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Magaldi: a casa, con Renzi, tutti i dirigenti dell’ipocrita Pd
E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale: «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».Le elezioni? Tutto come previsto: il grande sconfitto è Renzi, che ha solo finto di alzare la voce con l’Ue. L’altro perdente annunciato è Berlusconi, «quindi esce sconfitto quell’auspucio, caldeggiato anche da ambienti sovranazionali, che è stato uno dei moventi di questa legge elettorale». Sipario sul “Renzusconi”, cioè sulle larghe intese «convergenti verso questa melassa centrista infeconda che ha caratterizzato anche le passate legislature, da Monti in poi: esecutivi che hanno fatto tutti lo stesso mestiere, a quanto pare inviso agli italiani, che questa volta hanno dato una bella bastonata a questa prospettiva». Così Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ai microfoni di “Colors Radio” il giorno dopo il voto. Una tornata ricca di conferme: «Come immaginato, nessuno ha vinto davvero: grandi exploit da Salvini e dai 5 Stelle, ma nessuno di loro ha i numeri per governare da solo». Terza previsione azzeccata: «Nulla sarà più come prima», ma siamo piombati in una palude: «E le paludi sono feconde, come il concime». Mattarella darà la precedenza al centrodestra, la coalizione meglio piazzata, o ai 5 Stelle primo partito? Un’alleanza tra grillini e Pd de-renzizzato «sarebbe un abbraccio singolare, dopo che il Pd ha demonizzato i 5 Stelle come fossero gli Unni». Eppure, «questa alleanza potrebbe vedere il favore di Mattarella, ed è quella verso cui si è mosso Di Maio». Per contro, escludere i 5 Stelle, cioè i più votati in assoluto, «sarebbe una beffa: impensabile, ai tempi della Prima Repubblica».Per Magaldi «cambieranno molte cose di giorno in giorno: ciò che oggi appare improbabile potrebbe mutare prospettiva, oltre questo scenario così ostico». Emergeranno soluzioni «difficili da concepire con gli schemi di prima del voto». Alla fine, «sulle difficoltà politiche prevarranno le possibilità numeriche». Molto dipenderà dal presidente della Repubblica: nel 2013, Napolitano dette a Bersani solo un incarico esplorativo ufficioso. «Constatando l’eccezionalità della situazione», aggiunge Magaldi, «anziché lasciare tutto all’interno nel Palazzo», il Quirinale potrebbe passare la palla al Parlamento, «per vedere chi ci sta, sulla base di un programma, a formare un governo». Certo, la “palude” è infida. Ma almeno, il voto ha stabilito una tendenza: ha reso chiaro «quello che gli italiani non vogliono». Ovvero: «C’è il desiderio di affrancarsi da un corso politico: direi che l’ingloriosa storia della Seconda Repubblica finisce qui». C’è da rivalutare semmai la tanto vilipesa Prima Repubblica, «in cui un paese in ginocchio dopo la guerra, dopo la sconfitta della barbarie nazifascista, in pochi decenni era diventato una grande potenza industriale». Ma c’era un paradigma vigente – la spesa pubblica strategica, chiave del successo storico del “made in Italy”: paradigma abbattuto dal ‘92 in poi. «E questi signori, che sono venuti a raccontarci le “magnifiche sorti e progressive” che con la Seconda Repubblica si sarebbero avverate in Italia e in Europa, oggi escono di scena», sintetizza Magaldi. «Compaiono altri attori, dalle prospettive incerte».Un voto “utile”, comunque, a ramazzare via gli orpelli polverosi. Come “Liberi e Uguali”, che Magaldi definisce «una follia pianificata». E spiega: «Solo l’immaginazione malsana e l’assenza di senso della realtà e lungimiranza di Bersani e D’Alema, Civati e Speranza, poteva immaginare che Grasso potesse essere il portavoce carismatico e ricco di appeal per un elettorato di sinistra critico verso il Pd». Se in Grasso e Bersani prevale l’ipocrisia, nel dirsi “di sinistra” sottoscrivendo il protocollo dell’euro-austerity, in Emma Bonino versione 2018 ha invece stravinto il delirio: «Sconcertante, la Bonino, nel venirci a proporre “più Europa”. Un messaggio thatcheriano: lo statista come il buon padre di famiglia che deve preoccuparsi di ripagare i debiti, come se il debito pubblico fosse il debito privato, che va ripagato perché c’è la cambiale che scade». In una macroeconomia, cioè in un sistema economico complesso, il debito pubblico – insieme all’inflazione, agli investimenti a deficit – è uno dei fattori da maneggiare con oculatezza, «sapendo che uno Stato con sovranità monetaria gestisce le cose non come una famiglia privata (che non può stampare i soldi in cantina): uno Stato più fare deficit per aumentare il Pil e diminuire così, anziché coi tagli alla sanità, il rapporto malsano tra debito e Pil».Da Emma Bonino abbiamo sentito assurdità mostruose: bloccare la spesa pubblica per i prossimi due anni, alzare l’Iva. «Questo è un paese martoriato dalle tasse, dove i consumi sono crollati e c’è l’esigenza di far circolare moneta e tenere più bassa la pressione fiscale», puntualizza Magaldi. «Soltanto dei pazzi potrebbero pensare di tagliare ancora la spesa e aumentare ulteriormente le tasse». E in campagna elettorale questo delirio ha avuto libero corso, «complice anche un linguaggio mediatico alterato». Già, infatti: «A che livello è scesa la comunicazione giornalistica, in Italia? Rappresenta le cose per come non sono. E’ lo stesso giornalismo che aveva fatto credere a Mario Monti di avere un consenso maggioritario nel paese, nel 2013, quando i giornaloni titolavano che finalmente l’Italia eta governata da illuminati professori. Monti e la Fornero ci sono stati proposti come sacerdoti del “vero” economico, per settimane, da quell’altro bel tomo di Giovanni Floris». Oltre al vecchio ceto politico, insiste Magaldi, «dovremmo rottamare un ceto mediatico corporativo, con giornalisti che si intervistano a vicenda, elevando la figura del giornalista a grande intellettuale e politologo – ma spesso è gente che non conosce nemmeno i rudimenti della storia patria, non parliamo dell’economia internazionale».Altra mistificazione: gli apostoli della Costituzione “più bella del mondo” che si professano nemici della massoneria – Di Maio in primis – dimenticando il massone conclamato Meuccio Ruini, presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigerne il testo (e il capo di gabinetto di Ruini era il grande economista Federico Caffè, insigne keynesiano). «Se vuole governare l’Italia – dichiara Magaldi – Di Maio dovrà affrancarsi dalle proprie fobie e immaturità illiberali e anticostituzionali. Nella lista di possibili ministri che ha presentato ci si richiama a John Maynard Keynes, altro notorio massone al pari di Franklin Delano Roosevelt: colonne portanti del mondo post-bellico, cioè di ciò che ha consentito il ritorno della libertà in Europa e nel mondo. Quindi merita riconoscenza quella corrente maggioritaria di massoneria che ha prima costruito e poi difeso le società aperte, liberali, parlamentarizzate e democratiche». Sono verità storiche che per Magaldi vanno finalmente acquisite, se si vuole fronteggiare davvero questa Disunione Europea «in cui vige il mercantilismo più spudorato da parte della Germania».Mercantilismo: dottrina econonica (superata dal libero mercato) secondo cui la ricchezza della nazione sta nel surplus di esportazioni. «La Germania ha violato anche i pessimi trattati vigenti, che pur essendo pessimi non consentirebbero il mercantilismo», insiste Magaldi. «Siamo al di là del pessimo: abbiamo una costruzione europea non democratica, nata dalla Dichiarazione Schuman scritta dall’ex progressista Jean Monnet convertito all’idea economicistica dell’Europa, sulle idee di Kalergi, ideatore di una costruzione quasi neo-feudale dell’Europa», a imitazione del feudalesimo carolingio. E’ un’Europa pericolosa, «fondata su un’idea di sfiducia verso la democrazia e verso la politica». Orrore: «O il potere spetta al popolo sovrano, oppure spetta a sedicenti illuminati – poco importa che utilizzino strumenti finanziari, diplomatici, militari, religiosi o mediatici. O il popolo è sovrano, o è sovrano qualcun altro», aggiunge Magaldi. «Dovremmo avere un Parlamento Europeo che rappresenta il popolo sovrano, con una potestà legislativa piena, con facoltà di fiduciare o sfiduciare un esecutivio europeo reale, al posto di questa barzotta Commissione Europea. Juncker e Tajani? Figure stucchevoli, a cui non lascerei gestire neppure un condominio, e invece sono ai vertici. Dovremmo avere un dipartimento del Tesoro e buoni del Tesoro europei che taglino alla radice qualunque cataclisma da spread, vero o presunto». Di Maio e Salvini presentati come antieuropeisti? Errore: «I veri antieuropeisti sono quelli che oggi infestano le cancellerie europee e gli organi tecnocratici di questa Unione Europea». Ma i neo-vincitori sapranno cambiare passo, verso Bruxelles?«Non vorrei che le istanze euro-critiche del Movimento 5 Stelle si andassero appannando, nel percorso politico che si avvia con queste consultazioni», dice Magaldi. «Mi piacerebbe che tutti gli schieramenti in Parlamento avessero un nuovo modo di guardare all’Europa». C’è anche un problema di legittima rappresentanza delle istanze nazionali: «L’Italia è un grande contraente dell’Ue e dell’Eurozona, eppure ha visto sfumare anche un riconoscimento simbolico come l’attribuzione dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco. E’ finita in farsa, l’Italia è stata defraudata anche di questa piccola cosa. E il peggio è che si è vista la latitanza delle istituzioni italiane nel far valere le ragioni del nostro paese». Disunione Europea, appunto: «Un equilibrio di cancellerie, che perseguono scopi nazionali mascherati da un’impalcatura burocratica. Spero che tutti – non solo i vincitori relativi di queste elezioni – ripensino il modo in cui l’Italia deve stare in Europa». L’Italia? «Deve essere più autorevole: non lo è stata affatto quando è venuto il tecnocrate Mario Monti, inviato direttamente dai salotti buoni europei. L’elemento più sublime della sua narrazione era che dovessimo fare quel che ci diceva “l’Europa”, perché l’avevamo interiorizzato. Uno scenario da Grande Fratello orwelliano: abdicare al proprio libero pensiero critico e fare qualcosa che viene imposto da altri, perché eseguire senza discutere è cosa buona e giusta».Nei fatti, alla “teologia” dell’Ue si è sottomesso anche Renzi, che ora trasforma in farsa le sue dimissioni, dopo aver corso a capofitto verso la disfatta. «Sarebbe passato quasi per eroe – dice Magaldi – se solo avesse avuto il coraggio di inserire nel fatale referendum almeno il pareggio di bilancio in Costuzione, lasciando esprimere gli italiani». L’obbligo costituzionale del bilancio in pareggio, afferma Magaldi, «riporta il sedicente centrosinistra egemonizzato dal Pd alla destra storica di Quintino Sella, che conseguì il pareggio di bilancio nella seconda metà dell’800, quando al governo c’era il liberismo storico più bieco e spietato, che mandava Bava Beccaris a massacrare contadini, operai e povera gente che manifestava contro la tassa sul macinato e per le condizioni sociali allora davvero inique». Attenzione: su un tema come il pareggio di bilancio, di