Archivio del Tag ‘immobilismo’
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Renzi, l’azzardo: negare a Conte i pieni poteri sul Recovery
Stavolta Matteo Renzi vestirà i panni del Rottamatore, mandando il mal sopportato Conte, o invece indosserà quelli del Bomba, che la spara grossa ma poi non esplode mai il colpo mortale? Se lo domanda il direttore di “Libero”, Pietro Senaldi, di fronte all’escalation polemica di Renzi nei confronti di Conte, anche all’indomani del voto sul Mes al quale si sono piegati i grillini, tradendo anche l’ultima delle loro promesse (ostacolo superato in aula anche grazie alle provvidenziali assenze dei parlamentari di Forza Italia). Ricapitolando: sarà Renzi a licenziare Conte? «La politica gira intorno a tale amletico interrogativo, e ormai lo farà almeno fino a gennaio inoltrato». Prima di allora, ricorda Senaldi, c’è da approvare la legge di bilancio, evitare figuracce in Europa e tenere gli italiani in casa a Natale, scopo per il quale è necessario che la maggioranza conservi un minimo di contegno. «Se si fa vedere infatti ai cittadini che i governanti pensano prima alle beghe loro che al paese, poi chiedere e ottenere rigore e disciplina dalla gente diventa complicato». Conte è volato a Bruxelles forte del successo incassato alle Camere, «dove quasi tutto il gregge è rientrato all’ovile: i voti dei grillini dissidenti sono stati ampiamente compensati dalle assenze tattiche dei berlusconiani, più numerose dei parlamentari pentastellati anti-governo».Dopo che i 5 Stelle hanno approvato persino il Mes, «il trattato Ue contro il quale hanno combattuto da sempre, è ancora più evidente che i problemi al premier non verranno dalla banda di Di Maio, bensì dai renziani». Anche Italia Viva ha votato il sì al trattato, consentendo a Conte di «portare in dono alla Merkel e l’ennesimo atto di sottomissione dell’Italia». Ma non è sul Mes che Renzi gioca la sua partita, charisce Senaldi: quello che interessa all’ex premier (e anche al Pd) è sapere chi gestirà i soldi del Recovery Fund per la ripartenza post-Covid. «Si parla di 209 miliardi, anche se 87 in realtà sono già spariti», perché il governo ha deciso di destinarli a progetti già in cantiere, che inizialmente si pensava di finanziare coi titoli di Stato. «Saranno pagati dal Recovery, in un’operazione che sostituisce il debito con il mercato con quello con la Ue». La torta resta comunque ghiotta, osserva Senaldi: ed è normale, come predisse il vicepresidente del Pd, Orlando, che in tanti ci vogliano mettere le mani. «Quelle più lunghe e rapaci appartengono al premier», sostiene sempre il direttore di “Libero”. «Giacché non si fida, né umanamente né tecnicamente, della maggioranza che lo sostiene, Conte vuol gestire il malloppo come una sorta di monarca».Conte infatti vorrebbe agire in solitaria, «coadiuvato da sei viceré di sua nomina e un codazzo di trecento esperti, tutti rigorosamente fuori dai partiti, i quali sarebbero rappresentati solo dai ministri economici Gualtieri (Pd) e Patuanelli (M5S) nel ruolo di attendenti del grande capo». Ovvio che Renzi si ribelli: le sue ministre minacciano le dimissioni. «Ma lui stesso si è speso, riservando al premier l’insulto per lui peggiore, quello di voler fare come Salvini, mirando ai pieni poteri». La questione, ora – aggiunge Senaldi – è se il Rottamatore terrà il punto o, come fatto altre volte, lascerà che lo scontro finisca a tarallucci e vino. «L’intenzione del premier di risolvere il problema con un accordo di massima per presentarsi dalla Merkel con una situazione di pace è franata». Il braccio di ferro si annuncia ancora lungo: «L’avvocato pugliese vuole escludere i partiti perché teme l’immobilismo. La maggioranza sta in piedi con lo scotch, unita solo dal timore del voto anticipato. Sconta il peccato originale di essere nata non da un progetto politico comune, ma solo come un’alleanza di fortuna per fermare il centrodestra. Conte ne ha beneficiato, ma ora ne paga il prezzo: l’immobilismo che lo ha retto, adesso lo affonda».Circola con insistenza «la voce che sia stata l’Europa, a indirizzarlo verso la scelta dei super-commissari che di fatto esautorano Parlamento e governo». Ed è proprio per questo – ragiona Senaldi – gli è difficile tornare indietro: «Anche perché, se lo fa, si mostra ai partiti debole come non mai». Dall’altra parte c’è Renzi, «che dopo essersi inventato il Conte-bis non può accettare di fare solo lo spettatore». L’ex premier conosce le piaghe dove rigirare il coltello: «Denuncia le forzature della Costituzione operate dal presidente del Consiglio in senso autoritario ed è tornato aggressivo nell’inchiodare Palazzo Chigi alle sue responsabilità nella disorganizzazione con la quale è stata gestita la pandemia. È arrivato anche ad accusare il capo dell’esecutivo di spargere terrore tra la gente, attraverso i suoi scienziati di fiducia, al Comitato Tecnico Scientifico e fuori». Tutte argomentazioni sensate, osserva Senaldi, che non a caso arrivano ora: evidentemente, il leader di Italia Viva non crede alle ventilate minacce di un voto anticipato, in caso di crisi di governo. E’ convinto che, piuttosto che portare l’Italia alle urne, alla fine il capo dello Stato sarebbe disposto ad accettare soluzioni abborracciate.Stavolta Matteo Renzi vestirà i panni del Rottamatore, mandando il mal sopportato Conte, o invece indosserà quelli del Bomba, che la spara grossa ma poi non esplode mai il colpo mortale? Se lo domanda il direttore di “Libero“, Pietro Senaldi, di fronte all’escalation polemica di Renzi nei confronti di Conte, anche all’indomani del voto sul Mes al quale si sono piegati i grillini, tradendo anche l’ultima delle loro promesse (ostacolo superato in aula anche grazie alle provvidenziali assenze dei parlamentari di Forza Italia). Ricapitolando: sarà Renzi a licenziare Conte? «La politica gira intorno a tale amletico interrogativo, e ormai lo farà almeno fino a gennaio inoltrato». Prima di allora, ricorda Senaldi, c’è da approvare la legge di bilancio, evitare figuracce in Europa e tenere gli italiani in casa a Natale, scopo per il quale è necessario che la maggioranza conservi un minimo di contegno. «Se si fa vedere infatti ai cittadini che i governanti pensano prima alle beghe loro che al paese, poi chiedere e ottenere rigore e disciplina dalla gente diventa complicato». Conte è volato a Bruxelles forte del successo incassato alle Camere, «dove quasi tutto il gregge è rientrato all’ovile: i voti dei grillini dissidenti sono stati ampiamente compensati dalle assenze tattiche dei berlusconiani, più numerose dei parlamentari pentastellati anti-governo».
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Sapia, grillino ‘contro’: l’emergenza-Conte fa male all’Italia
Perché sono stato l’unico, nella maggioranza, a votare contro la proroga dello stato d’emergenza? Non siamo in una situazione di emergenza, perciò non si capisce perché si debba mantenere un accentramento di poteri, in capo al presidente del Consiglio, che allo stato non trova fondamento nella realtà. C’è sempre tempo per deliberare l’emergenza, se dovesse presentarsi per davvero. I contagi di questi giorni sono fisiologici dopo il lockdown. Tra l’altro il virus è molto più debole. Lo dicono anzitutto i clinici, con cui parlo spesso, che sono i medici che curano i malati. Qualcuno la butta per opportunismo sugli immigrati. Così l’analisi, povera e strumentale, si ferma lì, smentita peraltro dai numeri. Tanti abboccano, purtroppo. Cosa ci aspetta in autunno? Su larga scala non è chiaro il quadro di gravissima difficoltà economica del paese. A breve la crisi sarà terribile, se non ci sarà un piano per le imprese, specie per le piccole e le medie. Non vedo la volontà politica di prendere il toro per le corna. Prevalgono toni fuori luogo, troppo spesso pericolosamente propagandistici. Non si possono alterare ancora gli equilibri tra il potere esecutivo e quello legislativo. Dagli anni ‘90 il Parlamento conta di fatto molto poco, a dispetto delle sue funzioni. A causa della delegittimazione della politica, voluta e perseguita dai tempi di Tangentopoli, da allora si procede con la decretazione d’urgenza.Non c’è attività legislativa, confronto sui temi, sulle urgenze: semplificazione vera, politica fiscale, digitalizzazione della pubblica amministrazione, accesso universale ad Internet, disponibilità completa delle nuove tecnologie, riforma dell’istruzione e del diritto del lavoro, riorganizzazione della sanità, unificazione politica dell’Europa. Con il Covid, il ruolo delle due Camere è stato ridotto all’estremo. Mai come adesso, invece, c’è bisogno di un Parlamento attivo, propositivo, non litigioso ma capace di comprendere le trasformazioni in atto, di superare l’immobilismo in cui si trova l’Italia, ogni volta distratta dai movimenti viola, rosa o del pesce azzurro in scatola. E’ vero, ho detto: basta con gli yesman, con gli esperti alla Colao e con lo Stato di polizia. Questi estremismi li ravviso nella pesante deresponsabilizzazione della politica, durante la quarantena e dopo. Sono evidenti a tutti, tranne a chi ha scelto di seppellire la ragione e il senso critico, i limiti dell’eccessivo ricorso agli esperti, in virtù del quale abbiamo perso tempo, siamo rimasti indietro come paese e il Parlamento è stato esautorato. Lo dico con cognizione di causa, soprattutto per scuotere il Movimento 5 Stelle, cui appartengo. La democrazia e la rappresentanza richiedono la responsabilità, il diritto e il dovere di concorrere alle decisioni. Gli elettori non hanno scelto né Conte né Colao, per dirla in breve.Conte decide in solitaria la politica della maggioranza? Questa è una domanda che andrebbe rivolta in primo luogo a Rocco Casalino. Comunque, i fatti dicono di sì. Veda, per esempio, la soluzione nebulosa e incerta su Autostrade. Il presidente del Consiglio si sta appropriando della leadership del Movimento? Conte sta sfruttando il momento. Questo non è un reato, ma è legittimo. Se farà un suo partito, lo vedremo. Intanto noi del Movimento 5 Stelle abbiamo il dovere di uscire fuori dallo schema della delega in bianco, dell’uomo solo al comando. Abbiamo il dovere di riorganizzarci, il dovere di non rinviare più il confronto interno, il dovere di ragionare su dove eravamo nel 2018 e dove stiamo adesso. Lo stato d’emergenza non è necessario, perché l’emergenza non c’è. E’ un male per tutti, coprire l’attuale mancanza di politica con la proroga dell’emergenza. Sono stato l’unico parlamentare del Movimento che ha espresso e confermato il proprio dissenso. Per inciso, ho argomentato in largo questa mia posizione, che – esplicito – non è finalizzata a salti della quaglia o a prendere qualche poltrona. Se ora temo provvedimenti disciplinari? Io non temo mai niente e nessuno. Sono una persona libera; questa è la mia forza, se mi permettete.(Francesco Sapia, dichiarazioni rilasciate a Lucio Valentini nell’intervista “Dietro l’emergenza di Conte un disegno contro Pmi e famiglie”, pubblicata dal “Sussidiario” il 3 agosto 2020. Sapia è un deputato eletto in Calabria con i 5 Stelle nella primavera 2018).Perché sono stato l’unico, nella maggioranza, a votare contro la proroga dello stato d’emergenza? Non siamo in una situazione di emergenza, perciò non si capisce perché si debba mantenere un accentramento di poteri, in capo al presidente del Consiglio, che allo stato non trova fondamento nella realtà. C’è sempre tempo per deliberare l’emergenza, se dovesse presentarsi per davvero. I contagi di questi giorni sono fisiologici dopo il lockdown. Tra l’altro il virus è molto più debole. Lo dicono anzitutto i clinici, con cui parlo spesso, che sono i medici che curano i malati. Qualcuno la butta per opportunismo sugli immigrati. Così l’analisi, povera e strumentale, si ferma lì, smentita peraltro dai numeri. Tanti abboccano, purtroppo. Cosa ci aspetta in autunno? Su larga scala non è chiaro il quadro di gravissima difficoltà economica del paese. A breve la crisi sarà terribile, se non ci sarà un piano per le imprese, specie per le piccole e le medie. Non vedo la volontà politica di prendere il toro per le corna. Prevalgono toni fuori luogo, troppo spesso pericolosamente propagandistici. Non si possono alterare ancora gli equilibri tra il potere esecutivo e quello legislativo. Dagli anni ‘90 il Parlamento conta di fatto molto poco, a dispetto delle sue funzioni. A causa della delegittimazione della politica, voluta e perseguita dai tempi di Tangentopoli, da allora si procede con la decretazione d’urgenza.
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Morte dell’Italia: aziende svendute, messe ko dal lockdown
Si calcola che vi siano 250.000 aziende italiane, piccole e medie, tutte in difficoltà: tra qualche mese avrebbero convenienza a vendere la loro realtà a quelli per cui già lavorano e forniscono “pezzi” per grandi realizzazioni industriali. «Passeremmo così, nel giro di un trentennio circa, dalla “stagione delle privatizzazioni” alla “grande svendita”», avverte Gianluigi Da Rold. «È un disastro da evitare a tutti i costi». A questo punto, aggiunge Da Rold, gli Stati Generali non ricorderebbero neppure quelli del 1789, né quelli di Richelieu del 1650, ma quelli del 1302, «tenuti dal più catastrofico re dei Capetingi, Filippo IV, detto il “bello”, ma anche il simbolo dell’assolutismo più ignobile». In una ricognizione giornalistica sul “Sussidiario“, Da Rold – già storico inviato del “Corriere della Sera” – lancia l’allarme: se col passaggio dalla Prima alla Seconda Repubblica abbiamo svenduto l’hardware statale che fungeva da volano per l’economia, ora – di fronte all’inazione del governo Conte alle prese col disastro Covid – rischiamo di perdere anche il software, cioè il grande patrimonio nazionale rappresentato dalla manifattura di qualità: aziende che fanno gola al mercato, e che tra qualche mese potrebbero chiudere o essere cedute a prezzi di saldo.
