Archivio del Tag ‘Giorgio Airaudo’
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Pd a rischio: gli astensionisti colpiranno, magari a Torino
Elezioni amministrative solo di nome: è stato un voto altamente politico, secondo Aldo Giannuli. «La politica non è solo matematica, ma anche chimica: gli effetti dipendono da come si combinano gli elementi, e se chiami la gente a votare per le comunali avendo già in prospettiva la riforma costituzionale del paese, non puoi pensare che il voto prescinda da questo». Le comunali «sono state l’aperitivo del referendum che, a sua volta, sarà la premessa delle elezioni politiche». A quanto pare, questo è «l’inizio di una fase molto delicata di cambiamento». Fine del bipolarismo, siamo ormai in un sistema quadripolare: centrosinistra, centrodestra, 5 Stelle e poi l’oceano dell’astensionismo, «che non è affatto un’area silente», perché «gli astenuti non sono cittadini morti, ma cittadini che non trovano una risposta soddisfacente». Si ritirano, per ora, nell’“area muta” del non-voto, ma «da un momento all’atro possono rientrare, provocando effetti devastanti e imprevisti, non appena trovino un punto di aggregazione». Ovvio: «Otto anni di crisi non potevano non avere un riflesso anche sul piano politico, e il “polo muto” è il sedimento di rancori, rabbia, senso di rivolta che sta covando in fasce sempre più numerose di elettorato».Prima o poi, scrive Giannuli sul suo blog, questo “sentimento” si manifesterà nel più violento dei temporali: «E non è detto che debba necessariamente essere un temporale elettorale, potremmo trovarci di fronte a una rivolta di piazza, impossibile ora da qualificare se di destra o di sinistra». Tutto questo, all’indomani della «prima seria sconfitta politica del Pd renziano e del suo incipiente “partito della nazione”». Se le regionali 2015 «ridimensionarono il leggendario 41% delle europee, ma confermando un valore superiore al 33%», oggi il Pd è al 17% a Napoli (dove è escluso anche dal ballottaggio) e sotto il 30% a Roma e Torino, «dove rischia molto seriamente per il secondo turno». A Bologna il Pd è rimasto 11 punti al di sotto delle previsioni che lo volevano vincente al primo turno. E in tutti i Comuni minori perde voti. «Una sconfitta secca e senza appello, che si intuisce destinata a ingigantirsi nel secondo turno». A Roma, «la battaglia è persa senza appello». A Milano, il distacco fra Sala (che a gennaio era dato oltre il 50%) e Parisi è praticamente nullo: è possibile che molti grillini voteranno Parisi.Rimonta non impossibile anche a Torino: Chaiara Appendino potrebbe beffare Fassino incassando voti di Lega, Forza Italia e Airaudo. L’unica piazzaforte al sicuro resta Bologna, «dove però non basterà un magro 53-54% a riscattare la figuraccia iniziale». Dunque, il Pd rischia seriamente di perdere in tutte tre le città italiane con più di un milione di abitanti (Roma, Milano, Napoli) e ha qualche probabilità di perdere a Torino. «E se anche qui Renzi dovesse essere sconfitto, potrebbe fare una cosa: salire sulla Mole, sul punto più alto possibile, e buttarsi di sotto senza nemmeno aspettare ottobre», scrive Giannuli. Al che, le acque potrebbero iniziare ad agitarsi: forse, la minoranza Pd troverà il coraggio di dire che al referendum si vota No. «Il Partito della Nazione muore prima ancora di nascere (bell’apporto, quello di Verdini a Napoli) mentre il Pd entra chiaramente in crisi».Il secondo polo destabilizzato è la destra che, pur sconfitta dove si è presentata divisa (Roma e Torino), resiste a Napoli e Bologna e ha una forte affermazione a Milano. Forza Italia scompare a Roma e Torino, ma ha un buon successo a Napoli e Milano. «Sulla carta, i derby dove la destra si presentava divisa sono stati vinti da Salvini, ma che te ne fai di battere Marchini e Napoli se poi resti escluso dal ballottaggio?». Queste elezioni dicono due cose, insiste Giannuli. La prima è che la destra non è scomparsa: a Roma, se si fossero presentati uniti, sarebbero andati al ballottaggio al posto di Giachetti; a Milano, Napoli e Bologna gli sfidanti sono tutti del centrodestra. «Ma ha speranza di affermarsi solo se ha il volto moderato