Archivio del Tag ‘Impero Romano’
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La via dei lupi, per resistere. Vale un film: facciamolo
Tradire è morire. E allora non resta che lottare: per restare fedeli a se stessi, affrontando una solitudine lunare. Si può resistere per anni, nel cuore dei monti, fino all’estremo sacrificio, non sapendo rinunciare alla bellezza della dignità, al conforto della giustizia. E’ la storia – vera – di François de Bardonneche, il singolare “Highlander occitano” del ‘300, che Carlo Grande ha romanzato nel bestseller “La via dei lupi”. Grazie al lavoro di Barbara Allemand e di Fredo Valla, sceneggiatore di Giorgio Diritti (“Il vento fa il suo giro”, “Un giorno devi andare”) la storia del grande ribelle che osò muovere guerra al Delfino di Francia per poi darsi alla macchia sui sentieri della fatale val di Susa, potrebbe diventare un film. O meglio un grande film, se il progetto verrà adottato da Hollywood. Il prezzo di questa follia? Appena 20 euro. E’ la quota minima individuale della sottoscrizione lanciata per far sistemare la sceneggiatura. Il premio? La storia bellissima di un’opera non comune, attualissima e necessaria – il nostro film, visto che parlerà direttamente a noi. Saper resistere al sopruso: indispensabile, oggi più che mai, pena la perdita della nostra umanità.«Viviamo in città lontano dalla natura, mangiamo senza fame e beviamo senza sete, ci stanchiamo senza che il corpo fatichi, rincorriamo il nostro tempo senza raggiungerlo mai». Così scriveva, Carlo Grande, nel libro-confessione “Terre alte”. «Abbiamo bisogno di riprenderci le nostre vite, di trovare una strada che ci riporti al centro di noi stessi». Era solo il 2008, ma sembra un secolo fa. «Quando si ha, come noi, una tale sicurezza materiale da non temere più di tanto per il futuro, quando non ci si domanda cosa succederà la settimana prossima, quando si ha sempre di che vivere e non si sa più per cosa, si forma intorno a noi una prigione senza confini, da cui è difficile fuggire». Oggi, col precipitare della crisi, molte di queste sicurezze sono cadute: sono migliaia, milioni, i cittadini italiani ed europei che hanno ripreso a preoccuparsi per la loro sorte immediata, a causa di una sofferenza decretata dall’alto di un potere oscuro, percepito come ostile. Un potere accusato di aver tradito la sua promessa, venendo meno al suo dovere.E’ proprio il dolore per il tradimento – quello del principe che gli ha sedotto la figlia – a scatenare la furia del feudatario valsusino: il Delfino francese ha calpestato le regole, su cui si regge la civiltà medievale del “paratge”, l’onore tra uomini liberi che accettano volontariamente di mettersi al servizio l’uno dell’altro. E’ la “civiltà mediterranea”, nella quale Simone Veil individua l’ultima reincarnazione dell’Atene di Pericle (il culto della bellezza) prima che le forze più aggressive della storia spegnessero la luce, dalle legioni conquistatrici alla sanguinosa repressione delle eresie libertarie. Se oggi i critici più intransigenti puntano il dito contro il nazi-capitalismo finanziario che muove i burattini di Bruxelles imponendo la “desmisura” di condizioni-capestro assolutamente insostenibili per il 99% dei cittadini, i territori riscoprono il valore dimenticato della comunità solidale, come dimensione indispensabile non solo per l’autodifesa, ma anche per la coltivazione di quell’umanesimo in mancanza del quale non potremmo vivere. Anche così si può rileggere la vicenda di François: senza il coraggioso sostegno della sua gente non sarebbe mai riuscito a ribellarsi né a evadere dal carcere, né tantomeno a resistere così a lungo tra le nevi delle sue montagne.E’ esattamente questo tipo di bellezza che il film è ansioso di esprimere, nel silenzio incantato delle foreste. C’è anche una salutare nostalgia per il “mondo bambino” del medioevo più luminoso, la civiltà di uomini e donne che sapevano gioire, piangere, commuoversi, tra montagne che – per secoli – tennero in vita la Repubblica degli Escartons, straordinario esperimento di autogoverno cantonale, nel cuore dell’Europa. Si parlava occitano, la lingua di François, quella in cui Dante avrebbe voluto