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Atlantide, la scienza convalida Platone: cataclisma nel 9500
Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.Il lavoro di Bizzi, edito da Aurora Boreale, conferma in modo impressionante come le ultime rivelazioni scientifiche non siano mai state un segreto per gli iniziati ai “misteri eleusini”, comunità di cui lo stesso Bizzi fa parte, per via familiare, essendo stata ben radicata – sottotraccia – nella fiorentissima Firenze dei Medici. Il cosiddetto “mito” eleusino nasce alle porte di Atene, quando la dea Demetra – ultima discendente dei Titani, sconfitti dagli dei olimpici – mette a parte i seguaci del “segreto” dell’origine umana: saremmo stati “fabbricati” dalle divinità titaniche come Poseidone. Da allora (1300 avanti Cristo), il santuario di Eleusi diventa il presidio di questa “verità misterica”, custodita dai sacerdoti di Demetra, eredi di quell’antica rivelazione. Suggestioni vertiginose: per volere di Augusto, il poeta Virgilio celebra la nascita di Roma ad opera di Enea, ultimo eroe di Troia. La guerra omerica dell’“Iliade” sarebbe la traccia letteraria della resa dei conti finale tra i Titani e Zeus, di cui parla anche Esiodo nella sua “Teogonia”.Attenti ai simboli: per la tradizione misterica, la stessa Demetra arrivò a Eleusi partendo da Enna, in Sicilia. In queste tre fonti (Omero, l’“Eneide” e il culto eleusino) ricorre la radice “En’n” (inizio). Non casuale, quindi, il nome di Enea: il troiano fondatore di Roma sarebbe stato l’erede della civiltà “atlantidea”, estesasi nel Mediterraneo prima del grande cataclisma “cometario” che stravolse la Terra. Ma in realtà, anziché “atlantidea”, quella civiltà-madre (nord-atlantica e poi anche minoica, basata a Creta e poi in tutto l’Egeo fino all’Asia Minore) era chiamata “ennosigea”, dal nome di una delle principali di quelle sette macro-isole, chiamata appunto En’n. Questa possibile verità parallela – tranquillamente esposta da Platone – fu tollerata per quasi duemila anni, fino allo sciagurato Editto di Tessalonica del 380 dopo Cristo, quando l’imperatore Teodosio trasformò il neonato Cristianesimo in religione di Stato, l’unica autorizzata, mettendo fuorilegge tutte le altre e dando il via alla feroce persecuzione del paganesimo.A partire da quell’anno, scrive Bizzi nel suo affascinante saggio, tutti i templi eleusini fuorno distrutti – tranne quello di Eleusi, che venne semplicemente abbandonato. Da allora, la “comunità eleusina” si rassegnò a sopravvivere in clandestinità, con esiti spesso clamorosi come il Rinascimento italiano, promosso da principi illuminati del calibro di Lorenzo il Magnifico, espressione della tradizione eleusino-pitagorica. Stando a Bizzi, in possesso di documenti inediti e gelosamente conservati per secoli, erano “eleusini” anche i grandi architetti della Roma rinascimentale, ingaggiati dai Papi medicei. E sempre a Firenze, alla fine del Trecento, si svolse il più incredibile dei summit: alla corte dei Medici si sarebbero confrontati i rappresentati vaticani e persino gli emissari del Celeste Impero cinese, per decidere se e come diffondere la notizia della spedizione navale dello scozzese Henry Sinclair, conte delle Orcadi, sbarcato in America (cent’anni di prima di Colombo) con 40 navi templari sulle coste del Rhode Island.Siamo alla vigilia di scoperte sensazionali sulla vera storia della nostra civiltà? Certo non ci è d’aiuto l’archeologia ufficiale, scrive Bizzi in un’accurata ricostruzione su Facebook, in cui spiega le ragioni dell’assurda reticenza della disciplina archeologica accademica, oggi quotidianamente scavalcata dai nuovi ricercatori, archeologi e non, disposti a procedere incrociando i loro dati con quelli dei geofisici, dei climatologi, dei paleontologi, degli astrofisici. «Considerata in passato come scienza ausiliaria della storia, adatta a fornire documenti materiali per quei periodi non sufficientemente illuminati dalle fonti scritte – ragiona Bizzi – l’archeologia è stata sempre considerata come una delle quattro branche dell’antropologia (insieme all’etnologia, la linguistica e l’antropologia fisica)». I suoi difetti? «Ottusità, malafede, e soprattutto anti-scientificità». Dice Bizzi: «È doloroso doverlo affermare, ma l’archeologia è oggi una delle poche discipline scientifiche (o con pretesa di scientificità) che non procedono secondo un metodo “scientifico”».Una disciplina, l’archeologia, «corrosa e inquinata da pesanti rivalità professionali, da miopia e da ristrettezza di vedute», nonché «minata da una cronica mancanza di fondi per gli scavi e per la preservazione del patrimonio finora scoperto». Soprattutto, «anziché comportarsi da vera disciplina “complementare”, come dovrebbe essere», l’archeologia «si rifiuta di accettare i dati di supporto della geologia, della chimica, della biologia, dell’astronomia e di altre discipline, e resta chiusa in sé stessa e nel suo immobilismo». Risultato: «Tutte le scoperte “scomode”, che rischiano di alterare o stravolgere il “paradigma” comunemente accettato, vengono sistematicamente nascoste, occultare: ne viene negata la pubblicazione e la conoscenza da parte dell’opinione pubblica». Così, a forza di “questo non si può dire”, il sapere «si riduce a dogma di fede». Nel testo “La struttura delle rivoluzioni scientifiche”, lo storico della scienza Thomas Kuhn definisce il paradigma scientifico «un risultato universalmente riconosciuto che, per un determinato periodo di tempo, fornisce un modello e soluzioni per una data comunità di scienziati».Solo le discipline più mature, non a caso, possiedono un paradigma stabile, osserva Bizzi. «E il paradigma prevalente rappresenta spesso una forma specifica di vedere la realtà o le limitazioni di proposte per l’investigazione futura». In altre parole, «un freno e un limite talvolta inaccettabile». Lo stesso Hancock, parlando di “paradigma archeologico”, sostiene che l’archeologia ortodossa si basa su «presupposti aprioristici riguardo a ciò che accadde in passato», e li usa come pretesto «per non effettuare indagini ad ampio raggio su ciò che effettivamente accadde». Scarsa cultura, stupidità o malafede? E’ Kuhn il primo a sostenere che, in modo complementare, «una rivoluzione scientifica sia necessariamente caratterizzata da un cambiamento di paradigma». E questa “rivoluzione”, archeologica e non solo, secondo Bizzi è ormai in corso da vent’anni. Cambio di paradigma, appunto: «Benché persistano all’interno degli ambienti accademici una grande miopia e una malcelata ottusità, stiamo assistendo fortunatamente ad un ricambio generazionale, alla crescita professionale e all’avvento di una nuova generazione di giovani storici e archeologi con uno spettro di vedute un po’ più ampio della precedente, e soprattutto con più determinazione e con una maggiore apertura verso la multidisciplinarietà».Certo, «sono ancora pochi quelli disposti a rischiare, magari a compromettere le loro carriere pur di portare avanti teorie innovative». Ma comunque «quei pochi ci sono, e sono sempre di più». Aggiunge Bizzi: «Questa rivoluzione è ormai partita e ritengo che niente possa più fermarla». Un dato sicuramente a favore dei pochi coraggiosi “pionieri” di questo nascente revisionismo storico-archeologico – spiega Nicola Bizzi – è sicuramente il rinnovato interesse da parte dell’opinione pubblica, indubbiamente favorito dall’avvento e dalla diffusione di Internet, che ha potenzialmente ampliato in maniera esponenziale l’accesso ai dati e alle notizie. «Inoltre, grazie alla pubblicazione e alla diffusione a livello mondiale di libri rivoluzionari di studiosi come Robert Bouval, Graham Hancock, John Antony West, Alan Alford, e alla nascita di importanti testate giornalistiche e riviste specializzate a larga diffusione, come l’italiana “Archeomisteri”, sta sempre più crescendo nell’opinione pubblica l’interesse per l’archeologia, e soprattutto la voglia di sapere, di conoscere, di non limitarsi alle apparenze e alle verità ufficiali e di comodo».Bizzi cita il ricercatore italiano Mauro Quagliati, secondo cui «la rivoluzione archeologica parte dall’Egitto». È infatti proprio grazie a tutta una serie di nuove scoperte inerenti alla Sfinge e alle piramidi, che questa “rivoluzione” ha potuto finalmente aprirsi un varco nell’immobilità degli accademici. Nonostante le negazioni a oltranza di certe “autorità”, proprio dall’Egitto sono emersi dei dati estremamente importanti. Recenti scoperte hanno dimostrato ad esempio, con il supporto della geologia, che la Sfinge è stata scolpita non meno di 12.000 anni fa. Il suo corpo è stato infatti eroso da millenni di piogge tropicali, quando l’Egitto aveva un clima ben diverso dall’attuale. Molte altre nuove scoperte tenderebbero a datare alla stessa epoca le tre piramidi di Giza, il Tempio della Valle e molti altri monumenti egizi. «A chi mi chiede se la mitica Atlantide descritta da Platone sia realmente esistita o se si tratti solo di una leggenda – scrive Bizzi – solitamente ribadisco che prima di rispondere dobbiamo partire dalla constatazione di quella che è una realtà oggettiva: la storia della civiltà umana sulla Terra si spinge molto più indietro nel passato di quanto ci venga oggi insegnato sui banchi di scuola».Fino a pochi anni fa, il passato dell’uomo sembrava non avere misteri: sulla base di alcuni rinvenimenti gli scienziati credevano di poter stabilire, a grandi linee, la storia della nostra evoluzione, di essere in grado cioè di seguire lo sviluppo della civiltà attraverso le Età della Pietra, del Bronzo e del Ferro. Ma lo schema fissato da questi studiosi era troppo semplicistico per rispecchiare la realtà. Lo dimostrarono migliaia di successive scoperte che, lungi dal completare il mosaico, lo ampliarono, estendendone le tracce in ogni direzione e rendendolo più incomprensibile che mai. «Oggi ci troviamo di fronte a tracce di grandi culture fiorite in epoche che avrebbero dovuto essere caratterizzate da un’assoluta primitività, almeno secondo le teorie canoniche della “scienza ufficiale”. Segni evidenti ci attestano l’esistenza di importanti baluardi di civiltà là dove non li avremmo mai sospettati». In sostanza, «oggi gli storici e gli scienziati avrebbero in mano dati, nozioni e prove ormai certe tali da poter retrodatare di migliaia di anni la storia della civiltà umana», come dimostra la rivoluzionaria scoperta di Göbekli Tepe, nella Turchia orientale: un sito archeologico imponente e straordinario, fino ad oggi solo in minima parte portato alla luce, la cui datazione ufficiale si attesta oltre il 9.500 avanti Cristo.Per non parlare di altri siti come quello bosniaco di Visoko, le cui impressionanti piramidi sono state datate addirittura al 29.000 avanti Cristo. «Penso sinceramente che, se non assisteremo a una “manipolazione” di questa rivoluzione archeologica – sostiene Bizzi – il castello di carte degli storici accademici sia destinato inesorabilmente a crollare». Sarà allora, aggiunge lo storico, che il “paradigma” sarà finalmente rovesciato. Quel giorno, «la verità inizierà a venire alla luce in tutto il suo splendore». Per ora, resta “pericoloso” mettere in discussione, dal punto di vista storico, persino alcuni eventi della Seconda Guerra Mondiale, «quindi possiamo immaginarci quanto pericoloso possa essere mettere in discussione l’intera cronologia ufficiale della storia dell’uomo». Per Bizzi, «esistono dei “poteri forti”, delle vere e proprie “lobby” che pretendono di decidere sulle teste dei cittadini di questo mondo in tutti campi, non soltanto nella politica e nell’economia, ma anche nella storia: lobby di potere che hanno sempre attuato una sistematica e deliberata soppressione delle informazioni relative alle scoperte archeologiche più “scomode”, operando simultaneamente, oltre al taglio dei fondi e delle risorse, al discredito professionale degli archeologi impegnati in determinate ricerche e in determinati scavi».Francamente, ammettere l’esistenza di una civiltà avanzata prima dell’inizio della nostra era «comporterebbe una vera rivoluzione dei parametri storici: tutto sarebbe da riscrivere e molti ostinati negatori di certe realtà perderebbero la faccia». Per gli studiosi “ortodossi” è molto più facile attenersi al vecchio “paradigma” e ignorare le nuove scoperte, piuttosto che «intraprendere ricerche archeologiche e subacquee che si rivelerebbero costosissime ed estremamente difficoltose». Ma alla fine, «anche i più miopi e ostinati non potranno farlo ancora a lungo». Queste nuove scoperte “scomode” infatti si susseguono, sempre più numerose, con un ritmo ormai impressionante. «E gli argini della diga del “paradigma” mostrano crepe e spaccature ogni giorno più grandi». Come evidenzia Graham Hancock nel suo libro “Il ritorno degli Dei”, una casa costruita sulla sabbia rischia sempre di crollare. «E le prove dimostrano con sempre maggiore evidenza che l’edificio del nostro passato eretto dagli storici e dagli archeologi poggia su fondamenta difettose e pericolosamente instabili». Tra il 10.800 e il 9.600 il nostro pianeta «venne sconvolto da un cataclisma di dimensioni apocalittiche». Si trattò, come sottolinea Hancock, di «un evento che ebbe conseguenze globali e che influì molto profondamente sul genere umano», restando vivo nella memoria, nei miti e nelle tradizioni di tutti i popoli.Un evento sul quale molto è stato scritto, dibattuto e teorizzato, dal medioevo fino ad oggi. Ma soltanto fra il 2007 e il 2014 è stato pienamente confermato dalle prove e dalle testimonianze scientifiche, afferma lo storico fiorentino. Il lavoro divulgativo di Hancock, basato su rigorose ricerche scientifiche, riporta tutti i riscontri oggettivi del cataclisma che sconvolse il mondo tra 12.800 e 11.600 anni fa. «Ci fornisce le tanto attese prove che ci permettono di far uscire una volta per tutte questo evento di portata apocalittica dal calderone delle ipotesi e dalle nebbie del mito, contestualizzandolo cronologicamente e geograficamente». Come ha scritto Randall Carlson in “My Journey to Catastrophism”, «il nostro è un pianeta terribilmente dinamico, che ha subito cambiamenti profondi su una scala che supera di gran lunga qualsiasi cosa accaduta in un arco di tempo a noi prossimo». Quello che chiamiamo “la nostra storia”, dice Carlson, «è semplicemente la testimonianza di eventi umani che si sono verificati a partire dall’ultima grande catastrofe planetaria».Eppure, i popoli con i quali solitamente si vuol fai iniziare la storia “ufficiale”, ovvero i Sumeri e gli Egiziani, ci hanno lasciato documenti scritti che parlano di migliaia di anni della loro storia, precedenti a quella che conosciamo: migliaia di anni di storia precedenti al grande evento apocalittico che, in tutte le culture, fa da cerniera temporale fra il “prima” e il “dopo”. Come osserva lo stesso Hancock, alla luce delle nuove scoperte ci troviamo nel mezzo di un profondo “cambiamento di paradigma” per quanto riguarda il modo in cui guardiamo l’evoluzione della civiltà umana. Gli archeologi? Hanno la pessima abitudine di considerare gli impatti cosmici come fossero lontani milioni di anni, e in più «sostanzialmente irrilevanti nell’arco dei 200.000 anni di esistenza dell’uomo anatomicamente moderno». Finché si credeva che l’ultimo grande impatto fosse stato quello con l’asteroide che 65 milioni di anni fa si ritiene che abbia spazzato via i dinosauri, aveva ovviamente poco senso cercare di correlare gli incidenti cosmici su questa scala quasi inimmaginabile con l’arco di tempo molto più breve della storia dell’umanità. Ma a cambiare tutto, scrive Bizzi, è «lo scenario da incubo emerso dalle ricerche di quel gruppo di scienziati che ha recentemente dimostrato il devastante impatto del Dryas Recente, vale a dire quell’evento sconvolgente di dimensioni apocalittiche che ha sconvolto il nostro pianeta solo 12.800 anni fa, alle porte della nostra storia “ufficiale”».Significa «rovesciare il tavolo con tutto quello che c’è sopra», come si intuisce osservando «le tenaci e disperate resistenze dell’establishment accademico, fin dall’inizio rivolte verso gli studi rivoluzionari di Joseph Harlen Bretz prima e verso le scoperte di Jim Kennett e del suo team di scienziati poi». Resistenze paradossali, visto che ora emerge le nostra civiltà non nasce affatto nel Neolitico, ma assai prima. Ovvio: il vecchio “paradigma”, semplicemente, ignorava il cataclisma planetario. Si scatenò nel Dryas Recente (tra i 12.800 e gli 11.600 anni fa) e venne immediatamente seguito da grandi e importanti segnali di civiltà, come quella di Göbekli Tepe in Turchia. «Non si trattava di civiltà primitive appena uscite dalle caverne, bensì di popoli con strutture sociali complesse e già evolute, con alto senso artistico e religioso e con conoscenze astronomiche e architettoniche chiaramente riscontrabili negli imponenti edifici e monumenti che ci hanno lasciato». Oggi, ormai costretti dall’evidenza e dalle datazioni, gli archeologi definiscono i resti di Göbekli Tepe «primi esperimenti di vita civilizzata», che ebbero luogo subito dopo il “punto di interruzione” rappresentato dal Dryas Recente. «Ma non tengono conto del trauma immane e della distruzione globale messi in moto dagli impatti cosmici che causarono il Dryas Recente». E questo, per Bizzi, «rappresenta una vera e propria carenza nei metodi di ricerca e di valutazione».Peggio ancora: «Non si è pensato di considerare anche solo per un momento la possibilità che capitoli cruciali della storia umana, forse persino una grande civiltà della remota preistoria, possano essere stati