incentivo all’evacuazione dei civili: la guerra casa per casa, nelle città, sarebbe insostenibile sul piano dell’immagine, ma anche su quello strettamente militare, perché non farebbe altro che produrre quello che i russi non vogliono, e cioè una carneficina.Meglio quindi dissipare la “nebbia di guerra”: ad accompagnare l’insolito incedere dei russi (che potrebbero stravincere, e invece procedono al rallentatore) è proprio l’ostinazione nel tener aperti spiragli negoziali. Che infatti, nonostante tutto, sembrano destinati ad avere successo: l’Ucraina ha già annunciato possibili concessioni sull’indipendenza del Donbass e sulla rinuncia alla Nato. A quanto pare, Kiev sarebbe disposta a restituire a Mosca anche la piena titolarità della Crimea (territorio storicamente russo, “regalato” all’Ucraina ai tempi dell’Urss, quando la capitale era comunque Mosca, ndr). Io spero che si arrivi presto a una trattativa che, in Ucraina, metta fine all’orrore della guerra, dove a pagare il prezzo maggiore sono sempre i civili. Comunque mi sembra che lo stesso Zelensky non rifiuti la disponibilità negoziale dei russi. Chi vorrebbe farla fallire, allora, questa trattativa? Gli altri: la Nato, gli Usa.A ostacolare la possibilità del negoziato non è certo Putin, che – anzi – vorrebbe che la crisi fosse brevissima: ha le truppe sul terreno, gli hanno messo contro mezzo mondo. Il Cremlino spera che le ostilità fiscano al più presto, e chiaramente spera anche di ottenere alcune concessioni, per evitare di fare una figuraccia. Non è che voglia tantissimo, Putin: e lo sta dicendo. Dall’altra parte, invece, con chi abbiamo a che fare? Dobbiamo fare i conti con l’orribile “piramide gesuito-massonica” (Putin fa parte della “piramide conservatrice”: orribile anch’essa, ma in questo momento meno orribile). La vera piramide offensiva è quella gesuito-massonica: si è presa il Papato, da noi il Quirinale e la Presidenza del Consiglio, e poi l’Onu, la presidenza Ue e la Casa Bianca, insieme alla Germania e alla Francia di Macron. Sono molto all’attacco, cercano di sfruttare questo attuale vantaggio. Loro, in Ucraina, avrebbero interesse al “modello americano”. Ovvero: entro in Iraq e in Libia per “portare la pace”, e intanto faccio fuori quei disgraziati dei dittatori.Oppure: entro in Siria – in vari modi: anche “by proxy”, attraverso altre forze – e tolgo di mezzo il maledetto Assad, per poi sostituirlo con un regime “libero”, fondato sulle elezioni. Ancora: entro in Afghanistan (a suo tempo, per cacciare i sovietici), e poi, dopo l’11 Settembre ci rientro (stavolta “per combattere il terrorismo islamico”). Insomma: vado a “portare la libertà e la democrazia” là dove non ci sono. Ed è ormai dimostrato: ogni volta che lo fanno, il risultato è il contrario. In Afghanistan, con la scusa di cacciare quei comunistacci dei sovietici – che volevano controllare quello che era uno Stato-cuscinetto, com’era fino a ieri la stessa Ucraina – hanno preparano i loro combattenti: li hanno addestrati, li hanno equipaggiati con missili antiaerei e razzi anticarro. E così hanno preparato due forze distinte: Al-Qaeda e i Talebani. Il nome “Al-Qaeda” è stato inventato dalla Cia, ormai si sa. Quel gruppo doveva poi fare anche terrorismo in Occidente, sempre ai loro ordini: proprio quel terrorismo, infatti, ha prodotto l’autoritorismo degli Stati, che hanno ristretto le nostre libertà, facendo avanzare il regime mondialista.Poi, appunto, visto che un regime quasi “normale” poteva nascere persino in Afghanistan, hanno inventato i Talebani: che, in origine, erano studenti islamici (pakistani, però). Così l’Afghanistan è diventato – e lo è tuttora – l’ambiente perfetto per la nascita di qualsiasi terrorismo. E guardate anche la recente aggressione ai danni del Kazakhstan, che ha retto perché difeso dai russi: è stato invaso da decine di migliaia di terroristi, teoricamente “islamici”; ma non sono mai islamici, i personaggi che guidano il terrorismo islamico: sono sempre occidentali. Idem in Siria: si è creato l’Isis e da lì sono partiti miliziani a fare terrorismo in tutto il mondo. Ma l’Isis dove aveva potuto crescere? In un Iraq senza più Saddam Hussein. Chi ha favorito tutto questo? Sempre loro: i nostri governanti occidentali. Per inciso: Saddam li teneva in carcere, i terroristi. Sono poi stati scarcerati dagli invasori americani. Ora, l’Occidente potrebbe avere interesse a fare la stessa cosa con l’Ucraina. Cioè: creare uno Stato destabilizzato, per anni, stavolta all’interno dell’Europa, più vicino a noi e infinitamente più importante.Potrebbe essere l’alibi perfetto per verticalizzare ulteriormente il potere, in termini di Unione Europea, costruendo quindi un elemento di continua provocazione, per la Russia, destinato a durare anni. Immaginate lo scenario: milizie a non finire, anche mercenarie, in Ucraina. Perché è proprio a loro che, già adesso, stanno consegnando le armi che noi stiamo fornendo, da portare – forse – all’esercito ucraino. Ma chi dà le armi agli ucraini sa benissimo che non vinceranno, con quelle armi: sa che moriranno, con quelle armi in pugno. E sa che enormi depositi di armi rimarranno sul terreno, a disposizione dei gruppi che rispondono a loro: neonazisti, mercenari, nuovi gruppi che si formeranno. In altre parole: potrebbe essere in corso una manovra per far diventare l’Ucraina una sorta di Afghanistan o di Iraq europeo, come fomentatore permanente di altri problemi. Speriamo di no, ma già vedo che alcuni passi in questa direzione ci potrebbero essere. Quindi: speriamo proprio che le trattative vadano avanti. In fondo, lo stesso Zelensky va in questa direzione, anche se giustamente sbraita e strilla. E quindi: se Putin è cattivissimo, quanto lo è l’Occidente?(Fausto Carotenuto, estratti dal video “La grande tenaglia in Ucraina: chi fa fallire la pace”, su YouTube dal 10 marzo 2022. Già analista strategico dell’intelligence, Carotenuto – poi fattosi promotore del network “Coscienze in Rete” – vanta una lunga esperienza internazionale, in ambito geopolitico, per conto dei servizi segreti occidentali).In passato poteva anche accadere che gli occidentali uccidessero il loro uomo, per far credere che l’avessero assassinato i russi. Seriamente: se fossi la Russia, io oggi mi preoccuperei di proteggere Zelensky. Lo vedete che il palazzo presidenziale di Kiev non lo attaccano manco a morire? C’erano gruppi che davano la caccia a Zelensky? Ah, ma attenti: questo ce l’hanno detto le fonti occidentali. I russi, invece, non fanno che ripetere: noi riconosciamo il governo di Zelensky. Sanno che rappresenta una parte consistente del suo popolo. E quindi a loro serve vivo, per arrivare al vero obiettivo di Mosca: una trattativa che metta fine al conflitto in Ucraina nel più breve tempo possibile, permettendo a Putin di salvare la faccia portando a casa qualche concessione territoriale. Forse i russi hanno anche un altro timore, probabilmente fondato: che qualcuno, in Occidente, speri di trasformare l’Ucraina in una sorta di Afghanistan, di Iraq europeo, fonte perpetua di instabilità e di minaccia per la Russia. Che infatti, non a caso – al di là della martellante disinformazione occidentale – si sta muovendo con estrema prudenza.
-
Laboratorio Italia: come trasformare gli uomini in topi
“To live in a land where justice is a game” (Bob Dylan, “Hurricane”, 1976). Non si può che morire di vergogna, per il fatto di vivere in una terra dove, ormai, la giustizia è un gioco. E dove “they try to turn a man into a mouse”, provano a trasformare l’essere umano in topo: non Rubin Carter, il famoso pugile finito in carcere, ma proprio tutti. Il rumore di ceppi e catene si è fatto assordante, lungo i meandri stucchevoli nella neolingua sanitaria che pretende di assoggettare i cervelli e i corpi, sottendendo la fine – sostanziale – di uno Stato di diritto che invece esiste ancora, e per il momento arma la mano di centinaia di avvocati combattivi. Sopravvive tuttora la Costituzione entrata in vigore nel 1948, benché amputata brutalmente una decina d’anni fa con l’inserimento dell’obbligo del pareggio di bilancio. Una Carta ora ritoccata anche con l’ambigua indicazione, teoricamente nobile ma contigua al verbo “gretino”, sulla tutela dell’ambiente (possibile alibi per chissà quali altre torsioni, future o imminenti).Quanto è lontana, da tutto questo, la remotissima America in cui un cantautore carismatico – con una semplice canzone di denuncia – poteva contribuire a restituire la libertà a un atleta finito in cella in quanto afroamericano, per un rigurgito tardivo di razzismo? A contendersi la Casa Bianca, all’epoca, erano Gerald Ford e Jimmy Carter. Oggi il mondo sa che l’inquilino di Pennsylvania Avenue è un anziano diroccato e forse mentalmente presente solo a intermittenza. Un ometto debolissimo, piazzato su quella poltrona da maneggi informatici scandalosamente enormi, su cui le autorità giudiziarie non hanno mai voluto fare piena luce. Un presidente facente funzioni, interamente manovrato da altri, cui oggi tocca misurarsi – in mezzo a gaffe ormai leggendarie – con un personaggio come Vladimir Putin, tra praterie di missili puntati. Il vecchio film, la guerra, sembra un fantasma che ritorna, un vampiro inestinto: solo che stavolta il cittadino medio non riesce ad afferrarne neppure il sapore più superficiale, preso com’è da tutti gli altri assilli che, da due anni, lo inchiodano al baratro di precarietà nel quale la vita di tutti è letteralmente precipitata, in Occidente.Lo stesso Bob Dylan, in pieno terrore pandemico (marzo 2020) ha voluto mettere l’accento sul “murder most foul”, il più disgustoso degli omicidi – quello di John Fitzgerald Kennedy – come sciagurato evento-chiave della seconda parte del secolo, conclusosi davvero solo l’11 settembre 2001 con la sua coda di orrori: l’Iraq e l’Afghanistan, le bombe al fosforo sui civili di Falluja e su quelli di Gaza, Obama e le altre carneficine “regionali” (dalla Libia alla Siria), i tagliagole dell’Isis in azione in Medio Oriente e nelle capitali europee. E’ durata pochissimo, la ricreazione, perché sulla scena ha fatto irruzione il coronavirus-chimera di Wuhan: la globalizzazione della schiavitù psicologica e non solo, con il suo corredo di strumentazioni distopiche. Il “false prophet” dell’ultimo Dylan è uno scheletro che brandisce una siringa, suonando alla porta di casa come per consegnare un regalo ben impacchettato. Nel disco (“Rough and rowdy ways”) manca solo l’estremo omaggio, il corollario: la schedatura definitiva mediante pass vaccinale, e senza neppure la cortesia di un vero vaccino.Il mistero più fitto continua ad aleggiare sui sieri genici C-19: graziosamente, in prima battuta, Pfizer aveva provato a sostenere che sarebbe stato possibile rivelare la loro reale composizione soltanto fra 70 anni. Nel frattempo, le agenzie europee della farmacovigilanza parlano di oltre 30.000 morti sospette e 3 milioni di persone finite nei guai dopo l’inoculo: sembra il bilancio di una guerra, non certo quello di una campagna vaccinale. Nonostante ciò, probabilmente, sfugge la vera ragione che motiva i renitenti, che sono milioni: a farli desistere dal subire l’iniezione è essenzialmente l’atteggiamento ricattatorio di un potere che si è macchiato di un crimine gravissimo, rifiutandosi ostinatamente di approntare terapie efficaci, sollecitamente segnalate dai medici. Questo, si immagina, ha contribuito a causare la morte di migliaia di persone: pazienti non curati, lasciati a casa a marcire da soli in modo da poter poi essere ricoverati, gonfiando in tal modo i numeri televisivi dell’emergenza. Dovrebbe essere intuitivo comprendere il “no” di tanti italiani: com’è possibile accettare di ottenere una sorta di libertà condizionata, a patto di sottoporsi al Tso, se questo è imposto da autorità tanto inaffidabili e pericolosamente sleali?Il caso italiano fa scuola: se è vero che l’uragano psico-politico-sanitario si è abbattuto essenzialmente sull’Occidente, è vero anche che nessun altro paese ha dovuto vivere i supplizi inflitti all’Italia, in termini di vessazioni e distorsioni dell’ordinamento democratico. Perfettamente speculare anche l’acquiescenza della maggioranza dei cittadini-sudditi, ormai rassegnati a subire qualsiasi arbitrio, da parte della voce del padrone (non importa quale). Mentre gli altri