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Archivio del Tag ‘hi-tech’

  • Dezzani: il M5S, piano Usa nato per sterilizzare la protesta

    Scritto il 29/9/19 • nella Categoria: idee • (7)

    Quando una nuova arma è perfezionata è abitudine sperimentarla in qualche poligono di tiro lontano da occhi indiscretti. Ma le armi convenzionali sono solo uno degli strumenti cui il sistema ricorre per esercitare il proprio dominio, scriveva l’analista geopolitico Federico Dezzani nel lontano 2015, quando a Palazzo Chigi sedeva il Matteo Renzi prima maniera, non ancora alleato dei grillini. Eppure, già allora, proprio di quelli Dezzani si occupava, definendo il Movimento 5 Stelle “la stampella del potere”. Tre anni dopo, i grillini sono andati al governo con Salvini ma piazzando lo sconoscito Conte nella sala dei bottoni. E oggi, puntualissimi, sono negli stessi ministeri ma con l’odiato Renzi e il “partito della Boschi”. Colpa di Salvini? Ma va là, direbbe Dezzani, che già quattro anni fa aveva le idee chiarissime sulla vera funzione del MoVimento, che infatti ha ricondotto all’ovile le pecorelle populiste facendo loro ingoiare persino l’inchino supremo alla Grande Germania, con l’elezione di Ursula von der Leyen a capo della Commissione Europea. A maggior ragione acquista sapore, oggi, la rilettura dell’analisi del profetico Dezzani: quello di Grillo era solo un bluff, fin dall’inizio. Operazione sofisticata, che ha ingannato milioni di elettori.

  • Ci lasciano votare solo dopo che tutto è già stato deciso

    Scritto il 07/3/19 • nella Categoria: idee • (14)

    Le innovazioni importanti, le strategie di lungo termine, le grandi operazioni di ingegneria sociale, sono deliberate a porte chiuse dall’oligarchia, in isolamento tecno-burocratico, indi calate sulla popolazione generale sotto il manto di nobili scopi di interesse comune, ma senza che ne sia rivelata la natura, gli effetti e gli obiettivi ultimi. Così è avvenuto, ad esempio, con il processo di integrazione europea, con le cessioni di sovranità, con l’euro, con le riforme della banca centrale e del sistema bancario. Mentre in epoche passate, e nei paesi culturalmente tuttora nel passato (come quelli islamici) si ricorre alla mobilitazione ideologica delle masse per fare i rivolgimenti (vedi primavere arabe), nel vigente sistema di potere liberale e democratico il dibattito politico pubblico è permesso, o perlomeno può aver luogo, solo dopo che tali riforme abbiano raggiunto gli obiettivi per i quali sono state introdotte, in modo che il dibattito pubblico e la politica popolare, la ‘democrazia’, non possa impedire il raggiungimento di tali effetti. Cioè i problemi vengono posti all’opinione pubblica dai mass media e divengono oggetto di dibattito ed eventualmente di lotta politica (popolare) solo quando oramai il gioco è fatto e la lotta politica è innocua, inutile.
    Le poche volte che la volontà popolare si è attivata per tempo dicendo no a qualche riforma calata dall’altro, come nei referendum per l’integrazione europea, i popoli sono stati fatti rivotare fino ad approvarla. Anche per la Brexit si spinge in tal senso, seppur in modo contrastato, perché su di essa l’élite britannica è divisa. La politica popolare, di regola, viene in tal modo attivata su problemi ormai superati. Viene attivata in modo fittizio per dare sfogo. Lotta per chiudere le porte della stalla dopo che i buoi sono stati rubati. Così il dibattito e la lotta politica sulla sovranità e sull’euro sono stati avviati solo dopo che la sovranità era oramai stata perduta e che l’euro aveva prodotto i suoi effetti (devastanti per alcuni paesi, e vantaggiosi per i paesi dominanti), sebbene già negli anni ’60, ’70, ’80 e ’90 negli ambienti tecnici si prevedessero benissimo, dato che economisti di vaglia avvertivano che il blocco dei cambi tra le monete europee avrebbe prodotto i risultati che poi ha prodotto. Fino al 2008 l’informazione popolare, la discussione politica, l’opinione pubblica italiana erano in massa per l’euro e per l’integrazione europea, e l’informazione sui suoi previsti effetti veniva tenuta nascosta al pubblico.
    Le battaglie populiste-sovraniste contro l’euro, minacciando di uscirne, si fanno solo adesso che uscirne è praticamente impossibile, come è impossibile per un pesce uscire dalla nassa – infatti chi prospettava di uscirne ha ritirato tale progetto. La popolazione generale, del resto, essendo incompetente e attenta solo all’immediato, non prevede gli effetti delle riforme tecniche, e si accorge di essi soltanto dopo che si sono prodotti, quando li sente sulla propria pelle. Ma anche allora fatica a capirne le cause. Le informazioni sono disponibili, a chi le cerca, ma pochi lo fanno; e soprattutto non avviene il coordinamento, la mobilitazione di massa, se i partiti politici non la organizzano e se, prima ancora, i mass media non mandano alla mente della gente la narrazione che il problema esiste, che è grave, che bisogna mobilitarsi. Ma lo fanno solo a giochi fatti.
    Lo si è visto ultimamente nella vicenda dell’opposizione ai vaccini obbligatori, in cui il problema era reale, decine di migliaia di persone manifestavano, ma i mass media e i partiti politici non rimandavano alla mente della gente questa realtà. Lo si vede ancora oggi, con le analisi di laboratorio che mostrano come nei preparati vaccinali in realtà non vi sono le sostanze immunizzanti ma vi sono molte sostanze tossiche e contaminanti. I vaccini in sé sono una cosa utile, se fatti bene e usati bene; i preparati industriali imposti ai bambini sembrano falsi vaccini, inefficaci e nocivi. Visto che tali preparati vengono iniettati molte volte in milioni di bambini, questo tema dovrebbe essere oggetto di pubblica informazione e di dibattito politico, ma politica e media lo tengono nel silenzio, perché questa operazione di bioingegneria sociale è ancora in corso e non deve essere intralciata.
    In conformità a quanto sopra spiegato, attualmente non sono oggetto di dibattito politico pubblico, né di copertura mediatica, ma piuttosto di silenziamento o discreditamento e negazionismo beffardo, le informazioni circa principali innovazioni a cui l’oligarchia sta lavorando oggi, e che avranno presto un drammatico impatto sulla vita della popolazione, ossia il controllo sociale e individuale mediante le reti elettroniche e mediante la biocrazia, cioè la gestione e modificazione della gente mediante somministrazione alla popolazione in massa di sostanze chimiche e biologiche negli alimenti, nei farmaci, nei vaccini, nell’ambiente, e anche attraverso la rete 5G (con le sue onde millimetriche che agiscono sulle cellule viventi, i suoi ripetitori ogni cento metri, i suoi ventimila satelliti in orbita): manipolazione biologica proprio come avviene nella zootecnia. Quando gli effetti si saranno consolidati e saranno divenuti irreversibili, si incomincerà a parlarne alla gente.
    (Marco Della Luna, “Lotta politica e ingegneria sociale”, dal blog di Della Luna del 2 marzo 2019).

    Le innovazioni importanti, le strategie di lungo termine, le grandi operazioni di ingegneria sociale, sono deliberate a porte chiuse dall’oligarchia, in isolamento tecno-burocratico, indi calate sulla popolazione generale sotto il manto di nobili scopi di interesse comune, ma senza che ne sia rivelata la natura, gli effetti e gli obiettivi ultimi. Così è avvenuto, ad esempio, con il processo di integrazione europea, con le cessioni di sovranità, con l’euro, con le riforme della banca centrale e del sistema bancario. Mentre in epoche passate, e nei paesi culturalmente tuttora nel passato (come quelli islamici) si ricorre alla mobilitazione ideologica delle masse per fare i rivolgimenti (vedi primavere arabe), nel vigente sistema di potere liberale e democratico il dibattito politico pubblico è permesso, o perlomeno può aver luogo, solo dopo che tali riforme abbiano raggiunto gli obiettivi per i quali sono state introdotte, in modo che il dibattito pubblico e la politica popolare, la ‘democrazia’, non possa impedire il raggiungimento di tali effetti. Cioè i problemi vengono posti all’opinione pubblica dai mass media e divengono oggetto di dibattito ed eventualmente di lotta politica (popolare) solo quando oramai il gioco è fatto e la lotta politica è innocua, inutile.

  • Le Piramidi Bosniache emanano potente energia salva-vita

    Scritto il 24/2/19 • nella Categoria: segnalazioni • (7)

    Nel 2005 l’antropologo bosniaco Sam Osmanagich, docente all’università di Houston, ha scoperto le prime piramidi europee: si trovano nei pressi della cittadina di Visoko, in Bosnia-Erzegovina, a due passi da Sarajevo. Osmanagich ha dato inizio agli scavi archeologici, poi condotti dalla fondazione da lui istituita (Archaeological Park: Bosnian Pyramid of the Sun Foundation). Tra il 2008 e il 2014, lo scienziato ha organizzato svariate conferenze sulla ricerca in corso attorno a quelle piramidi: eventi che hanno alimentato le controversie sulla sua scoperta, dividendo la comunità archeologica internazionale. Una scoperta che ha spiazzato i custodi della storia ufficiale: costruite con giganteschi mattoni realizzati in calcestruzzo, le piramidi di Visoko risalgono ad almeno 28.000 anni fa, secondo i rilievi effettuati col radiocarbonio. Affascinanti e misteriose, sottolinea “Scienza e Conoscenza”, le piramidi della Bosnia hanno stregato decine di ricercatori e centinaia di volontari: chi ha visitato il sito parla di un’energia straordinaria che scaturisce da questo luogo particolare. Secondo Osmanagich, si tratta di “energia orgonica”, che provoca sensazioni di acuto benessere e migliora vistosamente lo stato fisico delle persone.
    Il progetto delle piramidi bosniache, spiega Osmanagich in un’intervista a “Scienza e Conoscenza”, è un’indagine scientifica interdisciplinare: coinvolge scienze classiche come archeologia, geologia e pedologia, insieme a discipline ad alta tecnologia (ricerca geofisica, analisi geotermica e georadar, Lidar) nonché misurazioni di energia: campi elettrici e magnetici, ultrasuoni e infrasuoni, risonanza Schuman, concentrazione di ioni negativi, livello di ossigeno, campi magnetotellurici ed elettrodinamici. Tra gli altri strumenti, l’équipe internazionale coordinata da Osmanagich ha utilizzato il “misuratore sperimentale di energia vitale” chiamato Lm3, prodotto dall’azienda americana Heliognosis. «Questo strumento – spiega Osmanagichc – si basa sullo stesso principio del dispositivo di Wilhelm Reich (Orgone Field Meter). In breve, ha la capacità di rilevare l’elettromagnetismo su una scala da 0% a100%». A partire dal 2012 sono state effettuate regolari misurazioni dell’energia “orgonica” nella Valle delle Piramidi Bosniache. E la strumentazione Lm3 ha registrato valori sbalorditivi: l’energia è al 100% nella Piramide del Sole, nella Piramide della Luna, nel Tumulo di Vratnica (una collina artificiale conica), e anche nel Labirinto sotterraneo Ravne (una rete artificiale preistorica di gallerie e camere) e sulla Collina Bell Tower, di forma conica, nel parco “Ravne 2”.
    Nel mondo, i relativi valori di “energia vitale” o “orgonica” (altrove chiamata “ki”, “prana”, “energia punto zero”) variano a seconda dei luoghi, spiega Osmanagich: nelle città inquinate si aggirano intorno al 20-25%, nei villaggi al 50-60% e sulle strutture piramidali (artificiali o naturali) i valori arrivano al 100%. Dunque, concentrazioni “benefiche” molto rivelanti: gli antichi costruttori erano dunque in possesso di conoscenze a noi ignote? «Nel caso dei tunnel delle piramidi bosniache – racconta Osmanagich – abbiamo misurato gli effetti benefici dell’energia che sono dovuti ai seguenti fattori: migliore elettromagnetismo, migliore frequenza ultrasuoni di 28 kHz, risonanza Schuman di 7,83 Hz, alta concentrazione di ioni negativi fino a 50.000 ioni/c3, e assenza di radiazioni cosmiche dannose, di radioattività naturale, di campi Wi-Fi e di segnali di telefonia mobile». Se a tutto ciò sommiamo il 100% di “energia orgonica”, conclude lo scienziato, «possiamo stabilire che i tunnel sono un luogo perfettamente protetto e ricco di energia benefica, dove il nostro organismo riacquista l’equilibrio e dà il via al processo di auto-guarigione».
    Sembra proprio, quindi, che gli antichi artefici delle mastodontiche piramidi – rimaste sepolte per millenni sotto la vegetazione – sapessero individuare i luoghi migliori in cui costruirle, luoghi con potenti emissioni di energia. Le piramidi, continua Osmanagich, «aumentano la quantità di energia emessa dalle fonti naturali esistenti, pertanto sono amplificatori di energia». Altro fatto estremamente positivo: le piramidi di Visoko «amplificano le frequenze energetiche naturali a noi benefiche, così come amplificano, o forse generano, l’energia orgonica». Sembra che la piramide a quattro facce sia la più “adatta” al nostro pianeta: «Questa particolare forma – conclude Osmanagich – migliora la struttura molecolare dell’uomo, della flora, della fauna, dell’acqua, del cibo e degli ambienti, offrendoci sempre una maggiore quantità dell’invisibile ma onnipresente energia vitale».