cancellati (anche se ciò non è avvenuto nella memoria storica e nei miti di tutti i popoli antichi) da questi impatti e dalle inondazioni, dalle piogge nere bituminose, dall’oscurità e dal freddo indescrivibile che ne seguirono». Fino a non molti anni fa gli studiosi e i ricercatori indagavano su questo cataclisma apocalittico, di cui esitevano molteplici evidenze, ma non ancora le prove scientifiche delle sue cause. Ipotizzavano l’impatto di un meteorite di considerevoli dimensioni, sul modello di quello che si ritiene abbia provocato la scomparsa dei dinosauri. Con l’inizio del nuovo millennio, invece, si è fatta strada un’ipotesi «assai più inquietante, corroborata dalla massa crescente di indizi attestanti che 12.800 anni una cometa gigante, in viaggio su un’orbita che la portò a intersecare il Sistema Solare interno, si frantumò in una miriade di frammenti». Molti dei quali, con un diametro anche superiore ai 2 chilometri, colpirono la Terra.Epicentro del disastro: il Nord America. Luogo dell’impatto: la calotta glaciale nord-americana. Conseguenze: «Lo scioglimento di colossali masse di ghiaccio causò spaventose alluvioni e maremoti, proiettando grandi nuvole di polvere nell’alta atmosfera, avvolgendo l’intero pianeta e impedendo per lungo tempo ai raggi del Sole di raggiungere la superficie». Era stata finalmente individuata la vera causa, che negli anni successivi sarebbe stata corroborata da solide prove scientifiche, del misterioso e repentino periodo di congelamento globale che i geologi chiamano Dryas Recente. «In sostanza, stava emergendo una verità a lungo solo ipotizzata e da molti, in ambito scientifico ed accademico, temuta e rifiutata». L’ultima conferma viene da “The Journal of Geology”, che riporta «la scoperta di un grandissimo quantitativo di nanodiamanti, rilevati in una vasta aerea ritenuta quella dei principali impatti». Si tratta di «diamanti microscopici che si formano in condizioni estremamente rare di pressione e calore di livelli altissimi, e sono ritenuti le impronte caratteristiche – proxy, o indicatori diretti, nel linguaggio scientifico – di potenti impatti di comete o asteroidi».E il team di scienziati guidato da Richard Firestone e da James Kennett, nel 2014, dopo sette anni di accese discussioni e dibattiti, spiegò che i campioni di sedimento sui quali si fondavano le prove contenevano, oltre ai nanodiamanti, diversi altri tipi di detriti che potevano avere unicamente un’origine extraterrestre, riconducibili a una cometa o a un asteroide. Tra i detriti, «minuscole sferule di carbonio che si formano quando goccioline di materiale organico fuso si raffreddano rapidamente a contatto con l’aria e molecole di carbonio contenenti il raro isotopo Elio-3, molto abbondante nel cosmo, ma non sulla Terra». Il team arrivò poi alla conclusione che la causa della devastazione fosse da imputare a una cometa, e non a un asteroide, dal momento che nello strato principale dei sedimenti esaminati erano del tutto assenti gli alti livelli di Nichel e Iridio che caratterizzano gli impatti degli asteroidi. «Si delineavano così con chiarezza le cause scatenanti del Dryas Recente: l’impatto dei frammenti di una super-cometa che avrebbero colpito la calotta glaciale nord-americana in più punti e una vasta aerea dell’emisfero settentrionale, arrivando a toccare il Mediterraneo, la Turchia e la Siria».Riassumendo: gli autori dello studio immaginano «un’onda d’urto devastante e di altissima temperatura che provocò un picco di sovrapressione, seguito da un’onda di pressione negativa, che diede luogo a venti intensi che spazzarono il Nord America viaggiando a centinaia di chilometri orari, accompagnati da potenti vortici generati dagli impatti». Non solo: «Una sfera di fuoco rovente avrebbe saturato la regione vicina agli impatti». E a distanze maggiori, il rientro in atmosfera ad altissima velocità del materiale surriscaldato (espulso al momento delle collisioni) avrebbe provocato «enormi incendi che avrebbero decimato foreste e praterie, distruggendo le riserve di cibo degli erbivori e producendo carbone, fuliggine, fumi tossici e cenere». E in che modo tutto ciò avrebbe potuto causare il drammatico congelamento del Dryas Recente? Gli autori dello studio propongono varie concause: la più rilevante sarebbe stata «l’enorme pennacchio di vapore acqueo proveniente dallo scioglimento della calotta glaciale». Sarebbe stato scagliato nell’atmosfera, combinato a immense quantità di polvere e detriti composti da frammenti dei corpi impattanti, dalla calotta glaciale e dalla crosta terrestre sottostante, oltre al fumo e alla fuliggine prodotta dagli incendi che devastarono l’intero continente.Nel complesso, come rileva Hancock, risulta abbastanza facile capire in che modo una tale quantità di detriti proiettata nell’atmosfera potesse aver portato ad un rapido raffreddamento, bloccando il passaggio della luce solare. L’insieme di vapore acqueo, fumo, fuliggine e ghiaccio – continua Bizzi – avrebbe generato una cortina persistente di nubi “nottilucenti”, con conseguente diminuzione della luce solare e raffreddamento della superficie, riducendo in tal modo l’insolazione alle alte latitudini, aumentando l’accumulo nevoso e causando un ulteriore abbassamento delle temperature in un ciclo continuo di retroazione. Per quanto devastanti, questi fattori diventano quasi insignificanti se paragonati alle conseguenze che gli impatti possono aver avuto sulla calotta glaciale: «Il maggiore effetto potenziale sarebbe stata la destabilizzazione e quindi lo scioglimento parziale della calotta glaciale in seguito all’impatto. Nel breve periodo ciò avrebbe liberato repentinamente acqua di disgelo e enormi blocchi di ghiaccio negli oceani del Nord Atlantico e dell’Artico, abbassando la salinità con conseguente raffreddamento superficiale».«Gli effetti di congelamento a lungo termine – aggiungono gli studiosi – sarebbero derivati in gran parte dal successivo indebolimento della circolazione termoalina nell’Atlantico Settentrionale, mantenendo un clima freddo nel Dryas Recente per più di 1.000 anni, fino a quando i meccanismi ciclici ripristinarono la circolazione oceanica». I risultati pubblicati su “Proceedings of the National Academy of Science” il 4 giugno 2013 beneficiarono inoltre dei più recenti progressi nella tecnologia del radiocarbonio per raffinare la datazione dell’impatto cosmico da 12.900 a 12.800 anni fa e resero possibile una mappatura molto più particolareggiata dell’area di dispersine del materiale da impatto, che incluse quasi 50 milioni di chilometri quadrati del Nord, Centro e Sud America, una grande sezione dell’Oceano Atlantico e gran parte dell’Europa, del Nord Africa e del Medio Oriente. E il fatto che i calcoli, presenti negli studi del 2013, indicassero il deposito di oltre dieci milioni di tonnellate di sferule all’interno di questo vasto campo di caduta, uniti agli studi presentati l’anno successivo sulla presenza nell’area interessata di enormi quantità di nanodiamanti, fece sì da togliere dalla mente dei ricercatori ogni dubbio sul fatto che al centro di tutto questo vi fosse un impatto cosmico, e nello specifico l’impatto di una supercometa.Sono stati, infine, individuati con chiarezza anche diversi punti d’impatto: la depressione di Charity Shoal nel Lago Ontario, la conca di Bloody Creek nella Nuova Scozia, il cratere di Corossol nel Golfo di San Lorenzo in Canada e l’area di Quebacia Terrain, sempre in Canada, ad Ovest di Corossol. E questi elencati, aggiunge Bizzi, sono i punti d’impatto che è stato possibile individuare grazie alle evidenze geologiche, mentre si ritiene che quelli maggiori e più devastanti, dovuti a frammenti della cometa di dimensioni nell’ordine di due chilometri e mezzo di diametro, abbiano riguardato la calotta di ghiaccio in punti più a Nord e più a Ovest. Ciò che colpisce in special modo, nel risultato di queste scoperte, secondo Hancock è il fatto che i cambiamenti climatici (avvenuti sia all’inizio che alla fine del Dryas Recente) abbiano avuto estensione planetaria e si compirono entrambi nell’arco di una generazione umana: 12.800 anni fa, una forza esplosiva combinata (10 milioni di megatoni) avrebbe sollevato nell’atmosfera sufficiente materiale da far piombare la Terra in una lunga, prolungata oscurità simile ad un inverno nucleare, cioè quel “periodo di oscurità” di cui parlano tanti antichi miti.Poi, il repentino riscaldamento verificatosi 11.600 anni fa, che pose fine al Dryas Recente, sarebbe sì in parte spiegabile con la dispersione finale della nuvola di materiale espulso. Ma vi sarebbe, a completare il quadro, anche un’altra spiegazione complementare: secondo gli scienziati, molti frammenti della cometa (anche enormi) sarebbero rimasti in orbita, fino a impattare nuovamente con il nostro pianeta nel 9.600 avanti Cristo. «La Terra, quindi, avrebbe nuovamente interagito 11.600 anni fa con la scia di detriti della medesima cometa frammentata che aveva causato l’inizio del Dryas Recente, determinandone una repentina fine». Stavolta, anziché nell’Artico, l’impatto di sarebbe verificato nell’Atlantico Settentrionale: cosa che avrebbe provocato «l’innalzamento di enormi pennacchi di vapore acqueo» capaci di creare un effetto serra, «dando il via ad una rapida fase di riscaldamento globale». Gli scienziati, aggiunge Bizzi, stimano che questa seconda ondata di impatti abbia determinato – nel giro di appena cinquant’anni – un aumento delle temperature medie di oltre 7 gradi centigradi, con il conseguente scioglimento di enormi masse di ghiacci e il repentino aumento, in tutto il mondo, del livello dei mari e degli oceani di decine e decine di metri. Era il grande diluvio, o diluvio universale?Sicuramente, scrive Bizzi, le aree del secondo impatto «erano abitate e popolate dall’uomo». Su di esse, «probabilmente fiorivano diverse civiltà». Gli archeologi “ortodossi” si sono sforzati per anni nel sostenere che Platone si fosse inventato tutto. Nei suoi dialoghi “Timeo” e “Crizia”, è datata 9.000 anni prima di Solone la scomparsa di Atlantide per via di un terribile cataclisma di fuoco. Da Platone, per l’ufficialità, ci è giunta solo «un’opera di fantasia o di mera speculazione metaforica e filosofica». Ma gli “ortodossi” hanno sempre ignoranto deliberatamente «l’esistenza di centinaia di miti e antiche tradizioni che, in tutto il mondo, dalle Americhe al Mediterraneo, dall’Africa all’Asia, confermano, direttamente o indirettamente, la narrazione platonica», ora corroborata dalla scienza. «Narrazione che, peraltro, è pienamente avvalorata dal corpo dei testi della Disciplina Arcaico Erudita tramandati dalle scuole misteriche eleusine, i quali – rivela Bizzi – ci raccontano la storia di una civiltà evolutasi su quelle che vengono menzionate come “le Sette Grandi Isole del Mar d’Occidente”».Cos’erano? Testualmente: «Un insieme di vaste terre che sorgevano nell’Atlantico Settentrionale e che si sarebbero inabissate esattamente nel 9.600 avantio Cristo». Quei testi, spiega lo storico fiorentino, «ci descrivono una società avanzata, con grandi conoscenze scientifiche». Evolutasi nell’arco di circa 10.000 anni, quella civiltà «sarebbe arrivata, all’apice del suo splendore, a conquistare e colonizzare l’America Centrale e Meridionale, il bacino mediterraneo, l’Europa Meridionale, il Medio Oriente e parte dell’Asia e dell’Africa, portandovi la propria cultura e le proprie tradizioni». Una civiltà che non chiamava se stessa “atlantidea”, bensì “ennosigea”, dal nome di una delle principali di queste sette terre, chiamata appunto En’n. Proprio la terra di En’n, situata ad Ovest dello stretto di Gibilterra (le mitiche Colonne d’Ercole dell’antichità) era grande quanto Francia e Spagna messe insieme. E stando sempre ai testi eleusini, a En’n «esisteva una regione, collocata in posizione nord-orientale, denominata Hathlanthivjea», un tempo «fiorente Stato indipendente, prima della conquista ennosigea avvenuta attorno al 12.000 avanti Cristo».Hathlanthivjea, cioè Atlantide? «Il suo nome, composto da quattro diversi geroglifici, significherebbe “la Grande Madre venuta dal Mare”», spiega Bizzi, che premette: «I testi delle scuole misteriche eleusine non costituiscono una “prova”»; anche se attribuiti ad autori dell’antichità, «sono stati oggetto di più trascrizioni attraverso il medioevo e i secoli successivi, e non se ne possiedono più gli originali». Tuttavia, «non si può escludere che Platone, nelle sue narrazioni, faccia proprio riferimento alla regione di Hathlanthivjea». Tornando a Hancock, l’autore scozzese ha ragione quando sostiene che le riserve su Platone alludono al fatto che il filosofo abbia forse basato il suo racconto su un cataclisma molto più recente avvenuto nel Mediterraneo, come ad esempio l’eruzione di Thera (Santorini) attorno al 1500 avanto Cristo. «Ma si tratta di una visione miope e di convenienza, del resto ormai superata e surclassata dal pieno riconoscimento scientifico dell’impatto cometario del Dryas Recente», taglia corto Bizzi.Il concetto di un disastro globale verificatosi più di 11.000 anni fa, e in particolare l’idea eretica che esso abbia potuto spazzare via una grande civiltà evoluta esistente in quell’epoca, è sempre stato strenuamente respinto e ridicolizzato dall’archeologia “ufficiale”. Chiaro il motivo, dice Hancock: «Ovviamente gli archeologi dichiarano di “sapere” che non vi fu, e non avrebbe mai potuto esistere in nessuna circostanza, una civiltà altamente sviluppata in quel periodo. Lo “sanno” non grazie a prove inconfutabili che permettano di escludere l’esistenza di una civiltà tipo Atlantide nel Paleolitico Superiore, ma piuttosto basandosi sul principio generale che il risultato di meno di duecento anni di archeologia “scientifica” rappresenti una linea temporale accettata per il progresso della civiltà, che vede i nostri antenati uscire lentamente dal Paleolitico Superiore per entrare nel Neolitico intorno al 9.600 e da lì in poi evolvere attraverso lo sviluppo e il perfezionamento dell’agricoltura nei millenni successivi».Tirando le somme, a Bizzi sembra evidente che stiamo ormai assistendo alla fine dell’attuale “paradigma” e che la rivoluzione archeologica in atto sia ormai incontenibile e irreversibile. «È stato geologicamente provato, grazie alle ricerche condotte da numerose spedizioni oceanografiche, che vaste aree di quello che è oggi l’Atlantico Settentrionale si trovavano in stato di emersione, fino a circa 12.000 anni fa». E non solo: «Il fondale atlantico, proprio in quelle aree – che vanno dai Carabi fino alle Azzorre e a Gibilterra – è cosparso di rovine, di mura, di strutture piramidali e di veri e propri resti di città, estese anche numerosi ettari, con strade che si intersecano perfettamente ad angolo retto». Attenzione: «Stiamo parlando di strutture la cui origine non può essere assolutamente attribuita alla natura. Si tratta di opere dell’uomo realizzate in un’epoca ovviamente precedente alla sommersione di questi tratti di fondale. Sommersione che, grazie a campioni di tectiti, di fossili e di lava vulcanica prelevati dai fondali e opportunamente analizzati, è databile grosso modo al 9.600 avanti Cristo: guarda caso, si tratta della stessa data fornitaci da Platone in merito all’affondamento della “sua” Atlantide».Senza insistere necessariamente su Atlantide, conclude Bizzi, occorre prendere atto che di “Atlantidi” ne sono esistite numerose, in ogni angolo del globo. Quantomeno, sono esistite diverse “civiltà madri” precedenti alla nostra: «E ci hanno lasciato le loro testimonianze inconfutabili, dal Perù ai fondali dell’Atlantico, dal Medio Oriente alla Siberia, dall’Amazzonia all’Indonesia, dal Pacifico all’Antartide». Mentre la gran parte dell’archeologia universitaria continua a tacere, rifiutando di accettare le logiche conclusioni delle ultime rivoluzionarie scoperte, «le prove scientifiche dell’impatto cometario del Dryas Recente», che decretò la scomparsa di quelle antiche civiltà, «costituiscono quello che in gergo poliziesco si chiama “pistola fumante”». Chiosa Nicola Bizzi: «La Storia è ormai da riscrivere, da riscrivere completamente, e non ci sarà “paradigma” che possa impedire di farlo».(Il libro: Nicola Bizzi, “Da Eleusi a Firenze. La trasmissione di una conoscenza segreta”, vol. 1, Aurola Boreale, 800 pagine, 35 euro).Aveva ragione Platone: Atlantide esisteva davvero e fu sommersa dall’oceano attorno al 9.600 avanti Cristo. La causa? L’impatto di una “pioggia cometaria” catastrofica. A confermarlo non è l’archeologia, ma la geologia: grazie a Richard Firestone e James Kennett, ora sappiamo che il pianeta fu sconvolto da una sequenza impressionante di cataclismi di origine cosmica, come dimostrano i sedimenti di nano-diamanti “extraterrestri” rinvenuti nelle aree degli impatti. Nel “Crizia” e nel “Timeo” il sommo filosofo greco aveva parlato di una civiltà superiore, preesistente alla nostra, spazzata via da una specie di diluvio universale? E’ andata proprio così, dicono i geologi dal 2014 a questa parte. O meglio: gli scienziati spiegano che proprio 12.000 anni fa – nel periodo indicato da Platone – ci fu un azzeramento planetario. E questo spiazza gli archeologi, che ancora si ostinano a far risalire le nostre origini a un’epoca assai più recente, benché vengano smentiti, di giorno in giorno, dalle scoperte della “rivoluzione archeologica” ormai in atto, difficilmente arrestabile. Lo sostiene Graham Hancock, massimo divulgatore mondiale in materia. E lo sottolinea Nicola Bizzi, autore dell’originalissimo saggio “Da Eleusi a Firenze”.