paesi occidentali si stanno scrollando di dosso la dittatura sanitaria, nella patria del potere vaticano si usa ancora obbedir tacendo: il governo prolunga oltremisura le restrizioni e ritarda in modo esasperante le cosiddette riaperture, con l’aggravante del Tso esteso in modo pressoché generalizzato. Le discriminazioni sono diventate persecutorie, varcando la soglia degli uffici pubblici, di molti negozi, persino degli sportelli bancari e delle Poste. Questo, per ora, è lo spettacolo offerto da Mario Draghi, destinato a entrare nella storia: esattamente come il Britannia e la svendita del paese negli anni ‘90, come il “whatever it takes” concesso solo dopo la morte civile della Grecia e la capitolazione di Italia e Spagna.Un vero statista, ovviamente, avrebbe innanzitutto messo mano al problema numero uno: lo ha fatto Boris Johnson, nel Regno Unito, fungendo da apripista per svariati paesi, dalla Spagna alla Danimarca. La Francia annuncia la fine del Green Pass entro marzo? Niente paura: il bis-ministro Speranza (in quota alla Fabian Society, che gli italiani non conoscono) va avanti imperterrito con lo squallore settimanale delle Regioni “colorate”, come se davvero fossimo in presenza di un’emergenza ospedaliera. La verità è tristissima: qualcuno, lassù, ha deciso che l’Italia dovesse essere l’area-test per il nuovo ordine sanitario. Le major ordinarono a Obama di procedere, e Renzi rispose: scelsero l’Italia, come paese-cavia per gli obblighi vaccinali, conoscendone il ventre molle (politico) e la solidità dello storico tutore che risiede Oltretevere, il network tentacolare che traffica anche coi cinesi, coi vaccini e coi tamponi. A proposito: non è certo uno scherzo, smontare da un giorno all’altro l’albero della cuccagna. Chiunque ci provasse, va da sé, forse potrebbe anche temere persino per la sua incolumità fisica. Non a caso si è stranamente affollato, il cimitero degli scienziati che avevano osato sdrammatizzare il problema, offrendo soluzioni tempestive e convincenti.Dopo aver bellamente elevato a sistema l’esercizio del ricatto, oggi il signor Draghi – a un anno dall’intronazione – può ben fregiarsi del titolo di grande demolitore: come se fosse sempre lui, il fondo, il vero detentore della specialità rottamatoria. Ci aspetta una crisi socio-economica dai risvolti potenzialmente spaventosi? Ovvio: per un anno intero, il governo (in questo, identico al precedente) ha letteralmente sventrato interi settori vitali, dal commercio al turismo, passando per la scuola, i trasporti, la cultura, lo spettacolo. Come da copione, fa notare qualcuno: l’inferno dei tanti è il paradiso dei pochissimi, quelli che infatti orchestrano la sinfonia di Davos. Non andrà tutto bene? Già. Ma non andrà completamente in porto, a quanto a pare, neppure la conversione definitivamente “cinese” della latitudine occidentale: il grande caos è agitato dallo scontro, sotterraneo e non, di possenti forze contrarie. Se la catastrofe è grandiosamente globale, comunque, l’Italia riesce a brillare di luce propria: nessun altro paese ha usato così bene il Covid per terremotare il proprio tessuto socio-economico.Tornano alla mente i tempi (oscuri, ma non quanto l’attuale) dei tentati golpe e delle stragi nelle piazze: poteri sovrastanti, che manovrano silenziosamente. Il target non è cambiato: l’Italia, gli italiani. A cui lo show offre le prodezze di Sanremo e le carezze che il gesuita Bergoglio dispensa a Greta Thunberg, la ragazzina davanti a cui si genuflette Draghi insieme al ministro Cingolani. Mala tempora: tanti connazionali, ormai, si sentono già esodati: e infatti stanno programmando l’espatrio, verso lidi meno inospitali. Chi può permetterselo, sta seriamente pensando di lasciare il paese: tale è il disgusto che provocano le sue autorità politiche, ma anche la deprimente sottomissione della maggioranza ostile e buia, annichilita dalla paura e fuoriviata dalla disinformazione di regime. Perché proprio l’Italia? Perché proprio l’erede dell’impero che Ottaviano Augusto volle far discendere dal troiano Enea, cioè dalla Creta dei Minosse che la mitologia dipinge come atlantidea? Perché proprio l’Italia, dominata per quasi due millenni dal medesimo potere confessionale, retrivo e oscurantista?Qualcuno intanto si diverte, amaramente, a constatare la strettissima osservanza vaticana delle massime cariche istituzionali: gli inquilini di Palazzo Chigi e del Quirinale, più il neo-presidente della Corte Costituzionale (altro personaggio, Giuliano Amato, rimasto nel cuore degli italiani). Ecco, appunto: gli italiani. Forse sono proprio loro, che mancano all’appello. Dove sono? Facile: eccoli là, in fila per il tampone. Fino a quando? Il palazzo comincia a parlare di allentamenti primaverili: ma chi si fida più, di quelle lingue biforcute? Se lo stanno godendo appieno, il grande spettacolo della schiavizzazione strisciante: in fila per tre, con la brava mascherina sulla faccia. Medici, psicologi e sociologi si esercitano in previsioni apocalittiche: parlano di danni, fisici e mentali, incalcolabili. Sembrano gli effetti di un immane esperimento sulfureo: scoprire fino a che punto si può “trasformare un uomo in un topo”. In Italia, ovviamente. Come sempre.(Giorgio Cattaneo, 12 febbraio 2022).“To live in a land where justice is a game” (Bob Dylan, “Hurricane”, 1976). Non si può che morire di vergogna, per il fatto di vivere in una terra dove, ormai, la giustizia è un gioco. E dove “they try to turn a man into a mouse”, provano a trasformare l’essere umano in topo: non Rubin Carter, il famoso pugile finito in carcere, ma proprio tutti. Il rumore di ceppi e catene si è fatto assordante, lungo i meandri stucchevoli nella neolingua sanitaria che pretende di assoggettare i cervelli e i corpi, sottendendo la fine – sostanziale – di uno Stato di diritto che invece esiste ancora, e per il momento arma la mano di centinaia di avvocati combattivi. Sopravvive tuttora la Costituzione entrata in vigore nel 1948, benché amputata brutalmente una decina d’anni fa con l’inserimento dell’obbligo del pareggio di bilancio. Una Carta ora ritoccata anche con l’ambigua indicazione, teoricamente nobile ma contigua al verbo “gretino”, sulla tutela dell’ambiente (possibile alibi per chissà quali altre torsioni, future o imminenti).
-
Ddl Zan, tutti in ginocchio: clericalismo imposto per legge
«Egregio Presidente Draghi ed egregi confratelli della Loggia Laica del Grande Occidente, se volete davvero difendere la laicità dello Stato, del governo e del Parlamento italiano, dovete prendere meglio la mira. Scappucciatevi per vedere bene la realtà circostante. Non è la Chiesa cattolica apostolica romana, e tantomeno la Chiesa bergogliana, umanitaria e accogliente, a vagheggiare il ritorno a uno Stato confessionale, prono ai precetti religiosi e teso a restaurare la devozione popolare». Così Marcello Veneziani, su “La Verità”, smaschera il “nuovo clericalismo” che si vorrebbe imporre per legge, col Ddl Zan contro l’omofobia. «Per una volta – in modo magari maldestro, “gesuitico” e un po’ vile, appellandosi al Concordato – la Chiesa ha perorato il suo contrario, ha sposato una causa che più laica non si può: si è richiamata alle leggi, alla libertà di pensiero e di espressione, messa in pericolo dalla Legge Zan». Non è ingerenza nella vita laica dello Stato e della politica italiana, «nemmeno paragonabile alle numerose ingerenze della Chiesa bergogliana in tema di migranti, modelli sociali ed economici, giudizi politici e ideologici».Al contrario, scrive Veneziani, stavolta il Vaticano chiede di fermare «l’ingerenza di una legge, col relativo strascico d’intimidazione psicologica e ideologica, nella vita dei cittadini, non solo credenti e praticanti, se solo trasgrediscono ai precetti della nuova religione bioetica imposta al culto di tutti». Insiste Veneziani: «Se volete difendere davvero la laicità dello Stato, della politica, del governo e del Parlamento italiano, abbiate il coraggio di affrontare il nuovo clericalismo e la nuova Inquisizione che stanno instaurando in Italia e in Occidente le leggi, le proposte, i comitati di vigilanza, denuncia e sconfessione, che sorgono qua e là nel nostro paese a difesa e protezione della nuova religione umanitaria fondata sull’antifascismo, l’antirazzismo e l’antiomotransfobia». Una religione “anti”, molto curiosa, «imperniata sul principio di “odiare gli odiatori”, “perseguitare i persecutori”, farsi intollerante con gli intolleranti». Con la differenza che i presunti odiatori, persecutori e intolleranti «sono in larga parte inermi, innocui, e non dispongono del potere e delle armi di cui dispone la nuova Macchina dell’Inquisizione che dovrebbe colpirli a norma di legge».Il meccanismo ideologico-punitivo, secondo Veneziani, si fonda su un’inversione: ogni tentativo di difendere la famiglia o proteggere i bambini o di tutelare la sovranità nazionale e la civiltà in pericolo «viene letta e condannata al contrario come attacco a gay e trans o razzismo contro neri e migranti». Ragionando con la mente sgombra e senza «imbecillità di gregge e conformismo ideologico», ci si accorge che alla vita laica di tutti i giorni verrebbe applicato «un protocollo clericale fatto di processi alle intenzioni, catechismi impartiti in tutte le sedi, a cominciare dai bambini, caccia alle streghe, battesimi e cresime progressiste o al contrario scomuniche, esorcismi e sospensioni a divinis, inginocchiatoi e santini, devozioni e ricorrenze, nel nome di quel canone ormai sacro che ci nausea ripetere per l’ennesima volta: il politically correct e i suoi derivati tossici». Nel dettaglio, «la blasfemia, l’oltraggio alla religione, la bestemmia e la dissacrazione posti una volta a tutela della religione vengono trasferiti pari pari alle nuove categorie protette: neri senza g di mezzo, femministe del me-too, omotrans e affini, rom e altre categorie minori».«Non si può nemmeno fare una battuta su di loro, è ritenuta e punita come blasfemia», come se si trattasse di proteggere entità “intoccabili”, introducendo il reato d’opinione (di cui si occuperà «la Nuova Laica Inquisizione»). «Come chiamate tutto questo se non clericalismo, riduzione della laicità a uno Stato confessionale, regime teocratico col nuovo Dio Nero-Arcobaleno? E come chiamate i nuovi imam, i nuovi muezzin, i nuovi ayatollah che queste leggi stanno partorendo nei tribunali, nelle commissioni di vigilanza, nei comitati politici?». Clero, risponde Veneziani: «Sono clero, alle cui dirette dipendenze lavora la polizia psicopolitica, i nuovi battaglioni della Santa Fede. Il servizio d’ordine del Pci e di Lotta Continua è diventato ora milizia di stato della Nuova Religione Umanitaria. E se non ti puniscono in modo esemplare, ti intimano quanto meno di cospargerti il capo di cenere: Chiedi Scusa! Inginocchiati! Fai la penitenza! Recita l’atto di Contrizione, dieci Avemarie al gay profanato, cento Paternoster al Migrante dissacrato, ricordati di Santificare le lesbiche». Accusa Veneziani: «Il nuovo clericalismo da cui dovremmo difendere la laicità dello Stato e delle istituzioni è proprio quello che state elevando sugli altari e i tribunali a norma di legge».«Egregio Presidente Draghi ed egregi confratelli della Loggia Laica del Grande Occidente, se volete davvero difendere la laicità dello Stato, del governo e del Parlamento italiano, dovete prendere meglio la mira. Scappucciatevi per vedere bene la realtà circostante. Non è la Chiesa cattolica apostolica romana, e tantomeno la Chiesa bergogliana, umanitaria e accogliente, a vagheggiare il ritorno a uno Stato confessionale, prono ai precetti religiosi e teso a restaurare la devozione popolare». Così Marcello Veneziani, su “La Verità”, smaschera il “nuovo clericalismo” che si vorrebbe imporre per legge, col Ddl Zan contro l’omofobia. «Per una volta – in modo magari maldestro, “gesuitico” e un po’ vile, appellandosi al Concordato – la Chiesa ha perorato il suo contrario, ha sposato una causa che più laica non si può: si è richiamata alle leggi, alla libertà di pensiero e di espressione, messa in pericolo dalla Legge Zan». Non è ingerenza nella vita laica dello Stato e della politica italiana, «nemmeno paragonabile alle numerose ingerenze della Chiesa bergogliana in tema di migranti, modelli sociali ed economici, giudizi politici e ideologici».
