Archivio del Tag ‘Graziano Delrio’
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Manovre: dimezzare Conte, con l’aiuto di Berlusconi
Dopo la risicata e grottesca fiducia ottenuta da Conte, sul Colle gli animi dei consiglieri di Mattarella sono titubanti, divisi e soprattutto in stato di allarme per le lamentele informali che arrivano da Bruxelles per i tempi italiani sul Recovery Plan e sul fatto, ancor più preoccupante, che la bozza che circola fa acqua da tutte le parti. Malgrado il can can dei giornaloni, Conte nel giro delle cancellerie europee è considerato lo Zelig della politica italiana, assolutamente non affidabile al punto che lo chiamano il “No-delivery guy”, il ragazzo che non mantiene le promesse. Alcuni consiglieri quirinalizi, poi, sono perplessi sul fatto che Mattarella sia poco incline a spingere Conte verso le dimissioni per procedere poi a un rimpasto (il premier lo chiama “rafforzamento di governo”) e varare quindi il Conter Ter. Il bisConte dimezzato, che alla parola “dimissioni” rischia un coccolone, sa che se dovesse mollare la poltrona si scatenerebbero le faide all’interno degli spappolatissimi 5 Stelle e teme di finire in mezzo a una strada con Casalino a carico.Intanto, le anime del Pd sono in movimento al punto che da tre sono diventate due: Zingaretti e Franceschini. La terza, quella riformista, si sta sgretolando. Luca Lotti, indagato per il caso Consip, si è acquattato dietro le quinte di Zingaretti e si è portato dietro Lorenzo Guerini, distanziandosi così da Marcucci. L’ambizioso Andrea Orlando si è posizionato invece a metà strada tra Franceschini e Zingaretti in vista di uno scranno ministeriale. Il corpaccione del Pd deve poi fare molta attenzione al potere dei governatori: ieri Bonaccini si è dichiarato a favore di una ricucitura con Renzi, idem il governatore della Toscana, Giani. De Luca invece è una anomalia che gioca in proprio ma sempre sarà grato a Lotti che ha portato il figlio in Parlamento. Il neo-indebolimento di Conte si è subito appalesato quando il Pd, su consiglio del capo della polizia Gabrielli, si è opposto al trasloco di Luciana Lamorgese dal Viminale. E sull’idea di consegnare la delega dei servizi al sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Mario Turco (quota M5S), i malumori si sono sprecati.A questo punto, tutte le anime del Pd convergono unite su alcuni punti: si porti subito avanti la nuova legge elettorale proporzionale, si proceda al rimpasto e si faccia l’accordo di programma entro 3 settimane al massimo, a partire da ieri. Secondo il Conte Casalino, il rimpasto prevede la consegna dei due dicasteri ex renziani (Famiglia e Agricoltura) ai Volenterosi voltagabbana, Delrio andrebbe a sostituire l’inadeguata Paola De Micheli e Orlando andrebbe a capo di un nuovo ministero dedicato alla gestione del Recovery. Naturalmente si è incazzato Enzo Amendola, ministro degli affari europei. Conte, che era già pronto a un decreto legge per aumentare il numero dei ministeri, così da evitare il nefasto rimpasto con dimissioni, ha trovato però l’opposizione secca di Mattarella: i dicasteri sono già troppi.In queste ore sono in atto due trattative, ambedue a conoscenza del Quirinale, da concretizzare in vista della prossima primavera. La prima è in mano al duo Letta-Bettini che punta a imbarcare Forza Italia e ottenere così una maggioranza più ampia. La seconda, più sotterranea, mira a un ingresso organico di Berlusconi nell’alleanza di governo Pd-M5S-LeU ma con un cambio del premier e un accordo sul nome del successore di Mattarella. In Forza Italia la situazione è però caotica. Finora, con l’atteggiamento responsabile del Cav da europeista convinto, i sondaggi danno il partito nuovamente a due cifre (10%). Da un lato, Berlusconi smania per non essere vincolato a Meloni e Salvini, sempre ipnotizzati dal sovranismo comiziante. Dall’altro, il fu Banana sarebbe tentato di restare distaccato dal teatrino della politica. E nel caso in cui qualcosa andasse storto, la colpa sarebbe di Tajani e Letta…(”Il giorno dopo, come ti dimezzo Conte”, da “Dagospia” del 20 gennaio 2021).Dopo la risicata e grottesca fiducia ottenuta da Conte, sul Colle gli animi dei consiglieri di Mattarella sono titubanti, divisi e soprattutto in stato di allarme per le lamentele informali che arrivano da Bruxelles per i tempi italiani sul Recovery Plan e sul fatto, ancor più preoccupante, che la bozza che circola fa acqua da tutte le parti. Malgrado il can can dei giornaloni, Conte nel giro delle cancellerie europee è considerato lo Zelig della politica italiana, assolutamente non affidabile al punto che lo chiamano il “No-delivery guy”, il ragazzo che non mantiene le promesse. Alcuni consiglieri quirinalizi, poi, sono perplessi sul fatto che Mattarella sia poco incline a spingere Conte verso le dimissioni per procedere poi a un rimpasto (il premier lo chiama “rafforzamento di governo”) e varare quindi il Conter Ter. Il bisConte dimezzato, che alla parola “dimissioni” rischia un coccolone, sa che se dovesse mollare la poltrona si scatenerebbero le faide all’interno degli spappolatissimi 5 Stelle e teme di finire in mezzo a una strada con Casalino a carico.
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La Merkel assume Conte, il cameriere della Trattoria Italia
«Da quando l’Unione Europea di Merkel e Macron lo ha promosso cameriere capo della trattoria Italia, il professore di Volturara Appula si è montato la testa: si è persuaso di valere quanto Winston Churchill», scrive Pietro Senaldi, direttore di “Libero”, a proposito di Giuseppe Conte, il candidato del Vaticano scelto dai poteri forti per affondare il governo gialloverde, licenziare Salvini e riportare il controllo dell’Italia sotto la custodia del Pd, che ha perso tutte le elezioni degli ultimi anni (politiche, regionali, europee). Non si nasconde Angela Merkel, madrina di Conte, a cui l’allora premier gialloverde spiegava, in birreria, come avrebbe impedito a Salvini di governare. La cancelliera – racconta Goffredo De Marchis su “Repubblica” – non ha perso tempo: ha telefonato al Pd per ordinare che il Conte-bis si faccia ad ogni costo. «Il retroscena – scrive Andrea Indini sul “Giornale” – la dice lunga sulle pressioni internazionali per non far tornare gli italiani al voto». Obiettivo: «fermare la formazione di un esecutivo sovranista», specie ora che la Merkel ha subito in Sassonia l’exploit di “Alternative für Deutschland”, al 27% stando agli exit poll. «La Merkel perde a casa sua e impone il governo in Italia», sintetizza lo stesso Salvini, sempre sul “Giornale”.Nel frattempo, a Roma, in soli quattro giorni di trattative si è già capito che le liti per formare il governo-vergogna non sono che l’antipasto: «Cinquestelle e Pd sono destinati a fare a cazzotti per tutta la durata della loro esperienza insieme», scrive Senaldi, sul giornale di cui Vittorio Feltri è direttore editoriale. «I dissidi sono tali che stavolta Conte sarà costretto a lavorare, non potrà fare il semplice portavoce di idee altrui». Di fatto, «c’è grande attesa per le poltrone più che per il programma, che arriverà da Bruxelles o direttamente da Berlino». Continua Senaldi: «L’impomatato ricandidato a Palazzo Chigi si è fatto garante presso il Quirinale e il Pd (tra i due soggetti non c’è molta differenza) dell’accordo col M5S». Problema: «In realtà lui i Cinquestelle non li controlla. Si fa forte dell’investitura che gli ha dato Grillo, ma il comico guru è un bipolare, un giorno dice una cosa ma subito dopo già ne pensa un’altra». Altre carte, Conte non ne ha in mano: è vero che ha alle spalle Bergoglio, Merkel e Macron, ma – sul piano tattico – quello romano si annuncia come una specie di Vietnam: «Sull’ambiguità di Casaleggio junior non può contare, mentre la trimurti pentastellata ha interessi divergenti e non voga al suo comando».Di Battista? «Vuole tornare al voto per recuperare uno stipendio». Quanto a Di Maio, «già fatto quasi fuori dal M5S, non può acconsentire all’ulteriore ridimensionamento al governo che per lui vorrebbero i dem, il Colle, i grillini e il premier stesso». Roberto Fico tifa per l’inciucio, ma senza lasciare la comoda poltronissima della Camera. «L’esperienza giallorossa sarà burrascosa», vaticina Senaldi. I grillini? Sono «una maionese impazzita peggio del Pd, che al confronto è un monolite di coerenza e compattezza privo di individualismi». Per Senaldi, «Zingaretti e compagni fanno lo stesso errore che fu di Bersani e Renzi e li trattano come politici normali: propongono, mediano, ragionano. Non serve a nulla: per spuntare qualcosa col M5S bisogna imitare Salvini, altro politico senza schema, che li ascoltava, diceva loro di sì e poi faceva quello che voleva lui». Il Pd inoltre ha un altro guaio, speculare a quello dei 5 Stelle: «Neppure i dem hanno un vero segretario che può condurre i negoziati, visto che l’accordo è sponsorizzato da Renzi e che Zingaretti non entrerà nel governo. Ecco spiegato il caos, alimentato dalla figura di Conte, che virtualmente ha acquisito potere». Ma il professore «è considerato troppo vicino a Mattarella e all’Europa, quindi i grillini non gli vogliono consegnare le chiavi della macchina e rivendicano un vicepremier».Morale, la trattativa langue e la rissa sembra senza fine: «Siamo certi che continuerà anche dopo il varo del governo, che difficilmente durerà molto», dice ancora Senaldi, anche se la rediviva Daniela Santanchè, ora in quota a Fratelli d’Italia, confida al “Fatto Quotidiano”: «Non mi sento di escludere che alla fine Forza Italia decida di astenersi sulla fiducia a Conte, dando dunque soccorso a questa alleanza tra perdenti che darà vita a un governo tra trombati, in cui la “golden share” appartiene a gente come Matteo Renzi e Maria Elena Boschi». In questa situazione, dice ancora Senaldi, quando si inizierà a parlare di programmi, sarà il caos, «e non solo perché, mettendo insieme i venti punti di Di Maio e i cinque di Zingaretti non si fa neppure un ambo». Non ci sarebbe da stupirsi se i nuovi alleati di governo “si menassero” più dei precedenti, aggiunge il direttore di “Libero”: «La sintesi dei progetti di M5S e Pd (più immigrati, meno sicurezza, più spesa e meno etica per tutti) ha l’instabilità nel dna. È improbabile poi che, dopo anni passati a cercare di diventare una sinistra riformista, il Pd si consegni mani e piedi a Fratoianni e Boldrini, i cui voti però saranno indispensabili per prolungare la vita del governo». Gli sponsor dell’esecutivo giallorosso affermano che deve partire per salvare l’Italia? «Viste le premesse, pare destinato ad affondarla ancora di più».Il Quirinale, chiosa Senaldi, «potrebbe risparmiarci questo spettacolo: i film horror con il finale già scritto non valgono la pena». In proposito, sempre “Libero” si rivolge direttamente al Colle: «Sergio Mattarella sembrava essere stato chiaro: il governo che Conte sta cercando di costituire dovrà avere unità di vedute e di intenti». Vedute e intenti che però, «in questo matrimonio, dove i coniugi non hanno alcuna intenzione di unirsi, sembrano parecchio differenti». Non bastava l’inimicizia del passato: Pd e M5S non potranno mai andare d’accordo, soprattutto nella lunga battaglia per le poltrone. E qui, secondo “Libero”, il ruolo del presidente della Repubblica è fondamentale. Costantino Mortati, giurista e costituzionalista eletto nel ‘46 deputato per la Dc, diceva: «Compito del presidente della Repubblica è quello di accertare la concordanza tra corpo elettorale e parlamentare». Il quotidiano di Senaldi e Feltri riprende le parole di Mortati: il Colle «assolve a tale ruolo attraverso l’impiego dell’istituto dello scioglimento anticipato, quando vi siano elementi tali da renderlo necessario o anche solo opportuno in termini di gravi disarmonie fra attività degli eletti e sentimento del popolo». Perché ostinarsi col mostruoso Conte-bis, che ha contro la maggioranza degli elettori? «La storia – scrive “Libero” – sembra insegnare parecchio, e forse ogni tanto va ascoltata. Come in questo caso, dove gli italiani hanno il diritto di dire la loro».