Archivio del Tag ‘industria’
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Millennials docili, non più ribelli: e addio anche alla moto
Ci sono notizie che passano subito in cavalleria come il gossip dei rotocalchi, l’oroscopo settimanale o la rubrica “strano, ma vero” della “Settimana Enigmistica”. Eppure, quando riguardano tutti noi, alcune curiosità estive andrebbero analizzate e soppesate di più. E’ questo il caso delle industrie americane messe in crisi dalle abitudini dei Millennials, ovvero dai ragazzi nati dagli anni ‘80 ai Duemila e che hanno appena cominciato a consumare massicciamente. Questa nuova generazione è ovviamente destinata a sostituire quella attuale e, secondo diversi studi, i Millenials registrano abitudini del tutto inedite per il settore industriale, che si dovrà giocoforza riconvertire per evitare il fallimento. Ma non si tratta solo di mode consumistiche, almeno non in un paio di casi. Partiamo da quelli più banali. Secondo la ricerca, gli adolescenti spesso saltano la colazione e, quando la fanno, non mangiano più latte e cereali. Questa nuova modalità costringerà aziende comme Kellog’s a rivedere le proprie scelte strategiche e di marketing. Stesso dicasi per l’uso di uvetta, a quanto pare in caduta libera a causa degli zuccheri in essa contenuti.Sorprende anche il calo di consumo di birra da parte dei più giovani, anche se in questo caso occorre fare qualche distinguo. A quanto pare, infatti, il calo riguarda le birre tradizionali, quelle prodotte industrialmente tipo Heineken, mentre sarebbero in netta ascesa le birre artigianali. In crisi anche i grandi magazzini e i centri commerciali, e la causa qui è facilmente individuabile nell’uso dei siti di e-commerce come Amazon, a danno dei vari Coin e Rinascente. Tutte le abitudini appena elencate, tuttavia, potrebbero anche rientrare velocemente, come accadde per i ristoranti cinesi 20 anni or sono o per Hello Kitty, che fino a 10 anni fa sembrava dovesse sostituire il presidente della Repubblica (e chissà…). Ciò che dovrebbe far riflettere maggiormente, invece, sono altre abitudini praticate dalla nuova generazione che dovrebbero preoccuparci, o quanto meno confermare segni di declino. Ne propongo due: il calo della ristorazione tradizionale e quello della vendita di motociclette. Nel primo caso, è evidente che i Millenials si stanno sempre più rivolgendo alla ristorazione low cost standardizzata; quella dei fast food, per intenderci. Non vanno demonizzati, per carità, ma quando vengono preferiti in toto alla spaghetteria e alla pizzeria ciò può significare una cosa sola: meglio mangiare in piedi un po’ di merda che del cibo decente, seppure seduti con accanto dei bambini.Spiace fare del moralismo, ma il dato non può che rivelare questo. Se tra qualche decade ci saranno solo ristoranti di lusso con l’offerta di cibo “fusion” oppure, a contrasto, lo “Spicchio Fast and Furious”, ciò significherà anche un forte ridimensionamento del numero delle famiglie in linea con la scomparsa dei ristoranti tradizionali di fascia media. Ma ciò che mi ha fatto balzare sulla sedia è stato il calo dell’acquisto di motociclette. Con tutto ciò che gira attorno al mondo degli sponsor, la MotoGp e i fighettoni vari, mi è sembrato un dato errato; anzi, fuorviante. Eppure una sua logica, purtroppo, ce l’ha. Da quando esiste, la moto è stata – più che una comodità – un simbolo di ribellione e di trasgressione. Un affronto polemico verso i genitori preoccupati che i figli indossassero la maglia di lana. La moto è un oggetto per il viaggio, l’avventura e l’emancipazione. Spiace dirlo, perchè hanno molte altre qualità, ma di ribellione ed emancipazione ne avremo invece tutti tanto bisogno, e i Millenials ne sembrano completamente sprovvisti.(Massimo Bordin, “I millennials non si fanno la moto”, da “Micidial” del 20 luglio 2019).Ci sono notizie che passano subito in cavalleria come il gossip dei rotocalchi, l’oroscopo settimanale o la rubrica “strano, ma vero” della “Settimana Enigmistica”. Eppure, quando riguardano tutti noi, alcune curiosità estive andrebbero analizzate e soppesate di più. E’ questo il caso delle industrie americane messe in crisi dalle abitudini dei Millennials, ovvero dai ragazzi nati dagli anni ‘80 ai Duemila e che hanno appena cominciato a consumare massicciamente. Questa nuova generazione è ovviamente destinata a sostituire quella attuale e, secondo diversi studi, i Millenials registrano abitudini del tutto inedite per il settore industriale, che si dovrà giocoforza riconvertire per evitare il fallimento. Ma non si tratta solo di mode consumistiche, almeno non in un paio di casi. Partiamo da quelli più banali. Secondo la ricerca, gli adolescenti spesso saltano la colazione e, quando la fanno, non mangiano più latte e cereali. Questa nuova modalità costringerà aziende comme Kellog’s a rivedere le proprie scelte strategiche e di marketing. Stesso dicasi per l’uso di uvetta, a quanto pare in caduta libera a causa degli zuccheri in essa contenuti.
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Borrelli: che disastro, dopo Mani Pulite (che risparmiò il Pci)
Rispetto di fronte alla morte, ma anche un sereno giudizio (severo, nel caso) su un personaggio pubblico che ha contribuito a sconvolgere la storia del paese. Gianluigi Da Rold si riferisce a Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite. Probabilmente, scrive Da Rold sul “Sussidiario”, la popolarità di Mani Pulite è sempre alta. Eppure, rispetto ai risultati ottenuti «con l’abbattimento della Prima Repubblica e l’avvento di altre ipotetiche repubbliche variamente numerate», si nota qualche ripensamento e anche qualche critica. «Quando nel 1992 iniziò Tangentopoli chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e gli eccessi, nella certezza che la mannaia avrebbe colpito indistintamente a destra quanto a sinistra», ha detto Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”. «Poi a un certo punto – ha ammesso – ci siamo accorti che alcuni erano stati risparmiati o avevano ricevuto un trattamento di riguardo, creandosi una situazione di disparità francamente imbarazzante: chi in galera e chi al potere». Più impressionante quella sorta di “pentimento” che lo stesso Borrelli consegnò a Marco Damilano, oggi direttore dell’“Espresso”, vent’anni dopo l’esplosione della grande inchiesta: abbiamo combinato un bel guaio, ammise il magistrato.Nel saggio “Eutanasia di un potere”, edito da Laterza nel 2013, Borrelli dice a Damilano: «Se fossi un uomo pubblico di qualche paese asiatico, dove è costume chiedere scusa per i propri sbagli, chiederei scusa per il disastro seguito a Mani pulite». E aggiunge: «Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale». Nel libro citato, annota Da Rold, il pensiero di Borrelli viene riproposto un altro paio di volte, «e probabilmente offre la misura della delusione provata anche dal capo del pool di fronte alla parabola politica che parte con Berlusconi, passa dai comprimari del “nuovismo” di sinistra per poi approdare a “Giggino”, “Dibba” e al “Capitano”». Pesa la pochezza culturale dei nuovi leader, peraltro inaugurata da Berlusconi col suo partito-azienda e seguita a ruota dall’altrettanto personalistico Renzi, fino ad arrivare alla “caserma” pentastellata. Fu comunque Berlusconi – poi vittima a sua volta delle “toghe rosse” – il primo ad approfittare dello tsunami di Tangentopoli: tutti ricordano le dirette non-stop di Emilio Fede, con Paolo Brosio in pianta stabile davanti al palagiustizia milanese, ad applaudire i giustizieri. Il resto è cronaca, lo si sconta da trent’anni ma molti se ne accorgono solo oggi: Mani Pulite sguarnì il Belpaese di fronte all’offensiva dei superpoteri europei – industriali e finanziari – che fecero dell’Italia un sol boccone, dal Trattato di Maastricht in poi.In Borrelli e nel suo vitalissimo e popolarissimo pool – scrive Da Rold – c’era purtroppo «il vecchio spirito inquisitorio che l’Italia non vuole abbandonare». In più «c’era, in quei tempi, un’intesa tra magistratura inquirente e mass media che portò molti giornalisti quasi al “disgusto”, alle dimissioni di fronte a certe carte che passavano da una mano all’altra e a certe rivelazioni clamorose ed esclusive». Il 14 luglio 1994, ricorda Da Rold, sugli schermi televisivi apparvero i Pm del pool per affossare il cosiddetto decreto Conso, che tentava di porre un argine all’improvvisa esuberanza di una magistratura per mezzo secolo s’era ben guardata dal “vedere” gli illeciti amministrativi della politica. «Un simile spettacolo di invadenza giudiziaria nella vita