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Archivio del Tag ‘Il Manifesto’

  • Expo-guerra, il bazar galleggiante dell’Italia che affonda

    Scritto il 17/11/13 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Il nemico complotta contro l’Italia fino a farla crollare, ma la portaerei Cavour – ammiraglia della marina militare, costata 3,5 miliardi – non si dirige contro chi attenta alla vita e al futuro degli italiani, tramando per devastare l’economia, impoverire il paese e trascinarlo nella catastrofe sociale pianificata tra Bruxelles e Berlino, Wall Street e Francoforte. Al contrario, la grande nave trasformata in expò galleggiante del made in Italy bellico preferisce incrociare in acque lontane: «Si vanno a vendere altre armi ai paesi mediorientali e africani, dominati da oligarchie e caste militari, provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa», scrive il “Manifesto”. Scopo ufficiale della “campagna navale” organizzata dal governo Letta, è presentare il “sistema paese” in movimento e «rafforzare la presenza dell’Italia nelle aree geografiche considerate strategiche per gli interessi nazionali», senza trascurare la consueta ipocrisia della «assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose».
    Per il ministro Mauro, il bazar navigante – ribattezzato “crociera di morte” – non andrà a vendere armi di distruzione di massa al di fuori dalle convenzioni internazionali, ma resta una «missione di promozione» che incrocerà aree dove impazzano guerre e repressioni, come ad esempio Congo, Nigeria e Kenya, o terre «dove governi potenti finanziano guerre per procura», scrivono Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco, indicando paesi come l’Arabia Saudita impegnata in Siria, o il Barhein con la sua “primavera” cancellata dai militari. Regioni del mondo «dove le spese sociali vengono ridimensionate se non cancellate per sostenere la sicurezza interna e le frontiere, come in Angola e Mozambico». Oman, Dubai, Doha, Gibuti, Madagascar, Sudafrica, Ghana, Senegal, e poi su fino a Casablanca in Marocco, e poi Algeri. In navigazione fino al 7 aprile 2014. Costo: 20 milioni di euro, di cui 7 a carico dello Stato e 13 dei “partner dell’industria privata”. «Soldi ben spesi: potranno usare la portaerei, lunga 244 metri e larga 39, come una grande fiera espositiva itinerante», con stand per accogliere i clienti. Prezzo amico: 200.000 euro per ogni giorno di navigazione.
    La portaerei non venderà certo l’immagine turistica dell’Italia: gli “ambasciatori” del paese sono le industrie di Finmeccanica come Agusta-Westland (elicotteri da guerra), Oto Melara (cannoni), Selex Es (sistemi radar e di combattimento), Wass (siluri), Telespazio (satelliti), e poi Mbda, coi suoi missili Aspide, Aster, Teseo. Poi ci sono la Intermarine (vascelli militari) e Elt, che offre apparecchiature elettroniche per la guerra aerea, terrestre e navale, mentre Beretta mette in mostra le sue pistole, accanto agli stand di lusso che presentano gli aerei executive della Piaggio e della Blackshape. «Ogni cannone, ogni missile, ogni mitraglia venduta dai commessi viaggiatori della Cavour ai governi clienti – scrivono i giornalisti del “Manifesto” – significherà meno investimenti locali nel sociale e quindi altre migliaia di bisognosi, affamati e morti, soprattutto tra i bambini, per sottoalimentazione cronica e malattie che potrebbero essere curate». Ma niente paura, sulla nave «ci sono anche gli “operatori umanitari” pronti a soccorrere i disperati che abbiamo contribuito a creare con il traffico di armi, per dimostrare quanto l’Italia sia sensibile e pronta ad aiutare “le popolazioni bisognose”».

    Il nemico complotta contro l’Italia fino a farla crollare, ma la portaerei Cavour – ammiraglia della marina militare, costata 3,5 miliardi – non si dirige contro chi attenta alla vita e al futuro degli italiani, tramando per devastare l’economia, impoverire il paese e trascinarlo nella catastrofe sociale pianificata tra Bruxelles e Berlino, Wall Street e Francoforte. Al contrario, la grande nave trasformata in expò galleggiante del made in Italy bellico preferisce incrociare in acque lontane: «Si vanno a vendere altre armi ai paesi mediorientali e africani, dominati da oligarchie e caste militari, provocando un ulteriore aumento delle loro spese militari che comporterà un ulteriore aumento della povertà soprattutto in Africa», scrive il “Manifesto”. Scopo ufficiale della “campagna navale” organizzata dal governo Letta, è presentare il “sistema paese” in movimento e «rafforzare la presenza dell’Italia nelle aree geografiche considerate strategiche per gli interessi nazionali», senza trascurare la consueta ipocrisia della «assistenza umanitaria alle popolazioni bisognose».