«Da quando l’Unione Europea di Merkel e Macron lo ha promosso cameriere capo della trattoria Italia, il professore di Volturara Appula si è montato la testa: si è persuaso di valere quanto Winston Churchill», scrive Pietro Senaldi, direttore di “Libero”, a proposito di Giuseppe Conte, il candidato del Vaticano scelto dai poteri forti per affondare il governo gialloverde, licenziare Salvini e riportare il controllo dell’Italia sotto la custodia del Pd, che ha perso tutte le elezioni degli ultimi anni (politiche, regionali, europee). Non si nasconde Angela Merkel, madrina di Conte, a cui l’allora premier gialloverde spiegava, in birreria, come avrebbe impedito a Salvini di governare. La cancelliera – racconta Goffredo De Marchis su “Repubblica” – non ha perso tempo: ha telefonato al Pd per ordinare che il Conte-bis si faccia ad ogni costo. «Il retroscena – scrive Andrea Indini sul “Giornale” – la dice lunga sulle pressioni internazionali per non far tornare gli italiani al voto». Obiettivo: «fermare la formazione di un esecutivo sovranista», specie ora che la Merkel ha subito in Sassonia l’exploit di “Alternative für Deutschland”, al 27% stando agli exit poll. «La Merkel perde a casa sua e impone il governo in Italia», sintetizza lo stesso Salvini, sempre sul “Giornale”.
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Renzi-2, il ritorno: Italia ko, oscurati Zingaretti e i 5 Stelle
Tutto sembra ormai predisposto per il lancio del nuovo governo M5S-Pd-Leu e gruppi misti di varia natura. Un governo di legislatura, con 5 “pilastri” che non sono quelli della fede islamica ma quelli annunciati da Zingaretti perché il partito democratico torni ad occuparsi della cosa pubblica, salvando al tempo stesso il lauto stipendio di tanti parlamentari. Si sostanziano delle solite dichiarazioni di principio e hanno per tema, rispettivamente: la ricollocazione piena e senza riserve dell’Italia in Europa (leggi: ritorno servile sotto Eurogermania), il pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa (leggi: nessuna concessione a istanze di democrazia diretta, care ai pentastellati), lo sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale (leggi: niente che significhi qualcosa di serio), la discontinuità nella politica sull’immigrazione (leggi: tutti potranno tornare a sbarcare sui lidi del Belpaese), le ricette economico-sociali per ridistribuire la ricchezza e avviare gli investimenti produttivi (leggi: la solita patrimoniale sugli immobili e un programma generico che presuppone tempi diversi e/o provvedimenti forse in contraddizione tra di loro, come potrebbero esserlo il salario minimo e la contemporanea crescita produttiva delle imprese).Indisponibile, invece, il segretario del Pd ad un governo istituzionale o comunque di breve durata come suggeriva Renzi. E del resto, Zingaretti avrebbe preferito andare direttamente al voto per una serie di motivi abbastanza comprensibili: disfarsi della massiccia rappresentanza parlamentare controllata da Renzi e recuperare una buona parte dei voti perduti nelle precedenti elezioni a vantaggio dei Cinquestelle. Bisogna tuttavia tener conto non solo di Renzi, ma di Franceschini, Delrio, Gentiloni, Orlando etc… e anche, naturalmente, di Mattarella; e allora, nella ritrovata, apparente unità del partito, il segretario del Pd si limita a porre qualche condizione al governo con i pentastellati: che sia di legislatura e che si basi sui 5 pilastri, che prefiguri una lunga e fruttuosa intesa politica tra le due forze (leggi: accordi elettorali nelle elezioni amministrative), che infine rappresenti una discontinuità con il precedente governo, nel nome del presidente del Consiglio, dei ministri più rappresentativi e soprattutto nella cancellazione di alcuni provvedimenti (leggi: quelli sulla sicurezza e non solo).Ai 5 punti “irrinunciabili” di Zingaretti, Di Maio ne affianca 10, il primo dei quali è la riduzione del numero dei parlamentari e su queste basi si vedranno oggi pomeriggio le delegazioni di Pd e M5S. Con quante possibilità di condividere i 15 punti e/o di trovare una sintesi comune? Molte, al di là delle dichiarazioni di principio poco conciliabili ma che sembrano formulate unicamente per incantare i rispettivi elettorati. Lo scoglio più difficile da superare sembra proprio quello sulla riduzione dei parlamentari, ma il paradosso è che proprio su questo punto potrebbero essere gettate le basi per un’intesa politica di lunga durata: riduzione dei parlamentari (non 345 ma in numero minore) nel contesto di una nuova legge elettorale anti-Lega, secondo una prassi già sperimentata con il Rosatellum, concepito per far vincere il Pd con l’aiuto di Forza Italia contro il cosiddetto populismo e che invece ha avuto l’effetto di rendere possibile la maggioranza gialloverde.Sia come sia, il governo M5S-Pd-Leu che, a meno di clamorose quanto impensabili sorprese, nascerà la prossima settimana, non può essere definito un “inciucio”, perché è sostenuto da una maggioranza parlamentare altrettanto legittima di quella che ha governato il paese negli ultimi 14 mesi. Il problema semmai è un altro e riguarda la concezione della democrazia: sostenere come ha fatto Renzi nel suo discorso in Senato (altri lo hanno imitato magari fuori del Parlamento) che andare a votare significherebbe far vincere la Lega di Salvini, denuncia un atteggiamento elitario e oligarchico che nulla ha a che vedere con i principi della democrazia, rappresentativa o diretta che sia. L’intesa Pd-M5S ha molte implicazioni. Renzi controllerà di fatto il nuovo esecutivo pur non facendone parte e Zingaretti più che segretario del suo partito ne sarà il notaio, dal momento che per tenere tutti uniti sceglie l’uovo oggi piuttosto che la gallina domani.I Cinquestelle non sono da meno: evitano il dimezzamento della rappresentanza parlamentare e salvano lo stipendio per tutti gli oltre 300 tra deputati e senatori, ma nel loro orizzonte s’intravede già il grigiore dell’insignificanza che li destina ad essere una ruota di scorta del sistema. La Lega, dal canto suo, paga il momentaneo scotto di una mossa in apparenza inopportuna, incomprensibile anche per molti dei suoi, ma è forse l’unica forza a mantenere intatta la prospettiva di un cambiamento nel panorama asfittico e opportunistico della politica italiana. Cosa ha portato Salvini a fare la scelta che ha fatto? Lo si è capito in Senato, nonostante il poco lucido discorso, quando invece di ribattere punto su punto le accuse di un neodemocristiano, dalla cronaca reso eroe per un giorno – lui che i media hanno sempre irriso come un burattino nelle mani dei due vicepresidenti – il leader della Lega si è limitato a poche parole significative per spiegare il suo gesto.Frasi purtroppo non comprensibili a tutti o addirittura da iniziati, per di più inframmezzate dalla solita inguardabile ostentazione del rosario: che senso ha rimanere in un governo accanto a un movimento che ha bocciato le autonomie, che alla proposta di riforma fiscale basata su tre aliquote progressive di riduzione delle tasse (dunque neanche la Flat Tax) si sente opporre – come ingenuamente ha riferito lo stesso Nicola Morra ai giornalisti qualche ora più tardi – che non ci sono le coperture finanziarie, che si schiera ipocritamente per il NoTav, quando è lo stesso presidente del Consiglio ad approvarla, che in luogo degli investimenti produttivi propone in modo demagogico il salario minimo a imprese già sull’orlo del fallimento? Con quale faccia la Lega si sarebbe rivolta ai suoi dopo la finanziaria? Meglio perdere qualcosa oggi che perdere tutto domani! Questo il messaggio in codice di Salvini. C’erano altre strade? Può darsi. Servirsi della clausola contenuta nel contratto di governo per dirimere le contese? Presentare comunque la cosiddetta Flat Tax in Parlamento, mediare sulla legge per le autonomie, spiegare che il salario minimo viene dopo la ripresa delle aziende in crisi? Forse sì e forse no.(Sergio Magaldi, “Pd, l’uovo oggi o la gallina domani?”, da “Lo Zibaldone di Sergio Magaldi” del 23 agosto 2019).Tutto sembra ormai predisposto per il lancio del nuovo governo M5S-Pd-Leu e gruppi misti di varia natura. Un governo di legislatura, con 5 “pilastri” che non sono quelli della fede islamica ma quelli annunciati da Zingaretti perché il partito democratico torni ad occuparsi della cosa pubblica, salvando al tempo stesso il lauto stipendio di tanti parlamentari. Si sostanziano delle solite dichiarazioni di principio e hanno per tema, rispettivamente: la ricollocazione piena e senza riserve dell’Italia in Europa (leggi: ritorno servile sotto Eurogermania), il pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa (leggi: nessuna concessione a istanze di democrazia diretta, care ai pentastellati), lo sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale (leggi: niente che significhi qualcosa di serio), la discontinuità nella politica sull’immigrazione (leggi: tutti potranno tornare a sbarcare sui lidi del Belpaese), le ricette economico-sociali per ridistribuire la ricchezza e avviare gli investimenti produttivi (leggi: la solita patrimoniale sugli immobili e un programma generico che presuppone tempi diversi e/o provvedimenti forse in contraddizione tra di loro, come potrebbero esserlo il salario minimo e la contemporanea crescita produttiva delle imprese).