    Nel 2005 l’antropologo bosniaco Sam Osmanagich, già docente all’università di Houston, ha scoperto le prime piramidi europee: si trovano nei pressi della cittadina di Visoko, in Bosnia-Erzegovina, a due passi da Sarajevo. Osmanagich ha dato inizio agli scavi archeologici, poi condotti dalla fondazione da lui istituita (Archaeological Park: Bosnian Pyramid of the Sun Foundation). Tra il 2008 e il 2014, lo scienziato ha organizzato svariate conferenze sulla ricerca in corso attorno a quelle piramidi: eventi che hanno alimentato le controversie sulla sua scoperta, dividendo la comunità archeologica internazionale. Una scoperta che ha spiazzato i custodi della storia ufficiale: costruite con giganteschi mattoni realizzati in calcestruzzo, le piramidi di Visoko risalgono ad almeno 30.000 anni fa, secondo i rilievi effettuati col radiocarbonio. Affascinanti e misteriose, sottolinea “Scienza e Conoscenza”, le piramidi della Bosnia hanno stregato decine di ricercatori e centinaia di volontari: chi ha visitato il sito parla di un’energia straordinaria che scaturisce da questo luogo particolare. Secondo Osmanagich, si tratta di “energia orgonica”, che provoca sensazioni di acuto benessere e migliora vistosamente lo stato fisico delle persone.

  • Urali, mappa del mondo: chi la incise, 120 milioni d’anni fa?

    Scritto il 17/2/19 • nella Categoria: segnalazioni • (7)

    «Scienziati russi hanno annunciato di aver trovato nella regione degli Urali una grande lastra minerale di origine artificiale che ritengono vecchia di 120 milioni di anni e che riporterebbe una mappa geografica in rilievo della regione». Così il “Corriere della Sera” nell’ormai lontanissimo 2002, raccontando le sconcertanti esternazioni del professor Aleksandr Chuvyrov, della facoltà di chimica dell’Università di Bashkir, nella repubblica russa dei Bashiri. Secondo lo scienziato, la mappa tridimensionale potrebbe essere stata realizzata solo grazie a prospezioni aeree. La lastra «sarebbe solo un frammento di un’enorme mappa di tutta la Terra che, data l’ipotizzata età del manufatto, sconvolgerebbe tutte le conoscenze attuali». Chuvyrov non vuole suggerire un’origine extraterrestre, osserva il “Corriere”, ma definisce «inspiegabile» la mappa. La lastra, alta 148 centimetri e larga 106, è spessa 16 centimetri e pesa una tonnellata e mezza. E’ formata da tre strati sovrapposti di dolomite, diopside e porcellana. È stata rinvenuta nella località di Chandar, negli Urali, già nel 1999 – ma la notizia è trapelata solo tre anni dopo. Secondo il professor Chuvyrov, il manufatto riporta la identificabile geografia antica della regione, più quelle che appaiono come opere di ingegneria con sistemi di canali e dighe. Vi sono inoltre iscrizioni in una lingua geroglifico-sillabica di origine sconosciuta.
    All’inizio, scrive sempre il “Corriere”, gli scenziati russi ritenevano che potesse risalire ad alcune migliaia di anni fa, ma poi sono state ritrovate incastrate negli strati conchiglie fossili che risalgono a un tempo remotissimo: fra i 50 e i 120 milioni di anni fa. «L’età sarebbe confermata anche dalla configurazione dei fiumi e dei canyon come sarebbero stati decine di milioni di anni fa». Sempre secondo i russi, la “mappa” non potrebbe essere stata realizzata a mano, ma verosimilmente «con strumenti di alta precisione e grazie a prospezioni aeree». Dal 2002, a quanto pare, del caso si è cercato di non parlare più: troppo imbarazzante, per l’ambiente accademico mondiale? «Mentre il mondo scientifico si apprestava a voltare immediatamente pagina, dimenticando l’accaduto, una nuvola di polvere sempre più fitta s’addensava sulla rete Internet», scrivono – sette anni dopo – Alessandro Moriccioni e Andrea Somma sul blog “Terra Incognita”. «La guerra tra scettici e credenti non ha portato ovviamente a nulla, se non ad un ispessimento dell’enigmatica vicenda». Tuttavia, lo stranissimo ritrovamento «ha posto leciti interrogativi circa le affermazioni del professore russo». “Mappa del creatore, una bufala mondiale”, si affrettò a concludere Silvio Sosio dalle pagine di “Corriere.fantascienza.com”, attaccando scienziati in errore e giornalisti creduloni.
    Domande comprensibili, ammettono Moriccioni e Somma: perché un professore universitario come Chuvyrov, seppure laureato in chimica, ha commesso un errore madornale affermando che l’uomo di Neanderthal comparve sulla Terra 75.000 anni fa, quando gli stessi archeologi – dubbiosi per convenzione – stimano un’età di 300.000 anni ai fossili più antichi? E ancora: come può Chuvyrov riconoscere tra le pieghe di una lastra di pietra «zone della Russia che certamente 120 milioni di anni fa erano completamente diverse da come appaiono oggi?». Ad ogni modo, obietta “Terra Incognita” nel 2009, lo scettico Sosio «non fornisce alcuna risposta». Gli scienziati russi «sono ormai convinti che la lastra di Chandar sia solo uno dei 348 frammenti che dovrebbero comporre una mappa dell’intero pianeta». Ne consegue che la mappa completa «avrebbe delle dimensioni di circa 340×340 metri». Perché il “creatore” avrebbe utilizzato la nanotecnologia e la sua scienza sconosciuta e avanzatissima per realizzare un’opera di dimensioni mastodontiche e certamente poco funzionale? Perché fabbricare una lastra formata da tre strati eccezionalmente duri e pesanti semplicemente per descrivere la geologia di una zona? Anche ammesso che tutto questo sia possibile – conclude “Terra Incognita” – a che scopo fu realizzata questa enorme carta geografica?
    «Gli studi di Chuvyrov – rilevano Moriccioni e Somma – hanno messo in luce l’accuratezza dei rilievi geografici rappresentati, senza però fornire una spiegazione sull’utilità dell’avere una mappa, un tempo integra, di tali dimensioni. Ma chi potrebbe mai utilizzare un simile manufatto?». In ogni caso, riassume “Terra Incognita”, la scoperta degli Urali «ha messo in seria difficoltà l’intera concezione storica umana, riproponendo alla scienza quegli spettri del passato ai quali ha sempre cercato di sottrarsi». La stranissima lastra «sarebbe la prova incontestabile dell’esistenza di una civiltà venuta molto prima e scomparsa d’improvviso». Se questa dichiarazione fosse confermata «straccerebbe ogni umana certezza riguardo ciò che è stato nel passato». Secondo una leggenda del luogo, un numero imprecisato di lastre – raffiguranti grandi zone della Terra – dovevano trovarsi nel piccolo paese ai piedi dei monti Urali. Quella rinvenuta nel luglio del 1999 è emersa scavando sotto il pavimento del porticato della casa di un ex funzionario dell’amministrazione locale. L’obiettivo iniziale degli archeologi russi? Provare una migrazione cinese verso le zone della Siberia e degli Urali. Per questo, pensarono che le indecifrabili iscrizioni scolpite sulla lastra fossero un antico idioma di origine cinese.
    In passato, infatti – ricorda “Terra Incognita” – in molte zone della Siberia e della Russia sono state in passato rinvenute steli incise in un’antica lingua del Catai, come documentato nel libro di Gavin Menzies “1421: la Cina scopre l’America”. Ma la tesi non ha retto per molto, poiché nessuno degli esperti è riuscito a leggere quei segni. «Si pensa attualmente che si tratti di un linguaggio geroglifico-sillabico di origine sconosciuta». Negli archivi del governo della città di Ufa sono presenti documenti che riportano il ritrovamento, avvenuto nel diciottesimo secolo, di numerose lastre di pietra di aspetto curioso. «Fino al 1998 Chuvyrov era convinto che si trattasse appunto solo di una leggenda», aggiunge “Terra Incognita”, ma poi nel 1999 una lastra venne segnalata a Chuvyrov dall’ex funzionario statale di Chandar. La lastra, pesantissima, venne estratta con la massima cautela e venne ripulita dal terriccio. Gli scienziati poterono a questo punto esaminare il reperto e riconobbero la morfologia della Bashkiria. Chuvyrov afferma che nell’arco di milioni di anni la geografia della zona rappresentata non è poi cambiata molto; infatti gli studiosi russi e cinesi al seguito di Chuvyrov stabilirono che la mappa descriveva i fiumi Belya, Ufimka e Sutolka, oltre a diversi canyon dei monti Urali.
    Tra i segni sconosciuti incisi sulla pietra, di chiara origine artificiale, il professore russo è convinto di averne decifrato uno: a parer suo, indicherebbe la latitudine dell’attuale città di Ufa. Gli studiosi hanno stabilito l’età della lastra prima attraverso l’analisi al radiocarbonio degli strati, quindi per mezzo di due molluschi rinvenuti all’interno dello strato di porcellana con lo scopo di segnalare due punti precisi. Questi molluschi, noti alla scienza come “Navicopsina munitus” e “Ecculiomphalus princeps”, risultano estinti (rispettivamente 500 e 120 milioni di anni fa). «Si è diffusa la convinzione che la lastra sia stata realizzata quando il polo magnetico del globo terrestre si trovava presso la zona della Terra di Francesco Giuseppe nel Mare di Barents». E’ a questo punto che Chuvyrov, grazie al suo sodalizio con una scienziata cinese, ha abbandonato definitivamente l’idea di una possibile origine storico-cinese della mappa. «Ci siamo stupiti incredibilmente, quando abbiamo tirato su questa lastra e abbiamo visto che era praticamente un’iscrizione», ha dichiarato Aleksandr Chuvyrov alla trasmissione “Stargate, linea di confine”: «Era una mappa in tre dimensioni che raffigurava una parte della superficie terrestre».
    Trasferito il manufatto a Ufa, capoluogo regionale, il professore ha costituito un team di specialisti: geologi e geografi, cartografi, filologi, fisici, matematici ed esperti di merci e tecnologia dei materiali. «Da una prima analisi – ha detto Chuvyrov – abbiamo scoperto che questa pietra contiene delle informazioni cartografiche relative alla parte meridionale della catena dei monti Urali». Una mappa “tridimensionale”, dove «sono indicate tutte le montagne e tutti i fiumi nell’aspetto reale che hanno, secondo le misure riportate in scala 1 a 1,1», vale a dire: ogni centimetro equivale a un chilometro e cento metri. Colpisce anche la stratificazione della lastra: prima la dolomite, poi la diopsite e infine la copertura di porcellana, eseguita «dopo che era stato fatto il rilievo, cioè dopo che erano stati fatti i tagli sulla pietra». Lo scienziato russo fa notare che lo strato di diopside è stato fatto «utilizzando la nanotecnologia», data la durezza di quel materiale. Sulla “mappa”, gli studiosi hanno rilevato 12.000 chilometri di canali, larghi 500 metri e profondi 300. «Oggi come oggi – ha ammesso Chuvyrov – non possiamo immaginare con esattezza chi possa aver fatto questo lavoro». La lastra resta l’unica finora rinvenuta, ed è anche l’unico oggetto di quel genere di cui si abbia conoscenza: non ci sono reperti analoghi, al mondo.
    Analizzando a fondo la porcellana, i russi si sono resi conto che si tratta di «un tipo di porcellana sconosciuto», la cui origine è oscura quanto quella delle misteriose iscrizioni che presenta. «Abbiamo notato che nella parte sinistra della carta c’è un modello del sistema solare, e da questo dettaglio – ha aggiunto il professore – possiamo cercare di determinare la data più bassa di quando hanno fatto questa mappa. Possiamo dire perlomeno che la mappa è stata realizzata più di 13.000 anni fa». I dati indiretti, paleontologici – i fossili dei molluschi – costringono invece a retrodatare la lastra di qualcosa come 120 milioni di anni. Ma le conchiglie non potevano essere già presenti sulla lastra all’epoca in cui il misterioso autore della “mappa” la usò per inciderla? Ipotesi esclusa: «Un’analisi molto attenta di questi molluschi ci ha dimostrato che sono stati murati nella mappa quando erano ancora vivi», ha chiarito Chuvyrov. «Per cui, in base a questo dato, possiamo dire qual è l’età della carta». Perfetto: il mistero è servito. Con la conseuta superficialità, i “debunker” del Cicap si erano affrettati a definire “bufala mondiale” la scoperta di Chuvyrov, appigliandosi esclusivamente all’errore (qui irrivelante) sulla datazione del Neanderthal. Lungi, quindi, dal rispondere all’unica domanda che conti, tuttora senza risposta. Ovvero: chi può aver istoriato quella lastra, usando una lingua sconosciuta, 120 milioni di anni fa?

