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Vaccinare ragazzi e nonni, o niente più esenzioni sul ticket?
Si chiama “vaccinazione universale”, e ha un sapore sinistramente orwelliano: negli Usa, prevede che siano immunizzati i neonati – ad appena 6 ore di vita – dal virus dell’epatite B, che si può contrarre solo per via sessuale o attraverso aghi infetti. «E’ pieno, infatti, di neonati che ad appena 6 ore dal parto vanno in giro a fare sesso o a iniettarsi eroina». Una garanzia: «I piccoli incorporano veleni che possono danneggiargli il cervello in modo anche irriversibile, non avendo ancora un sistema immunitario bilanciato». Massimo Mazzucco, ovvero: viaggio – virtuale, ma non troppo – nell’incubo che ha invaso di colpo la mente di milioni di italiani, dopo l’adozione del decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale. «Prima, dei 4 vaccini obbligatori non parlava nessuno», ricorda Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Poi, all’improvviso, le vaccinazioni divenute improvvisamente obbligatorie (in prima battuta addirittura 12, e senza alcuna emergenza sanitaria in corso) sono state recepite come un fatto fisiologico, quasi naturale, al quale semplicemente arrendersi». Fino al delirio che ora sembra contagiare lo stesso governo gialloverde: lungi dall’abrogare la filosofia della legge Lorenzin, il grillino Stefano Patuanelli sta lavorando a un decreto legge che, si dice, potrebbe anche sfociare in qualcosa di persino peggiore: per esempio, l’obbligo vaccinale esteso agli anziani, pena la perdita dell’esenzione dai ticket sanitari.Niente di ufficiale, per ora (solo voci allarmate) sul testo a cui Patuanelli sta lavorando, insieme ai leghisti Massmiliano Romeo e Sonia Fregolent. Secondo indiscrezioni, il decreto legge potrebbe «estendere l’obbligo vaccinale ad adolescenti e anziani, ed escludere dalle scuole i bambini e e gli adolescenti non vaccinati», riferisce Frabetti. Gli anziani inadempienti verrebbero privati dell’esenzione sul ticket sanitario e, se poveri, “condannati” a morire di malattia? «Tale aborto giuridico, ben peggiore del decreto Lorenzin, dovrebbe essere pronto a breve», si legge da più parti sul web. Unico organismo con potere di veto, la commissione sanità. Mostruosità legislative a parte, «si punta in ogni caso a una promozione dei vaccini per raggiungere la massima copertura vaccinale e si istituisce l’anagrafe vaccinale nazionale, in atto». Esagerazioni? «Che ci sia ormai una spinta a livello mondiale per arrivare alla vaccinazione globale, obbligando tutti a vaccinarsi, è ormai evidente», premette Massimo Mazzucco, nella video-chat settimanale “Mazzucco Live”, con Frabetti. «Una volta stabilito che puoi imporre un obbligo, dopo devi solo decidere quali penalità infliggere a chi non lo rispetta: il ticket, appunto, o magari il mancato rinnovo della patente di guida».Secondo il video-reporter milanese, autore di clamorose denunce (dall’11 Settembre alle cure alternative per il tumore, fino alle immagini manipolate dello “sbarco sulla Luna”), abbiamo varcato il Rubicone: «Nel momento in cui accetti il principio che si può obbligare una popolazione intera a inserire qualche sostanza nel proprio corpo, per legge, hai abbattuto una barriera enorme: dopo di quella hai davanti delle praterie, perché a quel punto puoi obbligare tutti a fare di tutto. Teoricamente domattina potresti obbligare tutti a mandar giù 4 aspirine, pena il divieto di prendere l’autobus. Volendo, teoricamente, puoi arrivare a tutto». Tra l’altro, aggiunge Mazzucco, «siamo di fronte a un muro di ignoranza mostruosa». Mazzucco consiglia a tutti la lettura del saggio “Il vaccino non è un’opinione”, opera di Roberto Burioni, il medico esaltato dei media come nemico numero uno dei “Free Vax”. Per avere un’idea di quello che il libro contiene, dice Mazzucco, basta leggere la quarta di copertina. Testualmente: “La Terra è tonda, la benzina è infiammabile, i vaccini non provocano l’autismo”. Punto. «Ecco fin dove è scesa l’informazione ufficiale, su un tema più che controverso come quello dei rischi connessi all’abuso vaccinale, citato da tantissime autorevoli fonti sanitarie, statistiche alla mano».Una verità emersa in modo catastrofico anche dal lavoro della commissione difesa: quattromila militari italiani gravemente malati, e mille già morti (per colpa dell’esposizione a materiali tossici ma anche a causa di vaccini somministrati senza precauzioni, in assenza di test per verificare le capacità di tolleranza dell’organismo). Ma, se uno dà a retta a Burioni, è come se la “strage silenziosa” dei