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Archivio del Tag ‘guerra civile’

  • Limonov: combatto Putin, ma il vero traditore è Gorbaciov

    Scritto il 06/9/17 • nella Categoria: idee • (1)

    Quando sono nato, in un paesino sovietico di poveri operai ucraini, non avevo alcuna chance. Sarei morto di vodka e disperazione lavorando in qualche fabbrica. (E invece, una lunga cavalcata sempre controcorrente. I circoli letterari di Mosca, i primi romanzi, la fuga in America e la scoperta che quello non era proprio un mondo ideale). Mai avuta tanta simpatia per l’America e per il suo stile di vita. Avessi potuto scegliere sarei andato in Italia, o comunque in Europa. Anche in America mi ritrovai a contestare il sistema. D’altra parte i miei riferimenti, i miei amici, erano tutti legati alla sinistra europea. Che allora era più antiamericana dell’Urss. Ho parlato spesso parlato malissimo dei dissidenti dell’epoca, come Aleksandr Solgenitsyn. In quegli anni non potevo soffrire i dissidenti di mestiere come Solgenitsyn e Andrej Sakharov. Li consideravo falsi, costruiti. Adesso però riconosco la loro grandezza. Ammetto che la loro influenza è stata utile. E mi fanno pena per quello che hanno lasciato. Solo macerie. Solgenitsyn, che vagheggiava l’unione panslava di Russia, Ucraina e Bielorussia, ha visto morire i suoi sogni già nel ‘91. Mi mette tristezza pensare ad un uomo che vede crollare in diretta il suo sogno filosofico.
    Sakharov? Lui almeno non ha potuto vedere come è finita la sua coraggiosa battaglia. Non saprà mai di aver contribuito a fare arricchire i nuovi ladruncoli democratici. Ho smesso di scrivere romanzi dopo i successi del periodo francese e mi sono dedicato alla mia guerra personale contro Putin tra le fila di un neo-partito bolscevico. Che voleva dire bolscevico nella Russia del 2012, nostalgia di un passato dimenticato? In un certo senso sì. Molte cose andavano cambiate, adeguate ai tempi. Ma la distruzione di tutto è stato un errore gravissimo. Un disastro. Per questo non perdonerò mai Gorbaciov e Eltsin. Gorbaciov in particolare. Per lui ci vorrebbe la ghigliottina, scrivetelo. Voi occidentali continuate a considerarlo un eroe. Ma qui in Russia non lo sopporta nessuno. Vi siete mai chiesti il perché? Perché ha smantellato il Patto di Varsavia, ci ha fatto perdere tutto quello che controllavamo. Ha fatto riunire la Germania devastando ogni equilibrio in Europa. E la Germania Unita ha per esempio fomentato la guerra in Jugoslavia. Le migliaia di vite perdute nella guerra dei Balcani sono tutte a carico del signor Gorbaciov.
    Su Putin ho un atteggiamento freddo. Ci ha tolto la libertà, è vero, e lo combatto per questo. Ma con lui almeno si sopravvive. Negli anni del caos di Eltsin, invece si faceva fatica pure a trovare il pane. Dunque Putin meglio di Eltsin? Diciamo che la priorità è il pane. Poi viene la libertà. Dunque prima ero contro Eltsin e adesso contro Putin per motivi diversi. Come proporre ancora un modello bolscevico? Il partito bolscevico nacque in Germania prima della Rivoluzione. È a quello che mi ispiro. Diciamo che è una via di mezzo tra libertà individuale e giustizia sociale. Le proteste di piazza in Russia? Non mi fido dei giovanotti piccolo-borghesi che protestano adesso. Sono confusi, velleitari, e sono manipolati da vecchi politicanti come Nemtsov che fanno il gioco del Cremlino. Tra un po’ la moda passerà. Il romanzo? E’ un genere letterario ormai superato. È nato nell’Ottocento, ma adesso non vale più niente. È una forma plebea di letteratura. E lo dico io che ne ho scritto 25 di buon livello. Adesso ho smesso. Mi dedico ai saggi. I romanzi sono ormai roba per adolescenti ignoranti.
    Cosa dovrebbe scrivere uno scrittore moderno? La verità nuda e cruda. L’altro giorno rileggevo i verbali delle testimonianze nei miei confronti in uno dei tanti processi contro di me. C’erano le voci di decine di personaggi reali. Una densità drammatica che nemmeno Shakespeare sarebbe riuscito a realizzare. E comunque io non mi considero nemmeno uno scrittore, ma un intellettuale. Che è ben diverso da essere un membro della intelligentsja. Di quelli ce ne sono tanti, in tutte le epoche. Si limitano a propagandare quello che gli intellettuali veri hanno elaborato almeno vent’anni prima.
    (Eduard Limonov, dichiarazioni rilasciate a Nicola Lombardozzi per l’intervista “Io, l’intellettuale bolscevico che odia Putin e Gorbaciov”, apparsa sul “Venerdì di Repubblica” del 2 novembre 2012).

    Quando sono nato, in un paesino sovietico di poveri operai ucraini, non avevo alcuna chance. Sarei morto di vodka e disperazione lavorando in qualche fabbrica. (E invece, una lunga cavalcata sempre controcorrente. I circoli letterari di Mosca, i primi romanzi, la fuga in America e la scoperta che quello non era proprio un mondo ideale). Mai avuta tanta simpatia per l’America e per il suo stile di vita. Avessi potuto scegliere sarei andato in Italia, o comunque in Europa. Anche in America mi ritrovai a contestare il sistema. D’altra parte i miei riferimenti, i miei amici, erano tutti legati alla sinistra europea. Che allora era più antiamericana dell’Urss. Ho parlato spesso parlato malissimo dei dissidenti dell’epoca, come Aleksandr Solgenitsyn. In quegli anni non potevo soffrire i dissidenti di mestiere come Solgenitsyn e Andrej Sakharov. Li consideravo falsi, costruiti. Adesso però riconosco la loro grandezza. Ammetto che la loro influenza è stata utile. E mi fanno pena per quello che hanno lasciato. Solo macerie. Solgenitsyn, che vagheggiava l’unione panslava di Russia, Ucraina e Bielorussia, ha visto morire i suoi sogni già nel ‘91. Mi mette tristezza pensare ad un uomo che vede crollare in diretta il suo sogno filosofico.

  • Ricerca inglese: ecco come morì davvero l’Isola di Pasqua

    Scritto il 27/8/17 • nella Categoria: segnalazioni • (3)

    Come morirono gli abitanti dell’Isola di Pasqua? La fine della popolazione di Rapa Nui è da sempre avvolta nel mistero. Secondo alcune teorie formulate qualche tempo fa quando i conquistatori europei arrivarono sull’isola nel 1722 si trovarono di fronte una situazione catastrofica. Tutte le riserve di cibo erano terminate, a causa della sfruttamento delle risorse naturali e la popolazione era stremata dalla guerra civile e dalle malattie portate dai colonizzatori. In seguito il disboscamento avrebbe portato all’esaurimento del legno per realizzare le canoe, sottraendo alla popolazione autoctona qualsiasi possibilità di sopravvivenza e spingendola a sfamarsi unicamente con i ratti. La popolazione di Rapa Nui morì di fame? Secondo alcune recenti scoperte non andò proprio così e gli abitanti dell’isola non avrebbero compiuto un “ecocidio”, ma si sarebbero adattati alle condizioni dell’area, mostrando una forte sensibilità ecologica.
    Questa affascinante ipotesi è stata portata alla luce da uno studio dell’Università di Bristol, in Gran Bretagna, pubblicato sull’American Journal of Physical Anthropology. Gli studiosi hanno scoperto che gli abitanti si nutrivano soprattutto di pesce e frutti di mare, mentre il suolo veniva trattato con fertilizzanti naturali per renderlo fertile. La nuova scoperta è avvenuta grazie all’analisi al radiocarbonio su resti di piante, ossa umane e animali del 1400. La ricerca ha consentito di capire di cosa si nutrivano gli abitanti di Rapa Nui. Il risultato? La popolazione dell’Isola di Pasqua non mangiava ratti, ma si nutriva anche di frutta e verdura. Non solo: all’epoca esisteva una consapevolezza della povertà del suolo e una volontà di preservarlo, facendo molta attenzione allo sfruttamento delle risorse. Questo aspetto sino ad oggi era completamente sfuggito agli archeologi, che invece avevano dipinto la tribù dell’isola come votata ad una sorta di “suicidio”, provocato dal disboscamento e dall’utilizzo senza criterio dei terreni. Ora l’analisi dei resti ha consentito di riscrivere il passato e raccontare una nuova storia sui misteri dell’Isola di Pasqua.
    (“Isola di Pasqua, ecco come sono morti – davvero – gli abitanti”, da “Libero Notizie” del 30 luglio 2017).

    Come morirono gli abitanti dell’Isola di Pasqua? La fine della popolazione di Rapa Nui è da sempre avvolta nel mistero. Secondo alcune teorie formulate qualche tempo fa quando i conquistatori europei arrivarono sull’isola nel 1722 si trovarono di fronte una situazione catastrofica. Tutte le riserve di cibo erano terminate, a causa della sfruttamento delle risorse naturali e la popolazione era stremata dalla guerra civile e dalle malattie portate dai colonizzatori. In seguito il disboscamento avrebbe portato all’esaurimento del legno per realizzare le canoe, sottraendo alla popolazione autoctona qualsiasi possibilità di sopravvivenza e spingendola a sfamarsi unicamente con i ratti. La popolazione di Rapa Nui morì di fame? Secondo alcune recenti scoperte non andò proprio così e gli abitanti dell’isola non avrebbero compiuto un “ecocidio”, ma si sarebbero adattati alle condizioni dell’area, mostrando una forte sensibilità ecologica.

  • Barnard: è in arrivo l’inferno. Saremo Tech-Gleba, schiavi

    Scritto il 04/8/17 • nella Categoria: segnalazioni • (13)

    Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.
    «La schiavitù, letteralmente, è già pronta per 10 miliardi di esseri umani», premette Barnard, citando lo storico precedente della guerra civile americana, a metà dell’800. «I libri ci raccontano che il paese si spaccò in due, col Nord nazionalista che combatté una guerra sanguinaria contro i secessionisti del Sud per 4 anni. I primi fra le altre cose ambivano all’abolizione della schiavitù, i secondi la difendevano a spada tratta». Ma in realtà l’America «era spaccata in tre, e la terza forza in campo non era armata, era la Rivoluzione Industriale del paese». L’allora presidente Abraham Lincoln «era un uomo di un’intelligenza incredibile». Mentre combatteva la guerra civile «si era già reso conto che un mostro immensamente più micidiale della spaccatura della nazione e della schiavitù dei negri era dietro la porta di casa: era la schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». Per i repubblicani di allora, il lavoro salariato era «una forma transitoria di schiavitù che andava abolita tanto quanto la schiavitù dei negri». Essere operai stipendiati nelle grandi industrie o nei campi era «un attacco inaccettabile all’integrità personale». I repubblicani «disprezzavano il sistema industriale che si stava allora sviluppando perché costringeva l’umano a essere sottoposto a un padrone, tanto quanto lo schiavo del Sud, anzi peggio».
    Per dirla semplice: «Chi ti possiede avendoti comprato ti tratta meglio di chi ti “noleggia”». E qui Lincoln aveva visto lunghissimo, dice Barnard: oltre la mostruosità della schiavitù dei neri d’America, aveva avvistato «il mostro immane della schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». E’ storia: studiando le Rivoluzioni Industriali dal 1700 in poi, si scopre che le sofferenze di centinaia di milioni di operai e contadini salariati, cioè “noleggiati”, furono per più di due secoli assai più atroci di quelle sofferte dagli schiavi delle piantagioni Usa. «Abbiamo tutti nella memoria immagini delle frustate agli schiavi, i ceppi ai piedi e al collo, tutto vero. Ma il numero di manovali salariati, cioè “noleggiati”, picchiati a morte dai “caporali”, morti di stenti e malattie sul lavoro o trucidati dal lavoro stesso per, appunto, almeno due secoli, è infinitamente maggiore. Si pensi che durante la sola costruzione del Canale di Suez nel 1869 morirono come sorci 150.000 operai. La costruzione del Canale di Panama nel 1914 ammazzò l’esatta metà di tutti coloro che ci lavorarono, cioè 31.000 operai. Ancora di recente, nel 1943, il progetto della Burma-Siam Railway trucidò di fame, letteralmente di fame 106.000 disgraziati pagati centesimi a settimana».
    In Europa, ricorda Barnard, fu questa agghiacciante realtà schiavistica ad animare la lotta di Rosa Luxemburg o Anton Pannekoek. Lincoln, per primo, «aveva spiato il sorgere del nuovo mostro mondiale che avrebbe sputato olocausti dopo olocausti: ma fu ignorato, e la schiavitù del lavoro salariato s’impadronì del mondo mentre solo un microscopico nugolo di pensatori se ne stava accorgendo». Inutile sperare nei sindacati: non hanno mai combattuto il lavoro salariato come neo-schiavitù, hanno solo lottato per migliorare salari e condizioni di lavoro. «Il solito immenso George Orwell, che visse volontariamente fra i diseredati salariati d’Europa negli anni ’30, predisse ciò che ancora oggi abbiamo: masse moderne immani, di fatto schiave del lavoro per quasi tutta la vita». La fuga da questa schiavitù, scrisse Orwell, «è in pratica solo possibile per malattia, licenziamento, incarcerazione, e infine la morte». Oggi, in Ue, sono crollati tutti gli standard di ieri: siamo al ricatto della disoccupazione, ai pensionati costretti a cercasi un lavoro. In altre parole: Lincoln aveva visto giusto. Ed eccoci alla “Tech Gleba Senza Alternative”, «la ‘visione’ che nessuno di noi ha, ma che ci divorerà».
    Insiste Barnard: «Dovete capire che il capitalismo non esiste più come progetto, è già stato cestinato». Aveva bisogno di tre elementi: gli sfruttati, la classe consumatrice, l’élite che accumula il profitto, al vertice. «Era così nei primi decenni del XX secolo con qualsiasi prodotto, è così oggi con un qualsiasi gadget digitale, fatto da poveracci in Thailandia, comprato dagli occidentali e dagli ‘emergenti’, e i trilioni vanno alla Apple o Samsung». Ma, secondo Barnard, anche questo schema sta tramontando. Perché? «Per due motivi sostanziali. Il primo è che il Vero Potere ha da molto tempo compreso che non sarà assolutamente più possibile contenere miliardi di diseredati affamati sfruttati (la condizione A- del capitalismo); essi o migreranno in masse colossali, oppure – come in India e Cina – inizieranno a pretendere condizioni economiche migliori e nessuno potrà fermarli. Da ciò l’invitabile destino della crescita esponenziale dei costi di produzione di qualsiasi bene, a livelli di prezzi finali impossibili anche per un occidentale. Poi il Vero Potere ha compreso anche che neppure l’alternativa della robotizzazione degli impianti (per licenziare, abbattere quindi i costi e competere) funziona, è un’illusione immensa, perché le masse licenziate sia qui che in paesi emergenti non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare prodotti sofisticati».
    Sicché: crollo profitti (Marx docet). E quindi: chi venderà a chi? «Secondo: Il Vero Potere ha da molto tempo capito che la classica struttura della competizione del mercato, in un mondo appunto con popolazione in crescita ma anche costi di produzione impossibili, non può più funzionare. Alla fine, detta in parole semplici, centinaia di milioni di corporations che producono in una gara disperata oceani di cose e servizi, a chi poi le venderanno nelle economie prospettate sopra? E’ un imbuto che si auto-strangola senza rimedi. Quindi il capitalismo è morto e consegnato alla storia, e “loro” lo sanno da anni». Ma ovviamente «il Vero Potere non sta a dormire», ha già strutturato la risposta «in una forma totalmente nuova di economia, mostruosamente nuova», la “Tech-Gleba Senza Alternative”. Ecco come l’hanno pensata: 10 miliardi di umani elevati a classe medio-bassa ma schiavi delle tecnologie, costretti a togliersi la pelle per consumare beni e servizi essenziali hi-tech. A monte, l’oligarchia «accumula quello che mai fu accumulato da élite nei 40 secoli prima». Scomparirà la sperequazione sociale di oggi, dove il pianeta Terra è frammentato da centinaia di stratificazioni, attraverso centinaia di fasce di reddito. «Si vogliono livellare 10 miliardi di umani a più o meno lo stesso livello economico».
    Un futuro orwelliano: «Ci sarà il condominio con acqua, bagni, elettricità, connessioni digitali, poi strade, scuole, negozi e servizi anche nei buchi neri del mondo di oggi, come Fadwa nel sud del Sudan, o a Udkuda in India». Morto il capitalismo, sparisce anche «la necessità/possibilità di avere miliardi di poveri di qua, benestanti di là, ricconi al top». Secondo Barnard, al nuovo progetto della “Tech-Gleba Senza Alternative” serve che l’intera massa vivente sia omogeneizzata nello standard di vita, e che consumi ma in modo totalmente diverso, mai visto prima nella storia. Un esempio? L’automobile. Come altri giganti come Google, Apple e Tesla, la Volkswagen «sta investendo miliardi di dollari nelle cosiddette ‘driverless cars’, cioè automobili che si autoguidano, che rispondono a comandi orali del passeggero, talmente zeppe di Artificial Intelligence da far impallidire la parola fantascienza». E la casa tedesca non lo sta facendo da poco: ha iniziato 12 anni fa in collaborazione con la Stanford University e il dipartimento della difesa Usa nel suo laboratorio futuristico chiamato Darpa. «Oggi tutto gira attorno a Silicon Valley, Google-Alphabet e alla Cina. Stanno investendo come pazzi». Una startup cinese di nome Mobvoi che fa “intelligenza artificiale” per l’auto del futuro è passata dal valere nulla al valore di 1 miliardo di dollari in un anno. Una corsa frenetica: anche Fca, l’ex Fiat di Marchionne, «sta rovesciando miliardi in ’ste auto-robot assieme a Wymo di Alphabet-Google».
    In particolare, continua Barnard, la gara si gioca a chi per primo elaborerà i super-computer, oggi impensabili, che sapranno elaborare trilioni di impulsi e dati ad ogni micro-secondo, per far girare miliardi di auto senza autista ma tutte coordinate, “a colloquio” fra di loro per non creare disastri. «La mole di dati che dovranno essere elaborati dal computer di bordo di ogni singolo veicolo in questo scenario è pari a quella di una spedizione spaziale dello Space Shuttle ogni secondo, tutto però gestito da un computerino sul cruscotto grande come una scatola di caramelle». E allora «giù valanghe di miliardi d’investimenti per arrivare primi». La Volkswagen oggi lavora con D-Wave Systems, «un’azienda di computer che sta ribaltando l’universo, perché applica la fisica quantistica ai software: una roba da far esplodere il cervello, perché la fisica quantistica – se applicata con successo alle tecnologie digitali di oggi – le sparerebbe nell’iperspazio, moltiplicando per miliardi di volte il potere di elaborazione dati del più potente computer del mondo». Insomma, «siamo a una viaggio lisergico digitale allo stato puro, ma dietro ci sono i miliardi veri e concreti. Perché?».
    Ecco la risposta: «Perché questa è gente che pensa 200 anni avanti, e sa benissimo che, col capitalismo morto – quindi con la sparizione di chi ti fa componenti auto pagato 1 dollaro al giorno, e con l’inevitabile innalzamento delle pretese di vita di miliardi di poveracci di oggi verso classi medio-basse – costruire un’auto con quei costi di manodopera costerà una pazzia e i prezzi si centuplicheranno». In altre parole: «Sanno che le auto non si venderanno più nei prossimi duecento anni perché costerebbero oro, e il 98% della gente del pianeta non se le potrebbe più permettere». Sanno anche che l’alternativa della robotizzazione per tagliare i costi (salari) non funziona, è un’immensa illusione, «perché le masse licenziate non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare l’auto». Ed ecco allora l’avvento della “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè «10 miliardi di umani economicamente omogeneizzati, ma a un livello appena possibile di classe mondiale medio-bassa». E si badi bene: «Là dove questa “Tech-Gleba Senza Alternative” non potrà arrivare coi propri mediocrissimi redditi, dovrà sopperire lo Stato con un Reddito di Cittadinanza, come già detto dal mega-sindacalista Usa Andy Stern e riportato dal “Wall Street Journal”».
    Queste masse, aggiunge Barnard, saranno saranno obbligate a spostarsi. «E allora l’auto deve diventare un robot che nessuna casa vende, se non in numeri microscopici». Un robot «che quasi nessuno possiede, ma che tutti possono noleggiare per pochi soldi in qualsiasi istante digitando un codice: un’auto-robot arriva e ti porta, un’altra ti riporta, oppure la mandi a prendere la spesa senza muoverti da casa, o rincasi dal lavoro con 6 colleghi chiacchierando comodamente seduto in un van-robot che riporta tutti a domicilio, e se un’ora dopo vuoi andare a cena fuori digiti un altro codice et voilà». Basta moltiplicare questi “noleggi” anche a pochi spiccioli per 10 miliardi di esseri umani, per 10-20 volte al giorno, per 365 giorni all’anno, «e non è difficile capire che il profitto dalla casa produttrice dalla Driverless Car diventa cosmico, rispetto al preistorico sistema della vendita dell’auto al singolo». E già sanno, pare, che l’intera impresa delle Driverless Cars sarà «destinata poi a essere soffocata e rimpiazzata dalle Auto-Drones, letteralmente i Drones iper-tech di oggi trasformati un mezzi di trasporto che ti atterrano davanti a casa», sicché «l’intero traffico mondiale non sarà più su strada ma a circa 500 metri d’altezza sulle città», come in “Blade Runner”. «Ribadisco: queste masse però saranno obbligate (“senza alternative”) a noleggiare questa tecnologia: saranno prigioniere di quelle spese, anche a costo di altri sacrifici».
    Ma attenti, aggiunge Barnard, perché in questo progetto c’è altro: in questo modo, l’élite si prepara ad accumulare denaro e potere come mai prima, nella storia dell’umanità. Soprattutto perché il progetto «prevede, alla lettera, la distruzione d’interi comparti industriali (i tradizionali Re dell’industria) a favore dell’esistenza sul pianeta degli Imperatori del Business». Parola di Jeff Bezos, di Amazon: «Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori». E Bezos è uno che «ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon». State capendo? Non muore solo il capitalismo, secondo il progetto Tech-Gleba, ma anche la moltitudine delle industrie a favore di colossali monopoli (gli “Imperatori”) come mai visti nella storia, già chiamati col nome di “piattaforme”. Ne immaginate i profitti? Ancora: «Con lo Strumento per Pianificare l’Offerta, i Pensatori Critici e i nuovi software, l’Imperatore possiederà una o più Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme… Useremo i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede». Di nuovo, immaginate i profitti dei pochi Imperatori-élite nelle loro Piattaforme?
    Chi parla così? Dei lunatici deliranti? Tutt’altro: sono Lloyd Blankfein (Goldman Sachs), Robert Smith (Vista Equity Partners), e Jeff Immelt (General Electric), a un meeting riservato. Ma, «prima che il progetto arrivi a distruggere i milioni di Re a favore degli Imperatori, gente come Amazon di Jeff Bezos con la sua iper-Tech digitale si sta divorando la piccola-media distribuzione, come uno squalo bianco divorerebbe un milione di pesci rossi in una vasca». Se cambia l’universo-automotive, «10 miliardi di viventi saranno “prigionieri” della necessità (Captive Demand) di “noleggiare” tecnologia oggi considerata cosmica per solo spostarsi». Costretti, prigionieri. «Basta solo capire che quasi tutto il resto sarà esattamente così, per quasi ogni prodotto e per quasi ogni servizio esistente. Cioè: 10 miliardi di “Tech-Gleba Senza Alternative”», obbligati a «usare per sopravvivere tecnologie di cui loro non hanno nessun controllo, ma assoluta necessità, e che stanno tutte nelle mani di pochi Imperatori che già oggi le posseggono perché ci stanno investendo cifre incalcolabili e cervelli inimmaginabili».
    Amazon e Google-Alphabet, Intel, Samsung, Microsoft, Apple, D-Wave Systems e tutti i labs di ricerca in “A.I.” dei colossi come General Electric, Bosch, Mit di Boston, più le migliaia di startup come la cinese Mobvoi. Monopolio totale della conoscenza applicata, in ogni campo: «Potrebbero sparire tutti i tecnici Enel, idrici, progettisti d’auto o medici operativi oggi, che in poco tempo sarebbero sostituiti da altri già esistenti o in formazione. Ma quando invece solo il fatto che tu abbia una connessione senza cui letteralmente non sopravvivi in Terra, o che tu abbia un trasporto da A a B, o un Cobot che ti curi il taglio post-operatorio, quando queste cose essenziali sono in mano a una élite ristrettissima di fisici quantistici, software code-makers da viaggio su Marte, e maghi visionari della A.I., i cui brevetti saranno più segreti dei codici nucleari di Stato… tu sei fottuto, perché nessuno fra i tecnici delle normali formazioni universitarie anche ad altissimo livello ci capirà mai nulla di quella incredibile fanta-vera-scienza. I primi saranno i padroni unici della vita stessa sul pianeta, punto. State capendo?».
    Trasporti, sanità, acqua, energia, informazione, servizi essenziali, pagamenti, cibo: tutto in mano a pochissimi, il cui sapere non è alla portata dei normali scienziati non-quantistici. Ci sono materiali “magici” come il Graphene, «che è un singolo strato di materiale con proprietà mai esistite in nessun altro materiale al mondo: è più forte dell’acciaio, conduce meglio del rame, è sottile come un singolo atomo, da semiconduttore è praticamente trasparente e ha applicazioni ovunque, dalla chirurgia all’ingegneristica alla purificazione delle acque ai sistemi elettrici di intere nazioni». E ci sono gli Oleds, «che sono tecnologie visive, che trasformeranno le tv e gli smartphone in applicazioni molto più flessibili, intercambiabili, permetteranno a una televisione di casa di essere ripiegata in un tablet e poi anche in uno smartphone». E ci sono i possibili super-computer «di capacità inimmaginabili, oggi nascenti dalla fisica quantistica di D-Wave Systems».
    La massima incarnazione di tutto ciò si chiama Sergey Brin, il guru di Google-Alphabet. Tutto il potere inimmaginabile che Google ha e avrà nasce da questo concetto partorito da Brin: «Non c’interessa fare prodotti, c’interessa sfondare i limiti dell’inimmaginabile». Brin, continua Barnard, ha dato ordine di sviluppare decine di innovazioni chiamate Ecosystem, da lì il progetto di eliminare tutti i trasporti su ruote o ferrovie del pianeta, e sostituirli con immensi Dirigibili Drones con neppure un umano impiegato a bordo, spostando tutto ciò che si sposta al mondo – dalla Cina all’Argentina e dal Canada a Singapore – da una stanza con una ventina di addetti». Il lettore, aggiunge Barnard, deve comprendere come lavorano i cervelli di questi “alieni umani”. «Per essere semplici: se il 99% degli scienziati stanno lavorando come pazzi per mandare l’uomo su Marte, Sergey Brin riunisce i suoi per trovare le tecnologie per mandare l’uomo su Giove… comprendete? Col Deep Learning di Google, Brin considera oggi come già superata l’Intelligenza Artificiale (A.I.) che ancora deve venire». Con i colleghi Greg Corrado e Jeff Dean, Brin «ha chiuso gli occhi e immaginato livelli di astrazione». Che significa? «Loro sanno che nella sfera dell’Intelligenza Artificiale il problema dei problemi è che i computer lavorano a metodo lineare, e non riescono ad elaborare molti livelli di astrazione. E oggi loro hanno portato l’Intelligenza Artificiale con il loro Deep Learning a saper elaborare almeno 30 livelli di astrazione, dando quindi la capacità ai computer d’imparare ormai allo stesso livello degli umani».