    «Scienziati russi hanno annunciato di aver trovato nella regione degli Urali una grande lastra minerale di origine artificiale che ritengono vecchia di 120 milioni di anni e che riporterebbe una mappa geografica in rilievo della regione». Così il “Corriere della Sera” nell’ormai lontanissimo 2002, raccontando le sconcertanti esternazioni del professor Aleksandr Chuvyrov, della facoltà di chimica dell’Università di Bashkir, nella repubblica russa dei Bashiri. Secondo lo scienziato, la mappa tridimensionale potrebbe essere stata realizzata solo grazie a prospezioni aeree. La lastra «sarebbe solo un frammento di un’enorme mappa di tutta la Terra che, data l’ipotizzata età del manufatto, sconvolgerebbe tutte le conoscenze attuali». Chuvyrov non vuole suggerire un’origine extraterrestre, osserva il “Corriere”, ma definisce «inspiegabile» la mappa. La lastra, alta 148 centimetri e larga 106, è spessa 16 centimetri e pesa una tonnellata e mezza. E’ formata da tre strati sovrapposti di dolomite, diopside e porcellana. È stata rinvenuta nella località di Chandar, negli Urali, già nel 1999 – ma la notizia è trapelata solo tre anni dopo. Secondo il professor Chuvyrov, il manufatto riporta la identificabile geografia antica della regione, più quelle che appaiono come opere di ingegneria con sistemi di canali e dighe. Vi sono inoltre iscrizioni in una lingua geroglifico-sillabica di origine sconosciuta.

  • Gas, l’Eni sfratta il Belgio dal Venezuela: perciò ci odiano

    Scritto il 16/2/19 • nella Categoria: segnalazioni • (5)

    Non so se qualcun altro l’ha già scritto. La ragione del rabbioso attacco di Verhofstadt a Conte sta esattamente nelle sue parole dal minuto 0:34 al minuto 1:04 qui, ed è un embolo di gas Lng, piuttosto raro fra gli umani, ma non fra quelli come lui. Roba da tanti, ma tanti soldi. Al belga sono rimasti piantati a metà trachea il Venezuela e Putin, e soprattutto la mite posizione italiana su di essi. Per questo ci odia, e, ancor più di lui, ci odia la Exmar, che come avrete di certo letto sui giornali è la corporation navale belga che gli paga le parcelle mentre ’sto lobbista siede a fare il parlamentare europeo. Una storia multimiliardaria di Lng (gas naturale liquefatto), le cui maggiori comparse sono: un incontro dell’ottobre 2017 fra Putin e l’iraniano colosso petrolifero Nioc; un contratto andato in malora l’anno precedente fra la Exmar e la canadese Pacific Exploration & Production Corporation in Colombia; la Carribean Flng, che è la mega-chiatta per la lavorazione e il trasporto del Lng strapagata dalla Exmar, che oltretutto se la fece recapitare dalla Cina con l’ambizione di farci una montagna di soldi, ma rimasta piantata ad arrugginirsi per via dei sopraccitato contratto andato a vuoto e anche di un secondo contratto andato a puttane, poi graziata all’ultimo dall’odierno arcinemico latino americano del Venezuela, cioè il presidente argentino Macri; l’Eni che si lavora il Lng di Maduro mentre i belgi della Exmar schiumano alla bocca per vederlo morto.
    Il Belgio è un paese di sfigati, che dopo aver ammazzato 11 milioni di congolesi, per rimanere poi a mani vuote, circa 130 anni fa (il cobalto e il coltan, che oggi nell’It e nella Smart Tv-Smart Phones Industry valgono più dei diamanti, se li sono presi i Kabila, l’americana Glencore e gli israeliani), si sono distinti di recente per aver avvelenato i maiali di tutt’Europa con la diossina, e poi sono rimasti sfigati. Possono vantare solo quella cloaca di politica autocratica e infestata di lobbies che è Bruxelles, ma mica tanto altro. La loro Exmar è dal 1981 che si è fatta un nome nel mondo per i servizi di trasporto navale e di rigassificazione soprattutto di gas naturale, che viene trasformato in Lng. Ne vanno fieri, e che ci sia un paese in Ue che non solo gli piscia in testa sugli idrocarburi con l’Eni, ma che è pure ‘amico’ di due giganti odiosi per la Exmar nel business Lng come Russia e Venezuela, be’, questo per Verhofstadt e per le ambizioni smisurate di chi ce l’ha a busta paga, la Exmar appunto, è stato troppo. Fra poche righe capirete il perché. Tutto il resto della sua sparata su Italia vs Ue, immigrazione, gran valori di Spinelli, Ciampi e Bonino, la recessione, i populismi, sono stati pretesti. Contano i soldi, follow the money, eh?
    Un po’ di background in breve. Dunque, nel luglio 2017 i padroni di ’sto Verhofstadt, la Exmar, si fa recapitare dall’altra parte del pianeta questa mega-chiatta chiamata Carribean Flng che avevano costruito a costi stratosferici nella speranza di concludere un accordo multi-milionario con l’Iran. Ma nel novembre successivo la Gazprom di Putin arriva a Tehran, incontra la Nioc (la regina degli idrocarburi iraniana) e di colpo tutto per la Exmar va storto. L’Iran, si disse allora, avrebbe usato altri vascelli per il Lng, quelli norvegesi, e gli oleodotti russi dell’amico Vladimir. Questo aprì ulcere gastriche in Belgio dove ci passava un pallone da calcio, soprattutto perché era la seconda volta che la super-chiatta della Exmar veniva cestinata con milioni di dollari di perdite: era successo nel 2016 nel sopraccitato flop in Colombia in associazione con la fallita canadese Pacific Exploration & Production Corporation. I padroni di Verhofstadt ora hanno buchi contabili che si vedono dalla Luna con ’sta mega-chiatta Carribean Flng piantata sul gozzo mentre altri si stanno spartendo l’immane mercato del gas Lng.
    Putin è il target N.1 dell’odio della Exmar, e non solo per la faccenda dell’Iran del 2017, ma anche perché in tutto l’affare Nord Stream 2 (il super-gasdotto dalla Russia alla Germania) le mega-chiatte della Exmar e tutti i suoi servizi aggiunti per il trasporto del gas Lng sono ovviamente tagliati fuori. La corporation belga e il suo scagnozzo lobbista Verhofstadt sono impotenti contro Mosca in Ue. Per ovvi motivi, “l’amico del tuo nemico è il tuo nemico”, cioè tradotto: l’Italia di Salvini che è di casa in Russia diventa oggetto d’odio alla Exmar-Verhofstadt. Ma non solo. C’è il Venezuela. Caracas, come si sa, è un colosso di idrocarburi, ora ingabbiato dalle sanzioni Obama-Trump, ma lo stesso una miniera d’infinite ricchezze anche di gas Lng. Infatti si sappia che, sorprendentemente, uno del 10 maggiori esportatori al mondo di Lng è Trinidad & Tobago nei Caraibi, ma la sua vera fonte è la compagnia petrolifera di Stato di Caracas, la Pdvsa. A Bruxelles gli ulcerati della Exmar stanno solo a guardare tutto quel ben di Dio in mano al “socialista” Maduro, a cui loro non hanno significativi accessi, mentre l’Eni sì, eccome. ‘Sti italiani, di nuovo in mezzo alle palle, eh? Allora che si fa?
    Be’, com’è noto, nell’America Latina esiste oggi un gruppo di nazioni totalmente baciapile di Washington che si chiama il Gruppo di Lima, e chi le capeggia? L’Argentina del presidente Macri. E allora, si dicono gli ulcerati della Exmar a Bruxelles, dove la piazziamo ’sta emorragia di milioni di dollari che si chiama super-chiatta Carribean Flng? Eh, da un signor nessuno mondiale del gas Lng, cioè proprio da Macri, ma la rinominiamo Tango Flng, giusto per smussare un po’ le figurette di cacca del passato. E giù a ingoiare magoni, loro e il loro servetto Verhofstadt. Insomma, quello che doveva essere per i padroni di Verhofstadt l’inizio di un business multi-milionario nel 2016, finisce a far da carretta per il mediocre business dell’Lng in Argentina, mentre è proprio l’Italia che ostacola l’appoggio dell’infame Ue al golpe americano in Venezuela che avrebbe aperto ogni singolo rubinetto di petrolio e gas Lng agli Usa e ai Verhofstadt-Exmar-Bruxelles per mano del cagnolino di Washington, Juan Guaidò. Poi Salvini che strizza l’occhio a Putin, quello dei due mega-calci in culo alla Exmar e al suo prezzolato Verhofstadt… dai, le ulcere di sti belgi non hanno retto. Non so se serve sapere altro. Non credo. Ora sapete che significava il bau-bau di ’sto cane da guinzaglio. Poi, lo ribadisco, Conte non Conta in effetti una mazza, ma con ’sta storia i burattini non c’entrano proprio per nulla.
    (Paolo Barnard, “A Verhofstadt è partito l’embolo di Lng, il ‘burattino’ Conte non c’entra”, dal blog di Barnard del 15 febbraio 2019).

    Non so se qualcun altro l’ha già scritto. La ragione del rabbioso attacco di Verhofstadt a Conte sta esattamente nelle sue parole dal minuto 0:34 al minuto 1:04 qui, ed è un embolo di gas Lng, piuttosto raro fra gli umani, ma non fra quelli come lui. Roba da tanti, ma tanti soldi. Al belga sono rimasti piantati a metà trachea il Venezuela e Putin, e soprattutto la mite posizione italiana su di essi. Per questo ci odia, e, ancor più di lui, ci odia la Exmar, che come avrete di certo letto sui giornali è la corporation navale belga che gli paga le parcelle mentre ’sto lobbista siede a fare il parlamentare europeo. Una storia multimiliardaria di Lng (gas naturale liquefatto), le cui maggiori comparse sono: un incontro dell’ottobre 2017 fra Putin e l’iraniano colosso petrolifero Nioc; un contratto andato in malora l’anno precedente fra la Exmar e la canadese Pacific Exploration & Production Corporation in Colombia; la Carribean Flng, che è la mega-chiatta per la lavorazione e il trasporto del Lng strapagata dalla Exmar, che oltretutto se la fece recapitare dalla Cina con l’ambizione di farci una montagna di soldi, ma rimasta piantata ad arrugginirsi per via dei sopraccitato contratto andato a vuoto e anche di un secondo contratto andato a puttane, poi graziata all’ultimo dall’odierno arcinemico latino americano del Venezuela, cioè il presidente argentino Macri; l’Eni che si lavora il Lng di Maduro mentre i belgi della Exmar schiumano alla bocca per vederlo morto.

  • Apocalisse maltempo: qualcuno sta bombardando l’Italia?

    Scritto il 03/11/18 • nella Categoria: segnalazioni • (44)

    Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza di spiegazioni ufficiali definitive ed esaurienti. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.
    Un silenzio tombale è calato sulle rivoluzionarie scoperte del fisico Nikola Tesla, all’epoca emarginato dalla comunità scientifica, mentre l’ingegnere bresciano Rolando Pelizza ha raccontato a due docenti universitari, Francesco Alessandrini e Roberta Rio, che il geniale Ettore Majorana (ufficialmente scomparso nel 1938 ma in reatà nascosto in Calabria fino al 2005) progettò una “macchina” capace di mutare il clima all’istante. «Dello sviluppo di questa “macchina”, costruita in 50 esemplari su istruzioni dello stesso Majorana – dice ancora Pelizza – fu incaricato direttamente il governo italiano tramite Giulio Andreotti, che poi passò il dossier alla Cia». Un altro italiano, l’imolese Pier Luigi Ighina – assai meno celebre di Majorana, ma notissimo agli appassionati – riprodusse anche per le telecamere di “Report”, su Rai Tre, il suo straordinario esperimento, condotto con mezzi artigianali: Ighina era in grado di far piovere, creando nuvole nel cielo sereno (o a scelta, di far spuntare il sole tra i nuvoloni) semplicemente azionado, da terra, le pale di una sorta di ventilatore gigante, cosparse di alluminio. Il trucco? Cambiare la consistenza elettromagnetica della bassa atmosfera, immettendo vortici di onde.
    «La manipolazione climatica è realtà», sostiene il sito “Dionidream”, citando estati torride e mezze stagioni scosse da nubifragi e alluvioni di inaudita violenza, come quelli che hanno messo in ginocchio varie aree della Pensiola, a cominciare dal Veneto, dove le trombe d’aria hanno divelto decine di migliaia di alberi, devastando storiche foreste alpine. Fuori dall’Italia, il fenomeno della manipolazione climatica non è esattamente una novità: «Festa in cielo, vietata la pioggia», titolò il Tgcom24 di Mediaset il 23 marzo 2009, parlando di «aerei in cielo per disperdere le nubi» in occasione del settantesimo anniversario della “repubblica popolare” fondata da Mao. «Per impedire che la pioggia rovini i grandiosi festeggiamenti in programma, si ricorrerà a una tecnica senza precedenti», raccontò il telegiornale: «L’aviazione impiegherà 18 apparecchi che disperderanno nell’atmosfera prodotti chimici per impedire che dal cielo sopra Pechino cada la pioggia». Nello stesso anno, a novembre, sempre la Cina s’imbiancò fuori stagione, come raccontò “La Repubblica”: «Una nevicata precoce ha coperto con un’abbondante coltre bianca Pechino. Il tutto ha però ha avuto un aiutino dell’Ufficio Modificazione del Tempo della capitale cinese».
    I tecnici, riferì tranquillamente l’agenzia “Xinhua”, «hanno riversato in cielo con degli aerei 186 dosi di ioduro d’argento, per approfittare delle nuvole e del brusco calo della temperatura». Questo, scrisse “Repubblica”, «ha generato la nevicata», il cui scopo era «alleviare la persistente siccità». Ammise Zhang Qiang, responsabile dell’ufficio meteorologico: «Non ci facciamo sfuggire occasione per provocare precipitazioni, da quando Pechino registra una persistente condizione di siccità». Due anni dopo, nel 2011, l’allora presidente iraniano Mahmud Ahmedinejad accusò l’Occidente di aver provocato una gravissima siccità per mettere in crisi l’economia agricola del paese. «Secondo rapporti sul clima, accuratamente verificati, le potenze occidentali forzano le nuvole fino a far piovere», dichiarò Ahmedinejad, come confermato dal “Giornale”. «I nostri nemici distruggono le nuvole prima che arrivino sul nostro paese». Ancora la Cina, già nel 2011, è tornata protagonista sul tema, annunciando un investimento da 120 milioni di euro per riuscire, entro il 2015, a far aumentare del 10% le precipitazioni nelle zone più aride.
    «Un primo esperimento in tal senso era stato già condotto nel febbraio 2009, quando diverse regioni erano state irrorate da una pioggerellina leggera, generata da agenti chimici sparati nell’atmosfera con 2.392 razzi e 409 cannoni, in grado di creare nuvole cariche di pioggia», scrove il sito “Greenews”. «Le nuvole ‘adatte’ alle precipitazioni vengono ‘seminate’ con ioduro d’argento, un agente chimico che favorisce l’aggregazione delle molecole d’acqua per creare grandi gocce abbastanza pesanti da cadere al suolo». La tecnologia in realtà non è nuova, aggiunge “Greenews”: i primi esperimenti risalgono alla Guerra Fredda. «Durante la guerra del Vietnam, gli Stati Uniti lanciarono l’Operazione Popeye per cercare di intensificare i monsoni sul Sentiero di Ho Chi Minh, la rete di strade che andavano dal Vietnam del Nord al Vietnam del Sud passando per Laos e Cambogia, usate dai Vietcong e dai loro sostenitori. Nel 1978, però, gli esperimenti per far piovere artificialmente negli Usa furono interrotti, in seguito a una grave inondazione causata dal bombardamento chimico delle nubi». Dal Sud-Est Asiatico al Medio Oriente: «Israele “stimola” le nuvole dal 1961 e riesce così a rendere fertili e rigogliose terre di per sé aride».
    «Nel mondo ci sono diversi esperimenti in corso di questo tipo, ma siamo lontani dal poter dire di essere in grado di controllare la pioggia», disse nel 2012 a “Greenews” uno specialista come Sandro Fuzzi, climatologo del Cnr di Bologna, al quale allora sembrava remoto il rischio di gravi effetti collaterali, dato che gli interventi si svolgevano «su scala ridotta, al massimo di qualche decina di chilometri», mentre i fenomeni più distruttivi, come le alluvioni, «riguardano fronti di centinaia e anche migliaia di chilometri». L’ultima frontiera, aggiunge ancora “Greenews”, consiste nel bombardare le nuvole dal basso con dei laser: esperimento condotto nel 2010 in laboratorio e poi «replicato a Berlino da un gruppo di ricercatori dell’università di Ginevra e pubblicato sulla rivista “Nature Photonics”». Con un laser di grande potenza, una specie di “cannone energetico”, i ricercatori hanno colpito ed “eccitato” le molecole di gas presenti nell’aria. «Il risultato è stata la formazione di nuclei di condensazione attorno ai quali si sono create piccole gocce di acqua». Secondo il blog “Shivio news”, già nel 2012 erano oltre 20 i paesi impegnati nella sperimentazione di nuove tecniche per provocare precipitazioni.
    In vetta classifica primeggiano i soliti cinesi: Pechino, letteralmente, «impiega nel “rainmaking” oltre 37.000 addetti, fra tecnici e ricercatori», mentre «una trentina di aerei, 4.000 rampe per razzi e 7.000 cannoni vengono usati per sparare in cielo nuclei di sostanze intorno alle quali stimolare processi di condensazione di gocce d’acqua o cristalli di ghiaccio». Negli Stati Uniti, gli aerei «gettano nelle nuvole ghiaccio secco e ioduro d’argento». In Sudafrica si usa invece il cloruro di potassio: «I sali vengono diffusi da aerei che volano sotto le nubi in formazione, e servono ad aumentare il numero e la misura delle gocce». Anche il Messico, aggiunge “Shivio”, sta sperimentando la tecnica sudafricana, che «sembra che sia in grado di aumentare di un terzo il volume delle precipitazioni». Qualcuno poi ricorderà la primissima performance, in assoluto, della geoingegneria più spettacolare: il 9 maggio del lontano 2007, in occasione della fastosa celebrazione dell’anniversario della vittoria dell’Urss nella Seconda Guerra Mondiale, il Tg1 riprese lo spettacolo del sole riapparso “miracolosamente” tra le nubi nerissime del cielo di Mosca, grazie a una portentosa miscela a base di azoto, iodio e argento diffusa dagli aerei.
    Dall’uso civile a quello militare, il passo è breve: «Almeno quattro paesi – Stati Uniti, Russia, Cina e Israele – dispongono delle tecnologie e dell’organizzazione necessaria a modificare regolarmente il meteo e gli eventi geologici per varie operazioni militari ufficiali e segrete, legate a obiettivi secondari, tra cui il controllo demografico, energetico e la gestione delle risorse agricole». Lo disse già nel 2012 l’esperto aerospaziale Matt Andersson, allora in forza alla compagnia hi-tech Booz Allen Hamilton di Chicago. In un’intervista al “Guardian”, Hamilton ha ammesso: il nuovo tipo di guerra non convenzionale «comprende la capacità tecnologica di indurre, spingere o dirigere eventi ciclonici, terremoti e inondazioni, includendo anche l’impiego di agenti virali per mezzo di aerosol polimerizzati e particelle radioattive, trasportate attraverso il sistema climatico globale». Lo stesso Hamilton ha citato una think-tank della galassia neocon, il Bpc (Bipartisan Policy Center, con sede a Washington) e il suo rapporto nel quale chiede agli Usa e agli alleati di accelerare la sperimentazione su larga scala del cambiamento climatico.
    Secondo il “Guardian”, il gruppo è finanziato da «grandi compagnie petrolifere, farmaceutiche e biotecnologiche», e rappresenta «gli interessi corporativi del mondo militare e scientifico statunitense». Il newsmagazine “Sputnik News”, citando il canadese Chossudovsky, osserva: la geoingegneria ha omai prodotto «sofisticate armi elettromagnetiche». E anche se la cosa non è ammessa ufficialmente, men che meno a livello scientifico, le capacità di manipolare il clima (anche per scopi militari) sono in stato avanzatissimo. La storia di questa disciplina risale addirittura al 1940, quando il matematico americano John Von Newman, al Pentagono, iniziò la sua ricerca per la modifica del clima. Obiettivo: alterare i modelli meteorologici. Una tecnologia sviluppata negli anni ‘90 secondo il programma di ricerca della cosiddetta “alta frequenza aurorale attiva” (Haarp, High Frequency Active Auroral Research Program), come appendice di una iniziativa strategica di difesa, le “Guerre stellari”. Il programma Haarp, installato in Alaska e poi bloccato, sarebbe stato parte di una strategia tuttora attiva: le brusche modifiche del clima possono «estendersi, avviando inondazioni, uragani, siccità e terremoti».
    Ammissioni ufficiali? Impensabili. Meglio lasciare che certe voci circolino in modo incontrollato (bufale comprese), per poi liquidare il tutto sotto la voce “teoria del complotto”. «E’ naturale che su un tema come il cambiamento climatico la Cia collaborerebbe con gli scienziati per meglio comprendere il fenomeno e le sue implicazioni sulla sicurezza nazionale», ha detto un portavoce dell’intelligence Usa, dopo la diffusione della notizia, da parte del sito legato al periodico statunitense “Mother Jones”, secondo cui proprio la Cia starebbe aiutando con ingenti finanziamenti la Nas, National Academy of Sciences, impegnata in uno studio sull’applicazione della geoingegneria per manipolare il clima. Su “Meteoweb”, Filomena Fotia spiega che “Mother Jones” descrive lo studio come un’inchiesta riguardante «un numero limitato di tecniche di geoingegneria, inclusi esempi di tecniche di gestione delle radiazioni solari (Srm, Solar Radiation Management e rimozione dell’anidride carbonica (Cdr, Carbon Dioxide Removal). Geoingegneria “buona”, per proteggerci dall’attività solare divenuta pericolosa per la Terra?
    «La manipolazione meteorologica – aggiunge Fotia – è stata riportata in auge da molti commentatori statunitensi in occasione dei devastanti tornado in Oklahoma, o di altri eventi estremi come l’uragano Sandy, che sarebbero stati “generati dal governo” usando la base dell’Haarp in Alaska». Ma, appunto: il tema si presta a speculazioni incontrollate, vista la mancanza di riscontri esaurienti da parte delle autorità, sempre estremamente laconiche, come quelle interpellate nel 2014 da Alessandro Scarpa, allora consigliere comunale di Venezia. “Grandinata anomala e scie chimiche, il maltempo si tinge di mistero”, titolò il 24 settembre il “Gazzettino”, storico quotidiano veneziano, dopo «una grandinata fuori dal normale», sotto un cielo «carico di nubi come mai si era visto». E lassù, «quelle scie bianche nel cielo terso il giorno dopo». Sono bastati questi due fenomeni, scriveva il “Gazzettino” quattro anni fa, a ridestare un quesito: e se questo maltempo eccezionale non fosse il risultato delle bizze atmosferiche, ma di qualcosa di “chimico”?
    In redazione arrivò una lettera allarmatissima: grondaie intasate da “noci” di ghiaccio persistenti ed enormi: «Come mai questo ghiaccio non si è sciolto? Sembrerebbe di formazione chimica, da laboratorio, e non naturale». Per Alessandro Scarpa, vale la pena di esaminarli, certi fenomeni, «se non altro per capire di cosa si tratta» Ad esempio, «le strane scie chimiche che si vedono nei nostri cieli». Molte le segnalazioni pervenuite al Consiglio comunale, «da parte di cittadini veneziani, preoccupati, che chiedono spiegazioni». Scarpa si è rivolto inutilmente all’Enav, l’ente nazionale di assistenza al volo, che gestisce il controllo del traffico degli aerei civili. Nessun lume neppure dal ministero dell’ambiente di Roma: risposte evasive o bocche cucite. «È quindi opportuno – sottolinea Scarpa – preoccuparsi seriamente per noi e per i nostri figli». E aggiunge, rivolto ai giornalisti disattenti: «Questa mattina, quando il cielo era limpidissimo, si sono viste una quindicina di linee nel cielo veneziano». Quattro anni dopo, la situazione è gravemente peggiorata: non c’è più una giornata serena senza che il cielo non sia “sporcato” dalle scie, di ora in ora, mentre l’Italia sta diventando il bersaglio di violentissime tempeste di tipo tropicale, come quella che ora ha messo in ginocchio il Nord-Est.
    Lo scorso anno, a gennaio, il colonnello Mario Giuliacci – affabile volto televisivo – sul suo sito ha tentato di sgombrare il campo da ogni illazione, presentando testualmente un comunicato ufficiale dell’aeronautica militare. La spiegazione dei militari è ineccepibile, riguardo alla vistosa presenza di molte delle scie: «Le nuove generazioni di motori che equipaggiano i moderni aeroplani a reazione, per avere un miglior rendimento termodinamico dato dalla differenza di temperatura tra la camera di combustione e l’ambiente esterno, impiegano miscele di acqua e carburante la cui combustione genera le enormi quantità di vapore acqueo che sono all’origine delle scie». Secondo i militari, dunque, sono aumentate in modo esponenziale le scie di condensazione, in gergo “contrails”, destinate poi a scomparire nell’atmosfera. «Per le caratteristiche termodinamiche dei motori, per le quote di volo e per la localizzazione – aggiunge l’aeronautica – la quasi totalità delle scie che si osservano in cielo sono prodotte dai jet di linea degli operatori commerciali. La loro durata è variabile da pochi istanti a minuti e talvolta a ore, in dipendenza dell’umidità, delle temperature e in genere delle condizioni termodinamiche dell’aria circostante».
    Poi la chiosa: «Per quanto ci compete, l’Aeronautica Militare non possiede aeromobili che generano o emettono scie differenti da quelle prodotte a causa della condensazione di vapore acqueo». Il che – alla lettera – non significa escludere la presenza di altre scie, di ben diversa natura, emesse da velivoli estranei all’aeronautica militare italiana: le famigerate “chemtrails”, appunto. Tra le pagine del blog “Su la testa”, il giornalista investigativo Gianni Lannes (vittima di minacce e attentati per le sue indagini scomode, specie quelle sulla mafia dei rifiuti) sostiene che si è ormai clamorosamente violata la “Convenzione sul divieto dell’uso di tecniche di modifica dell’ambiente”, a fini militari o ad ogni altro scopo ostile, nota anche come Convenzione Enmod: «E’ il trattato internazionale che proibisce l’uso delle tecniche di modifica dell’ambiente». Firmata il 18 maggio 1977 a Ginevra, è entrata in vigore il 5 ottobre 1978, approvata anche dall’Onu. Gli Stati firmatari sono 48, inclusi gli Usa, di cui 16 non hanno ancora ratificato il trattato. In totale, i paesi che vi hanno aderito sono 76. «L’Italia ha firmato la Convenzione a Ginevra il 18 maggio 1977 e l’ha ratificata con la legge numero 962 del 29 novembre 1980, grazie al presidente della Repubblica Sandro Pertini e all’approvazione quasi all’unanimità del Parlamento».
    Secondo Lannes, questa verità viene regolarmente “oscurata” perché illegale, oltre che aberrante. Ma l’Italia, sostiene Lannes, ha concesso i propri cieli durante l’infelice G8 di Genova del 2001, quando Berlusconi firmò un trattato segreto, con Bush, che trasformava il nostro paese in un’area-test per l’irrorazione dell’atmosfera. Dal 2003, l’operazione è scattata. E nessuno ne parla: è top secret. Si chiama “Clear Skies Initiative”. Lannes attinge direttamente a fonti della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato: le pagine istituzionali americane ammettono apertamente che il 19 luglio 2011, a Genova, Bush e Berlusconi impegnarono i loro paesi in un programma di ricerca sul cambiamento climatico e sullo sviluppo di “tecnologie a bassa emissione”. Operazione poi approvata il 22 gennaio 2002 dal ministero italiano dell’ambiente e dal Dipartimento di Stato Usa. Dunque, scrive Lannes nel blog “Su la testa”, cambiamenti climatici indotti e “collaborazione” (si fa per dire) tra Stati Uniti e Italia, con quest’ultima a fare da cavia. «Dalla documentazione delle autorità nordamericane emerge che in questa vasta operazione gestita in prima battuta dal Pentagono, dalla Nasa e dalla Nato, sono coinvolte addirittura le industrie e le multinazionali più inquinanti al mondo: Exxon Mobil, Bp Amoco, Shell, Eni, Solvay, Fiat, Enel».
    Tutti insieme appassionatamente, secondo il giornalista, compreso il settore scientifico: università italo-americane, Enea, Cnr, Ingv, Arpa e così via. «Insomma, controllori e controllati. L’Enac addirittura ha partecipato ad un test “chemtrails” in Italia insieme a Ibm, ministero della difesa, stato maggiore dell’aeronautica e ovviamente Nato». Mancano, sempre, le conferme ufficiali. In compenso si scatenato i “debunker” come Paolo Attivissimo: “Scie chimiche, aria fritta con contorno di bufala e grana”. Dopo il disastro aereo del volo Germanwings del 2015, schiantatosi sulle Alpi francesi, anche il “Giornale” si sbizzarrisce: “Airbus, dalle scie chimiche alle ’strane scritte’: complottisti scatenati”. Nel frattempo Enrico Gianini, ex addetto aeroportuale di Malpensa, racconta a “Border Nights”: una volta a terra, gli aerei delle compagnie low-cost perdono liquido inquinato da metalli pesanti, e non lasciano più caricare i bagagli nelle stive di coda, come se fossero ingombre di serbatoi clandestini. «Se mi denunciano, chiederò al tribunale di “smontare” uno di quegli aerei: così scopriranno finalmente cosa trasporta». Ma la notizia resta negli scantinati del web, mentre il finimondo rade al suolo il Veneto e la Cina stipendia i suoi “rainmaker”.