importanza capitale per la vita di tutti, non c’è stato uno straccio di dibattito mediatico: «Questo è un paese che parla a reti unificate solo di questioni irrisorie, mentre quando si votata il pareggio di bilancio gli eletti in Parlamento hanno agito come soldatini obbedienti, senza nessuna eccezione». Dov’era, il Pd? In aula, a votare: uso obbedir tacendo. «Via Renzi, il nuovo che avanza sarebbe Gentiloni, che ha fatto un governo renziano in linea con quelli di Monti e Letta? E gli altri che stanno nel Pd? Quando mai hanno levato la loro voce per proporre una traiettoria diversa? Sono tutti responsabili di questa bastosta. E’ una classe politica, quella del Pd, che deve andare a casa».Vale anche per l’Europa, aggiunge Magaldi: il Pd sta nell’alleanza dei socialisti democratici, e in tutta Europa «i socialisti sono chiaramente in regressione perché non hanno nessuna proposta socialista». Magaldi si definisce liberalsocialista: «L’elemento socialista ci deve essere: è la capacità di costruire un contesto di giustizia e mobilità sociale, in cui lo Stato abbia un ruolo dinamico e complementare a quello del libero mercato (e dove ci sia davvero libero mercato, senza monopoli, oligopoli e conflitti d’interesse)». Tutto ciò è mancato: poi qualcuno si lamenta se “la sinistra” è in estinzione. «E poi c’è il grande rimosso: John Maynard Keynes. Oggi, in tanti dicono che vogliono riscoprirlo: li aspettiamo al varco». L’eventuale Pd post-renziano? Può avere un senso solo a una condizione: che si dimetta, insieme a Renzi, chiunque abbia avuto un ruolo dirigente. «E se si deve eleggere un nuovo segretario, lo si faccia con un dibattito corale e democratico molto ampio, molto lungo e molto doloroso», perché la sincerità è una medicina amara. Sempre che ne valga la pena, di salvare il Pd: i tempi stanno cambiando velocemente. E Magaldi (promotore dell’ipotesi Pdp, Partito Democratico Progressista) è fra quanti pensano che forse sia il caso di «costruire qualcosa di nuovo, da offrire a un paese vistosamente lacerato».E dire che l’aveva avvertito: Matteo, cambia politica o vai a sbattere. Oggi, a previsione regolarmente avveratasi, Gioele Magaldi rilancia: se Renzi va a casa, dopo essersi sottomesso ai diktat dell’oligarchia di Bruxelles, dovrebbe dimettersi l’intero gruppo dirigente del Pd. Non si salva nessuno, hanno tutti tradito qualsiasi idea di giustizia sociale. Il pareggio di bilancio? Lo fece Quintino Sella, all’epoca in cui la destra mandava Bava Beccaris a sparare sulla folla. «Il sedicente centrosinistra italiano egemonizzato dal Pd ha rinnegato l’anima stessa del socialismo liberale keynesiano, calpestata dall’ordoliberismo dell’Ue, il brutale mercantilismo degli opposti nazionalismi competitivi su cui si fonda la Disunione Europea». Con buona pace dei recenti deliri di Emma Bonino, giustamente punita – insieme a Renzi – dagli elettori italiani, stanchi della finzione falso-europeista del rigore “teologico” imposto come dogma. E a proposito: c’è da sperare che Luigi Di Maio e Matteo Salvini, «vincitori relativi» del 4 marzo, non deludano chi li ha appena votati. Guai se dimenticano che l’Italia non può continuare a stare in Europa in questo modo, subendo qualsiasi decisione «presa a tavolino da Macron, dalla Merkel e dai loro satelliti nord-europei». Deve rialzarsi in piedi, l’Italia, e dire la sua per mettere fine a questa pseudo-Europa antidemocratica, «concepita come il Sacro Romano Impero di Carlo Magno, con i tecnocrati al posto dei vassalli feudali».
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Dopo le elezioni, tutto come prima: l’Italia resta sottomessa
Tutto come prima: qualcuno sale e qualcuno scende, dopo le elezioni, ma la canzone non cambia. L’Italia resta sotto schiaffo, alla mercé dell’ordololiberismo finto-europeista che impone il rigore, cioè la depressione economica, sulla base di regole truccate come il tetto imposto alla spesa pubblica, non oltre il 3% del Pil, con il vincolo del pareggio di bilancio e l’incubo incombente del Fiscal Compact. L’unica vera notizia del 4 marzo è che ben tre italiani su quattro sono andati a votare: astensionismo limitato al 25%, contro l’atteso 35% annunciato dai sondaggi. Per il resto, previsioni rispettate al millimetro: la débacle di Renzi, il pletorico successo dei 5 Stelle, la preminenza aritmetica del centrodestra. Spiccioli di cronaca: Di Maio e soci sopra il 30%, Salvini davanti a Berlusconi, il Pd sotto il 20%. Nessuna delle liste-contro, da “Potere al Popolo” a CasaPound, ha raggiunto il 3%, cioè il sospirato accesso al Parlamento. Un pericolo – l’esclusione dall’aula – sfiorato dall’imbarazzante cartello “Liberi e Uguali” (D’Alema e Bersani, Grasso e Boldrini), dato oltre il 5% e invece fermatosi appena sopra la soglia minima per ottenere qualche poltrona. Risultato più che scontato: Parlamento ingovernabile, se non mediante larghe intese. «Troveranno il modo di mettersi d’accordo, anche Di Maio è pronto a fare inciuci», avverte Gianfranco Carpeoro. «Gentiloni o un altro? Non è che cambi granché. Il problema non è la figura, è quello che deve fare: o meglio, quello che sarà costretto a fare, perché l’Italia è sovragestita».Esponente del Movimento Roosevelt, scrittore, simbologo, avvocato di lungo corso con un passato socialista, Carpeoro ha le idee chiare sul voto: «Centrodestra o 5 Stelle, non cambia niente: non esiste un rischio maggiore, è la stessa cosa. Perché chiunque vince, lo fa in nome di una sovragestione unica, che porta allo stesso tipo di governo», ha detto Carpeoro, a urne ancora aperte. «E’ assolutamente irrilevante, sapere chi vince: se i partiti che vincono sono quelli che vincono per effetto della sovragestione, devono rispondere alla sovragestione». Parole che Carpeoro ha affidato a Fabio Frabetti di “Border Nights”, nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube. «Non si scappa, se fai parte di quello schema. I 5 Stelle non ne facevano parte? Ma poi Di Maio ha fatto un bel viaggio a Londra, un bel viaggio in America… E comunque c’erano già le premesse anche prima, perché non è che Casaleggio fosse una realtà così staccata dal potere. Poi però con Di Maio hanno fatto capire che cosa vogliono fare, no?». Basta vedere l’ipotetico governo presentato in anticipo a Mattarella, con il neoliberista Fioramonti all’economia. «Non è che non pretendano garanzie, quelli a cui hai chiesto aiuto a Londra e in America: impongono il tuo appoggio, la tua la non-ostilità, l’assicurazione che non verrebbe ostacolato il loro progetto». E se vai al governo e poi non ne tieni conto? «Potresti fare la fine di Craxi, o quella di Olof Palme».Per Carpeoro, cha ha lanciato l’idea di promuovere in primavera un convegno sul grande leader svedese, assassinato a Stoccolma nel 1986 mentre era premier, in procinto di essere eletto segretario generale dell’Onu, Olof Palme – cui guardavano Craxi, il tedesco Helmut Schmidt e lo stesso Mitterrand – avrebbe cambiato volto all’Europa, impedendo l’instaurarsi del regime Ue (quello che, ancora oggi, sottrae all’Italia la possibilità di qualsiasi alternativa elettorale al dominio dell’oligarchia finanziaria). «Le sue idee sono ancora attuali, perché Olof Palme era avanti di trent’anni», sottolinea Carpeoro. «Aveva contestato agli Usa il fatto di fare guerre sempre a casa degli altri, aveva polemizzano aspramente con l’Urss per l’invasione di Praga, e soprattutto aveva un progetto economico basato su un sistema misto, pubblico-privato, con la compartecipazione dei lavoratori nelle aziende pubbliche e private, sistema che aveva consentito alla Svezia di uscire dalla crisi economica che invece colpiva gli altri paesi. In più era un ecologista, voleva affrancarsi dagli idrocarburi e dalla schiavitù del petrolio, sosteneva già progetti di energia alternativa». E’ stato fermato, colpito alla schiena da un killer invisibile e tuttora ignoto. «Faceva paura, perché avrebbe ostacolato gli interessi della sovragestione: tutta una serie di equilibri politici che su quelle realtà economiche sono fondati hanno rintenuto di farlo ammazzare. Aveva la capacità, le idee e la visione per costruire delle cose diverse».Da un gigante come Olof Palme ai nani dell’attuale politica italiana: Matteo Renzi in fuga dai giornalisti, con il Pd ridotto al 19%. La scissione di D’Alema e Bersani fermatasi sotto il 4%. Berlusconi appena sopra il 13%, dopo aver lanciato l’euro-maggiordomo Tajani, garantendo ai poteri forti europei il rispetto delle regole di ferro, l’austerity che sta devastando l’Italia. Il successo della Lega di Salvini, che sorprassa il Cavaliere e ormai tallona il Pd, è gravemente condizionato proprio dall’alleanza con Forza Italia, prona ai diktat di Bruxelles. Quanto ai 5 Stelle, hanno fatto il pieno nel centro-sud grazie alla promessa del reddito di cittadinanza, ma Di Maio ha già messo le mani avanti presentando il suo ipotetico esecutivo di tecnocrati: «Sembra il governo Monti senza Monti», commenta desolatamente Gioele Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt. Cosa accadrà ora? Se lo domandano tutti i giornalisti. Non Carpeoro: a prescindere dal nome del futuro premier e dal colore del suo partito, per gli italiani non cambierà assolutamente niente. Non cambia il programma: rigore, sofferenze, vincoli, sottomissione all’élite finanziaria che si è impadronita dell’Ue. Sono corsi a votare, gli italiani, ma – a quanto pare – è come se non avesse votato nessuno: tutto è esattamente come prima. La nave rischia di affondare, e la rotta (ancora una volta) non sarà decisa da chi siede a Roma.Tutto come prima: qualcuno sale e qualcuno scende, dopo le elezioni, ma la canzone non cambia. L’Italia resta sotto schiaffo, alla mercé dell’ordoliberismo finto-europeista che impone il rigore, cioè la depressione economica, sulla base di regole truccate come il tetto imposto alla spesa pubblica, non oltre il 3% del Pil, con il vincolo del pareggio di bilancio e l’incubo incombente del Fiscal Compact. L’unica vera notizia del 4 marzo è che ben tre italiani su quattro sono andati a votare: astensionismo limitato al 27%, contro l’atteso 35% annunciato dai sondaggi. Per il resto, previsioni rispettate al millimetro: la débacle di Renzi, il pletorico successo dei 5 Stelle, la preminenza aritmetica del centrodestra. Spiccioli di cronaca: Di Maio e soci sopra il 30%, Salvini davanti a Berlusconi, il Pd sotto il 20%. Nessuna delle liste-contro, da “Potere al Popolo” a CasaPound, ha raggiunto il 3%, cioè il sospirato accesso al Parlamento. Un pericolo – l’esclusione dall’aula – sfiorato dall’imbarazzante cartello “Liberi e Uguali” (D’Alema e Bersani, Grasso e Boldrini), dato oltre il 5% e invece fermatosi appena sopra la soglia minima per ottenere qualche poltrona. Risultato più che scontato: Parlamento ingovernabile, se non mediante larghe intese. «Troveranno il modo di mettersi d’accordo, anche Di Maio è pronto a fare inciuci», avverte Gianfranco Carpeoro. «Gentiloni o un altro? Non è che cambi granché. Il problema non è la figura, è quello che deve fare: o meglio, quello che sarà costretto a fare, perché l’Italia è sovragestita».