    Poi c’è David Ferrucci, che fu il guru della A.I. all’Ibm col progetto Watson. Ferrucci lasciò Ibm per passare alla corte di Ray Dalio, il boss dell’hedge fund Bridgewater. «Un altro essenziale transfugo dall’Ibm che è andato a lavorare sulla A.I. in Inghilterra alla Benevolenti A.I. che si occupa di sanità, è Jerome Pesenti: e qui avremo moltissima “Tech-Gleba Senza Alternative”, perché gli ammalati esisteranno sempre e già oggi in Giappone, dove nel 2025 gli anziani sopra i 70 anni saranno quasi il doppio di quelli in Ue o negli Usa, si stanno costruendo gli infermieri robotizzati chiamati Cobots». Continua Barnard: «Adam Coates viene da Stanford e oggi porta il suo genio “demoniaco” alla Cina, dove dirige i progetti di A.I. per la mega-corporation Baidu focalizzandosi su apprendimento, percezione e visione nella A.I». Al colosso Ibm non mancano i rimpiazzamenti: David Kenny che sviluppa proprio la tecnologia per le piattaforme e per i carichi cognitivi. Poi, l’arcinota Uber ha Gary Marcus che lavora sulla A.I. per le Driverless Cars e sul Dynamic Ride Scheduling. «L’uomo che forse più sa di Networking Neuronale al mondo è Jonathan Ross: lavorava a Google con Brin». In Amazon, invece, «Raju Gulabani ha pionierizzato la rete da decine di miliardi di dollari che sostiene la corporation di Jeff Bezos, cioè la Aws Database and Analytics, assieme ai primi mattoni di A.I». E ci sono personaggi Russ Salakhutdinov, di Apple, «anche se l’ex impresa di Steve Jobs è davvero arrivata tardi in questa fanta-vera-scienza».
    Qualche esempio di cosa inizieremo a vedere? La classica scampagnata: oggi prendi la bici e scorrazzi tra i campi, tra l’odore di fieno, il rombo della trebbiatrice «e quella sensazione di essere nella natura lontano da semafori, antenne o il wi-fi: il casolare del contadino, i contadini magari seduti fuori dal bar di Mezzolara al sabato pomeriggio a giocare a carte». Nella scampagnata in “Tech-Gleba Senza Alternative”, invece, «i contadini scompaiono, letteralmente non ne esiste più uno». Si chiamerà: Agricoltura di Precisione. «Il casolare, se rimane, è ristrutturato in una centrale operativa di Agriscienza. Antenne ovunque. Nessun rombo di trattore, ronzii di decine di Drones di dimensioni che vanno dai 12 centimetri a 10 metri che sorvolano i campi e trasmettono miliardi di dati (100 o 500 per ogni singolo stelo di grano, per ogni singola cipolla) alle centrali. Poi i software dalle centrali diranno ai Drones Seminatori dove piazzare il singolo seme a seconda di una dettagliata analisi chimica del singolo centimetro quadrato di terreno, il tutto in tempi di microsecondi. Welcome la Semina di Precisione. Stessa operazione ai Drones Fertilizzanti. Vi lascio immaginare il resto: meglio che ne approfittiate finché il contadino sta ancora là, oggi».
    Nel campo industriale, continua Barnard, si aggiungono gli Ecosistemi Virtuali, là dove il prodotto viene razionalizzato da sistemi di A.I. per ridurre i passaggi produttivi di venti volte o più. Una produzione annuale di 40 milioni di di pezzi sarà gestita dai Cobots, cioè sistemi robotizzati che letteralmente “parlano” con un singolo operatore umano, che «non schiaccia più tasti, ma parla e basta», mentre «mostruosi impianti rispondono, obiettano, suggeriscono soluzioni, segnalano problemi». Così per tutto: intrattenimento, qualsiasi attività esterna a casa, istruzione, social media, attivismo, politica. «Qui i primi ad arrivare per cambiare, come mai, il tuo mondo saranno la Virtual Reality (Vr) e la Augmented Reality (Ar) del conglomerato Facebook-Oculus». Il concetto è questo: «Per entrare in contatto con chiunque, e per fare praticamente qualsiasi cosa, non sarà più necessaria la tua presenza fisica, basta quella virtuale. Un bel Rift Head-set di Oculus, o anche solo quegli strani occhiali con cui si fece fotografare Sergey Brin di Google, e il gioco è fatto. Il networking globale in 3d ti permetterà, stando immobile sul divano, di cercar casa visitando decine di appartamenti, dialogare con gli agenti e l’amministratore, stare in classe ma “vedersi” seduti alla Lectio Magistralis del Prof. X all’università di Yale in Usa, o visitare, sempre immobile dalla classe, le distese di Agribusiness in Sudan, partecipare a workshop di A.I. a Cupertino, a Mosca, a New Delhi». E magari «testimoniare la guerra ad Aleppo, ma senza il “disturbo” degli odori dei poveri, dei fetori di sangue rappreso, e con una visione totalmente pilotata dalle autorità occidentali».
    Poi, i social media «ti permetteranno, dal divano di casa, di essere fra amici a una cena virtuale, o di corteggiare una persona per capire chi è, prima ancora di muovere un passo da casa. O di non muovere neppure più un passo da casa, e avere un orgasmo, toccare un petto o un seno virtuali, e uscirne totalmente soddisfatti». Peggio: «Il progetto provinciale di Casaleggio diverrà devastante nelle dimensioni. L’attivismo politico sarà tutto immobilismo dai divani di casa, nessun corpo umano visibile da nessuna parte, tutti in cortei virtuali, Consigli comunali virtuali, comizi virtuali, dialoghi coi parlamentari virtuali, videogames di scontri di piazza, cioè aria fritta, e apatia di masse immense nel trionfo globale dell’Attivismo di Tastiera». Il denaro? Blockchain e Ledgers sono già realtà oggi: «Sparirà ogni forma di denaro, le Cryptovalute diverranno padrone (oggi abbiamo solo Bitcoins ed Ethereum, ne verranno centinaia). Ogni singola transazione, dai 70 centesimi dell’anziana pensionata alle centinaia di miliardi delle corporations, sarà registrata attraverso la tecnologia Blockchain in registri mondiali chiamati Ledgers che saranno visibili da chiunque al mondo abbia i software per accedere».
    I pagamenti saranno quindi istantanei e istantaneamente verificati dagli algoritmi matematici di tutta la catena di Blockchain. «Spariranno dunque milioni di posti di lavoro legati alla contabilità, all’avvocatura, nelle banche, con lo strascico di impiegati/e. Ma molto peggio: i maghi dell’informatica dei servizi americani, perché saranno loro ad avere le chiavi di questa allucinazione, passeranno miliardi di dati privati – sui pagamenti degli umani visibili sui Ledgers, quindi sugli stili di vita, sulle abitudini, sulle tendenze di consumo, sullo stato di salute delle persone, su come lavorano, sul business mega-medio-micro». Dati ce finiranno alla Nga, la National Geospatial Intelligence Agency degli Stati Uniti. «La Nga è la più grande intelligence al mondo per raccolta e analisi di immagini e dati; e lo sarà in futuro per capire chi sei tu, o tu azienda, cosa fai ogni 30 secondi della tua vita, cioè se compri gratta&vinci o se hai fatto un’ecografia all’utero, o se hai donato a Greenpeace, ai sovranisti… o per spiare i pacchetti ordini per sapere su quali aziende speculare, o per sapere se davvero come dice “Bloomberg” il rame del Cile ancora tira, o se è meglio dire agli investitori di andare altrove». La Nga «lo farà grazie alla Blockchain e ai Ledgers: sarà la più immane perdita di privacy della storia umana, con la “Tech-Gleba Senza Alternative” del tutto impotente, ma le piattaforme globali in posizione di ovvio favore».
    E sempre in materia di privacy disintegrata, continua Barnard, saremo il benvenuto al mondo dei Psychoimaging Sofware, a braccetto coi Drones. «E’ noto che i gadget digitali più venduti già oggi sono pronti ad ospitare software che ti leggono impronte digitali, o la mimica dei muscoli facciali, o a registrarti mentre sei a letto col cellulare spento. Ma è anche vero che i dati sulla tua persona che verrebbero trasmessi in questo modo rischiano di essere molto frammentari perché non viviamo sempre incollati ai cellulari, pc o tablets». I droni, invece, come già oggi sperimentato dal Darpa del dipartimento alla difesa Usa, «possono essere ridotti alle dimensioni di un insetto, ed essere su di te in qualsiasi momento, ovunque, e trasmettere i dati a software di Psychoimaging, cioè software che compileranno schede su chi sei, che carattere tendi ad avere, come ti si può convincere meglio e a che ore del giorno, o se sei una minaccia per il sistema, cosa ti potrebbe sospingere a una ribellione, come i media impattano la tua personalità, come formi i tuoi figli». Peggio ancora: «I Drones possono leggere il labiale, quindi avere un accesso ancora più diretto a qualsiasi cosa tu esprimi o intenda fare in ambito sia privato che di business».
    Per il pessimista Barnard non avremo scampo: «Saremo “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè prigionieri, precisamente perché quando tutto il pianeta funzionerà così, chi si può permettersi di dire “No, non ci sto”?». E il «mostruoso mondo Tech» non è una fantasia, «è già alle porte». Ma a cambiare, sottolinea Barnard, è solo il “come”, lo spaventoso potenziale tecnologico, non il paradigma. Quello è immutato: «Il gran gioco della razza umana dal primo minuto della civiltà è sempre stato identico: fu, e rimane oggi, una guerra spietata fra il desiderio delle élite di dominare, e i tentativi dell’umanità di prendersi invece ciò che gli spetta. I tentativi hanno avuto sempre e solo un nome: le rivoluzioni», considerate dall’élite «fastidiosi incidenti di percorso». Potevano essere represse nel sangue, o tollerate per qualche tempo e poi «dirottate dall’interno verso nuove forme di sanguinario dispotismo di altre élite». E’ il caso della Rivoluzione Francese finita nel Terrore, o della Rivoluzione Russa «che Lenin devastò appena poté». Ma con l’incalzare della modernità, aggiunge Barnard, per le élite divenne sempre più difficile controllare le masse. La prima sperimentazione in grande stile? Negli Usa, tra fine ‘800 e inizio ‘900.
    «Pochissimi sanno che la parte d’Occidente più “marxista” in assoluto, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, fu il nord-est degli Stati Uniti d’America, e in parte l’Irlanda». Negli Usa, il fermento dei lavoratori «impropriamente chiamato socialista», in realtà «anarco-sindacalista, libertario nel vero, storico senso del termine» era tale che, di routine, «venivano stampati quasi 900 quotidiani rivoluzionari, che venivano davvero letti nelle comuni di lavoratori e lavoratrici». Ora, aggiunge Barnard, si può immaginare come l’élite del capitale americano si organizzò per soffocare tutto questo. E di certo, a pochi decenni da una guerra civile costata quasi 800.000 morti, «le élite non potevano reprimere tutto nel sangue. Ci voleva altro per soffocare quella rivoluzione». Ma cosa? Da quell’epoca in poi, «il Vero Potere comprese qualcosa di letteralmente mostruoso – ripeto, mostruoso – per silenziare, sedare, le masse ribelli: l’Apatia del Benessere Minimo». Che significa? «Mantenere miliardi in povertà e disperazione è non solo intenibile, perché si ribelleranno, ma controproducente (fine capitalismo, “Tech-Gleba”)». Furono due intellettuali americani a immaginare la soluzione: Edward Bernays e Walter Lippmann. «Le élite avrebbero dovuto sedare le masse – in quel caso americane – con l’avvento dell’industria mediatica, cinematografica, pubblicitaria e consumistica che ne manipolasse il consenso verso il desiderio di possedere un benessere minimo a qualsiasi costo».
    E vinsero, perché «chi inizia ad assaggiare l’individualismo del proprio piccolo, modesto progresso edonistico nei consumi e nel piccolo agio», poi ovviamente «abbandona i sacrifici, il coraggio e il pensiero per la lotta sociale». Chiaro: «Vuole avere di più. Per non parlare poi di quando diviene vera classe media». La prima grande ondata di “apatizzazione” delle masse potenzialmente pericolose per le élite «sfondò i popoli negli Stati Uniti fra gli anni ’20 e ’40 del XX secolo», continua Barnard. Celebre l’opinione che Bernays e Lippmann avevano del popolo: «Sono solo degli outsider rompicoglioni», da “domare” verso la docilità. Poi vennero la Seconda Guerra Mondiale, il dilagare del socialismo, il comunismo e la Rivoluzione d’Ottobre, la nascita del Welfare State in Gran Bretagna, «la magica (seppure breve) influenza dell’economista John Maynard Keynes sull’economia per la piena occupazione», fino al ’68 e alle lotte operaie europee. «All’alba degli anni ’70 le élite si resero conto che il piano Bernays-Lippmann di apatizzazione era decaduto, ne occorreva un altro ben più potente»: il Memorandum Powell.
    Barnard ne ha parlato nel saggio “Il più grande crimine”, citando le gesta dei protagonisti della «seconda grande ondata di apatizzazione delle masse». Lì i compiti furono divisi fra Stati Uniti, Europa e Giappone. «S’inizia con una mattina dell’estate del 1971, quando Eugene Sydnor Jr. della Camera di Commercio degli Stati Uniti chiamò l’avvocato Lewis Powell e gli chiese un progetto di apatizzazione delle masse occidentali in sollevazione». Powell scrisse un Memorandum di sole 11 pagine. Vi si legge: «La forza sta nell’organizzazione, in una pianificazione attenta e di lungo respiro, nella coerenza dell’azione per un periodo indefinito di anni, in finanziamenti disponibili solo attraverso uno sforzo unificato, e nel potere politico ottenibile solo con un fronte unito e organizzazioni (di élite) nazionali». Poi arriva la Commissione Trilaterale, composta appunto dai vertici di Stati Uniti, Europa e Giappone. Chiamano tre influenti intellettuali, Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki. Nelle 227 pagine del loro “The Crisis of Democracy” daranno la ricetta letale per l’apatizzazione. Basta leggere questi passaggi: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che hanno permesso alla democrazia di funzionare bene».
    «La storia del successo della democrazia – continuano i tre – sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media». Cosa vuol dire? «Significa che, se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendo in vita l’involucro della democrazia funzionale alle élites, bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori, tutti orde di classe medio-bassa appunto. Apatici». Il risultato, conclude Barnard, è storia contemporanea: «Trionfo dei consumi assurdi, dell’edonismo idiota di Tv e mode, crollo dalla partecipazione alle lotte in strada, apatia di praticamente tutti anche a fronte di fatti gravissimi che distruggono democrazia, lavoro, diritti, Costituzioni. Con l’avvento poi di Internet il tripudio del progetto della Trilaterale raggiunse l’orgasmo». Barnard fui il primo in Italia a coniare il dispregiativo “attivisti di tastiera”, ignaro che negli Usa si parlava di “clicktivism”. «Altra forma di apatia che infettò persino quel 2% dei cittadini che ancora non erano stati divorati da Playstation, Formula 1, Belen, Il Grande Fratello, la Champions, il red carpet di Cannes, il gratta e vinci, il Carrefour, la ‘notte rosa’ al mare». La grande apatia di massa del Duemila.
    «Le élite protagoniste di tutta questa storia – insiste Barnard – vedono sempre chiaro almeno 50 anni avanti, più spesso 200 anni». I segnali di un nuovo sommovimento delle masse? Divennero chiari, per loro, quasi vent’anni fa. Allora, «i salari reali del paese più potente del mondo, gli Usa, erano stagnanti dal 1973: malcontento diffuso». Inoltre, le bolle speculative (immobiliari e finanziarie, specialmente incoraggiate da Clinton) davano un segnale chiarissimo: le élite sapevano già che sarebbero tutte esplose (net-economy, subprime, crack di Wall Street). Risultato: di nuovo, milioni di occidentali “indignati”. Niente di buono neppure a Est: «La mano del Libero Mercato di quel criminale di Jeffrey Sachs nell’est europeo post-comunista e in Russia stava decimando quei popoli, col tasso di mortalità media in Russia crollato a 56 anni per gli uomini, migrazioni di massa a ovest delle donne, corruzione epica ovunque, di nuovo pericolo di sollevazioni». Poi il disegno dell’Eurozona: «Appena nato, era già stato sancito come una catastrofe sociale dalle Federal Reserve Banks degli Stati Uniti, e quindi dai maggiori “investment bankers” del pianeta, per cui già allora si aspettavano un’Europa di ribellioni populiste, caos politico, e Brexit». Chiarissimo, poi, era il pericolo di conflitto nucleare futuro, con rischi anche per le stesse élites: conflitto «non Usa-Russia, ma Usa-Cina, cioè due progetti imperiali inconciliabili a morte». Infine il “climate change” che già stava divorando il pianeta, con «masse immani di disperati» che si sarebbero mosse «letteralmente per bere, e avrebbero invaso l’Occidente: 500.000 indiani rischiano di non bere più fra meno di un decennio».
    Attorno al 2.000, «l’elite comprese che una terza, immensa ondata di apatizzazione sarebbe stata vitale, per tenere questo mondo di nuovo in ribellione sotto controllo per i prossimi mille anni». Ed ecco Rift Head-set, Virtual Reality, Blockchain, Drones, Artificial Intelligence e 10 miliardi di umani in “Tech-Gleba Senza Alternative”, «decerebrati del tutto da Facebook-Oculus e altri come loro». Visione deprimente: «Saremo un’umanità omogeneizzata, senza più immensi scarti di redditi ma totalmente nelle mani, per letteralmente sopravvivere, di élite private che possiedono tutte le Tech-chiavi per la vita stessa della specie umana». E naturalmente «non potremo mai più ribellarci, né dare l’assalto alla Bastiglia, perché anche se ci impossessassimo di quelle chiavi non sapremmo né usarle né sostenerle. Saremo prigionieri di consumi High-Tech irrinunciabili, senza nessuna via di fuga, e in più totalmente apatizzati dall’immobilismo del mondo Virtual-Drones, con gli Oleds, la Vr con Ad, e le infinite forme di A.I.». Detto alla buona: «Se oggi è un dramma convincere un cittadino a uscire di casa per contestare il proprio Comune, immaginate in questo futuro, che è già pronto, quando il tizio con la maschera-occhiali contesterà il Comune in Virtual 3D fra un amplesso Virtual 3D e l’altro». Con 10 miliardi di umani conciati così, ed élites «padrone di un potere sull’economia e sulla vita stessa impensato fino a oggi», per Barnard si può davvero decretare la fine della storia. «L’Eurozona è un sogno, in confronto; la mafia è un sogno, in confronto, il lavoro di oggi anche. Ricordate Lincoln e come seppe vedere ‘oltre’. Non fate figli, vi prego».

    Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.

  • Per l’Occidente, i criminali sono sempre e soltanto gli altri

    Scritto il 09/6/17 • nella Categoria: idee • (8)

    Secondo Furio Colombo, in un articolo pubblicato dal “Fatto Quotidiano” dell’8 maggio e intitolato “La follia come politica del mondo”, i leader dei paesi che non rientrano nel circolo buono delle democrazie occidentali propriamente dette, sono dei pazzi o quantomeno dei pericolosi psicolabili. Al primo posto sta, per antonomasia, “a prescindere”, di diritto, il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un. Al secondo Nicolás Maduro, il presidente del Venezuela, al terzo e al quarto, a scelta, leggermente distaccati, Putin ed Erdogan. Sarò più pazzo di lui, ma Kim Jong-un a me non sembra affatto pazzo. È l’unico a essere rimasto, col suo paese, nel famigerato “Asse del Male”. Saddam Hussein, che abbiamo a lungo utilizzato in funzione anti-iraniana e anti-curda, lo abbiamo fatto fuori quando non ci serviva più; al contrario, l’Iran degli ayatollah è uscito dall’ “Asse” perché, dopo averlo osteggiato per più di trent’anni con uno spietato embargo economico, e militarmente (aiuti a Saddam quando l’Iran stava per vincere una guerra in cui era l’aggredito e non l’aggressore) ora è tornato utile e ci serve nella guerra all’Isis. E stare nell’“Asse del Male” non è proprio tranquillizzante per chi vi è inserito. La Corea del Nord è l’ultimo paese comunista rimasto al mondo. È criminale, oltre che folle, essere comunisti?
    Per decenni, almeno fino al collasso dell’Urss, pregiati e stimati leader politici occidentali, italiani, francesi, tedeschi, appartenenti all’area della sinistra europea sono stati comunisti – alcuni ancora lo sono – senza che li si considerasse né criminali né folli. La Corea del Nord è circondata da paesi ostili, alcuni nucleari; e anche quelli che nucleari non sono, come la Corea del Sud, è come se lo fossero, perché sono di fatto un protettorato della più grande potenza atomica del mondo. È così strano, così criminale, così folle che la Corea del Nord voglia farsi un armamento nucleare peraltro minimo e ridicolmente inefficiente, come deterrente per non essere spazzata dalla faccia della terra dal primo che abbia la voglia di farlo? Il venezuelano Maduro, eletto democraticamente, è quotidianamente sotto il fuoco incrociato delle democrazie occidentali; non, come si afferma, per i suoi eccessi nella repressione degli oppositori (altri paesi nostri alleati fanno ben di peggio) ma perché è erede dello chavismo che è stato il tentativo, per qualche tempo riuscito, di sottrarre i paesi del Sud America, più efficacemente di quanto non avesse fatto Fidel, al soffocante abbraccio dell’“amico americano”.
    Putin è un autocrate criminale, responsabile insieme a Eltsin e al molto venerato Gorbačëv del genocidio ceceno; fa sparire in un modo o nell’altro i suoi oppositori, ma non è affatto un folle. La sua politica di appeasement con i Talebani afghani, che l’Isis lo combattono, lo dimostra. Perché se l’Isis sfonda in Afghanistan poi può dilagare in Turkmenistan, Tagikistan, e altri paesi con forti componenti musulmane che potrebbero diventare un serio pericolo per Mosca. Erdogan è effettivamente il peggiore di tutti. Come scrive Colombo, «il numero delle persone arrestate e tuttora detenute è troppo alto per essere compatibile con una pur crudele normalità». Peccato che Erdogan sia un nostro alleato e membro della Nato. Fra gli “imperatori folli” Colombo non inserisce, pudicamente, il generale Abd al-Fattāḥ al-Sīsī, che per giunta – e a differenza di Erdogan – non è stato democraticamente eletto, ma è autore di un colpo di Stato in cui ha messo in galera tutti i dirigenti dei Fratelli Musulmani vincitori delle prime elezioni libere in Egitto, ne ha ammazzati per ora circa 2.500 e ne ha fatti sparire 4.000 di cui ci siamo accorti solo quando è stato ritrovato il cadavere del ricercatore dilettante Giulio Regeni (diciamolo: non si va nell’Egitto di al-Sīsī a fare un’inchiesta sui “sindacati indipendenti”). Ma l’Egitto è da moltissimi anni un alleato degli americani che lo foraggiano e lo armano, e tanto più lo è ora al-Sīsī che l’imprudente Matteo Renzi, con la sua solita impudente leggerezza si è spinto a definire «un grande statista».
    I leader delle democrazie occidentali non sono folli. Si chiamino Bush padre, Bush figlio, Clinton, Obama, Hollande, Sarkozy, si presentano bene, ingiacchettati e incravattati. Sanno stare in società. Hanno modi gentili. Sono affidabili. Però da vent’anni a questa parte, perlomeno dall’attacco alla Serbia del 1999, si sono resi responsabili di cinque guerre di aggressione (Afghanistan, Iraq, Somalia e Libia più l’intromissione, con i russi e i turchi, nella guerra civile siriana) che hanno causato, direttamente o indirettamente, più di un milione di morti civili e altri ne continuano a causare, insieme a migrazioni bibliche. Non sono folli. Sono semplicemente dei criminali, o se si preferisce, dei terroristi di Stato. È la solita storia. Noi siamo il Bene per definizione; gli altri, di conseguenza, il Male. I nostri sono eserciti regolari, quelli degli altri sono “orde”. I nostri nemici non appartengono mai alla categoria dello iustus hostis, ma sono sempre dei terroristi. Quando li facciamo prigionieri non gli riconosciamo lo status di “prigionieri di guerra” e li trattiamo come criminali (vedi Guantánamo e Abu Ghraib). Forse dovremmo smetterla con questo doppiopesismo ipocrita e un tantino ripugnante. A mio avviso il vero folle è chi considera tutti gli altri “folli”.
    (Massimo Fini, “Per l’Occidente i criminali sono sempre gli altri”, dal “Fatto Quotidiano” del 15 maggio 2017).

    Secondo Furio Colombo, in un articolo pubblicato dal “Fatto Quotidiano” dell’8 maggio e intitolato “La follia come politica del mondo”, i leader dei paesi che non rientrano nel circolo buono delle democrazie occidentali propriamente dette, sono dei pazzi o quantomeno dei pericolosi psicolabili. Al primo posto sta, per antonomasia, “a prescindere”, di diritto, il dittatore della Corea del Nord Kim Jong-un. Al secondo Nicolás Maduro, il presidente del Venezuela, al terzo e al quarto, a scelta, leggermente distaccati, Putin ed Erdogan. Sarò più pazzo di lui, ma Kim Jong-un a me non sembra affatto pazzo. È l’unico a essere rimasto, col suo paese, nel famigerato “Asse del Male”. Saddam Hussein, che abbiamo a lungo utilizzato in funzione anti-iraniana e anti-curda, lo abbiamo fatto fuori quando non ci serviva più; al contrario, l’Iran degli ayatollah è uscito dall’ “Asse” perché, dopo averlo osteggiato per più di trent’anni con uno spietato embargo economico, e militarmente (aiuti a Saddam quando l’Iran stava per vincere una guerra in cui era l’aggredito e non l’aggressore) ora è tornato utile e ci serve nella guerra all’Isis. E stare nell’“Asse del Male” non è proprio tranquillizzante per chi vi è inserito. La Corea del Nord è l’ultimo paese comunista rimasto al mondo. È criminale, oltre che folle, essere comunisti?

  • Carpeoro e il segreto dei Romita: nel ‘46 vinse la monarchia

    Scritto il 04/6/17 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    Come volevasi dimostrare: Londra torna a essere bersaglio di “fuoco amico”, cioè terrorismo “false flag” targato Isis, a riprova della guerra di potere in corso tra le oligarchie internazionali, che ora usano Theresa May in funzione anti-Merkel. Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, teme che questo “sciame” di attentati-kamikaze possa anche preparare una strage ancora più devastante: «E’ una possibilità, fa parte di un certo schema». L’aveva già detto: la Gran Bretagna è sotto tiro, da quando ha imboccato il divorzio da Bruxelles. Dalla Brexit in poi, nel Regno Unito starebbero emergendo spinte progressiste, anche a livello supermassonico: questo mette in tensione la “sovragestione” a guida Cia, custode occulta dello status quo e preoccupata del possibile nuovo corso di Londra, se dovesse smarcarsi dal “partito della guerra” che ha fabbricato l’Isis. Niente è come sembra, e non da oggi: la stessa Italia repubblicana è stata “fabbricata” con un artificio, una colossale manipolazione come quella del referendum costituzionale del 2 giugno 1946. «E’ vera la “leggenda” che avesse vinto la monarchia», dichiara Carpeoro, che fa un nome: quello del più volte ministro Pierluigi Romita, «sempre eletto in virtù del ruolo di suo padre, Giuseppe Romita, che era guardasigilli all’epoca di quel referedum».
    In diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro racconta: «Il socialdemocratico Pierluigi Romita, mio grande amico, fece il ministro molte volte e gli sempre venne garantita l’elezione da tutti i partiti». Era il pegno per custodire il “segreto” della storica manipolazione a cui il padre avrebbe presiduto. Pierluigi Romita «è stato un politico inaffondabile: e non aggiungo altro». Ulteriori rivelazioni sulla storia italiana del ‘900 sono in arrivo con il libro che Carpeoro sta per pubblicare sui clamorosi retroscena della caduta di Mussolini: la deposizione del 25 luglio 1943 sarebbe stata in realtà concordata con lo stesso “duce” per propiziare un’uscita meno traumatica dell’Italia dal secondo conflitto mondiale. Ma intervennero elementi (non ancora di pubblico dominio, nella storiografia) che fecero precipitare la situazione: l’invasione dell’Italia da parte delle truppe naziste sarebbe stata provocata da un complotto tra esponenti massonici e diplomazia vaticana, che sabotarono il piano iniziale di auto-siluramento “morbido” del regime fascista, aprendo la strada alla fucilazione di Ciano e alla tragedia dell’occupazione e della guerra civile.
    Perché il potere del primissimo dopoguerra preferì far vincere la repubblica piuttosto che la monarchia? Intanto perché il sovrano era troppo popolare, afferma Carpeoro: «Umberto II era ritenuto pericoloso, come raccoglitore di consensi, da parte di certi ambienti sia comunisti che democristiani». E poi, soprattutto: «Diventare repubblica è stato uno dei modi per poter trattare diversamente le condizioni di guerra, per De Gasperi, sul tavolo in cui si sono puniti quelli che avevano perso: assumere un assetto democratico ha consentito all’Italia una trattativa diversa, sul tavolo dei perdenti – la Germania ha dovuto pagare con lo smembramento: ci sono stati dei prezzi da pagare». Poi era inevitabile che elementi fascisti venissero traghettati nella nuova repubblica italiana: «Mussolini aveva praticamente creato lo Stato, inteso come struttura burocratica e amministrativa nazionale. Aveva creato l’Inps, l’Inail, l’Iri, la sanità pubblica. Le alte dirigenze non potevano certo essere sostituite traumaticamente: la prima legge repubblicana infatti fu quella della continuità amministrativa, per garantire il funzionamento della macchina statale». Molti, poi cambiarono bandiera: «Montanelli, Malaparte, Giorgio Bocca, Dario Fo erano repubblichini e diventarono di colpo, misteriosamente, partigiani o personalità della sinistra». Era fatale che parte del vecchio milieu confluisse nel nuovo regime. «Non mi meraviglia né mi scandalizza», chiosa Carpeoro, «ma non credo che abbiamo sempre scelto il meglio: potevamo calibrare di più le scelte tra cosa conservare e cosa archiviare».

    Come volevasi dimostrare: Londra torna a essere bersaglio di “fuoco amico”, cioè terrorismo “false flag” targato Isis, a riprova della guerra di potere in corso tra le oligarchie internazionali, che ora usano Theresa May in funzione anti-Merkel. Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, teme che questo “sciame” di attentati-kamikaze possa anche preparare una strage ancora più devastante: «E’ una possibilità, fa parte di un certo schema». L’aveva già detto: la Gran Bretagna è sotto tiro, da quando ha imboccato il divorzio da Bruxelles. Dalla Brexit in poi, nel Regno Unito starebbero emergendo spinte progressiste, anche a livello supermassonico: questo mette in tensione la “sovragestione” a guida Cia, custode occulta dello status quo e preoccupata del possibile nuovo corso di Londra, se dovesse smarcarsi dal “partito della guerra” che ha fabbricato l’Isis. Niente è come sembra, e non da oggi: la stessa Italia repubblicana è stata “fabbricata” con un artificio, una colossale manipolazione come quella del referendum costituzionale del 2 giugno 1946. «E’ vera la “leggenda” che avesse vinto la monarchia», dichiara Carpeoro, che fa un nome: quello del più volte ministro Pier Luigi Romita, «sempre eletto in virtù del ruolo di suo padre, Giuseppe Romita, che era guardasigilli all’epoca di quel referedum».