-
Aborti e commercio di feti, vescovi Usa accusano Biden
«Il Vaticano difende Joe Biden contro le proteste avanzate dall’arcivescovo di San Francisco, Salvator Cordileone, e dall’arcivescovo del Kansas, Joseph Neumann, in relazione alle posizioni pro-aborto della coppia Biden-Harris». A incendiare la polemica non è solo il tema etico (pro o contro l’interruzione di gravidanza), ma il vero e proprio «traffico di feti, smembrati mentre sono ancora vivi», che rappresenterebbe una pagina oscura dietro al business farmaceutico: pagina che il Texas ha appena deciso di chiudere per sempre. Ne parla Roberto Mazzoni in un ampio video-reportage sulla controversia che sta dividendo i cattolici americani, turbati dalla “disinvoltura abortista” di Biden, formalmente cattolico, e della sua vice Kamala Harris, protetta da Barack Obama. Secondo Mazzoni, giornalista stanziato in Florida e autore di ottimi servizi dagli Usa durante le presidenziali 2020, molti vescovi americani si starebbero rendendo conto del fatto che non sia stata felice la scelta di puntare su Biden, secondo presidente cattolico nella storia statunitense dopo John Fitzgerald Kennedy.Per essendo stato appoggiato dal Vaticano, e indirettamente anche dai vescovi Usa con una lettera inviata a tutti gli elettori, «Biden sta dando seguito a una serie di politiche che renderanno obbligatorio l’aborto finanziato dallo Stato anche in strutture gestite da cattolici». Ad aprire le danze, ricorda Mazzoni, è stato il 20 gennaio il cardinale di Los Angeles, José Horacio Gomez, presidente della Cei statunitense: «Il nostro nuovo presidente ha promesso di sostenere certe politiche che favorirebbero la diffusione di malignità morali e che minacciano la vita a la dignità umana, in modo più grave nell’area dell’aborto, della contraccezione, del matrimonio e del gender», aggiungendo: «E’ una grande preoccupazione per la libertà della Chiesa e per la libertà dei fedeli di vivere secondo la propria coscienza». Una dichiarazione all’acqua di rose, dice Mazzoni, rispetto a quella del commentatore cattolico Rodney Pelletier: «Joe Biden e Kamala Harris hanno dimostrato un impegno senza sosta verso l’infanticidio e verso la distruzione della famiglia, costringendo le persone a tradire le proprie coscienze per sostenere la cosiddetta ideologia transgender».L’arcivescovo di Chicago, cardinale Blase Cupich, aveva già censurato il commento di Gomez classificandolo come «mal concepito» e pubblicato «senza una consultazione collegiale interna, che è la prassi consueta per dichiarazioni che rappresentano i vescovi». Roberto Mazzoni osserva che il cardinale Cupich «si è autonominato portavoce negli Usa per il Papa». Il polemico antiabortista Gomez aveva ventilato l’idea che i vescovi scrivessero a Biden per invitarlo ad astenersi dal ricevere la comunione, aggiunge Mazzoni, ma l’iniziativa è stata bloccata dal cardinale Luis Francisco Ladaria, “prefetto” dei gesuiti. «Sarebbe fuorviante – ha scritto Ladaria – se una tale dichiarazione desse l’impressione che l’aborto e l’eutanasia costituiscano da soli le uniche questioni gravi dell’insegnamento morale e sociale cattolico che richiedono l’intervento della Chiesa», precisando: «Ogni affermazione della conferenza episcopale relativa ai leader politici cattolici dovrebbe essere contestualizzata nella più ampia cornice della dignità di ricevere la comunione da parte di tutti i fedeli, anziché da parte della sola categoria dei politici».Chiaro: non ci sarà nessuna “scomunica”. E i vescovi disposti ad accettare le posizioni “cattolicamente incompatibili” di Biden – scrive Mazzoni – sono pronti a usare tutta la loro autorità per prendere di mira i sacerdoti anti-abortisti. «Nessuna tempesta è insidiosa quanto una calma perfetta, e nessun nemico è pericoloso quanto la totale assenza di nemici», disse Sant’Ignazio di Loyola, ex militare spagnolo e fondatore della Compagnia di Gesù, che Mazzoni – tra il serio e il faceto – propone come ideale “maestro” dello stesso Biden, ricordando che Papa Clemente XIV disse di aver “firmato la sua condanna” nel 1773 dopo aver firmato lo scioglimento dei geusiti. «Nove mesi dopo era morto: e da allora non c’è più stato un solo Papa che si sia chiamato Clemente». Me se sulla Compagnia di Gesù si abbattono spessissimo gli strali più grossolani del complottismo, secondo Mazzoni «Joe Biden e la sua amministrazione hanno fatto tesoro dell’insegnamento gesuita», nel senso che «stanno facendo di tutto per creare nemici anche immaginari nella società americana, come ad esempio la discriminazione contro i gender e il razzismo fasullo».In materia di aborto, segnala lo stesso Mazzoni, la questione negli Usa «tocca un enorme business, che gira intorno al mondo della sanità e delle case farmaceutiche». Il progetto federale degli aborti statunitensi, promosso da Joe Biden e dal suo partito, finanzia la società Planned Parenthood. «Si tratta di un’organizzazione privata che è stata coinvolta in numerosi scandali che coinvolgono pratiche disumane sui feti e la vendita di parti del feto per ricerca medica». Il padre di Bill Gates, William Gates senior, è stato parte del Cda di Planned Parenthood, nonché il creatore della illustre Bill e Melinda Gates Foundation (che nel solo 1999 ha donato 1,73 miliardi proprio a Planned Parenthood, la quale li ha utilizzanti in Sud America per combattere la violenza basata sui gender»). La stessa Melinda Gates si è particolarmente dedicata all’eguaglianza “gender”, e ha anche ricevuto la Medaglia della Libertà da Barack Obama nel 2016, mentre l’anno seguente il governo francese le ha tributato la Legion d’Onore.Che non tutto sia impeccabile, nella storia degli aborti “farmaceutici”, lo dimostrerebbe un video esibito da Mazzoni, girato in incognito da un giornalista investigativo che – parlando con due dirigenti della Planned Parenthood – ha finto di essere interessato all’acquisto di porzioni di feto. Il video è introdotto da uno spezzone di intervista, in cui Tucker Carlson (di “Fox News”) chiede alla dottoressa Dawn Laguens, vicepresidente esecutivo di Planned Parenthood, che cosa senta, quando si accorge che sta ancora battendo, il cuore del feto che sta per essere soppresso. Lei risponde con sicurezza: prende seriamente il lavoro medico, che viene svolto in modo compassionevole. Nel servizio compaiono altri due sanitari della rete abortista: DeShawn Taylor (Arizona) e Deborah Nucatola, direttore senior dei servizi medici di Planned Parenthood Federation of America, la struttura che coordina le varie cliniche affiliate. Il video “clandestino”, sottolinea Mazzoni, «mostra chiaramente come il feto venga smembrato di proposito e come venga spesso ucciso con una sostanza chimica, la digossina, affinché non opponga resistenza all’estrazione».Nel caso venisse estratto ancora vivo, ricorda Mazzoni, per la legge dell’Arizona dovrebbe essere trasportato all’ospedale, ma – in quelle immagini “rubate” – DeShawn «dice che basta fare attenzione a chi c’è nella stanza, lasciando intendere che preferisce non portarcelo e uccidere il feto fuori dall’utero contravvenendo alla legge». Greg Abbott, governatore repubblicano e cattolico del Texas, ha appena firmato la nuova legge che proibisce l’aborto, nello Stato, dopo che il battito del feto diventa distinguibile: questo, precisa Mazzoni, vorrebbe dire in alcuni casi impedire l’aborto dopo la sesta settimana. «La sede texana di Planned Parenthood ha dichiarato che questa legge è una delle più estreme nella nazione». Il senatore texano Bryan Huges, che ha partecipato alla preparazione della legge, dichiara: «Il Texas Heartbeat Act è la più potente legge pro-life nella storia del Texas, e sarà un modello per tutta la nazione». Per Chelsey Youman, della Human Coalition Action, è un passo storico: «Grazie a questa legge, l’anno prossimo verranno salvate circa 50.000 vite umane nel solo Stato del Texas».«Il Vaticano difende Joe Biden contro le proteste avanzate dall’arcivescovo di San Francisco, Salvator Cordileone, e dall’arcivescovo del Kansas, Joseph Neumann, in relazione alle posizioni pro-aborto della coppia Biden-Harris». A incendiare la polemica non è solo il tema etico (pro o contro l’interruzione di gravidanza), ma il vero e proprio «traffico di feti, smembrati mentre sono ancora vivi», che rappresenterebbe una pagina oscura dietro al business farmaceutico: pagina che il Texas ha appena deciso di chiudere per sempre. Ne parla Roberto Mazzoni in un ampio video-reportage sulla controversia che sta dividendo i cattolici americani, turbati dalla “disinvoltura abortista” di Biden, formalmente cattolico, e della sua vice Kamala Harris, protetta da Barack Obama. Secondo Mazzoni, giornalista stanziato in Florida e autore di ottimi servizi dagli Usa durante le presidenziali 2020, molti vescovi americani si starebbero rendendo conto del fatto che non sia stata felice la scelta di puntare su Biden, secondo presidente cattolico nella storia statunitense dopo John Fitzgerald Kennedy.
-
I Medici e l’Inca: l’America a Firenze prima di Colombo
Lorenzo il Magnifico discendeva direttamente dalla linea di sangue reale Inca. Era un meticcio: metà italiano (fiorentino) e metà andino. E la vera origine – occultata – del gran signore di Firenze, massimo promotore del Rinascimento italiano, dimostra una verità che ancora non si vuole ammettere, anche se sta ormai emergendo. Quale? Eccola: le maggiori signorie italiane rinascimentali (non solo Firenze, ma anche Milano e altre) erano in strettissimo contatto con le potenze d’oltreoceano. Legami pericolosi, per la Chiesa dell’epoca, perché rischiavano di demolire la teologia cristiana e il potere ecclesiastico, ripristinando l’antica conoscenza universale racchiusa nel culto solare, a cui sarebbe ispirata la stessa urbanistica rinascimentale, che nelle piazze italiane avrebbe riprodotto le piazze cerimoniali incaiche. E’ la tesi sostenuta da uno straordinario ricercatore come Riccardo Magnani, autore nel 2020 del saggio “Ceci n’est pas Leonardo” (ovvero, “Quello che non vi dicono su Leonardo da Vinci e il Rinascimento”).La stessa spedizione di Colombo del 1492, da cui si pretende inizi l’era moderna, secondo Magnani sarebbe un’invenzione storica: un escamotage del Vaticano per poi aprire la strada alla sanguinosa conquista cristiana delle Americhe, allo scopo di spezzare il legame con l’élite europea allora incarnata dalle signorie italiane come quella medicea. L’analisi di Magnani, tra le altre cose, ha il pregio di accendere i riflettori su dettagli che, in realtà, sono da sempre sotto gli occhi di tutti, benché sembra che si faccia finta di non vederli. Uno di questi è la presenza della “mascapaicha”, tradizionale copricapo Inca, nei dipinti della corte medicea (ben prima dell’ipotetica missione delle famose caravelle). «Fino ad oggi – scrive Magnani sul “Wall Street International Magazine” – nessuno ha posto l’accento sul fatto che, tra le innumerevoli evidenze contenute nell’arte rinascimentale, a rivelarci l’esistenza di numerosi viaggi in America (di gran lunga anteriori a quello presunto di Cristoforo Colombo) vi sia un antico simbolo regale e sacerdotale del popolo Inca, costituito da tre piume da portare in capo».Ufficialmente, scrive, le tre piume su mazzocchio vengono iscritte tra le imprese familiari del primo Rinascimento a partire da quella personale di Cosimo il Vecchio, che si vuole esser stata inserita per la prima volta nel tempietto del Santo Sepolcro: un edificio collocato nella cappella ancora oggi consacrata e annessa alla ex chiesa di San Pancrazio, accanto alla Basilica di Santa Maria Novella a Firenze. «Il tempietto, posizionato nel Sacello che si ispira al modello della Basilica del Santo Sepolcro di Gerusalemme, è costruito su progetto di Leon Battista Alberti e raccoglie le spoglie del suo committente, Giovanni di Paolo Rucellai, morto nel 1481». Le magnifiche tarsie che decorano le pareti esterne del sacello del Santo Sepolcro – continua Magnani – presentano le formelle istoriate che riportano gli stemmi araldici di Lorenzo il Magnifico, Cosimo il Vecchio e Piero il Gottoso. Lo stemma di Giovanni Rucellai, il committente, «rappresenta una vela spiegata al vento, con le sartie sciolte, forse proprio a intendere l’uso alla navigazione transoceanica».Iniziato nel 1457, il tempietto venne completato nel 1467. Non è neppure la prima volta che le tre piume vengono associate al “Pater Patriæ” fiorentino: esiste infatti un dipinto antecedente al tempietto – spiega lo studioso – in cui ritroviamo Cosimo il Vecchio associato a questo particolarissimo ornamento: siamo nella Cappella dei Magi del palazzo di famiglia, Palazzo Medici Riccardi in Via Larga a Firenze. «Qui, nel 1459 Benozzo Gozzoli dipinge il Corteo dei Magi, un affresco che tra le pieghe della sua rappresentazione risulta celebrativo proprio dei primi viaggi in America». L’opera celebra anche i personaggi che, a vario titolo, «si legarono alla famiglia de’ Medici in questa avventura, che condurrà in seguito Sisto IV e molti suoi alleati a ordire la Congiura dei Pazzi», delinando una palese ostilità tra la potenza romana e quella fiorentina. Il pretesto iconografico di questo decisivo ciclo di affreschi, ricorda Magnani, è quello dei festeggiamenti che la città di Firenze riservò a Mattia Corvino, eletto in quell’anno Re d’Ungheria, che proprio per questo guida il corteo a cavallo.Secondo Magnani, è palesemente errata l’interpretazione data finora dagli storici dell’arte, che lo identificano con un ritratto poco realistico di Lorenzo il Magnifico, forse in un tentativo di esaltarne la bellezza e la magnificenza. «Nonostante la presenza in questi affreschi dei molti bizantini che parteciparono al Concilio di Firenze – dice il ricercatore – è da ritenersi che i Magi a cui il corteo nominalmente si riferisce siano proprio i Magiari», cioè gli ungheresi, «guidati dal neoeletto Mattia Corvino», e quindi non i sacerdoti-astrologi dell’antica religione persiana di Zoroastro, il Mazdeismo, che secondo il Vangelo di Matteo giunsero a Beltemme, condotti dagli astri, per onorare la nascita di Gesù. Nel dipinto dei Medici, i Magi – secondo Magnani – sono idealmente rappresentati dal bizantino Giorgio Gemisto Pletone (riferimento culturale assoluto del primissimo Rinascimento), dal patriarca di Costantinopoli e da Giovanni VIII Paleologo, anch’esso di Bisanzio.«Gli Ungheresi – scrive Magnani – ebbero un ruolo attivo nei primissimi viaggi oltre oceano», tanto da potersi imputare a loro persino la scelta del nome dato al Nuovo Mondo: «Il nome America, infatti, è derivato da Emmerich (Amerigo, in italiano), figlio di Stefano I, primo Re d’Ungheria e fondatore della Chiesa Ungherese». Per lo studioso non deve stupire, dunque, o ritenersi anacronistico, che all’interno dello sviluppo del Corteo che accompagna Mattia Corvino – tra animali, piante, scene di caccia e rappresentazioni geografiche del nuovo mondo – Cosimo il Vecchio venga ritratto da Benozzo Gozzoli nei panni di un imperatore Inca (nello specifico Pachacutéc, che proprio nel 1459 morirà), con la classica pettinatura dei nativi sudamericani, la tipica tunica bordata d’oro del sommo sacerdote Inca e le tre piume in testa. «Sarà proprio questo particolare ad aiutarci a fare maggior chiarezza sul significato intrinseco di queste tre piume, e del perché sono diventate un emblema associabile alle famiglie che per prime, con molti anni di anticipo, ebbero contatti amichevoli con i nativi del Sudamerica».Il copricapo indossato da Cosimo il Vecchio, infatti, è la “mascapaicha” (parola di derivazione quechua), considerata in patria un simbolo assoluto del potere imperiale incaico. La “mascapaicha”, infatti, «garantiva al Sapa Inca il titolo di Governatore di Cusco e, a partire proprio da Pachacutéc (la cui statua da pochi anni è eretta nella Plaza des Armas di Cusco), di tutto il Tahuantinsuyo, ovvero di tutto il Perù, il più grande Impero dell’America precolombiana». Il riferimento a questo oggetto ornamentale, usato per sottolineare uno status di ceto e ruolo nella gerarchia religiosa Inca – spiga Magnani – è importantissimo: non solo per le implicite deduzioni cronologiche che comporta, in ordine ai primi viaggi nelle Americhe (viste le datazioni di cui stiamo parlando), ma anche per la corretta interpretazione del ciclo pittorico di Benozzo Gozzoli all’interno di Palazzo Medici Riccardi a Firenze. «Solo il Sapa Inca, infatti, poteva portare la “mascapaicha” più importante, che veniva tramandata da un sacerdote all’altro soltanto in caso di morte del predecessore».Questo ornamento, ricorda Magnani, era costituito da un filo intrecciato dello spessore di un dito, che veniva poi avvolto quattro o cinque volte attorno alla testa. All’epoca ne esistevano di tre tipi: rosso e blu per gli Incas dominanti, nero per gli Incas inferiori o di poco titolo, e poi il Llautu, una nappa di colore rosso e giallo (come appunto quello indossato da Cosimo il Vecchio) per la famiglia reale. Erano le Acllas (dette anche Vergini del Sole, donne prescelte all’interno della comunità Inca) che tessevano il Llautu, chiamato anche Paicha, «termine che esprime la congiunzione di spazio e tempo, assimilabile come concetto al compendio tra energia maschile e femminile». Il Llautu era costituito da una sottile, lunga treccia di lana rossa intarsiata da fili d’oro, ed era di uso esclusivo della famiglia reale. A completamento dell’ornamento imperiale, tre piume di Corequenque (il caracara andino, un rapace del Sudamerica dal piumaggio nero e bianco) venivano infilate nel Llautu.