    Siamo stati deliberatamente “bombardati” da nubifragi devastanti, scatenati da perturbazioni artificiali? «Il prossimo che riparla di scie chimiche andrà sottoposto a un Tso», disse a mo’ di battuta Matteo Renzi, scoraggiando ulteriori interrogazioni parlamentari, sul fenomeno, da parte di esponenti del Pd. Oggi però, con il Nord-Est raso al suolo da eventi mai visti a memoria d’uomo, c’è chi torna sul tema in modo più che esplicito: «Bombardamento climatico sull’Italia, un avvertimento al governo?», si domanda il blog “Disquisendo”, secondo cui «nei giorni precedenti al disastro, ci sono state fortissime operazioni di aviodispersione a bassa quota». Tutti hanno visto il cielo sereno “rannuvolarsi”, dopo l’emissione di una rete fittissima di migliaia di scie bianche rilasciate dagli aerei di linea. Follia? Complottismo da strapazzo? L’unica vera certezza è la storica carenza (in Italia, non all’estero) di spiegazioni ufficiali, definitive ed esaurienti, sulla manipolazione del clima. Si accumulano invece informazioni parziali, da fonti indipendenti, riguardo al presunto impiego clandestino della geoingegneria, inaugurata da Israele per far piovere sul deserto del Negev. La stessa Cia, oggi, ammette che sono in corso vaste sperimentazioni. Nel saggio “Owning the wheather” (possedere il clima), l’economista canadese Michael Chossudowsky svela che la “guerra climatica” è ormai una realtà.

  • Salvini con Bannon e Orban? Big Business resusciterà il Pd

    Scritto il 28/9/18 • nella Categoria: idee • (6)

    Il capitalismo che abbiamo sempre conosciuto, quello che viveva su un’umanità composta da un 20% di benestanti consumatori e da un 80% di schiavi che producono per loro, non esiste quasi più. E non solo. Quell’80% di schiavi si sono evoluti, e hanno cambiato nome: da poveracci neri, marron, o gialli, adesso si chiamano mercati emergenti. E non solo. Mentre prima le loro economie, al netto delle loro materie prime, valevano solo il prezzo delle loro schiene rotte dal lavoro, oggi valgono cifre inimmaginabili. Ecco un quadro. Solamente Cina e India producono insieme 33.000 miliardi di dollari di beni e servizi, contro la rallentata Ue con 21.000 miliardi e gli Usa con 19.500. I sette mercati emergenti principali, cioè Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia, hanno quasi raddoppiato il loro potere economico, mentre al contrario i paesi del G7 stanno calando vistosamente nelle percentuali di Pil globale. Secondo uno studio della nota consultancy PwC Uk, nelle prime 32 economie dei prossimi quindici anni ben 20 saranno mercati emergenti, con Cina e India che sorpassano gli Usa, e l’Italia fanalino di coda umiliata persino da Vietnam, Filippine, Corea del Sud, Iran e Pakistan.
    Oltretutto, è già stato ampiamente previsto che proprio l’odierna crisi degli “emergenti” già cova in sé l’usuale rimbalzo sia speculativo che in termini di produzione, con profitti cosmici per gli investitori. Il punto: gli uomini con le scarpe da 5.000 dollari che stanno a Manhattan, Hong Kong, Davos o a Francoforte sanno fare i loro conti coi soldi, e oggi, al contrario di solo pochi anni fa, non si possono più permettere di ‘offendere’ quelli neri, marron o gialli. L’accusa, o anche solamente il sospetto, di simpatie o contiguità con la parola razzismo è fra le ultime cose che vogliono al mondo. Basta un titolo sul “Wall Street Journal” che insinui quella vicinanza e loro ci smenano miliardi in pochi minuti. No, non deve succedere. L’implacabile sobillare del padano nella direzione dell’ipertrofico allarme migranti ha appiccicato a questo governo una colossale etichetta di razzismo-xenofobia populista agli occhi di tutto il mondo, e ora non ce la leva più nessuno. Unite i puntini e starete capendo cosa accadrà.
    L’Italia è un paese ancora ricco, con un notevolissimo bottino in assets privati, che ispira grandi appetiti fra gli investitori internazionali. Si pensi solo che Assogestioni, che ha il polso del risparmio delle famiglie italiane, ha registrato a metà 2016 il suo record storico di patrimonio con 1.857 miliardi, più dell’intero Pil nazionale. E’ quindi ovvio che i mercati non rinunceranno a operare in Italia. Ma fosse stato solo per gli sbraiti nazionali a tinteggiature razziste populiste di Matteo Salvini, e delle sue folle nelle piazze o sui social, è anche possibile pensare che gli investitori internazionali avrebbero solo esercitato prudenza, con Roma. In altre parole: far affari, ma con un basso profilo. Invece, come detto, tutto è cambiato per il peggio e senza rimedio dopo che Salvini si è associato inequivocabilmente, platealmente e sbracando del tutto con Steve Bannon e Viktor Orban. Un atto politico irresponsabile per il paese.
    I mercati pianificano il loro futuro in politica non a 8 stupidi mesi (le europee) come fa l’esaltato fan-club leghista, ma a 10 o 30 anni. Ora gli investitori internazionali, dopo l’irrimediabile svolta di cui sopra e, ricordo ancora, con ¾ di occhio puntato a tenersi buoni i mercati emergenti dei ‘neri, marron e gialli’, stanno scegliendo l’unico loro possibile interlocutore rimastogli in Italia, quello che non rischia di finire sul “Wall Steet Journal” o su “Bloomberg” come razzista populista: il centrosinistra, che peraltro fu sempre il loro favorito. Il Movimento 5 Stelle è per il momento fuori dai loro radar, perché incatenato (e sottomesso risibilmente) alla Lega. A cosa credete che stiano lavorando in quest’epoca i Romano Prodi, Mario Monti, Corrado Passera o i Giovanni Bazoli, e naturalmente Mattarella e Draghi con la loro enorme rete di contatti in finanza e nelle Powerhouse del mondo? Per essere ancor più chiari: Big Business non potrà sposarsi con un trionfo a breve termine (2019) dei razzisti Bannon, Orban, Salvini e codazzo in Ue. Starà calmo in superficie, mentre finanzierà sia la rapida caduta dei populisti che il ritorno dei soliti noti. Ancora dettagli.
    La storia delle spinte ai partiti da parte della lobbistica e dei mercati, con finanziamenti, appoggi trasversali, lavori di persuasione mediatica, scolastica, accademica, e in particolare di terrorismo economico sugli elettori, l’ho lungamente descritta nella parte storica de “Il Più Grande Crimine”. Ne sarà beneficiario nei prossimi 5-10 anni il centrosinistra, e tornerà a vincere. Basterebbero a questo fine anche solo le aste dei titoli con cui si finanzia il nostro Tesoro, perché sono loro a decidere chi governa o meno, e dunque se tu avrai una vita decente o invece una lunga miseria di fatiche. Quelle aste, di nuovo, le hanno totalmente in mano gli investitori internazionali di cui sopra, perché l’Italia, anche con Salvini e i suoi economisti in malafede, è incastonata nell’Eurozona senza che nessuno seriamente intenda togliervela. E’ desolante nella sua stupidità l’elettorato gradasso tinto di verde nella sua convinzione che nessuno più fermerà il populismo. Balle, loro stessi (e per primi) si squaglieranno al sole quando gli stolti populismi europei mancheranno miseramente di ‘consegnargli il concreto’ nei portafogli.
    Avete presente i proverbiali topi che saltano dalla nave? Saranno nulla in confronto. Sappiamo bene di cosa è capace l’italiano medio nel suo genio supremo, il trasformismo. Ho descritto quella che sarà una catastrofe a tutto tondo, e per essa dovrete solo ringraziare Matteo Salvini nella sua smisurata e miope ambizione a divenire leader dei populismi dell’Ue assieme a due appestati di fama mondiale, in quella che sarà una slabbrata avventuretta europea di pochi anni destinata agli sberleffi della storia. Ma non è tutto. Ci sono i Faang. Sono ahimè pochissimi gli italiani che assieme a me si stanno rendendo conto che qualcosa di ancor più inaudito sta avvenendo alle spalle delle già epocali manovre post-capitalismo sopra descritte. Please welcome i Faang, cioè la dilagante conquista di ogni frammento di globo da parte delle tecnologie di Facebook (F), Apple (A), Amazon (A), Netflix (N), e Google (G) – ma non ci si dimentichi di Alibaba, Tencent, Huawei, dall’altra parte del pianeta, e di migliaia di altri simili al seguito in ogni dove.
    Come ho già scritto in due anni di lavoro, i colossi “tech” vanno man mano acquisendo niente meno che le chiavi private della vita sul pianeta in ogni campo, dalla finanza alla medicina alle comunicazioni; dai trasporti civili e commerciali all’energia alle materie prime; dagli alloggi alla difesa al cibo stesso, e si potrebbe continuare all’infinito. Possono farlo perché sono loro, e non più il vecchio capitalismo industriale, a brevettare quasi tutto ciò che di nuovo nasce sulla Terra da almeno 20 anni a questa parte. Ma di più: il loro strapotere è balzato oltre l’atmosfera con il dilagare della loro Artificial Intelligence (Machine Learning in particolare), perché, come epicamente detto dal fondatore di Google-DeepMind Demis Hassabis, «noi vogliamo padroneggiare l’intelligenza, e poi risolvere tutto il resto». Questo fu geniale, perché davvero è solo l’intelligenza il motore dell’umanità, e chi la controllerà con le “tech” controllerà il mondo. Ma anche senza esplorare nei dettagli l’inimmaginabile nuovo potere dei Faang e soci, chiunque oggi non viva nelle catacombe vede ogni giorno come la società e l’economia di ogni centimetro quadrato della Terra stiano vestendosi sempre più di Faang.
    E rieccoci al punto: per motivi che ho per primo divulgato al pubblico, i nuovi padroni “tech” del pianeta stanno correndo forsennatamente verso posizioni etiche sempre più avanzate, che piazzano in primo piano in ogni loro pubblica mossa, ricerca di laboratorio e prodotto. Fa parte del Dna della loro strategia di vendita globale. Occorrerebbe un saggio enorme per dare conto con esempi di questo, ma dovrebbe essere evidente a chiunque segua anche solo distrattamente il dibattito sulle “tech”. Dunque se la parola “Ethics” è spalmata dappertutto fra i padroni del futuro, le parole “Racism” e la consociata “Populism” sono per essi letteralmente virus di peste bubbonica, e anche solo sfiorassero l’immagine aziendale di questi colossi gli farebbero perdere tali volumi d’affari da impietrire i loro Ad. Riapplicate su Faang e soci quanto già detto sopra nel caso degli investitori internazionali, e ci risiamo: con un Salvini al governo che ora puzza internazionalmente del razzismo populista di Bannon-Orban, i padroni delle chiavi orivate della vita sul pianeta in ogni campo sterzeranno molto alla larga dalla Roma gialloverde, e indovinate su chi punteranno? Vi rendete conto di che razza di spinta politica si tratta? Più che spinta, è una certezza.
    Concludo riprendendo il testimone da qui: il populismo italiano, prima di Salvini e dei suoi inguardabili compari, aveva il potenziale di svilupparsi in una nuova frontiera della difesa dei nostri diritti costituzionali macellati dalla Ue, alla luce del disgustoso tradimento della sinistra politically correct. Ora è un’etichetta marcia, inavvicinabile e senza futuro. La colpa è ben ferma sulle spalle di Matteo Salvini, “nella sua smisurata ambizione a divenire leader dei populismi dell’Ue assieme a due appestati di fama mondiale, in quella che sarà una slabbrata avventuretta europea di pochi anni destinata agli sberleffi della storia”. Mercati e Faang sono ora costretti a riportarci il Peggior (P) Destino (D) possibile, nella camera a gas chiamata Eurozona. Agli esagitati stupidi che “il trionfo sarà fra 8 mesi” (le europee), ricordo ancora che oggi il loro futuro è pianificato a 10 o 30 anni a partire da questo minuto da chi gli finanzia il 100% dell’ossigeno di cui vivono. E con quest’arma in mano, quelli difficilmente perdono. Che il volere del popolo sia infermabile è la più sonora balla mai raccontata ai popoli. Da chi? Dai populisti alla Salvini.
    (Paolo Barnard, estratto dal post “Salvini ha sbracato e ci riporterà il Pd, ecco come”, pubblicato sul blog di Barnard il 26 settembre 2018).