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Magaldi: potessimo “votare” per Olof Palme, cioè per l’Italia
Votare per Olof Palme, il 4 marzo? Un sogno impossibile: il leader svedese è stato assassinato 32 anni fa, mentre era primo ministro, alla vigilia della sua probabile elezione all’Onu come segretario generale. Se fosse ancora qui, probabilmente, gli italiani avrebbero ben altri candidati da scegliere, alle elezioni. E tra Bruxelles, Berlino e Francoforte siederebbe tutt’altro genere di politici e tecnocrati. Per questo, idealmente, Gioele Magaldi “vota” per Palme, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno in primavera, a Milano: «Il leader socialdemocratico svedese era probabilmente il più grande ostacolo alla costruzione di questa Europa matrigna, tecnocratica, economicistica e antidemocratica, che ha condannato l’Italia a 25 anni di declino». Lo conferma il triste spettacolo dell’offerta elettorale, con programmi-burla e nomi più che grigi, da Tajani a Gentiloni, già pronti per il probabilissimo inciucio che ci attende. Di Maio? Idem: «Invece di avanzare un’alternativa politica rispetto all’andazzo degli ultimi anni, la squadra di ministri tecnici che ha presentato sembra davvero il governo Monti senza Monti: la montagna ha partorito il topolino, per usare un’espressione di “Dagospia”».Non lasciatevi ingannare dalle apparenze: quello che ci aspetta è solo «una grande palude», sostiene Magaldi, a colloquio con David Gramiccioli di “Colors Radio”. «Nel mondo che Berlusconi auspicherebbe, cioè con una centralità di Forza Italia dopo il voto del 4 marzo», il presidente del Parlamento Europeo «sarebbe la carta perfetta, perché gli consentirebbe di avere un suo uomo gradito ai salotti e agli organi istituzionali europei». In fondo, Antonio Tajani «è il Gentiloni del centrodestra: non dà troppo disturbo e sarebbe perfetto per non suscitare particolari avversioni da parte di nessuno. E’ percepito come un moderato, senza infamia né lode. Ma per vederlo a Palazzo Chigi dovrebbe vincere il centrodestra, con Forza Italia in vantaggio sulla Lega: condizioni non facilissime da realizzarsi». Di fatto, «Tajani è un candidato ecumenico che può piacere a tanti, come si fa finta che possa piacere Gentiloni». Ma in realtà, dichiara Magaldi, «sono personalità diafane, prive di un reale spessore, non in grado di imprimere una qualche direzione: sono terminali di chi sta loro dietro: lo è stato Gentiloni in rapporto a Renzi, anche se adesso Gentiloni sembra vivere di vita propria».In più, Tajani è ritenuto un valido “maggiordomo”, adatto a difendere il Cavaliere da eventuali colpi provenienti da Bruxelles: «Berlusconi è traumatizzato da quello che accadde nel 2011, cioè dall’intervento di poteri massonici molto forti, che a suo tempo lo hanno defenestrato con le buone e con le cattive». E’ ancora traumatizzato, l’uomo di Arcore, «dalla delegittimazione che poteri forti e fortissimi gli hanno imposto». Secondo Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela il ruolo della supermassoneria sovranazionale nel massimo potere mondiale, «oligarchie massoniche internazionali stanno valutando la possibilità di completare questa rilegittimazione di Berlusconi nel quadro di un governo di neo-solidarietà nazionale. A questo – aggiunge – sono funzionali anche le vicende di violenza politica, gli accenni di scontri tra neofascisti e antifascisti squadristici, che ci ricordano gli anni di piombo». C’è un clima strano, avverte Magaldi: da un lato si sostiene che bisogna «accompagnare la presunta crescita che sarebbe iniziata (ma che non c’è)», e dall’altro, sotto sotto, Pd e Forza Italia si strizzano l’occhio accampando «ragioni di argine rispetto al populismo, che – dicono – potrebbe diventare feroce, sfociando in violenza aperta».Anche per questo, da tempo, lo stesso Berlusconi «cerca di riconquistare una qualche forma di credibilità, o di addirittura di avallare l’idea che sia meglio lui, in fondo, di quei “guastafeste teppistoidi” del Movimento 5 Stelle, che sono i nuovi “barbari” nella neo-narrazione berlusconiana». In realtà non ci sono barbari, sottolinea Magaldi, e Tajani «sta solo facendo il suo compitino». Purtroppo i politici italiani sono talmente ininfluenti che non sono stati capaci nemmeno di assicurare a Milano la briciola dell’Ema, l’Agenzia Europea del Farmaco: «E’ un’Italia che pesa pochissimo, eppure ha in Tajani un alto rappresentante in sede europea: se non è in grado di fare granché per l’Italia lì, figuriamoci da primo ministro». Ma niente paura: «Non credo che ci saranno le condizioni per cui Tajani possa ricevere l’incarico da Mattarella, né credo che l’incarico sarà offerto a Di Maio». Delusione 5 Stelle: «E’ indice di trasparenza la decisione di presentare in anticipo la lista di ministri in pectore, ma perché reclutare solo tecnici? Professori, magistrati e militari dovrebbero fare il loro mestiere, non i ministri. Non c’era personale politico adeguato? Che la società civile sia meglio della società politica è un’idea antidemocratica, sdoganata da Berlusconi».Per Magaldi, il destino che ci attende è ancora una volta quello delle larghe intese: «Una prospettiva esiziale, per il popolo italiano. Non abbiamo bisogno di ulteriori governicchi come quelli di Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, che hanno semplicemente accompagnato la decadenza dell’Italia in nome di presunti obiettivi superiori, guidati dalla mano autorevole degli “illuminati” reggitori di quest’Europa matrigna». Liste elettorali alla mano, «tutto dovrebbe continuare come prima». Cioè malissimo, per l’Italia. «Da qualche decennio c’è chi lavora in modo verminoso, proprio come vermi che rosicchino dall’interno, per rendere le istituzioni democratiche imbelli e anche poco gradite ai cittadini», ribadisce Magaldi. «Tutti capiscono che queste istituzioni ripiegate su se stesse sono in realtà un’élite reazionaria, che ci ha proiettato in un incubo post-democratico. Il modello Palme? Serve anche per arginare questo tumore». Il Movimento Roosevelt ha dato il suo “endorsement” a pochi, selezionati candidati: come Pino Cabras a Paolo Margari (5 Stelle), Simone Orlandini (Lega), Felice Besostri e Chiara Mariotti (“Liberi e Uguali”). «Poi ci sono altri candidati a noi vicini: una volta in Parlamento – dice Magaldi – vigileranno per impedire manovre antidemocratiche». Indicazioni generali di voto, tranne che per i candidati “amici”? «Scheda bianca o nulla, oppure astensionismo». Sperando di poter, domani, “votare” per Olof Palme.Votare per Olof Palme, il 4 marzo? Un sogno impossibile: il leader svedese è stato assassinato 32 anni fa, mentre era primo ministro, alla vigilia della sua probabile elezione all’Onu come segretario generale. Se fosse ancora qui, probabilmente, gli italiani avrebbero ben altri candidati da scegliere, alle elezioni. E tra Bruxelles, Berlino e Francoforte siederebbe tutt’altro genere di politici e tecnocrati. Per questo, idealmente, Gioele Magaldi “vota” per Palme, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno in primavera, a Milano: «Il leader socialdemocratico svedese era probabilmente il più grande ostacolo alla costruzione di questa Europa matrigna, tecnocratica, economicistica e antidemocratica, che ha condannato l’Italia a 25 anni di declino». Lo conferma il triste spettacolo dell’offerta elettorale, con programmi-burla e nomi più che grigi, da Tajani a Gentiloni, già pronti per il probabilissimo inciucio che ci attende. Di Maio? Idem: «Invece di avanzare un’alternativa politica rispetto all’andazzo degli ultimi anni, la squadra di ministri tecnici che ha presentato sembra davvero il governo Monti senza Monti: la montagna ha partorito il topolino, per usare un’espressione di “Dagospia”».
