Archivio del Tag ‘idee’
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Fango: l’amara lezione che sta sommergendo tutto
Luce fredda di lampeggianti, pioviggine. Da qualche parte, lontano, ecco i parlamentari: spalano fango, curvi e sordi. Voci si spengono nel buio dei monitor parlanti, dentro una notte eterna di desolazioni che ormai è vano raccontare, articolando segni. Nero il destino che declina ciance vuote, in una recita spettrale di pagliacci. Morto il talento, il cuore, il canto di chi tenta, sapendo di poter sbagliare e di fallire, ma dopo aver lottato. Morte le idee, insieme ai desideri. Morte le parole. Nell’aria scialba, galleggiano le formule grigiastre del mendicare attimi. Notorietà ingloriosa, in mezzo a una palude di mediocrità invincibile: come una malattia senza speranza, da troppo tempo libera di seminare orrori sapientemente travisati e mascherati da normalità. Una lunghissima, inesorabile discesa. Si scivola nel fango, poco alla volta rinunciando a tutto, dopo la morte lenta della verità.
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Sardine, il galateo del nulla. Feltri: il loro show è già finito
Le Sardine non meritano antipatia e mi dispiace per la brutta fine che faranno. La loro morte è segnata. La frequentazione decennale degli antri della politica mi autorizza a fare la Cassandra della loro caduta in padella. Le friggeranno, povere Sardine. Se le spartiranno, magari con una fetta di limone e le patate lesse. Le si vede in queste ultime ore, corteggiate e adulate, in visita ad esempio da Lucia Annunziata e Lilli Gruber. Credendo di visitare le loro rispettabili nonne partigiane e post-comuniste, ci pare di sentirle dire: «Ma che bocca grande che hai». Gnam. Nei loro esordi le Sardine hanno avuto la leggerezza delle favole. Dotati di squame e di pinne come la celebre Sirenetta di Andersen e di Walt Disney, ma anche di belle facce e bei capelli, i loro capi si sono esibiti guizzanti, e hanno incantato le anime belle, cui sono apparsi come pesciolini un po’ volanti sulle nuvole del sogno. Sardine Peter Pan. Avannotti nati nelle vasche del nulla, senza padri né madri, tutti le volevano adottare. Così parevano avere un destino di maturità durevole: diversa dai girotondini, dai movimenti dei viola e degli arancioni. Nessuna grevità di tratto, all’inizio facce pulite e ignote.Ragazzi antisalviniani sì, ma moderatamente, e solo perché Matteo fa troppi tweet: si calmasse, e magari ci si sarebbe potuti accompagnare anche con lui (figuriamoci). Sì, sardine un po’ di sinistra, ma si sa come sono i ragazzi, e però senza la zavorra della falce e del martello a tirarli giù nel fondo limaccioso della vecchia politica. Con queste loro costumanze vezzose, i cartelli pitturati da bambini delle elementari, a colori pastello, hanno sedotto persino qualcuno a destra, speranzoso che la nascente popolarità di un movimento strappasse le penne e tagliasse le unghie alla Lega, mettendola fuori moda. C’è voluto meno di un mese perché questo fascino presso l’opinione pubblica poco o niente militante finisse a ramengo, proprio mentre è cresciuto a vista d’occhio l’appetito dei pescecani rossi e gialli affamati di consensi perduti, bisognosi di ingurgitare il pesce azzurro. Gnam.In origine, almeno il primo giorno, le Sardine non parevano destinate a questa sorte. Non si sa se per malizia o per convinzione avevano evitato anche di cantare “Bella ciao”. Vedendo in effigie e ascoltando in tivù i quattro inventori bolognesi di questi raduni, ho apprezzato in loro l’attitudine a usare lo shampoo e i congiuntivi. Non erano antipatici. Il problema – sin dalle loro prime trionfali apparizioni – era che non si capiva se ci fosse qualcosa nella profondità dei loro ricami verbali sulla gentilezza, la sincerità, eccetera. Non dico idee, non esageriamo, ma uno spunto di originalità, un attaccamento alle questioni pratiche, e una proposta di soluzione. Ilva, Alitalia, tasse, migrazioni. Possibile che gli stesse bene tutto, ma proprio tutto del governo, e la sola protesta fosse diretta a chi non governava né Bologna, né l’Emilia-Romagna e tanto meno l’Italia? Ma sì: aria fritta di sinistra, tale quale il loro destino. In tanti anziani militanti, bisognosi di rigenerare le loro illusioni perdute di sessantottini, l’ultimo è stato ieri Gad Lerner, si ostinano a vedere in costoro la palingenesi della sinistra, la rigenerazione dalle ceneri della fenice morta.Non andrà così. La faccenda è diventata chiara dopo che le 160 sardine gallonate si sono chiuse nel palazzo occupato e hanno cavato dalle loro zucche cinque punticini innocui di galateo del nulla, e un solo punto politico: no ai decreti sulla sicurezza. Proprio quel no che è stato la dannazione della sinistra, e la causa del suo sprofondamento. Una ricetta di sicure sconfitte condivisa da ciascuna delle varie correnti del Pd e dei Cinque Stelle, nonché da Italia Viva, +Europa, Calenda, Verdi. Tutti. Dall’ala antisalviniana di Forza Italia fino ai filo palestinesi arabi sono pronti a contendersi i singoli capi acciughe per metterli alla testa di qualche sciagurata lista civica per le regionali e con l’intento di fagocitarli facendoli parlare a qualche congresso, infilandoli nel loro acquario. Finiranno nel loro menù. Sardine fritte. E pure pesanti da digerire.(Vittorio Feltri, “Il futuro di Mattia Santori e Sardine: non meritano antipatia, ma la loro morte”, da “Libero” del 17 dicembre 2019).Le Sardine non meritano antipatia e mi dispiace per la brutta fine che faranno. La loro morte è segnata. La frequentazione decennale degli antri della politica mi autorizza a fare la Cassandra della loro caduta in padella. Le friggeranno, povere Sardine. Se le spartiranno, magari con una fetta di limone e le patate lesse. Le si vede in queste ultime ore, corteggiate e adulate, in visita ad esempio da Lucia Annunziata e Lilli Gruber. Credendo di visitare le loro rispettabili nonne partigiane e post-comuniste, ci pare di sentirle dire: «Ma che bocca grande che hai». Gnam. Nei loro esordi le Sardine hanno avuto la leggerezza delle favole. Dotati di squame e di pinne come la celebre Sirenetta di Andersen e di Walt Disney, ma anche di belle facce e bei capelli, i loro capi si sono esibiti guizzanti, e hanno incantato le anime belle, cui sono apparsi come pesciolini un po’ volanti sulle nuvole del sogno. Sardine Peter Pan. Avannotti nati nelle vasche del nulla, senza padri né madri, tutti le volevano adottare. Così parevano avere un destino di maturità durevole: diversa dai girotondini, dai movimenti dei viola e degli arancioni. Nessuna grevità di tratto, all’inizio facce pulite e ignote.
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Della Luna: la lotta all’odio nasconde la schiavitù per debiti
«Le persistenti campagne istituzionali e mediatiche contro l’espressione di idee e sentimenti di odio, razzismo, nazismo, fascismo, stanno producendo effetti contrari a quelli dichiarati, cioè stimolano e confermano nella gente proprio quelle idee e quei sentimenti». Secondo Marco Della Luna, «la gente sembra percepire che si tratta di montature strumentali ed esagerazioni isteriche adoperate dalla casta e dai suoi ‘intellettuali’ per non parlare dei mali veri e presenti, di cui essa è responsabile: disoccupazione, impoverimento, continua perdita di efficienza, di prospettive, e i continui fallimenti di governanti incapaci e falsi». Per l’avvocato e saggista, autore di “Euroschiavi”, la causa di questi mali socio-economici italiani sta in alcuni precisi fattori di moneta e mercato: l’Italia è inserita in un sistema in cui, partendo da condizioni di svantaggio in quanto a debito pubblico e liquidità di sistema, deve competere con paesi più efficienti, con un cambio monetario bloccato (cioè senza poter svalutare la propria moneta per recuperare competitività), subendo un mercato commerciale non protetto da barriere doganali. Impossibile limitare la fuga di capitali, né concedere aiuti di Stato alle proprie industrie, tentate di vendersi agli stranieri o emigrare all’estero.L’Italia deve competere «sottostando al potere legislativo, fiscale e politico di un’Unione Europea diretta proprio dai paesi competitori controinteressati (che adattano le regole ai propri interessi), e senza nemmeno il meccanismo federale della condivisione del debito pubblico con redistribuzione dei surplus verso le aree in difficoltà (come avviene negli Usa)». Ovvio che, in queste condizioni, per Della Luna «l’Italia non ha speranze di risanarsi e risollevarsi: è matematicamente spacciata, chiunque sia al governo, e la gente starà sempre peggio, sarà sempre più povera, più tassata, più privata di servizi, più esclusa dalle decisioni, più gestita da investitori e decisori stranieri». A un livello più profondo e globale, di cui non si parla nei mass media, la causa dei mali economici è sempre nel sistema monetario, ma in un senso ulteriore: «Per scambiare i beni e i servizi che producono, i soggetti economici (persone, aziende, enti pubblici) sono costretti a servirsi, prendendola a prestito contro interesse, di moneta», la quale «è prodotta (a costo zero) in regime di monopolio da un cartello bancario in mano a poche persone».Dato che tutta la moneta è immessa nel mercato come prestito (debito) soggetto a interesse composto, costantemente deve essere presa a prestito ulteriore moneta. Questo rende i produttori di ricchezza reale, nell’insieme (quindi anche la società nel suo complesso e lo Stato stesso) sempre più indebitati verso i produttori di moneta, sia in termini di capitale che in termini di interessi, «finché il debito capitale espropria tutto il risparmio e gli interessi espropriano tutto il reddito, e si finisce a lavorare come schiavi per pagare gli interessi su un debito inestinguibile». L’obiettivo del capitalismo neoliberista, cioè il modello dominante e adottato dalla Ue, «è la generale schiavitù per debito, e ci siamo vicini», sostiene della Della Luna. «Questo esito viene accelerato dai banchieri con le note manovre di “pump and dump”, cioè di allargamento-restringimento del credito, organizzati ad arte: le bolle di mercato». Ovviamente, la posizione di monopolio dei “padroni della moneta” è tutt’uno con una posizione di potere politico «soprastante a quello dei governi e dei parlamenti (e di potere culturale soprastante a quello dell’accademia)».Matematico: «Uno Stato che, per funzionare (per finanziarsi), dipende da una moneta che non controlla e che gli deve essere prestata da speculatori internazionali privati, riceve la politica economica ed estera da questi