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Magaldi: Salvini non è solo, stana i rivali-zombie e vincerà
Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono dalla sua parte tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».Allusione esplicita: «Le superlogge internazionali sono assolutamente in campo e stanno giocando una partita molto raffinata», dichiara Magaldi il 14 agosto nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Premessa: «L’Italia resta un campo di battaglia strategico, il luogo decisivo per le sorti della democrazia in Europa e per la stessa globalizzazione». E’ vero, la geopolitica appare dominata da colossi come gli Usa, la Cina e la Russia. Eppure, sottolinea Magaldi, «è in Europa che si è sperimentata dagli anni ‘90 una certa governance sovranazionale post-democratica, politico-economica, ed è qui in Italia che il corso delle cose può essere invertito: altrove non ci sono possibilità così magmatiche e feconde, in Francia e in Germania il sistema politico è bloccato». Sempre con Frabetti, Gianfranco Carpeoro – altro dirigente del Movimento Roosevelt – nei giorni scorsi ha svelato le mosse della supermassoneria reazionaria: obiettivo, imbrigliare Salvini e disarcionarlo con ogni mezzo. Di qui la strana disponibilità di Grillo ad abbracciare l’ex nemico Renzi, a cui sarebbe stato promesso finalmente l’accesso al mondo esclusivo dei massimi salotti massonici, nel caso riuscisse a sventare la minaccia delle elezioni anticipate richieste da Salvini.«Le reti delle Ur-Lodges oligarchiche sono ancora egemoni», conferma Magaldi, che però aggiunge: «Le superlogge progressiste hanno messo a segno colpi interessanti». Tra questi, ad esempio, il sostegno sotterraneo ai Gilet Gialli in Francia per mettere in croce Macron proprio mentre l’Eliseo premeva su Bruxelles per aggravare l’austerity italiana, bocciando il governo gialloverde e la sua iniziale richiesta di espansione del deficit. «La partita è vivace, anche se difficile da interpretare», dice Magaldi, lasciando capire che niente è come sembra. Il network massonico progressista internazionale starebbe sostanzialmente supportando Salvini nel suo tentativo di lasciare in mutande gli zombie della politica italiana, ancora e sempre proni ai diktat di Bruxelles. «Con le sue mosse, Salvini ha messo in moto un circo con bestie strane, e scomodarle proprio a ferragosto è stato ancora più divertente: cosa che a Salvini ha permesso di dire che non si vede perché ad agosto non possano lavorare anche i parlamentari, come moltissimi altri italiani già fanno». Bestie strane? «Alcune sembravano sotto spirito, imbalsamate, e sono state riesumate per l’occasione: hanno tutte paura e sperano di non scomparire per sempre». Salvini domatore? Ebbene sì: «Sembra condurre il gioco, e addirittura oggi torna a parlare persino di una possibilità di un rilancio gialloverde, un governo Conte-2 con adeguato rimpasto».A Genova, il capo della Lega ha accennato tranquillamente alla manovra, citando 2,4 miliardi per mettere in sicurezza ponti e infrastrutture: «Sembra parlare da azionista di un governo che potrebbe tornare in auge». Intendiamoci, avverte Magaldi: «Occorre decodificare il tiro di dadi inaugurato da Salvini, la cui tempistica ha spiazzato anche i leghisti», molti dei quali per nulla entusiasti all’idea di tornare alla corte di Arcore. Non è affatto impazzito, Salvini: ha solo beffato i suoi avversari, fingendo di divertirsi in modo spensierato sulla spiaggia del Papeete. Nessuno si aspettava che affondasse il colpo, annunciando la sfiducia a Conte: «E la sua mossa originaria, prima ancora della “mossa del cavallo” sul taglio dei parlamentari da votare con 5 Stelle e Pd) ha snidato personaggi e ipotesi che se ne stavano acquattate nell’ombra». Il risulato è fecondo, secondo Magaldi: dopo che Salvini ha pronunciato quel fatidico “io non ci sto più”, «abbiamo scoperto che Renzi stava preparando un nuovo partitino del 2-3%». Poi l’ex “rottamatore” «ha compiuto una torsione a 180 gradi rispetto a inizio legislatura, quando consegnò i 5 Stelle all’allenza con la Lega. Oggi sente vicina la sua fine politica, ma non ha capito che gioco sta facendo Salvini, consigliato da chi e perché». Già, appunto: non sperava di entrare nel grande gioco, Renzi, bussando alla superloggia Maat (quella di Obama) dopo la passerella al Bilderberg?Fa un po’ il misterioso, Magaldi, lasciando intendere di non poter dire più di tanto, per ora. Si limita a dichiarare che quello che sta davvero succedendo «non l’ha capito nemmeno Berlusconi, che prima si ringalluzzisce come possibile ago della bilancia, grazie a cui si può decidere se si va o no alle elezioni, quindi fa bastonare Salvini da Sallusti sulle Tv mainstream ma su Rete4 manda servizi contro Di Maio». Al che, si apprende che Salvini sarebbe disponibile a una trattativa con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Poi però il capo della Lega «offre a Berlusconi una lista unica, quindi una proposta di assorbimento di Forza Italia, che naturalente Berlusconi rifiuta». Falsa pista, quindi: dopo aver stanato il Cavaliere, spingendolo a esporsi, il 13 agosto Salvini risultava indisponibile a incontrarlo, per imprecisati “impegni al Viminale”. «Intanto Berlusconi è stato snidato: sperava in un accordo elettorale soddisfacente, con Salvini, nonostante sia stato per mesi in combutta con il Pd e con tutto il circo mediatico mainstream contro il governo gialloverde, e quindi anche contro la Lega». Doppio avvitamento, con figuraccia. «Sono stati snidati Renzi e Berlusconi, e il gioco non finisce qui» aggiunge Magaldi. «Anche l’inciucio Pd-M5S è stato portato fino all’estremo, fin quasi a concludersi: già hanno votato insieme per la calendarizzazione della sfiducia a Conte, ma Delrio (cerniera a metà strada tra Renzi e Zingaretti) dice che l’accordo si può fare solo se di largo respiro, e lo stesso Zingaretti sta diventando possibilista».Insomma: sono tutti agitati, ma il pallino rimane nelle mani di Salvini. «Sembra un domatore che fa esbire tante bestiole davanti alla platea degli italiani». E questo, sottolinea Magaldi, è solo l’aspetto “essoterico”, alla luce del sole. Per capire il senso di quello che sta avvenendo «occore rovesciare le cose facili, banali, scontate e fuorvianti che si sono dette in questi giorni». La lettura che propone il presidente del Movimento Roosevelt è la seguente: a un certo punto, “ispirato” da qualche insospettabile consigliere strategico, Salvini – pressato dalla magistratura e dal Russiagate, braccato dai media pro-Ong – ha di fatto «cominciato a mostrare tutte le ipocrisie e tutti i nervi scoperti degli altri attori politici». Il gioco è rischioso, ma per ora vincente. «In queste ore si potrà discutere persino di un rilancio del governo Conte, con un rimpasto significativo e una strutturazione del programma che veda i 5 Stelle molto più disciplinati, perché uno dei problemi degli ultimi mesi era che i 5 Stelle attaccavano Salvini anziché l’opposizione». Naturalmente, un nuovo patto presupporrebbe un cambio di passo su molti temi: «Sarebbe una vittoria di Salvini, anche rispetto a quei leghisti che al Nord restano inclini a un’alleanza con Berlusconi».In sostanza, osserva Magaldi, Salvini ha giocato d’anticipo su tutti. E ora ha compiuto la mossa del cavallo: ok, ha detto, votiamo il taglio dei parlamentari e poi andiamo subito a votare. «Quella di elezioni immediate è un’ipotesi costituzionalmente impraticabile, e del resto prima si vota la fiducia o sfiducia a Conte (che è dirimente, prima ancora della questione del taglio dei parlamentari)». Se invece la rottura si consuma, «la grande ammucchiata (Pd, 5 Stelle, Leu e frattaglie varie), al di là di dare un illusorio momento di respiro a Renzi e ai renziani che hanno la poltrona traballante, è una eccellente occasione per ridefinire il prossimo appuntamento elettorale, lasciando a quell’Armata Brancaleone l’onere di proseguire sulla linea del rigore». Una non-strategia, che aggraverebbe solo la situazione italiana. «Qui servirebbe un braccio di ferro fortissimo con la cosiddetta Europa e con i suoi avamposti italici – dice Magaldi – per definire una nuova traiettoria politico-economica fondata su investimenti importanti e un robusto taglio delle tasse, cioè una manovra che incontrebbere un’opposizione formidabile da parte dei gestori dell’austerity».Nell’ipotesi del “governo di salvezza nazionale”, Salvini lascerebbe a Renzi e anche ai grillini il “privilegio” di essere «definitivamente percepiti come i difensori dello status quo». Quindi il governo anti-Salvini sarebbe «un’occasione ghiottissima, una situazione da cui la Lega non potrà che uscire bene». Ma è un bene, per l’Italia, che Salvini abbia innescato questo balletto circense, rivelatore delle altrui pulsioni? Per Magaldi, la risposta è sì. Ed è utile, aggiunge, che da questa vicenda «escano con le ossa rotte i 5 Stelle», almeno fino a quando si fanno rappresentare da Luigi Di Maio: «Ha proprio la vista corta: gongolava, dicendo che Salvini ha dovuto cedere sul taglio dei parlamentari», non capendo che il leghista lo ha sostanzialmente “disarmato”. I 5 Stelle, peraltro, «uscirebbero distrutti dall’abbraccio col Pd: una parte del loro elettorato andrebbe verso la Lega e un’altra parte verso i Dem». A sua volta, il Pd ha problemi interni ancora più gravi: «E’ un soggetto politico afasico, privo di una narrativa convincente». E la prova del nove, ancora una volta, è proprio il capo della Lega: «Salvini cresce nei consensi perché esibisce una narrativa chiara, che parla anche di importanti investimenti e di un nuovo paradigma politico-economico, grazie ai suoi economisti post-keynesiani. E parla pure di taglio delle tasse, Salvini. Rispetto a questo, cos’hanno da dire Pd e 5 Stelle? Il piglio del leader ce l’ha lui, non certo il grottesco Renzi, imbolsito anche nei toni, che a un anno di distanza deve ammettere di aver sbagliato tutto rifiutando l’alleanza coi 5 Stelle».Nel frattempo, il Pd non ha mai fatto autocritica. «Non lo fa neppure oggi, né con Renzi né con Zingaretti, nemmeno rispetto alle cattive riforme costituzionali di Renzi, che non ha capito niente ed è ancora convinto che il Jobs Act fosse la migliore delle carte da giocare per rilanciare occupazione e crescita economica – siamo a questo livello». Si domanda Magaldi: «In cosa si identifica, per Renzi, il bene della nazione? Non lo sappiamo, ed è per questo che Renzi è franato, nella percezione degli italiani. E cosa ha da dirci Zingaretti?». Idem. Ma vale anche per Berlusconi, «anche lui agonizzante come Renzi e in cerca di una scialuppa di salvataggio». Morti che camminano. Salvini, invece, riesce anche a giocare col taglio dei parlamentari: «Ha presentato la cosa strumentalmente, come una decisione importante da condividere con “l’amico” Di Maio», che c’è cascato. Attenzione: «Come panacea dei mali italiani i 5 Stelle dunque propongono il taglio dei parlamentari e magari anche il dimezzamento dei loro stipendi?». Il Parlamento come covo di mascalzoni, affaristi e rubagalline? Pura demagogia grillina, altamente controproducente: «Con stipendi più bassi, i parlamentari saranno più esposti a tentativi di corruzione. E in Parlamento andranno solo le persone molto ricche, che possono permettersi di rinunciare alla loro carriera», obietta Magaldi.