  • Usa, élite criminale depravata: è in ogni film di Kubrick

    Scritto il 04/6/17 • nella Categoria: segnalazioni • (3)

    L’Armageddon si sta avvicinando e vale la pena citare Lincon che affermava che «la fine degli Stati Uniti non potrà che avvenire mediante suicidio». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, «né i neocon né Trump nascono dal nulla. Abbiamo a che fare con un paese di pazzi che adora le armi e massacra per puro divertimento. Bisonti, russi e cinesi sono avvertiti. In America, il genocidio indiano fu uno sport, come la caccia di schiavi che Dickens descrisse inorridito nelle sue cronache americane». Tutti conoscono il “dottor Stranamore” e magari hanno visto film come “Eyes Wide Shut”, di Stanley Kubrick, regista su cui Bonnal ha scritto un libro, facendo notare che «una costante, generalmente trascurata, presente in tutta la sua opera: una critica radicale, sarcastica e costante delle élites». Nel film “Il bacio dell’assassino”, siamo di fronte a un personaggio, il proprietario, che ha pulsioni sessuali incontrollate e tendenze omicidie: verrà ucciso. In “Spartacus”, abbiamo a che fare con la depravazione dell’élite romana. «Attori britannici contro attori americani, come rivelava umoristicamente Michel Ciment. Lo scrittore comunista Howard Fast aveva pensato, per questo soggetto, alle élites statunitensi maccartiste del suo tempo».
    In “Lolita”, continua Bonnal in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, siamo di fronte a un asso del travestimento chiamato Quilty: come “quilt”, il materasso, che potrebbe designare anche la colpevolezza, secondo un gioco di parole dello stesso Nabokov. Ebbene, Quilty violenta madre e figlia prima di subire la concorrenza dal docente europeo yéyé che sposa la madre e violenta la figlia. Nel film “Il dottor Stranamore”, prosegue Bonnal, abbiamo una sintesi della cultura statunitense basata sull’omicidio di massa e sull’ossessione sessuale. «Von Neumann inspira il dottor Stranamore, Curtis Le May il generale Turgidson (turgido) sul quale il suo amico Raico ci ha detto tutto. L’assassino di massa è rappresentato da un certo Jack Ripper, d’ispirazione londinese per così dire – si sa che era un intoccabile chirurgo in là con gli anni. Il film di Kubrick pone sullo stesso piano la liberazione sessuale (anni di play-boy) e l’adorazione nucleare. Le Barbie che oggi spopolano sui canali statunitensi gioiscono annunciando le esplosioni». Poi ecco “2001, Odissea nello spazio”, «una storia di cospirazione», dove «i responsabili della Nasa celano informazioni ai loro rivali russi e nascondono la scoperta del monolite grazie alle voci su una presunta epidemia (un attacco batteriologico? Chimico?)».
    Alla fine si scopre che il computer aveva la possibilità di distruggere l’equipaggio: «Ne sapeva più dell’equipaggio stesso». Ridley Scott se ne ricorda in “Alien”, dove «l’equipaggio è sacrificabile, come il popolo di oggi sotto la guida di Wall Street e di Bruxelles. Ed è pure ibernato». Sorvolando sui film successivi di Kubrick, Bonnal arriva a “Eyes Wide Shut”, «che ben rappresenta le inclinazioni degli anni di Clinton: ossessione sessuale (per Clinton come per Trump e le sue modelle), speculazione finanziaria, corrispondenza con gli Illuminati (scoperta da Texe Marrs), culto per le società segrete e soprattutto gusto per i sacrifici umani». Per il film, annota Bonnal, il regista si è ispirato a “Doppio sogno” di Schnitzler: «L’impero austroungarico, al tramonto, diede inizio alla Prima Guerra Mondiale – e ci ha lasciato Hitler in regalo». Osserva Bonnal: «In Kubrick le élites inglesi (“Barry Lyndon”, “Arancia meccanica” dove si serve dei teppisti per controllare le masse) o francesi (“Orizzonti di gloria”) non valgono di più. Ci sono, per citare Clint Eastwood, quelli che scavano e quelli che hanno la pistola. Adesso c’è chi ha i soldi e chi lavora. Chi lavora rischia di morire presto per permettere all’élite ecologista statunitense, che trova questa terra troppo popolata, di respirare».
    E cos’è “Donald”? Avic ne ha fatto un attore, Philippe Grasset, un uomo di reality. «Donald è presente anche nel thriller comico “Zoolander” (un top model che ha subito il lavaggio del cervello deve assassinare il presidente malese) e in “Celebrity” di Woody Allen», il quale «ha precisato che Trump era un eccellente uomo di spettacolo». Questo, chiosa Bonnal, dovrebbe rassicurarci «se crediamo, come Thierry Meyssan, che Donald non sia cambiato e che minacci la guerra solo per rassicurare i media neocon, in America e a Parigi». Tornando invece a Kubrick, «si dice abbia filmato le false immagini dell’allunaggio (lui avrebbe certamente fatto di meglio), che ha dovuto lasciare l’America, e che forse sarebbe stato assassinato, 666 giorni prima il primo gennaio 2001». Bonnal non chiude il suo libro con quest’argomento perché «la stupidità arriva presto alla conclusione, diceva Flaubert», ma insiste su un punto: «Da Lincoln e la sua folle guerra da un milione di morti (la schiavitù fu abolita ovunque e senza massacri), le élites statunitensi hanno perso il senno». Per Bonnal queste oligarchie «amano il detonatore, l’innesco, l’acceleratore, hanno il grilletto facile». Dopo, diceva il colonnello Kurz in “Apocalypse now”, «passano entusiasti agli aiuti umanitari».

    L’Armageddon si sta avvicinando e vale la pena citare Lincon che affermava che «la fine degli Stati Uniti non potrà che avvenire mediante suicidio». Per lo scrittore francese Nicolas Bonnal, «né i neocon né Trump nascono dal nulla. Abbiamo a che fare con un paese di pazzi che adora le armi e massacra per puro divertimento. Bisonti, russi e cinesi sono avvertiti. In America, il genocidio indiano fu uno sport, come la caccia di schiavi che Dickens descrisse inorridito nelle sue cronache americane». Tutti conoscono il “dottor Stranamore” e magari hanno visto film come “Eyes Wide Shut”, di Stanley Kubrick, regista su cui Bonnal ha scritto un libro, facendo notare che «una costante, generalmente trascurata, presente in tutta la sua opera: una critica radicale, sarcastica e costante delle élites». Nel film “Il bacio dell’assassino”, siamo di fronte a un personaggio, il proprietario, che ha pulsioni sessuali incontrollate e tendenze omicidie: verrà ucciso. In “Spartacus”, abbiamo a che fare con la depravazione dell’élite romana. «Attori britannici contro attori americani, come rivelava umoristicamente Michel Ciment. Lo scrittore comunista Howard Fast aveva pensato, per questo soggetto, alle élites statunitensi maccartiste del suo tempo».

  • Ma l’Ue nasce dall’Opus Dei, riciclando criminali nazifascisti

    Scritto il 20/5/17 • nella Categoria: segnalazioni • (8)

    L’Opus Dei svolse un ruolo di primo piano nella costruzione europea. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, vecchi responsabili fascisti si insediarono in seno alle nuove istituzioni europee, collocati dai membri dell’“opera divina”. Durante la guerra, pur condannando l’ideologia nazista, i principali responsabili della Chiesa cattolica sostennero notevolmente i regimi fascisti, per il fatto che costituivano un baluardo alla sovversione bolscevica. Il crollo del III Reich, sotto i colpi congiunti di inglesi, americani e sovietici, avrebbe dovuto tradursi non soltanto con l’epurazione della classe politica europea, ma anche con quella della Chiesa romana. Non se ne fece nulla. Gli ecclesiastici collaborazionisti manipolarono l’illusione religiosa al punto che ogni obiezione della loro responsabilità in crimini contro l’umanità apparve come una blasfemia. Utilizzando l’immunità che agli occhi dei credenti è loro conferita dalle sacre funzioni da essi esercitate, si dedicarono ad “esfiltrare” verso l’America Latina i capi fascisti per sottrarli alla giustizia e impedire che i processi giungessero a rivelare le loro colpe. In questo contesto, l’Opus Dei dedicò tutte le sue forze nel cancellare le tracce della storia, favorendo la riconciliazione europea.
    Questa politica fu favorita a malincuore dal generale de Gaulle. I francesi avevano sostenuto massicciamente e sino all’ultimo momento il regime fascista dell’ex-maresciallo Pétain e, attraverso lui, avevano attivamente partecipato allo sforzo di guerra del Reich. Alla conferenza di Yalta, gli Alleati avevano deciso di occupare la Francia non appena avessero vinto, di fucilare i suoi ufficiali e di accusare di incapacità civica tutti gli uomini al di sopra dei quarant’anni. Il genio di de Gaulle fu dunque di presentare lo Stato francese come un usurpatore e il governo della Francia libera, durante la sua avventura londinese, come il solo legittimo. Perfettamente cosciente che la Resistenza che era effettivamente esistita sul suolo francese era in maggioranza comunista, e temendo un’insurrezione marxista, Churchill diede il suo appoggio a questa menzogna storica: si presentò la disfatta dello Stato francese come la liberazione da un territorio occupato da un nemico. Trascinato da questa logica revisionista, de Gaulle fu costretto ad accettare il mantenimento dei vescovi fascisti e a fare amnistiare, cioè presentare come “resistenti” diversi responsabili petainisti.
    Questo riciclaggio di cattolici fascisti fu favorito da due membri dell’Opus Dei vicini al generale: Maurice Schumann (“La vois de la France Libre”) e la contessa Thérése, sposa del maresciallo Leclerc de Hautecloque. De Gaulle pensava di evitare così una guerra civile. Comunque sia, questa tattica ha permesso a dei politici e funzionari di estrema destra di integrarsi nelle nuove istituzioni democratiche, di farvi carriera di nascosto e infine di farvi trionfare di nuovo le loro idee. Un caso sorprendente è quello di Robert Schuman (con una sola “n”, con nessun legame di parentela con il precedente appena citato). Nel settembre del 1944, questo politico cristiano-democratico, allora di 58 anni, appariva come l’effimero consigliere del maresciallo de Lattre de Tassigni durante la liberazione dell’Alsazia-Lorena. Eletto deputato nel 1945, nominato ministro delle finanze nel 1946, presidente del Consiglio nel 1947, ministro degli affari esteri nel 1948. Nel 1949, installò la sede della Nato a Parigi. Lanciò l’idea dell’Europa comunitaria nel 1950 (Ceca e Ced) e partecipò attivamente al governo di Antoine Pinay. Tenuto ai margini degli affari francesi al ritorno di de Gaulle, fu il primo presidente del Parlamento Europeo. Colpito da senilità, morì nel 1963. Rimane nella memoria come il “padre dell’Europa”.
    Lo si conosceva come profondamente religioso, come uno che assisteva alla messa ogni mattina, che si dedicava a dolorose mortificazioni; si sa oggi, in occasione della sua beatificazione, che era membro dell’Opus Dei. Avremmo dovuto ricordarci del decreto Poinso-Chapuis: quel testo, che egli firmò il 22 maggio 1948 da presidente del Consiglio, permetteva alla Chiesa di sviare delle sovvenzioni pubbliche attraverso l’espediente delle associazioni familiari. Fu ritirato dopo una potente mobilitazione nazionale. Ma prima che Robert Schuman venisse proclamato beato, poi santo da Giovanni Paolo II, conviene chiedersi come hanno potuto dimenticarsi che era stato fascista, sottosegretario di Stato di Philippe Pétain. Colpito da indegnità nazionale alla Liberazione, al momento stesso in cui aveva tentato di porsi presso il maresciallo de Lattre, era stato sollevato dalla sua ineleggibilità per intervento di Charles de Gaulle nell’agosto del 1945. Per camuffare questa riabilitazione si era evidenziato il fatto che era stato posto agli arresti domiciliari dai nazisti sin dal 1941. In realtà, Robert Schuman aveva sempre sostenuto la “rivoluzione nazionale” fascista e si era unicamente opposto all’annessione dell’Alsazia-Mosella da parte del Grande Reich.
    Robert Schuman non poté edificare le prime istituzioni europee che con l’aiuto di un altro membro dell’Opus Dei, Alcide De Gasperi, il cui processo di beatificazione è anch’esso in corso alla Sacra congregazione per la causa dei santi. De Gasperi si oppose all’accesso di Mussolini al potere e fu imprigionato dalle “camicie nere” nel 1926. Ma fu liberato e si ritirò dall’opposizione dopo la firma degli accordi del Laterano tra la Santa Sede e l’Italia. Visse allora nella Città del Vaticano, dove lavorò agli archivi segreti sino alla caduta del Duce. Segretario generale della Democrazia Cristiana, entrò al governo sin dal giugno del 1945 e fu diverse volte presidente del Consiglio. Sospese immediatamente l’epurazione e vegliò personalmente al ricollocamento dei quadri del fascismo che avevano saputo essere così generosi con il papato. Morì nel 1954. Robert Schuman e Alcide De Gasperi poterono appoggiarsi su Konrad Adenauer per costruire l’Europa dell’amnesia. Il cancelliere tedesco, presidente della Democrazia Cristiana tedesca (Cdu), non sembra essere stato membro della santa setta, ma fu, almeno sino al 1958, il suo alleato indefettibile.
    Pur sostenendo il nazismo, non svolse un grande ruolo nel regime hitleriano. Sindaco di Colonia, era stato accusato di incapacità dagli Alleati e rimosso dalle sue funzioni. Konrad Adenauer partecipò attivamente alla protezione dei sospetti di crimini contro l’umanità e al riciclaggio dei fascisti, non soltanto per ambizione politica ma per occultare il proprio passato. I primi vagiti dell’Europa comunitaria si concretizzarono nel 1950 con l’instaurazione della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (Ceca). Riuniva come per caso gli interessi dei grandi industriali cattolici, produttori di materie prime, e degli armamenti pesanti. Nel 1957, la Comunità Europea vide la luce grazie al Trattato di Roma. I testi fondatori impiegano una fraseologia improntata alle encicliche sociali: “comunità”, “comunione”, “sussidiarità”. La sede della Comissione fu stabilita a Bruxelles, capitale del molto pio membro dell’Opus Dei Baldovino I. Il cardinale Danneels ha richiesto d’altronde la beatificazione del re cristiano che si era opposto all’aborto, confermando che l’Opus Dei è un vivaio di piccoli santi.
    Per garantire l’aiuto reciproco dei fascisti reinseriti in seno alle nuove istituzioni europee, l’erede del trono d’Austria-Ungheria, l’arciduca Otto von Asburgo-Lorena, fondò allora il Centro europeo di documentazione e di informazione (Cedi). Questa lobby fu del tutto naturalmente installata dall’Opus Dei al riparo dalla madrepatria sotto la protezione del caudillo, il generalissimo Franco. Cattolico di grande umiltà, Sua Altezza Imperiale Otto von Asburgo si è fatto eleggere semplice deputato europeo per continuare a Strasburgo la sua lotta per la riconciliazione europea. Grazie a lui, al Parlamento Europeo, i democratici cristiani (Ppe, Partito Popolare Europeo) non sono più a destra, e i socialisti (Pse, Partito Socialista Europeo) non sono più a sinistra. I confronti ideologici sono riservati alla galleria, in occasione delle elezioni. Una volta eletti, i deputati dei due grandi gruppi abbandonano i loro programmi e votano insieme la maggior parte dei testi. A Strasburgo la buona educazione di “monsignore” si è imposta: non ci sono conflitti politici, non vi sono che interessi condivisi. Il consenso dei privilegiati permette anche di spartirsi la presidenza del Parlamento e di organizzare un sistema a turno Ppe/Pse. I gruppi che rifiutano di entrare nella combinazione (comunisti, ecologisti, radicali) sono esiliati, insieme alle loro convinzioni.
    Con la progressione della sua espansione, l’Opus Dei ha ampliato i suoi obiettivi in Europa. Al riciclaggio dei fascisti, alla difesa delle monarchie cattoliche, al controllo delle nuove istituzioni democratiche si è aggiunta la difesa dei grandi interessi economici. Lo strumento più notevole fu creato nel 1983 sotto l’impulso del visconte dell’Opus Dei Étienne Davignon (allora comissario europeo incaricato dell’Industria e successivamente presidente della Societé Générale del Belgio): la Tavola Rotonda degli Industriali europei (Ert, European Roundtable of Industrialists). Raccoglie oggi una quarantina di dirigenti d’impresa, di cui più della metà sono membri della santa setta. L’adesione si fa unicamente per cooptazione, a titolo individuale, e non impegna ufficialmente le loro imprese. Tuttavia l’Ert è finanziata da queste imprese e pone a suo servizio alcuni dei loro quadri. L’Ert rivolge regolarmente le sue “raccomandazioni” alla Commissione Europea.
    L’Ert non manca mai di ricordare che è la lobby economica più potente in Europa: i suoi 42 membri impiegano tre milioni di persone. Realizzano 3.500 miliardi di franchi annui (del 1995) di volume d’affari. Un argomento che permette all’Ert di imporre le sue esigenze. Il “social-cristiano” Jacques Delors, che non gli rifiutava nessun appuntamento, diceva dell’Ert: «È una delle forze maggiori dietro il mercato unico». È «risolutamente pronunciata per uno sviluppo di reti europee di infrastrutture» e ha fatto inscrivere questi obiettivi nel Trattato di Maastricht. L’Opus Dei non si accontenta di piazzare i suoi membri e di difendere la loro comunità di interessi. Persegue sempre il suo obiettivo di restaurazione della cristianità. Per questo è protesa sia sul controllo dell’evoluzione istituzionale che sul controllo dei media. Così ha ottenuto che uno dei suoi membri fosse nominato alla Commissione Europea. Marcellino Oreja-Aguirre si è così visto stranamente affidare allo stesso tempo il portafoglio dei “Problemi audiovisivi” e quello della rinegoziazione del Trattato di Maastricht.
    Per quel che riguarda i “Problemi audiovisivi”, l’Opus Dei è favorevole al libero scambio. Cioè si augura di abolire «l’eccezione culturale», con riserva di una deontologia euro-americana della moralità nei media. Auspica che un ordine di giornalisti e produttori sia incaricato del suo rispetto. Quanto all’evoluzione istituzionale sono favorevoli a uno sviluppo della sovranazionalità a condizione che il potere politico sia affidato a dei tecnici. Su questo principio, hanno ottenuto il trasferimento del potere monetario a un consiglio non-politico, sul modello della Bundesbank. Un sistema che incantava il presidente (dell’Opus Dei) della banca centrale tedesca, Hans Tiettmeyer, oltretutto accademico pontificio. Si sono pronunciati per un allargamento dell’Europa sul criterio della cultura cristiana e non su quello della democrazia. È in base a questo principio che il democratico cristiano Helmut Kohl si è opposto al sostegno europeo alla repubblica laica della Bosnia Erzegovina, la cui popolazione è a maggioranza musulmana.
    (Thierry Meyssan, “L’Opus Dei e l’Europa, dal riciclaggio dei fascisti al controllo delle democrazie”, da “Osservatorio Anticapitalista” del 4 gennaio 2012. Giornalista internazionale e analista politico francese, Meyssan è fondatore di “Réseau Voltaire” e della conferenza “Axis for Peace”).