soldati non esistesse proprio. «Questa è la posizione della scienza ufficiale», sottolinea Mazzucco. «Capite che, se non si fa niente, prima di tutto per dimostrare a livello scientifico i danni da vaccino, non si può eliminare il concetto dell’obbligo. E se non lo elimini per i bambini, il rischio resta anche per gli adulti». Vaccinazione universale? Estensione dell’obbligo a ragazzi e pensionati? «Che ci riescano o meno con questo Ddl non lo so – dice Mazzucco – ma è tragico che la spinta sia comunque in questa direzione, ormai è evidente. Dal momento in cui abbatti il muro dell’obbligo, e lo Stato può imporre al cittadino di inserire nel suo corpo quello che vogliono loro, a quel punto è solo questione di capire quali misure possono usare per obbligarti a farlo. Diventa un ricatto».Nel pianeta-vaccini, che prima del decreto Lorenzin era come se non ci fosse, è comparsa all’improvviso anche la problematica dei bambini immunodepressi, presentata come insormontabile. «La storia degli immunodepressi è ridicola di per sé», sostiene Mazzucco. «Sono circa 10.000 in tutta Italia, e tu per 10.000 bambini vai a vaccinare obbligatoriamente non so quanti milioni di bambini? C’è già una sproporzione pazzesca tra rischio e beneficio. Ma poi – aggiunge Mazzucco – non dicono che l’immunodepresso può essere colpito da qualunque virus, trasportato da qualunque persona. Quindi, se fosse vero che tu vuoi difendere gli immunodepressi, dovresti far vaccinare anche insegnanti, bidelli, inservienti, operatori delle mense. Come mai se ne sono dimenticati? Semplice: perché il loro “target” non era affatto la protezione dell’immunodepresso, ma solo di usare la scusa dell’immunodepresso per arrivare all’obbligo vaccinale. Perché infatti non vaccinare anche gli adulti che lavorano nella scuola? Nessuno sa rispondere a questa domanda».Gli stessi docenti hanno protestato, di fronte all’ipotesi di essere vaccinati a loro volta. «Già, chissà perché. Loro sanno “leggere e scrivere”: molto più delle mamme, spesso sprovvedute, che cascano nella propaganda del nostro amico Burioni». Era successa la stessa cosa negli Usa, ricorda Mazzucco, quando c’era stata la famosa crisi dell’influenza “suina”. «Volevano immunizzare anche gli operatori sanitari negli ospedali. E invece, medici e infermieri si sono ribellati: non volevano saperne, di vaccinarsi. Erano perfettamente al corrente del fatto che il vaccino comporta dei rischi». Lo conferma la rivista “Focus”, che già nel 2017 documenta la “renitenza” dei sanitari di fronte alla prospettiva di vaccinarsi. «Ma “Focus” parla solo dell’efficacia dei vaccini messa in dubbio dai medici, si guarda bene dall’ammettere che i medici evitano i vaccini perché ne hanno paura». E’ lo stesso motivo, aggiunge Mazzucco, per cui – secondo recenti sondaggi – il 70-80% degli oncologi non si sottoporrebbero mai alla chemioterapia, se fossero malati di cancro. «Ai loro pazienti la impongono, nei protocolli, insieme alla radioterapia. Ma loro non se la somministrano, chissà perché». Curioso, no? «Se la gente fosse un po’ più attenta a queste notizie, capirebbe molte più cose, e in molto meno tempo».Si chiama “vaccinazione universale”, e ha un sapore sinistramente orwelliano: negli Usa, prevede che siano immunizzati i neonati – ad appena 6 ore di vita – dal virus dell’epatite B, che si può contrarre solo per via sessuale o attraverso aghi infetti. «E’ pieno, infatti, di neonati che ad appena 6 ore dal parto vanno in giro a fare sesso o a iniettarsi eroina». Una garanzia: «I piccoli incorporano veleni che possono danneggiargli il cervello in modo anche irriversibile, non avendo ancora un sistema immunitario bilanciato». Massimo Mazzucco, ovvero: viaggio – virtuale, ma non troppo – nell’incubo che ha invaso di colpo la mente di milioni di italiani, dopo l’adozione del decreto Lorenzin sull’obbligo vaccinale. «Prima, dei 4 vaccini obbligatori non parlava nessuno», ricorda Fabio Frabetti di “Border Nights”. «Poi, all’improvviso, le vaccinazioni divenute improvvisamente obbligatorie (in prima battuta addirittura 12, e senza alcuna emergenza sanitaria in corso) sono state recepite come un fatto fisiologico, quasi naturale, al quale semplicemente arrendersi». Fino al delirio che ora sembra contagiare lo stesso governo gialloverde: lungi dall’abrogare la filosofia della legge Lorenzin, il grillino Stefano Patuanelli sta lavorando a un decreto legge che, si dice, potrebbe anche sfociare in qualcosa di persino peggiore: per esempio, l’obbligo vaccinale esteso agli anziani, pena la perdita dell’esenzione dai ticket sanitari.