politica non sarebbe immaginabile neppure oggi, nemmeno nella piuttosto sgangherata vecchia Gran Bretagna in preda alla Brexit», scrive Da Rold. Da noi, invece, «naturalmente vinsero i “pm” che avrebbero “pulito” l’Italia». Ma quello che più stupisce, aggiunge l’analista, è l’ipocrisia: tutti sapevano che il finanziamento pubblico ai partiti era stato illecito fin dal 1946. «Dati alla mano, si è dimostrato che tutti i bilanci firmati dai presidenti delle Camere, sin dal 1946, erano falsi e che nessun politico e nessun magistrato aveva mai sollevato obiezioni, tranne poi scatenare la “grande lotta alla corruzione”».Inoltre, aggiunge Da Rold, il “nuovismo” politico si è pure rifiutato di creare su Tangentopoli commissione d’inchiesta – doverosa, almeno da quello che appariva. Ora ci risiamo, con le bufale velenose del Russiagate salviniano? Dato che siamo in tema di “Russopoli”, Da Rold ricorda Stephane Courtois, autore de “Il libro nero del comunismo”, che scrive: «L’assordante silenzio che ha accompagnato in Italia le rivelazioni sulla dimensione criminale di quasi un secolo di comunismo, cioè sugli 85 milioni di morti ammazzati, non è nulla rispetto al silenzio, come dire?, rimbombante che è stato steso su quello che riguardava la ‘question financière’, cioè l’oro di Mosca». Alla vigilia della guerra di Corea, nel 1950 – riassume Da Rold – Stalin dava incarico all’armeno Vagan Grigorian di costituire un fondo per finanziare sistematicamente i partiti comunisti di opposizione in Occidente. Il nome che fu stabilito era questo: “Fondo sindacale di assistenza alle organizzazioni operaie di sinistra”. Cose vecchie? Mica tanto: secondo i calcoli di Courtois, sino alla caduta del Muro di Berlino, il Pci – sotto varie forme – intascò il 25% per cento dei finanziamenti di Mosca «anche dopo Stalin, dopo Kruscev, dopo Breznev e dopo le “ultime mummie” del Cremlino». Totale: mille miliardi di vecchie lire. E i magistrati, Borrelli e colleghi? «Non si è mai capito – conclude Da Rold – perché ancora alla fine degli anni Settanta, e forse anche dopo, il Pci avesse a disposizione sulla Bank of Cyprus di Londra il conto numero 100203939/560. Erano archiviate tutte queste possibili inchieste? Forse Borrelli e i suoi “ragazzi” se ne erano dimenticati».Rispetto di fronte alla morte, ma anche un sereno giudizio (severo, nel caso) su un personaggio pubblico che ha contribuito a sconvolgere la storia del paese. Gianluigi Da Rold si riferisce a Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite. Probabilmente, scrive Da Rold sul “Sussidiario”, la popolarità di Mani Pulite è sempre alta. Eppure, rispetto ai risultati ottenuti «con l’abbattimento della Prima Repubblica e l’avvento di altre ipotetiche repubbliche variamente numerate», si nota qualche ripensamento e anche qualche critica. «Quando nel 1992 iniziò Tangentopoli chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e gli eccessi, nella certezza che la mannaia avrebbe colpito indistintamente a destra quanto a sinistra», ha detto Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”. «Poi a un certo punto – ha ammesso – ci siamo accorti che alcuni erano stati risparmiati o avevano ricevuto un trattamento di riguardo, creandosi una situazione di disparità francamente imbarazzante: chi in galera e chi al potere». Più impressionante quella sorta di “pentimento” che lo stesso Borrelli consegnò a Marco Damilano, oggi direttore dell’“Espresso”, vent’anni dopo l’esplosione della grande inchiesta: abbiamo combinato un bel guaio, ammise il magistrato.
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Rinaldi fuori onda: cialtroni, hanno impiccato l’Italia all’euro
Questi ci hanno veramente incastrato di brutto. Ormai siamo in una situazione tale per cui o si esce… ma non è più possibile recuperare nulla. Si poteva recuperare forse 10, 15 anni anni fa. Ormai, mi dispiace, i tedeschi hanno di fatto vinto la Terza Guerra Mondiale senza neanche sparare un colpo di cerbottana. Parliamoci chiaro: questo è quello che è avvenuto – e soprattutto, con la stupidità dei personaggi che ci hanno guidato: non hanno fatto gli interessi del paese, erano ubriacati di questo europeismo. Anch’io sono un europeista, però attenzione: un conto è l’Europa, e un conto è l’unione monetaria. Sono due concetti molto diversi. Nell’Unione Europea coesistono nazioni con l’euro e nazioni senza euro. Lo prevedono gli articoli 139 e 140 del Trattato di Lisbona (paesi con deroga e paesi senza deroga). Guardiamo la Polonia: parliamoci chiaro, sta prendendo il posto industriale dell’Italia. E continua ad avere il suo zloty, che ha svalutato ripetutamente. Quando l’Electrolux ha detto “signori, se non svalutare i salari me ne vado in Polonia”, l’ha fatto perché la Polonia fa parte dell’Unione Europea, quindi ha tutti i vantaggi del mercato unico, però ha mantenuto la propria moneta, che le consente di avere quel margine di manovra per poter essere competitiva (cosa che a noi è preclusa completamente).Soprattutto, i polacchi possono portare avanti delle iniziative di politica economica tarate perfettamente per la loro economia. Noi no: a noi c’hanno veramente incastrato. Noi abbiamo il cappio al collo, non possiamo più far nulla. In Italia ci siano i famosi europeisti, che poi alla fine sono i veri antieuropeisti, perché sono quelli che alla fine condanneranno l’Europa, per questa cecità. Sono quelli che dicono: ah, ma il modello da seguire è quello tedesco. Ed è lì che sbagliano. Il modello tedesco va bene per i tedeschi, non per noi. Non tutti nascono alti, biondi e con gli occhi azzurri. Se va bene per loro, non va bene per noi. E questi non l’hanno capito, erano ubriacati. Ciampi diceva: entriamo in Europa a tutti i costi. E non ha capito che ci saremmo fregati con le nostre mani. Lo stesso Prodi, e lo stesso Amato. Diciamocela, la verità: questi non avevano capito niente – o se avevano capito sono ancora più colpevoli, per quello che hanno fatto. I casi sono due. Questo non significa condannare per sempre il popolo italiano, con la sua cultura e la sua storia. Io mi rifiuto, veramente, di essere annientato. Ma lo faccio per rispetto dei miei padri e per rispetto dei miei figli.Tsipras in Grecia è stato ricattato? Sicuramente, dietro ci sono delle cose che non sappiamo e forse sapremo chissà quando. E’ quantomai strano il fatto che tutta la sua campagna elettorale sia stata orientata sul no all’austerity, e poi invece è andato a firmare un accordo che è praticamente il distillato dell’austerity. Pure Varoufakis se n’è andato: evidentemente lì c’è stato qualche grossissimo contrasto interno. La situazione in Grecia è veramente drammatica, nel vero senso della parola. La Grecia è stata un po’ un esperimento. Prima hanno fatto l’esperimentino a Cipro, poi l’esperimento in Grecia, e poi? Diciamocela tutta: ma se questi cialtroni dell’Unione Europea non sono riusciti a gestire la situazione di un paese che esprime il 2% del Pil dell’Europa, che cosa riusciranno a non-fare quando ci saranno problemi (che ci saranno) in paesi come l’Italia, la Francia, la Spagna? Viene già tutto. Questa gente è veramente uno zero. O c’è dietro quello della Spectre, che decide…Questi sono dei pupazzi: l’attuale presidente della Commissione Europea, l’ex primo ministro lussemburgese Juncker, non mi sembra un’aquila. Pure lui è un pupazzo? Molto probabilmente lo è: questi mettono, a ricoprire dei ruoli, delle persone assolutamente non in grado di poter gestire. Li mettono proprio per questo? Difatti Varoufakis, un negoziatore vero, in Grecia ha gettato la spugna. E non scordiamoci che dietro a Varoufakis c’era Galbraith, non l’ultimo arrivato. C’era il famoso Piano-B, che poi è uscito. Chissà cos’è successo dopo, che ricatti. Non lo sappiamo, ma prima o poi uscirà fuori tutto. Una cosa è certa: attualmente, la conduzione dell’Unione Europea è insostenibile. L’euro è insostenibile. Arriverà il momento del redde rationem. Siamo preparati? Ce l’abbiamo, un Piano-B per un’uscita ordinata e concordata? Perché altrimenti è una carneficina, un bagno di sangue. Questo è il vero problema: la nostra classe politica è in grado di capirlo? La Banca d’Italia ha predisposto un Piano-B?Guardate che quando ci fu la rottura dell’accordo di Bretton Wood del 15 agosto 1971 (la non convertibilità del dollaro, lo sganciamento della moneta Usa) c’era, un Piano-B: l’avevano predisposto, e il passaggio è stato abbastanza morbido. Senza, sarebbe stato peggio. Per l’esperimento dell’euro, la Banca d’Italia e le istituzioni hanno un Piano-B? Me lo auguro. Perché, se non ce l’hanno, sono veramente irresponsabili. Ai politici dico: ci state pensando? Lo volete rimettere al centro dell’interesse, questo benedetto cittadino? Perché l’Europa sta facendo di tutto, tranne questo. Vediamo che succesde. Sennò, l’ultima speranza si chiama Francia: andranno in piazza, non guarderanno il colore della maglietta (come hanno sempre fatto), e dopo qualche giorno, se non interrompono Internet, in piazza andremo anche noi – e ci scorderemo di essere di destra o di sinistra, ma saremo solo cittadini a cui è stato scippato il proprio diritto al voto e la propria democrazia, è stato scippato tutto.