  • Madsen: italiani venduti al Bilderberg, il governo vi spia

    Scritto il 02/11/13 • nella Categoria: segnalazioni • (10)

    Tutti sapevano – anzi, collaboravano – anche se ora fingono di cadere dalle nuvole, nello scandalo senza fine innescato dalle rivelazioni di Edward Snowden. “Der Spiegel” conferma che l’intelligence della Germania ha collaborato per anni alla raccolta clandestina di dati. E il verde tedesco Jan Philipp Albrecht, sul “Guardian”, conferma: «Regno Unito, Danimarca, Olanda, Francia, Germania, Spagna e Italia hanno firmato un accordo che prevede la fornitura di dati digitali agli Stati Uniti. In altre parole, hanno spiato i propri cittadini per conto di Washington». Sicché, appare comica l’intenzione di Enrico Letta di «chiedere spiegazioni» a John Kerry sul Datagate. Curioso, osserva Franco Fracassi, «visto che molte delle informazioni che l’Nsa ci ha spiato (invadendo la nostra privacy) le sono state fornite proprio dai nostri servizi segreti: siamo stati venduti non solo alla Casa Bianca, ma anche alle grandi banche, alle società di Borsa e alle multinazionali. In altre parole: al Club Bilderberg, di cui Letta fa parte, per sua stessa ammissione».
    La gola profonda è un ex funzionario della Nsa, Wayne Madsen, già autore di rivelazioni scioccanti sull’11 Settembre, sul caso Calipari, su Al-Qaeda e sulla famiglia Bush. «L’Italia, ma anche la Germania, la Francia e altri paesi europei hanno accordi segreti con gli Stati Uniti per il passaggio di dati personali alla National Security Agency». I nostri paesi hanno accesso al Tat-14, il sistema di telecomunicazioni transatlantico via cavo che consente loro di intercettare un’enorme quantità di dati: telefonate, email e anche la cronologia dei siti Internet visitati dagli utenti, spiega Madsen a Fracassi in un’intervista pubblicata da “Popoff”. Per “utenti”, precisa Madsen, si intende anche l’Unione Europea, che viene definita dall’Nsa un “target”, un obiettivo. «L’Nsa ha suddiviso i suoi partner, che l’aiutano a reperire informazioni, in tre gruppi diversi, in base al livello di fiducia. Gli Usa sono ovviamente nella prima categoria. La seconda è formata da Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda. La terza è composta da Danimarca, Paesi Bassi, Francia, Germania, Spagna e Italia. In realtà c sarebbe anche un quarto livello. Ma di questo si conoscono solo alcuni paesi, come Finlandia e Svezia».
    L’agenzia spionistica digitale, continua Madsen, è diventata sempre più potente con il passare degli anni, fino alla “guerra al terrorismo” inaugurata da Bush e proseguita da Obama. «Oggi l’Nsa è di gran lunga il più potente servizio di spionaggio al mondo». La cosa più assurda? «L’Nsa è il servizio segreto elettronico degli Stati Uniti d’America. Quindi, chiunque giungerebbe alla conclusione che i dati che raccoglie vengano consegnati alla Casa Bianca». E invece? Oltre a Obama, il direttore riferisce a ben altre autorità: «Keith Alexander partecipa alle riunioni del Club Bilderberg. Dunque, entrano in possesso dei nostri segreti banchieri, finanzieri, amministratori delegati di multinazionali». Secondo Madsen, «l’Italia è stato uno dei paesi più solerti a fornire informazioni a Washington: sto parlando di milioni e milioni di dati sensibili e di informazioni personali per ciascuno dei sessanta milioni di italiani». Un nome famoso? Nicola Calipari, ucciso in Iraq da soldati Usa durante la liberazione di Giuliana Sgrena, giornalista del “Manifesto”. «Il vostro agente segreto – accusa Madsen – è stato assassinato da una squadra americana d’élite anche grazie alle informazioni fornite dai vostri servizi segreti».