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Foa in Rai: che succede quando un eretico sale al potere?
Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l’establishment se l’è già “comprato”: intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla “voce del padrone”, utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.C’è qualcosa di meta-politico, di profondamente eversivo, nella sola idea di aver pensato a un cavaliere solitario e coltissimo come Foa, giornalista di razza e gentiluomo, per la presidenza della televisione di Stato, vera e propria fabbrica del consenso, per decenni affidata il più delle volte a mani servili e mediocri. È antropologicamente eversiva, la figura del liberale Foa al vertice della Rai: è il bambino che non può fare a meno di svelare l’imbarazzante nudità del sovrano, del monarca che si gloria nel celebrare una pace apparente, mentre intorno infuria la peggiore delle guerre. La guerriglia di oggi, nella quale Marcello Foa si trova coinvolto – dopo aver dato la sua avventurosa disponibilità a quell’ipotesi democratica chiamata “governo gialloverde” – non è un conflitto come quelli che l’hanno preceduto: è un sordido massacro quotidiano perpetrato ovunque, senza frontiere, senza più neppure le bandiere di un tempo. È una guerra orwelliana, affidata a mercenari. Navi corsare, che combattono (per lo più in incognito) per conto di padroni potentissimi, protetti dall’anonimato. Non c’è più neppure il triste onore della battaglia: si viene sopraffatti in modo subdolo, sistematicamente sommersi da menzogne spacciate per verità di fede, che il sistema mediatico non si cura più di verificare. Ed è proprio per questo che l’attuale sistema mediatico italiano detesta, e teme, Marcello Foa.Ascoltando solo e sempre un’unica campana, il sistema mainstream ci ha raccontato in questi anni che le poderose, ciclopiche Torri Gemelle di Manhattan sono crollate su se stesse, come se fossero state di cartone anziché di acciaio, solo perché colpite – con una manovra proibitiva persino per i migliori “top gun” – da normalissimi e leggerissimi jet di linea fatti di alluminio, dirottati da apprendisti piloti arabi, di cui tuttora non si sa nulla: non un’immagine, al fatale imbarco, di nessuno dei 19 presunti dirottatori (salvo poi rintracciare i loro passaporti, nientemeno, nell’inferno fumante di Ground Zero). Finge di credere sempre e soltanto alla versione ufficiale, il mainstream media, anche quando dimentica di ricordare che furono gli Usa a incoraggiare Saddam Hussein a invadere il Kuwait, dopo averlo spinto a combattere contro l’Iran. Dà retta unicamente al super-governo universale, il club dei telegiornali, anche quando assicura che Saddam disponeva di micidiali armi di distruzione di massa. E tace, invece, quando l’Onu dimostra che quelle armi erano pura fantasia, come i gas siriani di Assad, le fosse comuni di Gheddafi, le violenze della polizia di Yanukovich in Ucraina. E poi applaude a reti unificate, la consorteria mediatica, quando in Italia appaiono i cosiddetti salvatori della patria – i Monti, i Cottarelli – armati del bisturi che useranno per amputare carne viva, risparmi e pensioni, economia italiana di aziende e famiglie, oscurando il futuro dei giovani.All’epoca in cui Marcello Foa lavorava al “Giornale” di Indro Montanelli, il mondo probabilmente appariva infinitamente più semplice – più chiaro, più visibile nei suoi errori e orrori: la guerra fredda, il Medio Oriente e gli sconquassi africani della decolonizzazione, la strategia della tensione organizzata per gambizzare l’Italia e impedirle di prendere il volo come autonoma potenza euromediterranea fondata sulla forza formidabile dell’economia mista, pubblico-privata. In quella redazione milanese, dove Foa è cresciuto professionalmente, su una parete c’era appesa una carta geografica di Israele che indicava come capitale Gerusalemme, già allora, anziché Tel Aviv. Se Enrico Berlinguer impiegò anni per ammettere che si sentiva più al sicuro sotto l’ombrello della Nato piuttosto che tra i carri armati del Patto di Varsavia, Marcello Foa e il suo maestro Montanelli non avevano mai avuto dubbi sul fatto che niente di buono potesse venire, per l’Occidente, da un’oligarchia sedicente comunista che aveva soppresso sul nascere i primi vagiti democratici della Russia, cambiando