«Ai tempi della democrazia di Pericle, nell’Atene del V secolo avanti Cristo – ricorda Magaldi – furono inventate le “misthòtes”, le indennità, proprio per consentire anche ai poveri di occuparsi della cosa pubblica, viceversa prerogativa solo dei ricchi aristocratici». Oggi viviamo in un’Italia in piena stagnazione e con un governo che non ha certo “abolito la povertà”. «E dopo il fallimento clamoroso del reddito di cittadinanza, Di Maio ci viene a spiegare che la soluzione di tutto, la grande scelta epocale, sarebbe la diminuzione dei rappresentanti del popolo sovrano, facendo così diminuire anche il livello di democrazia rappresentativa?». Avverte Magaldi: «Stia attento, Di Maio, anche a quello che fanno i pentastellati nelle amministrazioni locali, perché gira voce che, paradossalmente, siano i più affamati di affari, affarucci e denari». Neoliberismo sospetto, in salsa populista: «C’è questo strano connubio: da un lato ciò che è pubblico (comprese le indennità) viene demonizzato, per offrirlo in pasto a un risentimento popolare del tutto presunto (la gente non ha più la sveglia al collo, vede bene che questi sono pretesti), e dall’altro il taglio delle indennità produce fatalmente più corruzione».Insomma, per Magaldi il “circo” stimolato da Salvini «ci mostra degli animali politici davvero bizzarri», nessuno all’altezza della crisi nazionale. «Questa rappresentazione richiede quindi un cambio di passo drastico: la classe politica italiana è scesa davvero al punto più basso, per merito delle abili mosse di Salvini». Ispirato da chi? Incalzato dalla domanda, nella diretta web-streaming su YouTube, Magaldi rifiuta di essere esplicito: «Diciamo che Salvini sta studiando». Per Carpeoro, non ha ancora trovato il suo “burattinaio”, cioè «uno di quei “venerabilissimi maestri” dei contesti massonici neoaristocratici che amano ridurre i politici a propri burattini». Secondo Magaldi, invece, c’è un’altra possibilità: «E cioè che personaggi come Salvini, che non hanno alle spalle burattinai e che magari non vogliono averne, possano invece cercare suggestioni e ispirazioni, mettendosi a studiare per poter interpretare in modo più adeguato al servizio della collettività». Comunque, aggiunge Magaldi, possiamo stare certi che il leader della Lega non ha tentato uno strappo in modo avventato, non è rimasto isolato e non sta assolutamente cercando di salvarsi in corner. Al contrario: è proprio lui a condurre le danze. In altre parole: “C’è del metodo, in questa follia”, come avrebbe detto Shakespeare.«C’è del metodo, e il primo risultato è quello di aver messo a nudo tutte le ipocrisie degli altri attori politici e la loro disponibilità a rimangiarsi il giorno dopo quello che avevano detto il giorno prima». Quindi, ribadisce Magaldi, c’è un’ispirazione precisa. E c’è anche «un personaggio che ha ancora molto da emendare, da imparare e da perfezionare». Tuttavia Salvini «è l’unico che ha i tratti e le caratteristiche per poter essere percepito come un pericolo, da parte di chi vorrebbe proseguire in modo imperterrito sulla strada di questi anni», cioè il suicidio programmato dell’economuia italiana da parte delle lobby che dominano l’Ue. Diciamola tutta, ammette Magaldi: «Salvini ha anche bisogno anche di smarcarsi da quella ghettizzazione, sempre possibile, che lo presenta come neofascista o fiancheggiatore dei neofascisti». Ne è consapevole: «Lo si è già visto nella sua prudenza rispetto a Fratelli d’Italia e poi anche rispetto a Forza Italia: un’alleanza così, anche se vincente, a livello internazionale sarebbe facile da ghettizzare come l’arrivo di una pericolosa destra». E poi Salvini «ha bisogno di alleanze e di riferimenti politici, ideologici e programmatici che semmai ne sdoganino il lato progressista». Quello che di certo non gli serve è «un abbraccio con Berlusconi e la Meloni in stile nuovo centrodestra, un copione già visto e già bocciato dagli italiani».Quello che sta facendo il capo della Lega, capace di scuotere la politica del Belpaese, non è comunque sufficiente: Salvini è ancora troppo condizionato dalla preoccupazione del consenso. «Il problema vero è che Salvini, e chiunque altro – da destra, da sinistra, dal centro – volesse partecipare di una nuova stagione politica (dove anche la Lega mutasse pelle e diventasse qualcos’altro, magari anche di più progressista), dovrebbe anche saper mordere, oltre che abbaiare e affabulare». Anche perché «non sarà un momento tenero, quello in cui si dovrà fare un braccio di ferro adeguato con i gestori dell’austerity». La verità, sottolinea Magaldi, è che se oggi il sedicente “governo del cambiamento” è comunque costretto a subire tutte queste rappresentazioni teatrali, è perché questo governo non ha cambiato alcunché: «Finora è stato il governo del falso cambiamento. E Salvini se n’è accorto, a differenza del narcisista e miope Di Maio». Caporetto 5 Stelle: «Non c’è discussione interna, Di Maio andrebbe valutato come inadeguato. Dovrebbe quindi esserci un ricambio di classe dirigente: solo a quel punto, prima di scomparire, il Movimento 5 Stelle potrebbe ancora avere un ruolo nel futuro dell’Italia». Se gli elettori ti investono di tante speranze, non puoi fingere: devi lottare, «fino a strappare – per l’Italia e per l’Europa – una prospettiva più democratica e anche più prospera».Il problema vero dice ancora Magaldi, non sta in come si risolve questa grande rappresentazione teatrale, o meglio circense, ma sta nel fatto che – alla fine dei giochi – qualcuno si assuma la responsabilità di fare quello che va fatto. «E quello che va fatto è chiaro: un piano di 50 anni di investimenti pubblici importanti, che diano fiato all’economia privata, iniziando un braccio di ferro con l’Europa in modo soft, cioè chiedendo di stralciare questi investimenti dai parametri del deficit. Poi serve l’apertura in Europa di un tavolo per la redazione di una Costituzione politica di natura radicalmente democratica». Per Magaldi «sono queste le cose importanti da fare, insieme all’abbassamento drastico delle aliquote fiscali». Cose semplici, come l’introduzione di una moneta parallela: «Misura che serve a difendersi dalle norme stringenti di oggi. Ma se l’Italia negoziasse lo stralcio degli investimenti necessari rispetto al computo del deficit, non ci sarebbe nemmeno più bisogno di moneta parallela». In altre parole, «le cose sono davvero più semplici di quello che sembrano, se davvero ci fosse la volontà politica di farle». Per questo servono politici capaci di fare un salto di qualità. Salvini, appunto? «Io credo che oggi stia studiando l’ipotesi di diventare davvero uno statista. Poi sta a lui riuscirci (e studiare bene) oppure no».Naturalmente, la crisi fa esplodere dietrologie multiple. Per esempio c’è il possibile ruolo del supermassone reazionario Michael Ledeen, in Italia da luglio, indicato da Carpeoro come fattore rilevante per disarcionare Salvini. Per Magaldi, invece, «quello di Ledeen è un ruolo forse sopravvalutato, come quello di Renzi: anche se dovesse entrare nel nuovo ipotetico governo e dovesse ridicolizzare Zingaretti, costringendolo a subire il peso della maggioranza dei parlamentari Pd (che oggi è di rito renziano), Renzi dovrebbe comunque accontentarsi di una breve stagione». Ledeen e gli altri “avvoltoi” oligarchici come il francese Attali, mentore di Macron? «Tutte vere le osservazioni di Carpeoro, ma guarderei in modo diverso la prospettiva di fondo», spiega Magaldi. «In realtà, i gruppi reazionari neoaristocratici sono in un momento di grande difficoltà, perché anche tutti gli sforzi fatti per non andare a votare, tenendo in sella certi personaggi, in un modo o nell’altro sono destinati a fallire». E questo, scandisce Magaldi, è davvero un fatto nuovo: «C’è una coscienza popolare che sta comunque crescendo, intorno ad aspettative che oggi vengono proiettate su Salvini». Ma se il leader leghista dovesse fallire o deludere, domani queste speranze «sarebbero comunque proiettate su qualcun altro, perché esprimono un’esigenza reale», che né Renzi né Di Maio (e tantomeno Berlusconi) hanno dimostrato di saper cogliere e interpretare.Magaldi punta alla sostanza, allo sfondo: «Non darei quindi grande peso al ruolo di vecchi arnesi come il “fratello” Ledeen: un anziano signore, memore di antichi giochi spregiudicati fatti anche destando irritazione persino tra le forze dell’ordine e l’intelligence italiana. Quei giochi sono ormai finiti», sostiene il presidente del Movimento Roosevelt. «Credo che questi personaggi non siano più nemmeno i veri burattinai che cercano di frenare questo nuovi scenario che si prepara». Bisogna saper leggere tra le righe: «La battaglia oggi non è nel tentare di frenare quello che il popolo italiano proietta su personaggi come Salvini. Per questo esprimo una sorta di compassione anche per tutti quelli che si agitano, cercando di combattere in termini sbagliati». E attenzione: «Non può essere efficace