    Tutti sapevano – anzi, collaboravano – anche se ora fingono di cadere dalle nuvole, nello scandalo senza fine innescato dalle rivelazioni di Edward Snowden. “Der Spiegel” conferma che l’intelligence della Germania ha collaborato per anni alla raccolta clandestina di dati. E il verde tedesco Jan Philipp Albrecht, sul “Guardian”, conferma: «Regno Unito, Danimarca, Olanda, Francia, Germania, Spagna e Italia hanno firmato un accordo che prevede la fornitura di dati digitali agli Stati Uniti. In altre parole, hanno spiato i propri cittadini per conto di Washington». Sicché, appare comica l’intenzione di Enrico Letta di «chiedere spiegazioni» a John Kerry sul Datagate. Curioso, osserva Franco Fracassi, «visto che molte delle informazioni che l’Nsa ci ha spiato (invadendo la nostra privacy) le sono state fornite proprio dai nostri servizi segreti: siamo stati venduti non solo alla Casa Bianca, ma anche alle grandi banche, alle società di Borsa e alle multinazionali. In altre parole: al Club Bilderberg, di cui Letta fa parte, per sua stessa ammissione».

  • Viale: lavoro e beni comuni, per un’opposizione europea

    Scritto il 30/10/13 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Da tempo non siamo più cittadini italiani, ma sudditi di un “sovrano” che si chiama governance europea: un’entità mai eletta, che risponde solo al “voto” dei “mercati”. E’ un governo di fatto, che impone la sua politica ai paesi dell’Ue che gli hanno ceduto la loro sovranità. Fino a concedere, con l’accordo Two-Packs, un controllo preventivo sui propri bilanci. Visto che siamo ridotti a questo, dice Guido Viale, per non rassegnarsi a continuare ad ascoltare all’infinito ritornelli come “ce lo chiede l’Europa”, c’è una sola cosa da fare: organizzare un’opposizione europea, in nome dei diritti calpestati – dignità e lavoro, reddito e casa, salute e istruzione, cultura, vecchiaia serena. Banco di prova: le elezioni europee del maggio 2014. Stop ai vincoli-capestro dell’austerity, che producono solo disoccupazione. Più spesa pubblica, dunque, per rilanciare il lavoro: non impieghi qualsiasi, ma quelli fondati sulla riconversione “green” dell’economia. Premessa: serve una nuova classe dirigente, che possa recepire le idee dei movimenti e innescare le procedure di salvezza.
    «La crisi in corso non dipende solo da politiche sbagliate», scrive Viale sul “Manifesto”, in un editoriale ripreso da “Micromega”. La grande depressione «è causata soprattutto dal deterioramento morale e culturale dell’establishment europeo: non solo quello politico, ma anche quelli manageriali, imprenditoriali e accademici». Problema: non solo manca un programma preciso, ma al momento non c’è neppure «la forza per metterlo in marcia». Dove trovarla? «Non si può contare sulle forze politiche esistenti, o su una loro svolta radicale». Unica bussola possibile, «una crescita quantitativa e qualitativa degli organismi e dei movimenti che alimentano il conflitto sociale giorno per giorno». Filo conduttore per raccogliere le energie attualmente disperse: «Una politica fondata sui beni comuni». Missione, salvare il sistema sociale dallo sfacelo, che ha due facce: lo smantellamento delle imprese e del lavoro, con tutte le competenze acquisite, e la mancanza di opportunità per giovani e precari, disoccupati di oggi e di domani.
    «Non si può continuare a intervenire sulle aziende in crisi delegando ai governi il compito di trovar loro un nuovo padrone: i nuovi padroni, quando si presentano, lo fanno solo – è esperienza quotidiana – per depredare l’azienda dei suoi capitali residui, del suo marchio, del suo know-how, delle sue attrezzature migliori, per poi lasciare i lavoratori sul lastrico». Nazionalizzazioni vecchio stile? Le vieta l’Europa, ma in passato «gli Stati hanno fatto disastri non meno gravi delle gestioni private o privatizzate». In più, dismesso l’Iri, «l’Italia non dispone più di manager in grado di gestire un’impresa». Le aziende in crisi «hanno bisogno di una nuova governance», fatta di maestranze e governi locali, territori, università e ricerca. Serve «un regime che le riconosca come “beni comuni”», a disposizione delle comunità di riferimento. Vale anche per «recuperare a una gestione condivisa i servizi pubblici locali: acqua, energia, trasporti, rifiuti, scuole, gestione del territorio», ovvero «le chiavi della conversione ecologica».
    Altro problema centrale: la quantità di energie, intelligenza, creatività e aspettative degli esclusi dal mondo del lavoro, che potrebbero contribuire alla rinascita culturale e produttiva dell’Europa, specie dei paesi più colpiti dall’austerity. «Per recuperare quelle energie bisogna sottrarle ai ricatti della miseria, della disoccupazione e del precariato, garantendo a tutti un reddito di base incondizionato: le risorse per realizzarlo sono molte meno di quelle che vengono dissipate in armamenti, grandi opere inutili, interessi sul debito pubblico, evasione fiscale, costi della politica». Una volta liberate e messe al lavoro nei settori oggi abbandonati alla privatizzazione – case, monumenti, beni culturali, suolo urbano, terre pubbliche o incolte, spiagge, biblioteche, teatri, fabbriche e capannoni – queste nuove forze lavorative farebbero miracoli, col supporto dei governi locali «ovviamente sottratti al giogo del patto di stabilità» e non più “inquinati” dalla fame di favori e business. Tutto questo, riassume Viale, si può fare solo con una nuova politica: elezioni. Nel frattempo, ben sapendo che «andiamo incontro a tempi difficili che richiederanno soluzioni estreme», è il caso di cominciare a mettere queste idee nell’agenda politico-elettorale.