semplicemente look all’antico dispotismo zarista. L’eroico sacrificio dell’Unione Sovietica, decisivo nell’abbattere il nazifascismo, non poteva cancellare né i Gulag di Stalin né l’esilio di Aleksandr Solženicyn. Era fatto di certezze, il mondo di Foa e Montanelli: la libertà (inclusa quella d’impresa) come fondamento irrinunciabile di qualsiasi comunità civile degna di chiamarsi democratica.Ed è questo che rende Foa insopportabile al potere economico di oggi, dove la libertà d’impresa cede il passo al dominio di immensi oligopoli finanziari globalizzati, privilegiati da legislazioni truccate come quelle dell’Unione Europea ordoliberista. È tanto più sgradevole e insidioso, Foa, perché non proviene – come invece molti anchorman televisivi – dalla contestazione giovanile del capitalismo: credeva, Foa, negli stessi valori professati dall’élite economica di un tempo, orientata pur sempre alla promozione della mobilità sociale, in sostanziale accordo con le forze sindacali dell’allora sinistra. Una dialettica anche aspra, ma vocata in ogni caso al miglioramento complessivo del sistema-paese. E mediata – sempre – dalla politica, letteralmente scomparsa dai radar italiani per 25 lunghissimi anni. Solo oggi, alla distanza, ci si mette le mani tra i capelli nel rivedere il film dell’euforia generale con la quale i cittadini avevano accolto il Trattato di Maastricht e, dieci anni dopo, l’ingresso nell’Eurozona disegnata dalle banche e governata dalla Bce con modalità feudali, imperiali, senza la supervisione di alcun controllo democratico. Succedeva negli anni cui, con la caduta del Muro di Berlino benedetta da Gorbaciov, l’umanità si era illusa che il fantasma della guerra sarebbe stato semplicemente cancellato dalla storia del pianeta.Magari fosse un comune complottista, Marcello Foa: sarebbe più comodo liquidarlo, come velleitario chiacchierone. Chi oggi gli promette guerra, invece, sa benissimo che l’ex caporedattore del “Giornale”, nonché docente universitario, nonché feroce critico del sub-giornalismo odierno, è un vero e proprio disertore. Non era un eretico: lo è diventato negli ultimi anni, disgustato dallo spettacolo al quale è stato costretto ad assistere. Per questo, al di là del reale potere che gli conferisce la carica di presidente Rai, Marcello Foa rappresenta un vero pericolo, per i malintenzionati che oggi gli danno del traditore. Nell’Italia corporativa delle caste, ha osato “sparare” contro la sua – quella dei giornalisti – definendoli “stregoni della notizia”, bugiardi e omertosi spacciatori di “fake news” di regime. E non c’è niente di peggio, per i servi, che l’ex schiavo che si libera delle catene: la sua rivolta personale, intellettuale, suona umiliante per chi si ostina a raccontare che la Terra è piatta, e che è il Sole a orbitarle attorno.Chi l’avrebbe detto? Oggi l’Italia riesce incredibilmente a piazzare una persona autorevole, onesta e competente, alla guida della televisione pubblica. Marcello Foa non è infallibile: ma quando ha sbagliato – anche di recente, prendendo per buona la notizia di presunte istruzioni che il governo tedesco avrebbe impartito alla polizia, per enfatizzare il terrorismo “casereccio” targato Isis – non ha esitato ad ammetterlo, tempestivamente. Quanti, al suo posto, avrebbero avuto lo stesso coraggio? E ora, questo volto pulito del nostro giornalismo è alle prese con una sfida estremamente impegnativa. È davvero impossibile fare molta strada, in politica, se non si è almeno in parte ricattabili, e quindi controllabili, in quanto complici dell’apparato da cui si è stati promossi? Così almeno ebbe a dire un protagonista della vita pubblica italiana come Giuliano Ferrara. Qualcuno – sincero o meno – obietterà che questa regola non vale necessariamente per tutti. Ma è sicuro che, una volta entrati in cabina di regia, le proprie virtù possono trasformarsi in problemi: in un ambiente non esattamente cristallino, le qualità naturali dell’eretico diventano un’enorme seccatura, se non un ostacolo da rimuovere prima che possa mettere in pericolo la sopravvivenza del sistema stesso.Questa è la sfida di Marcello Foa, nella quale è in gioco l’Italia intera: restare fedeli alla propria coscienza significa contribuire a riaccendere la luce sulle notizie. Senza un’informazione trasparente, lo sappiamo, non c’è neppure vera democrazia. Lo