scrivere la Commedia, perché solo i trovatori provenzali – i primi, dall’avvento della cristianità – avevano riscoperto la tenerezza dell’amore, quella dei lirici greci, e avevano cominciato a cantarla, sfidando l’oscurantismo vaticano grazie alla protezione di autorità politiche tolleranti. «Il film – dice oggi Carlo Grande – sarebbe un fecondo generatore di bellezza, un balsamo alla solitudine morale: credo in questo film perché credo in questa storia, in questo libro, in tempi di carestia fisica (di aria, di acqua, di terra) e spirituale (etica ed estetica)». Il cinema italiano non è in grado di produrre il film, per questo si pensa a Hollywood. Un percorso da fare insieme, appropriandosi della causa. Basta anche solo un piccolo tributo d’onore, per co-finanziare l’adattamento in inglese. E far sentire che la comunità non se la sente di abbandonare il suo antico eroe: oggi come allora, il vecchio François – guerriero riluttante, partigiano della libertà – per tornare a lottare sulla “via dei lupi” ha davvero bisogno di noi.(Per aderire alla sottoscrizione è sufficiente prenotarsi, senza alcun anticipo di denaro, sulla piattaforma di social crowdfundig “Produzioni dal basso”, dichiarando la propria disponibilità a sostenere il progetto, anche solo con la quota minima di 20 euro. Più quote danno diritto alla presenza nei titoli coda, al dvd e all’invito a proiezioni nei cinema. L’obiettivo è vicino: ancora pochi click e si raggiungeranno i 4.000 euro necessari a finanziare la revisione della sceneggiatura, che consentirà di impostare la produzione del film).Tradire è morire. E allora non resta che lottare: per restare fedeli a se stessi, affrontando una solitudine lunare. Si può resistere per anni, nel cuore dei monti, fino all’estremo sacrificio, non sapendo rinunciare alla bellezza della dignità, al conforto della giustizia. E’ la storia – vera – di François de Bardonneche, il singolare “Highlander occitano” del ‘300, che Carlo Grande ha romanzato nel bestseller “La via dei lupi”. Grazie al lavoro di Barbara Allemand e di Fredo Valla, sceneggiatore di Giorgio Diritti (“Il vento fa il suo giro”, “Un giorno devi andare”) la storia del grande ribelle che osò muovere guerra al Delfino di Francia per poi darsi alla macchia sui sentieri della fatale val di Susa, potrebbe diventare un film. O meglio un grande film, se il progetto verrà adottato da Hollywood. Il prezzo di questa follia? Appena 20 euro. E’ la quota minima individuale della sottoscrizione lanciata per far sistemare la sceneggiatura. Il premio? La storia bellissima di un’opera non comune, attualissima e necessaria – il nostro film, visto che parlerà direttamente a noi. Saper resistere al sopruso: indispensabile, oggi più che mai, pena la perdita della nostra umanità.
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Ecco Iron Man, il cyber-guerriero per la fine del mondo
Provate a ribellarvi, e ve la dovrete vedere con Iron Man, il primo guerriero “bionico”, forse già in azione tra meno di un anno. Ha lo stesso nome di Tony Stark, l’industriale che diventa supereroe grazie a una corazza totale munita di razzi e alimentata autonomamente, ma non è un clone del personaggio della Marvel Comics. Quello in preparazione è un cyber-soldato vero, indistruttibile e progettato per sterminare qualunque nemico. A volerlo è il comando delle forze speciali americane, che ha aperto una gara tra aziende della difesa, università e laboratori del governo per la produzione di un’armatura hi-tech destinata a soldati d’élite e dotata di arti bionici, esoscheletro a prova di proiettili e schegge, batteria per l’auto-alimentazione. A guidare Iron Man sull’obiettivo, un sistema di caricamento dei dati ricevuti in tempo reale dai droni e proiettati su un display trasparente montato all’interno dell’elmo. Sarà il guerriero-guardiano incaricato di “riportare l’ordine” in un mondo in rivolta, nel caos che verrebbe scatenato da un collasso finanziario?Nessun contratto è ancora stato firmato e il Pentagono sta tuttora selezionando le idee, precisa Alessandra Baldini sul sito dell’Ansa. Ma l’obiettivo è chiarissimo: affidandosi a micro-motori, l’esoscheletro (cioè la struttura cibernetica