dei Parisi, dei Lettieri e delle Bergonzoni, non dove ha candidati in camicia nera o esagitati come Salvini che, per di più, non beccano un voto a sud dell’Emilia. Quindi il giovanotto leghista può dare l’addio ai suoi sogni di essere il candidato presidente del Consiglio della destra». Anche Berlusconi «è finito», ma può ancora esercitare un ruolo come king-maker del futuro centrodestra: « Anche qui si apre una transizione tempestosa, che non sappiamo a cosa approderà». Unico vero vincitore, il M5S, per la prima volta senza Casaleggio e con Grillo in disparte: «Per la prima volta i grillini sono chiamati a governare», e non piccole città di provincia come Parma o Livorno, ma la capitale e, forse, anche Torino. «Se non ce la fanno, questa può essere la tomba del movimento».Elezioni amministrative solo di nome: è stato un voto altamente politico, secondo Aldo Giannuli. «La politica non è solo matematica, ma anche chimica: gli effetti dipendono da come si combinano gli elementi, e se chiami la gente a votare per le comunali avendo già in prospettiva la riforma costituzionale del paese, non puoi pensare che il voto prescinda da questo». Le comunali «sono state l’aperitivo del referendum che, a sua volta, sarà la premessa delle elezioni politiche». A quanto pare, questo è «l’inizio di una fase molto delicata di cambiamento». Fine del bipolarismo, siamo ormai in un sistema quadripolare: centrosinistra, centrodestra, 5 Stelle e poi l’oceano dell’astensionismo, «che non è affatto un’area silente», perché «gli astenuti non sono cittadini morti, ma cittadini che non trovano una risposta soddisfacente». Si ritirano, per ora, nell’“area muta” del non-voto, ma «da un momento all’altro possono rientrare, provocando effetti devastanti e imprevisti, non appena trovino un punto di aggregazione». Ovvio: «Otto anni di crisi non potevano non avere un riflesso anche sul piano politico, e il “polo muto” è il sedimento di rancori, rabbia, senso di rivolta che sta covando in fasce sempre più numerose di elettorato».
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La Fiat suicida l’auto ma vuole il Corriere, cioè il potere
Inaugurando per l’ennesima volta lo stabilimento Sevel in Abruzzo, Sergio Marchionne ha dichiarato che quegli investimenti saranno gli ultimi in Italia, se resterà ancora in vigore la Costituzione e ancor di più se ci sarà chi la fa applicare. Il criptofascismo dell’amministratore delegato Fiat non è una novità, ma in questo caso la minaccia contiene anche una bugia perché la sua azienda e già impegnata in un nuovo investimento nel nostro paese, l’acquisto del controllo sul “Corriere della Sera”. Immaginate la Ford all’assalto del “New York Times”, o la Peugeot che vuol controllare “Le Monde”, o la Volkswagen che spende per la “Frankfurter Zeitung”… Solo da noi questo avviene senza scandalo, e con il servilismo del governo e di chi lo sostiene. Ma perché una multinazionale dell’auto prevalentemente americana considera strategico il controllo della Rcs?
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Laura Puppato coi No-Tav, cade il tabù della Torino-Lione
Vent’anni di tenace interdizione, sorretti da una fede incrollabile nell’opzione-zero, riassunta in due parole: No Tav. «Penso che non sia più tempo di spendere nemmeno un euro se non per investimenti all’insegna della ragionevolezza e del buon senso». Lo afferma Laura Puppato, reduce dalle primarie contro Renzi e Bersani. Incredibile ma vero, l’ex sindaco di Montebelluna si prenota il 23 marzo in valle di Susa per la grande manifestazione nazionale contro l’alta velocità, presidiata dai 163 neo-parlamentari grillini. E’ caduto il tabù della Torino-Lione: nonostante Bersani, Fassino e Chiamparino, ora persino nel Pd è possibile rimettere in discussione l’opera pubblica più inutile d’Europa. «Costa moltissimo, non è supportata da stime di traffici in crescita e la popolazione non la vuole», prende atto la senatrice veneta, che si schiera col presidente della Comunità Montana valsusina, Sandro Plano, e un altro illustre “dissidente” del Pd, il sindaco barese Michele Emiliano, non da oggi vicino alla protesta della valle di Susa.