«Alla luce di tutto ciò – ragiona Magnani – è chiaro quindi che l’impresa considerata appartenente a Cosimo de’ Medici, e inserita nel tempietto del Santo Sepolcro, derivi idealmente da ciò che egli indossa nel dipinto di Benozzo Gozzoli di qualche anno prima: un omaggio a Pachacutéc, il primo imperatore Inca, che evidentemente Cosimo il Vecchio conosceva, se non altro nominalmente». Nello stesso dipinto, a portare la “mascapaicha” sono anche le tre nipoti di Cosimo il Vecchio, ovvero le figlie di Piero il Gottoso, nonché sorelle di Lorenzo il Magnifico. «Quanto descritto finora ci dice essenzialmente due cose: l’origine di questa impresa, che è indiscutibilmente legata ai primi viaggi oltreoceano (ovviamente databili ben anteriormente al 1492), e il fatto che le tre piume non siano sostenute da un mazzocchio, bensì da una “mascapaicha” (anche se, sostanzialmente, il significato sotteso a entrambe è lo stesso: compenetrazione tra il mondo eterico e mondo materico)».Anche l’associazione che sottolinea Benozzo Gozzoli (che proprio sotto l’indio si auto-ritrae) tra Cosimo il Vecchio e Pachacutèc, idealizzata nel segno della “mascapaicha” con cui è raffigurato il potente “Pater Patriæ” fiorentino, per Magnani «è molto importante ai fini di una revisione storica, in quanto narra di un rapporto evidentemente gioviale e amichevole tra i due popoli». Un rapporto «ben diverso da quanto poi la storia ci consegnerà in un secondo tempo, relativamente al genocidio operato dal colonialismo spagnolo post-colombiano e al ruolo interpretato dai frati, domenicani prima e gesuiti poi». La percezione di un rapporto di profonda amicizia tra i due popoli – aggiunge Magnani – ci viene confermata da una ulteriore rappresentazione di questo ornamento regale, anteriore sia all’affresco di Benozzo Gozzoli (1459) e sia all’arma intarsiata nel tempietto del Santo Sepolcro di Firenze (1461-1467). «Sto parlando di un oggetto molto particolare, tipico dell’epoca, oggi conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York».Magnani allude a un “desco da parto”, cioè un tipico vassoio commemorativo (in oro e argento) con cui venivano celebrate le nascite più importanti, da parte delle ricche famiglie del Rinascimento. Un manufatto «evocativo dell’offerta di dolci che tradizionalmente veniva portata alla partoriente». Opera di Giovanni di Ser Giovanni Guidi (detto Scheggia), questo vassoio venne creato nel 1449 per celebrare la nascita di Lorenzo, figlio di Piero de’ Medici e Lucrezia Tornabuoni, nipote prediletto di Cosimo il Vecchio e futuro capo della signoria che diede lustro a Firenze, tanto da meritarsi il soprannome di Magnifico. «Dipinto dal fratello minore di Masaccio, il vassoio fu poi conservato proprio negli alloggi privati di Lorenzo, nel Palazzo Medici Riccardi di Firenze». Attenzione: «L’intreccio ideale tra il popolo Inca e la famiglia de’ Medici qui è rafforzato dal fatto che le tre piume sono associate all’anello mediceo, che si sostituisce al mazzocchio e al Llautu, rafforzato dal motto familiare “semper” (per sempre), mentre gli stemmi delle due famiglie riconducibili ai genitori del nascituro, Medici e Tornabuoni, sono nella parte alta del vassoio stesso».Per Magnani, dunque, emerge sempre più chiaramente come la prima apparizione dell’arma di Cosimo de’ Medici non possa essere considerata quella sul tempietto di Giovanni Rucellai (il cui figlio, Bernardo, sposerà una nipote di Cosimo, Lucrezia, detta Nannina, che insieme alle sorelle Bianca e Maria nel dipinto del Gozzoli porta le tre piume della “mascapaicha”). Anzi, l’esistenza di questo vassoio «metterebbe in dubbio anche il fatto che le tre piume rappresentassero l’arma di Cosimo, lasciando intendere come il vero titolare dell’impresa, mutuata da Pachacutéc, fosse invece proprio Lorenzo, oggetto del “desco da parto” in visione». Oltretutto, il ritrovare le tre piume sia sul capo di Cosimo, nell’evidente atto di richiamare Pachacutéc e la “mascapaicha”, sia sul vassoio commemorativo della nascita di Lorenzo, «forse legittima un dubbio che confermerebbe una volta di più il carattere amichevole sottostante alle relazioni tra alcune famiglie dello schieramento politico ghibellino italiano e le più alte gerarchie dei popoli nativi del Sudamerica».Ragiona Magnani: «Sia Lorenzo de’ Medici, detto il Magnifico, sia Ludovico Sforza, non a caso detto il Moro, erano di sangue misto, meticcio, come peraltro confermerebbero le stesse caratteristiche della fisionomia di questi due celebri personaggi». Lo studioso ricorda che il termine “meticcio” deriva proprio dallo spagnolo “mestizo” e dal portoghese “mestiço”. Non a caso: con questo vocabolo «si definivano in origine proprio gli individui che nascevano dall’incrocio fra i coloni europei (perlopiù spagnoli e portoghesi) e le popolazioni amerindie indigene precolombiane». Qualche anno dopo, aggiunge Magnani, a legare ulteriormente l’impresa con le tre piume a Lorenzo il Magnifico è Giorgio Vasari, pittore e biografo di tutti i più grandi pittori, architetti e scultori del Rinascimento, nel celebre dipinto – conservato a Palazzo Vecchio – che ritrae, tra gli altri animali esotici, anche la giraffa di Lorenzo. In un angolo, il quadro «ripropone proprio le tre piume del Magnifico, inserite in un anello gemmato, la stessa impresa raffigurata sul “desco da parto” di Giovanni di Ser Giovanni Guidi».Dagli elementi menzionati, e in particolar modo dalla rappresentazione che fa Benozzo Gozzoli di Cosimo il Vecchio a Palazzo Medici Riccardi, Magnani ricava una certezza: «E’ indubbio il fatto che l’assunzione delle tre piume, da parte degli esponenti della famiglia de’ Medici, sia da porre in strettissima relazione a una frequentazione delle Americhe, anteriore al 1492, ricollegandosi all’uso che di questo ornamento facevano gli esponenti dell’impero Inca». Lo stesso imperatore Pachacutéc era ancora in carica, racconta Magnani, all’epoca in cui le tre piume e la “mascapaicha” fecero la loro prima apparizione nei dipinti, nelle imprese e nelle monete di una delle più importanti famiglie del Rinascimento, attorno alla prima metà del XV secolo. «Questo ornamento, oltretutto, ci testimonia del profondo legame esistente tra la famiglia de’ Medici, la famiglia Sforza e il territorio lariano, che ospiterà a più riprese il giovanissimo Leonardo a metà del XV secolo».In due chiese dell’alto Lario, infatti, nel comune di Gravedona – chiosa Magnani – sono riprese scene riconducibili all’affresco di Benozzo Gozzoli. «In una di queste, in particolar modo, un giovane (con tutta probabilità Galeazzo Sforza, figlio di Francesco) ha il capo cinto dalla “mascapaicha”, mentre con la mano regge dei funghi allucinogeni». Il ricercatore italiano non ha dubbi, sull’operazione di occultamento e depistaggio che avrebbe condotto a non riconoscere quel clamoroso legame (precolombiano) tra Firenze e i signori del Perù. «Il corso della storia, nel lungo cammino che ha portato alla nascita del movimento rinascimentale – afferma Magnani – è stato dirottato a beneficio della Santa Sede e dei suoi alleati, mentre le evidenze di quello che fu sono state abilmente cancellate». Ma attenzione: non tutte le prove sono state distrutte, «e quel che rimane è più che sufficiente per ricostruire il reale corso delle cose». La verità sull’America restituita da un copricapo regale: la “mascapaicha”, che da mezzo millennio – a Firenze – suggerisce la sua verità.Lorenzo il Magnifico discendeva direttamente dalla linea di sangue reale Inca. Era un meticcio: metà italiano (fiorentino) e metà andino. E la vera origine – occultata – del gran signore di Firenze, massimo promotore del Rinascimento italiano, dimostra una verità che ancora non si vuole ammettere, anche se sta ormai emergendo. Quale? Eccola: le maggiori signorie italiane rinascimentali (non solo Firenze, ma anche Milano e altre) erano in strettissimo contatto con le potenze d’oltreoceano. Legami pericolosi, per la Chiesa dell’epoca, perché rischiavano di demolire la teologia cristiana e il potere ecclesiastico, ripristinando l’antica conoscenza universale racchiusa nel culto solare, a cui sarebbe ispirata la stessa urbanistica rinascimentale, che nelle piazze italiane avrebbe riprodotto le piazze cerimoniali incaiche. E’ la tesi sostenuta da uno straordinario ricercatore come Riccardo Magnani, autore nel 2020 del saggio “Ceci n’est pas Leonardo” (ovvero, “Quello che non vi dicono su Leonardo da Vinci e il Rinascimento”).
-
Meluzzi: guerra mondiale, l’élite gnostica spegne l’umano
C’è una grande, potentissima élite intellettuale, che nasce intorno a un mondo a cavallo tra il ‘500 e il ‘600: nell’Inghilterra elisabettiana, nella Germania dei Rosacroce, nella Francia del pre-Illuminismo. Un’élite fondamentalmente gnostica, che pensa ci sia un sapere elitario che renda alcuni uomini “più uomini degli altri”, più liberi degli altri, e degni (per ragioni sapienziali, scientifiche o pseudo-scientifiche) di governare il mondo. Come i libri di storia ci insegnano, dall’Encyclopédie francese alla Rivoluzione Americana (passando anche per la massoneria e la rivoluzione scientifica), questa élite da luogo a quelle che io chiamo le quattro grandi rivoluzioni. La Rivoluzione Francese distrugge la classe dirigente di prima, composta da clero e aristocrazia, e dà luogo a un dominio del mondo della borghesia produttiva e capitalistica: e questo in America si accentua ancora di più.Poi c’è una seconda rivoluzione – quella industriale, ben analizzata da Marx – che si realizza soprattutto in Inghilterra, ma anche nell’Europa continentale, e distrugge la società contadina. Poi c’è una terza rivoluzione, che si compie immediatamente dopo la Seconda Guerra Mondiale, e attraverso la cultura della “società dell’Acquario”, del Sessantotto, della liberazione sessuale, distrugge la famiglia. E adesso siamo entrati nella quarta rivoluzione: quella che deve “algoritmizzare”, robotizzare, separare gli esseri umani attraverso una dimensione di distanziamento fisico e sociale. Deve distruggere le dimensioni della differenza tra i sessi, tra i popoli e le culture, le etnie, le religioni. E darci un unico uomo-monade, isolato come un atomo, collegato a un computer, “algoritmizzato” e “datizzato”, e proprio per questa ragione – in un mondo globalizzato – molto più facilmente governabile fa questa stessa élite gnostica che governa il mondo da molto tempo.E’ un’élite che in parte conosco, e di cui forse posso anche apprezzare alcuni aspetti. Naturalmente, mi fa orrore pensare che ci siano alcuni che negano agli altri la conoscenza della realtà, e che pensano che – se questo accadesse, nella democrazia – ci sarebbe un caos irrimediabile. Quindi adesso ci dev’essere il Great Reset, ci devono essere le cose che sono state dette a Davos, quelle presenti nella cosiddetta “Agenda 2030″, che prevedono la distruzione della proprietà privata, l’annilichilazione della famiglia tradizionale, l’algoritmizzazione dell’uomo, e questa classe – gnostica – che governa più facilmente la riduzione dei consumi, a partire da quello dell’energia, la cosiddetta “rivoluzione verde”, la denatalità (vera ossessione del malthusianesimo espresso dal Club di Roma). E ci arriveranno: basta vedere quest’anno quanto sono diminuite le nascite, in Italia e in Europa. Avranno ragione? Avranno torto? Saranno gli ecologisti di domani?Questi gnostici ci porteranno alla felicità, in un pianeta non più abitato da 6-7 miliardi di esseri umani ma, come dicono loro, da non più di un miliardo e mezzo? Staremo a vedere. Certamente, non possiamo fingere che tutto questo non sia in atto. E non possiamo fingere che tutto questo non si traduca in fatti economico-politici. E non possiamo pensare che quelli che in questo momento governano il mondo (e l’Italia, da Draghi in giù) non siano legati a questi poteri internazionali: se non lo fossero, semplicemente, non sarebbero lì. Chiunque tenti di discostarsi da questa linea è destinato all’annichilazione, o al tentativo di annichilazione. A costo di apparire troppo apocalittico, vorrei ricordare a tutti che ormai vengono annunciati i venti di una Terza Guerra Mondiale che, come Soros ha detto, deve partire dall’Ucraina. E ci stiamo avvicinando a questo, credetemi: le navi americane stanno entrando nel Mar Nero.Putin è sicuramente un ostacolo, a questi disegni, per il semplice fatto in una nazione ortodossa, che non vuole farsi calpestare. In qualche modo è un ostacolo persino Erdogan. La sconfitta di Trump negli Stati Uniti ha aperto le porte a un demone infinito, che è il mondo “dem”, “radical” e politically correct americano, che è pronto a schierare i missili per affermare la cultura gender. Non possiamo fingere che questa élite gnostica non stia governando il nostro mondo. La Cina ha già fatto patti stretti, con questa élite gnostico-globalista, mentre la Russia no. Il mondo islamico? E’ spezzato in almeno tre tronconi: uno è rappresentato dal “sultano” turco, un altro dal mondo arabo (quello che piace tanto a Renzi) e un terzo dal mondo iraniano. Poi c’è il resto del terzo mondo: l’Africa, ormai largamente comprata dai cinesi, e l’America Latina tributaria degli Usa. L’Europa è un vaso di coccio tra vasi di ferro, destinato in qualche misura a essere smembrato.Anche le attuali politiche economico-sanitarie vanno in questa direzione. Ma ripeto: la distruzione della proprietà privata, del ceto medio, della piccola economia degli artigiani e dei professionisti è ben programmata. Non si dovrà più andare a cena nella trattoria sotto casa, ma al fast food di un catena multinazionale. Il caffè non lo si prenderù più al bar sotto casa, ma in uno Starbucks di una catena internazionale. I bagnini non dovranno più fare i bagnini, ma dovrà esserci la direttiva Bolkenstein che svende le spiagge attraverso gare internazionali. Cioè: il potere dev’essere accentrato, dall’élite gnostica. Quindi non si può permettere che i bambini vedano altri bambini, devono stare a casa. Non si può permettere che l’artigiano tiri su la saracinesca. Non si può permettere che ognuno sia padrone di casa sua, perché la casa dovrà essere gestita “a uso”, con un reddito stabilito da un computer, in maniera tale che nessuno sia libero di fare quello che vuole.Questo è lo scenario che hanno in mente. Può darsi che sia uno scenario bellissimo. Hanno fatto uno spot, “Agenda 2030″, in cui una povera ragazza (danese, credo) dice: «Non posseggo più niente e non ho più la privacy, ma non sono mai stata così felice». Come dire: è già iniziata una campagna di preparazione, rispetto a questo disegno. Se noi non capiamo che l’obiettivo è questo, non potremo neanche provare a difenderci. Oppure, se ci piace, teniamocelo. Basta leggere quello che disse Schäuble al Forum di Davos, l’anno scorso, per capire che queste cose sono scritte su libri, non su semplici documenti: e fa impressione che non si voglia neppure provare a leggerli. Sia chiaro: quello che deciderà Draghi lo hanno già deciso a Davos. Il ministro leghista Giorgetti lo capisce, questo, o fa parte anche lui dello stesso giro? E’ funzionale anche lui a questo disegno? E Giorgia Meloni? Anche lei è funzionale al piano? E lo stesso Salvini? Voglio saperlo, dovendo scegliere chi votare. E’ difficile scostarsi dalla logica conformistica del potere.Le cose che racconto, credetemi, espongono a rischi inimmaginabili. Di vaccini non posso più parlare, perché temo di essere radiato dall’Ordine dei Medici (e ho ancora bisogno di lavorare, come medico). Se l’avete notato, in televisione non mi invitano più. Succede anche, per esempio, a Diego Fusaro. La linea, ormai, è di farci passare per pazzi. E adesso, preparatevi ai container: gli 8.000 container, per ogni regione, riservate ai dissenzienti (altra cosa che è sotto gli occhi di tutti: allestire campi profughi per chissà quale catastrofe; campi esattamente come quelli preparati in Canada e in Cina, e che probabilmente dovrebbero servire a isolare i contagi: l’idea che si stiano preparando campi di concentramento, in Italia, la trovo una prospettiva terrorizzante, e la cosa peggiore è che nessuno ne parli). La stessa Chiesa è governata dai gesuiti bergogliani, e quindi il mondo cattolico è azzerato. Io però confido nella fede, e anche in quella parte buona e santa di quel popolo eletto d’Israele, che nei “tempi ultimi” avrà un ruolo molto importante. La salvezza verrà dai giudei: quelli che invece hanno scelto il potere – la finta scienza, la finta sapienza, la finta gnosi, l’Arbatax e la potenza di Lucifero – saranno sprofondati, mi auguro, nelle fiamme del nulla.(Alessandro Meluzzi, dichiarazioni rilasciate a Roberto Maggi a “Radio Padania Libera” l’11 aprile 2021).C’è una grande, potentissima élite intellettuale, che nasce intorno a un mondo a cavallo tra il ‘500 e il ‘600: nell’Inghilterra elisabettiana, nella Germania dei Rosacroce, nella Francia del pre-Illuminismo. Un’élite fondamentalmente gnostica, che pensa ci sia un sapere elitario che renda alcuni uomini “più uomini degli altri”, più liberi degli altri, e degni (per ragioni sapienziali, scientifiche o pseudo-scientifiche) di governare il mondo. Come i libri di storia ci insegnano, dall’Encyclopédie francese alla Rivoluzione Americana (passando anche per la massoneria e la rivoluzione scientifica), questa élite dà luogo a quelle che io chiamo le quattro grandi rivoluzioni. La Rivoluzione Francese distrugge la classe dirigente di prima, composta da clero e aristocrazia, e dà luogo a un dominio del mondo della borghesia produttiva e capitalistica: e questo in America si accentua ancora di più.