medesimi speculatori come condizionalità: non ha alcuna autonomia decisionale sostanziale». Questo tipo di Stato, osserva Della Luna, non fa neppure più le privatizzazioni: è già esso stesso privatizzato. Essenzialmente, «non è al servizio dei cittadini e non li può rappresentare, bensì è al servizio dei suoi finanziatori, che lo usano come schermo e capro espiatorio per deresponsabilizzarsi dei mali che essi causano alle popolazioni nel perseguire i propri interessi e disegni globali». Per queste ragioni, il modello socioeconomico in atto è imposto senza alternative. «Il sovranismo, il populismo, il socialismo, la dottrina sociale della Chiesa, come ogni critica del suddescritto modello di potere monetario sulla politica, possono aver successo sul piano teorico, ma non hanno alcuna possibilità di affermarsi su quello politico e concreto», perché per farlo dovrebbero abbattere, su scala perlomeno continentale, «un sistema immensamente potente di interessi contrari».Consci di ciò, Salvini e di Maio, che erano partiti da posizioni incompatibili con alcuni aspetti (peraltro secondari) del sistema, «avvicinandosi al potere si sono ravveduti e allineati ideologicamente ad esso, dichiarandosi per l’euro, per l’Unione Europea e per la sua dottrina economica». Inutile illudersi che la politica – almeno, quella in campo oggi, con l’attuale offerta elettorale – possa davvero risollevare le sorti di un paese come l’Italia, da decenni costretto all’avanzo primario: lo Stato incamera con le tasse più soldi di quanti ne spenda per famiglie e aziende, in termini di servizi. Un siffatto sistema di dominio, conclude Della Luna, «potrà cadere solo per effetto di una rottura interna, oppure di una catastrofe globale climatica o geofisica o biologica o bellica». Ma la sua naturale evoluzione, che l’autore ha descritto nel saggio “Tecnoschiavi”, ormai procede «verso la tecnocrazia assoluta, zootecnica».«Le persistenti campagne istituzionali e mediatiche contro l’espressione di idee e sentimenti di odio, razzismo, nazismo, fascismo, stanno producendo effetti contrari a quelli dichiarati, cioè stimolano e confermano nella gente proprio quelle idee e quei sentimenti». Secondo Marco Della Luna, «la gente sembra percepire che si tratta di montature strumentali ed esagerazioni isteriche adoperate dalla casta e dai suoi ‘intellettuali’ per non parlare dei mali veri e presenti, di cui essa è responsabile: disoccupazione, impoverimento, continua perdita di efficienza, di prospettive, e i continui fallimenti di governanti incapaci e falsi». Per l’avvocato e saggista, autore di “Euroschiavi”, la causa di questi mali socio-economici italiani sta in alcuni precisi fattori di moneta e mercato: l’Italia è inserita in un sistema in cui, partendo da condizioni di svantaggio in quanto a debito pubblico e liquidità di sistema, deve competere con paesi più efficienti, con un cambio monetario bloccato (cioè senza poter svalutare la propria moneta per recuperare competitività), subendo un mercato commerciale non protetto da barriere doganali. Impossibile limitare la fuga di capitali, né concedere aiuti di Stato alle proprie industrie, tentate di vendersi agli stranieri o delocalizzarsi scappando all’estero.
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Vaccini, 130.000 bambini italiani esclusi da nidi e materne
A guidare la lista dei renitenti è la Puglia, l’unica Regione che abbia approntato un servizio di farmacovigilanza attiva per valutare l’effetto dei vaccini sul corpo dei neonati. Seguono Lombardia e Friuli, quindi Piemonte, Veneto e Toscana. Risultato: oltre 4 bambini su 100 sono stati esclusi dall’asilo o dall’asilo nido per effetto della legge Lorenzin, ratificata dalla pentastellata Giulia Grillo. Parlano i numeri dello “pseudopaper” redatto da un medico, Pier Paolo Dal Monte, animatore del blog “Il Pedante”. Chirurgo e gastroenterologo, il dottor Dal Monte ha raccolto i dati sull’obiezione vaccinale in Italia grazie ai genitori del comitato “Libertà di Scelta”, contrario all’obbligo vaccinale indiscriminato e favorevole alla libera scelta di far vaccinare i propri figli, valutando le singole vaccinazioni. Nel mirino è finito «il diritto all’istruzione pre-primaria», che oggi viene negato «ai bambini da zero a cinque anni». Esclusi, se non vaccinati, pur in assenza di emergenze sanitarie in corso: non si ha notizia, infatti, di epidemie pericolose per la salute. «La stima – scrive Dal Monte sul “Pedante” – ha prodotto un risultato di quasi 130.000 minori oggi esclusi “de iure” dalla possibilità di frequentare gli asili nido e le scuole d’infanzia». Centotrentamila: «Si tratta di un fenomeno che non ha precedenti, neanche lontani, nell’intera storia repubblicana e nazionale».Che la campagna pro-vaccini fosse destinata a incubare strascichi politici lo si è visto nei mesi scorsi, quando Beppe Grillo firmò insieme a Matteo Renzi il “patto per la scienza” promosso da Claudio Burioni: un documento surreale, che considera “scienza” solo le sicurezze dei vaccinisti e chiede addiritttura allo Stato di impedire la ricerca autonoma (violando in tal modo una fondamentale libertà costituzionale). Altro dato notevole: il silenzio assordante con cui i media accolsero l’iniziativa della Puglia, dove il presidente Michele Emiliano, Pd, promosse una campagna di vigilanza attiva (con le famiglie contattate dai sanitari) per monitorare gli effetti dei vaccini polivalenti: 4 bambini pugliesi su 10 risultarono colpiti da reazioni avverse, con casi anche gravissimi. Oggi, Del Monte cerca di tirare le somme: in Puglia è stato escluso dal sistema scolastico il 6% della popolazione interessata (0-5 anni), ben 12.000 “inadempienti” su 187.000. Dati simili in Friuli Venezia Giulia, dove i bambini rimasti a casa sono 3.000 su 52.000 (il 5,7%) e in Lombardia (a casa oltre 17.000 bambini su 345.000, pari al 5%). Appena inferiori le cifre del Piemonte, dove hanno saltato l’asilo quasi 7.000 bambini su 195.000 (il 2,9%). A seguire ci sono il Veneto (2,9%) e Toscana (2,8), dove sono rimasti esclusi dalle scuole dell’infanzia rispettivamente quasi 7.000 bambini su 232.000, e 3.600 piccoli su 129.000.In totale, non ha potuto frequentare il nido o la scuola dell’infanzia il 4,42% degli aventi diritto, precisamente 127.291 bambini (di cui 60.724 esclusi dal nido e 66.567 dalla materna). «Sono tantissimi i motivi per cui questo numero dovrebbe sbalordire», scrive Dal Monte, e il primo di questi è che la cosa «non sbalordisce nessuno». E spiega: il fenomeno è praticamente invisibile, sui media. «Già il fatto di averlo dovuto indovinare da pochi e reticenti trafiletti di giornale, e non da statistiche ufficiali, tradisce il tentativo delle autorità di nascondere l’enormità di ciò che sta avvenendo». Il medico la considera «un’aggressione immotivata o almeno gravemente controversa ai diritti di un centinaio di migliaia di cittadini, oltretutto i più fragili». Per giunta si tratta di «un tentativo evidentemente ben riuscito, se queste masse di sub-cittadini non approdano sulle prime pagine o nel dibattito istituzionale se non nei termini diminutivi, paternalistici e denigratori di sparute frange di disinformati da rieducare alla “ragionevolezza” e alla “scienza” per gli uni, di rumorosi fanatici ossessionati da un “falso problema” per gli altri». Un silenzio imbarazzante ha accompagnato le cattive notizie dal fronte vaccinale: 4.000 militari italiani gravemente malati (e 1.000 già morti, anche a causa di vaccini somministrati incautamente, secondo i medici della commissione parlamentare difesa) e vaccini “sporchi” o inefficaci, secondo le analisi dell’ordine nazionale dei biologi.Sul tema, Pier Paolo Dal Monte ha scritto il libro-denuncia “Immunità di legge”, ovvero “i vaccini obbligatori, tra scienza al governo e governo della scienza” (Arianna editrice). La tesi: l’obbligo vaccinale, insieme alla collegata “condizionalità” dei diritti sociali, rappresenta «il banco di prova oggi più avanzato di un attacco combinato alla democrazia». Un attacco ai cittadini, «irregimentandone non più le idee o i patrimoni, ma direttamente la sostanza fisica in cui esistono». E un attacci anche alla scienza, «con l’intimidazione delle voci dissonanti e la forzatura di un falso consenso». Dal Monte è allarmato: l’offensiva, avverte, «è solo agli inizi», e il suo dispositivo coercitivo «promette di estendersi ben oltre le punture contro le pustole». A due anni dal varo del decreto Lorenzin, «appare vieppiù stomachevole e osceno l’atteggiamento di una classe politica – tutta – intenta a sopire e troncare, a far passare per normale l’idea che all’improvviso si debbano medicalizzare, discriminare e perseguitare milioni di persone perché lo ha deciso la Casa Bianca, senza altro domandarsi». Fu infatti Obama a stabilire che l’Italia diventasse il paese-cavia, in Europa, della nuova sperimentazione vaccinale (che ha gonfiato il business di Big Pharma). Ma il dottor Dal Monte non si arrende: «Non se la caveranno così. La storia insegna che quando mancano buoni argomenti – come è questo il caso – movimenti di resistenza così numerosi si possono sconfiggere solo con la repressione e le purghe».A guidare la lista dei renitenti è la Puglia, l’unica Regione che abbia approntato un servizio di farmacovigilanza attiva per valutare l’effetto dei vaccini sul corpo dei neonati. Seguono Lombardia e Friuli, quindi Piemonte, Veneto e Toscana. Risultato: oltre 4 bambini su 100 sono stati esclusi dall’asilo o dall’asilo nido per effetto della legge Lorenzin, ratificata dalla pentastellata Giulia Grillo. Parlano i numeri dello “pseudopaper” redatto da un medico, Pier Paolo Dal Monte, animatore del blog “Il Pedante”. Chirurgo e gastroenterologo, il dottor Dal Monte ha raccolto i dati sull’obiezione vaccinale in Italia grazie ai genitori del comitato “Libertà di Scelta”, contrario all’obbligo vaccinale indiscriminato e favorevole alla libera scelta di far vaccinare i propri figli, valutando le singole vaccinazioni. Nel mirino è finito «il diritto all’istruzione pre-primaria», che oggi viene negato «ai bambini da zero a cinque anni». Esclusi, se non vaccinati, pur in assenza di emergenze sanitarie in corso: non si ha notizia, infatti, di epidemie pericolose per la salute. «La stima – scrive Dal Monte sul “Pedante” – ha prodotto un risultato di quasi 130.000 minori oggi esclusi “de iure” dalla possibilità di frequentare gli asili nido e le scuole d’infanzia». Centotrentamila: «Si tratta di un fenomeno che non ha precedenti, neanche lontani, nell’intera storia repubblicana e nazionale».