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Grazie a Grillo, Grasso e la Boldrini guidano il Parlamento
«Senza Grillo, ci saremmo sorbiti Franceschini e la Finocchiaro». Lapidario, Enrico Mentana, nel commentare su Twitter l’esito delle nuove presidenze istituzionali: Laura Boldrini alla Camera e Pietro Grasso al Senato. «Fuori dal mondo», per il direttore del telegiornale de La7, la scelta del Pdl di insistere su Schifani: «Se il Pd avesse scelto Topolino chi gli avrebbe contrapposto, il Pdl: Gambadilegno?». La seconda carica dello Stato è oggi l’ex procuratore nazionale antimafia, mentre al posto di Gianfranco Fini siede l’ex direttrice dell’Alto Commissariato dell’Onu per i rifugiati, eletta con Sel. «Chi fra Grasso e Schifani ha votato scheda bianca se ne ricorderà con imbarazzo», commenta Gad Lerner, secondo cui «il cambiamento è possibile». Peccato che, per vedere alla guida del Parlamento nomi come Grasso e la Boldrini, sia stato necessario lo “tsunami” grillino: la valanga di quelli che, fino al giorno prima del voto, per i partiti maggiori e i grandi media erano solo i teppistelli dell’antipolitica.
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Caccia al voto No-Tav, ma con candidati in ordine sparso
Laboratorio sociale, battistrada, modello, cantiere politico. E’ l’intransigente movimento No-Tav, da anni “bestia nera” di qualsiasi premier, ministro dell’interno o delle infrastrutture, non importa se di centrodestra o centrosinistra. Possibile “votare No-Tav” alle elezioni di febbraio? Soltanto scegliendo candidati No-Tav in ordine sparso. Si va dai grillini a Sel fino a “Rivoluzione civile”, il cartello elettorale di Ingroia. Dispersione assoluta, sotto la dura legge del “Porcellum”, con anche l’incognita della soglia di sbarramento. L’offerta elettorale propone due validissimi amministratori, Nilo Durbiano di Venaus e Carla Mattioli di Avigliana, il primo capolista al Senato con Ingroia e la seconda candidata alla Camera con Vendola, e in più l’attivista Marco Scibona, di Bussoleno, in pole position come capolista del “Movimento 5 Stelle” al Senato.
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Scanzi: come ti smonto Grillo, imboscata firmata Lerner
Beppe Grillo è molto bravo a distruggere ciclicamente se stesso. La scomunica a Federica Salsi è attaccabilissima. E la censura ad “Agorà” un autogol. Molti, su tali errori, hanno gioiosamente sguazzato. Tipo Gad Lerner, che lunedì sera a “L’Infedele” ha voluto dimostrare plasticamente perché Grillo detesti tanto certi talk-show. Quel sessista di Grillo. Il post sul “punto G” è stato letto da Lella Costa come attacco maschilista, anche se Grillo alludeva semplicemente all’orgasmo dell’ego che la tivù garantisce. La trivialità di Grillo è bipartisan: Pisapia è “Pisapippa”, Renzi soffre di “invidia penis”. Non è un’attenuante: è un fatto. Quel brigatista di Grillo. Una scatenata Lella Costa ha poi paragonato i “Comunicati politici” di Grillo alle Brigate Rosse. Piero Ricca le ha ricordato che il rimando era palesemente ironico. Macché: «Se metti insieme il punto G e le Br non ci trovo nulla da ridere».
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Europa, frenata storica sulla Torino-Lione: costa troppo
«E adesso chi glielo dice che avevano ragione loro?». L’epigramma è dell’ex direttore del “Manifesto”, Riccardo Barenghi, in arte “Jena”: gli bastano poche parole, sulla “Stampa” del 13 luglio, per archiviare la contestatissima linea Tav dopo la sortita del ministro del bilancio francese, Jerome Cahuzac, rilanciata il giorno prima da “Le Figaro”: troppi progetti faraonici di dubbia utilità, ormai proibitivi in tempi di crisi. In cima alla lista nera di Parigi c’è proprio la Torino-Lione: solo a fine anno, ha annunciato il ministro, una speciale commissione parlamentare appositamente costituita valuterà se ha davvero senso che la Francia si indebiti fino al collo per spendere i 12 miliardi di euro previsti per la tratta transalpina dell’alta velocità italo-francese. E se le diplomazie tentano di spegnere la polemica (nessun problema con Parigi, dice il ministro Passera: la Torino-Lione si farà) il secondo round della doccia fredda arriva da Bruxelles: Francia e Italia non sperino che l’Europa finanzi la Torino-Lione.