    Il capitalismo che abbiamo sempre conosciuto, quello che viveva su un’umanità composta da un 20% di benestanti consumatori e da un 80% di schiavi che producono per loro, non esiste quasi più. E non solo. Quell’80% di schiavi si sono evoluti, e hanno cambiato nome: da poveracci neri, marron, o gialli, adesso si chiamano mercati emergenti. E non solo. Mentre prima le loro economie, al netto delle loro materie prime, valevano solo il prezzo delle loro schiene rotte dal lavoro, oggi valgono cifre inimmaginabili. Ecco un quadro. Solamente Cina e India producono insieme 33.000 miliardi di dollari di beni e servizi, contro la rallentata Ue con 21.000 miliardi e gli Usa con 19.500. I sette mercati emergenti principali, cioè Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia, hanno quasi raddoppiato il loro potere economico, mentre al contrario i paesi del G7 stanno calando vistosamente nelle percentuali di Pil globale. Secondo uno studio della nota consultancy PwC Uk, nelle prime 32 economie dei prossimi quindici anni ben 20 saranno mercati emergenti, con Cina e India che sorpassano gli Usa, e l’Italia fanalino di coda umiliata persino da Vietnam, Filippine, Corea del Sud, Iran e Pakistan.

  • Reddito di cittadinanza: è il piano (infernale) degli oligarchi

    Scritto il 17/4/18 • nella Categoria: segnalazioni • (15)

    Mark Zuckerberg non ha bisogno di presentazioni: mister Facebook vale 64 miliardi di dollari. Altro paperone-prodigio: il sudafricano Elon Musk, patron di Tesla e Space-X. Cos’hanno in comune, a parte i giacimenti aurei? La fede nel reddito di cittadinanza. La pensano così anche l’americano Richard Branson della Virgin e il canadese Stewart Butterfield, l’inventore della banca-immagini Flickr e di Slack, applicazioni per messaggerie. Uomini d’oro e potenti oligarchi, improvvisamente anche umanitari: si stanno battendo a favore del reddito di base garantito, osserva Chris Hedges, a lungo corrispondente estero del “New York Times”. «Sembra che siano dei progressisti e che esprimano queste loro proposte con parole che parlano di morale, prendendosi cura degli indigenti e dei meno fortunati». Ma dietro questa facciata, scrive Hedges, c’è una cruda consapevolezza: soprattutto la Silicon Valley «vede un mondo – quello che questi oligarchi hanno contribuito a creare – tanto iniquo che i consumatori di domani, che dovranno sopportare la precarietà del lavoro, salari sotto i minimi, l’automazione e la schiavitù di un debito che blocca tutto, non saranno in condizione di spendere abbastanza per comprare i prodotti e i servizi offerti dalle grandi corporations».

  • Grimaldi: droga, terrore e migranti, ecco il piano del potere

    Scritto il 11/4/18 • nella Categoria: idee • (10)

    Tre sono le grandi operazioni con cui la cupola finanzcapitalista persegue nel terzo millennio il dominio totalitario politico, militare, economico e culturale sull’umanità. Lo Stato unico della sorveglianza e del controllo senza spiragli o crepe. Hanno tutte origine nel cosiddetto riflusso degli anni ’80 del Novecento, risposta all’onda insurrezionale del decennio precedente e prodromo dell’offensiva scatenata vent’anni dopo, a partire dalla “normalizzazione-passivizzazione” delle coscienze e dei saperi con gli strumenti hi-tech degli apprendisti stregoni di Silicon Valley. La diffusione della droga per la guerra alla droga; la diffusione del terrorismo per la guerra al terrorismo; la migrazione di massa finalizzata a un unico superstato che persegue la distruzione di ogni statualità attraverso la creazione di masse, estratte dal proprio contesto storico, omologate dall’abbandono, dalla disperazione, dalla perdita di anima e nome collettivi e da un destino di subalternità irrimediabile. Strategia di distruzione dei diritti umani (intesi come libertà, riservatezza, lavoro, autonomia, rapporti sociali), se va bene sostituiti da diritti detti civili (per lo più intesi come superamento di quelli biologici) e dal diritto di muovere guerra e distruzione a chi si pretende di accusare di violazione dei diritti umani.

  • Salari cinesi per tutti: ormai sono più alti che in Est Europa

    Scritto il 10/3/18 • nella Categoria: segnalazioni • (6)

    O la Cina sta raggiungendo alcune zone dell’Europa in termini di salari, o le retribuzioni nei paesi entrati più di recente nell’Unione Europea sono schiacciati dalla competizione globale sul lavoro, una competizione che la Cina vince a mani basse. «In realtà, si tratta di entrambe le cose», scrive Kenneth Rapoza su “Forbes”. La notizia? Sarà la Cina a dettare, nel mondo, la futura quota del salario medio – anche in Europa. A Shangai le retribuzioni medie mensili ammontano a 1.135 dollari, a Pechino sono 983 e a Shenzen 938. «Sono più alte che in Croazia, nuovo paese membro dell’Unione Europea: lo stipendio medio netto in Croazia è di 887 dollari al mese». Le paghe di Shanghai, in particolare, sono anche superiori a quelle di altri neo-membri dell’Eurozona, paesi baltici come la Lituania (956 dollari al mese) e la Lettonia (1.005), mentre in Estonia – paese che ha aderito all’euro nel 2011 – il reddito medio è pari a 1.256 dollari. Negli ultimi dieci anni, scrive Rapoza in un’analisi tradotta da “Voci dall’Estero”, l’Europa ha cercato di integrare nell’Ue la manodopera qualificata a basso costo dall’Europa dell’Est, mentre già nel 2002 la Cina si è pienamente integrata nella forza lavoro globale, entrando a far parte del Wto. L’ingresso di questi due enormi bacini di manodopera nella forza lavoro mondiale «ha posto le basi per la stagnazione dei salari tra i lavoratori meno qualificati delle catene di montaggio in tutto il mondo».
    In gergo economico, il fenomeno è descritto come “appiattimento della curva di Phillips”, come spiega Neil MacKinnon, economista di Vtb Capital. «L’impatto della globalizzazione e l’ingresso della Cina nel Wto nel 2002 ha aumentato notevolmente l’offerta di manodopera globale», afferma MacKinnon. L’eccesso di offerta di manodopera cinese e il flusso di merci cinesi a basso costo nell’economia mondiale ha creato un vantaggio per i consumatori globali, ma ha significato anche che determinati prodotti e posti di lavoro dell’Europa orientale hanno dovuto competere con la Cina, che ha prezzi più bassi. Catene di approvvigionamento e mercati a parte, il costo maggiore per un’azienda è la sua forza lavoro, e quella cinese viene finalmente remunerata. «Le retribuzioni dell’Europa orientale, simili a quelle cinesi, fanno parte di un mondo il cui motto è diventato: qualsiasi cosa tu possa fare, la Cina può farla a minor costo», scrive Rapoza. «La Cina stabilisce il prezzo per la manodopera manifatturiera e, in futuro, per la logistica relativa all’e-commerce. Alcuni europei dovrebbero sperare nei continui aumenti salariali della Cina se vogliono aumentare le loro stesse retribuzioni lorde».
    La quota della Cina nel commercio mondiale, continua Rapoza, è aumentata: da poco meno del 2% nel 1990 a quasi il 15% di oggi, secondo la Bank for International Settlements. «Da allora, l’economia di mercato cinese si è integrata all’economia globale, guidata principalmente dalla sua forza lavoro, con un rapporto capitale-lavoro inferiore agli standard globali». Inoltre, la Cina sta iniziando solo ora ad automatizzare la produzione. E in un arco di tempo simile, dagli anni ’90 ad oggi, i paesi dell’Europa orientale sono usciti dall’orbita della Russia e si sono spostati verso ovest. «Prima della caduta del comunismo, questi paesi erano rimasti più o meno isolati. La forza lavoro era abbondante e ben istruita, ma il capitale e il management erano limitati. Ne è seguita una combinazione fruttuosa: l’Europa occidentale ha fornito i soldi e il management, l’Europa dell’Est ha fornito la manodopera a basso costo». I dati relativi all’integrazione della Cina e dell’Est Europa sono impressionanti, aggiunge Rapoza. Contando solo la forza lavoro potenziale, la popolazione attiva in Cina e nell’Europa orientale tra i 20 e i 64 anni era di 820 milioni di persone nel 1990 e ha raggiunto 1,2 miliardi nel 2015. La popolazione attiva disponibile nei paesi europei industrializzati era di 685 milioni prima della crisi dell’Unione Sovietica nel 1990 e raggiungeva i 763 milioni nel 2014.
    «Parliamo quindi di un aumento una tantum del 120% della forza lavoro, che ha schiacciato i salari per i lavoratori meno qualificati», secondo la Bri. Usando come indicatore le tre grandi città cinesi – Shangai, Pechino e Shenzen – gli stipendi mediani dei lavoratori dipendenti sono più alti dei salari della parte più povera d’Europa: i vecchi Balcani dell’area comunista. «Proprio sul Mar Adriatico, di fronte alla ricca frontiera italiana, si trova una manodopera di tipo cinese: anzi ancora più economica, in realtà». I lavoratori cinesi a Shanghai, Shenzhen e Pechino, in media, guadagnano più dei lavoratori in Albania, Romania, Bulgaria, Slovacchia e Montenegro, nuovo paese membro della Nato, che ha un reddito medio equivalente ad appena 896 dollari al mese. I salari medi di Shanghai non sono molto diversi da quelli della Polonia, da 1.569 dollari. Lo stesso vale per la Repubblica Ceca, dove lo stipendio medio a Praga, la sua città più ricca, si aggira intorno all’equivalente di 1.400 dollari. E il salario medio lordo dell’Ungheria sta proprio al livello di Shanghai: 1.139 dollari al mese. «La crescita dei salari in Cina è impressionante», conclude Rapoza. «Ottimo per i cinesi, ma ha lasciato indietro la crescita dei salari in molti dei paesi a basso reddito in Europa». Attenzione: «Ciò che questi numeri dimostrano è che il ruolo della Cina come centro manifatturiero ha posto le basi per qualsiasi aumento futuro delle retribuzioni, in particolare per gli operai non qualificati del settore manifatturiero, ma anche ben presto in altri nuovi settori come l’e-commerce».