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Petizione: la Gruber è faziosa, va cacciata da Otto e mezzo
«Non si permetta, io non dico sciocchezze!». L’ultima a protestare è Giorgia Meloni, che si è sentita presa a sberle in trasmissione, insolentita da Lilli Gruber. Il sulfureo Vittorio Feltri definisce la conduttrice di “Otto e mezzo” con poche parole: «Capace di dirigere con grande abilità un programma brutto, un ring dove non vince il più forte bensì il più cafone». Lilli Gruber? Sa anche prodursi in «qualcosa di disgustoso e fuori dalle elementari regole del giornalismo», sentenzia il mitico direttore di “Libero”. Perché allora non chiedere che cambi mestiere, la navigatissima giornalista di origine altoatesina che esordì al Tg2 nell’era Craxi? Facile a dirsi, ma la Lilli nazionale «ottiene buoni ascolti», aggiunge Feltri: «E Cairo, il padrone de “La7”, gongola». Tra chi non rinuncia alla speranza di vedere la televisione italiana “bonificata” dall’invadente presenza della Gruber c’è Marco Moiso, pubblicitario londinese, vicepresidente del Movimento Roosevelt. «Lilli Gruber – scrive, nel testo di una petizione su “Change.org” – non sembra essere in grado di fare il mestiere della giornalista in maniera obiettiva ed equanime». L’accusa: «Il suo stile di giornalismo, giudicato fazioso (e strumentale all’agenda politico-finanziaria neoliberista), offende troppe persone per poter continuare ad avere uno spazio importante come quello di “Otto e Mezzo”».
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Franceschetti: Salvini e il Conte-bis, tra Gurdjieff e le stelle
Salvini che baciava il rosario, nei comizi per le europee, già sapendo che il vero potere stava cercando di stritolarlo, facendo collassare l’ambiguo e tiepido governo gialloverde? «Difficile capire cosa stupisce, con questo Conte-bis», premette l’avvocato Paolo Franceschetti, solitario indagatore di tanti misteri italiani. Dal 1947 ad oggi – scrive, sul blog “Petali di Loto” – l’Italia ha sempre avuto governi deboli: «Erano una sorta di armata Brancaleone, che per governare richiedeva improbabili alleanze», coalizioni instabili che infatti «si sfaldavano dopo qualche mese», pur restando in ogni caso fedeli alla rigida “agenda” imposta dal potere superiore, sovrastante il perimetro nazionale. «Il governo più lungo del nostro paese è stato quello di Berlusconi, nato con l’alleanza della Lega, che tramite il suo leader di allora, Bossi, aveva dichiarato: “Mai più con la porcilaia fascista”». Oggi, constata Franceschetti, si ripete lo stesso copione di sempre: «Ovvio che questa maggioranza durerà poco e sarà piena di dissidi interni che indeboliranno ulteriormente sia il 5S che il Pd. E qualora si andasse a future elezioni, Salvini sarà ancora più forte e probabilmente stravincerà ovunque. A meno che, ovviamente, non si faccia un nuovo governo tecnico, dato che anche questa è una consuetudine della nostra politica».Franschetti allarga lo sguardo oltre l’autismo mediatico nazionale: «Mentre noi discutiamo con modalità sempre identiche di quello che succede in politica, il mondo va sempre uguale. La Cina (di cui non parla nessuno) continua a comprare pezzi di Italia. I bambini continuano a sparire nel nulla. La magistratura continua a condannare piccoli spacciatori e stalker, e non fa nulla contro i reati più gravi, quelli contro l’economia e l’ambiente». Motivo? «Non serve cambiare qualche poltrona politica, se centinaia di migliaia di politici, amministratori, burocrati, magistrati e poliziotti sono sempre gli stessi, e hanno quasi tutti gli stessi comportamenti, salvo alcune mosche bianche, prontamente sostituite e messe da parte, boicottate e osteggiate, da decenni se non da secoli». Spettacolo sconfortante: «Leggendo le cronache dell’antica Roma vedo gli stessi meccanismi di oggi», puntualmente riproposti anche «dalle cronache del medioevo». Nel libro “Frammenti di un insegnamento sconosciuto”, l’esoterista greco-armeno Georges Ivanovič Gurdjieff, poi stabilitosi in Francia, parla del conflitto allora in corso, la Prima Guerra Mondiale. In proposito, rileva Franceschetti, Gurdjieff dice una cosa che è sempre valida per ogni momento storico: «Le masse si comportano in modo sempre identico, e non c’è possibilità per loro di agire diversamente».«L’uomo è una macchina», afferma Gurdjieff: «Tutto quello che fa, tutte le sue azioni, parole, pensieri, sentimenti, convinzioni, opinioni, abitudini, sono i risultati di influenze esteriori e impressioni esteriori». Si può fermare la guerra? L’autore della domanda è l’allievo Piotr Demianovič Ouspenski, poi redattore del libro. «No, non si può», risponde il maestro: «La guerra è un risultato di influenze planetarie, e l’uomo reagisce meccanicamente ad esse». Aggiunge: «L’unica via di uscita da queste situazioni è la via spirituale». Secondo Franceschetti, «questo concetto può applicarsi a qualunque evento della storia umana, ed è uno dei motivi – racconta – per cui, di recente, il mio interesse principale va all’astrologia». Prima di approdare allo studio della disciplina astrologica, Franceschetti si era distinto nell’indagine sul fenomeno, patrticolarmente inquietante, dei cosiddetti “delitti rituali”, al quale non sarebbe estranea la cerchia più esclusiva di importanti settori del potere. Simboli, magia e religione. Messaggi in codice: come l’incendio che a Parigi ha devastato la cattedrale di Notre-Dame, storico simbolo – templare – del “divino femminile”, ha spiegato sempre Franceschetti: «Non a caso, Notre-Dame non è dedicata alla Madonna, ma alla Maddalena».Proprio a Maria di Magdala – vera e propria super-discepola del futuro messia cristiano, secondo le fonti letterarie dei primi secoli – si è riferito recentemente Gioele Magaldi, nel sottolineare aspetti che il cattolicesimo ha messo in ombra, ma che emergono ad esempio da svariati Vangeli considerati apocrifi. Nella stessa occasione, una diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – Magaldi ha sottolineato come stranezza probabilmente “rivelatrice” i ripetuti accenni di Matteo Salvini alla Madonna, nell’ambito del ripetuto ricorso politico ai simboli religiosi, da più parti giudicato stucchevole e inaccettabile. Vieta superstizione, abuso della credulità popolare? O anche segnali in codice, dietro l’uso improprio della fede religiosa? E’ noto che il governo gialloverde è stato sabotato e abbattuto, infine, da Emmanuel Macron, sia pure con la complicità di Giuseppe Conte, Beppe Grillo, Matteo Renzi e l’oligarchia massonica europea più reazionaria. Meno note sono le accuse rivolte proprio a Macron proprio sul rogo di Notre-Dame: l’incendio del tetto della cattedrale, simbolo del templarismo “progressista”, starebbe a indicare l’inizio di una “guerra sporca”, sotterranea ma non troppo, contro chiunque si batta, in sede politica, per il ripristino della sovranità democratica. Sul tema, Franceschetti non mancherà di elaborare precise analisi, fondate sullo studio dei simboli che costellano determinanti eventi. E magari anche della relativa mappatura “zodiacale”, ora che l’autore del saggio “Alla ricerca di Dio, dalla religione ai maestri contemporanei”, ha inziato a occuparsi dello studio sistematico dell’astrologia.Salvini che baciava il rosario, nei comizi per le europee, già sapendo che il vero potere stava cercando di stritolarlo, facendo collassare l’ambiguo e tiepido governo gialloverde? «Difficile capire cosa stupisce, con questo Conte-bis», premette l’avvocato Paolo Franceschetti, solitario indagatore di tanti misteri italiani. Dal 1947 ad oggi – scrive, sul blog “Petali di Loto” – l’Italia ha sempre avuto governi deboli: «Erano una sorta di armata Brancaleone, che per governare richiedeva improbabili alleanze», coalizioni instabili che infatti «si sfaldavano dopo qualche mese», pur restando in ogni caso fedeli alla rigida “agenda” imposta dal potere superiore, sovrastante il perimetro nazionale. «Il governo più lungo del nostro paese è stato quello di Berlusconi, nato con l’alleanza della Lega, che tramite il suo leader di allora, Bossi, aveva dichiarato: “Mai più con la porcilaia fascista”». Oggi, constata Franceschetti, si ripete lo stesso copione di sempre: «Ovvio che questa maggioranza durerà poco e sarà piena di dissidi interni che indeboliranno ulteriormente sia il 5S che il Pd. E qualora si andasse a future elezioni, Salvini sarà ancora più forte e probabilmente stravincerà ovunque. A meno che, ovviamente, non si faccia un nuovo governo tecnico, dato che anche questa è una consuetudine della nostra politica».