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Magaldi: vogliono comprare Tria e Conte per il dopo-Salvini
«E bravo Matteo Renzi, finalmente promosso “cameriere” del Bilderberg». Dall’alto del suo nuovo ossevatorio, l’ex leader Pd dice che il governo gialloverde non ha finora toccato palla su nessuno dei temi dell’agenda-Italia? «Se è per questo neppure il suo governo toccò palla, esattamente come i governi Letta e Gentiloni». Solo ciance, dietro alla rigida obbedienza all’ordoliberismo Ue. Però Renzi ha ragione, ammette Gioele Magaldi: dopo un anno, Lega e 5 Stelle hanno totalizzato lo stesso punteggio del fanfarone fiorentino, cioè zero. La differenza? Al Giglio Magico è subentrato «il Cerchio Tragico, targato Di Maio». E se Salvini non ha ancora trovato il coraggio di mandare a stendere Bruxelles, il pericolo maggiore viene dall’interno. Il primo “imputato” è il ministro Giovanni Tria, che sembra passato armi e bagagli al “partito di Mattarella”, intenzionato a bloccare qualsiasi cambiamento. E il peggio è che ad alzare la diga ora ci si mette pure Giuseppe Conte, con la sua prudenza esasperante. Attenti: è come se Conte e Tria fossero già “in vendita”, disposti a far naufragare l’esecutivo in cambio della promessa di future poltrone. Magaldi si rivolge a Salvini: «Se ora gli impediscono di fare la Flat Tax e di varare i minibot, stacchi la spina al governo: a quel punto saranno gli italiani, alle elezioni, a dire come la pensano».
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Magaldi: la montagna gialloverde ha partorito un topolino
Diciamola tutta: alla fine, la montagna gialloverde «ha partorito il classico topolino». Dove lo vedete, il sacrosanto taglio delle tasse promesso dalla Lega in campagna elettorale? E qualcuno sa che fine ha fatto, esattamente, il mitico reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei 5 Stelle per sostenere le fasce sociali più in affanno? Sembra arrivata l’ora del disincanto, per Gioele Magaldi, tenace difensore d’ufficio del governo Conte, pur privato di un uomo come Paolo Savona al dicastero dell’economia. E se si passa per la capitale, si scopre che il disincanto è letteralmente esploso, ma non da oggi: «E’ insensato che si festeggi Virginia Raggi per aver evitato una condanna penale, peraltro solo in primo grado, quando la giunta capitolina non ha mai neppure cominciato a occuparsi seriamente di Roma». La sindachessa pentastellata «ha disatteso tutte le aspettative di chi l’aveva votata, sperando in un cambio radicale nella governance della città». Ma poi, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, scopri che – sul fronte opposto – il rimedio è peggiore del male. Vedasi il referendum (abortito) sull’Atac, promosso dai radicali: ancora una volta, si è tentato un assalto neoliberista per privatizzare un servizio pubblico, magnificando le immaginarie virtù del privato. «Come se non esistesse l’esempio dell’Atm di Milano, municipalizzata, indicata anche all’estero come modello perfetto di trasporto pubblico efficiente».Questa è l’Italia dell’autunno 2018, sintetizza Magaldi, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: da un lato il “governo del cambiamento” riesce a cambiare ben poco, e dall’altro gli oppositori (partiti-zombie, media mainstream e vecchio establishment) continuano, in modo piuttosto penoso, a demonizzare Di Maio e in particolare Salvini, presentato come una specie di orco, un vero e proprio mostro di cinismo, a causa della sua politica muscolare nei confronti dell’immigrazione incontrollata. Bei sepolcri imbiancati, i detrattori di Salvini, «di manica larga con i migranti, ma pidocchiosi con gli italiani». Tradotto: «Va benissimo aiutare chi sbarca da paesi disastrosamente poveri, a patto però che non si lasci indietro quella fetta di popolazione italiana che fatica ad arrivare alla fine del mese». L’ideale? «Più soldi per tutti, in una sana prospettiva “rooseveltiana”, cioè post-keynesiana. Ma certo, bisogna espandere il deficit. E la cosa non piace, agli avversari del governo, sempre allineati ai diktat della sedicente Europa».Calcisticamente: il possesso palla è ancora al governo, ma tiri in porta non se ne vedono. E se i gialloverdi non entusiasmano, nella metà capo opposta è buio pesto. Zero idee, nessuna alternativa all’euro-catechismo della crisi. Che fare? Tanto per cominciare, investire con più coraggio su un sistema-paese che ha un disperato bisogno di interventi pubblici strategici, in ogni settore, incluso quello delle infrastrutture. I migranti? «Ottimo il Salvini che accusa l’Ue di scaricare il problema solo sull’Italia, peccato che poi i nostri partner continuino a far finta di niente». E a Salvini si può rimproverare qualcosa? «Certo: la mancanza, finora, di una “pars construens”. Va bene ripetere “aiutiamoli a casa loro”, gli africani, ma poi bisogna cominciare a farlo per davvero. Tanto più che una sorta di Piano Marshall per l’Africa darebbe un ruolo importante, all’Italia, anche in termini di leadership euro-mediterranea». L’immobilismo non aiuta. E anzi fa montare polemiche che poi sfociano anche nel complottismo di chi vede, nell’esodo incoraggiato da Soros, l’attuazione del meticciato forzoso vagheggiato dal massone reazionario Richard Coudenhove-Kalergi, precursore del dominio delle élite poi sfociato in questa Disunione Europea, «concepita come Sacro Romano Impero affidato alla manovalanza neo-feudale dei tecnocrati».Fantasmi a parte, Magaldi si richiama a un sano realismo: «L’accoglienza incontrollata di immigrati può mettere in difficoltà i lavoratori italiani, è ovvio. Quello che non è accettabile – dice – è che non si vogliano trovare soluzioni eque, in un mondo che non è mai stato così ricco». Insiste: «La fiaba della penuria è un’invenzione del neoliberismo: virtualmente, nella storia del pianeta, non c’è mai stata tanta disponibilità di risorse, grazie alle tecnologie di cui disponiamo. Ed è inammissibile – sottolinea il presidente del Movimento Roosevelt – che queste risorse vengano concentrate in poche mani, le stesse che poi ci raccontano la favola della scarsità, che serve per declinare le politiche artificiose dell’austerity». C’è un’intera narrazione, da smantellare. Ed è un lavoro che richiede lucidità, determinazione e una buona dose di fegato, assai più di quello finora dimostrato dal governo gialloverde con il suo “rivoluzionario” deficit al 2,4%, ben al di sotto del già inaccettabile tetto del 3% stabilito da Maastricht esclusivamente sulla base della fandonia neoliberista. Roma caput mundi, comunque, almeno a titolo di esempio negativo: fischiare la Raggi per l’ipotetico reato di falso, anziché per il fallimento politico della sua giunta, è come insultare Salvini per la guerra alle Ong anziché pretendere che il governo, finalmente, mandi a stendere con ben altro piglio il rigore Ue, in nome della sovranità democratica cui l’Italia ha diritto.Diciamola tutta: alla fine, la montagna gialloverde «ha partorito il classico topolino». Dove lo vedete, il sacrosanto taglio delle tasse promesso dalla Lega in campagna elettorale? E qualcuno sa che fine abbia fatto, esattamente, il mitico reddito di cittadinanza, cavallo di battaglia dei 5 Stelle per sostenere le fasce sociali più in affanno? Sembra arrivata l’ora del disincanto, per Gioele Magaldi, tenace difensore d’ufficio del governo Conte, pur privato di un uomo come Paolo Savona al dicastero dell’economia. E se si passa per la capitale, si scopre che il disincanto è letteralmente esploso, ma non da oggi: «E’ insensato che si festeggi Virginia Raggi per aver evitato una condanna penale, peraltro solo in primo grado, quando la giunta capitolina non ha mai neppure cominciato a occuparsi seriamente di Roma». La sindachessa pentastellata «ha disatteso tutte le aspettative di chi l’aveva votata, sperando in un cambio radicale nella governance della città». Ma poi, aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, scopri che – sul fronte opposto – il rimedio è peggiore del male. Vedasi il referendum (abortito) sull’Atac, promosso dai radicali: ancora una volta, si è tentato un assalto neoliberista per privatizzare un servizio pubblico, magnificando le immaginarie virtù del privato. «Come se non esistesse l’esempio dell’Atm di Milano, municipalizzata, indicata anche all’estero come modello perfetto di trasporto pubblico efficiente».
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Il potere è una religione: vuole il nostro odio, e lo censura
Mi chiedi la mia opinione sul potere. E certo intendi il potere apparente dell’uomo sull’uomo, quello che muove la ruota terrestre. Comma primo: il potere esige, vuole determinatamente farsi odiare dal suddito, dall’impotente sottomesso. Secondo comma: il potere proibisce l’odio stesso che esige. Vuole contemporaneamente farsi odiare, nell’intimo del suddito al quale ha strappato un irrisorio consenso, e farsi ammirare e amare all’esterno, nelle manifestazioni rituali. Gli chiede quindi tutto: amore, odio; reverenza, paura, silenzio, imprecazione, giuramento; obbligazione, ipocrisia; rispetto, distanza, dispetto; e così via. Il potere attira a sé tutto il sottomesso e lo colloca all’opposto di sé, nell’impotenza garantita da leggi e regolamenti che il potere emana contro i sudditi. Il suddito deve essere totalmente tale, non uomo, non umano, ma insetto, unità funzionale, sensore di un’anima-gruppo che produce, raccoglie e mette a memoria (del potere) le esperienze e le fatiche di tutti i sudditi, di generazione in generazione. E questa anima-gruppo, nella quale tutto confluisce e si trasforma irriconoscibilmente, è l’organizzazione, lo Stato.Per ottenere la plenitudine della potenza, il potere garantisce di essere tramite tra i sudditi e il Potere, la Divinità, l’Oltre, un oltreprima invisibile per il suddito ma garantito dalla Storia, dai Sacri Libri, dalla Tradizione, dalla paura. Solo il potere conosce, eredita e può gestire il Potere. In tal modo, il potere è la sola religione. La sola religione è il potere… Nella immobilità di questo statuto, che fonda il potere sovrano e la sudditanza totale, sono diverse ma coincidenti le dichiarazioni con le quali il potere si fa erede e garante del Potere: il suo preambolo d’investitura può riferirsi alla Tradizione o alla Rivoluzione, a Dio o al Popolo, allo Spirito o al Sangue, a un Santo o ad un Vendicatore assunti o al cielo dei Martiri o a quello degli Eroi. Le differenze sono puramente formali e vogliono apparire evidenti nei rituali di investitura e di celebrazione – che è una autocelebrazione del potere – allo scopo, non dichiarato per quanto è implicito, di separare i sudditi di un potere dai sudditi degli altri poteri e di proibire ad essi la consapevolezza che la sottomissione e l’impotenza sono totali, che il potere ha questa sola religione, comunque travestita, e tutta la geografia è del potere.In quanto religione, cioè in quanto potere tendenzialmente assoluto, il potere non promana dai sudditi, anche se ad essi chiede periodicamente una ratifica formale, ma proviene dall’alto, che è il potere stesso in precedenti codificazioni, discende dall’oltre, divino per assioma o divinizzato per abitudine indotta e obbligata. Ai sudditi non spetta, quindi, che un comportamento religioso, cioè ubbidienza, paura, ossequio, sacrificio, silenzio su ogni argomento e progetto che sia dichiarato lesivo od offensivo del potere. La sua maestà è sacra. La sua storia è, per definizione culturale, la sola storia dei sudditi. A compenso e tacitazione di questa espropriazione tendenzialmente assoluta delle singolarità, il potere ammette ma riservandosene la punizione esemplare – la bestemmia, la ribellione segreta, la rabbia momentanea, la fuga od evaporazione psichica all’interno ingovernabile del suddito. Il misticismo e la demenza sono i due modi apparentemente estremi della stessa evasione dall’invivibile storico, ossia dal potere totalmente subito.Appartiene al potere, in certi casi, provocare sia il misticismo che la demenza e garantire l’emarginazione degli evasi immaginari ora in conventi e ora in istituzioni psichiatriche, ora in ghetti e ora in carcere. Le evasioni reali sono immediatamente perseguite. In quanto il potere è religiosamente totale, non ammette scampo. Il suddito può odiarlo in segreto – il potere glielo proibisce per concederglielo meglio. Ma all’esterno, nel rituale pubblico, deve soltanto ubbidire – il potere glielo obbliga per dargli quella sola libertà impotente, l’odio. Nessuna legge o consuetudine permette l’odio manifesto al potere, e nessuna legge o consuetudine lo perdona appena si manifesti. L’odio non è mai neppure nominato come possibile, come non è mai neppure nominata l’ubbidienza come comportamento obbligato. Ma nessuna legge perdona la disubbidienza manifestata, a reprimere la quale ogni legge del potere è dedicata. La legge è dunque pura e totale emanazione del potere da ubbidire e della sudditanza come pura e totale ubbidienza, da prima della nascita a dopo la morte. Infatti la nascita e la morte, in quanto atti religiosi, cioè accadenti all’interno del potere, che significano l’iscrizione o la cancellazione di un suddito, sono possessi del potere stesso. In tal modo esso espropria dell’origine e della fine, e abbiamo visto dell’intera esistenza, i suoi sudditi naturali.La volontà del potere sostituisce, con un atto ufficiale, la non volontarietà sia del nascere che del morire in quel tempo e in quello spazio. Il tempo e lo spazio sono possessi del potere divisi con altri poteri confinanti nel tempo e nello spazio. I sudditi non hanno altro spazio e altro tempo che quelli notarizzati e garantiti dal potere. Anche i morti sono suoi sudditi. E i nascituri, immediatamente trasferiti nei suoi registri e nei suoi dati statistici, ricevono una garanzia di esistenza in quanto sudditi incancellabili del potere. Tutto quanto ti ho detto è impossibile ad intendersi, prima ancora che ad accettarsi, essendo la verità stessa del potere, cioè quello che innanzitutto il potere proibisce di sapere. Per il potere, infatti, tutto il sapere è interno al potere e da lui derivato. È proibito sapere che cos’è il potere. Ed è tanto proibito che il potere stesso non lo sa, se lo proibisce. In tal modo il potere ha anche una buona coscienza. Perciò la cattiva coscienza resta tutta ai sudditi che essi possono tenere per sé in silenzio e senza redenzione.Non si è mai sufficientemente attenti all’orrore del potere, al karma del ruolo emergente. Chi si inchina ad adorare un potente adora, in realtà, se stesso, l’immagine di una potenza agognata, invidiata e impossibile. Appena ti lasci adorare, sei un potente; appena ti compiaci dell’adorazione, sei un potente che ammette il suddito e in quel momento lo crea, incatenato a quel ruolo. La stessa catena ti lega e ti inganna, senza scampo. La verità interiore dice: niente è adorabile se non ciò che non si può adorare; niente è alto se non ciò che ti innalza; tutta la potenza è in un filo d’erba, e si fa calpestare; tutto il potere del mondo è una tua immagine agognata, invidiata e impossibile: in realtà, il potere è magia, ma il vero mago ha potere solo su se stesso ed è suddito solo di se stesso.(Estratto dal libro “L’uomo zero” di Pietro Cimatti, edito da Astrolabio-Ubaldini – 160 pagine, euro 10,33 – ripreso da “La Crepa nel Muro” il 19 agosto 2018).Mi chiedi la mia opinione sul potere. E certo intendi il potere apparente dell’uomo sull’uomo, quello che muove la ruota terrestre. Comma primo: il potere esige, vuole determinatamente farsi odiare dal suddito, dall’impotente sottomesso. Secondo comma: il potere proibisce l’odio stesso che esige. Vuole contemporaneamente farsi odiare, nell’intimo del suddito al quale ha strappato un irrisorio consenso, e farsi ammirare e amare all’esterno, nelle manifestazioni rituali. Gli chiede quindi tutto: amore, odio; reverenza, paura, silenzio, imprecazione, giuramento; obbligazione, ipocrisia; rispetto, distanza, dispetto; e così via. Il potere attira a sé tutto il sottomesso e lo colloca all’opposto di sé, nell’impotenza garantita da leggi e regolamenti che il potere emana contro i sudditi. Il suddito deve essere totalmente tale, non uomo, non umano, ma insetto, unità funzionale, sensore di un’anima-gruppo che produce, raccoglie e mette a memoria (del potere) le esperienze e le fatiche di tutti i sudditi, di generazione in generazione. E questa anima-gruppo, nella quale tutto confluisce e si trasforma irriconoscibilmente, è l’organizzazione, lo Stato.