    L’Opus Dei svolse un ruolo di primo piano nella costruzione europea. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, vecchi responsabili fascisti si insediarono in seno alle nuove istituzioni europee, collocati dai membri dell’“opera divina”. Durante la guerra, pur condannando l’ideologia nazista, i principali responsabili della Chiesa cattolica sostennero notevolmente i regimi fascisti, per il fatto che costituivano un baluardo alla sovversione bolscevica. Il crollo del III Reich, sotto i colpi congiunti di inglesi, americani e sovietici, avrebbe dovuto tradursi non soltanto con l’epurazione della classe politica europea, ma anche con quella della Chiesa romana. Non se ne fece nulla. Gli ecclesiastici collaborazionisti manipolarono l’illusione religiosa al punto che ogni obiezione della loro responsabilità in crimini contro l’umanità apparve come una blasfemia. Utilizzando l’immunità che agli occhi dei credenti è loro conferita dalle sacre funzioni da essi esercitate, si dedicarono ad “esfiltrare” verso l’America Latina i capi fascisti per sottrarli alla giustizia e impedire che i processi giungessero a rivelare le loro colpe. In questo contesto, l’Opus Dei dedicò tutte le sue forze nel cancellare le tracce della storia, favorendo la riconciliazione europea.

  • Dacci oggi la nostra Europa quotidiana, che affama i sudditi

    Scritto il 20/2/17 • nella Categoria: idee • (41)

    Sono sempre loro, e non mollano. Giuliano Amato, Anthony Giddens. Cioè «esponenti di punta della “terza via” blairiana e del pensiero unico ordoliberista». Hanno firmato l’ennesimo appello (sul “Corriere della Sera”, l’11 febbraio) per il “rilancio dell’integrazione europea”, sostenuto da 300 intellettuali. Strillano: oggi l’Unione Europea è sotto attacco «sebbene abbia garantito pace, democrazia e benessere per decenni». Esaltano «l’economia sociale di mercato», affermando che può funzionare solo grazie a una governance multilivello e al principio di sussidiarietà. E rivendicano il ruolo di un’Europa «cosmopolita» nella costruzione di una «governance globale democratica ed efficiente». Il tutto, scrive Carlo Formenti su “Micromega”, condito dall’invito a legittimare la Ue attraverso elezioni in cui i cittadini del continente possano finalmente sceglierne i vertici. Peccato, dice Formenti, che le affermazioni dell’appello siano integralmente false. L’Europa avrebbe garantito pace, democrazia e benessere? «Dai Balcani all’Ucraina, passando per la Libia, l’Europa è stata un costante fattore di guerra». Quanto alla democrazia, «chiedete cosa ne pensa il popolo greco». E il citato benessere? Non pervenuto.
    Per Formenti, quel “benessere” è soltanto «un miraggio, per quei milioni di cittadini che hanno visto peggiorare drasticamente i livelli salariali e di occupazione, oltre a perdere gran parte dei diritti conquistati prima dell’avvio del processo di unificazione». Seconda considerazione: «Associare l’economia sociale di mercato all’allargamento della democrazia è una contraddizione in termini». Dietro questo slogan «si nasconde infatti quel progetto neoliberista che si è costantemente impegnato a sottrarre il compito della legittimazione al quadro costituzionale-parlamentare per affidarlo a organismi non eletti, che rispondono esclusivamente agli imperativi del mercato». Inoltre, agiunge Formenti, la sussidiarietà di cui si parla «è consistita nella proliferazione di enti, agenzie e autorità deputati a gestire localmente i bisogni sociali – proliferazione che è proceduta di pari passo con lo smantellamento del welfare e con l’assunzione dell’impresa privata quale modello universale di regolazione sociale, in base al principio secondo cui non bisogna ostacolare chi potrebbe erogare un servizio migliore del servizio pubblico».
    E’ quello che Colin Crouch ha definito «la spoliticizzazione del servizio pubblico attraverso la riduzione del cittadino a cliente». Infine le reti multilivello, presentate come un modello di integrazione della società civile nella governance, «sono di fatto servite a indebolire quei gruppi intermedi di pressione che rappresentavano e difendevano gli interessi delle classi subordinate», osserva Formenti. «Per il dogma ordoliberista, infatti, questi gruppi sono un ostacolo alla concorrenza che impedisce la libera formazione dei prezzi (a partire da quello della forza lavoro, che va tenuto il più basso possibile per evitare tensioni inflazionistiche)». Sempre secondo quel dogma, “sacro” a chi comanda l’Europa – Germania, Ue, Bce – vanno contrastate tutte quelle richieste di “elargizioni clientelari” che provocano un aumento della spesa pubblica in materia di previdenza e salute. Al contrario dei liberisti classici, scrive Formenti, per gli ordoliberisti «il ruolo dello Stato è fondamentale: sia in quanto garante dell’ordine giuridico che deve garantire il corretto funzionamento del mercato (che non è in grado di autoregolarsi), sia in quanto garante di un ordine sociale “post ideologico” in cui tutti i cittadini devono venire convinti di essere “imprenditori di se stessi” e di vivere nel migliore dei mondi possibili».
    Il riferimento alla natura cosmopolita dell’Europa, del resto «smentito dai muri e dalle altre pratiche di contrasto ai flussi migratori, come il vergognoso accordo con il regime autoritario turco», per Formenti «va letto infine come “internazionalismo” delle élite, da contrapporre alle resistenze locali dei vari popoli europei alla colonizzazione da parte del capitale globale». Come conciliare tutto questo con la proposta di legittimare l’oligarchia di Bruxelles sottoponendola al vaglio degli elettori? «Non è difficile immaginare quali alchimie giuridico-istituzionali verrebbero escogitate per garantirsi a priori il trionfo di una grande coalizione europea “anti populista”, visto che, come spiega l’articolo di Goffredo Buccini nel taglio basso sotto l’appello», sul “Corriere”, occorre «guardarsi le spalle da quel popolo bue che insiste a votare movimenti come l’M5S, in barba alle prove di volgarità, ignoranza e incompetenza offerte dai suoi dirigenti».

    Sono sempre loro, e non mollano. Giuliano Amato, Anthony Giddens. Cioè «esponenti di punta della “terza via” blairiana e del pensiero unico ordoliberista». Hanno firmato l’ennesimo appello (sul “Corriere della Sera”, l’11 febbraio) per il “rilancio dell’integrazione europea”, sostenuto da 300 intellettuali. Strillano: oggi l’Unione Europea è sotto attacco «sebbene abbia garantito pace, democrazia e benessere per decenni». Esaltano «l’economia sociale di mercato», affermando che può funzionare solo grazie a una governance multilivello e al principio di sussidiarietà. E rivendicano il ruolo di un’Europa «cosmopolita» nella costruzione di una «governance globale democratica ed efficiente». Il tutto, scrive Carlo Formenti su “Micromega”, condito dall’invito a legittimare la Ue attraverso elezioni in cui i cittadini del continente possano finalmente sceglierne i vertici. Peccato, dice Formenti, che le affermazioni dell’appello siano integralmente false. L’Europa avrebbe garantito pace, democrazia e benessere? «Dai Balcani all’Ucraina, passando per la Libia, l’Europa è stata un costante fattore di guerra». Quanto alla democrazia, «chiedete cosa ne pensa il popolo greco». E il citato benessere? Non pervenuto.

  • Mishra: l’età della rabbia, nell’Occidente senza più futuro

    Scritto il 18/2/17 • nella Categoria: Recensioni • (Commenti disabilitati)