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Magaldi: il coraggio di una vera rivoluzione per il XXI secolo
Da Berlusconi in avanti, passando per Monti e soprattutto per Renzi, sono tutti piuttosto bravini a raccogliere il consenso, ma poi non sanno che farne: per impiegarlo in modo utile, e soprattutto mantenerlo, bisognerebbe operare con coraggio in direzioni precise – e questo non accade. Se oggi si può avere coraggio senza rischiare la vita, come invece Olof Palme e Thomas Sankara, è perché si è seduti sulle spalle di questi giganti: loro sono stati assassinati, ma le loro idee sono qui, pronte per essere usate. Un governo italiano che avesse davvero coraggio e determinazione dovrebbe dire, agli altri paesi e alle istituzioni Ue: in democrazia si parte da una Costituzione e da politiche unitarie, e questo oggi in Europa non c’è. Quindi: o avviamo una fase costituente di questo tipo, tenendo conto del fatto che il modello dell’austerità neoliberista ha fallito miseramente, oppure – se i partner non ci stanno – l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei e inizia a organizzare in modo diverso la propria società, auspicando in tutte le sedi possibili un processo costituzionale e federativo. Non è molto difficile né da dire né da spiegare alla pubblica opinione. Per farlo, però, bisogna appunto avere quel coraggio che hanno avuto personaggi come Rosselli, Palme e Sankara.Coraggio che manca ai nostri politicanti di oggi, tutti preoccupati di abbaiare e di litigare per avere qualche percentuale irrisoria in più alle elezioni europee. Ma poi – una volta al potere – si limitano a vegetare, facendo i propri affari, dimenticandosi di quello che avevano promesso per raccogliere il consenso elettorale. Palme e Sankara sono stati assassinati quando il neoliberismo non voleva ostacoli davanti a sé, nemmeno ideologici, e men che meno da parte di statisti influenti e capaci di bloccare quello che doveva accadere all’inizio degli anni ‘90. Oggi, soffiare sul fuoco della violenza per fermare una rivoluzione anti-neoliberista non appare più una soluzione percorribile, per tante ragioni. C’è ormai una platea di cittadini, in Italia e nel mondo, che vedono ormai con chiarezza quello che non funziona. Tutti i politici che parlano di cambiamento, e poi si dimostrano essere dei bluff, ci mettono poco a essere sbugiardati dal corpo elettorale.Paolo Becchi, già ideologo dei 5 Stelle, oggi – con il libro “Italia sovrana” – si presenta come ideologo di un nuovo sovranismo, interessante nella sua declinazione intellettuale: la contrapposizione tra globalismo e sovranismo. Ma una volta scelto il sistema, globale o nazionale, poi tutto cambia se viene gestito con presupposti neoliberisti o keynesiani, post-democratici o democratici, liberal-conservatori o social-liberali. Di quale ideologia e cultura politica vogliamo nutrire il nostro futuro, nel XXI secolo? Quella dell’inganno neoliberista, secondo cui socialismo e liberalismo sono antitetici, e quella dell’inganno neoaristocratico, secondo cui basta servire su un piatto ai cittadini la ritualità della democrazia, dimenticando la sostanza? Oppure vogliamo richiedere un’idea equilibrata di gestione delle nostre società, nella quale il libero mercato e lo stesso capitalismo non siano demonizzati, ma trovino una complementarità nelle istanze sociali, cioè in un socialismo che è fatto di integrazioni, contrappesi e di una ritrovata autorevolezza di ciò che è pubblico?Pubblico e privato non sono antitetici. La narrazione neoliberista è stata all’insegna della svalutazione di ciò che è pubblico e statuale, della lentezza dei processi democratici rispetto all’esigenza di trattare la cosa pubblica come un’azienda che produce efficienza e profitti. Il mondo della libera impresa, che è storicamente collegato all’affermarsi delle democrazie, è un mondo diverso da quello della sfera pubblica, dove il core business non è la produttività in senso economicistico, bensì quella rete di servizi sociali, civili e materiali, infrastrutturali, che consente lo sviluppo di una vita felice, equilibrata. Le istituzioni pubbliche sono adatte a offrire un’uguaglianza delle opportunità, distinguendosi così dalle (giuste) leggi competitive del libero mercato. Le istituzioni pubbliche parlano di cooperazione, non di competitività.Il Movimento Roosevelt intende offrire un orizzonte ideologico nuovo, da abitare, per i cittadini del XXI secolo. Serve una rivoluzione culturale, perché non basta una semplice riforma dell’esistente. C’è bisogno di affrontare, pacificamente ma in modo deciso e forte, tutta una serie di poteri che non gradiscono questa conversione verso la democrazia sostanziale. La globalizzazione in atto è un processo che offre, piano piano, una disabitudine alla democrazia. E le contrapposizioni violente – su scala locale e internazionale – servono proprio a impedire un approccio di pace e armonia sociale. Quelli come noi vogliono costruire un orizzonte di eliminazione del conflitto sociale, attraverso una compesazione per le diseguaglianze prodotte dal mercato: va bene la disparità generata dal merito individuale, ma in cambio bisogna offrire a tutti i cittadini del globo gli elementi di base che consentono di avere un progetto di vita dignitoso. E’ una cosa che sembra semplice, ma in realtà oggi è rivoluzionaria. Esiste una nuova ideologia, il socialismo liberale, declinabile anche da angolazioni politiche diverse. E l’Italia può fare con orgoglio quello che ha già fatto nei secoli passati: offrire per prima una pietanza politico-culturale e ideologica agli altri popoli, agli altri paesi.Dall’Italia sono sempre partite le primizie – buone e cattive – che poi hanno influenzato il resto del mondo: la civiltà giuridica promana da Roma, l’universalismo giuridico viene dall’Italia romanizzata. E non dimentichiamo la lezione del Rinascimento, una sorta di manifesto ideologico-culturale che diventò poi storia concreta, trasformando le istituzioni e il modo stesso di concepire la realtà. Quel grande italiano che fu Giovanni Pico della Mirandola, con la “Oratio de hominis dignitate” costruì una nuova antropologia: l’antropologia dell’uomo artista, mago e scienziato, che non si limita a chinare il capo come creatura peccaminosa, bisognosa di redenzione, che quindi non ardisce conoscere e mettersi in rapporto dialettico con la natura. Da lì nasce l’idea dell’uomo che può trasformare le cose – la società, la natura stessa. Poi c’è il Risorgimento: i nostri eroi risorgimentali erano presi a modello in tutto il mondo, da popoli che anelavano all’autodeterminazione.C’è stato anche il fascismo, naturalmente: altra primizia italiana. Una dottrina post-democratica e di fatto neoaristocratica, tuttavia affascinante per i tanti che si lasciarono influenzare da quella che – per me, che sono fieramente democratico – non è che una perversione. Siamo orogliosi di essere italiani, senza che questo ci spinga a pensare che abbia davvero un futuro la contrapposizione tra sovranismo e globalismo. Sto molto apprezzando il libro di Paolo Becchi, “Italia sovrana”, e il senso in cui lui parla di sovranismo. Però credo che la sfida vera sia quella di “glocalizzare” la democrazia, uscendo da questo film che contrappone i nazionalismi alle oligarchie globali, come se globalizzare i rapporti fosse per ciò stesso sinonimo di diminuzione della democrazia. Io credo piuttosto che si possano globalizzare anche i diritti universali. Ma come fare, se non si ha una visione globale di questi diritti, e se ciascuno si preoccupa soltanto di recuperare la sovranità del proprio Stato e del proprio popolo?Alla fine, questo è un nazionalismo non aggressivo, teso a sottrarre alle oligarchie apolidi il controllo della moneta, dell’economia, della società e delle istituzioni. Ma come possiamo però immaginare un XXI secolo in cui non ci curiamo di tanti territori, dove le popolazioni non sono mai nemmeno passate per processi democratici?In fondo, anche il processo risorgimentale italiano metteva insieme più Stati e staterelli coi propri usi, tradizioni, dialetti e lingue. Eppure c’era un sentimento di italianità che univa tutti. Ma la lingua italiana era quasi artificiale, creata per unire popoli che parlavano lingue diverse, e si è affermata definitivamente solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, grazie alla Rai. Il Movimento Roosevelt è convinto che l’Italia possa insegnare molto a molti, e che l’orgoglio patriottico (non nazionalistico) del nostro paese possa essere un fattore coesivo, per una proposta politico-culturale convincente.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella video-chat su YouTube del 6 maggio 2019. Presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi ripercorre le tappe di quella che chiama “rivoluzione rooseveltiana”: dopo il convegno a Londra il 30 marzo sul New Deal keynesiano di cui avrebbe bisogno l’Europa, è seguita l’assise milanese del 3 maggio sul socialismo liberale, in omaggio a Rosselli, Palme e Sankara. Il 14 luglio, a Roma, lo stesso Magaldi sarà tra i promotori del “Partito che serve all’Italia”, cantiere politico per offrire un’alternativa agli elettori, superando le timidezze del governo gialloverde, incapace di opporsi al paradigma neoliberista del rigore Ue).Da Berlusconi in avanti, passando per Monti e soprattutto per Renzi, sono tutti piuttosto bravini a raccogliere il consenso, ma poi non sanno che farne: per impiegarlo in modo utile, e soprattutto mantenerlo, bisognerebbe operare con coraggio in direzioni precise – e questo non accade. Se oggi si può avere coraggio senza rischiare la vita, come invece Olof Palme e Thomas Sankara, è perché si è seduti sulle spalle di questi giganti: loro sono stati assassinati, ma le loro idee sono qui, pronte per essere usate. Un governo italiano che avesse davvero coraggio e determinazione dovrebbe dire, agli altri paesi e alle istituzioni Ue: in democrazia si parte da una Costituzione e da politiche unitarie, e questo oggi in Europa non c’è. Quindi: o avviamo una fase costituente di questo tipo, tenendo conto del fatto che il modello dell’austerità neoliberista ha fallito miseramente, oppure – se i partner non ci stanno – l’Italia sospende la vigenza dei trattati europei e inizia a organizzare in modo diverso la propria società, auspicando in tutte le sedi possibili un processo costituzionale e federativo. Non è molto difficile né da dire né da spiegare alla pubblica opinione. Per farlo, però, bisogna appunto avere quel coraggio che hanno avuto personaggi come Rosselli, Palme e Sankara.