utilizzare ancora a lungo il Movimento 5 Stelle come un elemento che rafforzi il sistema. Ha avuto consensi perché era visto come un mezzo per realizzare alcune speranze, per quanto confuse. Se però il M5S fa un abbraccio mortale con il Pd e con altri, contro le speranze proiettate su Salvini, compie un grande suicidio collettivo». “Ciaone”, caro Di Maio. «Tanti auguri, a questo governo che dovesse nascere: sarebbe un regalo, per noi progressisti, un po’ come l’ipotesi di Mario Draghi a Palazzo Chigi». Tutti si accorgerebbero che il Re è nudo: «Che regalo, vedere finalmente Draghi tutti i giorni in televisione a difendere le sue scelte di austerity – non più remoto, ieratico e autorevole dalla poltrona della Bce, ma costretto a rispondere con la sua faccia, non più in modo sfingeo, dovendo spiegare agli italiani (come già Monti) che l’austerità è bella».Secondo Magaldi, un anno di governo con Pd, 5 Stelle e Leu all’insegna del “teniamo i conti in ordine” sarebbe la miglior cosa da auspicare, per i progressisti: «Sarebbe la distruzione definitiva della credibilità di tutti coloro che dovessero animare quel governo». Se ce la faranno, a metterlo in piedi, si voteranno al suicidio. Aiutati dai “venerabili” burattinai della supermassoneria reazionaria? Magaldi è scettico: «Sono al tramolto molti vecchi tromboni alla Ledeen, gente che appartiene a un altro mondo, personaggi che stanno anche invecchiando e morendo. Il fronte massonico delle Ur-Lodges neoaristocratiche oggi è molto meno forte di quanto non si creda». Certo, le strutture nel frattempo create fanno sì che il percorso tracciato resti in piedi, per forza d’inerzia. «E’ la legge di Saturno, per dirla in termini astrologici: la conservazione della struttura esistente. Però la legge di Saturno comporta anche l’invecchiamento e la sclerotizzazione». Di fatto, il caso-Salvini dimostra che si stanno aprendo delle crepe, «nei cascami di questo sistema di governance che riguarda l’Italia». La nuova frontiera? «Sta nell’essere molto dinamici: il nuovo orizzonte credo sia quello di chi è capace di scendere in piazza per fare delle veloci operazioni di flash-mob a favore di telecamera, con le bandiere issate, andando nei luoghi dove si radunano i rappresentanti (magari marci) del potere attuale». E questo «sia nel caso in cui tutto il quadro frani, sia che Salvini invece emerga come qualcuno che finalmente ha iniziato a collocarsi dalla parte giusta, e con la giusta ispirazione ideologica». L’importante, chiosa Magaldi, è che gli italiani non restino a guardare anche stavolta.Comunque vada, Salvini ha già vinto: sono a suo favore tutti gli scenari. Elezioni anticipate? Trionferebbe. Governo Conte-bis? Farebbe la parte del leone, ridimensionando i grillini in caduta libera. Governissimo Renzi-Grillo? Meglio ancora: dall’opposizione, il leader della Lega preparerebbe un plebiscito nel giro di un anno, con gli italiani costretti a subire la maxi-stangata imposta da Bruxelles e somministrata da Renzi e Di Maio, magari col Monti di turno. La notizia però è un’altra: «Di improvvisato non c’è nulla, nelle mosse di Salvini». E il capo della Lega non è affatto solo, ma è anzi «sapientemente consigliato». Lo svela Gioele Magaldi, massone progressista, già inziato alla superloggia internazionale “Thomas Paine”, storica culla del pensiero politico-economico keynesiano. Il presidente del Movimento Roosevelt, autore del bestseller “Massoni” che inquadra il ruolo delle Ur-Lodges nel retrobottega del potere mondiale, oggi scommette su Matteo Salvini: «Sta studiando, e potrebbe persino diventare uno statista. E’ l’unico leader politico oggi capace di intercettare le speranze degli italiani. Deve ancora farne, di strada, ma intanto ha spiazzato tutti, costringendo i concorrenti a svelarsi e a contraddirsi». Per Magaldi «è in una situazione win-win: ha vinto e vincerà anche domani, in qualsiasi modo evolva questa crisi, che è stata lungamente progettata, da Salvini e da chi lo ha consigliato con sapienza».
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Ponti: Tav ridicolo. E ben 133 miliardi di progetti-fantasma
«Un ex amministratore delegato e super-ferroviere (ex da poco tempo) mi disse che, visto che sulla linea Torino-Lione non ci passerà nessuno, l’ipotesi di potenziare la linea che passa per Nizza e Ventimiglia era assolutamente da prendere in considerazione». Parola di Marco Ponti, super-tecnico ingaggiato da Danilo Toninelli per stilare finalmente un rapporto costi-benefici per la contestatissima linea Tav Torino-Lione, completamente inutile. Non solo: se i miliardi per l’alta velocità valsusina so rivelerebbero uno spreco assoluto e insensato, ancor peggio sarebbero i progetti-fantasma lasciati al ministero dal precedecessore di Toninelli, cioè Graziano Delrio. Letteralmente: 133 miliardi di progetti «senza nessuna valutazione», dice il professor Ponti, già consulente della Banca Mondiale e docente al Politecnico di Milano, considerato uno dei massimi esperti al mondo in materia di trasporti. Le infrastrutture progettatte con Delrio? «Non si sa nemmeno quanto costano e quanto ci si ricava: non c’è un’analisi di traffico. Sono state approvate per partito preso. Quindi, se vogliamo, il progetto della Tav è irrilevante rispetto al complesso dei progetti che vanno valutati. Io ne ho sul tavolo per 27 miliardi».Parlando con Maria Teresa Santaguida dell’agenzia di stampa Agi, Marco Ponti definisce testualmente «un’enorme cazzata» il progetto Tav Torino-Lione. I progetti in giacenza al ministero, ereditati dai governi Renzi e Gentiloni? Non si sa quanto traffico ospiterebbero, né si conosce l’eventuale rientro finanziario: «Si sanno solo i costi, perché sono soldi nostri». Attacca Ponti: «Solo perché si tratta di soldi dei contribuenti, non occorre valutare?». Il professor Ponti, economista, è bersaglio di polemiche dopo che la sua analisi ha sonoramente bocciato la Torino-Lione. Si difende contrattaccando: per decenza, si faranno analisi costi-benefici su tutti i progetti-fantasma parcheggiati al ministero da Delrio. Molte opere avrebbero alternative meno costose, tutte da analizzare. «Sulla Tav è più difficile, perché quello è un “tubo”: o si fa o non si fa». Il professore, intanto, critica «l’assioma» per il quale il trasporto su ferro inquinerebbe meno di quello su gomma: «Grazie alla tecnologia abbiamo già risultati strepitosi: un camion di oggi inquina un decimo di uno di vent’anni fa. E questa è la strada che sta seguendo tutto il mondo: si investono decine di miliardi per fare veicoli ibridi o elettrici. Tecnologia che poi pagano gli utenti, mentre la ferrovie le paghiamo noi».Tra le accuse a Ponti, l’aver redatto in passato una pubblicazione che valutava positivamente la Torino-Lione. Il professore si infuria: «Il precedente studio è una balla, è una delle bugie più odiose pronunciate da Enrico Mentana: quello che ha fatto è orrendo». E spiega: «Quello studio non era un’analisi costi-benefici, ma un’analisi di valore aggiunto: il che non ha niente a che vedere con l’analisi costi-benefici». Aggiunge Ponti: «Col valore aggiunto è fattibile qualsiasi cosa, anche un’autostrada di alluminio tra la Sicilia e la Sardegna, perché non misura il rapporto tra costi e benefici: infatti ai politici piace tantissimo». Secondo lo studioso, confrontare la stima del valore aggiunto con l’analisi costi-benefici «è una porcata indegna di un giornalista serio». Tutti, ovviamente, l’hanno usata per dire: ecco, Ponti dice una volta sì e l’altra no, a seconda di chi lo paga. Falso: la consulenza al governo gialloverde è gratis. «Ci tengo a dire che non sono pagato, per mia scelta», sottolinea Ponti: «La libertà ha un prezzo, io sono ricco e non me ne frega niente». Insiste: «Nessuno deve potermi dire che dico sì o no perché sono pagato. Da 10 anni valuto i progetti sulla base dei costi e dei benefici che riesco a calcolare».Il progetto Torino-Lione, aggiunge Ponti, «mi dicevano già che era indifendibile: non sarebbe stato un buon uso delle risorse pubbliche, perché costa troppo caro rispetto al traffico che ci passerebbe su». E come spiegare, allora, tanta insistenza nel proporre una grande opera così disastrosamente sgangherata, improbabile, inutile e oltretutto avversata dall’intera comunità locale della valle di Susa? «La lobby ferroviaria in Europa è intoccabile perché muove voti e soldi», sostiene Ponti: viene dunque da lontano l’ostinazione ventennale sulla ridicola Torino-Lione. Colpa della potente lobby europea, che si mette tranquillamente in tasca Bruxelles. «La Commissione Europea – dice ancora Ponti – decide senza seguire le regole, tra cui quella in base alla quale chi inquina paga, perché anche le ferrovie sono altamente inquinanti». E attenzione: «I ritorni finanziari sull’investimento per infrastrutture ferroviarie sono sempre zero». Chi gliel’ha detto? «La stessa commissaria Ue ai trasporti, la slovena Violeta Bulc».«Un ex amministratore delegato e super-ferroviere (ex da poco tempo) mi disse che, visto che sulla linea Torino-Lione non ci passerà nessuno, l’ipotesi di potenziare la linea che passa per Nizza e Ventimiglia era assolutamente da prendere in considerazione». Parola di Marco Ponti, super-tecnico ingaggiato da Danilo Toninelli per stilare finalmente un rapporto costi-benefici per la contestatissima linea Tav Torino-Lione, completamente inutile. Non solo: se i miliardi per l’alta velocità valsusina so rivelerebbero uno spreco assoluto e insensato, ancor peggio sarebbero i progetti-fantasma lasciati al ministero dal precedecessore di Toninelli, cioè Graziano Delrio. Letteralmente: 133 miliardi di progetti «senza nessuna valutazione», dice il professor Ponti, già consulente della Banca Mondiale e docente al Politecnico di Milano, considerato uno dei massimi esperti al mondo in materia di trasporti. Le infrastrutture progettatte con Delrio? «Non si sa nemmeno quanto costano e quanto ci si ricava: non c’è un’analisi di traffico. Sono state approvate per partito preso. Quindi, se vogliamo, il progetto della Tav è irrilevante rispetto al complesso dei progetti che vanno valutati. Io ne ho sul tavolo per 27 miliardi».