    Un’arma letale nel cuore e nella mente di una gioventù cosmopolita smarrita e senza radici, in cerca di un senso alla sua esistenza, mentre scivoliamo verso quella che probabilmente sarà la più lunga tra le guerre mondiali. Ogni tanto ecco che esce un libro che strappa e rapisce lo spirito del tempo, che risplende con un diamante pazzo: “L’età della Rabbia” (The Age of Anger) di Pankaj Mishra, autore del ‘precursore’ “Dalle rovine dell’Impero”, potrebbe anche essere l’ultimo avatar. Considerate questo libro come l’ultima (concettualmente parlando) arma letale nei cuori e nelle menti di una gioventù smarrita cosmopolita alla ricerca di una vera ‘chiamata’, mentre scivoliamo verso la più lunga (“infinita”, direbbe il Pentagono) tra le guerre mondiali, una guerra civile globale (che nel mio libro del 2007 “Globalistan” definivo “guerra liquida”). In sostanza, Mishra (prodotto perfetto dell’Est che incontra l’Ovest) sostiene che è impossibile comprendere il presente se prima non riconosciamo quel malessere nostalgico di fondo che contraddice l’ideale del liberalismo cosmopolita – «la società commerciale cosmopolita di individui razionali egoisti» concettualizzata originariamente dall’Illuminismo di Montesquieu, Adam Smith, Voltaire e Kant.
    Alla fine il vincitore nella Storia è uno sterile concetto di bonario Illuminismo. Nella norma, avrebbero dovuto prevalere il razionalismo, l’umanesimo, l’universalismo e la democrazia liberale. Ma sarebbe stato «chiaramente troppo sconcertante», scrive Mishra, «riconoscere che la politica totalitaria abbia cristallizzato le correnti ideologiche (razzismo scientifico, razionalismo sciovinista, imperialismo, tecnicismo, politica estetizzata, ingegnerie sociali)» che già scuotevano l’Europa alla fine del 19 ° secolo. Quindi, evocando T.S. Eliot, per poter inquadrare «quel mezzo sguardo all’indietro, sopra la spalla, verso il terrore primivito» che alla fine ha condotto all’Ovest contro il Resto del Mondo, dobbiamo tornare ai precursori. “Distruggi il palazzo di cristallo”. Prendete Pushkin, “Eugene Onegin”, «il primo di molti ‘uomini superflui’ della narrativa russa», con il suo cappello Bolivar, che tiene stretti a sé una statua di Napoleone e un ritratto di Byron, come la Russia, che tenta di recuperare il suo ritardo con l’Occidente, «gioventù senza radici, prodotto di massa con una concezione quasi “byroniana” di libertà, gonfiata ulteriormente dal romanticismo tedesco».
    I migliori critici dell’Illuminismo dovevano per forza essere tedeschi o russi, in ritardo nella modernità politico-economica. Dostoevsky: la società dominata dalla guerra di tutti contro tutti, dove la maggioranza era condannata a perdere. Due anni prima di pubblicare il sorprendente “Memorie dal Sottosuolo” Dostoevskij, durante il suo viaggio in Europa occidentale, aveva già osservato una società dominata da una guerra di tutti contro tutti, dove la maggior parte era condannata a perdere. A Londra, nel 1862, al Salone Internazionale al Crystal Palace, Dostoevskij ebbe un’illuminazione («E ti arriva un’idea colossale…che il trionfo e la vittoria erano lì. Quasi inizi a temere qualcosa»). Per quanto stupito, Dostoevskij fu molto acuto nell’osservare quanto la civiltà materialista si nutrisse non solo del suo proprio fascino, ma anche della sua potenza militare e marittima.
    La letteratura russa finì con il cristallizzare il crimine casuale come il paradigma dell’individualità che assapora l’identità e afferma la propria volontà (che poi ritroviamo nel 20° secolo nell’icona beat William Burroughs, il quale sosteneva che sparare a caso sulla folla fosse per lui il massimo del brivido). La pista era aperta: le orde di “mendicanti dissoluti” (Beggars Banquet) potevano iniziare a bombardare il Crystal Palace – anche se, ci ricorda Mishra, «gli intellettuali al Cairo, a Calcutta, a Tokyo e a Shanghai leggevano Jeremy Bentham, Adam Smith, Thomas Paine, Herbert Spencer e John Stuart Mill», per comprendere il segreto in eterna espansione della borghesia capitalistica. E questo dopo che Rousseau, nel 1749, aveva posto la prima pietra della rivolta moderna contro la modernità, ora ridotta in mille schegge, in un deserto di echi contrastanti, mentre ritroviamo il Crystal Palace riflesso in mille ghetti luccicanti in tutto il mondo.
    “Illuminato: sei morto”. Mishra attribuisce l’idea del suo libro a Nietzsche che commentava l’epica querelle tra l’invidioso plebeo Rousseau e il sereno aristocratico Voltaire – il quale salutò la London Stock Exchange, quando divenne pienamente operativa, come una realizzazione secolare dell’armonia sociale. Ma alla fine fu Nietzsche che si oppose in maniera esemplare, come feroce detrattore sia del capitalismo liberale che del socialismo, rendendo l’allettante promessa di Zarathustra un magnetico Santo Graal agli occhi dei bolscevichi (Lenin, tuttavia, lo detestava), della sinistra di Lu Xun in Cina, dei fascisti, degli anarchici, delle femministe e delle orde di esteti scontenti. Mishra ci ricorda anche come «gli antimperialisti asiatici e i baroni ladroni americani hanno attinto a piene mani da Herbert Spencer, il primo pensatore veramente globale», che dopo aver letto Darwin coniò il mantra della “sopravvivenza del più adatto”. Nietzsche fu l’ultimo cartografo del Risentimento. Max Weber inquadrò profeticamente il mondo moderno come una “gabbia di ferro” da cui può sfuggire solo un leader carismatico. E l’icona anarchica Michail Bakunin, da parte sua, nel 1869 aveva già concettualizzato il “rivoluzionario” come colui che recide «ogni legame con l’ordine sociale e con l’intero mondo civilizzato… Lui è il suo nemico più spietato e continua ad esistere per un unico scopo: distruggerlo».
    Sfuggendo all’Incubo della Storia del Modernista Supremo James Joyce – dalla gabbia di ferro della modernità, appunto – è scoppiata in modo incontrollato e ben al di fuori dei confini dell’Europa una secessione militante viscerale, «da una civiltà fondata sul progresso graduale controllato da fiduciari liberal-democratici». Ideologie anche radicalmente contrarie sono comunque sorte in simbiosi dal vortice culturale del tardo 19° secolo, dal fondamentalismo islamico al sionismo, dal nazionalismo indù al bolscevismo, dal nazismo al fascismo e al rinnovato imperialismo. Non solo la seconda guerra mondiale, ma anche l’attuale finale di partita è stato brillantemente visualizzato nel 1930 dal tragico Walter Benjamin, quando già metteva in guardia contro l’auto-alienazione del genere umano, finalmente in grado di «provare nella propria distruzione il massimo piacere estetico possibile». Gli jihadisti di oggi in streaming fai-da-te non sono altro che la sua versione pop, mentre l’Isis tenta di proporsi come negazione estrema delle miserie della modernità (neo-liberale).
    “L’era del Risentimento”. Tessendo flussi coloriti di politica e di impollinazioni incrociate letterarie, Mishra si prende il suo tempo per impostare la scena del Grande Dibattito tra quelle masse del mondo in via di sviluppo – la cui esistenza è stata etichettata dall’Occidente Atlantista («storie di violenza ancora largamente riconosciuta») e dalle élite della modernità liquida (Bauman) che hanno ceduto alla quella selezionata parte del mondo a cui si attribuiscono, dopo l’Illuminismo, le più grandi scoperte e innovazioni scientifiche, filosofiche, artistiche e letterarie. Questo va ben al di là di un semplice dibattito tra Est e Ovest. Non riusciremo a comprendere l’attuale guerra civile globale, questo «mix intenso di invidia e senso di umiliazione ed impotenza» post-modernista, e post-verità, se non tentiamo di «smantellare l’architettura concettuale e intellettuale dell’Occidente vincitore nella storia», che deriva dalla storia ipertrionfalista dei successi americani. Anche al culmine della guerra fredda, il teologo statunitense Reinhold Niebuhr si beffava dei «tiepidi fanatici della civiltà occidentale» e della loro fede cieca nel fatto che ogni società è destinata ad evolversi come hanno fatto, a volte, una manciata di paesi occidentali. E questo – ironia! – mentre il culto liberale internazionalista del progresso scimmiottava platealmente il sogno marxista della rivoluzione internazionale.
    (Pepe Escobar, “L’erà della rabbia”, da “Asia Times” del 4 febbraio 2017, tradotto da “Skoncertata63” per “Come Don Chisciotte”).

    Un’arma letale nel cuore e nella mente di una gioventù cosmopolita smarrita e senza radici, in cerca di un senso alla sua esistenza, mentre scivoliamo verso quella che probabilmente sarà la più lunga tra le guerre mondiali. Ogni tanto ecco che esce un libro che strappa e rapisce lo spirito del tempo, che risplende con un diamante pazzo: “L’età della Rabbia” (The Age of Anger) di Pankaj Mishra, autore del ‘precursore’ “Dalle rovine dell’Impero”, potrebbe anche essere l’ultimo avatar. Considerate questo libro come l’ultima (concettualmente parlando) arma letale nei cuori e nelle menti di una gioventù smarrita cosmopolita alla ricerca di una vera ‘chiamata’, mentre scivoliamo verso la più lunga (“infinita”, direbbe il Pentagono) tra le guerre mondiali, una guerra civile globale (che nel mio libro del 2007 “Globalistan” definivo “guerra liquida”). In sostanza, Mishra (prodotto perfetto dell’Est che incontra l’Ovest) sostiene che è impossibile comprendere il presente se prima non riconosciamo quel malessere nostalgico di fondo che contraddice l’ideale del liberalismo cosmopolita – «la società commerciale cosmopolita di individui razionali egoisti» concettualizzata originariamente dall’Illuminismo di Montesquieu, Adam Smith, Voltaire e Kant.

  • Addio olio e pesci: climate change, la catastrofe nascosta

    Scritto il 17/2/17 • nella Categoria: segnalazioni • (9)

    Il crollo della produzione di olio extra vergine in Europa è solo il campanello. Fattela addosso, tuo figlio è nella merda, come si dice in francese. Il mio sforzo, piuttosto disperato nel paese che vede meno che a 7 cm dal suo naso sempre e su tutto, è di farvi capire ciò che tuo figlio/a, oggi di 2 anni, dovranno affrontare quando avranno la tua età. Sono capaci tutti di scrivere le news di oggi. Ci vuole un certo cervello per offrirvi le news che faranno mettere le mani sulla faccia ai vostri bimbi fra 30 anni, ma offrirvele oggi (vedi pezzo precedente su Agorastrea, anche se in altro ambito). E’ ciò che sto facendo da due anni, in un paese dove i lettori hanno una visione di 7 cm dal loro naso. Una siccità senza precedenti nella storia della Siria fu l’innesco della guerra civile là. Orde di disperati fuggirono nel 2006 dalle campagne verso le città perché morivano di fame. Il marasma di povertà, disperazione, orrore governativo di quella bestia umana di Assad, pari solo all’orrore delle bestie umane della “opposizione moderata di Hollywood”, e le tensioni derivanti, è precisamente ciò che oggi vedete come guerra civile in Siria.
    Una siccità senza precedenti nella storia… Climate Change. Sapete cosa poi ci ha portato quella guerra civile, le gigantesche conseguenze sull’Europa, sulle politiche, sull’economia del tuo portafoglio, ci ha portato Trump (in parte), e lo dico a te signor taxista di Novara… (che mai capisce dove sono i veri drammi, ma neppure Barra-Caracciolo ci capisce una mazza, e non fa il taxista). Perché, e vengo a oggi, la produzione italiana del suo gioiello olio extra vergine è crollata in un anno del 41%, il peggior crollo della storia in Italia? “Commodity3” ha appena pubblicato un rapporto che pela vivi i banali articoletti apparsi (nascosti) di recente su “Repubblica” e sul “Fatto Q” su questo problema. Ma davvero questo crollo è dovuto a un parassita arrivato da Marte? Può essere, ma perché i giornalucoli non vi spiegano che quei parassiti di Marte sono figli del Climate Change, come invece dimostra la miglior ricerca biotech del mondo nascosta da Syngenta? E ’sto clima impazzito che abbiamo già nelle nostre regioni non c’entra? Ma dai? Allora perché un collasso di olio capita in Spagna e in Grecia senza i parassiti italiani?
    Ma che interesse ha la fetida Commissione Europea a permettere a un ufficietto negli scantinati del suo palazzo di Bruxelles di pubblicare un rapporto, letto da nessuno perché si trova molto dopo pag. 20 di Google, dove si legge “L’agricoltura europea sta vacillando sotto il peso del Climate Change… sono registrati cambiamenti drammatici in precipitazioni, temperature che vanno agli estremi del gelo e dell’afa, poi tempeste, allagamenti, in tutta la Ue”. L’Un Intergovernmental Panel on Climate Change, poi, ci dice che, altro che quote pesca della Ue. La vera bomba a mano nelle reti dei nostri Porto Garibaldi o Mazara del Vallo è il Climate Change. La scala grafica che l’Onu pubblica sugli sconvolgimenti della pesca nel Mediterraneo dovuti alla pazzia del clima, gli dà, su 5, 4 tacche rosse. Aspettiamo la quinta? Ah, dimenticavo. Ho già scritto che se siete preoccupati per l’invasione dei migranti, ancora non avete visto nulla. Aspettatatevi che i 300.000.000 (si legge trecentomilioni, non 3 milioni) di indiani che stanno rimanendo senza acqua per la semi-sparizione dei più vicini ghiacciai dell’Himalaya decidano che se proprio devono crepare, be’, val la pena tentare la via per l’Europa… Baciate i vostri bimbi stanotte, incoscienti. Poi baciate Bertolli. Il Climate Change è una fantasia, dai, vi ho solo fatto bu’!!!
    (Paolo Barnard, “Dalla Siria al mercato dell’olio di oliva: Climate Change, guardate 50 anni avanti”, dal blog di Barnard del 10 febbraio 2017).

    Il crollo della produzione di olio extra vergine in Europa è solo il campanello. Fattela addosso, tuo figlio è nella merda, come si dice in francese. Il mio sforzo, piuttosto disperato nel paese che vede meno che a 7 cm dal suo naso sempre e su tutto, è di farvi capire ciò che tuo figlio/a, oggi di 2 anni, dovranno affrontare quando avranno la tua età. Sono capaci tutti di scrivere le news di oggi. Ci vuole un certo cervello per offrirvi le news che faranno mettere le mani sulla faccia ai vostri bimbi fra 30 anni, ma offrirvele oggi (vedi pezzo precedente su Agorastrea, anche se in altro ambito). E’ ciò che sto facendo da due anni, in un paese dove i lettori hanno una visione di 7 cm dal loro naso. Una siccità senza precedenti nella storia della Siria fu l’innesco della guerra civile là. Orde di disperati fuggirono nel 2006 dalle campagne verso le città perché morivano di fame. Il marasma di povertà, disperazione, orrore governativo di quella bestia umana di Assad, pari solo all’orrore delle bestie umane della “opposizione moderata di Hollywood”, e le tensioni derivanti, è precisamente ciò che oggi vedete come guerra civile in Siria.

  • La gang dell’euro, associazione a delinquere per derubarci

    Scritto il 16/2/17 • nella Categoria: idee • (74)