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Massoni al governo e corruzione a Roma, Di Maio dov’era?
Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è rimpito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».Nel bestseller “Massoni”, il presidente del Movimento Roosevelt ha rivelato l’identità supermassonica del vero potere, nell’Europa di oggi dominata da figure oligarchiche. Di fede liberalsocialista, Magaldi non rinnega il suo giudizio favorevole sui 5 Stelle: pur acerbi, hanno avuto il merito di rompere la recita italiana della finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, coalizioni di fatto sottomesse (entrambe) ai diktat dell’élite finanziaria neoliberista. Nettamente lusinghiere anche le parole che Magaldi spende per il governo Conte: è alle prese con una missione epocale, “cambiare verso” all’Europa partendo dalla cruciale trincea italiana. Ma ad una condizione: che i pentastellati la facciano finita, una volta per tutte, con la loro narrativa – inutilmente retorica – che scambia “l’onestà” per la buona politica. Salvo, appunto, inciampare nel caso imbarazzante di Lanzalone, finito nell’inchiesta sul nuovo stadio: «Non possiamo far finta di non vedere che quel signore, che oggi tutti individuano come un capro espiatorio, è stato catalpultato dall’Acea al Comune di Roma proprio da quel Di Maio che oggi propone di riformarla, l’autorità nazionale anti-corruzione». Catapultato, fra l’altro, negli uffici dell’innocente Raggi, «innocente nel senso antico con cui si parlava dei bambini: sembra infatti una bambina che gestisce una cosa più grande di lei, a cui i “grandi” del Movimento spediscono questo e quello».Attenzione: «E’ stata legittima la vittoria di Raggi, dopo il cattivo governo di centrodestra e centrosinistra, così come è giusto oggi dare una chance alla possibilità epocale di governare il paese, da parte della Lega e dei 5 Stelle». E il super-consulente grillino? «Uno risponde politicamente, non giuridicamente (e forse nemmeno moralmente) delle proprie scelte sbagliate. E la capacità di un politico – dice Magaldi, pensando a Di Maio – è anche nello scegliere persone giuste. Ma le persone scelte per Roma sono tra le più sbagliate». Magaldi vorrebbe un dibattito serio, tra i pentastellati alla guida della capitale: hanno bocciato le Olimpiadi perché sarebbero state “sentina di corruzione”, poi hanno voluto ridimensionare lo stadio della Roma perché bisognava stare attenti alle tangenti. «Poi invece si scopre che il più pulito ha la rogna, nell’amministrazione Raggi». Un consiglio? «Di Maio si liberi delle sue ipocrisie, perché rischiano di compromettere le belle possibilità di rendere un servizio a questo paese e alle amministrazioni locali governate dai 5 Stelle». Basta, davvero, con la retorica demagogica: «La corruzione e l’onestà sono categorie che appartengono al dominio giuridico della magistratura». Fanno anche parte di un ethos privato, «mentre in politica non basta essere onesti e gridare “onestà” per saper amministrare e saper scegliere i collaboratori».Il guaio del caso Roma? L’immobilismo, per la paura di finire in mezzo a una Tangentopoli. «Non si può mettere al primo posto la falsa preservazione dalla corruzione – insiste Magaldi – perché la corruzione si introduce comunque, nelle piccole come nelle grandi cose. Forse, se avessimo fatto le Olimpiadi a Roma – aggiunge – la corruzione sarebbe stata tale e quale, ma almeno avremmo avuto un’occasione di rigenerare tante strutture sportive obsolete». Niente sconti, al Campidoglio: «A me pare che tra buche, radici che spuntano ovunque e strutture fatiscenti, Roma stia morendo, nonostante le retoriche pentastellate. E’ una città tra le più belle al mondo, e avrebbe bisogno di un altro spirito, solare e gioviale». Di Maio? «Faccia un mea culpa, anche solo davanti a uno specchio, dicendo: forse la devo smettere di fare l’ipocrita sulla massoneria, di fare l’ipocrita sul tema della corruzione, e di scaricare sugli altri responsabilità che sono anche mie. E lo invito a lavorare sempre meglio, come ministro dello sviluppo economico, dicastero dove peraltro – aggiunge Magaldi – sono arrivati sottosegretari di tutto rispetto». Per esempio Michele Geraci, che ha insegnato economia in Cina: era uno dei famosi “cervelli in fuga”, ma è tornato. «Sa meglio di altri come sviluppare rapporti con quel mondo complesso che è la Cina. E ha senpre sostenuto la piena compatibilità tra reddito di cittadinanza e Flat Tax, quasi precostituendo l’incontro politico tra Lega e 5 Stelle».Geraci, ma non solo: «Qui si prendono sottosegretari come Armando Siri, come Luciano Barra Caracciolo. Si prenderanno fior di tecnici nei gabinetti e nelle direzioni generali ministeriali, tecnici anche di area “rooseveltiana”: checché ne dica la pletora degli sconfitti (dalla storia e dal popolo italiano) il governo Conte è dotato di ottime competenze». E attenzione: molti dei suoi esponenti sono massoni progressisti, o comunque «dialogano proficuamente con i circuiti massonici progressisti». E’ un fatto, assicura Magaldi: «Questo è un governo ad alta densità massonica progressista». Di più: se c’è un esecutivo vicino alla massoneria democratica, è proprio questo. «Guardando agli ultimi governi italiani, forse nessuno ha avuto una così alta densità massonica», insiste Magaldi: «Ed è un governo di prim’ordine, che ha delle competenze straordinarie. Quindi, Di Maio e gli altri ne siano all’altezza, mettendo da parte ipocrisie e superficialità nello scegliere i collaboratori, magari in base all’appartenenza alla “famiglia” politica intesa come clan». E’ chirurgico, Magaldi, nella critica ai 5 Stelle: «Temo molto questa ipocrisia, e spero che la loro maturazione politica elimini proprio questo aspetto, che forse è il più insidioso e anche il più autodistruttivo. E’ bene che il Movimento 5 Stelle impari a essere laico. C’è la magistratura, ci sono degli indagati – e non è detto che, se uno viene arrestato, sia colpevole».Il costruttore Parnasi, accostato a Salvini? «Non ho nessuna simpatia per lui», premette Magaldi: «Ho notizia di gente che ha dovuto citarlo a giudizio perché non ha pagato professionisti che avevano lavorato per lui. Rincorso in tribunale, ha dovuto poi contrattare risarcimenti». Ma, di nuovo, è meglio evitare di essere ipocriti: «Tutti qui paiono cadere dalla Luna, ma chiunque conosca la realtà romana sa che Parnasi non se la passava benissimo», dice Magaldi. «E’ un signore che ha fatto cose dubbie, perché non pagare i collaboratori è sgradevole. Però è anche vero che questo “poveraccio”, come tanti altri imprenditori, si trova di fronte a una macchina burocratica elefantiaca». Succede spesso, in Italia: «Magari ti impegni in un progetto per anni, e prima di essere pagato dal committente pubblico devi anticipare denari, ottenere fidi, passare per le forche caudine della burocrazia – e questo è valso anche per Parnasi». Bisognerà vedere, alla fine, se quella che magari è definita corruzione poi non sia «il tentativo di ottenere, in modo privilegiato, quello che un imprenditore dovrebbe ottenere più facilmente per via ordinaria».E comunque, laicamente, Magaldi preferisce sempre attendere che qualcuno venga giudicato «non in primo, ma in terzo grado». Queste, continua Magaldi, sono vere e proprie lezioni: per i 5 Stelle, con il loro mito della “purezza”, ma anche per la Lega, «che con Salvini è cambiata, d’accordo», ma nel suo Dna e nella sua storia conserva pur sempre «il famoso cappio, agitato in Parlamento», eloquente simbolo di «atteggiamenti forcaioli tuttora presenti in alcuni segmenti della base». Lo Stato di diritto tutela tutti: «Parnasi è innocente fino a prova contraria, al di là degli arresti: spesso la gente in Italia è stata arrestata indebitamente, e nessuno l’ha risarcita in modo adeguato». Parnasi e Lanzalone, dunque, «meritano il beneficio del dubbio, come i loro stessi referenti politici». Prudenza: «Bisogna attendere, perché spesso la macchina della giustizia si muove con una sincronia strana, e il fango che si getta addosso a delle persone per presunti reati e crimini poi si scopre essere inconsistente sul piano giuridico». Magaldi confida nell’esperienza di Conte, come giurista, per arrivare a una robusta sburocratizzazione complessiva del sistema-Italia: «Abbiamo bisogno che gli imprenditori non siano mai indotti a corrompere per poter fare normalmente il proprio lavoro».Al tempo stesso – aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, rivolto ai 5 Stelle – abbiamo bisogno che i funzionari pubblici siano pagati adeguatamente: «Se cadessero nella rete della corruzione, a quel punto, sarebbero ancora più spregevoli. Ma è impossibile approvare il pauperismo al ribasso promosso dai pentastellati, in base al quale si vorrebbero abbassare gli emolumenti: perché mai costringere a uno stipendio da fame una persona onesta che affronti gli incerti della politica, magari dopo aver abbandonato la sua professione?». Meglio osservare con realismo la situazione italiana: «Proprio per la remunerazione irrisoria delle cariche, molte persone capaci non vanno a fare l’amministratore pubblico, con tutti i rischi che questo comporta, rispetto alle immense responsabilità dell’ufficio». Ne prenda atto un grillino come Alessandro Di Battista, oggi più moderato nei toni, dopo esser stato per anni tra i più accaniti sostenitori della moralità pubblica esibita come bandiera. Tagli degli stipendi e abolizione dei vitalizi? Errore ottico, dice Magaldi: chi ha tagliato lo Stato, mortificando la politica, l’ha fatto per costruire l’attuale sistema basato sulla privatizzazione universale.«La visione neoliberista, di cui noi tutti siamo vittime in questi decenni – spiega Magaldi – vuole che i dirigenti pubblici abbiano dei tetti sempre più al ribasso, nella remunerazione, anche se hanno responsabilità pesantissime e il rischio di essere indagati per un nonnulla, vista anche la complessità elefantiaca delle burocrazie e degli atti giuridici che devono compiere». Tutti addosso al politico che sbaglia, fingendo di non vedere cosa accade nel cosiddetto “mercato”, dove non ci sono più regole che tengano. «Ormai il settore privato è il regno della giungla», sottolinea Magadi: «Si è divaricata la forbice tra il salario dell’operaio o lo stipendio dell’impiegato e la paga del grande manager, che magari fa parte di una cricca di briganti che si spartiscono le poltrone delle grandi società transnazionali, come nel famigerato caso dei manager che hanno spolpato Telecom». L’antidoto? Evitare di cadere nella trappola retorica sapientemente costruita dalla manipolazione del massimo potere. Meglio dunque ribaltare «la teologia dogmatica neoliberista, in base alla quale nel privato tutto è possibile, mentre il pubblico dev’essere controllato, vessato, aggredito e delegittimato».Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è riempito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».
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Così parlò Mattarella: anche lo Stato adesso ha paura
Cosa abbiamo scorto di nuovo nel discorso di fine anno, ed in questo caso anche di fine legislatura, fatto dal presidente della Repubblica a reti unificate? La paura. La paura del futuro che si fa largo anche tra coloro che per un lungo periodo si sentivano al caldo sicuri della propria forza di controllo mediatico e finanziario della massa della popolazione. La gestione del controllo proveniva anche da un ruolo che lo Stato attraverso i propri governi e le dirigenze ministeriali esprimevano e portavano avanti nel rapporto capitale-lavoro. La globalizzazione ha creato delle circostanze differenti in cui i media sono sempre più difficili da gestire e la finanza con tutta la sua forza economica si è liberata di certi vincoli che la costringevano ad osservare i dettami di banche centrali e governi in carica. Il capitale si è liberato dalla politica fino addirittura a sublimarsi dalla realtà verso i mercati finanziari lasciando gli Stati in circostanze complicate con aumenti della disoccupazione, afflussi di migranti, caduta di investimenti pubblici e privati e la riduzione delle entrate fiscali rispetto alle previsioni che comportano poi incrementi dell’aliquota Iva. Inoltre le riforme strutturali che l’Fmi ha imposto agli Stati aderenti al trattato hanno contribuito al processo di sublimazione del capitale rispetto alla realtà, di conseguenza anche dalla politica, comparto da sempre odiatissimo a cui ha dovuto elargire somme non meritate.Non a caso Mattarella lancia un monito preciso contro il “risentimento”, perché sa benissimo che un ritorno della psicologia di massa verso l’istinto tribale della chiusura verso lo straniero è già nei pensieri di troppa gente che si è vista spogliare progressivamente del proprio benessere. Il nazionalismo infatti purtroppo ritorna ad essere argomento di discussione animata, più o meno consapevole, sul web con una dirompenza ed una accelerazione molto più marcata rispetto a ciò che accadeva nei bar e nei circoli prima del Ventennio. Lo Stato ha paura perché ha la consapevolezza della propria esclusione dalla regolazione del rapporto capitale-lavoro. Appena tenta di metterci le mani è inevitabile la creazione di vincoli che il capitale non accetta e vola via, altrove. Si guardi al modo con cui i fondi d’investimento intervengono nell’economia reale e come i governi e lo Stato si rapportino con essi. Ma lo Stato non è pronto neanche ad affrontare una eventuale conduzione autarchica come le forze di destra o comunque nazionaliste vorrebbero. Questa forma di Stato è attualmente immobilizzata.Le persone avvertono il disagio, pensano nella forma nuova ossia puramente individuale che ormai ha assunto un valore normativo legittimato in tutto il mondo, ma non sanno bene a chi dare la colpa se non istintivamente al “non-io” e al “non-noi”, vale a dire “l’altro”, soprattutto “il migrante economico”. Negli occhi di Mattarella sembra proprio trasparire questa paura, avverte il risentimento della psicologia di massa e sa bene che è molto peggio di ogni altro fenomeno che ha contrastato la Repubblica nei suoi 70 anni di pace. Il richiamo ai millennials (i nati dal 1999) alla loro responsabilità di giovanissimi uomini che devono necessariamente attivarsi per il loro futuro è un altro elemento su cui Mattarella cerca di far leva per condividere con qualcuno le proprie paure senza però dare niente di tangibile in cambio. I partiti hanno la stessa paura di Mattarella poiché il loro destino è legato alle evoluzioni istituzionali della Costituzione che oggi è completamente spiazzata dalle circostanze in cui verte proprio il rapporto capitale-lavoro. Non a caso la Costituzione lo aveva messo nel suo primo articolo. Il fatto che il lavoro sia menzionato nell’articolo 1 non significa che sia un diritto universale.Se lo Stato che ha questa Costituzione non se ne riappropria, dimostrandone una capacità di gestione effettiva ed efficace, pone fine a quel patto sociale tra massa e Stato che si era consolidato progressivamente nella storia recente, soprattutto dopo la distruzione e la perdita di una guerra mondiale. La gestione di questa paura, che Mattarella ha chiamato risentimento presso la massa nascondendo la propria, sarà il principale nodo rispetto al quale le varie forze politiche che agiscono sul territorio italiano dovranno confrontarsi. La destra nazionalista, di fatto avvantaggiata poiché è proprio grazie alla paura nella massa che ha trovato la sua linfa per risorgere, dovrebbe dimostrare che può riappropriarsi del potere a tal punto da poter gestire il rapporto capitale-lavoro. Cosa che non ha assolutamente in dote come ogni altro partito attuale. La parte amministrativa dello Stato è completamente bloccata nel proprio ruolo e affogata in concezioni politiche dello sviluppo obsolete, per cui lo Stato è immobilizzato davvero.(“Il discorso di Mattarella ovvero lo Stato ha paura”, dal newsmagazine “Senza Soste” del 2 gennaio 2018).Cosa abbiamo scorto di nuovo nel discorso di fine anno, ed in questo caso anche di fine legislatura, fatto dal presidente della Repubblica a reti unificate? La paura. La paura del futuro che si fa largo anche tra coloro che per un lungo periodo si sentivano al caldo sicuri della propria forza di controllo mediatico e finanziario della massa della popolazione. La gestione del controllo proveniva anche da un ruolo che lo Stato attraverso i propri governi e le dirigenze ministeriali esprimevano e portavano avanti nel rapporto capitale-lavoro. La globalizzazione ha creato delle circostanze differenti in cui i media sono sempre più difficili da gestire e la finanza con tutta la sua forza economica si è liberata di certi vincoli che la costringevano ad osservare i dettami di banche centrali e governi in carica. Il capitale si è liberato dalla politica fino addirittura a sublimarsi dalla realtà verso i mercati finanziari lasciando gli Stati in circostanze complicate con aumenti della disoccupazione, afflussi di migranti, caduta di investimenti pubblici e privati e la riduzione delle entrate fiscali rispetto alle previsioni che comportano poi incrementi dell’aliquota Iva. Inoltre le riforme strutturali che l’Fmi ha imposto agli Stati aderenti al trattato hanno contribuito al processo di sublimazione del capitale rispetto alla realtà, di conseguenza anche dalla politica, comparto da sempre odiatissimo a cui ha dovuto elargire somme non meritate.