(Antonio Maria Rinaldi, “fuori onda” con Claudio Messora risalente al 30 settembre 2015, quando Rinaldi, economista post-keynesiano, non era ancora stato eletto al Parlamento Europeo, come candidato indipendente nelle liste della Lega. Il video è rilanciato su “ByoBlu” e su YouTube).Questi ci hanno veramente incastrato di brutto. Ormai siamo in una situazione tale per cui o si esce… ma non è più possibile recuperare nulla. Si poteva recuperare forse 10, 15 anni anni fa. Ormai, mi dispiace, i tedeschi hanno di fatto vinto la Terza Guerra Mondiale senza neanche sparare un colpo di cerbottana. Parliamoci chiaro: questo è quello che è avvenuto – e soprattutto, con la stupidità dei personaggi che ci hanno guidato: non hanno fatto gli interessi del paese, erano ubriacati di questo europeismo. Anch’io sono un europeista, però attenzione: un conto è l’Europa, e un conto è l’unione monetaria. Sono due concetti molto diversi. Nell’Unione Europea coesistono nazioni con l’euro e nazioni senza euro. Lo prevedono gli articoli 139 e 140 del Trattato di Lisbona (paesi con deroga e paesi senza deroga). Guardiamo la Polonia: parliamoci chiaro, sta prendendo il posto industriale dell’Italia. E continua ad avere il suo zloty, che ha svalutato ripetutamente. Quando l’Electrolux ha detto “signori, se non svalutare i salari me ne vado in Polonia”, l’ha fatto perché la Polonia fa parte dell’Unione Europea, quindi ha tutti i vantaggi del mercato unico, però ha mantenuto la propria moneta, che le consente di avere quel margine di manovra per poter essere competitiva (cosa che a noi è preclusa completamente).
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Yahvè SpA: chi domina il mondo, oltre la geopolitica visibile
Data fatidica, il 14 luglio: nel 1789 a Parigi veniva assaltata la Bastiglia, evento culminante della Rivoluzione Francese che segnò la fine dell’Ancien Régime, il sistema plurisecolare dell’assolutismo monarchico. Solo tre anni fa, invece – ma sempre in Francia, e sempre il 14 luglio – il killer franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhle faceva strage a Nizza col suo camion, travolgendo i passanti sulla Promenade des Anglais: 86 morti e 302 feriti. Ovviamente l’attenatatore era già stato segnalato alla polizia, come poco di buono. E ovviamente nessuno aveva pensato di controllare e sgomberare quel camion bianco, fermo da giorni sul lungomare divenuto “off limits” in vista della festa nazionale francese. E ancora: l’assassino – prima di essere freddato dalle forze dell’ordine, come d’abitudine, prima che potesse parlare – aveva anche avuto cura di lasciare a disposizione dei poliziotti i suoi documenti, ben in vista nell’abitacolo del veicolo. Un caso da manuale, secondo Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”: un messaggio intimidatorio rivolto alla massoneria progressista, che considera proprio il 14 luglio la prima pietra miliare verso la conquista della democrazia, almeno in Occidente.Fu l’Isis a rivendicare la strage di Nizza, ma le menti dello Stato Islamico sono altrove: Abu Bakr Al-Bahdadi, il sedicente Califfo, secondo Magaldi è affiliato alla superloggia “Hathor Pentalpha”, dominata dai Bush e responsabile del super-attentato del terzo millennio, quello dell’11 Settembre, comodamente attribuito al “barbaro jihadista” Bin Laden, in realtà massone, affiliato anch’esso alla medesima Ur-Lodge. La “Hathor Pentalpha”, sorta all’inizio degli anni ‘80 per volere di Bush padre, appena battuto da Reagan alle primarie repubblicane, raccolse il gotha dei golpisti del Pnac, il Piano per il Nuovo Secolo Americano: George W. Bush e suo fratello Jeb Bush, Dick Cheney e Donald Rumsfeld, Paul Wolfowitz e la stessa Condoleezza Rice. Oltre a Bin Laden (Al-Qaeda) e Al-Baghdadi (Isis), la “Hathor” avrebbe reclutato un ideologo come Samuel Huntington (“La crisi della democrazia”), insieme a Donald e Robert Kagan, Douglas Freith, Irving e William Kristol, Dan Quayle. Con loro Richard Perle, Karl Rove, Bill Bennett e il politologo Michael Leeden. Una rete trasversale, con affiliati in Medio Oriente: Oman, Bahrein, Qatar, Arabia Saudita e persino Iran (tra gli iraniani coinvolti, l’ex presidente Hashemi Rafsanjani).Obiettivo: destabilizzare ferocemente il pianeta, creando a tavolino il presunto “scontro di civiltà” tra Occidente e mondo arabo. Punta di lancia dell’operazione: Israele (era il premier Ariel Sharon l’uomo della “Hathor” a Tel Aviv). Ma arabi e israeliani non dovevano essere acerrimi nemici, anziché compagni di merende e di avventure anche terroristiche? Certo, ma solo in teoria, spiega Magaldi: in realtà sono tutti massoni, nella cabina di regia. E la vera geopolitica – al di là della narrazione dei media – passa per i circoli come la “Hathor”, incarnazione infernale dell’ala più reazionaria della supermassoneria occulta, apolide e sovranazionale. Convergenze insospettabili: dirigenti sauditi in riunione con Sharon e col presidente turco, il “fratello” Recep Tayyip Erdogan, insieme a un bel po’ di potenti europei: l’ex cancelliere tedesco Gehard Schröder, l’allora primo ministro spagnolo José Maria Aznar, l’intramontabile Tony Blair, il polacco Aleksander Kwasniewski e il francese Nicolas Sarkozy – più un paio di italiani: l’allora presidente del Senato, Marcello Pera, nonché Antonio Martino, all’epoca ministro berlusconiano e già segretario della Mont Pelerin Society, vero e proprio tempio ideologico dell’ultra-destra economica europea, culla dell’oligarchia neoaristocratica che ha incubato, progettatto e imposto l’austerity per infliggere la camicia di forza a paesi come l’Italia, alle prese con la nascente globalizzazione.Il primo a parlarne in termini espliciti è stato Paolo Barnard, nel saggio “Il più grande crimine”, uscito prima ancora della crisi italiana del 2011. La tesi: si trattava, semplicemente, di cancellare la memoria della Presa del Bastiglia. Il mitico 14 luglio? Un incidente della storia: aprì l’Europa a qualcosa di mai prima sperimentato – la democrazia – spalancando le porte alla modernità del futuro: Stato di diritto, suffragio universale. Traduzione euro-atlantica successiva: economia sociale, conquiste civili e diritti del lavoro. Bene, tutto questo doveva finire. E in modo drammatico: col terrorismo stragista della strategia della tensione (Al-Qaeda, Isis) o col terrorismo finanziario (rigore europeo). Per volere di chi? Dei soliti noti, gli antichi baroni. O meglio: di quella che un tempo costuitiva il nerbo dell’Ancient Régime, cioè l’aristocrazia feudale più parassitaria. Le era toccato finire sfrattata dal potere (politico) dal 14 luglio in poi? Niente paura: si è ripresa tutto, e con gli interessi, mantenendo le grandi leve della finanza. Ha finanziarizzato l’economia e ridotto gli Stati in bolletta, senza più sovranità monetaria. Il gioco perfetto dei leggendari Rothschild, padroni d’Europa (e di un pezzo d’America) da tre secoli questa parte.Nei suoi libri, un ricercatore come Pietro Ratto ricostruisce il ruolo di casati ebraici come quello dei Warburg, in realtà di origine veneta, poi soci in affari con i Rothschild – di cui sempre Ratto prova anche l’apparentamento coi Rockefeller, mediante matrimoni strategici. Dettaglio inquietante: furono i grandi finanzieri ebrei a sovvenzionare Hitler all’alba della sua tragica epopea. Non solo: è stato accertato che proprio il Terzo Reich – al suo esordio – fu un poderoso sponsor occulto del sionismo, favorendo l’espatrio degli ebrei tedeschi verso la Palestina e finanziando il primo colonialismo ebraico in Terrasanta. Scioccante? Quasi quanto il libro “L’altra Europa”, pubblicato dal vicentino Paolo Rumor, nipote del più volte primo ministro democristiano Mariano Rumor. Durante la Seconda Guerra Mondiale, il padre dell’autore – Giacomo Rumor – agiva come 007 per conto di monsignor Montini, futuro Paolo VI, allora responsabile dell’intelligence vaticana. Gli Alleati già sapevano che avrebbero vinto, e volevano progettare in anticipo