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Margari: liberare la politica, “comprata” dalle grandi lobby
«Non votare significa delegare a quei pochi, sempre meno, che decidono per gli altri. I quali, a loro volta, delegano il loro potere alle imprese. Stiamo trasformando la società in qualcosa in cui le imprese multinazionali ormai hanno capitali enormi, superiori ai Pil degli Stati: in alcuni casi possono comprarsi tutto il paese, incluso il presidente, e lo fanno». Paolo Margari, candidato 5 Stelle alla Camera nella sezione Europa, lancia l’allarme: «Tra gli italiani all’estero, l’astensionismo è alle stelle: pari al 70%. Uno su due non sa neppure che l’attuale premier si chiama Gentiloni». Letteralmente, 7 italiani su 10, iscritti all’Aire, non esercitano il proprio diritto di voto. «Molti non sanno per chi votare e dicono: non voto nessuno, siete tutti uguali». Protesta, Magari: «Non è vero, non siamo tutti uguali». Di sicuro non lo è il candidato grillino, tipico “cervello in fuga”: laureato in geografia economica, specializzato in politiche che coinvolgano i cittadini nello sviluppo locale. Diploma in economia e commercio, master a Sheffield in pianificazione territoriale. Parla quattro lingue, ha fondato un’impresa in Estonia ed è un super-consulente nel campo del marketing digitale. «Ma ho fatto anche il portiere d’albergo e il fotografo», dice. «Vivo a Buxelles, ma prima stavo nel Regno Unito. All’estero sono stato studente e lavoratore. Ho fatto ricerca accademica, e ho fatto pure il dipendente nel settore marketing per 7 anni». Adesso si candida. Missione: liberare la politica dal dominio improprio dell’economia.Grillino della prima ora: «Sono nei meet-up dal 2006, quando il Movimento 5 Stelle non era ancora nato». Prima, aveva tifato per i referendum radicali. Dopo il dibattito elettorale promosso a Londra da Marco Moiso con gli altri candidati, si è iscritto al Movimento Roosevelt. «Mi sono subito sentito a casa: questo è un posto dove si parla di politica, uno spazio per sviluppare buona politica. E credo che il Movimento 5 Stelle, in quello che dice e che fa, abbracci in pieno i principi del Movimento Roosevelt: democrazia progressiva, fondata sulla partecipazione. Diritti umani: rimettere la politica al centro della scena, e l’essere umano al centro della politica». Fondamentale, in un mondo in cui i partiti procedono solo per slogan, cambiando il proprio simbolo ogni cinque anni: «Un tempo avevano sezioni, idee e ideologie. Oggi hanno solo leader di formato televisivo. Si limitano a dire: aboliamo questo, tassiamo quest’altro. I cittadini non li capiscono, e si allontanano dalla politica», sintetizza Magari, in video-chat con Moiso. «Non sappiamo più chi siamo e dove andiamo, politicamente parlando. Per questo è decisivo aprire spazi per discutere e far partecipare i cittadini: devono contribuire direttamente al proprio futuro. Con il voto, certo, e anche con le forme di democrazia diretta: referendum, leggi di iniziativa popolare».L’economia, fatta di grandi gruppi di interesse privati, oggi pesa più dei governi stessi, che invece «dovrebbero operare nell’interesse della collettività per cercare sì di creare ambienti competitivi in cui i privati possono sviluppare il proprio ingegno e fare dei profitti, cercando però anche di non lasciare indietro le classi disagiate, quelle che non hanno le stesse opportunità di chi è più fortunato», sottolinea Moiso, coordinatore generale del movimento fondato nel 2015 da Gioele Magaldi. La politica ha rinunciato a riprendere in mano gli strumenti principali per incidere sulla società, insiste Moiso: «Nel momento in cui si delegano le politiche monetarie e le politiche economiche a poteri terzi, privati, e poi si accettano le regole che vengono imposte sulla politica, in realtà la politica ha le mani legate, non può più prendere in mano le sorti né di se stessa, né della collettività che deve rappresentare». Per il candidato Paolo Margari, molta politica è ormai «terreno di caccia», neo-colonialismo da parte delle multinazionali: «Col loro finanziamento impongono la loro direzione politica: “Vi costruiamo una strada, ma in cambio otteniamo questa legge”. Accade anche al politico che rastrella fondi per la campagna elettorale e poi deve servire chi l’ha finanziato».E questo meccanismo, aggiunge Margari, trasforma il politico: «Da rappresentante del popolo sovrano (che lo elegge) a rappresentante di chi lo finanzia. Questa è la democrazia americana, che ormai è diventata uguale anche in Europa: abbiamo politici che ottengono supporto e poi devono risponderne». E il popolo? «Assiste al triste teatrino elettorale televisivo, dove per qualche settimana volano accuse incrociate, all’ombra del sostegno ricevuto da questo o quel gruppo: è un mercato di scambio di favori». Capitolo spinoso, l’Unione Europea: «Nel momento in cui un paese delega sovranità a enti sovranazionali come l’Ue, senza legittimazione diretta da parte del popolo, questo allontana il cittadino dalle istituzioni che regolano questo spazio politico comune, perché poi l’istituzione impone ai paesi di seguire le direttive, e i cittadini devono subire qualcosa per cui non hanno mai votato». Aggiunge, Margari: «I cittadini non hanno neppure idea di come funzioni, l’Unione Europea. E allontanare i cittadini dall’Ue è un meccanismo davvero antieuropeista». Per questo, dice, il Movimento 5 Stelle è per la revisione dei trattati: «L’Europa sta andando a sbattere contro un muro, nella disaffezione generale». Avallare lo status quo? «Sarebbe una scelta suicida, quindi dobbiamo cambiare. Cioè: non amputare, ma curare. Non possiamo fare a meno della democrazia, dobbiamo guarirla».«Non votare significa delegare a quei pochi, sempre meno, che decidono per gli altri. I quali, a loro volta, delegano il loro potere alle imprese. Stiamo trasformando la società in qualcosa in cui le imprese multinazionali ormai hanno capitali enormi, superiori ai Pil degli Stati: in alcuni casi possono comprarsi tutto il paese, incluso il presidente, e lo fanno». Paolo Margari, candidato 5 Stelle alla Camera nella sezione Europa, lancia l’allarme: «Tra gli italiani all’estero, l’astensionismo è alle stelle: pari al 70%. Uno su due non sa neppure che l’attuale premier si chiama Gentiloni». Letteralmente, 7 italiani su 10, iscritti all’Aire, non esercitano il proprio diritto di voto. «Molti non sanno per chi votare e dicono: non voto nessuno, siete tutti uguali». Protesta, Magari: «Non è vero, non siamo tutti uguali». Di sicuro non lo è il candidato grillino, tipico “cervello in fuga”: laureato in geografia economica, specializzato in politiche che coinvolgano i cittadini nello sviluppo locale. Diploma in economia e commercio, master a Sheffield in pianificazione territoriale. Parla quattro lingue, ha fondato un’impresa in Estonia ed è un super-consulente nel campo del marketing digitale. «Ma ho fatto anche il portiere d’albergo e il fotografo», dice. «Vivo a Buxelles, ma prima stavo nel Regno Unito. All’estero sono stato studente e lavoratore. Ho fatto ricerca accademica, e ho fatto pure il dipendente nel settore marketing per 7 anni». Adesso si candida. Missione: liberare la politica dal dominio improprio dell’economia.