esterna) permetterebbe al soldato di correre e saltare senza fatica, pur portandosi addosso un carico di decine di chili. Ad esempio, il modello “Exoskeleton Xos 2” prodotto dalla Raytheon può sollevare 77 chili con uno sforzo percepito dal soldato che lo indossa pari a 4,5 chili. «Almeno in teoria, questo cyber-soldato sarebbe in grado di curarsi da solo le ferite sul campo applicando tourniquet gonfiabili nel raro evento che l’indistruttibilità dell’armatura venisse violata». La super-corazza conterrebbe anche scorte di ossigeno in caso di attacco coi gas, un sistema di raffreddamento per mantenere la temperatura a livelli accettabili e una serie di sensori per trasmettere al quartier generale i segnali vitali del combattente.«Vogliono una corazza alla Iron Man: sono stati chiarissimi», ha riferito al “Los Angeles Times” Adarsh Ayar, un ingegnere di Bae Systems, uno dei colossi contattati per lavorare sul tipo di armatura chiesta dalle forze speciali. Anche il nome ufficiale del progetto è un omaggio al supereroe della Marvel: si chiama “tactical assault lihght operator suite”, o Talos, come il guerriero gigante fatto di bronzo della mitologia greca che difese, non sempre con successo, l’isola di Creta dagli invasori. Ma a preoccupare i comandanti di Iron Man sarebbero ancora i “barbari” o gli eventuali concittadini in rivolta? «Siamo di fronte a un ridimensionamento generale del mondo sviluppato», avvertiva già nel 2012 il finanziere George Soros: «La gente non capisce quello che sta succedendo, ma è paragonabile alla caduta dell’Unione Sovietica». O magari, per dirla con Giulietto Chiesa, a quella dell’Impero Romano. «Sarà una scusa per dare il giro di vite definitivo usando maniere forti per mantenere legge e ordine», disse Soros a “Newsweek”. Mantenere legge e ordine: grazie a minacciosi robocop come Iron Man?Provate a ribellarvi, e ve la dovrete vedere con Iron Man, il primo guerriero “bionico”, forse già in azione tra meno di un anno. Ha lo stesso nome di Tony Stark, l’industriale che diventa supereroe grazie a una corazza totale munita di razzi e alimentata autonomamente, ma non è un clone del personaggio della Marvel Comics. Quello in preparazione è un cyber-soldato vero, indistruttibile e progettato per sterminare qualunque nemico. A volerlo è il comando delle forze speciali americane, che ha aperto una gara tra aziende della difesa, università e laboratori del governo per la produzione di un’armatura hi-tech destinata a soldati d’élite e dotata di arti bionici, esoscheletro a prova di proiettili e schegge, batteria per l’auto-alimentazione. A guidare Iron Man sull’obiettivo, un sistema di caricamento dei dati ricevuti in tempo reale dai droni e proiettati su un display trasparente montato all’interno dell’elmo. Sarà il guerriero-guardiano incaricato di “riportare l’ordine” in un mondo in rivolta, nel caos che verrebbe scatenato da un collasso finanziario?
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La danza della pace di quei soldati sull’orlo della guerra
Ma gli americani che fanno? Quello che hanno sempre fatto: la guerra. «Ora dovremo dare una bella spazzolata alla Siria», diceva tempo fa un giovanotto, a cena ai tavoli di una pizzeria, in una città del nord. Indossava una tuta col tricolore e la scritta “Italia”. Era l’inizio del 2012: al film delle armi chimiche mancava ancora un anno e mezzo. Eppure, era come se il giovanotto lo conoscesse già: «Dovremo colpire la Siria – ripeteva, con aria grave – perché poi, lo sappiamo, ci aspetta lo scontro vero, quello con l’Iran». I commensali annuivano, attoniti, fingendo di capire: strana fiaba nera, ambientata in una geografia teoricamente prossima, mediterranea, eppure così remota e oscura, infestata di pericoli e di nemici incomprensibili. L’unico ambasciatore intellegibile, tra i misteri di quelle latitudini infide, era appunto il giovanotto con addosso la tuta militare – il solo volto amico momentaneamente a portata di mano. Con in tasca un messaggio chiarissimo e indiscutibile: guerra. Ma perché? Perché sì. Semplice: guerra contro il perfido dittatore Assad, come necessaria premessa per poi dare una lezione ai fanatici barbuti di Teheran.