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Il Graal di Salvador Dalì, il segreto del suo Cristo alchemico
Salvador Dalì, uno dei pochi autentici Rosacroce, ha trasfuso nella sua opera pittorica il sapere esoterico a cui venne iniziato. La maggior parte dei suoi quadri, in particolare quelli dell’ultima fase misticheggiante, sono impregnati di un fortissimo significato esoterico, codificato sapientemente in un linguaggio simbolico a cui pochi possono accedere. Esiste una bellissima tela del pittore catalano dal titolo “Corpus Hypercubus”, del 1954, in cui viene raffigurato Cristo su una croce composta da otto cubi. Si tratta indubbiamente di un uso di ascendenza pitagorica del numero 4 e del numero 8, una scelta non casuale, considerata la matrice iniziatica del pittore. Cristo in realtà non è rappresentato inchiodato alla croce ma sospeso in aria, fluttuante come se fosse già risorto. Perché Dalì ha voluto rappresentare Cristo in un modo così palesemente discordante dalla tradizione sinottica (ma non da quella giovannea, intrisa della cosiddetta “teologia della gloria”)? Il corpo di Cristo appare perfetto, non flagellato e scarnificato dalle torture alle quali, secondo i Vangeli, venne sottoposto prima di essere crocifisso. Dunque, un’immagine di Cristo trasfigurata, che non trova corrispondenza nelle testimonianze neotestamentarie. Quale il significato simbolico da attribuire a questa strana rappresentazione che capovolge ogni logica?E’ indubbio che rappresentando Cristo come già risorto sulla croce Dalì abbia voluto celare ai profani un messaggio: la trasmutazione di un uomo in uno stato superiore dell’Essere avviene già in vita e non dopo la morte. Se così non fosse, Dalì avrebbe raffigurato Cristo alla maniera classica come sofferente e col corpo deturpato dal supplizio subito. Dalì ha senz’ombra di dubbio tratto ispirazione da Giovanni 8,28: «Quando avrete innalzato il Figlio dell’Uomo, allora saprete che Io Sono», dove per “innalzato” si intende proprio la crocifissione: Giovanni usa infatti il verbo greco “innalzare”, che è identico a quello usato in Numeri 21,4-9 (versione greca dei LXX) nell’episodio del serpente di rame innalzato da Mosè su di un’asta) – per alludere alla morte e rinascita spirituale del Figlio dell’Uomo, non dopo la morte ma al momento della crocifissione. Dunque Cristo rivela se stesso, la trasmutazione della sua natura umana in divina – e l’uso dell’Ego eimì, “Io sono”, non lascia molti dubbi sul significato da attribuire all’affermazione di Gesù – proprio nel momento più atroce e anche in quello più scandaloso per i credenti.Ma per rinascere a nuova vita in vita, per realizzare una perfetta compenetrazione tra la natura umana e quella divina, occorre salire in alto, ascendere verso gli stati superiori dell’Essere, cioè staccarsi dalla croce, che inchioda l’essere umano alla dimensione terrena, per fluttuare in una danza armonica con lo Spirito. Perciò Dalì non poteva che raffigurare Cristo staccato dalla croce e fluttuante nell’iperspazio rappresentato dalla figura geometrica del cubo. Ora, a questo punto i più acuti si saranno chiesti: furono la morte e la risurrezione di Cristo un evento solo simbolico? O furono anche degli eventi storici? Per chi come la sottoscritta ha penetrato certi misteri, la risposta non può che essere univoca: la croce e la risurrezione furono anche e soprattutto eventi storici, investiti tuttavia di un potente messaggio simbolico. Quale? Cerco di spiegarlo con pochi e semplici concetti. Cristo non è sceso dalla croce per salvare se stesso, come i membri del Sinedrio lo invitarono a fare per rivelare la potenza operante di Dio. Bevve fino in fondo il calice, il Santo Graal, che è accettazione della vita e delle sue terribili contraddizioni.Scegliendo di non salvare il suo Io terreno salvò la sua essenza non terrena. Scegliendo di rimanere in croce, Cristo realizzò la perfetta intersecazione tra il piano del visibile e dell’immanenza (l’asse orizzontale della croce) e quello del non visibile e della trascendenza (l’asse verticale della croce). Egli, da uomo, divenne Logos, trasmutò se stesso realizzando l’archetipo umano nella sua pienezza ontologica, che è da sempre nella mente di Dio. Il Santo Graal è la croce, simbolo della trasmutazione dell’essere. Cristo ha aperto una strada, quella della ricongiunzione tra le polarità opposte: essenza umana e divina, immanenza e trascendenza, vita ed eternità, nonché maschile e femminile, come spiegherò più avanti. Sta a noi seguire il percorso tracciato da Lui. Impresa delle imprese, traguardo quasi impossibile, meta irraggiungibile? La cosa fondamentale non è emulare ma porsi in tensione “verso”: non si imita un Dio, ci si pone in una tensione dialettica nella consapevolezza che l’attuale umanità è immersa da secoli in uno stato di torpore spirituale. Ma noi, che beviamo ogni giorno il Sacro Graal, abbiamo il compito di ridestarci e ridestare l’umanità, di scuoterla dall’immobilismo spirituale che da sempre la paralizza. Perciò è essenziale bere ogni giorno il calice amaro della vita: solo così possiamo andare oltre i nostri limiti e le nostre bassezze.La croce della vita quotidiana, così, da strumento di sofferenza può diventare uno strumento di trasmutazione, insieme interiore ed ontologica. Il Sacro Graal, appunto. E non è casuale che nella tela di Dalì compaia accanto alla croce una donna, raffigurata con le fattezze di Gala, la moglie di Dalì, per simboleggiare la riunificazione tra il maschile e il femminile. Gala, infatti, contempla estatica la risurrezione di Cristo, segno che il femminile gioca un ruolo determinante nella rinascita spirituale. Se così non fosse nella tela apparirebbe solo Cristo e l’iperspazio, ovvero il maschile, ma è proprio la presenza di una donna a suggerire che nel processo di risurrezione è coinvolta anche l’anima umana, che dal punto di vista esoterico è rappresentata dal femminile. D’altronde, i veri iniziati sanno molto bene che la conquista del Graal passa attraverso una ricomposizione della frattura edenica tra maschile e femminile, del loro bilanciamento armonico. Chi sostiene, come certe tradizioni religiose e certi controiniziati, che il femminile è soltanto un vaso, uno strumento da utilizzare per risaire nelle sfere più elevate dello Spirito (ogni riferimento a un uso deviato del tantra è puramente casuale) è ancora bel lontano dall’aver penetrato il mistero del Graal. Dalì docet.(Patrizia Francesconi, “Il Sacro Graal, la Croce e Dalì”, dal blog “Verità Giustizia Bellezza” del 30 ottobre 2017).Salvador Dalì, uno dei pochi autentici Rosacroce, ha trasfuso nella sua opera pittorica il sapere esoterico a cui venne iniziato. La maggior parte dei suoi quadri, in particolare quelli dell’ultima fase misticheggiante, sono impregnati di un fortissimo significato esoterico, codificato sapientemente in un linguaggio simbolico a cui pochi possono accedere. Esiste una bellissima tela del pittore catalano dal titolo “Corpus Hypercubus”, del 1954, in cui viene raffigurato Cristo su una croce composta da otto cubi. Si tratta indubbiamente di un uso di ascendenza pitagorica del numero 4 e del numero 8, una scelta non casuale, considerata la matrice iniziatica del pittore. Cristo in realtà non è rappresentato inchiodato alla croce ma sospeso in aria, fluttuante come se fosse già risorto. Perché Dalì ha voluto rappresentare Cristo in un modo così palesemente discordante dalla tradizione sinottica (ma non da quella giovannea, intrisa della cosiddetta “teologia della gloria”)? Il corpo di Cristo appare perfetto, non flagellato e scarnificato dalle torture alle quali, secondo i Vangeli, venne sottoposto prima di essere crocifisso. Dunque, un’immagine di Cristo trasfigurata, che non trova corrispondenza nelle testimonianze neotestamentarie. Quale il significato simbolico da attribuire a questa strana rappresentazione che capovolge ogni logica?
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Sepúlveda: repubblica federale, o la Spagna non esisterà più
«Mariano Rajoy sta giustificando la brutalità dimostrata dalla Guardia Civil e dalla Policía Nacional contro una popolazione civile, contro cittadini che, con o senza ragione, volevano solo andare alle urne e votare». Luis Sepúlveda, scrittore cileno che ha scelto di vivere in Spagna il suo lungo esilio, e di cui è appena uscito in Italia il libro “Storie ribelli” (Guanda) parla con il “Corriere della Sera” mentre in televisione scorrono le immagini della conferenza stampa del premier spagnolo, che ha dato ordine ai reparti antisommossa di usare la forza contro la popolazione: oltre 700 persone ferite da pugni e calci, manganellate e proiettili di gomma. «Fino a pochi giorni fa, il numero dei catalani disposti a partecipare al referendum era la metà di quelli che hanno poi tentato di votare», osserva Sepúlveda, intervistato da Sara Gandolfi. I catalani «non hanno votato per o contro l’indipendenza», sostiene l’autore del bestseller “Storia di una gabbianella e del gatto che le insegnò a volare”. I cittadini di Barcellona e Girona «votavano per il diritto a decidere liberamente, e contro l’arroganza di un governo ottuso, troppo vicino al franchismo, troppo immobile e insensibile ai problemi che si devono risolvere in modo politico e mai con la forza della repressione».
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Barnard: è in arrivo l’inferno. Saremo Tech-Gleba, schiavi
Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.«La schiavitù, letteralmente, è già pronta per 10 miliardi di esseri umani», premette Barnard, citando lo storico precedente della guerra civile americana, a metà dell’800. «I libri ci raccontano che il paese si spaccò in due, col Nord nazionalista che combatté una guerra sanguinaria contro i secessionisti del Sud per 4 anni. I primi fra le altre cose ambivano all’abolizione della schiavitù, i secondi la difendevano a spada tratta». Ma in realtà l’America «era spaccata in tre, e la terza forza in campo non era armata, era la Rivoluzione Industriale del paese». L’allora presidente Abraham Lincoln «era un uomo di un’intelligenza incredibile». Mentre combatteva la guerra civile «si era già reso conto che un mostro immensamente più micidiale della spaccatura della nazione e della schiavitù dei negri era dietro la porta di casa: era la schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». Per i repubblicani di allora, il lavoro salariato era «una forma transitoria di schiavitù che andava abolita tanto quanto la schiavitù dei negri». Essere operai stipendiati nelle grandi industrie o nei campi era «un attacco inaccettabile all’integrità personale». I repubblicani «disprezzavano il sistema industriale che si stava allora sviluppando perché costringeva l’umano a essere sottoposto a un padrone, tanto quanto lo schiavo del Sud, anzi peggio».Per dirla semplice: «Chi ti possiede avendoti comprato ti tratta meglio di chi ti “noleggia”». E qui Lincoln aveva visto lunghissimo, dice Barnard: oltre la mostruosità della schiavitù dei neri d’America, aveva avvistato «il mostro immane della schiavitù del lavoro salariato su scala industriale e agricola». E’ storia: studiando le Rivoluzioni Industriali dal 1700 in poi, si scopre che le sofferenze di centinaia di milioni di operai e contadini salariati, cioè “noleggiati”, furono per più di due secoli assai più atroci di quelle sofferte dagli schiavi delle piantagioni Usa. «Abbiamo tutti nella memoria immagini delle frustate agli schiavi, i ceppi ai piedi e al collo, tutto vero. Ma il numero di manovali salariati, cioè “noleggiati”, picchiati a morte dai “caporali”, morti di stenti e malattie sul lavoro o trucidati dal lavoro stesso per, appunto, almeno due secoli, è infinitamente maggiore. Si pensi che durante la sola costruzione del Canale di Suez nel 1869 morirono come sorci 150.000 operai. La costruzione del Canale di Panama nel 1914 ammazzò l’esatta metà di tutti coloro che ci lavorarono, cioè 31.000 operai. Ancora di recente, nel 1943, il progetto della Burma-Siam Railway trucidò di fame, letteralmente di fame 106.000 disgraziati pagati centesimi a settimana».In Europa, ricorda Barnard, fu questa agghiacciante realtà schiavistica ad animare la lotta di Rosa Luxemburg o Anton Pannekoek. Lincoln, per primo, «aveva spiato il sorgere del nuovo mostro mondiale che avrebbe sputato olocausti dopo olocausti: ma fu ignorato, e la schiavitù del lavoro salariato s’impadronì del mondo mentre solo un microscopico nugolo di pensatori se ne stava accorgendo». Inutile sperare nei sindacati: non hanno mai combattuto il lavoro salariato come neo-schiavitù, hanno solo lottato per migliorare salari e condizioni di lavoro. «Il solito immenso George Orwell, che visse volontariamente fra i diseredati salariati d’Europa negli anni ’30, predisse ciò che ancora oggi abbiamo: masse moderne immani, di fatto schiave del lavoro per quasi tutta la vita». La fuga da questa schiavitù, scrisse Orwell, «è in pratica solo possibile per malattia, licenziamento, incarcerazione, e infine la morte». Oggi, in Ue, sono crollati tutti gli standard di ieri: siamo al ricatto della disoccupazione, ai pensionati costretti a cercasi un lavoro. In altre parole: Lincoln aveva visto giusto. Ed eccoci alla “Tech Gleba Senza Alternative”, «la ‘visione’ che nessuno di noi ha, ma che ci divorerà».Insiste Barnard: «Dovete capire che il capitalismo non esiste più come progetto, è già stato cestinato». Aveva bisogno di tre elementi: gli sfruttati, la classe consumatrice, l’élite che accumula il profitto, al vertice. «Era così nei primi decenni del XX secolo con qualsiasi prodotto, è così oggi con un qualsiasi gadget digitale, fatto da poveracci in Thailandia, comprato dagli occidentali e dagli ‘emergenti’, e i trilioni vanno alla Apple o Samsung». Ma, secondo Barnard, anche questo schema sta tramontando. Perché? «Per due motivi sostanziali. Il primo è che il Vero Potere ha da molto tempo compreso che non sarà assolutamente più possibile contenere miliardi di diseredati affamati sfruttati (la condizione A- del capitalismo); essi o migreranno in masse colossali, oppure – come in India e Cina – inizieranno a pretendere condizioni economiche migliori e nessuno potrà fermarli. Da ciò l’invitabile destino della crescita esponenziale dei costi di produzione di qualsiasi bene, a livelli di prezzi finali impossibili anche per un occidentale. Poi il Vero Potere ha compreso anche che neppure l’alternativa della robotizzazione degli impianti (per licenziare, abbattere quindi i costi e competere) funziona, è un’illusione immensa, perché le masse licenziate sia qui che in paesi emergenti non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare prodotti sofisticati».Sicché: crollo profitti (Marx docet). E quindi: chi venderà a chi? «Secondo: Il Vero Potere ha da molto tempo capito che la classica struttura della competizione del mercato, in un mondo appunto con popolazione in crescita ma anche costi di produzione impossibili, non può più funzionare. Alla fine, detta in parole semplici, centinaia di milioni di corporations che producono in una gara disperata oceani di cose e servizi, a chi poi le venderanno nelle economie prospettate sopra? E’ un imbuto che si auto-strangola senza rimedi. Quindi il capitalismo è morto e consegnato alla storia, e “loro” lo sanno da anni». Ma ovviamente «il Vero Potere non sta a dormire», ha già strutturato la risposta «in una forma totalmente nuova di economia, mostruosamente nuova», la “Tech-Gleba Senza Alternative”. Ecco come l’hanno pensata: 10 miliardi di umani elevati a classe medio-bassa ma schiavi delle tecnologie, costretti a togliersi la pelle per consumare beni e servizi essenziali hi-tech. A monte, l’oligarchia «accumula