l’Europa del dopoguerra. Fin qui, tutto bene: logico che gli Usa si rivolgessero al Papa, visto che l’Italia era ancora in mano a Mussolini, e che l’antifascismo era largamente comunista. Ma un giorno l’esoterista francese Maurice Schumann, gollista e interlocutore di Rumor, svelò al cattolico italiano chi c’era veramente, dietro al piano: la Struttura. Una cupola esclusiva, ininterrottamente al potere, nel mondo, da quasi 12.000 anni.Follia? Non secondo l’archeologo Loris Bagnara, che ha verificato sul campo: le indicazioni di Rumor (cioè di Schumann) corrispondono in modo impressionante con la geografia e la toponomastica dei luoghi dove si sarebbe costituito quell’antico potere, nato in Mesopotamia e poi trasferitosi nell’Egitto dei faraoni prima di approdare in Palestina e quindi nel Mediterraneo fenicio e poi greco-romano. L’eminente politoligo Giorgio Galli, autore della prefazione del libro di Rumor, conferma: i nomi citati dal dossier-Schumann sono perfettamente coerenti con la mappa del vero potere, anche di quello euro-atlantico del Novecento. Politici, industriali e finanzieri: tutti esoteristi, vincolati al reciproco segreto sull’origine della Struttura, sostanzialmente iniziatica, risalente – a loro dire – attorno al 9.500 avanti Cristo, tra le rive del Tigri e quelle dell’Eufrate, cioè dove Zecharia Sitchin attribuisce agli Anunnaki, i misteriosi Figli delle Stelle, la “fabbricazione” dell’homo sapiens nella versione poi narrata dai Sumeri. Di quella storia – avverte Mauro Biglino, già traduttore ufficiale delle Edizioni San Paolo – la Bibbia non è che la fotocopia: la Genesi descrive la nascita di Eva mediante clonazione genetica, proprio come la pecora Dolly, ad opera degli Elohim come Yahvè, cioè i Figli delle Stelle palestinesi.Autore di culto in Italia, pubblicato anche da Mondadori (trecentomila copie vendute), a Biglino nessuno contesta la riscoperta letterale della Bibbia: l’interpretazione teologico-spiritualista del testo si rivela completamente infondata (Yahvè non era “Dio”, ma solo uno dei tanti Elohim citati). Semmai, la Bibbia – ammesso sia attendibile, visto che è stata riscritta ininterrottamente fino al medioevo – propone un’altra storia: la nascita dell’umanità attuale, così improvvisamente evoluta, sarebbe opera dell’ibridazione genetica dei Figli delle Stelle, che avrebbero immesso il loro Dna in quello dei primitivi ominidi. Biglino è rispettato anche ad Harvard, dove alla facoltà di medicina si raccomandano i suoi libri. E sulla sua ipotesi stanno convergendo decine di scienziati, che lo hanno messo a capo di un progetto di ricerca senza precedenti: studi interdisciplinari, anche archeologici, per verificare quel che la Bibbia racconta, alla lettera. E le religioni monoteiste? La prima, l’ebraismo, secondo Biglino sarebbe nata attorno al VI secolo avanti Cristo, quando Yahvè sparì di colpo, in seguito all’avvento dei babilonesi che sottomisero gli ebrei. Da allora, dice lo studioso, ad assumere la leadership del popolo ebraico furono i sacerdoti, cioè la casta degli ex “maggiordomi” di Yahvè: furono loro, manipolandola, a trasformare la Bibbia nel “libro sacro” che non era mai stato.Quando poi l’Impero Romano – oltre mezzo millennio dopo, nel 70 dopo Cristo – represse duramente gli ebrei distruggendo il Tempio di Salomone a Gerusalemme, gli stessi sacerdoti contrattarono il loro futuro con i nuovi padroni: cedettero ai romani il Tesoro del Tempio, in cambio di una vita agiatissima nella capitale imperiale, da cui poi – attraverso svariati passaggi – diedero vita alla nuova religione, il Cristianesimo cattolico, ufficialmente coniato da Costantino nel 325 al Concilio di Nicea. Lo stesso Paolo Rumor, attingendo al memoriale Schumann, sostiene che la mitica Struttura si sarebbe spezzata in due tronconi, a Gerusalemme, proprio attorno all’Anno Zero. Di recente, Biglino ha accennato a libri di prossima uscita, dal contenuto sconcertante: attraverso accurate analisi di fonti d’archivio, emerge una sbalorditiva continuità nel potere europeo attraverso i secoli, con in primo piano – da Gerusalemme a Roma, fino al Nord Europa – sempre le stesse famiglie. La sua tesi è nota: attraverso la Bibbia, siamo stati finora governati da un unico schema di potere, concepito sotto forma di dominio. Lo stesso sistema finanziario attuale, che regge il pianeta, è quello enunciato da Yahvè: potrai prestare denaro ma non richiederlo, perché chi riceve denaro in prestito ne diventa schiavo. E a proposito: dov’è finito, Yahvè? Sicuri che sia sparito per sempre dalla circolazione?Se un giorno si scoprisse che gli Elohim come quello che gestiva la famiglia di Giacobbe sono qui tra noi e controllano tutto – dice Biglino – certo non me ne stupirei: secondo la Bibbia potevano vivere anche 30.000 anni. Assurdo? Mica tanto: la distanza fra i loro 30 millenni e i nostri 90 anni è infinitamente più piccola di quella che separa una tartaruga gigante (200 anni) da una farfalla che viva solo 24 ore. Di giorno in giorno, si moltiplicano scoperte che sconquassano le vecchie certezze archeologiche: la Piramide di Cheope (vera datazione, 20.000 anni) è una potente “fabbrica di energia”: è presidiata dai fisici che vi osservano gli stranissimi fenomeni che ospita, come l’abbattimento di particelle subatomiche. A Visoko, in Bosnia, sono state scoperte le più grandi piramidi della Terra, risalenti a 30.000 anni fa. E al largo dell’India spuntano città sommerse – probabilmente dal maremoto di 11.500 anni fa (il Diluvo Universale?), scatenatosi proprio nel periodo in cui a Göbekli Tepe, in Turchia, fu costruito il tempio più antico della Terra, in un’area in cui gli scavi rivelano che la nascita dell’agricoltura risale addirittura al Mesolitico. Scoperte che costringono a retrodatare la nostra storia, cancellando quello che fino a ieri credevamo di sapere.Sotto certi aspetti, è come se le incredibili scoperte dell’archeologia odierna costringessero a ripensare la stessa geopolitica attuale. Si perde tempo, ripete Magaldi, se ci si ferma ancora a valutarla come scontro tra nazioni: c’è ben altro, dietro le quinte. Se lo domandava anche Barnard: vi siete mai chiesti come mai la politica non riesce mai a mantenere le sue promesse? E perché le cose vanno di male in peggio, nonostante il pianeta non sia mai stato così ricco, vista la nostra capacità esponenziale di produrre beni, grazie alla vertiginosa rivoluzione tecnologica degli ultimi decenni? Colpa dell’élite neo-feudale, si risponde Barnard. Ed è un’élite non certo illuminata, aggiunge Magaldi: si tratta di un’oligarchia del denaro, reazionaria, neo-conservatrice, il cui massimo livello di potere – al di sopra delle entità paramassoniche come il Bilderberg – è rappresentato dalle 36 Ur-Lodges che dominano il globo. E se ci fosse dell’altro ancora, sopra le midiciali superlogge? Magari la “Yahvè SpA”, affidata a emissari collaudatissimi? E’ l’interrogativo che rilancia Biglino, convinto che gli Elohim (come gli Anunna sumeri, i Theoi greci, i Deva indiani) non siano affatto scomparsi, dimenticandosi delle loro “creature”. Anzi, aggiunge lo studioso: sarebbe perfettamente plausibile scoprire, un giorno, che dietro ai maggiori potentati terrestri vi siano proprio “quelli là”, i Figli delle Stelle, l’un contro l’altro armati: è uno schema ripetuto in tutti i libri antichi, compresa la Bibbia.Data fatidica, il 14 luglio: nel 1789 a Parigi veniva assaltata la Bastiglia, evento culminante della Rivoluzione Francese che segnò la fine dell’Ancien Régime, il sistema plurisecolare dell’assolutismo monarchico. Solo tre anni fa, invece – ma sempre in Francia, e sempre il 14 luglio – il killer franco-tunisino Mohamed Lahouaiej-Bouhle faceva strage a Nizza col suo camion, travolgendo i passanti sulla Promenade des Anglais: 86 morti e 302 feriti. Ovviamente l’attentatore era già stato segnalato alla polizia, come poco di buono. E ovviamente nessuno aveva pensato di controllare e sgomberare il suo camion bianco, fermo da giorni su quel lungomare divenuto “off limits” in vista della festa nazionale francese. E ancora: l’assassino – prima di essere freddato dalle forze dell’ordine, come d’abitudine, prima che potesse parlare – aveva anche avuto cura di lasciare a disposizione dei poliziotti i suoi documenti, ben in vista nell’abitacolo del veicolo. Un caso da manuale, secondo Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”: un messaggio intimidatorio rivolto alla massoneria progressista, che considera proprio il 14 luglio la prima pietra miliare verso la conquista della democrazia, almeno in Occidente.