    Da tempo non siamo più cittadini italiani, ma sudditi di un “sovrano” che si chiama governance europea: un’entità mai eletta, che risponde solo al “voto” dei “mercati”. E’ un governo di fatto, che impone la sua politica ai paesi dell’Ue che gli hanno ceduto la loro sovranità. Fino a concedere, con l’accordo Two-Packs, un controllo preventivo sui propri bilanci. Visto che siamo ridotti a questo, dice Guido Viale, per non rassegnarsi a continuare ad ascoltare all’infinito ritornelli come “ce lo chiede l’Europa”, c’è una sola cosa da fare: organizzare un’opposizione europea, in nome dei diritti calpestati – dignità e lavoro, reddito e casa, salute e istruzione, cultura, vecchiaia serena. Banco di prova: le elezioni europee del maggio 2014. Stop ai vincoli-capestro dell’austerity, che producono solo disoccupazione. Più spesa pubblica, dunque, per rilanciare il lavoro: non impieghi qualsiasi, ma quelli fondati sulla riconversione “green” dell’economia. Premessa: serve una nuova classe dirigente, che possa recepire le idee dei movimenti e innescare le procedure di salvezza.

  • Lampedusa, l’Europa di Schengen e l’Italia di Alfano

    Scritto il 05/10/13 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Ancora una volta, di fronte all’ennesima strage del proibizionismo, questa volta di proporzioni agghiaccianti, si prova ad additare come unici responsabili gli “scafisti”. Arrestare qualche povero disgraziato, di solito egli stesso esule o migrante, vale a tacitare le nerissime coscienze dei tanti che concorrono a perpetuare e moltiplicare l’ecatombe mediterranea. Serve ad additare un capro espiatorio per occultare le responsabilità dei decisori europei e dei ceti politici nostrani, di ogni tendenza, che del proibizionismo e della politica dei “respingimenti” hanno fatto un dogma da rispettare ad ogni costo umano. Solo una quindicina di giorni fa Angelino Alfano, feroce “colomba”, dichiarava che «va potenziata la frontiera europea nel Mediterraneo e il ruolo di Frontex, anche perché in questi flussi si annidano cellule terroristiche».

  • Pepino: resistere è un dovere, il Tav umilia la democrazia

    Scritto il 03/10/13 • nella Categoria: idee • (4)

    Eversivi non sono i No-Tav, ma i politici che vogliono imporre una grande opera calpestando la Costituzione. «Fino a ieri dicevano che il problema non era il movimento No Tav ma le sue frange estremiste e violente. Fino a ieri. Oggi la maschera è caduta. Con la criminalizzazione politica e mediatica finanche di Stefano Rodotà, con la riesumazione dei reati di opinione, con la perquisizione domiciliare nei confronti di Alberto Perino (leader storico del movimento) tutto è diventato più chiaro». Così parla Livio Pepino, già membro del Csm e magistrato della Corte di Cassazione, schierandosi in difesa della causa No-Tav, bersaglio di una autentica “crociata” da parte dei media e dei partiti, e ora al centro dell’azione repressiva della Procura di Torino. Il nemico da battere, evidentemente, «è il movimento di opposizione all’alta velocità in val Susa». 