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Marmaglia grillista, manganello antifascista: e il potere ride
Marmaglia: quantità di gente rumorosa e turbolenta, tale da suscitare fastidio e disprezzo. Non c’è bisogno di consultare il vocabolario Treccani per scoprire cosa intendesse dire, Massimo Giannini, quando ha usato l’espressione “marmaglia grillista” (“Repubblica”, 18 febbraio) per qualificare gli italiani che guardano ai 5 Stelle. Fastidio e disprezzo per la “marmaglia” – cioè l’avversario, il nemico, il negro, l’ebreo, il comunista, il fascista – sono il pane quotidiano del neo-squadrismo dilagante. Un militante di “Potere al Popolo” accoltellato a Perugia, un attivista di Forza Nuova aggredito a Palermo. “Staniamo Di Stefano”, annuncia il fantomatico collettivo “Torino Antifascista”, annunciando un agguato dimostrativo al leader di CasaPound. Sulle barricate anche la fake-giustiziera Boldrini, che propone addirittura di abolirla per legge, la “marmaglia”, disciogliendo i gruppetti che inneggiano al ventennio che fu. Fermi tutti, per favore: «No ad antifascismi di maniera che adottino metodologie bastonatorie tipiche proprio della cultura fascio-comunista: violenta, illiberale e antidemocratica», scrive Gioele Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. E se proprio qualcuno vuole andare a caccia di “fascisti”, avverte un comunista doc come Marco Rizzo, lasci perdere i ragazzini dell’estrema destra: l’unico vero fascismo che conti, oggi, è quello dell’oligarchia finanziaria, il super-potere che nessun Giannini e nessuna Boldrini oseranno mai impensierire.«L’escalation di violenza va fermata», afferma il cossuttiano Rizzo, ora segretario del Partito Comunista. «Il potere è in crisi e quindi ha bisogno di riproporre una stagione simile a quella degli anni ’70, dove un’intera generazione di giovani è stata sacrificata. Da militante del ’77 – racconta – conosco molto bene le dinamiche che si possono scatenare e che il potere ha tutto l’interesse a incentivare, strumentalizzandole a proprio favore». In quegli anni, aggiunge Rizzo, le provocazioni e la logica degli “opposti estremismi” «servirono a fare il gioco del potere e a invocare la repressione: i giovani si scontravano, e alla fine vincevano i padroni». Oggi, dice, «il fascismo si combatte riprendendo le lotte tra i lavoratori, portando le parole d’ordine della solidarietà e dell’uguaglianza nei quartieri e nelle periferie, rifiutando la guerra tra poveri e dando una reale alternativa di lotta alle classi popolari, e non certo con l’antifascismo di facciata di chi ha scelto le banche e l’Unione Europea». Già dalla fine degli anni ’60, ricorda Magaldi, la “strategia della tensione” (lotta politica violenta, fino al terrorismo rosso e nero) «fu eterodiretta da quei “padroni del vapore sovranazionali” i quali avevano interesse ad alimentare un clima politico violento in Italia per propri scopi subdoli e inconfessabili». Scopi «del tutto lontani da quei pretesti pseudo-ideologici con cui veniva sobillata la lotta armata “neo-fascista” o delle cosiddette Brigate Rosse».In tempi come questi, «in cui la democrazia viene ridotta a mero formalismo rituale e svuotata di sostanza per interesse di élites oligarchiche», secondo Magaldi «l’eventuale ritorno della lotta politica violenta non può che giovare ai propugnatori degli “inciuci permanenti” e dei “governi di neo-solidarietà nazionale”, i quali servono soltanto ad anestetizzare proposte politiche alternative a quelle determinate dalla teologia dogmatica neoliberista e neoaristocratica». Dunque: rispetto e tolleranza, innanzitutto. «Non si fa antifascismo con la bastonatura di presunti fascisti. Ed è anche ora che chi si proclami antifascista si dichiari anche anticomunista, se vuole essere credibile in quanto autentico democratico e libertario: infatti, i regimi comunisti storicamente realizzatisi nel tempo sono stati altrettanto dispotici, totalitari, autoritari e liberticidi di quelli fascisti o fascistoidi». Violenza chiama violenza, avverte Magaldi: il che è tanto comodo, a chi vuole impedirci di riconquistare «democrazia sostanziale, libertà, giustizia, mobilità sociale e prosperità diffusa». Infatti: l’Italia è a pezzi, senza più una politica e con il bilancio appaltato a Bruxelles, ma per la Boldrini il pericolo sono le “fake news”. Oppure, citando Giannini, “l’accozzaglia forzaleghista”, che minaccia il paese al pari della “marmaglia grillista”. Il manganello è solo cartaceo, ma sprezzante. Un’idea infernale, come l’inferiorità biologica del nemico, nel ‘900 riempì fosse comuni e forni crematori.Marmaglia: quantità di gente rumorosa e turbolenta, tale da suscitare fastidio e disprezzo. Non c’è bisogno di consultare il vocabolario Treccani per scoprire cosa intendesse dire, Massimo Giannini, quando ha usato l’espressione “marmaglia grillista” (“Repubblica”, 18 febbraio) per qualificare gli italiani che guardano ai 5 Stelle. Fastidio e disprezzo per la “marmaglia” – cioè l’avversario, il nemico, il negro, l’ebreo, il comunista, il fascista – sono il pane quotidiano del neo-squadrismo dilagante. Un militante di “Potere al Popolo” accoltellato a Perugia, un attivista di Forza Nuova aggredito a Palermo. “Staniamo Di Stefano”, annuncia il fantomatico collettivo “Torino Antifascista”, annunciando un agguato dimostrativo al leader di CasaPound. Sulle barricate anche la fake-giustiziera Boldrini, che propone addirittura di abolirla per legge, la “marmaglia”, disciogliendo i gruppetti che inneggiano al ventennio che fu. Fermi tutti, per favore: «No ad antifascismi di maniera che adottino metodologie bastonatorie tipiche proprio della cultura fascio-comunista: violenta, illiberale e antidemocratica», scrive Gioele Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. E se proprio qualcuno vuole andare a caccia di “fascisti”, avverte un comunista doc come Marco Rizzo, lasci perdere i ragazzini dell’estrema destra: l’unico vero fascismo che conti, oggi, è quello dell’oligarchia finanziaria, il super-potere che nessun Giannini e nessuna Boldrini oseranno mai impensierire.
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I candidati del Movimento Roosevelt: un ponte per il futuro
United Colors of Democray: non importa in che lista sei candidato, l’essenziale è che ti impegni per il ritorno alla sovranità popolare: «Democrazia compiutamente dispiegata e funzionante, nelle istituzioni pubbliche», per affrontare «le sfide macropolitiche e macroeconomiche in corso». Visione comune: stop alla “privatizzazione” della politica, ormai vassalla di poteri economici internazionali. La notizia? Lo statuto del Movimento Roosevelt è stato sottoscritto da tre candidati diversissimi tra loro: Simone Orlandini (Lega), Paolo Margari (5 Stelle) e Chiara Mariotti (“Liberi e Uguali”). Li ha convinti il seguitissimo dibattito organizzato a Londra da Marco Moiso, coordinatore generale del movimento meta-partitico fondato da Gioele Magaldi. «Abbiamo messo attorno a un tavolo le storie e le idee dei candidati di tutti i partiti, che saranno votati dagli italiani all’estero». La sorpresa: alcuni condividono la piattaforma politica del Movimento Roosevelt e si sono già iscritti, altri si stanno avvicinando. Charisce Magaldi: «Non ci schieriamo con nessun partito e raccomandiamo di votare scheda bianca, oppure di annullare la scheda o, ancora, di non recarsi alle urne. Ma per alcuni candidati – meritevoli – facciamo un’eccezione: li sosterremo, sperando di poterli vedere in Parlamento: sicuramente quei tre, della circoscrizione estero, ma anche altri, candidati in Italia».Ai microfoni di “Colors Radio”, Magaldi fa altri nomi: per esempio quello di Pino Cabras, candidato in Sardegna coi 5 Stelle, o quello del giurista Felice Besostri, in lista a Savona con “Liberi e Uguali” e, peraltro, già iscritto al Movimento Roosevelt. Attenzione, premette Magaldi: «La nostra non è un’indicazione cogente: non siamo una caserma, ogni iscritto è libero di fare quello che crede». A livello nazionale, l’invito è esplicito: scheda bianca o astensione, «per protesta verso una campagna elettorale sleale», fatta di promesse “impossibili”. Una provocazione, il non-voto, per denunciare «l’inconsistenza dell’offerta politica attuale». Ovvero: nessuna delle forze in campo prefigura, in modo credibile, una via d’uscita dalla crisi, che è imposta dall’austerity europea. Di qui il boicottaggio del voto, sottolinea Magaldi, con però alcune eccezioni: «Questi candidati sottoscrivono il nostro progetto politico-culturale. Orlandini sta nella Lega, spesso xenofoba? Benissimo, darà forza agli impulsi democratici e libertari, in quel partito. Non ho nessuna stima per “Liberi e Uguali”, ma considero una “metastasi benigna” Chiara Mariotti». Altri candidati – da destra, centro e sinistra – sono in avvicinamento al Movimento Roosevelt: «Potremo essere una casa comune, dopo le elezioni, per ritrovare un orizzonte di senso in una politica italiana che è allo sbando».I candidati “roosveltiani”, dice Marco Moiso, «condividono i nostri valori di democrazia, libertà e giustizia sociale: che credono che sia la politica, e non gruppi di interesse privato, a doversi occupare del benessere della societá, su mandato dei cittadini». Tutto è dal dibattito di Londra, che ha suscitato molta curiosità: «E’ stata una soddisfazione ricevere cosi tanti messaggi di interessamento», racconta Moiso. «Molti elettori sono ormai aperti ad abbracciare l’approccio meta-partitico, volto a riunire persone di spiccata identità progressista e pronte ad abbracciare valori, principi e obiettivi a noi cari, nonostante evidenti differenze strategiche. Molte persone ci hanno addirittura ringraziato per le indicazioni di voto». Non c’è da stupirsi, aggiunge, se altri candidati «si sono arrabbiati dell’endorsement del Movimento Roosevelt: infatti ha un peso, visto che – seguendo un principio di massima equidistanza – siamo pronti a supportare tutti i candidati che si riconoscono in principi radicalmente progressisti e nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. E i candidati cui abbiamo dato appoggio sono degni della massima stima: abbracciano idee, valori e principi progressisti. Per questo hanno deciso di aderire a un meta-partito che se ne fa portavoce, ben sapendo che nel Movimento Roosevelt ci sono iscritti provenienti da tutti i partiti e movimenti».Certo, a volte c’è diffidenza tra candidati concorrenti che provengono da percorsi politici diversi. «Eppure, in nome delle idee che li animano, hanno deciso di aderire al Movimento Roosevelt», che secondo Moiso svolge un doppio ruolo: intanto formula precise indicazioni di voto, e domani «consentirà ai futuri parlamentari “rooseveltiani” di trovare un luogo di confronto e dialogo, al di là degli schieramenti e della narrativa politica mediatica». E’ una sorta di diplomazia strategica, avverte Moiso: «Grandi gruppi di interesse privato hanno intenzione di tenere divise le forze progressiste attorno a simboli e definizioni irrilevanti». Europeisti e anti-europeisti? Parole vuote, ormai, che servono solo al “divide et impera”. Una scommessa: unire forze distanti tra loro, attorno a un comune obiettivo nazionale. «Continueremo a combattere per la democrazia», promette Moiso, «affinché la politica sia sovraordinata all’economia e se ne serva per creare una società democratica, libera e socialmente giusta». Le elezioni del 4 marzo? Completamente inutili, sostiene Magaldi: meglio quindi boicottare il voto. Salvo che, appunto, per i candidati “rooseveltiani”: disponibili a costruire un dialogo sincero sulla grande crisi italiana, al di là delle rispettive casacche.United Colors of Democray: non importa in che lista sei candidato, l’essenziale è che ti impegni per il ritorno alla sovranità popolare: «Democrazia compiutamente dispiegata e funzionante, nelle istituzioni pubbliche», per affrontare «le sfide macropolitiche e macroeconomiche in corso». Visione comune: stop alla “privatizzazione” della politica, ormai vassalla di poteri economici internazionali. La notizia? Lo statuto del Movimento Roosevelt è stato sottoscritto da tre candidati diversissimi tra loro: Simone Orlandini (Lega), Paolo Margari (5 Stelle) e Chiara Mariotti (“Liberi e Uguali”). Li ha convinti il seguitissimo dibattito organizzato a Londra da Marco Moiso, coordinatore generale del movimento meta-partitico fondato da Gioele Magaldi. «Abbiamo messo attorno a un tavolo le storie e le idee dei candidati di tutti i partiti, che saranno votati dagli italiani all’estero». La sorpresa: alcuni condividono la piattaforma politica del Movimento Roosevelt e si sono già iscritti, altri si stanno avvicinando. Charisce Magaldi: «Non ci schieriamo con nessun partito e raccomandiamo di votare scheda bianca, oppure di annullare la scheda o, ancora, di non recarsi alle urne. Ma per alcuni candidati – meritevoli – facciamo un’eccezione: li sosterremo, sperando di poterli vedere in Parlamento: sicuramente quei tre, della circoscrizione estero, ma anche altri, candidati in Italia».