    O la Cina sta raggiungendo alcune zone dell’Europa in termini di salari, o le retribuzioni nei paesi entrati più di recente nell’Unione Europea sono schiacciati dalla competizione globale sul lavoro, una competizione che la Cina vince a mani basse. «In realtà, si tratta di entrambe le cose», scrive Kenneth Rapoza su “Forbes”. La notizia? Sarà la Cina a dettare, nel mondo, la futura quota del salario medio – anche in Europa. A Shangai le retribuzioni medie mensili ammontano a 1.135 dollari, a Pechino sono 983 e a Shenzen 938. «Sono più alte che in Croazia, nuovo paese membro dell’Unione Europea: lo stipendio medio netto in Croazia è di 887 dollari al mese». Le paghe di Shanghai, in particolare, sono anche superiori a quelle di altri neo-membri dell’Eurozona, paesi baltici come la Lituania (956 dollari al mese) e la Lettonia (1.005), mentre in Estonia – paese che ha aderito all’euro nel 2011 – il reddito medio è pari a 1.256 dollari. Negli ultimi dieci anni, scrive Rapoza in un’analisi tradotta da “Voci dall’Estero”, l’Europa ha cercato di integrare nell’Ue la manodopera qualificata a basso costo dall’Europa dell’Est, mentre già nel 2002 la Cina si è pienamente integrata nella forza lavoro globale, entrando a far parte del Wto. L’ingresso di questi due enormi bacini di manodopera nella forza lavoro mondiale «ha posto le basi per la stagnazione dei salari tra i lavoratori meno qualificati delle catene di montaggio in tutto il mondo».

  • Turismo Cina-Francia. Il nostro guaio? Renzi non è Macron

    Scritto il 15/2/18 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    E mentre il portentoso Matteo ‘l’ammmerigano’ Renzi – in camicia, maniche arrotolate da gggiòvane – vanta in Tv d’aver speso gli spiccioli del verduraio per rilanciare il turismo italiano, il presidente francese Macron si connette coi 963 milioni di cinesi che ogni mese usano il Social (cinese) Wechat e lancia il turismo francese nel futuro. Queste sono le differenze. Ma non solo. Cina chiama Francia, e Parigi risponde subito, no cazzate. In quattro e quattr’otto nasce una piattaforma di scambio francese dedicata alla Cina, si chiama China Connect (nulla a che fare con le imitazioni italiche, vedrete, nda). La dirige una donna, Laure de Carayon da Parigi. Vanno a Pechino, fanno contatti e tornano. Non perdono tempo. Organizzano una mega conferenza di business e Tech interamente dedicata alla Cina per l’8 di marzo (mentre l’Itaglia sarà freneticamente dedita a distribuire mimose).
    L’evento porterà a Parigi i top delle Start up, dei Mercati digitali e delle Tech cinesi e di tutta l’area Asia-Pacifico. Titolo: “La Cina, la nuova ispirazione del mondo”. Laure de Carayon dice: «L’ordine mondiale digitale si sta spostando da Silicon Valley all’Asia». Gli argomenti che saranno trattati, in questa melting pot di cervelli e aziende sino-francesi, sono: il commercio tradizionale e l’e-commerce, i Social, il Big Data, la Blockchain, la Virtual Reality, e l’Artificial Intelligence. Andrebbe detto a Matteo ‘l’ammmerigano’ Renzi che c’è chi nella vita è veloce, e non perde tempo alla vista del futuro di super Tech & Ai che sta inglobando il pianeta, anche senza aver letto Barnard.
    Infatti la de Carayon ci avvisa che «queste nuove Tech sono una patata bollente: dobbiamo essere veloci, agili, e molto strategici. La corrente è impetuosa, globale, e debordante in Cina… In Europa tutti vanno dietro alle stesse vecchie cose, siamo come pecore. In Cina c’è fermento, e con esso nasce la complessità dell’oggi». Serve dire altro? No. Sto pensando a quelli che mi hanno detto che le richieste elettorali che vi ho suggerito sono troppo avanti… sticazzi, Macron già le mette in pratica. Il 4 marzo, voi Italians… mimose, sù. Alla de Carayon credo non freghino un cazzo.
    (Paolo Barnard, “Il dramma è che Renzi non è Macron, Cina chiama Francia”, deal blog di Barnard dell’11 febbraio 2018).

    E mentre il portentoso Matteo ‘l’ammmerigano’ Renzi – in camicia, maniche arrotolate da gggiòvane – vanta in Tv d’aver speso gli spiccioli del verduraio per rilanciare il turismo italiano, il presidente francese Macron si connette coi 963 milioni di cinesi che ogni mese usano il Social (cinese) Wechat e lancia il turismo francese nel futuro. Queste sono le differenze. Ma non solo. Cina chiama Francia, e Parigi risponde subito, no cazzate. In quattro e quattr’otto nasce una piattaforma di scambio francese dedicata alla Cina, si chiama China Connect (nulla a che fare con le imitazioni italiche, vedrete, nda). La dirige una donna, Laure de Carayon da Parigi. Vanno a Pechino, fanno contatti e tornano. Non perdono tempo. Organizzano una mega conferenza di business e Tech interamente dedicata alla Cina per l’8 di marzo (mentre l’Itaglia sarà freneticamente dedita a distribuire mimose).

  • Davide Cervia, “sequestro di Stato”: condannato il ministero

    Scritto il 07/2/18 • nella Categoria: segnalazioni • (3)