sostiene con vigore, Marcello Foa, che resta innanzitutto un uomo leale e garbato – anche quando si permette di dissentire in modo netto sull’operato del presidente della Repubblica: chi oggi lo accusa di aver addirittura insolentito Sergio Mattarella, dopo la bocciatura di Paolo Savona al ministero dell’economia, più che il prestigio del capo dello Stato sembra aver a cuore la disciplina sociale dell’ossequio, da imporre al popolo nei confronti di chiunque rivesta funzioni di potere. Non è questa la democrazia per la quale il giovane liberale Foa tifava, quando polemizzava con quel comunismo da cui provengono moltissimi dei suoi attuali, smemorati detrattori. Non sappiamo come si svilupperà, la sua avventura negli uffici della Rai. Ma sappiamo che – contro ogni previsione – è tornata sotto i riflettori, in Italia, un’antropologia che si credeva estinta. Quella delle persone per bene, a cui il governo in carica affida addirittura la guida della televisione.(Giorgio Cattaneo, “Marcello Foa alla guida della Rai: che succede quando un eretico sale al potere?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 27 settembre 201).Che succede, quando il mondo si capovolge e un eretico sale al potere? In Italia, di solito, se un outsider assoluto conquista una poltrona significa che non è più un vero outsider, perché l’establishment se l’è già “comprato”: intende usarlo per drenare il dissenso, facendo sfogare in modo innocuo e illusorio il malcontento di cui era stato la voce. I posti di comando, in genere, sono pieni di ex rivoluzionari ben remunerati, arruolati per la peggiore delle missioni: rinnegare di fatto la propria storia, i propri ideali, e riallineare il pubblico alla “voce del padrone”, utilizzando il prestigio di quella che, un tempo, era stata una voce diversa, apprezzata proprio perché libera e indipendente, e quindi scomoda. Solo in casi rarissimi un vero eretico può raggiungere il ponte di comando rimanendo se stesso. Come accorgersene? Semplice: basta vedere che tipo di accoglienza gli viene riservata. Ed è il caso della nomina di Marcello Foa, nuovo presidente della Rai: i grandi media, in coro, lo accolgono nella migliore delle ipotesi con freddezza, come se si trattasse di un intruso molesto e sgradevole, un oscuro alieno anziché un illustre collega, mentre le macerie della vecchia politica – rottamata dagli italiani il 4 marzo 2018 – descrivono il neo-eletto come una specie di teppista, di impudente cialtrone. In questo, ricordano da vicino il sovrano disprezzo che i dittatori mostrano sempre per il loro popolo in rivolta, un minuto prima di essere defenestrati dalla storia.
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Magaldi: Renzi riposi in pace, il progressista oggi è Salvini
«I progressisti devono capire la gente: il mondo va verso situazioni molto dure e le persone chiedono, giustamente, protezione. Invece, sino ad oggi, il Pd ha trattato le persone che hanno paura come se fossero imbecilli». Viva la sincerità, anche se fuori tempo massimo. Suonano comunque lucide, finalmente, le parole dell’ex manager Ferrari e poi ministro post-renziano Carlo Calenda, nipote di Luigi Comencini, approdato al Pd dopo l’esordio politico prima con Montezemolo e poi con Monti. «Dobbiamo dar vita ad un progetto con nuove parole», dice Calenda a “Otto e mezzo”: «Ma pretendere questo dal Pd – ammette – non è possibile». Tra le macerie elettorali dell’ex centrosinistra, forse anche Calenda pensa al “partito che serve all’Italia”, su cui il Movimento Roosevelt si confronterà il 14 luglio a Roma con politologi e sociologi. Tra gli invitati anche il sindaco milanese Beppe Sala e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti. A Matteo Renzi, che in un tweet dopo il disastro dei ballottaggi alle amministrative prova a gettare la croce sul povero Martina («con tutto il rispetto, nel Pd manca una leadership: per questo mi riprendo la guida del partito»), Zingaretti risponde a stretto giro: troppo tardi, «un ciclo storico si è chiuso». Tradotto: abbiamo sbagliato tutto, Renzi in primis. Primo errore, capitale: il Pd ha preso per cretini gli italiani spaventati dalla crisi. «Salvini invece li ha saputi ascoltare», dice Calenda, «e questo è il suo grande merito». Infatti, per Gioele Magaldi, il vero progressista sulla scena, oggi, è proprio il leader della Lega.