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Autostrade, l’indecente segreto di Stato sulle concessioni
Quattro o cinque anni fa la neonata Autorità dei trasporti chiese al ministero delle infrastrutture i testi dei contratti di concessione autostradale. Sembrava una richiesta di routine, e invece i funzionari ministeriali fecero muro: i documenti, spiegarono, contengono dati delicati per le aziende coinvolte e quindi non possono essere divulgati. Nemmeno all’organismo di controllo. Affermazione sorprendente ma del tutto in linea con quello che era accaduto al momento stesso della creazione dell’Autorità. L’Aiscat, l’associazione dei gestori, era riuscita a ottenere una sostanziale riduzione dei suoi poteri: contrariamente a quello che accade in altri paesi, l’Autorità deve ancora oggi limitarsi alle nuove concessioni, ma non può mettere becco in quelle già firmate, tutte le più importanti compresa quella di Autostrade. Non meraviglia dunque che “Phastidio”, il sito dell’economista Mario Seminerio, abbia definito le concessioni «un indecente segreto di Stato», più tutelato di quelli militari. In questo caso, però, a essere protetta non è la collettività, ma le società che incassano i pedaggi.Il muro di gomma ha fino ad ora sempre tenuto, sventando ogni pericolo; l’esempio più recente risale all’inizio di quest’anno: mantenendo all’apparenza le ripetute promesse di trasparenza, Graziano Delrio, ministro dei trasporti del governo Gentiloni, ha fatto pubblicare su Internet i testi incriminati. Peccato però che siano state escluse le parti più importanti, quelle davvero utili per farsi un’idea della sensatezza economica degli accordi. Le concessioni, in tutto una ventina o poco più, sono i contratti con cui lo Stato (attraverso il ministero delle infrastrutture) affida a una società la gestione di un tronco autostradale, i rispettivi obblighi e diritti, i ricavi che l’operatore privato ne potrà trarre e gli investimenti a cui si impegna. Nella maggior parte dei casi risalgono alla fine degli anni Novanta, il periodo delle grandi privatizzazioni. Quella di Autostrade per l’Italia, siglata nel 1997, scadeva nel 2038; ma di recente, in cambio dei lavori sulla nuova super-tangenziale di Genova, la cosiddetta Gronda, è stata prorogata al 2042.Proprio le proroghe sono uno dei tasti più delicati. La legge europea prevede che, una volta scadute, le convenzioni vengano messe a gara, nel nome di una sana competizione. Peccato che in Italia non succeda praticamente mai. Il cavallo di Troia sono di solito i nuovi investimenti: il gestore si impegna a costruire un nuovo tronco, una terza (o quarta) corsia, opere considerate indispensabili, e come remunerazione finisce con l’ottenere dal governo un aumento dei pedaggi o una proroga del contratto (talvolta entrambi). Spesso, tra l’altro, l’investimento provoca un aumento del traffico e il gestore ci guadagna due volte. Atlantia dei Benetton (con Autostrade primo gestore italiano) o il gruppo Gavio (secondo) hanno un altro vantaggio: possiedono delle società di costruzioni interne a cui, almeno in parte, affidano i lavori. L’incasso tende così a triplicarsi.Uno dei dominus del sistema è Fabrizio Palenzona, tra i più formidabili uomini di potere dell’Italia degli ultimi decenni. Ai tempi della Prima Repubblica era già un democristiano in carriera (è stato sindaco di Tortona e presidente della provincia di Alessandria). Poi è diventato banchiere (vicepresidente di Unicredit) e proconsole dei Benetton nel settore infrastrutture. In questa veste è presidente di Aiscat (come detto l’associazione dei gestori autostradali) e di Assoaeroporti (i Benetton controllano lo scalo di Fiumicino). La famiglia di Ponzano Veneto, oggi in difficoltà di fronte all’accanita competizione nel settore dei maglioncini (dove da anni perde soldi) è entrata nel più redditizio comparto dei servizi in concessione già dalla prima privatizzazione nel 1998. Più o meno nello stesso periodo sono entrati i Gavio. Le società della famiglia di Tortona sono state coinvolte qualche anno fa in una grottesca vicenda che rende bene la scarsa trasparenza del settore. La cosiddetta legge sblocca-Italia del 2015 prevedeva a loro vantaggio la solita proroga (con relativi incassi) in cambio di lavori per 10 miliardi. Arrivata a Bruxelles la norma fu bocciata tra mille imbarazzi: i «nuovi» lavori, dissero i funzionari Ue, sono gli stessi che ci avete presentato negli anni precedenti. Quante volte volete farveli pagare?(Angelo Allegri, “L’indecente segreto di Stato sui contratti di concessione”, dal “Giornale” del 17 agosto 2018).Quattro o cinque anni fa la neonata Autorità dei trasporti chiese al ministero delle infrastrutture i testi dei contratti di concessione autostradale. Sembrava una richiesta di routine, e invece i funzionari ministeriali fecero muro: i documenti, spiegarono, contengono dati delicati per le aziende coinvolte e quindi non possono essere divulgati. Nemmeno all’organismo di controllo. Affermazione sorprendente ma del tutto in linea con quello che era accaduto al momento stesso della creazione dell’Autorità. L’Aiscat, l’associazione dei gestori, era riuscita a ottenere una sostanziale riduzione dei suoi poteri: contrariamente a quello che accade in altri paesi, l’Autorità deve ancora oggi limitarsi alle nuove concessioni, ma non può mettere becco in quelle già firmate, tutte le più importanti compresa quella di Autostrade. Non meraviglia dunque che “Phastidio”, il sito dell’economista Mario Seminerio, abbia definito le concessioni «un indecente segreto di Stato», più tutelato di quelli militari. In questo caso, però, a essere protetta non è la collettività, ma le società che incassano i pedaggi.
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Salvini: Bruxelles ha sulla coscienza i morti di Genova
«Salvini fa solo demagogia», proclama da Parigi il solito Macron, pensando all’ennesima crisi-migranti (la nave Aquarius “rimbalzata” nel Mediterraneo) poco prima che l’Italia letteralmente si fermi, alla vigilia di ferragosto, di fronte al disastro di Genova: almeno 37 morti sotto le macerie del viadotto Morandi, collassato – pare – per il cedimento (non inatteso) degli “stralli”, i tiranti d’acciaio che reggevano la gigantesca infrastruttura sospesa sul capoluogo ligure. Terrore, caos, emergenza nazionale: il governo Conte, tramite Salvini e Di Maio, annuncia la revoca della concessione ad Autostrade e una multa da 150 milioni, mentre il ministro Toninelli si aspetta le dimissioni dei vertici della società. Emergono notizie purtroppo risapute: l’allarme per la tenuta del viadotto era stato rilanciato più volte, negli ultimi anni. Il problema? Soldi non disponibili per le riparazioni. «Buona parte d’Italia è da mettere in sicurezza», dichiara Salvini, a caldo, davanti alle telecamere. «C’è da metter mano a strade e ponti, autostrade, scuole, argini». Chi ce lo vieta? Ovvio: il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. «Se ci sono vincoli esterni che ci impediscono di spendere soldi (che avremmo) per mettere in sicurezza le scuole dove vanno i nostri figli o le autostrade dove viaggiano i nostri lavoratori, sarà il caso di porsi il dubbio se continuare a rispettare questi vincoli o se mettere, davanti a tutto e a tutti, la sicurezza degli italiani».Bingo: il leader della Lega ha centrato il punto. Se ne accorge anche “Bloomberg News”, che sottolinea: «Salvini punta il dito contro l’Ue per i morti a Genova». Commenta Paolo Barnard: «Concordo, ma sono silenti Tria, Conte e soprattutto Giulia Grillo, con oltre 60.000 italiani che muoiono, ogni anno, per le medesime ristrettezze economiche imposte dalla Ue». Ristrettezze «che hanno ucciso anche a Genova». E quindi, aggiunge Barnard, «Matteo Salvini mandi a Bruxelles quei conigli di Conte e Tria con 60.035 morti, non 37». Le dimensioni della catastrofe di Genova sono scioccanti: è crollato uno dei simboli dell’Italia del boom, risalente a mezzo secolo fa. Grandi opere (utili: non come il Tav Torino-Lione) che spinsero il “miracolo italiano”, sostenuto da poderosi investimenti pubblici sotto forma di deficit. Poi l’avvento nel neoliberismo, la fine della Prima Repubblica sotto i colpi di Mani Pulite e la grande stagnazione avviata con la nascita dell’Unione Europea e l’ingresso nell’Eurozona, che ha trasformato il debito pubblico: da leva stragegica per lo sviluppo a vera e propria tragedia nazionale, sotto il ricatto dello spread (la speculazione finanziaria sui titoli di Stato, non più sorretti dalla banca centrale come “prestatore di ultima istanza”).Uno schema evidenziato, in modo spettrale, dal martirio socio-economico della Grecia non più sovrana: prima la sovraesposizione debitoria incoraggiata dagli “stregoni” della Goldman Sachs, tra cui Mario Draghi, e poi – di fronte all’impossibilità di sostenere un maxi-debito non denominato in moneta nazionale, la condanna a ripagarlo per intero, imposta dal Fmi grazie a super-tecnocrati come Carlo Cottarelli. Il crollo del mastodontico viadotto genovese avvicina pericolosamente l’Italia alla Grecia: è un cedimento altamente simbolico, una sinistra premonizione. Certo, la situazione dovrà essere chiarita nei dettagli. Lo stesso Salvini pretende innanzitutto giustizia per i familiari delle vittime e chiede che l’inchiesta avviata dalla magistratura possa fornire indicazioni chiare su chi sono i responsabili di quanto accaduto: «Serve chiarezza, non può esserci un’altra strage senza colpevoli e qui hanno nomi e cognomi ben precisi: qualcuno deve finire in galera», dichiara il ministro dell’interno ai microfoni del Tg4. Ma è meglio risparmiarsi le speculazioni politiche spicciole: «Da ore in rete girano interrogazioni a questa o quella persona, ma non me la prendo con Delrio, perché non fa l’ingegnere nemmeno lui», aggiunge Salvini, evitando di “sparare” sul precedessore di Toninelli.Salvini punta giustamente al bersaglio grosso, Bruxelles: cioè il gran consiglio di tecnocrati non-eletti ai quali il governo gialloverde intende strappare larghe concessioni ai vincoli di bilancio, per poter finanziare Flat Tax e reddito di cittadinanza. Il leader della Lega sembra pronto a far pesare anche i morti di Genova: con più soldi da spendere a deficit, la tragedia si sarebbe evitata. L’inizio della fine, per noi? L’austerity varata da Monti e l’obbligo “criminale” del pareggio di bilancio inserito addirittura nella Costituzione, con il placet di Berlusconi e Bersani. Tra le macerie genovesi crolla anche la “teologia” neoliberista che predica la necessità dei tagli pubblici: l’economista post-keynesiano Nino Galloni ricorda che ogni atto di spesa produce un ritorno, in termini di Pil, anche del 300%. Impugnando lo sfacelo di Genova, l’Italia potrebbe rilanciare la sua sfida, da cui – ormai l’hanno capito tutti – può dipendere il futuro assetto politico dell’intera Europa. Per questo la Merkel tace, e il supermassone filo-vaticano Macron continua a latrare, in modo inaudito, contro il governo per il quale oltre il 60% degli italiani fa apertamente il tifo.«Salvini fa solo demagogia», proclama da Parigi il solito Macron, pensando all’ennesima crisi-migranti (la nave Aquarius “rimbalzata” nel Mediterraneo) poco prima che l’Italia letteralmente si fermi, alla vigilia di ferragosto, di fronte al disastro di Genova: almeno 37 morti sotto le macerie del viadotto Morandi, collassato – pare – per il cedimento (non inatteso) degli “stralli”, i tiranti che reggevano la gigantesca infrastruttura sospesa sul capoluogo ligure. Terrore, caos, emergenza nazionale: il governo Conte, tramite Salvini e Di Maio, annuncia la revoca della concessione ad Autostrade e una multa da 150 milioni, mentre il ministro Toninelli si aspetta le dimissioni dei vertici della società. Emergono notizie purtroppo risapute: l’allarme per la tenuta del viadotto era stato rilanciato più volte, negli ultimi anni. Il problema? Soldi non disponibili per le riparazioni. «Buona parte d’Italia è da mettere in sicurezza», dichiara Salvini, a caldo, davanti alle telecamere. «C’è da metter mano a strade e ponti, autostrade, scuole, argini». Chi ce lo vieta? Ovvio: il rigore di bilancio imposto da Bruxelles. «Se ci sono vincoli esterni che ci impediscono di spendere soldi (che avremmo) per mettere in sicurezza le scuole dove vanno i nostri figli o le autostrade dove viaggiano i nostri lavoratori, sarà il caso di porsi il dubbio se continuare a rispettare questi vincoli o se mettere, davanti a tutto e a tutti, la sicurezza degli italiani».