quello che mai fu accumulato da élite nei 40 secoli prima». Scomparirà la sperequazione sociale di oggi, dove il pianeta Terra è frammentato da centinaia di stratificazioni, attraverso centinaia di fasce di reddito. «Si vogliono livellare 10 miliardi di umani a più o meno lo stesso livello economico».Un futuro orwelliano: «Ci sarà il condominio con acqua, bagni, elettricità, connessioni digitali, poi strade, scuole, negozi e servizi anche nei buchi neri del mondo di oggi, come Fadwa nel sud del Sudan, o a Udkuda in India». Morto il capitalismo, sparisce anche «la necessità/possibilità di avere miliardi di poveri di qua, benestanti di là, ricconi al top». Secondo Barnard, al nuovo progetto della “Tech-Gleba Senza Alternative” serve che l’intera massa vivente sia omogeneizzata nello standard di vita, e che consumi ma in modo totalmente diverso, mai visto prima nella storia. Un esempio? L’automobile. Come altri giganti come Google, Apple e Tesla, la Volkswagen «sta investendo miliardi di dollari nelle cosiddette ‘driverless cars’, cioè automobili che si autoguidano, che rispondono a comandi orali del passeggero, talmente zeppe di Artificial Intelligence da far impallidire la parola fantascienza». E la casa tedesca non lo sta facendo da poco: ha iniziato 12 anni fa in collaborazione con la Stanford University e il dipartimento della difesa Usa nel suo laboratorio futuristico chiamato Darpa. «Oggi tutto gira attorno a Silicon Valley, Google-Alphabet e alla Cina. Stanno investendo come pazzi». Una startup cinese di nome Mobvoi che fa “intelligenza artificiale” per l’auto del futuro è passata dal valere nulla al valore di 1 miliardo di dollari in un anno. Una corsa frenetica: anche Fca, l’ex Fiat di Marchionne, «sta rovesciando miliardi in ’ste auto-robot assieme a Wymo di Alphabet-Google».In particolare, continua Barnard, la gara si gioca a chi per primo elaborerà i super-computer, oggi impensabili, che sapranno elaborare trilioni di impulsi e dati ad ogni micro-secondo, per far girare miliardi di auto senza autista ma tutte coordinate, “a colloquio” fra di loro per non creare disastri. «La mole di dati che dovranno essere elaborati dal computer di bordo di ogni singolo veicolo in questo scenario è pari a quella di una spedizione spaziale dello Space Shuttle ogni secondo, tutto però gestito da un computerino sul cruscotto grande come una scatola di caramelle». E allora «giù valanghe di miliardi d’investimenti per arrivare primi». La Volkswagen oggi lavora con D-Wave Systems, «un’azienda di computer che sta ribaltando l’universo, perché applica la fisica quantistica ai software: una roba da far esplodere il cervello, perché la fisica quantistica – se applicata con successo alle tecnologie digitali di oggi – le sparerebbe nell’iperspazio, moltiplicando per miliardi di volte il potere di elaborazione dati del più potente computer del mondo». Insomma, «siamo a una viaggio lisergico digitale allo stato puro, ma dietro ci sono i miliardi veri e concreti. Perché?».Ecco la risposta: «Perché questa è gente che pensa 200 anni avanti, e sa benissimo che, col capitalismo morto – quindi con la sparizione di chi ti fa componenti auto pagato 1 dollaro al giorno, e con l’inevitabile innalzamento delle pretese di vita di miliardi di poveracci di oggi verso classi medio-basse – costruire un’auto con quei costi di manodopera costerà una pazzia e i prezzi si centuplicheranno». In altre parole: «Sanno che le auto non si venderanno più nei prossimi duecento anni perché costerebbero oro, e il 98% della gente del pianeta non se le potrebbe più permettere». Sanno anche che l’alternativa della robotizzazione per tagliare i costi (salari) non funziona, è un’immensa illusione, «perché le masse licenziate non avranno reddito, e di nuovo non potranno acquistare l’auto». Ed ecco allora l’avvento della “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè «10 miliardi di umani economicamente omogeneizzati, ma a un livello appena possibile di classe mondiale medio-bassa». E si badi bene: «Là dove questa “Tech-Gleba Senza Alternative” non potrà arrivare coi propri mediocrissimi redditi, dovrà sopperire lo Stato con un Reddito di Cittadinanza, come già detto dal mega-sindacalista Usa Andy Stern e riportato dal “Wall Street Journal”».Queste masse, aggiunge Barnard, saranno saranno obbligate a spostarsi. «E allora l’auto deve diventare un robot che nessuna casa vende, se non in numeri microscopici». Un robot «che quasi nessuno possiede, ma che tutti possono noleggiare per pochi soldi in qualsiasi istante digitando un codice: un’auto-robot arriva e ti porta, un’altra ti riporta, oppure la mandi a prendere la spesa senza muoverti da casa, o rincasi dal lavoro con 6 colleghi chiacchierando comodamente seduto in un van-robot che riporta tutti a domicilio, e se un’ora dopo vuoi andare a cena fuori digiti un altro codice et voilà». Basta moltiplicare questi “noleggi” anche a pochi spiccioli per 10 miliardi di esseri umani, per 10-20 volte al giorno, per 365 giorni all’anno, «e non è difficile capire che il profitto dalla casa produttrice dalla Driverless Car diventa cosmico, rispetto al preistorico sistema della vendita dell’auto al singolo». E già sanno, pare, che l’intera impresa delle Driverless Cars sarà «destinata poi a essere soffocata e rimpiazzata dalle Auto-Drones, letteralmente i Drones iper-tech di oggi trasformati un mezzi di trasporto che ti atterrano davanti a casa», sicché «l’intero traffico mondiale non sarà più su strada ma a circa 500 metri d’altezza sulle città», come in “Blade Runner”. «Ribadisco: queste masse però saranno obbligate (“senza alternative”) a noleggiare questa tecnologia: saranno prigioniere di quelle spese, anche a costo di altri sacrifici».Ma attenti, aggiunge Barnard, perché in questo progetto c’è altro: in questo modo, l’élite si prepara ad accumulare denaro e potere come mai prima, nella storia dell’umanità. Soprattutto perché il progetto «prevede, alla lettera, la distruzione d’interi comparti industriali (i tradizionali Re dell’industria) a favore dell’esistenza sul pianeta degli Imperatori del Business». Parola di Jeff Bezos, di Amazon: «Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori». E Bezos è uno che «ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon». State capendo? Non muore solo il capitalismo, secondo il progetto Tech-Gleba, ma anche la moltitudine delle industrie a favore di colossali monopoli (gli “Imperatori”) come mai visti nella storia, già chiamati col nome di “piattaforme”. Ne immaginate i profitti? Ancora: «Con lo Strumento per Pianificare l’Offerta, i Pensatori Critici e i nuovi software, l’Imperatore possiederà una o più Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme… Useremo i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede». Di nuovo, immaginate i profitti dei pochi Imperatori-élite nelle loro Piattaforme?Chi parla così? Dei lunatici deliranti? Tutt’altro: sono Lloyd Blankfein (Goldman Sachs), Robert Smith (Vista Equity Partners), e Jeff Immelt (General Electric), a un meeting riservato. Ma, «prima che il progetto arrivi a distruggere i milioni di Re a favore degli Imperatori, gente come Amazon di Jeff Bezos con la sua iper-Tech digitale si sta divorando la piccola-media distribuzione, come uno squalo bianco divorerebbe un milione di pesci rossi in una vasca». Se cambia l’universo-automotive, «10 miliardi di viventi saranno “prigionieri” della necessità (Captive Demand) di “noleggiare” tecnologia oggi considerata cosmica per solo spostarsi». Costretti, prigionieri. «Basta solo capire che quasi tutto il resto sarà esattamente così, per quasi ogni prodotto e per quasi ogni servizio esistente. Cioè: 10 miliardi di “Tech-Gleba Senza Alternative”», obbligati a «usare per sopravvivere tecnologie di cui loro non hanno nessun controllo, ma assoluta necessità, e che stanno tutte nelle mani di pochi Imperatori che già oggi le posseggono perché ci stanno investendo cifre incalcolabili e cervelli inimmaginabili».Amazon e Google-Alphabet, Intel, Samsung, Microsoft, Apple, D-Wave Systems e tutti i labs di ricerca in “A.I.” dei colossi come General Electric, Bosch, Mit di Boston, più le migliaia di startup come la cinese Mobvoi. Monopolio totale della conoscenza applicata, in ogni campo: «Potrebbero sparire tutti i tecnici Enel, idrici, progettisti d’auto o medici operativi oggi, che in poco tempo sarebbero sostituiti da altri già esistenti o in formazione. Ma quando invece solo il fatto che tu abbia una connessione senza cui letteralmente non sopravvivi in Terra, o che tu abbia un trasporto da A a B, o un Cobot che ti curi il taglio post-operatorio, quando queste cose essenziali sono in mano a una élite ristrettissima di fisici quantistici, software code-makers da viaggio su Marte, e maghi visionari della A.I., i cui brevetti saranno più segreti dei codici nucleari di Stato… tu sei fottuto, perché nessuno fra i tecnici delle normali formazioni universitarie anche ad altissimo livello ci capirà mai nulla di quella incredibile fanta-vera-scienza. I primi saranno i padroni unici della vita stessa sul pianeta, punto. State capendo?».Trasporti, sanità, acqua, energia, informazione, servizi essenziali, pagamenti, cibo: tutto in mano a pochissimi, il cui sapere non è alla portata dei normali scienziati non-quantistici. Ci sono materiali “magici” come il Graphene, «che è un singolo strato di materiale con proprietà mai esistite in nessun altro materiale al mondo: è più forte dell’acciaio, conduce meglio del rame, è sottile come un singolo atomo, da semiconduttore è praticamente trasparente e ha applicazioni ovunque, dalla chirurgia all’ingegneristica alla purificazione delle acque ai sistemi elettrici di intere nazioni». E ci sono gli Oleds, «che sono tecnologie visive, che trasformeranno le tv e gli smartphone in applicazioni molto più flessibili, intercambiabili, permetteranno a una televisione di casa di essere ripiegata in un tablet e poi anche in uno smartphone». E ci sono i possibili super-computer «di capacità inimmaginabili, oggi nascenti dalla fisica quantistica di D-Wave Systems».La massima incarnazione di tutto ciò si chiama Sergey Brin, il guru di Google-Alphabet. Tutto il potere inimmaginabile che Google ha e avrà nasce da questo concetto partorito da Brin: «Non c’interessa fare prodotti, c’interessa sfondare i limiti dell’inimmaginabile». Brin, continua Barnard, ha dato ordine di sviluppare decine di innovazioni chiamate Ecosystem, da lì il progetto di eliminare tutti i trasporti su ruote o ferrovie del pianeta, e sostituirli con immensi Dirigibili Drones con neppure un umano impiegato a bordo, spostando tutto ciò che si sposta al mondo – dalla Cina all’Argentina e dal Canada a Singapore – da una stanza con una ventina di addetti». Il lettore, aggiunge Barnard, deve comprendere come lavorano i cervelli di questi “alieni umani”. «Per essere semplici: se il 99% degli scienziati stanno lavorando come pazzi per mandare l’uomo su Marte, Sergey Brin riunisce i suoi per trovare le tecnologie per mandare l’uomo su Giove… comprendete? Col Deep Learning di Google, Brin considera oggi come già superata l’Intelligenza Artificiale (A.I.) che ancora deve venire». Con i colleghi Greg Corrado e Jeff Dean, Brin «ha chiuso gli occhi e immaginato livelli di astrazione». Che significa? «Loro sanno che nella sfera dell’Intelligenza Artificiale il problema dei problemi è che i computer lavorano a metodo lineare, e non riescono ad elaborare molti livelli di astrazione. E oggi loro hanno portato l’Intelligenza Artificiale con il loro Deep Learning a saper elaborare almeno 30 livelli di astrazione, dando quindi la capacità ai computer d’imparare ormai allo stesso livello degli umani».Poi c’è David Ferrucci, che fu il guru della A.I. all’Ibm col progetto Watson. Ferrucci lasciò Ibm per passare alla corte di Ray Dalio, il boss dell’hedge fund Bridgewater. «Un altro essenziale transfugo dall’Ibm che è andato a lavorare sulla A.I. in Inghilterra alla Benevolenti A.I. che si occupa di sanità, è Jerome Pesenti: e qui avremo moltissima “Tech-Gleba Senza Alternative”, perché gli ammalati esisteranno sempre e già oggi in Giappone, dove nel 2025 gli anziani sopra i 70 anni saranno quasi il doppio di quelli in Ue o negli Usa, si stanno costruendo gli infermieri robotizzati chiamati Cobots». Continua Barnard: «Adam Coates viene da Stanford e oggi porta il suo genio “demoniaco” alla Cina, dove dirige i progetti di A.I. per la mega-corporation Baidu focalizzandosi su apprendimento, percezione e visione nella A.I». Al colosso Ibm non mancano i rimpiazzamenti: David Kenny che sviluppa proprio la tecnologia per le piattaforme e per i carichi cognitivi. Poi, l’arcinota Uber ha Gary Marcus che lavora sulla A.I. per le Driverless Cars e sul Dynamic Ride Scheduling. «L’uomo che forse più sa di Networking Neuronale al mondo è Jonathan Ross: lavorava a Google con Brin». In Amazon, invece, «Raju Gulabani ha pionierizzato la rete da decine di miliardi di dollari che sostiene la corporation di Jeff Bezos, cioè la Aws Database and Analytics, assieme ai primi mattoni di A.I». E ci sono personaggi Russ Salakhutdinov, di Apple, «anche se l’ex impresa di Steve Jobs è davvero arrivata tardi in questa fanta-vera-scienza».Qualche esempio di cosa inizieremo a vedere? La classica scampagnata: oggi prendi la bici e scorrazzi tra i campi, tra l’odore di fieno, il rombo della trebbiatrice «e quella sensazione di essere nella natura lontano da semafori, antenne o il wi-fi: il casolare del contadino, i contadini magari seduti fuori dal bar di Mezzolara al sabato pomeriggio a giocare a carte». Nella scampagnata in “Tech-Gleba Senza Alternative”, invece, «i contadini scompaiono, letteralmente non ne esiste più uno». Si chiamerà: Agricoltura di Precisione. «Il casolare, se rimane, è ristrutturato in una centrale operativa di Agriscienza. Antenne ovunque. Nessun rombo di trattore, ronzii di decine di Drones di dimensioni che vanno dai 12 centimetri a 10 metri che sorvolano i campi e trasmettono miliardi di dati (100 o 500 per ogni singolo stelo di grano, per ogni singola cipolla) alle centrali. Poi i software dalle centrali diranno ai Drones Seminatori dove piazzare il singolo seme a seconda di una dettagliata analisi chimica del singolo centimetro quadrato di terreno, il tutto in tempi di microsecondi. Welcome la Semina di Precisione. Stessa operazione ai Drones Fertilizzanti. Vi lascio immaginare il resto: meglio che ne approfittiate finché il contadino sta ancora là, oggi».Nel campo industriale, continua Barnard, si aggiungono gli Ecosistemi Virtuali, là dove il prodotto viene razionalizzato da sistemi di A.I. per ridurre i passaggi produttivi di venti volte o più. Una produzione annuale di 40 milioni di di pezzi sarà gestita dai Cobots, cioè sistemi robotizzati che letteralmente “parlano” con un singolo operatore umano, che «non schiaccia più tasti, ma parla e basta», mentre «mostruosi impianti rispondono, obiettano, suggeriscono soluzioni, segnalano problemi». Così per tutto: intrattenimento, qualsiasi attività esterna a casa, istruzione, social media, attivismo, politica. «Qui i primi ad arrivare per cambiare, come mai, il tuo mondo saranno la Virtual Reality (Vr) e la Augmented Reality (Ar) del conglomerato Facebook-Oculus». Il concetto è questo: «Per entrare in contatto con chiunque, e per fare praticamente qualsiasi cosa, non sarà più necessaria la tua presenza fisica, basta quella virtuale. Un bel Rift Head-set di Oculus, o anche solo quegli strani occhiali con cui si fece fotografare Sergey Brin di Google, e il gioco è fatto. Il networking globale in 3d ti permetterà, stando immobile sul divano, di cercar casa visitando decine di appartamenti, dialogare con gli