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Nasce il Psai: basta rigore, la rivoluzione che serve all’Italia
La Commissione Europea? Abolita. E allora chi governa l’Europa? Un esecutivo finalmente normale, votato dal Parlamento Europeo, democraticamente eletto. E la Bce? Deve cambiare il suo mandato: dovrà creare lavoro, sotto la direzione della politica, e non badare più soltanto alla stabilità dei prezzi per contenere l’inflazione. E il pareggio di bilancio imposto da Monti? Va eliminato subito dalla Costituzione italiana. Di più: bisogna creare la piena occupazione, grazie a un’agenzia speciale per il lavoro, in ogni caso limitato a 35 ore settimanali e remunerato con salari dignitosi. E ancora: ci spetta un reddito universale (per tutti, anche per chi un lavoro ce l’ha già). Cos’è, uno scherzo? No: è la bozza programmatica del Psai, cioè il “Partito che serve all’Italia”. L’aggettivo “rivoluzionario” suona persino eufemistico. Siamo di fronte all’eresia pura, all’utopia. Letteralmente: non esiste, oggi, un posto così. Sarebbe un paradiso. E noi siamo ormai abituati all’inferno ordinario nel quale siamo stati sprofondati poco alla volta, a colpi di austerity e neoliberismo selvaggio spacciato per legge divina (“ce lo chiede l’Europa”, quella del “pilota automatico” che privilegia i soliti super-poteri finanziari, che usano i loro burattini all’Ue per trasformare in legge il loro business privato).Cos’è, allora, questa specie di Rivoluzione della Felicità? Un diversivo letterario? Ma no, dicono i fautori del Psai: si può fare. “The impossible, made possible”. Parola di Nino Galloni, uno dei cervelli dell’esperimento. Cos’è mancato, finora? Una sola qualità, fondamentale: il coraggio politico. Ecco perché nasce, il Psai. Riassunto delle puntate precedenti: fino all’altro ieri (Berlusconi & Prodi, poi Monti e il pallido Letta, quindi l’illusione Renzi e l’avatar Gentiloni) sarebbe stato “lunare” mettere in discussione il predominio della finanza speculativa, mascherato dietro l’oligarchia Ue. Le ostilità le hanno aperte un anno fa i gialloverdi, i 5 Stelle e soprattutto la Lega. Poi però il governo Conte – frenato da Mattarella, Bankitalia e tutto l’eterno establishment italiano telecomandato dall’estero – ha ridotto l’esecutivo alla caricatura di se stesso, almeno stando alle promesse della vigilia. In mano a Di Maio (e Tria), lo sbandierato “reddito di cittadinanza” è diventato una barzelletta, mentre Salvini si costringe ad alzare la voce contro la “capitana” di turno, nella speranza di far dimenticare la pietosa figura rimediata a Bruxelles: prima il “niet” all’espansione del deficit, poi la minaccia della procedura d’infrazione per far ingoiare all’Italia la sua ennesima esclusione dal bunker-Europa, presidiato da Merkel e Macron e ora affidato alle due maschere di turno del Trattato di Aquisgrana, la francese Christine Lagarde e la tedesca Ursula Von del Leyen.Passi avanti, da parte dell’Italia? Uno: la consapevolezza, ormai acquisita, che questa Unione Europea – fatta così – è un clamoroso imbroglio. Non si spiega altrimenti, alle elezioni e nei sondaggi, il successo della Lega: un voto sulla fiducia, nella speranza che un giorno possa fare davvero qualcosa, per il paese, l’unico partito che ha avuto il fegato di spedire in Parlamento Bagnai e Borghi, e a Strasburgo Antonio Maria Rinaldi. In altre parole: s’è capito che è ora di sfrattare Friedman, von Hajek e gli altri cantori del totalitarismo neoliberista, recuperando la lezione di Keynes. O lo Stato torna a investire a deficit, o dell’Italia – senza soldi – non resterà più nulla. Parola d’ordine: inversione radicale della rotta, cestinando quarant’anni di falsi dogmi – il peggiore, la famosa “austerity espansiva” coniata a Harvard (più tagli, più cresci), ha fatto ridere il mondo: i conti di Kenneth Rogoff, sommo sacerdote del rigore, erano vergognosamente errati, sbagliatissimi. E’ vero il contrario: più spendi, più cresci. Si chiama: moltiplicatore della spesa pubblica. Se spendi 100 in termini di deficit strategico, puoi arrivare a produrre anche 300, in termini di Pil. Lo sanno tutti, da Draghi alla Commissione Ue, ma fingono di non saperlo. E obbligano l’Italia a restare in una situazione tragica di “avanzo primario”, ovvero: da decenni, lo Stato incassa (con le tasse) più di quanto spenda per i cittadini. Il che equivale al suicidio dell’economia nazionale.Lo sa anche Salvini, naturalmente, così come Borghi, Bagnai e Rinaldi. Il problema? Finora la Lega ha abbaiato, ma senza mordere. Attenuanti? Svariate: appena i leghisti si muovono, qualche magistrato li blocca. E Armando Siri, l’ideologo della Flat Tax, è stato rottamato per via giudiziaria (pur essendo solo indagato) col benservito dei 5 Stelle, ormai nel panico per aver disatteso qualsiasi promessa elettorale. E dunque, che fare? Elementare: un nuovo partito. Un altro? Ebbene sì, ma diverso: generato dal basso, da gruppi e associazioni. Il primo e unico partito capace di sviluppare una piattaforma democratica di tipo rivoluzionario, in grado di rovesciare – in modo strutturale – tutte le premesse (bugiarde) su cui si fonda il rigore europeo. Galloni, coraggioso economista post-keynesiano, è fra i cervelli dell’operazione. Era consulente del governo quando l’Italia tentava di limitare i danni dell’imminente Trattato di Maastricht, prima che Mani Pulite spazzasse via Craxi e Andreotti. Il cancelliere Kohl arrivò a reclamarne l’allontanamento. Che c’entrava, la Germania? Aveva preteso lo scalpo industriale dell’Italia, sua maggiore concorrente, in cambio della rinuncia al marco, richiesta dalla Francia come viatico per il via libera di Parigi alla riunificazione tedesca. Da allora, l’inevitabile: crisi su crisi. Ma ora basta, dice Galloni, insieme agli altri promotori del Psai (assemblea costituente a Roma il 14 luglio: data non casuale, anniversario della Rivoluzione Francese).E la rivoluzione del “Partito che serve all’Italia”? Altrettanto eversiva: si tratta di abbattere il nuovo Ancien Régime fondato a Bruxelles, che ha instaurato l’attuale “nuovo feudalesimo”, col risultato di deprimere più di mezza Europa, Grecia e Italia in testa. Il traguardo numero uno dei nuovi aspiranti rivoluzionari? Ovvio: abbattere l’austerity europea per salvare l’Italia dalla crisi (e ridare dignità all’Europa, su base finalmente democratica). Centrali