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Mattarella, cercasi premier che rottami Renzi, Grillo e Silvio
Un commissario a cui affidare il timone dell’Italia, data l’impossibilità di fidarsi di Renzi, Berlusconi e Grillo. Non un proconsole Ue come Monti, però: un italiano “vero”, non agli ordini dei poteri forti europei. E’ la scelta sulla quale, secondo “Il Sussidiario”, si starebbe orientando il felpato Mattarella, tra le segrete stanze del Quirinale. «Tacito e invisibile, Sergio Mattarella è l’opposto di Giorgio Napolitano», scrive Antonio Fanna. «Parla poco, non cerca la sovraesposizione, non mostra di pilotare alcunché nella vita politica e istituzionale del Belpaese, non intende mostrarsi come il garante degli interessi europei». Del resto, «essendo il capo dello Stato, di fatto è già l’uomo che fornisce le dovute assicurazioni (e rassicurazioni) ai partner di Bruxelles senza aver bisogno di sbandierarlo ai quattro venti». Ma come “l’emerito”, anche il presidente in carica «agisce molto dietro le quinte». Napolitano «doveva sbarazzarsi del governo di Silvio Berlusconi, inviso alle capitali che contano», in un contesto economico in rapido peggioramento. Risultato: il governo-horror di Mario Monti e la sua eredità elettorale, cioè «un Parlamento impazzito, privo di una maggioranza chiara, terremotato dai cambi di casacca e incapace di cambiare verso alla crisi perdurante».Scontiamo il peso di tre governi – Letta, Renzi, Gentiloni – l’ultimo dei quali «non sembra in grado di tracciare e seguire una road-map verso una nuova legge elettorale», annota Fanna sul “Sussidiario”. «Se questa è stata una legislatura terremotata – aggiunge – nella prossima si preannuncia uno scenario da post-tsunami, con le Camere elette da un sistema proporzionale, dove sparisce il bipolarismo destra-sinistra e forse anche il tripartitismo con i grillini». La parola d’ordine più probabile sarà “ingovernabilità”, «per la presenza di tante formazioni minori, ognuna con un suo diritto di veto». Nella fase attuale, continua Fanna, i leader non mostrano di avere capacità di visione. «Renzi pensa al tridente Gentiloni-Minniti-Delrio, Berlusconi è stretto nella morsa di Salvini e Meloni e si aggrappa nientemeno che a Musumeci. I grillini sono lo specchio della politica come Roma lo è dell’Italia, ingovernata e ingovernabile». In più, «la legge elettorale è sparita dai radar». E riaffiora «un ritornello lanciato prima della pausa estiva da Ettore Rosato: con la legge di bilancio (e quindi anche senza riforma elettorale) il governo Gentiloni ha chiuso il suo mandato».Secondo Fanna, «il povero Mattarella cerca il bandolo di questa matassa». E l’ipotesi che si fa strada «non è di un Gentiloni bis, una mezza figura adatta per le mezze stagioni, ma nemmeno quella di un tecnico alla Monti, manovrato dalle cancellerie europee». Ormai l’hanno capito tutti: «Con Napolitano e Monti erano altri a decidere al posto degli italiani». Con Mattarella, secondo Fanna, si cambierebbe registro: la scelta sarebbe “interna”. «Il lavoro dei prossimi mesi sarà quello di individuare il profilo più adatto e di applicare al meglio la mitica “moral suasion” del Quirinale, cioè la capacità di convincimento». Non un tecnico, dunque, ma un commissario: «Una figura sopra le parti, che sia in grado di avere un certo ascendente». Il governo sarà ridotto a una sorta di “authority”, dove la maggioranza (comunque risicata) non troverà legittimazione nelle alleanze, quanto piutosto «nella capacità attrattiva, magnetica, del personaggio che verrà indicato per installarsi a Palazzo Chigi». Questa è «un’Italia nel caos», che per Fanna (e Mattarella?) ha bisogno di «un commissario tecnico», cioè «un allenatore, un trainer con pieni poteri». In altre parole: «Un saggio alla Bearzot con Mattarella al posto di Pertini. Sempre che il presidente siciliano sappia giocare a scopone come il suo predecessore ligure».Un commissario a cui affidare il timone dell’Italia, data l’impossibilità di fidarsi di Renzi, Berlusconi e Grillo. Non un proconsole Ue come Monti, però: un italiano “vero”, non agli ordini dei poteri forti europei. E’ la scelta sulla quale, secondo “Il Sussidiario”, si starebbe orientando il felpato Mattarella, tra le segrete stanze del Quirinale. «Tacito e invisibile, Sergio Mattarella è l’opposto di Giorgio Napolitano», scrive Antonio Fanna. «Parla poco, non cerca la sovraesposizione, non mostra di pilotare alcunché nella vita politica e istituzionale del Belpaese, non intende mostrarsi come il garante degli interessi europei». Del resto, «essendo il capo dello Stato, di fatto è già l’uomo che fornisce le dovute assicurazioni (e rassicurazioni) ai partner di Bruxelles senza aver bisogno di sbandierarlo ai quattro venti». Ma come “l’emerito”, anche il presidente in carica «agisce molto dietro le quinte». Napolitano «doveva sbarazzarsi del governo di Silvio Berlusconi, inviso alle capitali che contano», in un contesto economico in rapido peggioramento. Risultato: il governo-horror di Mario Monti e la sua eredità elettorale, cioè «un Parlamento impazzito, privo di una maggioranza chiara, terremotato dai cambi di casacca e incapace di cambiare verso alla crisi perdurante».
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Migranti: diritti umani a pedaggio, il cinismo dei buonisti
La situazione dei migranti nel Mediterraneo diventa ogni giorno più paradossale. Tre anni fa i barconi carichi di migranti arrivavano fino alle nostre coste, e i pescatori locali uscivano in mare per andarli a prendere e portarli a riva. Poi le navi hanno iniziato a salvarli in mezzo al mare. I barconi lanciavano un messaggio di Sos dal mare aperto, e le navi delle Ong gli andavano incontro per recuperarli. Ultimamente le navi hanno iniziato a spingersi sempre più avanti, fino ad arrivare a prelevarli quando ancora si trovano nelle acque libiche. Mancava solo di stabilire un regolare collegamento di traghetti fra la costa libica e quella italiana, e il paradosso era completato. Ma a questo punto qualcuno lancia l’allarme, insospettito da questa eccessiva premurosità nell’andarsi a cercare il naufrago a tutti i costi. Il procuratore di Catania Zuccaro accusa le Ong di essere finanziate direttamente dai trafficanti. Apriti cielo! Insorgono i buonisti, dicendo che «non si può criticare chi salva delle vite in mare», e questo sdegno sproporzionato non fa che aumentare i sospetti che dietro a questi salvataggi ci sia un business estremamente lucroso.Però i migranti che arrivano da noi stanno diventando troppi, e il governo rischia un contraccolpo di tipo politico. A questo punto interviene Minniti, che cerca di mettere un freno alla situazione. Le navi delle Ong non potranno più andare a “ritirare” i migranti nelle acque della Libia, e non potranno più trasbordare il prezioso carico su altre navi di passaggio. Insomma, il business dei taxi del mare sembra improvvisamente destinato a finire. Ed ecco che nuovamente insorge il buonismo, questa volta nella figura del ministro Delrio, che protesta nel nome dei soliti “motivi umanitari”. Evidentemente, il buon Delrio rappresenta un ampio numero di cooperative rosse che vedono improvvisamente diminuire il quantitativo di merce umana su cui guadagnare 35 euro al giorno puliti puliti. A tutto questo si aggiunga che negli ultimi giorni le Ong stanno progressivamente rinunciando al loro compito di “salvatori di vite umane”.La scusa è quella che “ormai la situazione è troppo pericolosa”, ma è chiaro che il motivo debba essere un altro. Altrimenti, potrebbero semplicemente rimettersi ad aspettare i naufraghi in mezzo al mare, e continuare a svolgere tranquillamente il loro compito umanitario. Tutta questa faccenda dei migranti mette ancora una volta in luce la grande ipocrisia e il grande cinismo del mondo occidentale: andiamo in Africa a colonizzare, a uccidere e derubare, portando via tutte le ricchezze di quel continente e riducendo il suo popolo alla fame. E poi, quando questi scappano per venire a cercare un pezzo di pane, noi li trasformiamo in merce di scambio, e utilizziamo la scusa del “dovere umanitario” per mettere in piedi un meccanismo di supporto economico che permette alle cooperative legate ai partiti di guadagnare cifre spaventose. E poi se qualcuno improvvisamente ci toglie il giocattolo, allora ci mettiamo tutti a urlare scandalizzati in nome dei diritti umani.(Massimo Mazzucco, “Migranti, è solo una questione di soldi”, dal blog “Luogo Comune” del 14 agosto 2017).La situazione dei migranti nel Mediterraneo diventa ogni giorno più paradossale. Tre anni fa i barconi carichi di migranti arrivavano fino alle nostre coste, e i pescatori locali uscivano in mare per andarli a prendere e portarli a riva. Poi le navi hanno iniziato a salvarli in mezzo al mare. I barconi lanciavano un messaggio di Sos dal mare aperto, e le navi delle Ong gli andavano incontro per recuperarli. Ultimamente le navi hanno iniziato a spingersi sempre più avanti, fino ad arrivare a prelevarli quando ancora si trovano nelle acque libiche. Mancava solo di stabilire un regolare collegamento di traghetti fra la costa libica e quella italiana, e il paradosso era completato. Ma a questo punto qualcuno lancia l’allarme, insospettito da questa eccessiva premurosità nell’andarsi a cercare il naufrago a tutti i costi. Il procuratore di Catania Zuccaro accusa le Ong di essere finanziate direttamente dai trafficanti. Apriti cielo! Insorgono i buonisti, dicendo che «non si può criticare chi salva delle vite in mare», e questo sdegno sproporzionato non fa che aumentare i sospetti che dietro a questi salvataggi ci sia un business estremamente lucroso.