    La cronaca “europea” della scorsa settimana è stata segnata dalle dichiarazioni, poi parzialmente rimangiate, del cancelliere tedesco Angela Merkel su una “Europa a due velocità” da formalizzare già al prossimo vertice di Roma. I media hanno sbrigativamente tradotto le posizioni della Merkel con l’ossimoro di una “doppia moneta unica”, una per i paesi del nord ed un’altra per i paesi del sud. Non sono mancati i consueti commenti circa l’influenza della campagna elettorale in Germania su questa presa di distanze della Merkel dalla consueta dogmatica dell’Unione Europea. In realtà i tedeschi sono scontenti dell’Ue perché gli è stato fatto credere che il crollo dei loro redditi sia causato dalla necessità di sacrificarsi per soccorrere i cosiddetti Piigs. Dato che così non è, alla Merkel basterebbe consentire un aumento dei salari in Germania per fare tutti contenti, all’interno come all’esterno. Un aumento della domanda in Germania stimolerebbe l’economia dei paesi Ue più in difficoltà e il contestuale aumento del costo del lavoro nella stessa Germania renderebbe le merci tedesche un po’ meno competitive, diminuendo così il destabilizzante surplus commerciale tedesco.
    Ma ciò non accadrà, poiché l’Ue non era affatto nata per favorire l’integrazione economica dell’Europa. Gli interessi erano soltanto finanziari e militari. La deflazione causata dall’euro rende più forti i creditori nei confronti dei debitori, e quindi va a favore delle multinazionali finanziarie. Gli Usa sono stati determinanti nella nascita dell’euro e nella sua conservazione, poiché l’euro consente di compattare in funzione anti-russa paesi che, come l’Italia, rischiavano di farsi risucchiare economicamente nell’orbita della Russia. Sino a qualche anno fa gli Usa erano disposti a pagare il prezzo salato che l’euro comportava in termini di depressione dell’economia mondiale. Pare che non siano più disposti oggi, dato che le merci tedesche hanno invaso il mercato statunitense a causa della sottovalutazione dell’euro rispetto all’effettivo potenziale dell’economia della Germania. D’altro canto il presunto “disimpegno” americano in Europa potrebbe davvero cambiare qualcosa? E’ vero che gli Usa non sono riusciti a mettere Putin all’angolo, che i costi dei loro impegni militari sono mostruosi, ma sembra esserci la necessità di una riorganizzazione della gerarchia internazionale senza la quale il “protezionismo coloniale” avrebbe qualche difficoltà.
    Senza una ostentazione di forza militare da parte degli Usa, altri paesi potrebbero rispondere a loro volta col protezionismo. Certo è che l’Ue e l’euro sarebbero travolti non tanto dai dazi ma da una svalutazione del dollaro che, per ora, non è arrivata. Non sarebbe comunque la prima volta che gli Usa distruggono ciò che essi stessi hanno creato perché non gli fa più comodo. Nel 1919 il presidente Usa, Woodrow Wilson, impose la nascita della Jugoslavia per impedire all’Italia il controllo del Mare Adriatico. Per sostenere la sua posizione Wilson non esitò ad accusare l’Italia di imperialismo (per la serie del bue che dice cornuto all’asino). La stessa Jugoslavia negli anni ‘90 è stata poi distrutta dagli Usa in concerto con la Germania e, grazie ad una notevole manipolazione mediatica, anche le “sinistre radicali” furono indotte a plaudire al “risveglio etnico” che dissolveva stati che erano apparsi prima inamovibili.
    Pur collocata dagli Usa sul maggiore scranno della Ue, la Germania non ha mai mostrato di credere realmente in questa costruzione. Nel 2003 tramontava l’illusione del governo francese di poter usare l’euro per acquistare direttamente materie prime sui mercati internazionali, poiché l’invasione Usa dell’Iraq servì appunto a punire Saddam Hussein per il fatto che vendeva petrolio in cambio di euro invece che di dollari. Nello stesso 2003 il governo tedesco lanciò il piano Hartz per ridurre i salari in Germania. Il governo tedesco non si accontentava quindi del vantaggio che l’euro consentiva alle merci tedesche, ma apiva addirittura una corsa a comprimere il costo del lavoro in modo da accumulare il maggior surplus commerciale possibile. Ciò indica che i governi tedeschi non hanno mai creduto alla sopravvivenza dell’Ue e dell’euro; e che l’Ue e l’euro, nati come armi da guerra contro la Russia, venivano usati dalla Germania anche per deindustrializzare il suo principale concorrente commerciale, cioè l’Italia, non a caso bersaglio preferito della Commissione Europea.
    La Germania non deve neanche affannarsi più di tanto per raggiungere il suo scopo, poiché ci pensa la lobby dello spread. La moneta “unica” è infatti un inganno. La moneta è composta di banconote e di debito pubblico, cioè di titoli del Tesoro: nel caso dell’euro le banconote sono controllate dalla Banca Centrale Europea, mentre i titoli del Tesoro sono ancora emessi dagli Stati, che però pagano interessi diversi. In questa tenaglia è stata stritolata la Grecia e si può stritolare l’Italia. Risulta quindi fuori luogo la sorpresa suscitata dalla minaccia della Commissione Europea di mettere l’Italia in procedura d’infrazione per il famoso “zero virgola due”. La Brexit e “CialTrump” non hanno per niente indotto Juncker e colleghi a maggiore prudenza e buonsenso poiché la Commissione Europea, e l’apparato che la supporta, non si pongono affatto problemi di sopravvivenza dell’Ue, ma ragionano esclusivamente in base agli interessi della lobby dello spread, cioè la lobby di finanzieri internazionali che esige alti interessi sul debito pubblico da paesi che sono ancora in grado di pagarli, come l’Italia.
    L’Unione Europea è un allevamento di lobbisti e costituisce il paradiso delle porte girevoli tra cariche pubbliche e carriere nel privato, e il tutto è rigorosamente documentato da tempo, con dovizia di dettagli. La porta girevole che ha portato l’ex presidente della Commissione Europea, Manuel Barroso, alla dirigenza di Goldman Sachs dovrebbe costituire una preoccupazione urgente per tutti gli “europeisti”, i quali insistono invece a distrarci con voli pindarici. Ma gli europeisti non esistono, i lobbisti invece esistono, eccome. La delegittimazione delle istituzioni europee è tale che oggi la vera domanda che tutti si pongono è in quali multinazionali finanziarie concluderanno felicemente la loro carriera gli autori della lettera dello “zero virgola due”, Juncker e Moscovici. A proposito di lobbisti mascherati, ci si è chiesti da più parti come si collochi l’ultima sortita del Super-Buffone di Francoforte in questo contesto di sfaldamento dell’Ue. Mario Draghi farnetica di trecentoquaranta miliardi di euro di tangente da versare per permettere all’Italia di uscire dall’euro, quando ormai sarebbe evidente che è l’euro che sta uscendo dall’Europa.
    La farneticazione del presidente della Bce contiene comunque un messaggio recondito, e cioè che la vita dell’euro dovrà perpetuarsi oltre la sua morte, con una scia di ulteriori sacrifici da imporre a lavoratori e risparmiatori. La risposta immediata a Draghi dovrebbe essere quella di sottrarre il debito pubblico ai cosiddetti “mercati” (cioè la lobby dello spread) per usare i titoli del Tesoro solo all’interno, per effettuare i pagamenti della pubblica amministrazione e per mettere al sicuro il risparmio delle famiglie. Si tratta di una vecchia proposta, ripresa qualche giorno fa – non si sa quanto seriamente – anche dalla Lega. A rendere improbabile una tale misura di autonomia finanziaria non sono soltanto gli enormi rischi personali di chi dovrebbe adottarla, ma anche il fatto che lo spread e l’austerità si avvalgono di una lobby interna, tutta italiana, che lucra sugli alti interessi del debito pubblico, sul credito al consumo (e sul relativo recupero crediti), sul caporalato istituzionalizzato, sulle privatizzazioni e sull’intermediazione per la svendita all’estero dei patrimoni immobiliari.
    (“Dopo i sacrifici per entrare nell’euro e i sacrifici per restare nell’euro, i sacrifici per uscire dall’euro”, dal blog Anarchismo.Comidad del 9 febbraio 2017).

    La cronaca “europea” della scorsa settimana è stata segnata dalle dichiarazioni, poi parzialmente rimangiate, del cancelliere tedesco Angela Merkel su una “Europa a due velocità” da formalizzare già al prossimo vertice di Roma. I media hanno sbrigativamente tradotto le posizioni della Merkel con l’ossimoro di una “doppia moneta unica”, una per i paesi del nord ed un’altra per i paesi del sud. Non sono mancati i consueti commenti circa l’influenza della campagna elettorale in Germania su questa presa di distanze della Merkel dalla consueta dogmatica dell’Unione Europea. In realtà i tedeschi sono scontenti dell’Ue perché gli è stato fatto credere che il crollo dei loro redditi sia causato dalla necessità di sacrificarsi per soccorrere i cosiddetti Piigs. Dato che così non è, alla Merkel basterebbe consentire un aumento dei salari in Germania per fare tutti contenti, all’interno come all’esterno. Un aumento della domanda in Germania stimolerebbe l’economia dei paesi Ue più in difficoltà e il contestuale aumento del costo del lavoro nella stessa Germania renderebbe le merci tedesche un po’ meno competitive, diminuendo così il destabilizzante surplus commerciale tedesco.

  • Kerry confessa: noi con l’Isis in Siria, dalla base di Smirne

    Scritto il 21/1/17 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    La guerra contro la Siria è il primo conflitto dell’epoca informatica a durare oltre sei anni. Numerosissimi documenti che sarebbero dovuti rimanere a lungo segreti sono già stati pubblicati. Benché siano stati divulgati, in misura diversa, in paesi diversi e l’opinione pubblica non abbia così potuto prenderne piena consapevolezza, essi consentono sin da ora una ricostruzione degli avvenimenti. La pubblicazione della registrazione di quanto dichiarato da John Kerry in privato, a settembre scorso, rivela la politica del Dipartimento di Stato americano e costringe tutti gli osservatori, noi compresi, a rivedere le proprie analisi. La registrazione integrale dell’incontro del segretario di Stato John Kerry con membri della Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione, avvenuta il 22 settembre nei locali della delegazione olandese alle Nazioni Unite, pubblicata da “The Last Refuge”, rimette in causa la nostra analisi della posizione Usa nei confronti della Siria.
    In primo luogo, avevamo creduto che Washington, dopo aver dato inizio all’operazione chiamata “Primavera araba”, finalizzata a rovesciare i regimi laici a beneficio dei Fratelli Musulmani, avesse lasciato i propri alleati da soli a dare l’avvio alla seconda guerra contro la Siria, iniziata a luglio 2012. E avevamo creduto che, perseguendo questi alleati obiettivi propri (ricolonizzazione per Francia e Regno Unito; conquista del gas per il Qatar; espansione del wahabismo e vendetta della guerra civile libanese per l’Arabia Saudita; annessione della Siria del nord per la Turchia, secondo il modello cipriota, ecc.), l’obiettivo iniziale fosse stato abbandonato. Invece, nella registrazione si sente John Kerry affermare che Washington non ha mai rinunciato ai tentativi di rovesciamento della repubblica araba siriana. Ciò significa che gli Usa hanno seguito passo per passo l’operato degli alleati. Di fatto, negli ultimi quattro anni gli jihadisti sono stati comandati, armati e coordinati dall’AlliedLandCom (Comando delle forze terrestri) della Nato, basato a Smirne (Turchia).
    In secondo luogo, John Kerry riconosce che Washington non poteva esporsi maggiormente per due ragioni: il diritto internazionale e la posizione della Russia. Sia chiaro, gli Stati Uniti non hanno mai avuto scrupoli a violare il diritto internazionale: hanno distrutto le strutture nodali della rete petrolifera e del gas della Siria, con il pretesto di combattere gli jihadisti (ciò che è conforme al diritto internazionale), senza però che il presidente al-Assad glielo avesse chiesto (quindi, in violazione del diritto internazionale). Non hanno invece osato mandare truppe terrestri per combattere in campo aperto la repubblica siriana, come viceversa avevano fatto in Corea, in Vietnam e in Iraq. E hanno scelto di mandare in prima linea i loro alleati (secondo la strategia della “leadership from behind” – leadership occulta) e di sostenere, senza peraltro grande discrezione, i mercenari, come avvenne in Nicaragua, rischiando di venire condannati dalla Corte internazionale di Giustizia (il tribunale dell’Onu).
    In realtà, Washington non vuole imbarcarsi in una guerra contro la Russia. E, dal canto suo, la Russia, che non si era opposta alla distruzione della Jugoslavia e della Libia, ora ha rialzato la testa e spinto più in là il limite da non oltrepassare. Mosca è in condizione di difendere il diritto con la forza, qualora Washington ingaggiasse apertamente una nuova guerra di conquista. In terzo luogo, quanto detto da John Kerry dimostra che Washington sperava in una vittoria di Daesh sulla repubblica siriana. Fino a oggi, basandoci sul rapporto del generale Michael Flynn del 12 agosto 2012 e dell’articolo di Robert Wright sul “New York Times” del 28 settembre 2013, avevamo ritenuto che il Pentagono volesse creare un “Sunnistan” a cavallo tra Siria e Iraq, per tagliare la via della seta. Nella registrazione Kerry confessa che il piano andava ben oltre. Probabilmente, Daesh avrebbe dovuto prendere Damasco per poi venirne cacciato da Tel Aviv (ossia, ripiegare sul “Sunnistan”, appositamente creato). La Siria avrebbe potuto così essere spartita: il sud a Israele, l’est a Daesh, il nord alla Turchia.
    Ciò fa capire perché Washington abbia dato l’impressione di non controllare nulla, di “lasciar fare” gli alleati: gli Stati Uniti hanno indotto Francia e Regno Unito a impegnarsi nel conflitto, facendo loro credere che avrebbero potuto ricolonizzare il Levante, mentre, al contrario, avevano già deciso che sarebbero stati esclusi dalla spartizione della Siria. In quarto luogo, John Kerry, ammettendo di aver “sostenuto” Daesh, riconosce di averlo armato. La retorica della “guerra contro il terrorismo” si riduce perciò a nulla. Dall’attentato del 22 febbraio 2006 alla moschea al-Askari di Samarra, Iraq, sapevamo che Daesh (che inizialmente si chiamava “Emirato islamico dell’Iraq”) era stato creato dal direttore nazionale dell’intelligence Usa, John Negroponte, e dal colonnello James Steele per stroncare la resistenza irachena e provocare una guerra civile, sul modello di quanto fatto in Honduras. Dopo la pubblicazione sul quotidiano del Pkk, Partito dei lavoratori del Kurdistan, “Özgür Gündem”, del processo verbale della riunione di pianificazione, tenutasi ad Amman il 1° giugno 2014, sapevamo che gli Stati Uniti avevano organizzato un’offensiva congiunta di Daesh su Mosul, e del governo regionale del Kurdistan iracheno su Kirkuk.
    In quinto luogo, abbiamo ritenuto che il conflitto tra il clan Allen/Clinton/Feltman/Petraeus da un lato, e l’amministrazione Obama/Kerry dall’altro vertesse sul sostegno o no a Daesh. Non è affatto così. Entrambi i campi non hanno avuto scrupoli a organizzare e sostenere gli jihadisti più fanatici. Il loro disaccordo attiene esclusivamente al ricorso alla guerra aperta – e al rischio di un conflitto con la Russia – o alla scelta di manovrare dietro le quinte. Solo Flynn, attuale consigliere per la sicurezza di Trump – si è opposto allo jihadismo. Se accadesse che, fra qualche anno, gli Stati Uniti crollassero, com’è accaduto per l’Urss, la registrazione di John Kerry potrebbe essere utilizzata contro di lui e contro Obama davanti a una giurisdizione internazionale – ma non davanti alla Corte penale internazionale dell’Onu, ormai screditata. Avendo riconosciuto la veridicità degli estratti pubblicati dal “New York Times”, Kerry non potrebbe contestare l’autenticità del documento sonoro integrale. Il sostegno a Daesh che Kerry esibisce vìola parecchie risoluzioni delle Nazioni Unite e costituisce una prova della responsabilità sua e di Obama nei crimini contro l’umanità commessi dall’organizzazione terrorista.
    (Thierry Meyssan, “Le confessioni del criminale John Kerry”, da “Megachip” del 19 gennaio 2017).

    La guerra contro la Siria è il primo conflitto dell’epoca informatica a durare oltre sei anni. Numerosissimi documenti che sarebbero dovuti rimanere a lungo segreti sono già stati pubblicati. Benché siano stati divulgati, in misura diversa, in paesi diversi e l’opinione pubblica non abbia così potuto prenderne piena consapevolezza, essi consentono sin da ora una ricostruzione degli avvenimenti. La pubblicazione della registrazione di quanto dichiarato da John Kerry in privato, a settembre scorso, rivela la politica del Dipartimento di Stato americano e costringe tutti gli osservatori, noi compresi, a rivedere le proprie analisi. La registrazione integrale dell’incontro del segretario di Stato John Kerry con membri della Coalizione nazionale siriana delle forze dell’opposizione e della rivoluzione, avvenuta il 22 settembre nei locali della delegazione olandese alle Nazioni Unite, pubblicata da “The Last Refuge”, rimette in causa la nostra analisi della posizione Usa nei confronti della Siria.

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