  • Saldarci il debito: il bazooka che Draghi non vuole usare

    Scritto il 24/9/13 • nella Categoria: segnalazioni • (1)

    Un influente economista europeo, Charles Wyplosz, è coautore di una proposta di una semplicità cristallina per cominciare a sdrammatizzare la crisi in corso (voxeu.org). In breve Wyplosz propone che la Bce acquisti un quarto dei debiti pubblici dei paesi europei periferici (Francia inclusa) pari a 1.200 miliardi di euro, circa un quarto del loro Pil. In sostanza, man mano che titoli del debito di questi paesi vengono a scadenza, la restituzione viene finanziata dalla Bce, che in cambio ottiene titoli perpetui con un tasso di interesse zero. Operazione quindi a costo zero per i contribuenti europei. Ma che fine fa la moneta messa così in circolazione? Wyplosz non ritiene che essa costituisca un pericolo inflazionistico nelle circostanze attuali. In effetti, liberatesi di una mole notevole di titoli pubblici problematici, le banche potrebbero utilizzare la liquidità per restituire precedenti prestiti dalla Bce. Oppure quest’ultima potrebbe drenarla emettendo titoli di deposito – poiché questi vanno remunerati a un tasso minimo questo ha un costo, ma non si tratterebbe di gran cosa rispetto ai vantaggi.

  • Zitto e taci, è la procedura: ma il dissenso non si fermerà

    Scritto il 19/9/13 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Non accade con frequenza che un conflitto radicato in un territorio circoscritto e incentrato su un oggetto ben determinato (un’opera infrastrutturale come la linea ad alta velocità Torino-Lione) si trasformi in una arena politica in cui emergono, mostrando tutte le tensioni e gli attriti che le attraversano, non poche “grandi questioni”. Prima Gianni Vattimo, poi Erri De Luca e Ascanio Celestini, infine Massimo Cacciari e Giovanni De Luna, una bella schiera di intellettuali si sentono chiamati a prendere posizione non solo su una delle lotte più lunghe, tenaci e partecipate degli ultimi vent’anni in Italia, ma sul suo significato generale quanto alle forme della politica, le prerogative di governanti e governati, le priorità economiche o ambientali e il rapporto tra la legalità vigente e queste priorità. Tutti sembrano comunque concordare sull’inutilità, o quantomeno la scarsa razionalità economica di questa grande opera, considerati i costi, gli effetti ambientali e l’ostilità popolare che la circonda. È già qualcosa.

  • Mafia, misteri e affari: quelle strane amnesie sulla val Susa

    Scritto il 16/9/13 • nella Categoria: idee • (1)

    Prendersela coi giornalisti italiani non è cosa di cui si possa andare fieri: prima di tutto perché è come sparare sulla croce rossa, poi perché si è in (assai) cattiva compagnia: da Cicchitto a Bondi alla Santanché ma passando per D’Alema che lo fanno un giorno sì e uno anche, tranne che nei confronti dei loro “biografi quotidiani” profumatamente pagati tramite finanziamento pubblico. Del resto non è colpa mia se in Italia non esistono gli “editori puri”, tranne poche lodevoli e circoscritte situazioni. Né posso farmi carico del percorso che ha portato ad approdi generalmente più confortevoli anche la maggior parte di coloro che nei primi anni aspiravano a dare attraverso il giornalismo il proprio personale contributo alla rivoluzione – che evidentemente ritenevano imminente. Nel caso di questi ultimi, alla perdita dell’indipendenza di giudizio va aggiunta anche una ulteriore tara che appesantisce non poco le loro cronache: il doversi rapportare con persone che per caso o per determinazione sono rimaste per quanto possibile più coerenti verso le idee che un tempo li accomunavano: persone spesso conosciute o addirittura frequentate negli anni della meglio gioventù.