-
Alieni, Covid, Atlantide: è la “resurrezione” della verità?
Ora non potranno più raccontarci la solita favoletta: l’ammissione della Us Navy ha la portata storica e definitiva di un cambio d’epoca, preceduta di pochissimo dall’annuncio – da parte di Donald Trump – della creazione di una Space Force, unità militare per la difesa aerospaziale. Roberto Pinotti è uno degli ufologi più prestigiosi che esistano: ha collaborato con autorità militari e, negli Usa, ha partecipato al grande progetto internazionale Seti, che ricerca le eventuali “intelligenze non terrestri”. Ha scritto libri tradotti in tutto il mondo, ha fondato e diretto il Cun (centro ufologico nazionale) che ha spesso cooperato con l’aeronautica militare italiana. Quando si parla di Ufo, Pinotti finisce spesso in televisione: nel 2019, ospite della Rai, ha sottolineato il carattere inequivocabile delle esternazioni della Us Navy sugli incontri (frequenti) con oggetti volanti non identificati. Affermazioni poi confermate ufficialmente dal Pentagono nel 2020, mentre il mondo era già intrappolato nel disastro globale chiamato Covid.
-
Sapelli: ora Draghi salverà l’Italia, cambiando l’Europa
Come giudico l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi? Una notizia molto positiva. Un po’ come Martin Guzman, che da ministro dell’economia argentino sta trattando la ristrutturazione del debito con il Fondo Monetario. Anche lui, come Draghi, non c’entra niente con la maggioranza che esprime il governo. Entrambi hanno messo le loro competenze al servizio del paese. L’Argentina è stato uno dei paesi più ricchi del mondo. I populisti l’hanno portata al fallimento. Il compito di Draghi è quello di evitare all’Italia lo stesso destino. Draghi come Monti? Chi lo dice non ha capito proprio niente. Monti doveva tagliare, mentre Draghi dovrà spendere. La differenza viene dalla diversa formazione. Draghi ha studiato con Federico Caffè, economista keynesiano, e Monti alla Bocconi? La diversità nasce da più lontano. Entrambi hanno frequentato i gesuiti: Draghi al Massimo di Roma e Monti al Leone XIII di Milano. I primi insegnavano il cosmopolitismo, e nel loro album c’è l’evangelizzazione del Sudamerica. Bergoglio incarna perfettamente quella tradizione.L’omaggio che gli ha riservato Draghi in Parlamento è il riconoscimento della missione sociale di questo Papa. I gesuiti di Monti erano giansenisti, che coprivano con una preghiera gli errori del capitalismo. E’ la cultura a fare gli uomini. Draghi è un servitore dello Stato. Trent’anni fa le privatizzazioni servirono a evitare il fallimento. Oggi bisogna ripristinare la crescita. Governo tecnico o politico? Politico: Draghi è un uomo della Prima Repubblica. Cerca il consenso, non lo scontro. Conte era divisivo, Draghi unisce: coltiva l’arte del compromesso. Mattarella, altro esponente della Prima Repubblica, non ha avuto esitazioni a cancellare “l’avvocato del popolo”. Moriremo tutti democristiani? Definirei Draghi un socialdemocratico, con molti riferimenti nel mondo cattolico: un riformista. In Banca d’Italia e poi al Tesoro ha lavorato con Ciampi (che da capo del governo, l’ultimo della Prima Repubblica, ha consacrato il metodo della concertazione come stile di comando); difficile dire che Ciampi fosse democristiano.Nel mio ultimo libro (”Nella storia mondiale. Stati, mercati, guerre”) accuso i partiti italiani d’ignoranza, “perché per spiegare la nostra vita nazionale bisogna capire prima come si muove il mondo”. Volevo dire che quelli di prima non avevano capito nulla, a cominciare da Conte: spuntato dal nulla, frutto della mucillagine che avvolge i palazzi romani. Coltivava l’amicizia con i cinesi di Xi. Flirtava con Putin. I soldati russi a Bergamo come “sanificatori” non credo siano piaciuti. I nostri servizi segreti incaricati di coprire i traffici fra Mosca e Trump. Ad abbattere il governo Conte è stato Renzi. Ma l’onda è partita da molto più lontano. Draghi è un uomo potente. Apprezzato negli Usa, temuto in Germania. L’ex segretario al Tesoro, Timothy Geithner, nell’autobiografia racconta di essere stato incaricato da Obama di negoziare con Berlino la nomina di Draghi alla Bce. Perché? Era l’argine all’egemonia tedesca. Ancora una volta il capitalismo nordamericano ha vinto sull’ordo-liberismo teutonico.Alla fine, però, la Merkel non solo ha accettato, ma ha anche fatto da sponda contro la Bundesbank e la Corte Costituzionale tedesca, che non vedevano l’ora di sbarazzarsi di Draghi. La politica doveva salvare la catena del valore che unisce l’industria tedesca a quella italiana. Hanno provato a sostiturci con la Cina, ma hanno rinunciato: troppo alto il divario di qualità. E poi non tira bella aria da quando il regime di Xi Jinping si è messo a giustiziare i capitalisti, i tycoon e persino le mogli, accusate di adulterio. Finito l’impegno a Palazzo Chigi, Draghi andrà al Quirinale? Tornerà a casa. Potrebbe tentarlo solo un altro incarico in Europa. Che cosa potrebbe esserci in Europa di più importante dopo la Bce? Dopo il Recovery Fund non si torna più indietro: l’Europa avrà una Costituzione. Bisogna solo decidere se confederale o, come piace a me, federale sul modello Usa. A un impegno del genere, Draghi non potrà sottrarsi. Soprattutto se, dopo aver salvato l’euro, avrà tirato l’Italia fuori dai guai.(Giulio Sapelli, dichiarazioni rilasciate a Nino Sunseri per l’intervista sul ruolo di Mario Draghi alla guida dell’Italia pubblicata da “Libero” il 22 febbraio 2021 e ripresa da “Dagospia”. Storico ed economista, Sapelli è una delle voci più autorevoli del mondo progressista e post-keynesiano italiano).Come giudico l’arrivo di Draghi a Palazzo Chigi? Una notizia molto positiva. Un po’ come Martin Guzman, che da ministro dell’economia argentino sta trattando la ristrutturazione del debito con il Fondo Monetario. Anche lui, come Draghi, non c’entra niente con la maggioranza che esprime il governo. Entrambi hanno messo le loro competenze al servizio del paese. L’Argentina è stato uno dei paesi più ricchi del mondo. I populisti l’hanno portata al fallimento. Il compito di Draghi è quello di evitare all’Italia lo stesso destino. Draghi come Monti? Chi lo dice non ha capito proprio niente. Monti doveva tagliare, mentre Draghi dovrà spendere. La differenza viene dalla diversa formazione. Draghi ha studiato con Federico Caffè, economista keynesiano, e Monti alla Bocconi? La diversità nasce da più lontano. Entrambi hanno frequentato i gesuiti: Draghi al Massimo di Roma e Monti al Leone XIII di Milano. I primi insegnavano il cosmopolitismo, e nel loro album c’è l’evangelizzazione del Sudamerica. Bergoglio incarna perfettamente quella tradizione.
-
Carotenuto: gesuiti, è vaticana l’operazione Renzi-Draghi
Attenti al Vaticano: da lì derivano le svolte, nella politica italiana, compresa la caduta di Conte e l’ascesa di Mario Draghi, subito celebrato come salvatore della patria (ruolo persino facile, dopo l’inguardabile governo dell’ex “avvocato del popolo”). I veri king-maker? Sono loro, i gesuiti: nel 2020 hanno progressivamente emarginato l’ala non gesuitica dell’alleanza curiale “progressista” che nel 2013 portò all’elezione di Bergoglio. A firmare questa interpretazione vaticanista delle contorsioni politiche italiane è Fausto Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, di ispirazione steineriana, e già analista strategico dell’intelligence Nato. Luce verde innanzitutto dal Vaticano, quindi, per l’avvento dell’euro-banchiere a Palazzo Chigi? «Tutto è stato predisposto perché Draghi ce la faccia: lo si respira ascoltando i media», premette Carotenuto. «E’ addirittura sconcertante, la piaggeria degli adulatori: sanno benissimo che, dietro a Draghi, c’è un potere veramente importante». Sanno, ma non dicono: «I giornali commentano il nulla, fermandosi alle esternazioni dei partiti, senza chiedersi chi muove questi burattini: si parla di tutto, tranne di quello che sta succedendo veramente».Non c’è da stupirsene: «Il teatrino risale ai tempi della repubblica romana: già allora i capi dei tribuni della plebe, in realtà, erano patrizi». Altra premessa: per Carotenuto, «il Vaticano controlla tuttora saldamente buona parte della politica italiana». Nella sua visione, l’analista indica due piramidi di potere, in contrasto solo apparente tra loro: «Una è la piramide conservatrice, che promuove l’egoismo sociale in modo apertamente dichiarato, mentre l’altra piramide sostiene l’umanitarismo, l’ecologismo, la giustizia sociale. Intendiamoci: tende a sfruttare ideali e buoni sentimenti, creando formazioni politiche che fingono di perseguire questi ideali. Così, le persone vengono ingabbiate in recinti illusori e messe le une contro le altre, in un gioco totalmente deviante». Per Carotenuto, «la seconda piramide è più insidiosa: chi manifesta cattivi sentimenti almeno è evidente, mentre la controparte ipnotizza la gente con le belle parole ma poi genera i Clinton, gli Obama, i Biden e la nostra falsa sinistra, il Pd, i falsi ambientalisti».Al netto di pochi “incidenti di percorso” (Berlusconi e Salvini, Trump negli Usa e Putin in Russia) è la piramide finto-buonista a detenere le grandi leve: gli Usa con Biden e l’Ue, l’alta finanza, Big Pharma e il Vaticano. «Vogliono un mondialismo spinto all’estremo, fondato sulla verticalizzazione del potere. Grandi alibi per questa accelerazione: il surriscaldamento climatico e la crisi Covid, col risultato di aggravere l’aggressione farmaceutica ed elettromagnetica ai nostri danni». Fin qui, lo sfondo che Carotenuto tratteggia. E la politica italiana? «Le due piramidi sono entrambe presenti in Vaticano», dichiara in un video l’analista di “Coscienze in Rete”. «La piramide finto-buona, gesuitica, nel 2013 ha addirittura ottenuto il Papato, per la prima volta nella storia, alleandosi con una parte importante della potente curia romana, finto-progressista, per abbattere la piramide avversaria, cioè la Chiesa conservatrice, rappresentata da una parte della curia e da pontefici come Wojtyla e Ratzinger».La “piramide conservatrice”, sempre secondo Carotenuto, sarebbe stata sconfitta «attraverso scandali pilotati (economia, pedofilia), certo basati su fondamenti reali». Risultato: l’elezione di Bergoglio e la designazione del cardinale Pietro Parolin come segretario di Stato, carica importantissima nel potere vaticano. Da allora, sostiene Carotenuto, l’influenza della Compagnia di Gesù non ha fatto che crescere. «I gesuiti si sono sentiti sempre più forti, aiutati dalle loro grandi infiltrazioni nella massoneria, nella finanza, nelle università». Al punto da intraprendere, nel 2020, un’offensiva clamorosa: contro i loro stessi alleati “progressisti”, ma non gesuiti. «Così è scattata la progressiva epurazione, nella curia, degli elementi che erano sì progressisti, ma non apparententi al circuito gesuitico». Non a caso, sottolinea Carotenuto, «sono emersi nuovi scandali, finanziari e di altro tipo». Morale: il cardinale Parolin «si è trovato accerchiato, e il cardinale Becciu (il suo “numero due”) è stato fatto fuori con storie come quella delle operazioni immobiliari a Londra, giudicate spericolate».Il solito teatro, per nascondere i veri giochi? Carotenuto ne è sicuro. Tant’è vero, dice, che si è arrivati ad attuare una specie di golpe, contro la componente non-gesuitica del potere “progressista” vaticano. E cioè: «Prima hanno detto che il segretario di Stato non era più necessario che facesse parte della dirigenza dello Ior, la cassaforte vaticana. Poi si è arrivati a una sorta di editto, da parte del Papa: il controllo delle finanze vaticane è stato tolto alla segretaria di Stato», e affidato a «giovani e preparatissimi gesuiti». Sottolinea Carotenuto: «E’ una cosa enorme: come se il presidente della Repubblica togliesse al premier ogni potere di spesa. Questo è stato fatto: Parolin è ancora lì, ma completamente depotenziato, anche nella sua capacità di influire sulla politica italiana». Da quel momento, il traballante regno di “Giuseppi” poteva considerarsi archiviato. «Giuseppe Conte era il successore di Andreotti, in quanto espressione della curia romana e pupillo di un cardinale potentissimo come Achille Silvestrini», scomparso da poco, noto come storico padrino del Divo Giulio. «E chi era il tutor di Conte quand’era studente? Proprio lui: l’allora don Parolin».Nei due governi Conte, continua Carotenuto, i ministri che contavano erano sotto il saldo controllo di poteri non visibili, e cioè «curia, elementi massonici ed elementi collegati direttamente ai gesuiti». “Giuseppi” divenne premier «perché in quel momento era il punto di equilibrio tra curia e gesuiti, i quali accettarono (attraverso una mediazione) che a Palazzo Chigi andasse un uomo della curia». Quando poi gli equilibri nell’Oltretevere sono cambiati, Conte è rimasto senza protezione. «Certo, gli è stato permesso di restare al suo posto ancora per un po’, perché c’era l’emergenza Covid. Ma poi, ci si è preoccupati dei fondi in arrivo dall’Ue, sommati all’enorme deficit nel frattempo accumulato con