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Paghiamo anche per la Francia l’inutile Tav Torino-Lione
Tav Torino-Lione, vero affare. Per chi? Non certo per l’Italia, che pagherebbe in gran parte anche la tratta in territorio francese dell’ipotetico euro-tunnel alpino, già noto come “la grande opera più inutile della storia”. Come da più parti ricordato – non ultimo, l’appello di 360 specialisti universitari italiani, rivolto a Palazzo Chigi e al Quirinale ma rimasto senza riposta – la linea Tav Torino-Lione non servirebbe assolutamente a nulla. Tralasciando il devastante impatto (ambientale, idrogeologico, sulla salute e sulla vivibilità del territorio), la nuova ipotetica ferrovia sarebbe un perfetto “doppione” della attuale linea internazionale Torino-Modane, che già attraversa la valle di Susa. L’autorità svizzera che monitora per conto dell’Ue il trasporto alpino conferma: la ferrovia valsusina è utilizzata al 10% delle sue possibilità per mancanza oggettiva di traffico merci. Potrebbe incrementare del 900% i volumi di traffico, sull’attuale infrastruttura. Tanto più che l’Italia ha appena speso 400 milioni di euro per adeguare il Traforo del Fréjus, oggi adatto a ospitare convogli carichi di container “navali”, della massima pezzatura. Nonostante ciò, si insiste nel voler procedere, a tutti i costi, con la nuova linea, super-costosa e super-inutile.
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Renzi morirà sparando frottole (a quei fessi degli italiani)
Come sa chi frequenta questo blog, non ho mai amato Matteo Renzi ma la tracotanza degli ultimi giorni me lo rende insopportabile. E mi chiedo come facciano gli italiani a dargli ancora ascolto. Venerdì si è segnalato per la gaffe del secolo: si è attribuito i meriti per il progetto ferroviario ad alta velocità dell’Alptransit che scorre sotto il San Gottardo, annoverandolo tra i grandi progetti infrastrutturali italiani. Peccato che, come sanno i bambini delle elementari, il San Gottardo è un monte totalmente svizzero, che dista un centinaio di chilometri dal confine italiano. E l’Alptransit è un’opera spettacolare, di straordinaria modernità, ma concepita e finanziata interamente dalla Confederazione elvetica. L’Italia, semmai, si è segnalata per l’incapacità di dar seguito alle promesse ovvero a estendere la rete anche in Italia e infatti l’Alptransit si fermerà al confine.Una gaffe colossale, pronunciata in conferenza stampa mentre il ministro Delrio, che sedeva a fianco di Renzi, annuiva. Evidentemente né l’uno né l’altro sapevano dov’è il San Gottardo. In altri paesi i ministri che compiono passi falsi analoghi vengono ridicolizzati dai media, in Italia invece no. La notizia sui grandi media è passata sotto traccia, significativamente. I grandi media hanno dato invece ampio spazio alle roboanti dichiarazioni a commento del fallito referendum sulle trivelle. Ma con che ardire un premier afferma che “è stata sconfitta la demagogia”? Il referendum è fallito perché l’establishment italiano (a partire da Renzi) ha deciso di non parlarne in campagna elettorale. E la stampa, come al solito, si è adeguata. nessun titolo in prima pagina, speciali con il contagocce, scarse e svogliate trasmissioni in tv. La gente non è andata a votare semplicemente perché non si è nemmeno resa conto che ci fosse un referendum, tanto blanda era la campagna.Il contrasto è ancor più stridente, scorrendo le paginate di oggi: fiumi di retorica sul comportamento degli italiani e naturalmente, “sulla lezione da trarre”. Ora che l’establishment ha ottenuto quel che voleva, fiumi di inchiostro. Prima, neanche una riga. E ora, solo ora, tanto spazio alle dichiarazioni di Matteuccio: «Abbiamo salvato 11mila posti di lavoro. E per un premier è importante anche un solo posto di lavoro». Come se l’impiego fosse davvero al centro del referendum. Un decoroso, compiaciuto silenzio sarebbe stato molto più opportuno ed efficace mediaticamente. Ma Renzi non sa cosa sia la misura. Dal San Gottardo al referendum le spara sempre. E più grosse sono e più è contento. E’ nato “Bomba” e morirà politicamente come un “bomba”. Anzi morirà raccontando frottole e pensando in cuor suo, fino all’ultimo minuto, di essere l’unico vero furbo e gli altri, tutti gli altri, una manica di fessi.(Marcello Foa, “Renzi morirà sparando frottole”, dal blog “Il Cuore del Mondo” su “Il Giornale” del 18 aprile 2016).Come sa chi frequenta questo blog, non ho mai amato Matteo Renzi ma la tracotanza degli ultimi giorni me lo rende insopportabile. E mi chiedo come facciano gli italiani a dargli ancora ascolto. Venerdì si è segnalato per la gaffe del secolo: si è attribuito i meriti per il progetto ferroviario ad alta velocità dell’Alptransit che scorre sotto il San Gottardo, annoverandolo tra i grandi progetti infrastrutturali italiani. Peccato che, come sanno i bambini delle elementari, il San Gottardo è un monte totalmente svizzero, che dista un centinaio di chilometri dal confine italiano. E l’Alptransit è un’opera spettacolare, di straordinaria modernità, ma concepita e finanziata interamente dalla Confederazione elvetica. L’Italia, semmai, si è segnalata per l’incapacità di dar seguito alle promesse ovvero a estendere la rete anche in Italia e infatti l’Alptransit si fermerà al confine.
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Prima dell’acqua potabile, Messina avrà il plastico del Ponte
Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.Non ci sarebbe stato bisogno in realtà di nessun Vatileaks per sapere che la Chiesa Cattolica è una delle multinazionali più avide e corrotte del pianeta. E la gestione delle attrazioni e dei flussi turistici è sempre stata una delle sue specialità. Renzi è un animatore turistico, e fare dell’Italia il suo villaggio probabilmente è proprio il compito che gli è stato assegnato. Perché il progetto in realtà non è soltanto berlusconiano. Questa è anche l’idea che le classi dirigenti d’Europa e del resto del mondo hanno dell’Italia: un resort di loro proprietà dove venire ad ammirare panorami, monumenti, e culi, al dolce canto dei tenorini di Sanremo.Quindi il premier che gli serve in Italia è un curatore, un commissario, come Monti, ma con un’immagine mediatica più accattivante. Un commissario cazzaro. E gli serve una Costituzione truccata come una Volkswagen apposta per mantenere il Commizzaro al suo posto il più possibile.Secondo gli ultimi sondaggi, in un eventuale ballottaggio il Movimento 5 Stelle batterebbe il Pd. L’Italicum sarà quindi modificato in modo che assegni la maggioranza assoluta dei seggi al perdente. Poi il Team Expo sostituirà Camera e Senato con due padiglioni. Alla maggioranza del resto degli italiani resteranno i ruoli di cameriere stagionale, sguattero precario, guida turistica abusiva. Pizzaiolo. Cubista. Sfondo da selfie. Agli intellettuali, quello di posteggiatori. Meno i turisti capiranno l’italiano, più apprezzeranno i loro stornelli. Messina avrà il plastico del ponte prima dell’acqua potabile. Mentre il Commizzaro s’impegnerà a dimostrare ai Casamonica d’essere un giostraio più abile di loro.(Alessandra Daniele, “Il Comizzaro”, da “Carmilla online” dell’8 novembre 2015).Berlusconi ci aveva provato con la Protezione Civile di Bertolaso, il suo ras delle Grandi Opere e dei Grandi Eventi per il business del ventunesimo secolo: un Italia da trasformare interamente in un lucroso enorme luna park per turisti. Varie ed eventuali implicazioni criminali di quel tentativo a parte, dal punto di vista politico-economico anche Matteo Renzi sembra pensare ad un progetto del genere, almeno fin da quando ha sostituito Lupi alle Infrastrutture (ex Lavori Pubblici) con il suo fedelissimo Delrio. Non sorprende quindi che abbia appena conferito alla Protezione Civile poteri straordinari, dopo aver affondato Marino consegnando il Giubileo al renziano Team Expo, del quale ogni giorno i media embedded tessono le lodi con toni agiografici. Anche il Vaticano sembra partecipare attivamente al programma. Millenario fiuto per gli affari. E l’odore dei soldi inasprisce la guerra fra bande. Oltretevere come nel Pd. Per il riutilizzo dell’area Expo sono già in arrivo almeno duecento milioni di euro.