agenti e l’amministratore, stare in classe ma “vedersi” seduti alla Lectio Magistralis del Prof. X all’università di Yale in Usa, o visitare, sempre immobile dalla classe, le distese di Agribusiness in Sudan, partecipare a workshop di A.I. a Cupertino, a Mosca, a New Delhi». E magari «testimoniare la guerra ad Aleppo, ma senza il “disturbo” degli odori dei poveri, dei fetori di sangue rappreso, e con una visione totalmente pilotata dalle autorità occidentali».Poi, i social media «ti permetteranno, dal divano di casa, di essere fra amici a una cena virtuale, o di corteggiare una persona per capire chi è, prima ancora di muovere un passo da casa. O di non muovere neppure più un passo da casa, e avere un orgasmo, toccare un petto o un seno virtuali, e uscirne totalmente soddisfatti». Peggio: «Il progetto provinciale di Casaleggio diverrà devastante nelle dimensioni. L’attivismo politico sarà tutto immobilismo dai divani di casa, nessun corpo umano visibile da nessuna parte, tutti in cortei virtuali, Consigli comunali virtuali, comizi virtuali, dialoghi coi parlamentari virtuali, videogames di scontri di piazza, cioè aria fritta, e apatia di masse immense nel trionfo globale dell’Attivismo di Tastiera». Il denaro? Blockchain e Ledgers sono già realtà oggi: «Sparirà ogni forma di denaro, le Cryptovalute diverranno padrone (oggi abbiamo solo Bitcoins ed Ethereum, ne verranno centinaia). Ogni singola transazione, dai 70 centesimi dell’anziana pensionata alle centinaia di miliardi delle corporations, sarà registrata attraverso la tecnologia Blockchain in registri mondiali chiamati Ledgers che saranno visibili da chiunque al mondo abbia i software per accedere».I pagamenti saranno quindi istantanei e istantaneamente verificati dagli algoritmi matematici di tutta la catena di Blockchain. «Spariranno dunque milioni di posti di lavoro legati alla contabilità, all’avvocatura, nelle banche, con lo strascico di impiegati/e. Ma molto peggio: i maghi dell’informatica dei servizi americani, perché saranno loro ad avere le chiavi di questa allucinazione, passeranno miliardi di dati privati – sui pagamenti degli umani visibili sui Ledgers, quindi sugli stili di vita, sulle abitudini, sulle tendenze di consumo, sullo stato di salute delle persone, su come lavorano, sul business mega-medio-micro». Dati ce finiranno alla Nga, la National Geospatial Intelligence Agency degli Stati Uniti. «La Nga è la più grande intelligence al mondo per raccolta e analisi di immagini e dati; e lo sarà in futuro per capire chi sei tu, o tu azienda, cosa fai ogni 30 secondi della tua vita, cioè se compri gratta&vinci o se hai fatto un’ecografia all’utero, o se hai donato a Greenpeace, ai sovranisti… o per spiare i pacchetti ordini per sapere su quali aziende speculare, o per sapere se davvero come dice “Bloomberg” il rame del Cile ancora tira, o se è meglio dire agli investitori di andare altrove». La Nga «lo farà grazie alla Blockchain e ai Ledgers: sarà la più immane perdita di privacy della storia umana, con la “Tech-Gleba Senza Alternative” del tutto impotente, ma le piattaforme globali in posizione di ovvio favore».E sempre in materia di privacy disintegrata, continua Barnard, saremo il benvenuto al mondo dei Psychoimaging Sofware, a braccetto coi Drones. «E’ noto che i gadget digitali più venduti già oggi sono pronti ad ospitare software che ti leggono impronte digitali, o la mimica dei muscoli facciali, o a registrarti mentre sei a letto col cellulare spento. Ma è anche vero che i dati sulla tua persona che verrebbero trasmessi in questo modo rischiano di essere molto frammentari perché non viviamo sempre incollati ai cellulari, pc o tablets». I droni, invece, come già oggi sperimentato dal Darpa del dipartimento alla difesa Usa, «possono essere ridotti alle dimensioni di un insetto, ed essere su di te in qualsiasi momento, ovunque, e trasmettere i dati a software di Psychoimaging, cioè software che compileranno schede su chi sei, che carattere tendi ad avere, come ti si può convincere meglio e a che ore del giorno, o se sei una minaccia per il sistema, cosa ti potrebbe sospingere a una ribellione, come i media impattano la tua personalità, come formi i tuoi figli». Peggio ancora: «I Drones possono leggere il labiale, quindi avere un accesso ancora più diretto a qualsiasi cosa tu esprimi o intenda fare in ambito sia privato che di business».Per il pessimista Barnard non avremo scampo: «Saremo “Tech-Gleba Senza Alternative”, cioè prigionieri, precisamente perché quando tutto il pianeta funzionerà così, chi si può permettersi di dire “No, non ci sto”?». E il «mostruoso mondo Tech» non è una fantasia, «è già alle porte». Ma a cambiare, sottolinea Barnard, è solo il “come”, lo spaventoso potenziale tecnologico, non il paradigma. Quello è immutato: «Il gran gioco della razza umana dal primo minuto della civiltà è sempre stato identico: fu, e rimane oggi, una guerra spietata fra il desiderio delle élite di dominare, e i tentativi dell’umanità di prendersi invece ciò che gli spetta. I tentativi hanno avuto sempre e solo un nome: le rivoluzioni», considerate dall’élite «fastidiosi incidenti di percorso». Potevano essere represse nel sangue, o tollerate per qualche tempo e poi «dirottate dall’interno verso nuove forme di sanguinario dispotismo di altre élite». E’ il caso della Rivoluzione Francese finita nel Terrore, o della Rivoluzione Russa «che Lenin devastò appena poté». Ma con l’incalzare della modernità, aggiunge Barnard, per le élite divenne sempre più difficile controllare le masse. La prima sperimentazione in grande stile? Negli Usa, tra fine ‘800 e inizio ‘900.«Pochissimi sanno che la parte d’Occidente più “marxista” in assoluto, a cavallo fra il XIX e il XX secolo, fu il nord-est degli Stati Uniti d’America, e in parte l’Irlanda». Negli Usa, il fermento dei lavoratori «impropriamente chiamato socialista», in realtà «anarco-sindacalista, libertario nel vero, storico senso del termine» era tale che, di routine, «venivano stampati quasi 900 quotidiani rivoluzionari, che venivano davvero letti nelle comuni di lavoratori e lavoratrici». Ora, aggiunge Barnard, si può immaginare come l’élite del capitale americano si organizzò per soffocare tutto questo. E di certo, a pochi decenni da una guerra civile costata quasi 800.000 morti, «le élite non potevano reprimere tutto nel sangue. Ci voleva altro per soffocare quella rivoluzione». Ma cosa? Da quell’epoca in poi, «il Vero Potere comprese qualcosa di letteralmente mostruoso – ripeto, mostruoso – per silenziare, sedare, le masse ribelli: l’Apatia del Benessere Minimo». Che significa? «Mantenere miliardi in povertà e disperazione è non solo intenibile, perché si ribelleranno, ma controproducente (fine capitalismo, “Tech-Gleba”)». Furono due intellettuali americani a immaginare la soluzione: Edward Bernays e Walter Lippmann. «Le élite avrebbero dovuto sedare le masse – in quel caso americane – con l’avvento dell’industria mediatica, cinematografica, pubblicitaria e consumistica che ne manipolasse il consenso verso il desiderio di possedere un benessere minimo a qualsiasi costo».E vinsero, perché «chi inizia ad assaggiare l’individualismo del proprio piccolo, modesto progresso edonistico nei consumi e nel piccolo agio», poi ovviamente «abbandona i sacrifici, il coraggio e il pensiero per la lotta sociale». Chiaro: «Vuole avere di più. Per non parlare poi di quando diviene vera classe media». La prima grande ondata di “apatizzazione” delle masse potenzialmente pericolose per le élite «sfondò i popoli negli Stati Uniti fra gli anni ’20 e ’40 del XX secolo», continua Barnard. Celebre l’opinione che Bernays e Lippmann avevano del popolo: «Sono solo degli outsider rompicoglioni», da “domare” verso la docilità. Poi vennero la Seconda Guerra Mondiale, il dilagare del socialismo, il comunismo e la Rivoluzione d’Ottobre, la nascita del Welfare State in Gran Bretagna, «la magica (seppure breve) influenza dell’economista John Maynard Keynes sull’economia per la piena occupazione», fino al ’68 e alle lotte operaie europee. «All’alba degli anni ’70 le élite si resero conto che il piano Bernays-Lippmann di apatizzazione era decaduto, ne occorreva un altro ben più potente»: il Memorandum Powell.Barnard ne ha parlato nel saggio “Il più grande crimine”, citando le gesta dei protagonisti della «seconda grande ondata di apatizzazione delle masse». Lì i compiti furono divisi fra Stati Uniti, Europa e Giappone. «S’inizia con una mattina dell’estate del 1971, quando Eugene Sydnor Jr. della Camera di Commercio degli Stati Uniti chiamò l’avvocato Lewis Powell e gli chiese un progetto di apatizzazione delle masse occidentali in sollevazione». Powell scrisse un Memorandum di sole 11 pagine. Vi si legge: «La forza sta nell’organizzazione, in una pianificazione attenta e di lungo respiro, nella coerenza dell’azione per un periodo indefinito di anni, in finanziamenti disponibili solo attraverso uno sforzo unificato, e nel potere politico ottenibile solo con un fronte unito e organizzazioni (di élite) nazionali». Poi arriva la Commissione Trilaterale, composta appunto dai vertici di Stati Uniti, Europa e Giappone. Chiamano tre influenti intellettuali, Samuel P. Huntington, Michel J. Crozier e Joji Watanuki. Nelle 227 pagine del loro “The Crisis of Democracy” daranno la ricetta letale per l’apatizzazione. Basta leggere questi passaggi: «Il funzionamento efficace di un sistema democratico necessita di un livello di apatia da parte di individui e gruppi. Ciò è intrinsecamente anti-democratico, ma è stato anche uno dei fattori che hanno permesso alla democrazia di funzionare bene».«La storia del successo della democrazia – continuano i tre – sta nell’assimilazione di grosse fette della popolazione all’interno dei valori, atteggiamenti e modelli di consumo della classe media». Cosa vuol dire? «Significa che, se si vuole uccidere la democrazia partecipativa dei cittadini mantenendo in vita l’involucro della democrazia funzionale alle élites, bisogna farci diventare tutti consumatori, spettatori, piccoli investitori, tutti orde di classe medio-bassa appunto. Apatici». Il risultato, conclude Barnard, è storia contemporanea: «Trionfo dei consumi assurdi, dell’edonismo idiota di Tv e mode, crollo dalla partecipazione alle lotte in strada, apatia di praticamente tutti anche a fronte di fatti gravissimi che distruggono democrazia, lavoro, diritti, Costituzioni. Con l’avvento poi di Internet il tripudio del progetto della Trilaterale raggiunse l’orgasmo». Barnard fui il primo in Italia a coniare il dispregiativo “attivisti di tastiera”, ignaro che negli Usa si parlava di “clicktivism”. «Altra forma di apatia che infettò persino quel 2% dei cittadini che ancora non erano stati divorati da Playstation, Formula 1, Belen, Il Grande Fratello, la Champions, il red carpet di Cannes, il gratta e vinci, il Carrefour, la ‘notte rosa’ al mare». La grande apatia di massa del Duemila.«Le élite protagoniste di tutta questa storia – insiste Barnard – vedono sempre chiaro almeno 50 anni avanti, più spesso 200 anni». I segnali di un nuovo sommovimento delle masse? Divennero chiari, per loro, quasi vent’anni fa. Allora, «i salari reali del paese più potente del mondo, gli Usa, erano stagnanti dal 1973: malcontento diffuso». Inoltre, le bolle speculative (immobiliari e finanziarie, specialmente incoraggiate da Clinton) davano un segnale chiarissimo: le élite sapevano già che sarebbero tutte esplose (net-economy, subprime, crack di Wall Street). Risultato: di nuovo, milioni di occidentali “indignati”. Niente di buono neppure a Est: «La mano del Libero Mercato di quel criminale di Jeffrey Sachs nell’est europeo post-comunista e in Russia stava decimando quei popoli, col tasso di mortalità media in Russia crollato a 56 anni per gli uomini, migrazioni di massa a ovest delle donne, corruzione epica ovunque, di nuovo pericolo di sollevazioni». Poi il disegno dell’Eurozona: «Appena nato, era già stato sancito come una catastrofe sociale dalle Federal Reserve Banks degli Stati Uniti, e quindi dai maggiori “investment bankers” del pianeta, per cui già allora si aspettavano un’Europa di ribellioni populiste, caos politico, e Brexit». Chiarissimo, poi, era il pericolo di conflitto nucleare futuro, con rischi anche per le stesse élites: conflitto «non Usa-Russia, ma Usa-Cina, cioè due progetti imperiali inconciliabili a morte». Infine il “climate change” che già stava divorando il pianeta, con «masse immani di disperati» che si sarebbero mosse «letteralmente per bere, e avrebbero invaso l’Occidente: 500.000 indiani rischiano di non bere più fra meno di un decennio».Attorno al 2.000, «l’elite comprese che una terza, immensa ondata di apatizzazione sarebbe stata vitale, per tenere questo mondo di nuovo in ribellione sotto controllo per i prossimi mille anni». Ed ecco Rift Head-set, Virtual Reality, Blockchain, Drones, Artificial Intelligence e 10 miliardi di umani in “Tech-Gleba Senza Alternative”, «decerebrati del tutto da Facebook-Oculus e altri come loro». Visione deprimente: «Saremo un’umanità omogeneizzata, senza più immensi scarti di redditi ma totalmente nelle mani, per letteralmente sopravvivere, di élite private che possiedono tutte le Tech-chiavi per la vita stessa della specie umana». E naturalmente «non potremo mai più ribellarci, né dare l’assalto alla Bastiglia, perché anche se ci impossessassimo di quelle chiavi non sapremmo né usarle né sostenerle. Saremo prigionieri di consumi High-Tech irrinunciabili, senza nessuna via di fuga, e in più totalmente apatizzati dall’immobilismo del mondo Virtual-Drones, con gli Oleds, la Vr con Ad, e le infinite forme di A.I.». Detto alla buona: «Se oggi è un dramma convincere un cittadino a uscire di casa per contestare il proprio Comune, immaginate in questo futuro, che è già pronto, quando il tizio con la maschera-occhiali contesterà il Comune in Virtual 3D fra un amplesso Virtual 3D e l’altro». Con 10 miliardi di umani conciati così, ed élites «padrone di un potere sull’economia e sulla vita stessa impensato fino a oggi», per Barnard si può davvero decretare la fine della storia. «L’Eurozona è un sogno, in confronto; la mafia è un sogno, in confronto, il lavoro di oggi anche. Ricordate Lincoln e come seppe vedere ‘oltre’. Non fate figli, vi prego».Non mangiano più “libri di cibernetica, insalate di matematica”, ma divorano volumi di Cartesio, Galileo, Newton. Sono i nuovi stregoni della meccanica quantistica, a metà strada tra scienza e metafisica. Sono stati assoldati dall’élite planetaria, quella che ormai ha compreso che il capitalismo è storicamente finito. Al suo posto, avanza quella che Paolo Barnard chiama tech-gleba. O meglio: “Tech-Gleba Senza Alternative”, sottoposta al cyber-potere del computer “quantico”, fantascienza in mano a pochissimi. Una super-macchina “pensante”, in grado di far sparire ogni lavoratore dalla faccia della terra, sostituendolo con robot, droni e androidi cobots, i cui servizi i neo-schiavi ridotti all’apatia saranno costretti a “noleggiare”. «Questo non è un fumetto, è il futuro vicino, vicinissimo, ed è tutto già pronto. Solo che nessuno di noi se ne sta accorgendo», perché i cittadini più “svegli”, che stanno in guardia contro minacce visibili (mafie, corruzione, Eurozona, migrazioni, “climate change”) non vedono «un mostro immensamente peggiore», che ormai «è dietro la porta di casa». L’umanità retrocessa alla servitù della gleba (tecnologica). E’ l’incubo al quale Barnard dedica svariate pagine sul suo blog, lo stesso che nel 2011 ospitò il profetico saggio “Il più grande crimine”, sulla genesi politico-finanziaria dell’Eurozona – riletta, appunto, in chiave criminologica: puro dominio, fraudolento, dell’uomo sull’uomo.