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Moiso: partiti da buttare, candidati no. Ripartiamo da loro
All’incontro con i candidati della circoscrizione Estero, ripartizione Europa, sapevamo che ci sarebbero stati molti giovani e volevamo parlare con loro di lavoro e futuro; volevamo parlare della differenza tra liberalismo sociale e neoliberismo e di come i dogmi economici di quest’ultimo stiano lacerando la società. Volevamo parlare dell’urgenza e della necessità di ristabilire la primazia della politica sull’economia, e di concetti come sovranità politica e monetaria- concetti che in passato sono stati declinati a livello nazionale, ma che oggi vanno abbracciati e declinati ad un livello federativo. Volevamo parlare di molte cose, ma ci siamo resi conto di quanto la narrativa dei partiti, articolata spesso intorno a questioni “minori”, tenga lontano le coscienze dai veri problemi del paese e dell’Europa, e quindi da una proposta politica articolata che li possa risolvere. Nessun partito al momento riesce a conciliare l’idea di una Europa forte, con il bisogno di sovranità politica e monetaria. Programmi di controllo dell’immigrazione, con piani per la sua legalizzazione ed un vero Piano Marshall per l’Africa, che non punti a “conquistarla” ma ad aiutarla. Proposte di assistenza sociale alle classi più deboli, come il reddito garantito, con politiche volte a raggiungere la piena occupazione e a valorizzare il lavoro come attività nobilitante dell’uomo.Ancora: la riduzione delle tasse, e la lotta all’evasione, sopratutto delle multinazionali, con la redifinizione del ruolo delle tasse. Il diritto all’autodeterminazione dei popoli, con il bisogno di intervenire a tutela dei più deboli, ogni laddove non vengono rispettati i diritti umani. Il riconoscimento del valore e del ruolo del mondo della finanza, con il bisogno che questo sia giustamente tassato e comunque subordinato all’economia reale. La lotta agli sprechi, all’inquinamento e alla distruzione del pianeta, con investimenti strategici nella ricerca che consentano, sia ai paesi sviluppati che a quelli in via di sviluppo, di godere dei frutti dell’ingegno umano, anche tramite il consumo. Insomma, ci siamo resi conto che nessun partito oggi si fa portavoce della proposta politica organica e complessiva che questo momento storico richiede. Eppure, ci siamo anche accorti che molte persone, ed anche alcuni candidati che per varie sensibilità e percorsi di vita possono oggi ritrovarsi in partiti diversi, condividono i nostri stessi valori e le nostre stesse aspirazioni.Molte persone oggi credono che l’economia debba essere subordinata alla politica e agli interessi delle persone; che le istituzioni debbano garantire la sovranità del popolo; e che é tempo di abbracciare e comprendere proposte politiche che oggi vengono presentate come in antitesi, ma che debbono necessariamente coesistere. Sono molti coloro che credono che gli ideali e le idee socialiste possano solo realizzarsi in una società libera e aperta; e sono molti coloro che credono che si possa essere liberi solo in una società socialmente giusta. Sarà bene allora non combattere i partiti, e tutti coloro che vi aderiscono, ma invece trovare in essi persone che credono in queste idee, affinché si cominci a lavorare insieme per il bene della collettività: per una società libera, democratica e socialmente giusta, in cui il popolo sia sovrano tramite l’attività politica, sovraordinata agli interessi economici di specifici gruppi di interesse privato. A tale proposito, come Movimento Roosevelt, siamo pronti a lavorare con tutti coloro che condividono questi valori, a prescindere, e nel rispetto, della loro appartenenza partitica.(Marco Moiso, “Ripartiamo dalle persone”, dal blog del Movimento Roosevelt del 14 febbraio 2018. Temi ripresi da Moiso, coordinatore generale del movimento e supervisore per il Regno Unito, in un collegamento web-streaming su You Tube con Gioele Magaldi).All’incontro con i candidati della circoscrizione Estero, ripartizione Europa, sapevamo che ci sarebbero stati molti giovani e volevamo parlare con loro di lavoro e futuro; volevamo parlare della differenza tra liberalismo sociale e neoliberismo e di come i dogmi economici di quest’ultimo stiano lacerando la società. Volevamo parlare dell’urgenza e della necessità di ristabilire la primazia della politica sull’economia, e di concetti come sovranità politica e monetaria- concetti che in passato sono stati declinati a livello nazionale, ma che oggi vanno abbracciati e declinati ad un livello federativo. Volevamo parlare di molte cose, ma ci siamo resi conto di quanto la narrativa dei partiti, articolata spesso intorno a questioni “minori”, tenga lontano le coscienze dai veri problemi del paese e dell’Europa, e quindi da una proposta politica articolata che li possa risolvere. Nessun partito al momento riesce a conciliare l’idea di una Europa forte, con il bisogno di sovranità politica e monetaria. Programmi di controllo dell’immigrazione, con piani per la sua legalizzazione ed un vero Piano Marshall per l’Africa, che non punti a “conquistarla” ma ad aiutarla. Proposte di assistenza sociale alle classi più deboli, come il reddito garantito, con politiche volte a raggiungere la piena occupazione e a valorizzare il lavoro come attività nobilitante dell’uomo.
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Logge e potere: perché l’Espresso non intervista Scalfari?
Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i veri terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».Autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia delle Ur-Lodges nel back-office del potere mondiale, Magaldi prende nota: la sua denuncia, clamorosa, resta tuttora sepolta dal silenzio dei grandi media. «Nessuna reazione, nemmeno di fronte a precise interrogazioni parlamentari». Di massoneria si parla spesso a vanvera, per fini strumentali e magari elettoralistici come ha fatto Di Maio, garantendo l’assenza di massoni tra i candidati 5 Stelle. Lo smentisce Catello Vitiello, detto Lello, candidato dai grillini in Campania e iniziato alla loggia “La Sfinge”, del Grande Oriente d’Italia: notizia del “Mattino”, rilanciata dal “Giornale”. Di Maio? «Spara sulla massoneria, dopo aver bussato (inutilmente) alle porte dei peggiori circoli supermassonici reazionari di Washington», dice Magaldi, che a “La Gabbia”, trasmissione televisiva de “La7” condotta da Paragone, ha dichiarato l’appartenenza massonica di Pietro Grasso e Laura Boldrini. Ora “L’Espresso” rilancia la sua piccola crociata pre-elettorale contro le logge meridionali del Grande Oriente? Quella del reportage di Turano, «poco serio, sensazionalista e mistificatorio», a Magaldi sembra «un’operazione di bassissimo livello, che va a pescare nella diatriba miserevole sollevata dalla commissione parlamentare antimafia presieduta da due tangheri con pulsioni liberticide e antidemocratiche come Rosy Bindi e Claudio Fava».La Bindi («non ricandidata, per fortuna») ha condotto una sorta di crociata personale contro il Goi, mentre Fava è giunto a proporre una legge per chiudere ai massoni le porte della politica. «La massoneria è stata resa illegale solo dai regimi fascisti e comunisti (con l’eccezione di Cuba) e con la perversione che questi regimi erano composti da massoni, i quali mettevano fuorilegge le massonerie liberali e democratiche e si costituivano in massoneria segreta di governo, con piglio dispotico», ricorda Magaldi, a “Colors Radio”. Quella presieduta dalla Bindi? «E’ la peggior commissione antimafia della storia: non avendo di meglio da fare, ha preso di petto la massoneria regionale ma non i terminali italiani della massoneria che conta, nel bene e nel male (soprattutto nel male), collegata ai circuiti massonici neo-aristocratici che hanno fatto un golpe silenzioso insediando Mario Monti con la regia di Draghi e Napolitano». Personaggi che «hanno operato e operano tuttora a maleficio del popolo italiano», ma nessuna commissione parlamentare se n’è occupata. La Bindi invece ha preso di mira «comunioni massoniche in stato di decadenza, prive di incisività sul piano sociale, meta-politico, civico e culturale».Eppure, proprio dalle Ur-Lodges reazionarie sono venute «le ideologie neoliberiste e neo-aristocratiche che hanno pervaso la globalizzazione, la stessa Europa “matrigna” e anche la pessima governance dell’Italia negli ultimi decenni, la Seconda Repubblica, in modo accelerato con la devastazione sociale ed economica avviata nel 2011». Per questo, aggiunge Magaldi, «suona scandaloso che sedicenti giornalisti come Turano vadano a fare servizi apparentemente sontuosi, scandalistici e di grande richiamo, mettendo il dito su dei “peones” della massoneria e tacendo del tutto sulle domande che un vero giornalismo dovrebbe porsi: ovvero, chi è davvero inserito nelle leve del potere più importante?». Silenzi, omissioni, ipocrisie. «C’è chi sa benissimo che i momenti più alti della storia dell’Italia contemporanea sono dovuti all’opera meritoria di alcuni massoni. Ma tace per interesse, magari appartenendo a circuiti massonici neo-aristocratici». E poi, aggiunge Magaldi, «c’è una pletora di ignoranti, insipienti esecutori collocati in vari strati del mondo mediatico, politico, istituzionale e sociale, i quali si beano di questa loro pseudo-conoscenza: per costoro, “massoneria” sarebbe qualunque gruppo che, in modo indebito, opera per fini segreti e inconfessabili a favore dei propri aderenti».Che c’entra, la massoneria, con a gestione opaca del potere? «In Italia non serve essere massoni per esser stati corrotti e corruttori e aver mal gestito il denaro pubblico». Ci sono mille correnti e provenienze: culturali, spirituali, religiose, filosofiche e sapienziali. «Chi si distingue nel bene e chi nel male, a prescindere dal retroterra da cui proviene». Quanto alla massoneria, insiste Magaldi, «se si vuol parlare davvero di legami col potere bisogna alzare lo sguardo verso il cielo delle superlogge sovranazionali. Dopodiché, anche lì, si tratta di capire chi ha fatto cosa, e perché». Solo che non avviene: nessuno li alza, gli occhi al “cielo”. «Quindi siamo in una narrazione assolutamente irrisoria, fuorviante e, credo, anche strumentale: serve, è utile ai manovratori, ai padroni del vapore, che il sospetto, l’eventuale avversione rispetto alle logge, venga scaricata verso gruppi massonici che sono innocui sotto ogni punto di vista». E a chi si riempie la bocca con la difesa della Costituzione, Magaldi ricorda che il presidente della “Commissione dei 75” incaricata di redigere il testo costituzionale era Meuccio Ruini, notorio massone, il cui capo di gabinetto era Federico Caffè, eminente economista: il maggior keynesiano italiano (e del resto era massone lo stesso Keynes). «Se i padri della patria e della Costituzione del ‘48 (Ruini e non solo) erano massoni, non ho capito qual è il problema», conclude Magaldi. «Dopodiché vi sono le mele marce, e io nel mio libro ne ho indicate tante». I giornali come “L’Espresso”, però, hanno evitato accuratamente di raccontarlo ai lettori: perché?Cari Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, perché non raccontate i vostri rapporti con la massoneria? Gianfranco Carpeoro replica così all’ultimo servizio de “L’Espresso”, titolato “La massoneria torna a far paura: non identificabili tremila affiliati”. La presunta notizia? «Dopo il caso P2 le obbedienze avevano promesso trasparenza, invece regna l’opacità assoluta – scrive Gianfranco Turano – come dimostrano gli elenchi visionati dalla commissione parlamentare sulle logge calabresi e siciliane». Ribatte il massone Carpeoro, in web-streaming su YouTube: «Io proporrei a Turano e al direttore dell’“Espresso” di chiedere a Scalfari e a De Benedetti di informare i lettori sui rapporti che quella casa editrice ha avuto con la massoneria. Rapporti molteplici, complicati, e peraltro intrattenuti con la parte meno commendevole della massoneria». Ovvero: «Chiederei pubblicamente a Scalfari e De Benedetti di spiegare e raccontare i rapporti che hanno avuto, per esempio, con quel massone (fior di personaggio) che si chiama Flavio Carboni. Prima di parlare genericamente di massoneria, comincino a parlare della loro connessione con la massoneria: guardino a casa loro, questi signori». Sintetizza Gioele Magaldi: «Non c’è bisogno di essere massoni, in Italia, per essere corrotti. Ma prendersela con i “peones” della massoneria, come fa “L’Espresso”, serve a occultare i terminali italiani della vera massoneria di potere, che è sovranazionale, e su cui la stampa (compreso “L’Espresso”) continua a tacere».