    Una donna senza più il marito, due figli senza più il padre. Scomparso. Catturato da sconosciuti, una sera, davanti al cancello di casa, nella campagna di Velletri. Che fine ha fatto? E’ stato “venduto” a paesi come la Libia, a cui l’Italia non avrebbe potuto né dovuto fornire armamenti? E’ stato poi ucciso, per cancellare la prova vivente di un affare inconfessabile? Chi sa, non parla: da quasi 28 anni. Quell’uomo? Preziosissimo. Un super-militare, con competenze Nato top secret: guerra elettronica. E’ ancora vivo? Invocano notizie la moglie, la figlia. E’ passato un quarto di secolo, e i militari non parlano. Un regista, Francesco Del Grosso, dopo 24 anni di silenzio decide di fare un film su quella storia, “Fuoco amico”. Ma alla vigilia delle riprese salta in aria la casa, esplode una finestra. Solo per miracolo la ragazza, Erika, non viene investita dall’esplosione. Lei e sua madre devono smetterla di chiedere dov’è finito quell’uomo, l’enfant prodige della marina militare italiana. Sapeva rendere invulnerabile una nave da guerra. Era il mago dei missili Teseo-Otomat, che colpiscono a 180 chilometri di distanza. Era stato il migliore, al corso d’élite frequentato a Taranto. Il miglior tecnico, imbarcato sulla miglior nave da battaglia italiana, la fregata Maestrale. Una sera è stato catturato. Sparito, inghiottito nel nulla. Lo Stato? Ha ostacolato la ricerca della verità. Lo afferma, oggi, la sentenza di una giudice, Maria Rosaria Covelli. Ma la verità è ancora lontana: che fine ha fatto Davide Cervia?
    «Nemmeno il “Fatto Quotidiano” ha voluto dare la notizia della sentenza: nemmeno Marco Travaglio, a cui ho scritto», dice la moglie di Davide, Marisa Gentile, a colloquio con Stefania Nicoletti e Paolo Franceschetti a “Forme d’Onda”, trasmissione web-radio. «Viviamo un assedio infinito: lettere minatorie, pedinamenti, telefonate mute, anonimi che dicono “sappiamo dov’è tuo marito”. Ogni volta che andiamo a parlare nelle scuole di Velletri, poi ci ritroviamo le gomme dell’auto tagliate. Un funzionario del ministero dell’interno arrivò a offrirmi un miliardo di lire purché lasciassimo perdere. Adesso, il 23 gennaio, il tribunale di Roma ha condannato il ministero della difesa. Il danno, secondo i nostri avvocati, ammontava a 5 milioni di euro. Ma abbiamo preteso solo un risarcimento simbolico: un euro. E comunque l’avvocatura dello Stato ci ha costretto a firmare la rinuncia ad altre cause civili, altrimenti avrebbero chiesto la prescrizione, che sarebbe stata la pietra tombale su questa storia». L’ultima sentenza è decisiva, come quelle su Ustica: sancisce la violazione, da parte dello Stato, del diritto alla verità. Lo sostengono gli avvocati, Alfredo Galasso e Licia D’Amico. L’ammiraglio a riposo Falco Accame, vicino alla famiglia, auspica che il coraggioso verdetto del tribunale di Roma possa rompere il silenzio che oscura le “morti bianche” di tanti militari uccisi dall’uranio impoverito nelle missioni all’estero. Secondo Franceschetti, domani potrebbero “svegliarsi” anche i familiari di altre vittime, quelle delle troppe stragi impunite.
    Di origine ligure, Davide Cervia si era trasferito a Velletri dopo aver lasciato la marina. E’ scomparso il 12 settembre 1990: assalito mentre rincasava e caricato a forza su un’auto verde. Lo Stato ha impiegato anni, per ammettere che fosse stato rapito: si fece credere che, semplicemente, avesse abbandonato volontariamente la famiglia. Poi la marina militare ha negato a lungo che fosse un tecnico altamente specializzato: il suo vero curriculum è saltato fuori soltanto dopo che i familiari hanno occupato fisicamente il ministero. Adesso, dopo quasi 28 anni, il tribunale romano condanna i militari: hanno ostacolato il diritto alla verità. Quale verità? Non è dato saperlo. Tanti inidizi portano alla Libia, che nel ‘90 era sotto embargo e immaginava di essere minacciata, alla vigilia della prima Guerra del Golfo. Due operai italiani sostengono di aver visto Davide Cervia quattro anni dopo, vivo e vegeto, in una base missilistica vicino a Sebha. Per anni, racconta il giornalista investigativo Gianni Lannes sul blog “Su la testa”, la marina militare negò che Davide Cervia avesse la qualifica di esperto “Ge”, guerra elettronica, fino al giorno in cui, appunto, «la moglie Marisa e il suocero Alberto occuparono, insieme al “Comitato per la verità su Davide Cervia”, gli uffici dall’allora ministro della difesa italiano Martino».
    Dopo otto ore di trattative serrate e tese, ricorda Lannes, «il vero foglio matricolare venne fuori: la specializzazione che la marina aveva sempre negato era lì, nero su bianco». Non si trattava di un attestato qualsiasi: comprovava «un addestramento di altissimo livello, che poche decine di tecnici avevano». Per la burocrazia della marina, Cervia era un tecnico Elt/Ete/Ge, specializzato nei dispositivi di disturbo dei radar nemici. Quella sigla rendeva l’ex sergente della marina scomparso «un pezzo prezioso che qualcuno aveva “venduto”, includendolo in uno dei sofisticati sistemi d’arma prodotti in Italia». E Davide non era uno qualsiasi, aggiunge Lannes, tanto che sul suo dossier gli ufficiali scrissero: «Ha contribuito in maniera fattiva alla esecuzione delle manutenzioni preventive e correttive sugli apparati “Ge”, facendosi apprezzare per l’elevata preparazione professionale, l’interesse e la dedizione al servizio». Per Gianni Lannes si è trattato di «un sequestro di Stato», sostanzialmente «favorito da agenti del Sismi, allora guidato dall’ammiraglio Fulvio Martini». Lo stesso Sismi che il giornalista considera implicato nella scomparsa dei giornalisti Italo Toni e Graziella De Palo (Libano, 1980), nonché nell’eliminazione di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Somalia, 1994), e dei due sottufficiali piloti della Guardia di Finanza, Gianfranco Deriu e Fabrizio Sedda, caduti in Sardegna nel 1994 a bordo dell’elicottero “Volpe 132” (a loro volta, dopo indagini su armi-fantasma?).
    A quel tempo, ricorda Lannes, il capo di stato maggiore della marina era l’ammiraglio di squadra Filippo Ruggero. «Per la cronaca incombeva in quell’anno il governo Andreotti: alla difesa c’era Martinazzoli, mentre agli esteri figurava De Michelis, con l’apporto di Gava agli interni». Proprio la qualifica di specialista Ete/Ge, dice Lannes, «è la causa del rapimento di Davide Cervia, “venduto” a sua insaputa come tecnico esperto di guerra elettronica, in seguito al divieto delle Nazioni Unite di commerciare armi o addestrare militari nei paesi in guerra». In quel periodo, rammenta il suocero di Davide, Alberto Gentile, era vietato vendere armi alla Libia di Gheddafi. Ma, negli anni ‘80, i libici avevano riammodernato nei cantieri di Genova (su una fregata e due corvette) le stesse apparecchiature di cui era esperto Davide: Otomat, Aspide e Albatros. Nel dicembre del ‘96 la famiglia incontrò il sottosegretario Rino Serri, racconta Alberto Gentile in un’intensa ricostruzione realizzata da Marcello Michelini ed Enrico Chiarioni per “Crescere Informandosi”, trasmessa da “Pandora Tv”. «Davanti a testimoni – afferma il suocero di Davide – Serri raccontò che stavano facendo trattative con la Libia “per poter liberare Davide”, ma disse che non si poteva assolutamente parlare di “rapimento”».
    Nato a Sanremo nel ‘59, Davide Cervia si era arruolato volotario in marina il 5 settembre 1978, diciannovenne, con ferma di sei anni. A Taranto risultò il migliore del suo corso e venne qualificato specialista Ete/Ge, tecnico elettronico per la guerra hi-tech. All’epoca, tra tutti gli “Elt 78/B” fu l’unico a ottenere quella qualifica, ricorda Lannes. Avviato al Centro Addestramento Aeronavale per la specializzazione pre-imbarco, sempre a Taranto, venne poi inserito nell’equipaggio di quella che all’epoca era la più moderna nave italiana, la fregata Maestrale, «acquisendo una specializzazione preziosissima». Si congedò dalla marina il 1° gennaio 1984 e quattro anni dopo si trasferì a Velletri, dove iniziò a lavorare nella società Enertecnel Sud, con sede presso Ariccia. Davide Cervia, riassume Lannes, era dunque un tecnico della guerra elettronica, specializzato nei sistemi di arma Teseo-Otomat che l’industria militare italiana «aveva venduto fin dagli anni ‘70 ai tanti paesi-canaglia del mondo, Libia compresa». Gli elementi che collegano la sua scomparsa alla Libia sono molteplici: «L’assistenza militare del regime di Gheddafi è sempre stata una nostra specialità», scrive Lannes. Un tecnico come Cervia «era a dir poco preziosissimo», per gestire le attrezzature Teseo-Otomat installate su navi libiche a fine anni ‘80.
    Secondo il portale giuridico “Altalex”, il verdetto ora emesso dall’autorità giudiziaria romana rappresenta «una sentenza molto importante», perché, «oltre a dar ragione nella sostanza alla famiglia dello scomparso, sul fatto che si tratti di rapimento e non di allontanamento volontario, pone alcuni importanti principi di diritto, già affermati con la sentenza che riguarda il caso Ustica». E cioè: «Il diritto alla verità da parte dei parenti di un soggetto scomparso in circostanze misteriose è un diritto soggettivo, personalissimo e di rango costituzionale, contenuto nell’articolo 21». Diritto che viene leso da ogni attività che, senza un’adeguata giustificazione, «impedisca, limiti o condizioni» l’acquisizione di informazioni. «In questa sentenza c’è una novità assoluta, cioè il riconoscimento del fatto che il ministero della difesa ha violato questo diritto, e per questo viene condannato», dichiara l’avvocato Licia D’Amico a “Osservatore Italia”. «Non so quante altre volte sia accaduto che una istituzione dello Stato, un ministero, sia stato condannato a risarcire un danno ad una famiglia per aver nascosto la verità: insomma, non è poca cosa». Specie se si considera che gli “insabbiatori” hanno insistito fino all’ultimo sull’idea che Cervia – di cui hanno a lungo negato la decisiva specializzazione – avesse abbandonato la famiglia volontariamente. «Pura follia», racconta la figlia, Erika: «Papà era alle prese con grandi preparativi per l’anniversario di matrimonio».
    Molte cose su Davide, dice la moglie Marisa nel video realizzato da Michelini e Chiaroni, la famiglia le ha apprese solo dopo la sua scomparsa: aveva rivestito incarichi di particolare segretezza, anche svolgendo stage presso aziende belliche. «Tra i documenti di Davide abbiamo trovato persino il Nos, “nulla osta di segretezza Nato”, ammesso dalla marina dopo 6 anni di nostre pressanti richieste». Per la famiglia Cervia, un incubo senza fine: «Rapito Davide, eravamo a Velletri solo da due anni, e io ne avevo appena 28: fecero girare la voce che mio marito era scappato con un’altra». Eppure, i fatti gridavano la peggiore delle verità: la sera di quel maledetto 12 settembre l’anziano vicino di casa, Mario Cavagnero, vide tutto. «Testimoniò con le lacrime agli occhi di aver visto mio padre strattonato da alcune persone che lo aspettavano davanti al cancello di casa», racconta la figlia, Erika. «Immobilizzato, narcotizzato e spinto con la forza in un’auto color verde bottiglia. Mio padre gridò più volte il nome del vicino, nella speranza che lo potesse aiutare». Raccontò l’uomo: «“Mario!” mi chiamava, disperato: ma è stato tutto troppo rapido perché potessi intervenire». Era la prova regina del rapimento: solo che poi, racconta Erika, «dal verbale dei carabinieri emerse che mio padre stesse chiamando Mario per salutarlo, e che Mario (il testimone chiave) fosse un povero vecchio in stato confusionale».
    Poco dopo, un autista delle autolinee locali (oggi Cotral) sulla tratta Roma-Velletri «incrociò l’auto verde e la Golf bianca di mio padre guidata da un biondino». Un quasi-incidente, all’incrocio tra Colle dei Marmi e l’Appia. «Dovette fare una brusca frenata per evitare le due auto, che non si fermarono allo stop». L’autista del pullman notò sull’auto verde «due persone, sedute dietro, che con le spalle e le braccia coprivano qualcosa, come a voler nascondere qualcuno». E la Golf bianca di Davide Cervia? «I carabinieri “dimenticarono” di idicare nel verbale il numero di targa: per giorni, la polizia non potè cercarla», dice la moglie. Una vettura rimasta “fantasma” per addirittura sei mesi. «Poi, grazie a una lettera anonima indirizzata alla trasmissione “Chi l’ha visto?”, allora condotta da Donatella Raffai, l’auto venne ritrovata a Roma in via Marsala, vicino alla stazione Termini, dove (secondo la lettera) era parcheggiata da 6 mesi. Ma così non era: mio padre, ferroviere, coi suoi colleghi aveva setacciato la zona palmo a palmo», racconta Marisa Gentile. La Golf riapparsa? «Fatta ritrovare lì per far credere a un allontanamento volontario». Intervennero gli ispettori della Digos: «Frugarono dappertutto, ma senza guanti: addio impronte digitali». Prima ancora, l’auto fu aperta con una micro-carica esplosiva, osserva Marisa: «Quella Golf aveva un impianto a gas, e quindi far saltare la serratura con dell’esplosivo poteva essere pericoloso: a meno che non si sapesse che il serbatoio del gas era vuoto?».
    Nel frattempo, mentre le indagini “dormivano”, arrivò un indizio dalla Francia. Gianluca Cicinelli, autore di due libri sulla vicenda nonché presidente del “Comitato per la Verità su Davide Cervia”, nel ‘95 venne contattato da un ex funzionario dell’Air France, da poco in pensione. Raccontò: tra dicembre ‘90 e gennaio ‘91 era arrivata alla compagnia aerea transalpina una richiesta di verifica, per sapere se ci fosse un biglietto aereo a nome Davide Cervia. «Lo trovò: per il 6 o l’8 gennaio ‘91 (non ricordava bene la data) per la tratta Parigi-Cairo. Biglietto acquistato per un’agenzia che lavora per il ministero francese degli affari pubblici. Nessuno ne aveva mai parlato». Al che, Cicinelli fece denuncia alla Criminalpol, partì l’indagine e si scoprì che quel biglietto effettivamente esisteva. Ma l’Air France non aveva comunicato nulla agli inquirenti perché, secondo loro, apparteneneva a un omonimo di Davide: un militare francese (con nome italiano, in quanto originario della Corsica). Fino ad allora, la procura di Velletri non aveva potuto fare vere indagini «per carenze di organico». Nel ‘98-99, quando la procura di Roma avocò l’inchiesta riaprendo il caso del biglietto aereo, l’Air France cambiò versione: quel biglietto aereo non era più intestato al “Davide Cervia della Corsica”, bensì a una “signorina Cervia”; in più era cambiata la tratta, e “purtroppo” non si poteva più fare nulla perché tutti i documenti erano stati cestinati.
    Il 5 aprile del 2000, racconta Erika Cervia, il caso fu archiviato come sequestro di persona a opera di ignoti. «Per noi fu una grandissima vittoria, veder sparire la testi dell’allontamento volontario di mio padre. Ma anche una sconfitta: dopo dieci anni, con l’archiviazione, veniva messa una pietra tombale sulla vicenda. Scandaloso: per i primi 8 anni mio padre non fu assolutamente cercato dalla procura di Velletri, quindi si sono persi proprio gli anni fondamentali per la sua ricerca». Poi, nel 2012, la notizia su Ustica: i familiari delle vittime hanno avevano citato a giudizio i ministeri trasporti e difesa, per omissioni, depistaggi, negligenze e violazione del cosiddetto “diritto alla verità”. «Noi abbiamo denunciato il ministero della difesa e quello giustizia. Ma i testi sono stati finalmente ascoltati solo a partire dal 2016, dopo quattro anni di rinvii». Nel frattempo, la famiglia Cervia è stata incessantemente sottoposta al consueto trattamento: minacce e intimidazioni, fino all’esplosione della finestra di casa. «Spesso – rileva Paolo Franceschetti, avvocato – i parenti delle vittime, in casi analoghi, si piegano. I Cervia invece hanno resistito in modo commovente, per amore di Davide, spiazzando i loro persecutori». Oggi brindano: c’è l’immensa soddisfazione morale di una sentenza che condanna lo Stato per aver mentito. Ma all’appello manca ancora il premio più importante: Davide.
    «Il prossimo passo – annuncia Marisa Gentile – sarà un appello alla politica, appena il nuovo Parlamento sarà insediato, perché ci spieghi come mai alcune strutture dello Stato hanno depistato». Con la speranza, naturalmente, che «chi sa trovi il coraggio di parlare e di raccontarci quanto accaduto», dice la donna a Fabrizio Peronaci del “Corriere della Sera”, l’unico grande giornale che abbia dato la notizia della sentenza romana. «E’ sconcertente il silenzio dei media», dice Marisa, «per non parlare del silenzio del servizio pubblico Rai». Ancora ai giorni nostri il sequestro Cervia è un fatto indicibile, rileva Gianni Lannes, tant’è vero che ad alcuni atti parlamentari il governo Renzi non ha risposto, come nel caso di un’interrogazione del 10 aprile 2014. Perché tacere ancora su questa scottante vicenda, «coperta dall’affaristica ragion di Stato»? Il Sismi, aggiunge Lannes, «si è sempre occupato direttamente della vendita di armi all’estero, compresi i sistemi d’arma ed il personale altamente specializzato. In questa vicenda non bisogna farsi ingannare dai depistaggi istituzionali che hanno messo in atto più volte, per dirottare la famiglia ed eventuali ricercatori indipendenti su piste fantasma. Un classico: omissioni, reticenze e menzogne dell’apparato statale costellano la vicenda, nonché minacce e intimidazioni alla stessa famiglia Cervia, mai protetta dallo Stato».
    Per dipanare l’aggrovigliata matassa, insiste Lannes, «bisogna partire dal movente e dai mandanti: Cervia aveva forse rifiutato qualche offerta?». Ovvero: è stato rapito dopo essersi rifiutato di trasferirsi, magari in Libia? Nel blog “Su la Testa”, Gianni Lannes esibisce una vastra documentazione: a partire dal 1992, un anno dopo la scomparsa di Davide, su Camera e Senato è piovuta una grandine di richieste per far luce sulla vicenda. Risultato: silenzio di tomba. Domande scomode, che oggi Lannes riassume: «Qual è stato il ruolo svolto nella vicenda dai servizi segreti italiani? Come si spiegano le reticenze e la contraddittorietà degli interventi che emergono dalle risposte rese nel tempo ad alcuni atti di sindacato ispettivo inerenti la vicenda?». E poi: «Sono state condotte ricerche sulla sorte degli altri tecnici italiani che hanno conseguito la stessa specializzazione di Davide Cervia? Quanti sono, quanti di loro risultano in congedo e quanti sono ancora in servizio in Italia o all’estero?». Ancora: «Sono state effettuate ricerche e indagini giudiziarie presso i paesi ai quali gli armamenti in questione (Teseo-Otomat) sono stati venduti? E’ stata accertata l’effettiva destinazione finale delle suddette armi onde verificare che non sia in atto un traffico d’armi “triangolato” e che non vi siano state violazioni delle norme sulle esportazioni di armi verso paesi per i quali fossero in corso embarghi militari?». Se non altro, dopo quasi 28 anni di depistaggi e omissioni, ora c’è almeno un brandello di verità: lo Stato è colpevole. Ma dov’è finito il super-tecnico rapito? «Giustamente si chiede verità per Giulio Regeni», dice Marisa Gentile. «A quando la verità su Davide Cervia?».

    Una donna che non sa più dove sia il marito, E due figli senza più notizie del padre, specialista in guerra elettronica. Scomparso. Catturato da sconosciuti, una sera, davanti al cancello di casa, nella campagna di Velletri. Che fine ha fatto? E’ stato “venduto” a paesi come la Libia, a cui l’Italia non avrebbe potuto né dovuto fornire armamenti? E’ stato poi ucciso, per cancellare la prova vivente di un affare inconfessabile? Chi sa, non parla: da quasi 28 anni. Quell’uomo? Preziosissimo. Un super-militare, con competenze Nato top secret. E’ ancora vivo? Invocano sue notizie, inutilmente, i familiari. E’ passato un quarto di secolo, e i militari tacciono. Un regista, Francesco Del Grosso, dopo 24 anni di silenzio decide di fare un film su quella storia, “Fuoco amico”. Ma alla vigilia delle riprese salta in aria la casa, esplode una finestra: solo per miracolo la ragazza, Erika, figlia dello scomparso, non viene investita dall’esplosione. Lei e sua madre devono smetterla di chiedere dov’è finito quell’uomo, l’enfant prodige della marina militare italiana. Sapeva rendere invulnerabile una nave da guerra. Era il mago dei missili Teseo-Otomat, che colpiscono a 180 chilometri di distanza. Era stato il più bravo, al corso d’élite frequentato a Taranto. Il miglior tecnico, imbarcato sulla miglior nave da battaglia italiana, la fregata Maestrale. Una sera è stato catturato. Sparito, inghiottito nel nulla. Lo Stato? Ha ostacolato il diritto alla verità. Lo afferma, oggi, la sentenza di una giudice, Maria Rosaria Covelli. Ma la verità è ancora lontana: che fine ha fatto Davide Cervia?

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