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No ai banchieri: un referendum contro il massacro sociale
«Chiunque voglia affrontare le elezioni del 2013 in modo credibile, non può non dire come si correggono i disastri delle “riforme”, da quella delle pensioni a quella del mercato del lavoro». Spetta a Giorgio Airaudo, responsabile Fiom del settore auto, sintetizzare la vocazione del “soggetto politico nuovo”, provvisoriamente battezzato a Firenze il 28 aprile col nome di “Alba”: alleanza tra lavoro, beni comuni e ambiente. Un “work in progress” che raduna gli indignati e i delusi della non-politica: non tanto per creare l’ennesimo nuovo partito, quando per imporre un’agenda pubblica precisa. Primo obiettivo, dirompente: raccogliere da subito 500.000 firme per indire un referendum che sbarri la strada al Fiscal Compact, che impone il pareggio di bilancio e quindi la fine dello Stato sociale.
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Don Ciotti: abbiate il coraggio di discutere la Torino-Lione
La situazione di tensione in Val Susa ha raggiunto e superato il livello di guardia. La contrapposizione muscolare di questi mesi degenera in episodi di violenza e di esasperazione che stanno provocando danni incalcolabili nel fisico delle persone, nella coesione sociale, nella fiducia verso le istituzioni, nella vita e nella economia dell’intera valle. Ad esserne coinvolti sono, in diversa misura, tutti coloro che stanno sul territorio: manifestanti e attivisti, forze dell’ordine, popolazione. I problemi posti dal progetto di costruzione della linea ferroviaria ad alta capacità Torino-Lione non si risolvono con lanci di pietre e con comportamenti violenti. Da queste forme di violenza occorre prendere le distanze senza ambiguità. Ma non ci si può fermare qui.
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Tav, Monti teme il dialogo: ma a Roma ora c’è chi dice no
Dialogo? No, grazie: non ce lo possiamo permettere. Meglio cercare di spegnere la protesta con manganelli e lacrimogeni, prima che tutta l’Italia si accorga che i No-Tav hanno ragione: oltre che una tortura inflitta alla valle di Susa, la Torino-Lione è un progetto nato morto, del tutto inutile e finanziariamente sanguinoso. Mario Monti il 2 marzo ha perso la sua grande occasione: nonostante la crescente protesta su cui ormai si interrogano anche i maggiori media, il governo chiude la porta in faccia ai milioni di italiani che pretendono spiegazioni sulla rivolta dei valsusini. Il motivo è evidente: gli sponsor di Monti hanno paura che la verità della valle di Susa possa contagiare il resto d’Italia, mentre nella politica nazionale – fino a ieri sorda e ostile, con le sole eccezioni di Grillo e Ferrero – cominciano ad aprirsi crepe importanti: anche Nichi Vendola e Antonio Di Pietro chiedono di fermare la repressione e ripensare il progetto.
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No-Tav, diritti in gioco: si scrive val Susa, si legge Italia
E’ necessaria l’alta velocità? Risposta: no. Motivo: la Tav «danneggia l’ambiente, ci sono altre soluzioni alternative». E’ un coro, quello del sondaggio realizzato dal magazine online “Torino Oggi”, instant-poll al quale hanno rapidamente aderito quasi duemila lettori. Il 75% non ha dubbi: la Torino-Lione è un’avventura finanziaria senza senso e un disastro ambientale annunciato, oltre che una tortura per la valle di Susa, che sabato 25 febbraio “risponde” con una manifestazione popolare che si annuncia imponente, con pullman da tutta Italia e adesioni autorevoli, dall’Arci ad Emergency. Antipasto della marcia Bussoleno-Susa, il corteo di Milano che il 18 febbraio ha raccolto oltre tremila persone, invocando “libertà per i No-Tav” arrestati a fine gennaio per resistenza e presunte “lesioni” inferte ai poliziotti. Manette scattate oltre 7 mesi dopo gli scontri del 3 luglio 2011 a Chiomonte.
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Airaudo: assediamo le piazze, vogliono rubarci il futuro
«Indignarsi non basta ma cominciamo a farlo». Parola di Giorgio Airaudo, che annuncia l’avvio della “campagna d’autunno” firmata Fiom per valorizzare il protagonismo degli “indignados” italiani: l’attivismo del “popolo dei referendum” sui beni comuni, cresciuto abche durante l’estate tra mille dibattiti, «può e deve farsi pratica sociale e soggettività politica, supplire alla fragilità dell’opposizione, ridare linfa all’esausta nostra democrazia». Obiettivo, fermare la manovra “lacrime e sangue”: che è «inutile, ingiusta e vendicativa» perché non contempla investimenti per rilanciare l’economia, fa pagare il conto della crisi soltanto ai soliti noti e inoltre prende di mira i giovani, negando loro una speranza di futuro.