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Salvini è al top ma rischia: non ha una visione per il futuro
Avanti il prossimo. Giù nella scarpata ci sono le icone semoventi di Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi, per dire solo dei più noti e dei più recenti. Ora il primo in alto, davanti al precipizio, nel cono di luce, è Matteo Salvini e tutti gli occhi sono puntati su di lui e sull’orologio che segna il suo tempo, per vedere quanto dura, se ci sono segni e scricchiolii sinistri, se comincia a scivolare pure lui nel burrone. È inesorabile la macchina dell’oblio e del rigetto che macina leader, li brucia, li consuma e poi li vomita, li spara in cielo e poi ricadono in terra, per una misteriosa forza di gravità che coincide con la precarietà, tramite overdose. La parabola dei leader è veloce, la loro esposizione mediatica è la causa del loro folgorante successo e pure del loro precipitoso declino. È una legge inesorabile della politica senza fondamenti, della leadership emozionale. La cosa più terribile è che non lasciano traccia, le scie dei rimpianti durano poco e poi restano a una minoranza scarsa, sempre più scarsa. È irripetibile il loro momento d’oro, le stesse cose che una volta conquistavano consensi e perfino entusiasmi, diventano a un certo punto insopportabili cliché; basta, non ne possiamo più di quel repertorio, quella faccia, quella voce. A volte fiducie immeritate si risolvono in sfiducie esagerate. Ma quando entri nel ciclo dei consumi mediatici di leader e di parole, tutto è liquido meno la legge che governa il ciclo, che invece è ferrea, inesorabile.Salvini rischia grosso a questo punto, e gli va detto anche – e vorrei dire soprattutto – da chi pensa che, al momento, sia il leader preferibile, migliore, o “meno peggio”. Ha raggiunto il tetto dei consensi virtuali e della condivisione, per la sua capacità di intrecciare messaggi a forte valenza simbolica, linee largamente condivise di una ideologia emozionale, capitalizzando l’odio che converge contro di lui. L’odio polarizza, genera spartiacque tra chi detesta e chi ama o finisce con l’amare il leader detestato, offeso, massacrato. Salvini usa bene l’effetto di ritorno dell’odio che raccoglie, in un’operazione martirio che in un paese di derivazione cattolica funziona sempre. Salvini parla chiaro e dice quel che la gente vuol sentirsi dire, offre obbiettivi simbolici, non potendo offrire grandi risultati pratici. E riesce a far giungere alla gente un messaggio: io vorrei realizzare quella rivoluzione che voi aspettate e che vi ho promesso, ma non ho i numeri per farlo, ho un alleato che non è d’accordo, anzi mi ostacola. Ergo, datemi più forza ed io sarò in grado di farlo. Dunque riesce a coltivare il malessere presente, l’onda d’indignazione verso la sua demonizzazione, ma anche l’orizzonte d’attesa della gente.Ma poi avviene un passaggio misterioso, repentino, dapprima implicito e poi clamoroso, e il sostegno inverte direzione. Accadde a Matteo Renzi e tutti lo citano come il Precedente da Manuale. Qui le interpretazioni divergono: ci sono quelli che catalogano gli errori compiuti da Renzi per spiegarne il cambiamento di fortuna, così radicale e così repentino; e ci sono quelli che invece sostengono l’ineluttabilità della legge che governa i media, il potere e le opinioni della gente; quella fatale, inarrestabile parabola da cui è impossibile sottrarsi. Tra le due versioni propendo per una soluzione-matrioska: la prima spiegazione, specifica e personale, è dentro l’altra, generale se non epocale. Nell’epoca dell’effimero tutto è effimero, nell’epoca dei consumi tutto è oggetto di consumo, nell’epoca del presente assoluto e tirannico, tutto passa in fretta e diventa passato. Ma questa considerazione di ordine generale non può consegnarci al puro fatalismo dell’abbandono. Allora provo a dire: ma non è che il problema è la stoffa di cui sono fatti questi leader, ovvero il materiale di cui sono composti i loro successi? Non si presentano, sin dall’inizio, con la loro forza-limite di cavalcare l’onda emotiva del momento come yogurt con la scadenza scritta sulla fronte?E allora implicito viene il suggerimento: e se qualcuno provasse la via diversa, se uno provasse a far seguire agli appelli estemporanei i disegni duraturi, se qualcuno provasse a lasciar traccia ad agire non solo sulla cresta dell’onda ma in profondità? So quanto sia difficile, in un’epoca del genere, e so quanto sia veramente ardito riuscire a usare l’appeal dell’istantaneo emotivo come una buccia che però protegge un midollo di sostanza. Ma è l’unica possibilità di non finire rapidamente e inopinatamente di proiettarsi nel futuro e di restare in piedi. Legarsi a idee, temi, prospettive che non passano. Temi grandi, decisivi, epocali e culturali, che riguardano le civiltà, i popoli, la storia, la forza delle idee e le cose che durano. Scommessa difficile ma è l’unica che si può opporre alla rapida obsolescenza della merce-leader. Pensaci Salvini, anche se sei stretto tra le elezioni europee, l’Iva, il marasma e l’assedio generale. Pensaci, anche se ti trovi tra un alleato presente che è il concorrente futuro e un alleato passato che vuol farsi futuro. Sei lì, in alto, il primo sulla vetta, e ricevi spinte da dietro e incitazioni dal basso. Difficile restare lì a lungo, bisogna cambiar gioco, cambiare posizione, muoversi a lato, guardare in alto. Pensaci, Matteo, se ne sei capace.(Marcello Veneziani, “Salvini è all’apice ma davanti al burrone”, da “La Verità” del 19 aprile 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).Avanti il prossimo. Giù nella scarpata ci sono le icone semoventi di Silvio Berlusconi, Beppe Grillo, Matteo Renzi, per dire solo dei più noti e dei più recenti. Ora il primo in alto, davanti al precipizio, nel cono di luce, è Matteo Salvini e tutti gli occhi sono puntati su di lui e sull’orologio che segna il suo tempo, per vedere quanto dura, se ci sono segni e scricchiolii sinistri, se comincia a scivolare pure lui nel burrone. È inesorabile la macchina dell’oblio e del rigetto che macina leader, li brucia, li consuma e poi li vomita, li spara in cielo e poi ricadono in terra, per una misteriosa forza di gravità che coincide con la precarietà, tramite overdose. La parabola dei leader è veloce, la loro esposizione mediatica è la causa del loro folgorante successo e pure del loro precipitoso declino. È una legge inesorabile della politica senza fondamenti, della leadership emozionale. La cosa più terribile è che non lasciano traccia, le scie dei rimpianti durano poco e poi restano a una minoranza scarsa, sempre più scarsa. È irripetibile il loro momento d’oro, le stesse cose che una volta conquistavano consensi e perfino entusiasmi, diventano a un certo punto insopportabili cliché; basta, non ne possiamo più di quel repertorio, quella faccia, quella voce. A volte fiducie immeritate si risolvono in sfiducie esagerate. Ma quando entri nel ciclo dei consumi mediatici di leader e di parole, tutto è liquido meno la legge che governa il ciclo, che invece è ferrea, inesorabile.