l’emergenza». Quindi, sempre secondo Carotenuto, è sorto un concreto problema di gestione. «In Vaticano, si sono detti: non se ne può occupare uno che non rappresenta più il vero potere». A quel punto, continua l’analista, «è entrato in scena un killer, per conto della corrente gesuitica, cioè Matteo Renzi: uno che col 2% è riuscito magicamente a far fuori Conte».Evidentemente, ragiona l’analista di “Coscienze in Rete”, grandi poteri lo hanno appoggiato: «E’ stranissimo, infatti, che Conte non sia riuscito a rabberciare una maggioranza. Senatori in vendita ce ne sono sempre, Berlusconi docet. E invece tutti, dopo aver detto sì a Conte, poi si ritiravano: convinti da chi?». Sorride, Carotenuto: «A noi raccontano storielline incredibili, come quella secondo cui Conte sarebbe personalmente antipatico a Renzi». A proposito: chi è Renzi? «E’ cresciuto in ambienti vicinissimi ai gesuiti, nella sinistra Dc toscana». Attenti alle date: la sua carriera fulminante cominciò nel 2014, appena un anno dopo l’elezione di Bergoglio. E cos’ha fatto, il grande rottamatore sostenuto dalla stampa e da Confindustria? «Ha eliminato dal Pd le residue componenti di socialismo, di sinistra, trasformando il Pd in una specie di retriva Dc». Perfetto come rottamatore, «ideale per operazioni di killeraggio: così ha rottamato anche Conte».Quel filo rosso, per Carotenuto, si prolunga fino al Quirinale: «Quando Conte ha dato le dimissioni ed è salito al Colle, sperava chiaramente in un reincarico: era ancora convinto di farcela, in aula. Ma Mattarella il nuovo incarico non gliel’ha dato». C’è stato invece il rituale giro di valzer affidato a Fico: un passaggio formale e senza speranza, utile solo a certificare la morte clinica di “Giuseppi” come primo ministro. «Poi, Mattarella ha messo tutti con le spalle al muro: o Draghi, o elezioni». Meglio ancora: Draghi e basta, visto che il presidente della Repubblica ha spiegato perché ritiene improponibile lo stop elettorale, in piena pandemia e con l’Ue che pretende il Recovery Plan entro aprile, pena lo slittamento degli aiuti, ossigeno vitale per un’Italia allo stremo. «E chi è Mattarella? Viene anche lui dalla sinistra Dc, da sempre vicina agli ambienti gesuiti, ed è iper-europeista: come Draghi».A quel punto, dice Carotenuto, il cerchio si è chiuso: addio, “Giuseppi”, e avanti Draghi. «Un’operazione molto rapida e ben coordinata, facilitata oltretutto dall’impresentabilità del Conte-bis, un governo senza qualità e affollato di personaggetti debolissimi (tranne qualcuno, che doveva occuparsi di economia per conto dell’Ue)». Attenti: «Lo si era voluto, un governo così debole, destinato a stentare molto: e i tanti ostacoli che ha incontrato “servivano” a preparare il terreno perché finalmente poi arrivasse il salvatore della patria». Tutti con Draghi, oggi: i media hanno mollato Conte alla velocità della luce. Del resto, ovviamente, l’abilità di Draghi non si discute. Scontato quindi «l’immediato consenso dei grandi poteri internazionali», salutato dal crollo dello spread e dall’impennata della Borsa. Impressionante, ma fino a un certo punto, il servilismo dei media: non uno che ricordi, in questi giorni, i record non esattamente gloriosi dell’ex governatore di Bankitalia e della Bce, già allievo dei gesuiti ai liceo Massimo di Roma, culla della pedagogia gesuitica destinata alla futura classe dirigente.Carotenuto ricorda il ruolo strategico di Draghi negli anni ‘90, al tempo del Britannia, quando – da direttore generale del Tesoro – agevolò la svendita di un’Italia sotto attacco, privata di strateghi come Mattei e Moro, che ne avevano fatto una potenza industriale. Gli anni del Britannia coincisero con le spavntose privatizzazioni all’amatriciana, cioè il brutale smantellamento del nostro patrimonio industriale e bancario, a cominciare da Iri, Eni, Agip, parte dell’Enel, Autostrade, Imi-Stet e tanto altro. Grande “lubrificatore” delle cessioni: proprio lui, l’efficientissimo Draghi, ancora presidente del Gruppo dei Trenta (considerato un’emanazione dell’area Rockefeller). «In quegli anni abbiamo esternalizzato il debito pubblico, fin ad allora interno, mettendo l’Italia nelle mani della grande finanza mondialista, gesuito-massonica». Debole la resistenza della classe politica della Prima Repubblica, rasa al suolo da Mani Pulite. «Tra i pochi a opporsi alla svendita della potente industria statale fu Bettino Craxi, e sappiamo come sia finito».Acuminate le parole di Francesco Cossiga, che definì Draghi «un vile affarista, socio della Goldman Sachs e liquidatore dell’industria pubblica». Immaginatevi cosa farebbe, Draghi, da presidente del Consiglio, disse ancora Cossiga: «Svenderebbe quel che rimane (Finmeccanica, Enel e Eni) ai suoi ex comparuzzi di Goldman Sachs». A chi teme che Super-Mario sia ancora lo spietato esecutore dell’austerity, Carotenuto risponde con filosofia: «Gli italiani sono davvero così dormienti? Se, per svegliarsi ancora un po’, hanno bisogno di un altro governo orribile per sperimentare l’ulteriore schiavizzazione, lo avremo». Improbabile, però. Con Draghi, nel 2021 «l’economia potrebbe migliorare, e potremmo anche uscire rapidamente dal Covid». Beninteso: «Lo faranno, se a quei poteri converrà». Così pensa, e parla, un analista tuttora convinto del fatto che il potere gesuitico sia sovrastante, persino rispetto a quello supermassonico, e che risieda in Vaticano la chiave del cambio della guardia nella politica italiana, passando per Renzi, fino ad arrivare a Draghi.Attenti al Vaticano: da lì derivano le svolte, nella politica italiana, compresa la caduta di Conte e l’ascesa di Mario Draghi, subito celebrato come salvatore della patria (ruolo persino facile, dopo l’inguardabile governo dell’ex “avvocato del popolo”). I veri king-maker? Sono loro, i gesuiti: nel 2020 hanno progressivamente emarginato l’ala non gesuitica dell’alleanza curiale “progressista” che nel 2013 portò all’elezione di Bergoglio. A firmare questa interpretazione vaticanista delle contorsioni politiche italiane è Fausto Carotenuto, fondatore del network “Coscienze in Rete”, di ispirazione steineriana, e già analista strategico dell’intelligence Nato. Luce verde innanzitutto dal Vaticano, quindi, per l’avvento dell’euro-banchiere a Palazzo Chigi? «Tutto è stato predisposto perché Draghi ce la faccia: lo si respira ascoltando i media», premette Carotenuto. «E’ addirittura sconcertante, la piaggeria degli adulatori: sanno benissimo che, dietro a Draghi, c’è un potere veramente importante». Sanno, ma non dicono: «I giornali commentano il nulla, fermandosi alle esternazioni dei partiti, senza chiedersi chi muove questi burattini: si parla di tutto, tranne di quello che sta succedendo veramente».
-
Bizzi: Draghi ostile al Great Reset dei padrini di Conte
Attenti agli equivoci: certo che Mario Draghi viene da una super-élite, ma non quella del Grande Reset (da cui, semmai, dipendeva il piccolo maggiordomo Giuseppe Conte). Un avvertimento firmato dallo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale nonché co-autore dell’esplosivo saggio “Operazione Corona: Colpo di stato globale”. Occhio a non confondersi, sottolinea Bizzi: Draghi non è certo una pedina qualsiasi, ma non appartiene al gruppo che, a Davos, ha progettato la distopia orwelliana che, attraverso l’epidemia di Wuhan, ha paralizzato il mondo proprio mentre la somma dei debiti straripava, e oggi infatti avrebbe raggiunto il 365% del Pil mondiale. Lo ricorda sul “Fatto Quotidiano” Luigi Manfra, responsabile dei progetti economico-ambientali Unimed e già docente di politica economica alla Sapienza. Memorabile il “testamento” di Draghi pubblicato un anno fa sul “Financial Times”: dalla crisi pandemica si esce solo ricorrendo ad aiuti finanziari epocali ma a fondo perduto, tagliando drasticamente i debiti. Dunque: attenzione a non parlare a vanvera, raccomanda Bizzi, pensando a chi cita (spesso a sproposito) entità come il Bilderberg.
-
Carotenuto: l’ombra dei gesuiti sulla presidenza Biden
Galeotto fu il gesuita e chi lo invitò a corte: nasce sotto il segno della Compagnia di Gesù il nuovo potere (in realtà antico) che si è appena insediato alla Casa Bianca attorno all’anziano Joe Biden, l’uomo che sostiene di aver vinto le presidenziali 2020 negli Stati Uniti. A sottolineare la matrice gesuitica della “piramide” che avrebbe fabbricato l’affermazione di Biden è Fausto Carotenuto, già collaboratore di Mino Pecorelli (giornalista d’indagine assassinato nel ‘79) e per anni analista strategico dell’intelligence Nato, esperto di Medio Oriente e strategia della tensione. Approdato al pensiero steineriano, Carotenuto ha fondato il network “Coscienze in Rete”, riassumendo poi la sua visione nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”: vede in azione due “piramidi” mondiali, in apparenza contrapposte (dato che si esprimono politicamente attraverso la destra e la sinistra) ma che in realtà dominano il pianeta, alternando oppressione e libertà illusorie, con l’unico scopo di tenere l’umanità sottomessa e le coscienze addormentate, ipnotizzate dal nemico di turno creato ad arte per essere trasformato in demonio.«Per intenderci: la destra classica promuove apertamente l’egoismo sociale, mentre la nuova sinistra postmoderna (quella “gesuitica”, appunto) è più insidiosa, visto che riesce a mascherare i suoi reali intenti dietro il velo dei buoni sentimenti, dei diritti civili e del politicamente corretto, sfornando “bidoni” perfetti: ieri Obama, e oggi Biden». Stessa regia, assicura Carotenuto: e i sapienti “stregoni” della manipolazione sarebbero sempre loro, i gesuiti. In un interessante video sul web, Carotenuto invita a dare un’occhiata alla squadra del nuovo inquilino della Casa Bianca: «Compaiono uomini della Cia come George Tenet e lo stesso Robert Gates, altro specialista in materia di terrorismo mediorientale: sono stati tutti formati alla gesuitica Georgetown University, dove insegnava un certo Henry Kissinger. Non è un segreto per nessuno: Joe Biden è intimo dei gesuiti e di personaggi usciti da Georgetown».Carotenuto sottolinea la vocazione storica dei seguaci di Ignazio de Loyola, nati come educatori dei giovani principi: «Una volta formati non li mollano più: li fanno diventare Ciampi, Monti, Draghi, Rutelli, creando una vera e propria struttura, una rete fatta di carriere in qualche modo “assitite”». Per la prima volta nella storia, un gesuita occupa addirittura il Soglio Pontificio: Trump lo ha attaccato frontalmente, attraverso Mike Pompeo, per la cessione al regime di Pechino del potere di nomina dei vescovi cattolici in Cina. E Biden? All’opposto: è devoto a Bergoglio, gli obbedisce. «Biden fa tutto quello che Papa Francesco chiede: aperture sull’aborto, sui gay, sulla green economy, sui migranti, sulla povertà, sul clima». Beninteso: «Sono temi anche condivisibili, ma vengono adoperati come cosmesi per ricevere i voti delle classi medie, dei benpensanti, per poi spingere le agende del potere vero: guerre, elettromagnetizzazione del pianeta, Great Reset».Attenzione ai gesuiti, insiste Carotenuto: è uscito da Georgetown il nuovo, potente capo di gabinetto della Casa Bianca, cioè Ron Klein. «Cattolico e vicino agli ambienti gesuiti è anche William Burns, appena nominato direttore della Cia, molto impegnato nella destabilizzazione del Medio Oriente quando lavorava per Obama». Viene da Georgetown anche Avril Haines, messa a capo della direzione generale dell’intelligence. Allievo dei gesuiti è lo stesso barone della medicina Anthony Fauci, che neppure Trump era riuscito a sloggiare. «Pubblicamente, Fauci ha dichiarato di aver appreso proprio dai gesuiti i fondamenti del senso della vita. E adesso Biden l’ha posto a capo della delegazione che segnerà il rientro trionfale degli Stati Uniti nell’Oms», l’opaca struttura mondialista da cui Trump si era ritirato, in polemica per la gestione poco trasparente (e troppo “cinese”) dell’emergenza Covid, utilizzata per sospendere diritti e libertà in nome della sicurezza.Gesuiti dietro a Biden? Eccome, assicura Carotenuto: viene dalle scuole della Compagnia di Gesù buona parte del team del nuovo presidente, probabilmente abusivo data l’ingente massa di prove che documentano i clamorosi brogli elettorali (che nessuna corte giudiziaria si è finora degnata di esaminare, in dettaglio). «Joe Biden è vicinissimo ai gesuiti, e ha citato Bergoglio già nel suo primo discorso dopo la “vittoria” elettorale». Ma attenzione: chi lo ha “incoronato”, formalmente? A pronunciare la preghiera per la cerimonia di inaugurazione della presidenza Biden, il 20 gennaio, è stato un gesuita molto imporante, padre Leo O’Donovan, per molti anni rettore della Georgetown University. «Quell’uomo ha “allevato” ministri, dirigenti della Cia e presidenti americani, come Bill Clinton». Strano cattolico, secondo Carotenuto: «Alla Georgetown, O’Donovan aveva fatto fare conferenze ai grandi editori americani della pornografia, e aveva anche dato il via a ricerche sull’utilizzo biomedico dei feti: un fatto non comune, per un