  • Lordon: la moneta salva-Europa che la sinistra non vuole

    Scritto il 31/8/13 • nella Categoria: idee • (8)

    La sinistra europea è direttamente responsabile del crimine contro la democrazia chiamato Eurozona, organizzato per conto delle élite che avevano un unico obiettivo: far sparire la sovranità popolare dal vecchio continente, precipitandolo in una crisi inaudita, in cui il lavoro scarseggia e i diritti diventano un lontano ricordo. E’ la conclusione cui perviene l’economista francese Frédéric Lordon, che indica una via d’uscita possibile: al posto dell’attuale “moneta unica”, per superare la crisi servirebbe una “moneta comune” europea, governata in modo sovrano dalle banche centrali nazionali e non convertibile all’esterno se non attraverso «una nuova Bce», che non avrebbe più potere in materia di politica monetaria, ma fungerebbe solo da “ufficio cambi” per le transazioni internazionali tra le nuove “euro-monete” e le altre valute mondiali, come il dollaro.

  • Revelli: sinistra fallita, s’è accodata al capitalismo in crisi

    Scritto il 29/8/13 • nella Categoria: idee • (2)

    Quello nato dopo la morte del Novecento è un mondo infinitamente più diseguale. Ed è un mondo che non offre alternative a se stesso. Sono queste le grandi sconfitte storiche della sinistra, ossia di una forza politica e culturale che possiede nel Dna il valore dell’eguaglianza e la capacità di immaginare un’alternativa allo stato di cose presente. La catastrofe del socialismo reale è parte della scomparsa della sinistra, che ne è stata paralizzata. Ma una sinistra che rinuncia a proporre un altrove cessa di essere sinistra. È nata proprio per quello. Accadde nel 1789 a Versailles, quando alla sinistra della presidenza dell’assemblea si schierarono coloro i quali erano contro il potere di veto del Re. Così cadde l’ultimo pilastro dell’Ancien Régime. Non c’è bisogno di alzare la ghigliottina. Basta un voto per sancire la fine di un ordine. E l’inizio di un altro.

  • No-Tav “terroristi”: escalation contro la valle di Susa

    Scritto il 31/7/13 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «Nessuno chiede impunità a prescindere, i reati commessi vanno perseguiti. Ma il rigore nelle contestazioni e il senso delle proporzioni sono parte integrante di un diritto penale garantista e coerente con la Costituzione: discostarsi da questa strada è un pericolo per tutti, anche per questo la val Susa è un caso nazionale». Così Ugo Mattei, Alberto Lucarelli e l’ex magistrato Livio Pepino contestano l’escalation giudiziaria della Procura di Torino, che ha accusato di “terrorismo” i No-Tav sotto inchiesta per i recenti assalti notturni al cantiere di Chiomonte. L’accusa è di “attentato per finalità terroristiche o di eversione dell’ordine democratico” ai sensi dell’articolo 280 del codice penale, che prevede pene fino a vent’anni di carcere. «Un’intollerabile sproporzione tra eventuali reati e repressione», protesta il presidente della Comunità Montana, Sandro Plano. E se Rifondazione Comunista invoca un ricorso alla corte europea di giustizia, attraverso il parlamentare Ivan Della Valle il “Movimento 5 Stelle” preannuncia la richiesta dell’invio alla Procura di Torino degli ispettori ministeriali, «per verificare che gli inquirenti torinesi agiscano nel pieno rispetto della legalità».

  • Futuro sostenibile: lavoro, terra e denaro non sono merci

    Scritto il 05/4/13 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Lavoro, terra e denaro: tre cose che, se diventano “merce”, decretano la fine del sistema sociale ed economico. Difatti, eccoci qua: globalizzazione, delocalizzazione delle produzioni, precarizzazione del lavoro, diseguaglianze crescenti, finanziarizzazione del comando capitalistico. Debito, pubblico e privato, come strumento di imbrigliamento della società, della politica e del lavoro. E poi guerre, crisi e insicurezza come condizione umana permanente. Fino a quarant’anni fa i meccanismi portanti dell’accumulazione del capitale erano stati il mito dello sviluppo economico e la crescita di salari, consumi e welfare: una sintesi di fordismo e politiche keynesiane governata con la continua espansione della spesa pubblica e l’intervento dello Stato nell’economia. Non era un mondo perfetto, come provvide a ricordare la grande contestazione del ’68. E oggi? Stiamo ancora peggio. E siamo alla vigilia di un nuovo, clamoroso cambio di paradigma: sarà valido soltanto ciò che potrà essere sostenibile.

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