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Rai e cultura restano al Pd: nessuno “racconta” i gialloverdi
Ma dov’è la rivoluzione culturale di un governo che si è presentato come una svolta radicale rispetto all’establishment, alle “élite” e ai poteri precedenti? Dieci mesi sono pochi per cambiare ma sono abbastanza per indicare una direzione, per delineare almeno un’intenzione, l’avvio di un nuovo percorso. E invece non s’intravede l’accenno di un inizio. Né sul piano delle idee e dei programmi né sul piano degli uomini e dei criteri di selezione. Totale continuità, piatta prosecuzione dell’ancien régime, conformità al politically correct, permanenza dell’egemonia culturale precedente. Vedete la Rai, vedete le istituzioni e i luoghi della cultura, vedete il clima generale. Come già accadde al tempo del centro-destra, oltre l’ossequio formale al governo in carica, magari l’intervista-marchetta al leader di turno e il trattamento di favore ad personam ai personaggi governativi, la narrazione generale è sempre la stessa, gli uomini che la somministrano sono pressoché gli stessi, i criteri e le priorità sono rimasti invariati. Nei telegiornali la musica non è cambiata, l’impostazione è la stessa.Sembra che al Tg1 il carneade che ne ha assunto la guida vada a lezioni private dal predecessore. Ad eccezione del Tg2 diretto da Gennaro Sangiuliano, sembra che tutto sia rimasto invariato in tutte le testate, a partire dalla linea, salvo lo spazio inevitabile alle iniziative del governo e un minuto di celebrità ai suoi esponenti. Il linguaggio è lo stesso e la suddivisione degli spazi risulta sbilanciata ancora a favore della sinistra: in generale le voci filogovernative vengono di solito sommerse e doppiate dal coro invariante e polemico delle opposizioni. In media: due opinioni governative contro quattro antigovernative. La formula è stanca e si ripete in modo meccanico, le dichiarazioni dei microfonisti di partito suonano come nenie e mantra, testi imparati a memoria da foche ammaestrate. Non diverso è il clima che si respira nelle reti televisive, dove l’immagine della Rai resta ancorata a personaggi-simbolo, come Fabio Fazio che cercando il martirio ha perfino aumentato le dosi del suo sinistrismo becero e untuoso per rimarcare la sua gloriosa opera di Dissidente Eroico, pagato pochi milioni di euro per dire, fare, invitare tutto ciò che è contrario a quel che dice, pensa e fa l’opinione “salviniana” oggi prevalente in Italia.Ma il coro resta lo stesso ed è linciaggio se qualcuno osa dire qualcosa di buon senso, come per esempio, restituire la compagnia di giro della sinistra televisiva a un suo canale dedicato, come era RaiTre, evitando lo sconfinamento che ferisce la maggioranza degli utenti non allineati al loro catechismo. Pagano un canone e non vogliono subire un canone ideologico. Ma il discorso sulla Rai fa il paio con le istituzioni culturali rimaste invariate nei loro assetti. Un esempio tra tanti, la Dante Alighieri in cui è stato confermato il fondatore della comunità di sant’Egidio ed ex-ministro dei governi di sinistra, Andrea Riccardi; ma la stessa cosa accade nelle direzioni dei musei e degli istituti culturali in Italia e all’estero, rimasti d’impronta renziana e franceschiniana, o all’Enciclopedia italiana, il cui direttore generale, il dalemiano Massimo Bray, è anche presidente della Fondazione per il Libro, la Musica e la Cultura. Per non dire del ruolo dell’Anpi e di altri organismi politicamente orientati a sinistra nelle scuole, nelle istituzioni pubbliche e nelle ricerche finanziate con denaro pubblico.Non basta l’egemonia culturale nelle università o nell’editoria, i festival del libro, gli organismi culturali ma anche ciò che dipende direttamente dal governo, resta tutto invariato. Certo, alcuni ruoli non sono in scadenza, altri non dipendono direttamente dal governo, ma tutto resta come prima. Qualcosa faticosamente si muove a livello locale, ma la spiegazione di questa diversità è semplice: nei governi locali non ci sono i grillini che sono il cavallo di troia del politically correct, i portatori sani di cultura radical-progressista. Oltre l’acquiescenza e la complicità dei grillini quali sono i motivi di questa neutralità o remissività sul piano culturale? Paura di attacchi e quieto vivere; ignoranza della materia; assenza di nomi e conoscenze alternative; penuria di visione culturale, di strategia e lungimiranza. Non capiscono, i governativi, che nessuna rivoluzione sarà mai possibile se non parte e non passa dalle idee, dai luoghi chiave in cui si forma e si stratifica il consenso, dai messaggi, dalla cultura e dalla mentalità.Pensare di cambiare un paese solo a colpi di tweet e boutade, appelli di pancia e grandi annunci di leggi e riforme, senza nessun racconto, nessuna profonda trasformazione, nessun cambiamento di verso e di simboli, è una puerile, rovinosa illusione. Così facendo e persistendo, passeranno senza lasciar traccia quando il vento cambierà e gli umori si sposteranno su altri temi e altre facce. Non è bastata la lezione del centro-destra che non ha lasciato eredità di alcun tipo sul piano culturale-istituzionale? Tutto questo accade mentre Zingaretti e gli altri esponenti della sinistra, con sprezzo del ridicolo, continuano a denunciare la spartizione dei posti e l’occupazione vorace delle poltrone da parte del governo. Col supporto e la risonanza della stampa e propaganda fiancheggiatrice. Se lo occupano loro è norma, se lo fanno gli altri è anomalia. Ma il ridicolo è che nemmeno lo fanno, e restano quasi dappertutto le tanto detestate “élite” del precedente establishment. Accusati di spartirsi le poltrone che restano saldamente sotto i glutei sinistri…(Marcello Veneziani, “La rivoluzione apparente”, da “La Verità” del 4 aprile 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Ma dov’è la rivoluzione culturale di un governo che si è presentato come una svolta radicale rispetto all’establishment, alle “élite” e ai poteri precedenti? Dieci mesi sono pochi per cambiare ma sono abbastanza per indicare una direzione, per delineare almeno un’intenzione, l’avvio di un nuovo percorso. E invece non s’intravede l’accenno di un inizio. Né sul piano delle idee e dei programmi né sul piano degli uomini e dei criteri di selezione. Totale continuità, piatta prosecuzione dell’ancien régime, conformità al politically correct, permanenza dell’egemonia culturale precedente. Vedete la Rai, vedete le istituzioni e i luoghi della cultura, vedete il clima generale. Come già accadde al tempo del centro-destra, oltre l’ossequio formale al governo in carica, magari l’intervista-marchetta al leader di turno e il trattamento di favore ad personam ai personaggi governativi, la narrazione generale è sempre la stessa, gli uomini che la somministrano sono pressoché gli stessi, i criteri e le priorità sono rimasti invariati. Nei telegiornali la musica non è cambiata, l’impostazione è la stessa.
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Perdo dunque esisto, senza futuro la fiction della Basilicata
“Quando ti rendi conto di aver perso anche la Basilicata”: impietosa, la titolazione di “Scenari Economici” dopo l’esito delle regionali in Lucania. Senza anestesia anche il collage fotografico, dagli studi de La7 parati a lutto: parlano da sole le maschere funebri di Mentana e Damilano, più altri aedi minori del politicamente corretto, il mondo pre-gialloverde su cui il maninstream aveva fondato per decenni la leggenda del centrosinistra, creatura mitologica teoricamente opposta all’altrettanto mitologico centrodestra. Due esemplari estinti, come il dodo, ma tenuti in vita artificialmente dalla narrazione politica quotidiana. Zoologia fantastica, ora riesumata ma solo per un giorno, a scopo ludico-giornalistico, come una fiction mediocre e abbondantemente scaduta: il vintage di una Seconda Repubblica più virtuale che reale, palesemente defunta, stra-rottamata dagli elettori. Il centrodestra versione 2019? Dev’essere un giochino per la playstation: il videogame del vecchio Silvio, l’highlander. Ma la finta concorrenza, se possibile, è ancora più surreale: chi se lo ricordava, il centrosinistra? Eppure dev’essere esistito veramente, da qualche parte, se oggi si legge che “ha perso anche la Basilicata”.A questo è dunque servita l’ultima tornata regionale, a riesumare la memoria: il fiabesco invertebrato, riverniciato di fresco dal tenace carrozziere Zingaretti, un tempo ebbe vita propria almeno sul piano dell’apparenza mediatica, corroborato nei fatti dalla piccola geografia pensinsulare delle poltrone. Non che sia meno grottesca quella del volenteroso neo-presidente insediato a Potenza, l’ex generale della Guardia di Finanza scelto dall’omino della playstation: gli piacerebbe riunire in modo spettacolare, in una convention “made in Sud”, la famigliola dispersa – nonno Silvio e l’enfant terrible Matteo, insieme all’ornamentale Giorgia. Per fare cosa? Ovvio: per ricordare agli affezionati, agli appassionati cultori di storia patria (spazzatura inclusa), che un tempo esistette – regolarmente registrato all’anagrafe politica – anche il leggendario centrodestra, uscito dalle catacombe della Prima Repubblica e riformattato ad Arcore. L’esperimento vide la luce grazie a un prodigioso lifting, spettacolare e meno casereccio di quello del centrosinistra, l’animalone altrettanto tombale nato dalla clonazione di individui a loro volta ibernati, provenienti dalle retrovie delle parrocchie e dalla dirigenza transgenica del partito che aveva lasciato l’Urss, o almeno l’icona del comunismo storico, per transitare armi e bagagli nel peggior avamposto del campo nemico, ma senza dirlo ai propri elettori.Oltre che tra i Sassi di Matera (“perdo, dunque esisto”), il centrosinistra sembra sopravvivere – come venerata reliquia – almeno nello studio televisivo di Fabio Fazio, il conduttore che prima si genuflette di fronte al suo presidente (Macron) e poi celebra il party delle lacrime fondendo i giovanissimi Rami e Adam con i bravi carabinieri che li hanno salvati, nell’hinterland di Milano, dalla follia di un senegalese aspirante kamikaze. Nient’altro da segnalare, in fondo, eccetto il sontuoso video hollywoodiano (“citofonare Al Gore”, ha detto qualcuno) che mostra migliaia di giovanissimi intonare “Bella Ciao” in inglese, per la recita internazionale modellata sull’edificante storiella della piccola fiammiferaia Greta. Il resto è grisaglia: Cottarelli, Mattarella, l’ectoplasma di Tajani. Ce lo chiedeva l’Europa, eccetera. Guai a voi, anime prave: non isperate mai veder lo cielo. L’han ripetuto tutti, in questi anni, dalle divinità di Bankitalia a quelle della Bundesbank e della Bce, che poi in televisione sembrano avatar identici emanati dallo stesso pantheon. Apparizioni eteree, severissimi profeti dell’altrui sventura: qualcosa di amarissimo da somministrare, al volgo timorato, in virtù di misteriche conoscenze superiori, inaccessibili al comune mortale.Spenti i riflettori sull’inutile soap-opera lucana, in scena resta solo lo sceriffo Salvini, in compagnia del sorriso tirato e un po’ cinese di Di Maio. Niente di speciale, diranno i meno indulgenti – ma abbastanza, comunque, per convocare ad Aquisgrana il cast per uno spaghetti-western sul Sacro Romano Impero. Quanto ancora reggerà, il cerotto gialloverde, sulle piaghe di un’Italia deliberatamente retrocessa – con frode – dai numi dell’Olimpo tecno-totalitario? Non avrai altro Elohim all’infuori di me, tuonò la voce dal finto cielo. E così fu, per un buon quarto di secolo. Verità storica cercasi: c’è da riempire un cratere. Non ci sono alternative: un mantra bugiardo, spacciato per metafisico e durato venticinque anni. Il dogma nero, adottato da tutti – liberisti, sindacati, professori, anchorman – ha fatto morti e feriti, e ancora oggi diffonde rabbia e ostilità, innescando livide vendette. Il vero guaio, dicono voci eretiche come quelle di Gianfranco Carpeoro e Mauro Scardovelli, è che votiamo “contro”, ancora e sempre – contro qualcuno, non per qualcosa – senza capire che la nostra è l’animosità dei manzoniani capponi di Renzo, destinati ai fornelli.C’è da riempirlo di parole e idee, il vasto cratere spalancato dal meteorite neoliberale. Impresa estrema, alla portata di astronauti visionari. E il modulo spaziale chiamato Movimento Roosevelt sembra proiettato verso un altrove inafferrabile, in cerca di vita intelligente: a Londra, per esempio, dove il 30 marzo verrà allestita una stazione orbitale chiamata “New Deal per l’Europa”. A bordo saliranno gli economisti Rinaldi e Pisauro, Galloni e Grossi, la cosmonauta Ilaria Bifarini, lo start-upper Danilo Broggi, il fanta-imprenditore Fabio Zoffi. Missione: riempire il cratere, con istruzioni precise su come riacciuffare un futuro non virtuale, nel quale ci sia posto per tutti. E’ il futuro per il quale combatterono, e caddero, gli eroi che sempre il Movimento Roosevelt evocherà a Milano il 3 maggio: Carlo Rosselli e il sogno del socialismo liberale, Olof Palme e il sogno di un’Europa democratica e solidale, Thomas Sankara e il sogno di un’Africa libera e sovrana. Sono fondamentali, i sogni, per fabbricare qualcosa che non sia mediocre, scadente e deludente. “Sognai talmente forte”, cantava De André, “che mi uscì sangue dal naso”. Non si sogna più, oggi, in Italia e in Europa? Qualcuno, si sono detti gli astronauti, deve pur ricominciare a farlo. Perché tutto ciò che abbiamo, che abbiamo avuto, è venuto proprio da lì: dal coraggio dei sogni vissuti ad occhi aperti, che a volte finiscono per contagiare il mondo e liberarlo dal ciarpame che lo opprime. I sognatori questo credono: che un’alternativa ci sia sempre, in fondo al cuore di ognuno di noi, nessuno escluso.(Giorgio Cattaneo, “Perdo dunque esisto, l’inutile fiction preistorica della Basilicata e il viaggio nel futuro col Movimento Roosevelt a Londra, in cerca di vita intelligente”, dal blog del Movimento Roosevelt del 26 marzo 2019).“Quando ti rendi conto di aver perso anche la Basilicata”: impietosa, la titolazione di “Scenari Economici” dopo l’esito delle regionali in Lucania. Senza anestesia anche il collage fotografico, dagli studi de La7 parati a lutto: parlano da sole le maschere funebri di Mentana e Damilano, più altri aedi minori del politicamente corretto, il mondo pre-gialloverde su cui il maninstream aveva fondato per decenni la leggenda del centrosinistra, creatura mitologica teoricamente opposta all’altrettanto mitologico centrodestra. Due esemplari estinti, come il dodo, ma tenuti in vita artificialmente dalla narrazione politica quotidiana. Zoologia fantastica, ora riesumata ma solo per un giorno, a scopo ludico-giornalistico, come una fiction mediocre e abbondantemente scaduta: il vintage di una Seconda Repubblica più virtuale che reale, palesemente defunta, stra-rottamata dagli elettori. Il centrodestra versione 2019? Dev’essere un giochino per la playstation: il videogame del vecchio Silvio, l’highlander. Ma la finta concorrenza, se possibile, è ancora più surreale: chi se lo ricordava, il centrosinistra? Eppure dev’essere esistito veramente, da qualche parte, se oggi si legge che “ha perso anche la Basilicata”.
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Q-Anon: guerra segreta contro il Deep State, anche in Ue
Se è una fiaba, è bellissima. Infatti, testate come “Wired” e il quotidiano web “Next” di Enrico Mentana l’hanno già dichiarata una schifezza, nient’altro che una bufala. Stefano Fait, consulente strategico internazionale per aziende ed entità pubbliche, la prende sul serio. Si tratta di Q-Anon, sigla-fantasma che sta invadendo il web. Distilla informazioni spesso preziose, sempre esatte, precise, coerenti. Lo stile, dice Fait, è quello dell’intelligence militare Usa. Campo d’azione: guerra psicologica. Obiettivo: colpire e affondare il maledetto Deep State che ha globalizzato il capitalismo finanziario più predatorio, criminale e terrorista. Il piano: rovesciare l’élite neoliberista planetaria, che ha in pugno i grandi media. Non mi stupirei, dice Fait – intervistato da Fabio Frabetti a “Border Nights” – se domani si scoprisse che Trump, Putin e Xi-Jinping sono segretamente alleati, in questa operazione di portata epocale. Passaggi cruciali: le elezioni europee e poi le presidenziali americane, che Q-Anon prevede saranno precedute da una vigilia turbolenta e violentissima. In Europa, la bistrattata Italia gialloverde gioca il ruolo dell’ariete contro il sistema Ue-Bce. Immediata risposta francese, i Gilet Gialli: una regia unica. La rivolta in Francia, stranamente organizzatissima, è scattata dopo il fatale tweet di Trump: «Make France great again».Che cos’è Q-Annon? Il solito network di “whistleblower”, come Wikileaks? Non esattamente: Anonimo-Q sarebbe «un’intelligence mista, militare e civile», riassume “Border Nights” sul suo sito. «Un’unità speciale, cabina di regia congiunta all’interno di Nsa e Dia, rivali di Cia e Fbi». Struttura-ombra, che sarebbe stata creata nientemeno che da John Fitzgerald Kennedy, e che ora ne starebbe «vendicando la morte». Le informazioni trasmesse tramite forum selezionati (“4chan” e poi “8chan”, come Jackie Chan) sono «una via di mezzo tra codici da decifrare e moderne parabole in linguaggio sapienziale, come le potrebbero formulare esperti di intelligence militare». In sostanza, Q-Anon «dissemina idee e nozioni nelle coscienze delle persone, fungendo da catalizzatore cognitivo e spirituale, prima ancora che politico». Cosa vuole Q-Anon? «La graduale rimozione di una mafia globalizzata che ha preso il controllo di quasi tutte le nazioni-chiave del mondo, a partire dal sistema bancario», gestendo direttamente «traffico di esseri umani e di organi, traffico di armi e di droga, segreti industriali». Obiettivo finale: «La creazione di una cittadinanza consapevole e resiliente, che prevenga il ripetersi di questa mostruosità».Fondamentalmente, secondo Fait, assistiamo al passaggio di consegne del potere «dall’élite bancaria psicopatica o sociopatizzata a una nuova élite scientifico-militare», che per molti versi assomiglia a quella che governa “Tomorrowland”, la “terra di domani”, nell’omonimo film. Rischio: una volta preso il comando, i “buoni” potrebbero comportarsi esattamente come i “cattivi”, secondo lo schema orwelliano della “Fattoria degli animali”. Stefano Fait è consapevole del pericolo, ma si dichiara costretto a registrare l’avvento di Q-Anon come una realtà inedita e assolutamente credibile. «Mi occupo principalmente di decifrare il presente per anticipare il futuro per aziende e amministrazioni pubbliche», spiega. «Q-Anon coinvolge decine di milioni di persone in tutto il mondo. I maggiori quotidiani e le Tv internazionali ne parlano, celebrità citano le formule rituali nelle reti sociali. Non si può fingere che non stia accadendo nulla». Secondo Fait, l’operazione Q-Anon «ha tutto quel che occorre per diventare il più vasto fenomeno sociale da quando esiste Internet, superando in intensità il Sessantotto e i figli dei fiori». Da cosa lo deduce? Dalla cronometrica, micidiale precisione dei “drop” immessi nella rete: contengono previsioni dettagliatissime, che rivelano l’autorevolezza delle fonti. E cioè: gli uomini del Pentagono che stanno proteggendo Trump.Geopolitica, innanzitutto: è in corso una guerra a tutto campo. Pietra miliare, la Brexit: «Sono convinto che la Gran Bretagna ne uscirà bene: non ci sarà nessun accordo con Bruxelles, non ci sarà nessun replay del referendum e il Regno Unito ci guadagnerà, dal divorzio, con grande scorno degli eurocrati». Poi l’Italia: «Da fonti certe – aggiunge Fait – so che l’opzione gialloverde era sul tappeto già prima delle elezioni. Missione: creare un governo non suddito di Bruxelles». I gialloverdi sono ammaccati, non sono riusciti a ottenere nulla – se non l’ostilità feroce dell’Ue. «Ne pagheremo il prezzo», dice Fait, «ma molto dipenderà dalle europee di maggio: nessuno sogna che le forze populiste-sovraniste possano davvero vincere, ma si spera che crescano abbastanza da acquisire sufficiente potere negoziale per impedire all’eurocrazia di proseguire con l’attuale politica di austerity». Dall’Europa – dove l’altra pedina sono i Gilet Gialli – i misteriosi promotori di Q-Anon si aspettano un successo, che aiuti Trump a restare alla Casa Bianca tra due anni. In altre parole: il piano procede se i vari Merkel e Macron rimediano una forte battuta d’arresto.Attento “esegeta” degli indizi cifrati di Q-Anon, Fait invita a indossare gli occhiali giusti, al di là delle retoriche politicanti cavalcate dalla disinformazione quotidiana del mainstream. Trump, per esempio: ha abbattuto le tasse e fatto volare l’occupazione, attacca Wall Street e la Fed, ha “smontato” molte regole globaliste del Wto. Attenzione: il Russiagate si sta sgonfiando, per ammissione dei suoi stessi “inventori”. Politica estera? Altri