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Magaldi: come liberarci degli ipocriti che faranno l’inciucio
Per favore, basta ipocrisie: tutti giurano che non stringeranno alleanze e invece sono già pronti a farle, ben sapendo che nessuno vincerà. La soluzione? Un taglio netto alla palude della Seconda Repubblica, vassalla dei super-poteri neoliberisti di Bruxelles. Primo passo, il ritorno al sistema proporzionale puro: obiettivo, piena rappresentatività del Parlamento. Seconda mossa: presidente della Repubblica non più eletto dai partiti, ma direttamente dagli italiani. E’ il piano sul quale Gioele Magaldi (Movimento Roosevelt) intende impegnarsi per il dopo-elezioni, già contando sull’esito deludente della consultazione del 4 marzo, anticipato da una campagna elettorale imbarazzante in cui si alternano promesse “impossibili” e “liste della vergogna”, con candidati che vengono additati come semi-delinquenti. «No alle liste di proscrizione, innanzitutto: non esistono gli “impresentabili”, è la legge a stabilire chi può concorrere alle elezioni, e dopodiché decidono gli elettori chi è “presentabile” e chi no, votandolo o meno», dichiara Magaldi a “Colors Radio”. «Finiamola, con questo clima da caccia alle streghe, che ammorba la politica dopo aver travolto il mondo dello spettacolo, mettendo alla berlina e rovinando chiunque sia stato anche solo sospettato di abusi sessuali, magari riferiti a trent’anni fa».
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E bravo Di Maio, l’aspirante massone che spara sui massoni
Bella faccia di bronzo, Luigi Di Maio: spara contro la massoneria dopo aver bussato, ripetutamente, alle porte più esclusive dei peggiori club supermassonici internazionali, quelli reazionari dell’ultra-destra finanziaria. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia segreta del super-potere massonico mondiale. La frase “incriminata”, di Di Maio l’ha pronunciata in televisione, davanti alle telecamere de “La7”: «Chi urla odio razziale, chi usa espressioni omofobe, chi è iscritto alla massoneria, chi nella propria vita ha portato azioni indecenti non si può candidare col Movimento 5 Stelle». Immediata la replica di Stefano Bisi, leader del Grande Oriente d’Italia: «Mi sono chiesto innanzitutto come un politico che aspira a diventare il futuro presidente del Consiglio, e quindi a rappresentare democraticamente tutti gli italiani senza barriere precostituite, possa usare in maniera irresponsabile e violenta certe affermazioni gratuite». Disse Voltaire: «Disapprovo ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo». L’esatto contrario della “dottrina Di Maio”, che ricorda le infauste leggi fasciste che nel 1925 portarono alla persecuzione dei massoni. Ma peggio: magari Di Maio fosse solo fuori strada. E’ anche clamorosamente ipocrita, dice Magaldi, perché il primo a voler entrare in massoneria è proprio lui.«L’ipocrisia e la doppiezza di Luigi Di Maio si fanno addirittura iperboliche, perché il giovanotto ha bussato al gotha delle aristocrazie massoniche neoaristocratiche, non di quelle progressiste», scrive Magaldi su “Grande Oriente Democratico”. Il leader grillino «per poco non è stato preso a pernacchie», in quei salotti di Londra e di Washington, «ma la vicenda ha un carattere tristemente esemplare, perché illustra efficacemente il modus operandi del personaggio in questione e di certa massonofobia militante la quale, privatamente, anela proprio a ciò che in pubblico demonizza e discrimina». E poi c’è un diffuso meccanismo, aggiunge Magaldi, che «induce determinati soggetti politici a scagliarsi contro i massoni che si presentino ufficialmente come tali, senza paludamenti», per poi invece «accogliere a braccia aperte chi conservi un profilo massonico accuratamente segretato». Attenzione: la sortita anti-massonica di Di Maio non è stata casale, ma premeditata: «In quelle parole del candidato premier pentastellato c’è molta ambiguità e ambivalenza». Ovvero: «C’è un messaggio polivalente, rivolto a diversi interlocutori nazionali e internazionali». Un intervento «odioso e ipocrita, apparentemente massonofobico», rivolto – in codice – a soggetti ai quali Di Maio di sta probabilmente ancora rivolgendo. Morale: «Il Movimento 5 Stelle merita un leader migliore».«Una volta che sarà stato celebrato l’ingannevole rito elettorale del 4 marzo, Luigi Di Maio non solo non avrà vinto le elezioni, ma avrà dimostrato di essere stato la peggiore scelta possibile, come “frontman”», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. Il giorno dopo le elezioni, quindi, «sarà bene che l’intero Movimento 5 Stelle – garante e padre fondatore Beppe Grillo in testa – ripensi alcune modalità comunicative e strutturali dell’avventura pentastellata», anche perché «chi si candida a governare una grande nazione democratica e repubblicana come l’Italia non può permettersi il lusso di discriminare pregiudizialmente la partecipazione politica al proprio movimento di categorie di persone – i massoni – tra le fila dei quali si annoverano peraltro i maggiori eroi del Risorgimento e i più autorevoli padri della Costituzione del 1948». Più in generale, l’asserita interdizione ai liberi muratori («evidentemente a quelli che non fanno mistero di essere tali») di partecipare alla vita politica del M5S e/o di essere candidati tra le sua fila, «non solo viola il testo costituzionale italiano e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma favorisce semmai l’infiltrazione tra i pentastellati di massoni segreti e coperti, cui nessuno potrà contestare l’appartenenza latomistica ed escluderli da liste elettorali, proprio in quanto segreti e coperti».Perciò, conclude Magaldi, «lunga vita e in bocca al lupo ai tanti ottimi candidati sinceramente democratici e progressisti delle liste M5S (in primis a Pino Cabras, giornalista e intellettuale di grande pregio e spessore), ma qualcuno si prenda la briga di sottoporre Luigi Di Maio a un corso accelerato di etica costituzionale e di principi democratici, liberali e libertari, sottraendolo alle pessime figure e alla sicura débâcle cui lo condurrà la sua insipiente, pretestuosa e insincera massonofobia». Dalle parole di Di Maio, secondo Magaldi, emerge «un abisso di ipocrisia». Intanto, sparando contro “i massoni” come categoria, attenta ai diritti costituzionali degli aderenti alla massoneria. «E sarebbe lo stesso se costui avesse usato parole discriminatorie e liberticide contro altre categorie socio-antropologiche: cattolici, ebrei, musulmani, simpatizzanti di tale o talaltra dottrina filosofica, religiosa o sapienziale, inquadrati o meno in associazioni, come la massoneria, perfettamente legali, legittime e costituzionali, e anzi all’origine della nascita stessa delle Costituzioni democratiche moderne e contemporanee». Ma, appunto, il leader grillino non è neppure sincero: «Non si può trascurare il fatto che Luigi Di Maio (al pari di Matteo Renzi, che lo ha preceduto in termini quasi identici), da mesi, stia cercando di trovare a Londra e a Washington qualcuno che gli apra le porte di templi massonici prestigiosi».Bella faccia di bronzo, Luigi Di Maio: spara contro la massoneria dopo aver bussato, ripetutamente, alle porte più esclusive dei peggiori club supermassonici internazionali, quelli reazionari dell’ultra-destra finanziaria. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia segreta del super-potere massonico mondiale. La frase “incriminata”, Di Maio l’ha pronunciata in televisione, davanti alle telecamere de “La7”: «Chi urla odio razziale, chi usa espressioni omofobe, chi è iscritto alla massoneria, chi nella propria vita ha portato azioni indecenti non si può candidare col Movimento 5 Stelle». Immediata la replica di Stefano Bisi, leader del Grande Oriente d’Italia: «Mi sono chiesto innanzitutto come un politico che aspira a diventare il futuro presidente del Consiglio, e quindi a rappresentare democraticamente tutti gli italiani senza barriere precostituite, possa usare in maniera irresponsabile e violenta certe affermazioni gratuite». Disse Voltaire: «Disapprovo ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo». L’esatto contrario della “dottrina Di Maio”, che ricorda le infauste leggi fasciste che nel 1925 portarono alla persecuzione dei massoni. Ma peggio: magari Di Maio fosse solo fuori strada. E’ anche clamorosamente ipocrita, dice Magaldi, perché il primo a voler entrare nei grandi circuiti delle superlogge è proprio lui.