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Onore al coraggio della Siria, che resiste alla barbarie
L’opera di demonizzazione preventiva è sempre la stessa. La si ritrova, ugualmente modulata, su tutti i quotidiani e in tutte le trasmissioni televisive, di destra come di sinistra. In quanto totalitario, il sistema della manipolazione organizzata e dell’industria culturale occupa integralmente la destra, il centro e la sinistra. Il messaggio dev’essere uno solo, indiscutibile. Armi chimiche, armi di distruzione di massa, violazione dei diritti umani: con queste accuse, la Siria è oggi presentata mediaticamente come l’inferno in terra; per questa via, si prepara ideologicamente l’opinione pubblica alla necessità del bombardamento, naturalmente in nome dei diritti umani e della democrazia (la solita foglia di fico per occultare la natura imperialistica delle aggressioni statunitensi).
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Noi, oppressi dal debito: gli schiavi di Roma stavano meglio
Da una parte l’umanità e dall’altra il denaro – che ha vinto la sua guerra millenaria, e ora impone la sua legge dura e spietata. Se Roma evitava almeno di spillare tasse agli schiavi, a spremere anche loro provvide il feudalesimo, cioè la condizione storica alla quale stiamo tornando, come “profetizzato” in tempi non sospetti da Giuliano Amato. Di questo passo, con l’eclissi storica della sovranità, non ci saranno più diritti di nessun tipo: cittadini e popoli saranno semplicemente ridotti a chiedere l’elemosina, pronti anche a combattere le guerre di clan organizzate dei nuovi imperi. Analisi storica suggestiva, firmata dall’economista greco Dimitris Kazakis: che, attraverso fonti eterodosse – da Tacito a Engels, fino a Hitler – “spiega” che il dramma nel quale stiamo sprofondando, in primis come Eurozona, è paragonabile soltanto al più spaventoso cataclisma della storia dell’Occidente, ovvero la caduta dell’Impero Romano.
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Cardini: giustizia, la rivoluzione che l’umanità attende
Il generale malessere del mondo, la crisi europea, le strane “primavere arabe” e il ritorno di potenze come la Francia, pronte a strumentalizzare i movimenti islamisti. E poi le rivolte in Egitto e in Turchia, che hanno messo i media di fronte a una domanda drammatica: di fronte a tanta ingiusizia, l’unica via d’uscita sarà una rivoluzione necessariamente globale? Ebbene sì, risponde lo storico Franco Cardini: serve una rivoluzione mondiale basata sulla giustizia e sulla redistribuzione della ricchezza, capace di trasformare i consumi salvaguardando il rapporto con l’ambiente. La «rivoluzione del futuro», inutile non vederla, ormai «ci sta davanti», sospinta dalla potenza formidabile del Bric, il cartello dei grandi paesi emergenti: Brasile, Russia, India e Cina, cui domani potrebbe aggiungersi anche l’Iran. «Questa rivoluzione potrà anche non verificarsi, oppure fallire: ma allora saremo tutti condannati».
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Boff: scommetto su Francesco, lavorerà per l’umanità
«Lavorerà per riscattare la credibilità della Chiesa, macchiata dagli imbrogli, dagli scandali dei pedofili e della banca vaticana. E dopo farà un’apertura al mondo moderno, perché sia Benedetto XVI che Giovanni Paolo II hanno interrotto il dialogo con la modernità». Leonardo Boff, tra i fondatori della “teologia della liberazione”, dopo aver tifato per l’americano Sean O’Malley ora scommette su Jorge Bergoglio, nonostante sia considerato in Argentina un “populista conservatore”, un uomo di destra. Intervistato da Eleonora Martini per il “Manifesto”, il brasiliano Boff – cui Ratzinger impedì l’esercizio del sacerdozio – ripone nel nuovo Papa molte speranze: vede in lui il vento della «primavera» che scioglie il «freddo inverno della Chiesa» e la traghetta nel terzo millennio. «È sempre stato dalla parte dei poveri e degli oppressi, come noi teologi della liberazione». E questo gli basta: del brand non si preoccupa, e non crede alla complicità con la dittatura militare.