successi: le due Coree si stanno pacificando, e l’Isis sta sparendo dal Medio Oriente (dopo che gli Usa hanno dato via libera alla Russia, in Siria). Come aveva agito, Trump, in prima battuta? Abbaiando. Lo scopo: illudere il Deep State e dare tempo alla trattativa. Ma non solo: decifrando Q-Anon, Fait sfodera un ragionamento sofisticato: «Minacciare un imminente intervento militare ha un effetto preciso: fa uscire allo scoperto la rete nascosta del “nemico interno”, che a quel punto si attiva e diventa finalmente riconoscibile, agli occhi della contro-intelligence che la sta mappando». E’ esattamente quello che sta succedendo in Venezuela, scommette Fait: «Le minacce contro Maduro – roboanti come quelle contro Kim e Assad, finite nel nulla – porteranno alla luce le pedine del vecchio potere globalista e i loro legami. L’obiettivo finale è battere i peggiori settori del Deep State, annidati sia tra i sostenitori di Maduro che tra quelli di Guaidò».Troppo bello per essere vero? L’ennesima leggenda del web? Stefano Fait non la pensa così, anche se resta giustamente cauto: aspettiamo qualche mese, dice, e vedremo se le previsioni di Q-Anon saranno esatte. In ogni caso, aggiunge, la struttura-ombra sembra davvero impegnata nella “madre di tutte le battaglie”: spazzare via il peggior neoliberismo, che considera frutto – almeno, negli Usa – di veri e propri “traditori della patria”, divenuti mercenari (plutocrati cinici e apolidi, senz’altra bandiera che il denaro). C’è davvero una specie di esercito della salvezza, dietro la ruvida maschera di Trump? Secondo gli scettici, si tratta della solita trappola: è solo una guerra di potere, interna all’élite. Vale anche per la periferia dell’impero: basti vedere il cedimento italiano sul deficit e la conferma della legge Lorenzin sui vaccini. Tutto è teoricamente ambivalente, osserva Fait: se oggi Big Pharma intasca il grande business dei vaccini “sporchi”, non è detto che, domani, vaccini di nuova generazione – finalmente “puliti” e sicuri – non possano giovare alla salute dell’umanità.Si stanno verificando vere e proprie stranezze, come l’anomala insistenza parallela – di Trump e di Putin – sulla diffusione della temuta tecnologia G5. Molti esperti avvertono: le onde al altissima frequenza potrebbero “friggere” il cervello. E se domani – si domanda Fait – il G5 venisso reso sicuro, e impiegato per mettere fine alla politica della scarsità artificiale? Idem le cosiddette scie chimiche. «Scandaloso il silenzio dei media: i cieli di Tokyo sono puliti, come quelli cinesi, mentre da noi sono rigati dalle scie persistenti rilasciate dagli aerei». Ma, di nuovo: «Siamo certi che non siano un dispositivo a nostra tutela, per contrastare le alterazioni del clima?». Lo stesso Fait non vende certezze, si ferma onestamente alle domande. Però insiste: l’operazione Q-Anon ha l’aria di essere molto seria, più di quanto possiamo immaginare.Se è una fiaba, è bellissima. Infatti, testate come “Wired” e il quotidiano web “Next” di Enrico Mentana l’hanno già dichiarata una pagliacciata, nient’altro che una bufala. Stefano Fait, consulente strategico internazionale per aziende ed entità pubbliche, la prende sul serio. Si tratta di Q-Anon, sigla-fantasma che sta invadendo il web. Distilla informazioni spesso preziose, sempre esatte, precise, coerenti. Lo stile, dice Fait, è quello dell’intelligence militare Usa. Campo d’azione: guerra psicologica. Obiettivo: colpire e affondare il maledetto Deep State che ha globalizzato il capitalismo finanziario più predatorio, criminale e terrorista. Il piano: rovesciare l’élite neoliberista planetaria, che ha in pugno i grandi media. Non mi stupirei, dice Fait – intervistato da Fabio Frabetti a “Border Nights” – se domani si scoprisse che Trump, Putin e Xi-Jinping sono segretamente alleati, in questa operazione di portata epocale. Passaggi cruciali: le elezioni europee e poi le presidenziali americane, che Q-Anon prevede saranno precedute da una vigilia turbolenta e violentissima. In Europa, la bistrattata Italia gialloverde gioca il ruolo dell’ariete contro il sistema Ue-Bce. Immediata risposta francese, i Gilet Gialli: una regia unica. La rivolta in Francia, stranamente organizzatissima, è scattata dopo il fatale tweet di Trump: «Make France great again».
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La storia proibita: Bizzi e l’Aurora Boreale della conoscenza
Sempre meno persone oggi, purtroppo, leggono i libri, soprattutto la saggistica storica. E sono sempre più le persone che, vivendo la propria quotidianità in quest’epoca di profonda crisi economica e sociale, tendono a dimenticare le proprie radici, le proprie origini culturali, perdendo così la propria identità ed i propri valori. Le Edizioni Aurora Boreale sono un marchio editoriale libero e indipendente, creato per dare spazio e voce ad un’editoria fuori dagli schemi e per molti versi scomoda. Sappiamo tutti quanto sia difficile al giorno d’oggi fare cultura e informazione in una società in costante involuzione culturale, ottenebrata da una televisione spazzatura ed alle prese con continue crisi economiche più o meno pilotate dagli speculatori e dai grandi burattinai della finanza internazionale; una società in cui l’informazione mainstream appare sempre più come falsata e addomesticata da chi ci governa e in cui ogni tentativo di andare controcorrente viene inesorabilmente e ipocritamente bollato come “non politicamente corretto”, o unpolitically correct, per dirlo all’inglese.Troppe cose vengono taciute all’opinione pubblica, troppe informazioni distorte vengono inoculate alla massa e troppe realtà vengono ignorate perché la conoscenza di esse non si rivelerebbe un profitto, ma anzi un danno, per il potere costituito. Lo dimostrano i continui tagli alla cultura e all’editoria, nel tentativo chiaro ed evidente di imbavagliare ogni tipo di informazione non allineata con il sistema. Noi ci proponiamo di fare cultura e di fare informazione, anche a costo di essere scomodi, di non omologarci con il gregge e, per quanto privi di risorse economiche e di finanziatori “altolocati”, dedicare tutto il nostro tempo e tutte le nostre energie al servizio di un’informazione libera, nella quale, nonostante tutto, ancora crediamo. Il nostro progetto editoriale può essere riassunto in tre termini molto forti, ma efficaci: Identità, Tradizione, Rivoluzione, termini che riteniamo abbiano ancora un grande carattere di attualità in un’epoca come la nostra, contraddistinta da una forzata e artificiosa globalizzazione, dal mondialismo e dal relativismo culturale.Identità perché siamo e ci consideriamo identitari, credendo nell’essenza dell’uomo integrale e nelle potenzialità che i popoli hanno di riconoscersi come tali, di autodeterminarsi nel rispetto reciproco e di rifiutare ciò che non si confà con il proprio destino, la propria natura e la propria cultura. Crediamo nella Tradizione, perché abbiamo delle radici e veniamo da lontano, perché abbiamo la consapevolezza che millenni di storia, di idee e di civiltà ci rendano forti e capaci di sopportare e superare a testa alta le avversità della vita. E crediamo nella Rivoluzione, soprattutto quella delle coscienze. La Tradizione afferma che l’evoluzione della civiltà non procede per graduale costanza ma con cicli di evoluzione e involuzione che sono spesso motivo di sconcerto e sofferenza per l’umanità, vere e proprie rivoluzioni analoghe a quelle astronomiche.Rivoluzione sta così ad indicare il movimento, l’azione, il dinamismo necessario perché ogni tradizione si trasformi in innovazione e cambiamento. La Tradizione diviene così il vero fondamento di ogni autentica rivoluzione, ed è il seme, la radice, la base di ogni innovazione. La nostra casa editrice ritiene quindi giusto offrire a quei lettori caparbi e mai stanchi di conoscere cosa accade realmente nel mondo dei prodotti di qualità che sappiano andare oltre le notizie addomesticate e confezionate che ci propinano quotidianamente i giornali e i telegiornali. Un’editoria, quindi, senza dubbio e orgogliosamente “politicamente scorretta”, un’editoria per pensare, per reagire e, soprattutto, per acquisire consapevolezza.(“Chi siamo”, introduzione al sito dell’editrice Aurora Boreale, fondata e diretta da Nicola Bizzi. Storico indipendente e originalissimo, Bizzi ha firmato volumi di estremo interesse, come il recentissimo “Atlantide e altre pagine di storia proibita”, e “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, usciti nel 2018. All’anno precedente risale il saggio-denuncia “La crisi della Repubblica dei partiti. Dal crollo del Muro di Berlino a Tangentopoli”. Sempre nel 2017, Bizzi ha pubblicato il primo volume della spettacolare ricerca “Da Eleusi a Firenze”, nella quale rivela la sopravvivenza “clandestina”, fino ai nostri giorni – e con epicentro nel Rinascimento italiano – dell’antichissima tradizione dei Misteri Eleusini. In quella che Bizzi chiama “eleusinità”, espressione risalente al II millennio avanti Cristo, si riverbera la mitica creazione di un’umanità primigenia, quella degli Egei cretesi, la cui origine è attribuita ai Titani, divinità benevole che si opposero ai successivi dèi dell’Olimpo, fino allo “scontro di civiltà” simboleggiato dalla Guerra di Troia, da cui poi anche la fondazione di Roma per opera del profugo troiano Enea).Sempre meno persone oggi, purtroppo, leggono i libri, soprattutto la saggistica storica. E sono sempre più le persone che, vivendo la propria quotidianità in quest’epoca di profonda crisi economica e sociale, tendono a dimenticare le proprie radici, le proprie origini culturali, perdendo così la propria identità ed i propri valori. Le Edizioni Aurora Boreale sono un marchio editoriale libero e indipendente, creato per dare spazio e voce ad un’editoria fuori dagli schemi e per molti versi scomoda. Sappiamo tutti quanto sia difficile al giorno d’oggi fare cultura e informazione in una società in costante involuzione culturale, ottenebrata da una televisione spazzatura ed alle prese con continue crisi economiche più o meno pilotate dagli speculatori e dai grandi burattinai della finanza internazionale; una società in cui l’informazione mainstream appare sempre più come falsata e addomesticata da chi ci governa e in cui ogni tentativo di andare controcorrente viene inesorabilmente e ipocritamente bollato come “non politicamente corretto”, o unpolitically correct, per dirlo all’inglese.