cristiano».Proprio non piacciono, a Carotenuto, i gesuiti vicini al potere: «Sono formatori di forme-pensiero che sanno un po’ di “mago nero”, o forse prendono ordini da qualche “mago nero”». Nel suo saggio sull’apparente “mistero” della geopolitica, quasi sempre votata al disastro, l’analista definisce “maghi neri” alcuni uomini-chiave, che spesso agiscono nell’ombra per condizionare le dinamiche del vivere collettivo attraverso sofisticate manipolazioni, impartendo precisi ordini all’intera catena di comando della “piramide”, di cui i politici rapprestano i semplici terminali. Surreale? Fate voi, sembra dire Carotenuto. «Ma sappiate che, per 11 lunghi anni, da metà Novanta a metà Duemila, padre Leo O’Donovan è stato uno dei direttori della Walt Disney. E in quel periodo, tanti elementi oscuri sono stranamente entrati nei film della Disney». L’ex rettore della Georgetown University è legatissimo ai Biden: ha presieduto la messa per il funerale del figlio del neopresidente, Beau Biden, morto nel 2015 per un tumore al cervello.Quand’era vice di Obama, Biden ha partecipato qualche volta anche alla messa nella chiesa dell’università, dove ha anche tenuto una conferenza sulla fede e la vita pubblica. Joe Biden, peraltro, è l’autore dell’introduzione al libro di O’Donovan, “Blessed Are the Refugees: Beatitudes of Immigrant Children” (“Beati i rifugiati: Beatitudini per i bambini migranti”). Fonti di stampa ricordano che, proprio sul tema delle migrazioni, Biden è intervenuto lo scorso novembre a una raccolta fondi del Servizio dei gesuiti per i rifugiati, di cui O’Donovan è direttore, assicurando che avrebbe portato i numeri di accoglienza dagli attuali 15.000 previsti dall’amministrazione Trump a 125.000. Buoni sentimenti da esibire con la mano destra, mentre con la sinistra si dà il via libera alla guerra e magari al terrorismo “false flag”? Ipocrisie del politically correct, per far digerire meglio la cosiddetta agenda mondialista neoliberale? Tipico, in un certo senso, del nuovo globalismo delle anime belle, che tifano per le Ong anche quando a finanziarle è un uomo spregiudicato come George Soros.Ovviamente, sottolinea Carotenuto, non ci sono solo i gesuiti, a fare da guida, nel gruppo che si è sostanzialmente ripreso l’America dopo la parentesi Trump: «C’è anche la massoneria, che però è sempre più “massa di manovra”». L’analista steineriano di “Coscienze in Rete” non ha una buona opinione, dei grembiulini, ma non va confuso con le voci del complottismo massonofobico: la massoneria si è corrotta, sostiene, divenendo organica al potere più deteriore. «Un tempo – afferma – le massonerie erano al servizio di potenze “bianche”, quando erano un frutto dei Templari e dei Rosa+Croce. Poi, appunto, sono diventate essenzialmente “massa di manovra” delle peggiori potenze mondiali, anche se alcune di esse si dipingono come progressiste». Non a caso sono anch’esse, insieme ai gesuiti, nella cabina di regia che gestirà «le decisioni che poi verranno fatte firmare a Biden».Una regia composita e, per Carotenuto, poco rassicurante: «Ci sono gesuiti e pezzi di massoneria, pezzi di Vaticano, nonché potentati finanziari enormi, anche ebraici e cinesi, equamente suddivisi tra le due “piramidi” del grande potere». Problema evidente: «Cosa potrà fare, Biden, se non obbedire a quelli che l’hanno messo lì?». E attenzione: «Ce l’hanno messo nonostante i tanti sospetti sessuali, i suoi strani atteggiamenti, le accuse sessuali ritirate anni fa da tre donne. Veramente penoso, poi, quel suo strusciarsi addosso alle bambine e alle ragazzine, in evidente imbarazzo nei video che sono circolati sul web». Eppure, i media l’hanno acclamato subito, senza riserve, come nuovo presidente: e l’hanno fatto prima ancora che finisse la conta dei milioni di voti postali arrivati fuori tempo massimo e gestiti (col favore delle tenebre) attraverso la piattaforma digitale Dominion. Ed ecco che oggi Joe Biden siede alla Casa Bianca. A fare cosa? «Se ne starà lì con la sua faccetta ripulita, stirata, limata, botulinata e ritoccata: gli toccherà fare bei discorsi, e soprattutto firmare decisioni prese da altri».Per Carotenuto, l’agenda del potere oggi dominante è frutto di una strategia profonda, precisa, organica. «Rispetto al gruppo di Trump, questa “piramide” ha un vantaggio enorme: dispone di molti uomini preparati, in grado di portare avanti queste stretegie». Quali? Presto detto: «Mondializzazione, emergenze, vortici di paura e di odio, sfruttamento propagandistico del surriscaldamento climatico, falsa rivoluzione green. E poi guerre, squilibri, vaccinazioni di massa, condizionamenti culturali, meccanizzazione digitale degli esseri umani». Sottolinea Carotenuto: «Non è che in questo manchino elementi buoni: ma, ripeto, sono essenzialmente cosmetici, per mantenere un certo consenso». Una tattica che l’analista riconosce come eminentemente gesuitica: sottile, raffinata. Trump faceva la faccia feroce? Che ingenuo: meglio sorridere, se si hanno nel cassetto determinati piani, che prevedono coercizioni e sottrazione di libertà. Un marchio di fabbrica: «Non dico che tutti quelli che sono stati a Georgetown lavorino per i gesuiti, ma quelli che fanno carriera vi assicuro di sì. E il loro stile è inconfondibile».Con Biden, sintetizza Carotenuto, gli Usa tornano in scena come lo strumento principale di una accurata strategia della tensione internazionale, basata su una grande destabilizzazione geopolitica del pianeta. «Trump l’aveva evitata, frenando su tutto: era il meglio che poteva fare, coi limitati mezzi che aveva». Joe Biden, che si presenta come un anziano bonario (una specie di colomba) è stato invece un falco di prima grandezza. «E’ stato presidente della commissione esteri del Senato per tanti anni, ed era un sostenitore del rifacimento di tutte le mappe del Medio Oriente, a colpi di guerre e scontri interreligiosi». Motivo: «Era quello che volevano i vertici della “piramide”: creare in Medio Oriente un vortice di odio e di violenza». Quasi invisibile, eppure onnipresente: «Joe Biden ha lavorato alle false “primavere arabe”, insieme a uomini che oggi entrano nella sua amministrazione. Prima ancora, era stato un grande sostenitore dell’invasione dell’Iraq: negli Usa era in prima linea, nel vendere al pubblico la favola delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam».Un gran bel bilancio: un milione di morti, nella regione, con una destabilizzazione spaventosa che si trascina da 18 anni, in un mare di sangue. «Nel 2011, sempre Biden ha fatto fallire una trattativa che doveva servire a mantenere gli Usa a presidiare alcune zone del nord dell’Iraq. Invece gli Stati Uniti, grazie a Biden, hanno ritirato le truppe. Così i curdi sono rimasti soli e sono stati massacrati, e Daesh ha potuto creare l’Isis». Stragi, terrorismo, lutti infiniti. «Molti di quei morti dovrebbe averli sulla coscienza Joe Biden (se solo ce l’avesse, una coscienza)». Un veterano del peggio: «Un vero servo dei poteri oscuri: è stato uno dei 29 senatori democratici che diedero i voti a Bush per fare la guerra in Iraq». Ecco perché Fausto Carotenuto non è affatto ottimista: «Rivedremo gli Usa in azione in Libia, in Siria, nel Golfo Persico: devono tornare a creare vortici di guerra e di odio, cioè “malattie dell’umanità” per conto dei loro padroni oscuri. Il business delle armi? C’è anche quello, ma è solo un corollario».Da navigato analista geopolitico, il fondatore di “Coscienze in Rete” considera un disastro anche la probabile distensione con l’Iran, «che ha seriamente intenzione di fabbricare la sua atomica». Nei primi anni ‘80, Carotenuto era a Teheran: «Conosco bene quel regime, so che la bomba la voleva già allora, per difendersi in caso di attacco. Lentamente, la “piramide” cui fa capo Biden ha lasciato che l’Iran si avvicinasse alla meta: pensate al vortice di tensione che si innescherebbe, con un Iran trasformato in potenza nucleare per stare al pari di Israele. Non a caso, l’orrido regime di Teheran è felice della nomina di Biden. E’ sollevato anche il popolo, perché si toglieranno le sanzioni: ma vi assicuro che a essere felici sono soprattutto gli ayatollah». A peggiorare saranno ovviamente le relazioni con la Russia, «perché Putin fa parte dell’altra “piramide”, quella che ha utilizzato lo stesso Trump». Joe Biden ha grandi credenziali, del resto, come nemico di Mosca: ha promosso la “rivoluzione colorata” in Ucraina, il “golpe di piazza” gestito anche da neonazisti, per poi passare all’incasso attraverso il figlio Hunter, coperto di dollari come dirigente del colosso petrolifero Burisma.La parte del leone, naturalmente, potrebbe farla la Cina: «Trump aveva chiuso le porte, ai cinesi, ma adesso le riapriranno», profetizza Carotenuto. «Non è nell’interesse degli Usa, riaprire alla nuova superpotenza mondiale. Ma i “dem”, appunto, non fanno gli interessi degli Stati Uniti: assecondano invece quelli del grande gruppo mondialista che ha già deciso che i mercenari del futuro “impero” non saranno più gli americani, ma i cinesi: sono più lavoratori, sono tanti ed eseguono gli ordini senza fare storie, e in più non sono impigriti dal troppo benessere, dall’alimentazione sbagliata e dai farmaci sbagliati con i quali gli americani sono stati nutriti e curati per decenni». Possibili anche nuove tensioni con la Corea del Nord, focolaio ieri abilmente spento da Trump: «E’ sempre comodo, per creare tensione, avere un “diavolo” minaccioso». Per Carotenuto, poi, migliorerà «un’altra cosa contraria agli interessi Usa», ovvero «le relazioni con l’Unione Europea». Il gruppo che manovra Biden «vuole un’Ue forte, perché rappresenta un anticipo del mondialismo».Per gli Usa, dal punto di vista del mero interesse nazionale, «sarebbe meglio avere a che fare con un’Europa spezzettata, più facilmente dominabile». Ovvio: «Se l’Europa si unisce davvero, rischia di diventare più potente degli Usa». Eppure lo faranno: «Miglioreranno i rapporti con Bruxelles, proprio perché non servono gli interessi statunitensi. Si potrebbero definire traditori della patria, ammesso parlare di patria che abbia ancora un senso». In primo piano anche poi il clima: «Scontato il rientro immediato negli accordi di Parigi: è all’insegna del mondialismo e del “gretismo”, cioè la favola dell’origine antropica del “climate change”, largamente provocato dall’azione del sole». Un modo ultra-digitale, sempre più wireless? «Con l’elettrificazione si creano enormi campi magnetici: il che non è esattamente “green”, dati i loro effetti sull’organismo e sull’ambiente». E via così: «Si ridarà forza e finanziamenti all’Onu, all’Oms e a tutte le grandi organizzazioni internazionali, che non sono altro che l’anticipazione del globalismo che verticalizza il potere e marginalizza l’individuo».Per Carotenuto, la “piramide gesuitica” di Biden è quella più attiva nella sua missione storica: frenare il risveglio delle coscienze, che starebbe letteralmente sul punto di esplodere, coinvolgendo ormai un essere umano su tre. «Si evita il risveglio anche con i vaccini, con farmaci sbagliati, con lo sfruttamento di un virus che si poteva curare e non si è curato adeguatamente. Tutto quello che indebolisce le nostre forze vitali, fisiche e psichiche, indebolisce il nostro risveglio». Ora, dice Carotenuto, il drago si è ripreso l’America e vuole il Grande Reset. Ne saremo travolti? «No, è solo il ritorno della vecchia politica, che comunque non ci ha travolto. Anzi: l’umanità ha cominciato a crescere proprio per reazione a queste politiche balorde, il cui carattere orribile diventa sempre più evidente». Un auspicio: «Il cielo non consentirà a questo gruppo di fare più di quanto possiamo sopportare, e finirà col produrre un’ulteriore crescita interiore, come infatti è successo finora: le dittature della Seconda Guerra Mondiale hanno prodotto nel dopoguerra l’esplosione della democrazia, la voglia di libertà».Galeotto fu il gesuita e chi lo invitò a corte: nasce sotto il segno della Compagnia di Gesù il nuovo potere (in realtà antico) che si è appena insediato alla Casa Bianca attorno all’anziano Joe Biden, l’uomo che sostiene di aver vinto le presidenziali 2020 negli Stati Uniti. A sottolineare la matrice gesuitica della “piramide” che avrebbe fabbricato l’affermazione di Biden è Fausto Carotenuto, già collaboratore di Mino Pecorelli (giornalista d’indagine assassinato nel ‘79) e per anni analista strategico dell’intelligence Nato, esperto di Medio Oriente e strategia della tensione. Approdato al pensiero steineriano, Carotenuto ha fondato il network “Coscienze in Rete”, riassumendo poi la sua visione nel saggio “Il mistero della situazione internazionale”: vede in azione due “piramidi” mondiali, in apparenza contrapposte (dato che si esprimono politicamente attraverso la destra e la sinistra) ma che in realtà dominano il pianeta, alternando oppressione e libertà illusorie, con l’unico scopo di tenere l’umanità sottomessa e le coscienze addormentate, ipnotizzate dal nemico di turno creato ad arte per essere trasformato in demonio.