i temi economici. Prima bomba: creare una banca interamente pubblica, per introdurre «una moneta parallela sovrana e non a debito, non convertibile fino al 3% del Pil, con l’obiettivo di rilanciare l’economia senza generare debito». Proprio grazie alla leva monetaria, sostiene il Psai, potrà agire in modo incisivo «un Alto Istituto per la Piena Occupazione, incaricato di dare lavoro ai disoccupati». Altra bomba: se fosse al governo, il Psai introdurrebbe un “reddito universale”, destinato a tutti, da adattare annualmente in base all’andamento dell’economia. Reddito vero, «da aggiungersi al normale salario già percepito». Altro che il reddito-burletta elemosinato da Di Maio. Premessa imprescindibile : «Eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione». E poi, creare un’agenzia di rating indipendente da Wall Street, «che renda noti e credibili i criteri di giudizio riguardo gli asset patrimoniali e il debito pubblico e privato», sottraendo l’Italia alle consuete pressioni da parte della grande speculazione.L’affondo, rispetto al mondo finanziario, è frontale: «Vogliamo riformare il sistema bancario e introdurre in Italia una legge simile al Glass-Steagall Act», si legge nella bozza programmatica del Psai. Obiettivo: «Separare l’attività delle banche commerciali e quella delle banche d’affari», mettendo al sicuro i risparmi degli italiani e il credito destinato alle aziende. Fu Roosevelt a imporre il Glass-Steagall Act, per salvare l’America dalla Grande Depressione innescata dalle bolle finanziarie. E fu Bill Clinton ad abolirlo, dopo mezzo secolo (e lo scandalo Lewinsky), per la gioia di Wall Street. Non ha nessuna timidezza, il nascente “Partito che serve all’Italia”, neppure di fronte ai maggiori simboli del potere economico mondiale: vorrebbe «obbligare le multinazionali a replicare a livello nazionale le strutture organizzative globali», per mettere fine alla piaga dello sfruttamento, dei licenziamenti facili e delle delocalizzazioni. Programma folle? Certo, in giro non s’era mai sentito niente di simile: roba da far cadere dalla sedia qualsiasi conduttore televisivo. Il piglio, “garibaldino”, ricorda epoche lontane come gli anni ruggenti, sfrontati e coraggiosi dell’Italia di Enrico Mattei, che infatti poi riuscì a stupire il mondo.Eppure, ragiona Galloni, non c’è altro da fare: cambia tutto, se l’Italia trova finalmente la forza di rigettare l’austerity, recuperando sovranità e capacità di spesa. Ridiventa un mercato appetibile per gli investimenti produttivi, ma soprattutto rianima la domanda interna, l’occupazione, i consumi. In alre parole: riaccende il futuro. Si può fare, dunque? La risposta è sì, per il Psai. Il motore? La moneta parallela: basta a garantire lavoro e investimenti, restituendo agli italiani i loro diritti. Per esempio: età pensionabile non superiore ai 65 anni, orario lavorativo di sole 35 ore settimanali, salario minimo garantito e drastica riduzione delle tasse, anche per i pensionati. L’Iva? Ridotta al minimo per i beni essenziali. Già, ma l’Europa? Ecco, appunto: il Psai propone «un radicale ripensamento dell’attuale Disunione Europea». Come? Restituendo sovranità ai popoli europei: «Occorre attribuire al Parlamento Europeo il potere legislativo, abolendo la Commissione Europea». Il Psai parla anche di «promozione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio Europeo, per renderlo indipendente dall’influenza di singoli paesi, o gruppi di paesi». Non è tutto: oltre a eleggere un nuovo governo europeo, finalmente sovrano e legittimato dal voto, il Parlamento di Strasburgo dovrebbe ottenere «la competenza sulle politiche monetarie», attualmente appannaggio della Bce.La stessa banca centrale – almeno, nel libro dei sogni che il Psai sembra prendere molto sul serio – dovrebbe essere sottoposta a una revisione completa del suo mandato: la Bce «va legata al potere politico, cambiando la sua “mission”: dovrà preoccuparsi di creare piena occupazione». Quanto all’euro, la valuta comune «è da convertire in una moneta contabilmente trasparente, sovrana e in grado di rilanciare l’economia senza generare debito». In altre parole, il Psai chiede di ridiscutere integralmente i trattati europei, ritenendoli «lesivi del diritto di autodeterminazione dei popoli e della dignità della persona umana». Insomma, robetta da niente. Illusioni? Miraggi? Non per i promotori del “Partito che serve all’Italia”, la cui scommessa è palese: creare la prima piattaforma rivoluzionaria che si sia mai vista, dalla nascita dell’Unione Europea, per tentare di dire finalmente le cose come stanno, proponendo inoltre soluzioni pratiche (estremamente sensate) per uscire dal tunnel. Una road map, destinata al giudizio degli elettori. Di più: un nuovo alfabeto, per demifisticare l’economicismo miserabile che ha oscurato la politica, riducendola al piccolo derby tra avversari apparenti, destinati – comunque si voti – a eseguire gli ordini dell’eterno “pilota automatico”, in realtà manovrato dall’oligarchia del denaro che sta impoverendo l’intero continente.La Commissione Europea? Va abolita. E allora chi governa l’Europa? Un esecutivo finalmente normale, votato dal Parlamento Europeo, democraticamente eletto. E la Bce? Deve cambiare il suo mandato: dovrà creare lavoro, sotto la direzione della politica, e non badare più soltanto alla stabilità dei prezzi per contenere l’inflazione. E il pareggio di bilancio imposto da Monti? Va eliminato subito dalla Costituzione italiana. Di più: bisogna raggiungere la piena occupazione, grazie a un’agenzia speciale per il lavoro, in ogni caso limitato a 35 ore settimanali e remunerato con salari dignitosi. E ancora: ci spetta un reddito universale (per tutti, anche per chi un lavoro ce l’ha già). Cos’è, uno scherzo? No: è la bozza programmatica del Psai, cioè il “Partito che serve all’Italia”. L’aggettivo “rivoluzionario” suona persino eufemistico. Siamo di fronte all’eresia pura, all’utopia. Letteralmente: non esiste, oggi, un posto così. Sarebbe un paradiso. E noi siamo ormai abituati all’inferno ordinario nel quale siamo stati sprofondati poco alla volta, a colpi di austerity e neoliberismo selvaggio spacciato per legge divina (“ce lo chiede l’Europa”, quella del “pilota automatico” che privilegia i soliti super-poteri finanziari, che usano i burattini dell’Ue per trasformare in legge il loro business privato).