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Latouche: abbiamo bisogno che questo sistema crolli
«Sappiamo già che l’attuale sistema crollerà tra il 2030 e il 2070. Il vero esercizio di fantascienza è prevedere che cosa succederà tra cinque anni». Serge Latouche non ha dubbi: faremo la fine dell’Impero Romano, o del Sacro Romano Impero di Carlo Magno che fu travolto dai Barbari. «Purtroppo siamo già dentro il capitalismo catastrofico». Ed è solo l’inizio, nel bluff chiamato Europa. «La barca affonda e andremo giù tutti insieme. Ma non è detto che questo avverrà senza violenza e dolore». Quanto all’Italia, «l’unica soluzione è la bancarotta: da Monti in giù, tutti sanno che il debito non potrà essere ripagato». Sono alcune delle affermazioni che l’ideologo francese della Decrescita ha rilasciato a Giovanna Faggionato per “Lettera 43”. Il sistema, dice Latouche, non ha mantenuto nessuna promessa: «Dicevano che la concorrenza ci avrebbe fatto lavorare di più per guadagnare di più, e invece ci fa lavorare di più e guadagnare sempre meno: questo è sotto gli occhi di tutti».
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Star wars: Muos, l’olocausto globale scatenato dalla Sicilia
Missili all’uranio impoverito, aerei senza pilota, bombe atomiche teleguidate. Per scatenare il conflitto globale del Terzo Millennio – guerra convenzionale oppure chimica, batteriologica, nucleare e forse anche climatica – basteranno poche, gigantesche antenne paraboliche. Sono quelle del Muos, il nuovo sistema di telecomunicazioni satellitari che gli Stati Uniti hanno cominciato a dispiegare in Virginia, alle Hawaii e in Australia. La quarta installazione è programmata in Sicilia: a Niscemi, in provincia di Caltanissetta. Il Muos collegherà tra loro i centri di comando e controllo delle forze armate, i centri logistici e gli oltre 18.000 terminali militari radio esistenti, i gruppi operativi in combattimento e gli arsenali di morte sparsi in tutto il pianeta. Mettendo in pericolo, inoltre, non meno di 300.000 siciliani, esposti all’azione dei campi elettromagnetici con alto rischio per la salute: si temono leucemie e tumori agli organi genitali.
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Salvare il pianeta? Prima, salviamo il genere umano
È più facile rimettere in discussione i nostri sistemi di consumo piuttosto che quelli di produzione? Se nessuno più ignora l’ampiezza della crisi ambientale che l’umanità sta affrontando, la crisi di civiltà a cui questa si accompagna rimane poco conosciuta. Non si può tuttavia uscire dall’impotenza se non la si diagnostica e non se ne misura l’effettiva gravità. Il pianeta Terra, modo di dire per designare il nostro habitat naturale, peggiora a vista d’occhio, ne siamo largamente consapevoli e non c’è formazione politica che non includa, almeno nei suoi discorsi, la causa ecologica. Il pianeta Uomo, modo di dire per designare il genere umano, peggiora in maniera altrettanto allarmante, ma non si è consapevoli del livello di gravità raggiunto e non c’è formazione politica in grado non foss’altro di attribuire alla causa antropologica un’importanza pari a quella ecologica.
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Pallante: debito creato solo per drogare la crescita suicida
Meno e meglio: è l’unica soluzione, per uscire dalla spirale del debito. Che non è un incidente di percorso, tutt’altro: il debito è stato incoraggiato a tavolino per indurre i consumatori a comprare merci che non si sarebbero potuti permettere. Obiettivo: smaltire la marea di nuove merci prodotte a ritmo vorticoso da tecnologie industriali sempre più avanzate e diffuse in tutto il mondo grazie alla globalizzazione. Il debito serviva a questo: ad assorbire l’enorme valanga planetaria di merci, evitando una “crisi di sovrapproduzione”. Il peccato originale ha un nome sulla bocca di tutti: crescita. Non è la soluzione, è il problema: la crescita è cieca, perché si basa solo sulla quantità, trascurando di selezionare beni e servizi realmente utili. La crescita vive di sprechi e genera Pil inutile, gonfiato dalla droga pericolosa del debito.
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Moresco: ma le migrazioni sono la storia dell’uomo
C’erano anche ragazzi che battevano, pedofili pavesi che si aggiravano in piena notte in mezzo ai topi, alle macerie, alla merda. Io avevo conosciuto molti anni prima quel posto. Allora era la seconda fabbrica di Pavia, e io ho vissuto per alcuni anni in quella città, mandato lì dal mio gruppo rivoluzionario. Allora andavo ogni giorno davanti alla sua facciata e la conoscevo attraverso gli uomini e le donne che ci lavoravano dentro e che uscivano a fine turno dalle sue portinerie. Adesso, in un’età diversa della mia vita, penetravo all’incontrario dentro le sue viscere dove vivevano accampati, al posto degli operai di allora, i miserabili di questa nuova epoca