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Bin Laden massone, Kevin Spacey silurato dal Bohemian
Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria on Air” ai microfoni di “Colors Radio” il 29 gennaio. «Scusi, ma lei come fa a dire che Bin Laden era massone?», lo incalza un ascoltatore. «Lo seppi direttamente da chi lo iniziò», risponde Magaldi: «Fu Brzezinski a rivelarmelo», mostrandogli anche la documentazione comprovante l’affiliazione di Bin Laden alla “Three Eyes”, superloggia neo-conservatrice alla quale, secondo Magaldi, appartengono eminenti figure dell’attuale panorama istituzionale – fra gli italiani, Mario Draghi e Giorgio Napolitano, insieme a Marta Dassù (Finmeccanica) e Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), fino all’ex ministra renziana Federica Guidi. Un peso massimo, la “Three Eyes” (leader storico, Henry Kissinger) nell’ispirazione delle politiche neo-feudali e neoliberiste, fedelmente “eseguite” da personaggi come la francese Christine Lagarde (Fmi), l’americana Condoleezza Rice, il portoghese Pedro Passos Coelho, l’ex premier greco Antonis Samaras, l’olandese Mark Rutte. Ma Bin Laden? «Fu “reclutato” da Brzezinski per essere impiegato in Afghanistan in chiave anti-sovietica», poi però lo stesso Bin Laden lasciò la “Three Eyes”, spiazzando Brzezinski, per approdare alla “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush.La “Hathor” è la “loggia del sangue della vendetta” sospettata di aver orchestrato il maxi-attentato dell’11 Settembre. Secondo Magaldi vi fanno parte l’inglese Blair, il francese Sarkozy, il turco Erdogan e lo stesso Abu Bakr Al-Bahdadi, il fantomatico capo dell’Isis, cioè l’ultima incarnazione della “strategia della tensione internazionale” che ha suscitato sconcerto persino tra i falchi della destra economica super-massonica. «Posso provare ogni mia affermazione, esibendo 6.000 pagine di documenti», assicura Magaldi. Qualcuno gliene ha fatto richiesta? Nessuno, mai. Silenzio assoluto, anche sui giornali, di fronte a notizie teoricamente esplosive, perché consentono di mappare il vero potere e smascherare molta ipocrisia ufficiale. Ma il mainstream, semplicemente, tace. Preferisce frugare tra le lenzuola di Woody Allen, fingendo di ignorare l’ipotesi più ovvia, «e cioè che Mia Farrow, moglie abbandonata, gli abbia “messo contro” i figli adottivi per metterlo in cattiva luce». Addirittura sinistro il caso di Spacey, anche lui accusato di molestie, dopo che “House of Cards” ha lasciato intravedere il ruolo del Bohemian Club, «nota associazione paramassonica mondialista che è lo schermo di alcune potentissime Ur-Lodges neo-aristocratiche».Per Magaldi, questo «nuovo maccartismo, di strano segno» non ha giustificazioni: «Le “bufale” esistono, per carità, ma – se costituiscono diffamazione – sono perseguibili per legge. Altra cosa, invece, è questo clima infame, da caccia alle streghe, degno dei regimi polizieschi di sovietica memoria: un metodo “perfetto”, per far fuori chiunque sia scomodo, prendendo per buone le accuse di qualcuno che ce l’ha con te e, per distruggerti, riesuma episodi vecchi di trent’anni. Hai voglia a difenderti in tribunale: finisci alla berlina all’istante, emarginato». Sta accadendo a Woody Allen, ormai in difficoltà con la distribuzione del suo ultimo film, anche per colpa di «attori anche mediocri, o magari vincitori di un Oscar proprio grazie a lui, che oggi lo scaricano in una gara di zelo verminoso, come fosse un appestato da mettere al bando». Il guaio? «Questo meccanismo, fondato sulla delazione indiscriminata e senza controllo, rende tutti più vulnerabili». Un sospetto: «Penso che alcune “manine” americane abbiano soffiato sul fuoco, per creare un clima adatto a eliminare personaggi non graditi al potere». “Manine” americane, fino agli esecutori italiani: «Da noi, grazie all’ineffabile Minniti, sarà la polizia – non la magistratura – a stabilire se una notizia web è vera o no. Siamo al Ministero della Verità di Orwell, sembra di tornare ai tempi dell’Inquisizione». E nel frattempo, silenzio di tomba sulle notizie più indigeste. Bin Laden? Ma certo, il fanatico islamico: il capo dei cattivi.Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».
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Magaldi: schede bianche e poltrone vuote in Parlamento
Poltrone vuote, “prenotate” dalle schede bianche di milioni di elettori: quelli che potrebbero abbandonare l’astensionismo e recarsi alle urne per la più clamorosa delle proteste, affidata a decine di seggi destinati a restare vacanti. Possibile? Non ancora: la legge non lo consente, anche se esistono giuristi che stanno esaminando quest’eventualità, cioè la possibilità di non assegnare a nessun partito i seggi corrispondenti, proporzionalmente, al numero delle schede lasciate in bianco. «Intanto, consiglio seriamente di valutare questa opzione: sarebbe un messaggio forte e chiaro, di aperta sfiducia, nei confronti di questi partiti sfrontati che stanno impunemente prendendo in giro gli italiani», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Non è giusto che i seggi vengano assegnati solo a chi sceglie un partito: sarebbe più democratico se il voto rappresentasse correttamente tutti gli elettori, compresi cioè quelli che votano scheda bianca». Dopo aver lanciato l’idea già il 22 gennaio, poi fatta propria anche da Paolo Barnard, nell’ultima puntata della trasmissione radiofonica “Massoneria On Air”, su “Colors Radio”, Magaldi rilancia: serve un gesto dimostrativo, per denunciare quelle che possiamo già annunciare come le elezioni più inutili e truffaldine della storia, «precedute da una campagna elettorale verminosa».I “vermi” in questione? Le menzogne di cui sono farcite le esternazioni dei maggiori raggruppamenti: «“Mai con Berlusconi”, ripetono i renziani, ingannando i loro elettori, ben sapendo che proprio col Cavaliere daranno vita a un “inevitabile” governo di larghe intese». L’uomo di Arcore? «Idem: in Europa ha fatto il giro dei potenti che contano, e solo per rassicurarli». All’orizzonte c’è infatti un comodo “inciucio” con l’innocuo Pd, anche per emarginare Salvini e i suoi residui accenti anti-Ue. Quanto ai 5 Stelle, interviene (in diretta web-streaming su YouTube) un altro “rooseveltiano”, Gianfranco Carpeoro: «I grillini hanno scelto il peggio, cioè Di Maio, e non invece un parlamentare preparato come Danilo Toninelli». Le “parlamentarie”? «Pura demagogia: per candidarsi basta stare simpatici a cento persone. Perché invece i grillini con fanno congressi e confronti democratici? Perché non selezionano una classe dirigente responsabile? Se i partiti scegliessero il meglio, anziché il peggio come avviene oggi, faremmo tutti un passo avanti». Le schede in bianco? «Ottima idea di Gioele Magaldi, per dare corpo e visibilità all’ipotesi di lavoro del dopo-elezioni, cioè il nuovo soggetto politico: il Pdp, Partito Democratico Progressista».Una cosa è certa, assicura Magaldi: «Dopo il 4 marzo, di fronte a un’ipotesi che veda sorgere l’ennesimo non-governo basato sull’intesa di soggetti che hanno fino di essere antagonisti, animeremo vistose proteste per chiedere al più presto il ritorno alle urne». Il “partito delle schede bianche”? «E’ giusto che, un giorno, possa essere legittimamente rappresentato, con una bella fila di poltrone vuote, in un Parlamento dove nessuno dei contendenti osa affrontare la situazione italiana, cioè una crisi artificiosa creata dalla sottrazione di sovranità operata dai poteri oligarchici privati, finanziari, che utilizzano per i lori scopi l’Unione Europea». E ad Emma Bonino, che invoca “più Europa”, Magaldi ricorda che il sogno degli Stati Uniti d’Europa è stato sabotato e ucciso dai gestori dell’Ue e poi anche ridicolizzato da Renzi, Hollande e la Merkel, nella loro beffarda scampagnata a Ventotene, dove Altiero Spinelli aveva scritto il suo manifesto federalista. «Inviteremo anche la Bonino al convegno di Milano su Olof Palme, in primavera: un’occasione per ricordare il leader socialista svedese assassinato nell’86 e ragionare su cosa dovrebbe essere, l’Europa democratica di cui non c’è traccia». I partiti in corsa per elezioni fanno finta che il problema non esista, raccontando agli elettori che il voto del 4 marzo servirà a qualcosa? «Ragione in più per non votarli, obbligandoli a contare le nostre schede bianche».Poltrone vuote, “prenotate” dalle schede bianche di milioni di elettori: quelli che potrebbero abbandonare l’astensionismo e recarsi alle urne per la più clamorosa delle proteste, affidata a decine di seggi destinati a restare vacanti. Possibile? Non ancora: la legge non lo consente, anche se esistono giuristi che stanno esaminando quest’eventualità, cioè la possibilità di non assegnare a nessun partito i seggi corrispondenti, proporzionalmente, al numero delle schede lasciate in bianco. «Intanto, consiglio seriamente di valutare questa opzione: sarebbe un messaggio forte e chiaro, di aperta sfiducia, nei confronti di questi partiti sfrontati che stanno impunemente prendendo in giro gli italiani», sostiene Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt. «Non è giusto che i seggi vengano assegnati solo a chi sceglie un partito: sarebbe più democratico se il voto rappresentasse correttamente tutti gli elettori, compresi cioè quelli che votano scheda bianca». Dopo aver lanciato l’idea già il 22 gennaio (poi fatta propria anche da Paolo Barnard), nell’ultima puntata della trasmissione radiofonica “Massoneria On Air”, su “Colors Radio”, Magaldi rilancia: serve un gesto dimostrativo, per denunciare quelle che possiamo già annunciare come le elezioni più inutili e truffaldine della storia, «precedute da una campagna elettorale verminosa».