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Coltan, stupri di guerra: donne abusate per i nostri telefoni
Leggere “Figlie ferite dell’Africa” di Denis Mukwege e “Denis Mukwege, L’uomo che ripara le donne” di Colette Braeckman sono esperienze devastanti per ogni essere capace di provare amore, dignità, umanità. Ascoltare le parole del dottore congolese Denis Mukwege (Premio Nobel per la Pace 2018) è una esperienza sconvolgente: oltre ogni immaginata scena di violenza… lui racconta il perché, il come, le conseguenze degli stupri sulle donne come tecnica di guerra. Spiega come lo stupro è diventato, in alcuni territori dell’Africa, un modo di fare guerra. Non si tratta di guerriglia fatta da organizzazioni improvvisate con saccheggi, uccisioni, soprusi di ogni tipo. Stuprare, deturpare le donne in modo collettivo e in pubblico, davanti ai famigliari e a tutto il villaggio significa distruggere la comunità intera, un modo efficace e senza ritorno per annientare il nemico. Le donne stuprate resteranno per sempre piagate e con gravi problemi psichiatrici; gli uomini che impotenti sono stati costretti a guardare senza poter intervenire non sopravvivono al dolore e alla vergogna e spesso se ne vanno, distruggendo tutto un tessuto sociale.Le donne, per ignoranza e paura, sono fortemente emarginate, i figli conseguenti allo stupro sono destinati ad una vita da emarginati. Ma quante donne ha visto, ha curato Mukwege? Una, poi dieci, cento… e in vent’anni cinquantamila donne stuprate davanti al marito, ai figli e al villaggio, perché tutti vedano; poi, orrendamente ferite e mutilate e spesso rese sterili. Restare senza fiato ascoltando dal vivo la testimonianza di Mukwege è solo per i più forti, perché ascoltare tutto ciò che non avresti mai voluto sentire è straziante, la coscienza si frantuma, nessun pensiero minimamente positivo sopravvive. Lo stesso medico ha confessato: mi sono ritrovato incapace di reggere i racconti delle pazienti. L’orrore mi sconvolgeva… e un chirurgo deve avere la mano ferma. Da allora affido ai collaboratori il compito di ascoltare, e io opero soltanto. Ricostruisco ciò che si può fisicamente ricucire… e cerco di non pensare. Per non essere distrutto che mi impedirebbe di fare ciò che ho scelto di fare.Leggere il libro “Figlie ferite dell’Africa” ma anche la biografia di Mukwege, “L’uomo che ripara le donne”, significa non nascondersi, non chiudere gli occhi, capire che la realtà è ben oltre ciò che possiamo immaginare… anche perché Denis Mukwege racconta ciò che sa, ciò che ha visto, non tralasciando particolari che al primo impatto possono sembrare sconvolgenti ma evitabili, perché non è così: proprio i particolari raccapriccianti faranno capire la devastazione definitiva per la società intera di un metodo bellico probabilmente mai applicato prima in modo così sistematico e coordinato. Ma perché tanta violenza, perché questa guerra politico-sociale, perché tanta spietatezza? Quasi nessuno lo sa, nessuno lo racconta, tutti pensano a guerre tribali per chissà quale motivazione etnica-religiosa… No! Il motivo è uno solo e si chiama: coltan…L’80% di coltan del pianeta si trova nelle miniere congolesi. Coltan è il nuovo oro! perché con lui si fanno microchip di cellulari e computer e in Congo ben 5 eserciti si combattono per il terra più ricca del mondo, lasciando sul terreno solo desertificazione sociale. Quando i soliti ignoranti mettono in azione i microchip dei loro cellulari per insultare e offendere una donna congolese che ha chiesto protezione internazionale in Italia… la violentano, abusano ancora una volta del suo corpo, della sua famiglia, dell’intera struttura sociale e affettiva in cui credeva di poter vivere dignitosamente la propria vita… esattamente come la devastarono gli uomini di qualche esercito congolese per appropriarsi della materia prima utile ai microchip dei cellulari.(Gianfranco Maccaferri, “Lo stupro pubblicamente esibito è l’arma da guerra per avere il coltan”, dal blog di Maccaferri del 5 luglio 2019).Leggere “Figlie ferite dell’Africa” di Denis Mukwege e “Denis Mukwege, L’uomo che ripara le donne” di Colette Braeckman sono esperienze devastanti per ogni essere capace di provare amore, dignità, umanità. Ascoltare le parole del dottore congolese Denis Mukwege (Premio Nobel per la Pace 2018) è una esperienza sconvolgente: oltre ogni immaginata scena di violenza… lui racconta il perché, il come, le conseguenze degli stupri sulle donne come tecnica di guerra. Spiega come lo stupro è diventato, in alcuni territori dell’Africa, un modo di fare guerra. Non si tratta di guerriglia fatta da organizzazioni improvvisate con saccheggi, uccisioni, soprusi di ogni tipo. Stuprare, deturpare le donne in modo collettivo e in pubblico, davanti ai famigliari e a tutto il villaggio significa distruggere la comunità intera, un modo efficace e senza ritorno per annientare il nemico. Le donne stuprate resteranno per sempre piagate e con gravi problemi psichiatrici; gli uomini che impotenti sono stati costretti a guardare senza poter intervenire non sopravvivono al dolore e alla vergogna e spesso se ne vanno, distruggendo tutto un tessuto sociale.
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L’Italia è meglio di quanto si dice: 10 prove lo dimostrano
“Dieci falsi miti sull’economia italiana” è il titolo del paragrafo iniziale di un volumetto che la Fondazione Edison ha realizzato in occasione dei suoi vent’anni di vita. Si tratta di sfatare alcuni luoghi comuni che vorrebbero il paese in ginocchio e incapace di rialzarsi. Può darsi che il testo sia viziato da un eccesso di ottimismo, ma non c’è dubbio che se l’Italia resta la seconda manifattura d’Europa e una delle prime potenze industriali al mondo qualcosa di vero ci sarà. Per prima cosa, dunque, non siamo il malato d’Europa che molti credono: non solo per il secondo posto nella manifattura dopo la Germania, ma anche per esibire il più alto valore aggiunto nel settore agricolo. Nell’ambito del G7 (2° punto) il Pil pro capite degli italiani è cresciuto più della media del gruppo e per quanto riguarda la competitività (3° punto) l’Italia se la batte con i concorrenti più virtuosi generando il quinto maggior surplus commerciale al mondo. Gli investimenti in macchinari e in mezzi di trasporto (4° punto) non sono la Cenerentola che la vulgata accredita, tutt’altro. E con riferimento alle spese per ricerca e sviluppo nei campi del tessile e dell’abbigliamento, delle calzature e dei mobili, (5° punto) siamo addirittura primi in tutta l’Unione.Abbiamo inoltre la capacità di sfidare i mercati internazionali (6° punto) nonostante la piccola dimensione delle nostre imprese (il che non vuol dire che non si debba crescere). Il Made in Italy è uno dei marchi più famosi al mondo ed esprime una serie di valori – design, innovazione, tecnologia – decisamente distanti dall’idea (7° punto) di essere appiattiti sulle produzioni a basso costo del lavoro. E bisogna anche respingere l’affermazione che il paese sia caratterizzato (8° punto) da una grande disuguaglianza economica, facendo molto meglio di Francia, Regno Unito e Spagna. È da demolire, poi, il convincimento che gli italiani non paghino le tasse (9° punto) dal momento che la pressione fiscale è in linea con quella europea (forse è vero, però, che a pagare siano sempre gli stessi). Infine, dobbiamo liberarci dalla credenza di essere troppo indebitati (10° punto). Messi insieme il debito pubblico e il debito privato, l’Italia risulta tra le più virtuose nel consesso dei paesi avanzati. È vero che il debito pubblico è molto alto se raffrontato al Pil, ma è anche vero che diventa sostenibile se si tiene conto dell’avanzo primario e della ricchezza finanziaria delle famiglie.A tutto questo si aggiungono le suggestioni dell’ultimo “Quaderno di Symbola” che rilancia le tesi della Fondazione Edison e allarga il campo dei primati nazionali all’economia sostenibile e circolare, all’attrattività turistica, alla roboetica (il lato umano dei robot), al design, alla qualità della ricerca scientifica, all’avanzare incessante delle consultazioni su Google delle espressioni del Made in Italy. Tutto questo dovrebbe indurci a modificare l’immagine che abbiamo di noi stessi. Troppo concentrati sulle nostre debolezze, trascuriamo le potenzialità di un paese che conserva un’energia tanto straordinaria quanto compressa, mentre dovrebbe essere riconosciuta e liberata. Senza cadere nell’eccesso opposto di sentirci forti e invincibili – la tentazione di esagerare è sempre viva – le lezioni della Fondazione Edison e di Symbola andrebbero apprese e divulgate.(Alfonso Ruffo, “10 prove che l’Italia è meglio di quanto si dice e si pensa”, dal “Sussidiario” del 7 luglio 2019).“Dieci falsi miti sull’economia italiana” è il titolo del paragrafo iniziale di un volumetto che la Fondazione Edison ha realizzato in occasione dei suoi vent’anni di vita. Si tratta di sfatare alcuni luoghi comuni che vorrebbero il paese in ginocchio e incapace di rialzarsi. Può darsi che il testo sia viziato da un eccesso di ottimismo, ma non c’è dubbio che se l’Italia resta la seconda manifattura d’Europa e una delle prime potenze industriali al mondo qualcosa di vero ci sarà. Per prima cosa, dunque, non siamo il malato d’Europa che molti credono: non solo per il secondo posto nella manifattura dopo la Germania, ma anche per esibire il più alto valore aggiunto nel settore agricolo. Nell’ambito del G7 (2° punto) il Pil pro capite degli italiani è cresciuto più della media del gruppo e per quanto riguarda la competitività (3° punto) l’Italia se la batte con i concorrenti più virtuosi generando il quinto maggior surplus commerciale al mondo. Gli investimenti in macchinari e in mezzi di trasporto (4° punto) non sono la Cenerentola che la vulgata accredita, tutt’altro. E con riferimento alle spese per ricerca e sviluppo nei campi del tessile e dell’abbigliamento, delle calzature e dei mobili, (5° punto) siamo addirittura primi in tutta l’Unione.