-
Trump “usato e gettato” per rottamare speranze: le nostre
Negli anni prima di Trump, la successone di presidenti orribili (i Bush, Clinton, Obama) aveva stancato il popolo americano. Non ne poteva più del loro interventismo globalista, che sacrificava gli stessi interessi degli Stati Uniti, favorendo la Fed e il militarismo. E allora che cosa si fa, in questi casi? Si prende un personaggio “nuovo”, che possa sembrare antipolitico (come il nostro Berlusconi). Ad agire è sempre lo stesso Deep State, che dice: devo poter tornare ad avere i miei “mercenari”, quei soggetti che hanno governato finora. Sono famiglie, gruppi, massonerie, personaggi dipendenti da certi ordini religiosi: preparati per lunghi anni, bravissimi a fare le politiche mondialiste di schiavizzazione, di alterazione della cultura, di elettromagnetizzazione del mondo. Solo che la gente, a un certo punto, non si fida più. E allora il potere dice: facciamo finta che ne venga fuori uno “nuovo”. Deve avere però una caratteristica: dev’essere ridicolizzabile, strano, pieno di vizi. Dev’essere criticabile: perché, dal giorno in cui andrà al potere, dovrà essere criticato. Si dovrà poter dire: è vero che ha sposato tanti temi buoni, o quantomeno popolari e contrari a tutte le malafette del potere, ma noi intanto cominciamo a “sporcarlo”. Vuoi vedere che, “sporcando” lui, prima o poi riusciamo a sporcare anche quei temi che la gente ha sposato?Vuoi vedere che, così facendo – ragiona il potere – un po’ alla volta la gente tornerà ai nostri temi? Ma intanto, dicono, mandiamolo avanti: perché la gente sta uscendo dall’ovile, e nell’ovile la dobbiamo riportare. Allora cosa serve? Un incantatore: ed ecco Trump. Così come Grillo ha avuto il ruolo di incantatore, da noi. I temi dei 5 Stelle, peraltro, erano migliori di quelli di Trump: meravigliosi, libertari. Trasparenza, scoperchiamo i palazzi, no ai vaccini, niente Tav né Tap. Come è andata a finire, lo si è visto. Ma la manovra è riuscita: mandi avanti il comico, rompi i problemi, crei un seguito di persone e poi tradisci la causa. Nel 2016, in America l’operazione parte nello stesso modo. Trump fa mosse populiste: sugli immigrati, sulla speculazione creata attorno al problema climatico. Si rende conto della minaccia cinese e della vera minaccia atomica iraniana, e le combatte. Ma tutto viene sempre ridicolizzato, dai grandi media: quello è uno col ciuffo biondo, è strano, si appoggia alla destra estremista. Come fa, a essere credibile? E poi: chissà come ha fatto i soldi, probabilmente è stato aiutato da Putin, eccetera. Tutti elementi potenzialmente veri: lui infatti è stato scelto proprio perché ricattabile. Così come, a suo tempo, Berlusconi.Al che, fin dal primo giorno, si passa a erodere incessantemente il suo consenso. Probabilmente il consenso c’è ancora, e le elezioni sono state truccate: poco o tanto, le elezioni sono sempre truccate. Ma c’è un problema: Trump resiste. Lo fa perché ha capito, o perché non ha ancora capito? Io temo che non abbia capito, perché non è un’aquila. Ma resiste: fa cose che piacciono alla gente, ma non al potere. Se la prende con la Fed, controllata in fondo dai Rothschild e dai loro alleati della finanza internazionale. Se la prende con la Cina, che – per i poteri oscuri – è destinata ad essere il nuovo strumento imperialista mondiale. Se la prende con gli eccessi della propaganda mondialista (Greta Thunberg) sul ruolo umano nel riscaldamento climatico. Trump non vuole l’immigrazione incontrollata, e la gente lo approva: ma anche qui il presidente esagera – nelle forme, nello stile – e così viene attaccato. Però rimane fedele a queste idee: vuole rimettere in piedi l’America, a partire dall’industria nazionale.Ma un po’ alla volta gli scandali, il ridicolo, determinano un’erosione che lo indebolisce, producendo un risultato sul quale poi, alle elezioni, non è difficile intervenire. Conteggi strani, schede fantasma: nulla è impossibile, per il Deep State. Tutto poi viene “sistemato” dalla magistratura, che è uno dei principali strumenti di controllo di cui il Deep State dispone. Le magistrature occidentali, in genere, fanno giustizia solo se la giustizia colpisce l’avversario della corrente dominante. E siamo ai giorni nostri: Trump, pensano, bisogna portarlo in una trappola. Una trappola che lo “sporchi” totalmente: così, “sporcando” lui, “sporchermo” anche tutti i temi (persino quelli “buoni”) che sono contro i mondialisti, i democratici, i gesuito-massonici. Come dire: non ce l’abbiamo con Trump, ce l’abbiamo con quei temi dei quali l’opinione pubblica si stava innamorando. Quelli, vogliamo abbattere, se vogliamo riportare la gente ad apprezzare le politiche degli avversari di Trump (perché sono più tranquilli, più buoni, in apparenza più puliti): non faranno neppure caso, al ritorno delle vecchie politiche. Non piaceranno, ma penseranno: Trump era peggio.Per fare questo, occorre montare un’ultima pantomima, forte ed efficace. E allora si sfrutta la campagna elettorale: Trump si rivolge sempre più alle frange estremiste (Q-Anon, Proud Boys), cioè la destra eversiva e ridicola, capace di spaventare un po’ anche l’opinione pubblica repubblicana. Si evidenzia un aspetto estremista, quasi nazista, e le facce dure di quel poveraccio di Trump aiutano, a dipingerlo come un Hitler col ciuffo biondo: un pericolo, per la democrazia. Ma quale pericolo, se quand’era alla Casa Bianca il Deep State gli impediva di fare quasi tutto, costringendolo a cambiare continuamente consiglieri e ministri? Nessuno, in fondo, faceva quello che diceva lui: erano tutti più fedeli al Deep State tradizionale, che non al presidente. Quindi: gli si lascia gonfiare le manifestazioni affollate da questi quattro gatti ridicoli, presentati come pericolossimi, e poi – dopo che tutti i giudici hanno fatto fallire i tentativi di Trump di ribaltare legalmente il risultato delle elezioni – arriva il giorno clou, quello della certificazione parlamentare, dopo la quale non si potrà fare più nulla. Trump che fa? Annuncia una grande manifestazione: invita i suoi a scendere in piazza e a marciare verso il Campidoglio, per protestare. E qui scatta il piano.I manifestanti vengono fatti avanzare in modo indisturbato, e qualcuno li guida. Succede sempre: in Italia, succedeva quando c’era la strategia della tensione. I servizi segreti (italiani, inglesi, israeliani, americani) infiltravano tutti i movimenti eversivi, per poterli usare: io faccio il morto, metto le bombe, rapisco, così la gente si spaventa e mi diventa più facile governarla, mandare i governi in certe direzioni, prendere delle misure, rendere le persone meno libere. I servizi segreti non fanno altro: durante il caso Moro, il capo delle Brigate Rosse era un ex fascista infiltrato dei servizi, e nella direzione strategica delle Br uno dipendeva dal Mossad, uno dalla Cia, uno dai servizi inglesi, e così via. Non ce lo dicono mai, ma funziona così: e per un servizio segreto, infiltrare movimenti fatti da ragazzi sprovveduti e fanatizzati è facilissimo. Ed è facilissimo scalare i gradini del gruppo, fino a comandare: è molto semplice. Perché non dovrebbero farlo? E infatti lo fanno sempre. Quindi lo capite, ora, chi c’era alla testa di quei gruppi di invasati che il 6 gennaio si stavano avviando verso Capitol Hill? Persone che dipendevano da quegli stessi soggetti che avevano deciso di montare la pantomima.Funziona: la polizia lascia fare, la Guardia Nazionale non arriva, e così si sfondano le finestre. Un assalto ridicolo, che ha smesso di essere ridicolo quando qualcuno ha creato i morti, rendendolo drammatico (altrimenti sarebbe rimasto una pagliacciata). La fine della democrazia? L’attacco alle istituzioni? Ma no: sono entrati quattro gatti, hanno detto qualche stupidaggine e poi se ne sono usciti in buon ordine, dopo qualche scontro. La gravità del fenomeno è venuta da chi ha sparato ad altezza uomo, mirando. Immagino Trump, che pensava a un ultimo atto dimostrativo, veemente ma pacifico, per restare almeno leader dell’opposizione. Immagino la faccia di Trump, quando ha visto che la polizia ha lasciato avanzare i manifestanti, consentendo loro addirittura di entrare nel Parlamento. Se è una persona veramente intelligente l’avrà capito: ecco, mi stranno fregando. Da quel momento in poi, i suoi consiglieri non riescono più a raggiungerlo. Lui a quel punto non si fida più di nessuno, e non sa che pesci pigliare. Quindi, passa del tempo. Per questo, riappare in televisione solo dopo che Biden l’ha spinto a intervenire. Alla fine, Trump si decide a chiamare la Guardia Nazionale. Ma è chiaramente la risposta di uno che ha perso.Un minuto dopo, si scatenano tutti: capi di Stato, giornalisti, professoroni. La più grave offesa mai fatta, alla democrazia americana. Certo: era esattamente previsto che si dovesse montare una cosa che dovesse sembrare “la più grave offesa alla democrazia americana”. Per renderla credibile andava resa più drammatica: per questo poi fanno, scientemente, quei poveri morti. E naturalmente, è tutta colpa di Trump: anche le destre, a livello mondiale, ormai ne prendono le distanze. E’ troppo grossa: un assalto al Parlamento, organizzato da Trump? No: Trump aveva promosso una marcia di protesta che arrivasse fin davanti al Parlamento, non dentro. Il troppo facile ingresso non pensiamo che l’abbia organizzato lui. Tutti a gridare al colpo di Stato: un golpe fatto in quel modo? Siamo seri. Non si può fare un colpo di Stato con quei quattro disgraziati, guidati dallo “sciamano con le corna”. Per fare un golpe serve più della metà dei servizi segreti, serve la maggior parte delle forze armate, gli stati maggiori. Servono pezzi di Fbi, di Cia, di Nsa. Dalla tua parte devono esserci la finanza e i veri poteri. Eppure, questa balla – il tentato golpe – viene riferita da tutti i media, quelli che ci ammorbano ogni giorno con la loro versione del virus.Non è Trump che ha cercato di fare un colpo di Stato, sono i poteri oscuri ad aver messo a segno un colpo: non solo ai danni di Trump, ma di una vasta fetta dell’opinione pubblica, che ormai sta rientrando nell’ovile. E il colpo, principalmente, è stato dato a tutti quei temi (quegli ideali, quegli interessi) che andavano contro il mondalismo, contro i “papati scientifici”, contro l’Oms, contro un’Onu depravata, contro un’Ue guidata da un gruppo osceno, contro una Cina neo-imperialista. Tutto depotenziato: già durante la presidenza Trump, e ora con questa pantomima finale. Ora si torna all’antico, alla tradizione che gli americani cominciavano a odiare: quella dei Bush, dei Clinton, degli Obama. Tutti finti buoni, come i finti buoni europei. Come Joe Biden, “il nonno d’America”. Guardate quei filmati, in cui riceve le famiglie: voi affidereste un bambino a Biden? Glielo fareste avvicinare? Il “nonno d’America” è suadente, ma solo nelle forme: quando aveva a fare con l’Iraq era un assatanato guerrafondaio, uno dei più feroci. Adesso fa la faccia del buono: così hanno sempre fatto, questi democratici americani. Apparenza vellutata, per mascherate azioni orribili.Non è che l’altra piramide di potere sia migliore, quella repubblicana e conservatrice: è solo meno brava, a fare il male. E’ più confusionaria: e quindi, in questa fase, meno pericolosa. E’ il classico gioco delle piramidi oscure, del divide et impera, del potere. Un gioco che, con le sue pantomime e le sue sceneggiate puntualmente riprese dai media, tende a ipnotizzarci. E’ un gioco che ci vuole distrarre, quando in realtà ci vogliono togliere la libertà, quando ci vogliono iper-vaccinare e iper-tassare, così come quando vogliono cambiare i programmi scolastici, devastare l’ambiente, elettromagnetizzare il mondo. Ci distrae, il gioco delle piramidi di potere, quando vogliono renderci degli automi sensoriali. Questo vogliono fare, ma noi resistiamo: per questo sono costretti a inventarsene sempre di nuove. L’umanità, infatti, è in risveglio: un po’ alla volta, cresce l’impulso a volere il bene dell’ambiente, delle persone intorno a noi. Non vogliamo limitazioni alla libertà, vogliamo ideali buoni: una pedagogia sana, una medicina buona che non danneggi la salute.Loro cercano di distrarci, per sottometterci alle loro politiche anti-umane. Noi che facciamo? Non certo i colpi i Stato in America o a Palazzo Chigi, e nemmeno in Vaticano, o in Germania. Però una cosa la possiamo fare, quella che a loro dà più fastidio: continuare a essere liberi interiormente. Criticarli, guardarli. Denunciare in tutti modi, senza malanimo, quello che fanno: denunciarlo come cosa, semplicemente, da non fare. Indignarsi, restando però sereni, per poter fare la cosa che a questi poteri dà più fastidio: fare il bene, intorno a noi. Per non cadere nelle loro trappole, coltivare ideali, amare il prossimo. Il nostro compito è orizzontale, intorno a noi: aumentiamo la nostra capacità di fare il bene, e vinceremo questa battaglia contro i poteri, il cui unico intento è ipnotizzarci, per poterci catturare. Restiamo liberi di fare il bene: l’importante è non dare alcuna credibilità, alle voci mediatiche del potere, sapendo che stanno cercando di fregarci. Riuniamoci in gruppi, per fare il bene. Da questi gruppi, un giorno, nascerà una nuova società. Una nuova politica, una nuova collettività: migliore, e più sana.(Fausto Carotenuto, estratto dal video-intervento “Colpo di Stato fallito o manovra del Deep State riuscita?”, pubblicata su “Coscienze in Rete” il 7 gennaio 2021. Carotenuto è stato, per lunghi anni, analista strategico dell’intelligence Nato).Negli anni prima di Trump, la successone di presidenti orribili (i Bush, Clinton, Obama) aveva stancato il popolo americano. Non ne poteva più del loro interventismo globalista, che sacrificava gli stessi interessi degli Stati Uniti, favorendo la Fed e il militarismo. E allora che cosa si fa, in questi casi? Si prende un personaggio “nuovo”, che possa sembrare antipolitico (come il nostro Berlusconi). Ad agire è sempre lo stesso Deep State, che dice: devo poter tornare ad avere i miei “mercenari”, quei soggetti che hanno governato finora. Sono famiglie, gruppi, massonerie, personaggi dipendenti da certi ordini religiosi: preparati per lunghi anni, bravissimi a fare le politiche mondialiste di schiavizzazione, di alterazione della cultura, di elettromagnetizzazione del mondo. Solo che la gente, a un certo punto, non si fida più. E allora il potere dice: facciamo finta che ne venga fuori uno “nuovo”. Deve avere però una caratteristica: dev’essere ridicolizzabile, strano, pieno di vizi. Dev’essere criticabile: perché, dal giorno in cui andrà al potere, dovrà essere criticato. Si dovrà poter dire: è vero che ha sposato tanti temi buoni, o quantomeno popolari e contrari a tutte le malafette del potere, ma noi intanto cominciamo a “sporcarlo”. Vuoi vedere che, “sporcando” lui, prima o poi riusciamo a sporcare anche quei temi che la gente ha sposato?