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Della Luna: la morte lenta che l’oligarchia ha programmato
Primo: a chi li governa, i popoli servono per produrre ricchezza e forza politico-militare, sicché l’unificazione globale delle classi dominanti e altri processi che ora passerò a indicare hanno reso i popoli superflui. I popoli come moltitudine di lavoratori e consumatori sono stati resi superflui dalla finanziarizzazione dell’economia, dall’intelligenza artificiale, dall’automazione. I popoli come moltitudine di combattenti sono stati resi superflui dalla unificazione globale del potere capitalista finanziario e dalla sostituzione delle guerre di conquista tradizionali con guerre finanziarie. I popoli come colonizzatori sono stati resi superflui dal completamento della occupazione delle terre di questo pianeta e dalla mancanza di tecnologie per colonizzare altri pianeti. Sono ancora utili i popoli affamati e minacciati come masse di penetrazione migratoria per frantumare i popoli storicamente consolidati e renderli più passivi e meno capaci di resistere. Secondo: l’esaurimento delle risorse planetarie e l’insostenibilità dell’attuale processo di inquinamento esigono, per la salvezza della biosfera, la radicale riduzione dei consumi e delle emissioni, cioè della popolazione. Terzo: esistono le tecnologie per realizzare tale riduzione senza che la popolazione se ne accorga.La somma di questi tre fattori punta in una direzione chiarissima. Dal fatto che la popolazione terrestre è divenuta il contempo superflua e insostenibile e che è praticamente possibile ridimensionarla, consegue che con tutta verosimiglianza già si sta lavorando a questo fine e che, invece di proporre metodi per un impossibile rilancio della produzione, possiamo guardarci intorno per individuare come – con che mezzi fisici, chimici, legislativi – si realizza quel ridimensionamento. Le analisi che non tengono conto di quanto sopra, hanno poco senso e ancor meno utilità. E’ verosimile che i metodi adoperati siano di carattere non clamoroso per l’opinione pubblica e non traumatico per la biosfera, quindi non nucleari, ma piuttosto di tipo tossico, sia nel senso della riduzione della fertilità che nel senso della riduzione della vitalità, dell’efficienza biologica, immunitaria e mentale della popolazione, nonché culturale, per conseguire l’effetto complessivo ridurre la sua capacità di opposizione e di coordinamento dal basso.La mente va agli additivi per cibi e bevande (soprattutto per l’infanzia, ricchi di sostanze neurotossiche, diabetizzanti, obesizzanti, cancerogene), ai farmaci, ai vaccini recentemente resi obbligatori in molti paesi senza garanzie di qualità industriale e di non tossicità, ad altre sostanze diffuse nell’ambiente dall’industria, dall’agricoltura, dalle attività militari. Va anche al pensiero unico, instillato dalla scuola elementare alla tomba, il quale costituisce un grande e articolato story telling, che è protetto dalle regole del politically correct e dal gatekeeping, e che copre tutto: dall’economia alla moneta alla difesa alla salute alla politica al mescolamento dei popoli – tutto quello che serve per produrre consenso e compliance popolari verso pratiche e piani elaborati a porte chiuse in isolamento tecnocratico e senza responsabilità politica o giuridica.Le oligarchie di Cina e forse India, seppur partecipi del sistema globale del capitalismo finanziario, ancora perseguono politiche sviluppiste allo scopo di aumentare la loro percentuale di potenze mondiali, e per farlo aumentano pericolosamente produzione e consumi, cioè anche emissioni inquinanti; e probabilmente sarà questo a far precipitare la situazione ecologico-climatica creando le condizioni di emergenza, attese per attuare provvedimenti drastici contro la volontà delle genti e sbarazzandosi dei diritti, della democrazia e della legalità. Si configura uno scenario globale che trascende l’analisi economica e la stessa visione marxiana, poiché si sono attivate variabili ulteriori, come la capacità della classe dominante globale non solo di modificare il rapporto economico giuridico e politico con le masse dominate, ma anche di decidere quanta massa (le) serve ancora, dato che da un lato le funzioni della massa umana possono essere svolte da ritrovati tecnologici, e dall’altro lato la massa umana ha un costo crescente e insostenibile.(Marco Della Luna, “Salus telluris suprema lex”, dal blog di Della Luna del 5 luglio 2019).Primo: a chi li governa, i popoli servono per produrre ricchezza e forza politico-militare, sicché l’unificazione globale delle classi dominanti e altri processi che ora passerò a indicare hanno reso i popoli superflui. I popoli come moltitudine di lavoratori e consumatori sono stati resi superflui dalla finanziarizzazione dell’economia, dall’intelligenza artificiale, dall’automazione. I popoli come moltitudine di combattenti sono stati resi superflui dalla unificazione globale del potere capitalista finanziario e dalla sostituzione delle guerre di conquista tradizionali con guerre finanziarie. I popoli come colonizzatori sono stati resi superflui dal completamento della occupazione delle terre di questo pianeta e dalla mancanza di tecnologie per colonizzare altri pianeti. Sono ancora utili i popoli affamati e minacciati come masse di penetrazione migratoria per frantumare i popoli storicamente consolidati e renderli più passivi e meno capaci di resistere. Secondo: l’esaurimento delle risorse planetarie e l’insostenibilità dell’attuale processo di inquinamento esigono, per la salvezza della biosfera, la radicale riduzione dei consumi e delle emissioni, cioè della popolazione. Terzo: esistono le tecnologie per realizzare tale riduzione senza che la popolazione se ne accorga.
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Christine Lagarde: la macellaia della Grecia a capo della Bce
«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.Non è invece una montatura il ruolo che l’Fmi ebbe nella crisi della Grecia. Pur avendo preso avvio prima del suo insediamento, l’intervento si è concretizzato sotto la presidenza Lagarde. Con i risultati che tutti conosciamo. La Troika era sì composta, oltre che dal Fondo, anche da Unione Europea e Bce. Marchiani furono però gli errori commessi in sede di analisi da parte del primo, che sottostimò clamorosamente i moltiplicatori fiscali (a livello 0,5: erano fra tre e cinque volte più alti), imponendo misure draconiane che riuscirono persino a peggiorare una già drammatica situazione. Il Pil si è così contratto di oltre il 20% in più rispetto alle previsioni e la disoccupazione, che non doveva superare il 15%, è schizzata al 25%. L’Fmi ha scontato, scrisse l’editorialista economico del “Daily Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchars, un “pregiudizio pro-euro” che l’ha portato di fatto a «sacrificare la Grecia per salvare l’euro e le banche del Nord Europa». Un curriculum di tutto rispetto, non c’è che dire. Al quale dobbiamo aggiungere il tentativo esperito nel 2011 per tentare di costringere l’Italia ad accettare un intervento finanziario. In cambio ovviamente delle solite “riforme”. Berlusconi e Tremonti si opposero, ma il commissariamento arrivò comunque a novembre di quell’anno con la crisi speculativa sui nostri titoli di Stato e l’insediamento di Mario Monti alla presidenza del Consiglio.Con la piena benedizione di Emmanuel Macron, Christine Lagarde arriva così fino al vertice dell’Eurotower. Non un fulmine a ciel sereno, dato che il suo nome era fra quelli papabili. Ma che dice molto sui nuovi equilibri che regneranno in Europa: a questo giro l’ha spuntata la Francia, riuscendo in qualche modo a ridimensionare una Merkel (la quale ha comunque un’ottima stima della Lagarde) sempre meno leader indiscusso. Tandem Christine Lagarde – Ursula von der Leyen? Se le nomine dovessero essere confermate dal Parlamento Ue, ai vertici delle istituzioni comunitarie siederanno così due donne. Detto delle esperienze della Lagarde, non va meglio con quelle di Ursula von der Leyen. Tedesca, classe 1958, ininterrottamente dal 2005 ha rivestito per tre volte la carica di ministro nel governo federale tedesco. Torniamo di nuovo all’annus horribilis 2011. Proprio mentre Lagarde premeva per il nostro commissariamento, la von der Leyen si spingeva oltre, proponendo di legare eventuali aiuti ai membri in crisi dell’Eurozona in crisi con la richiesta di depositare beni in garanzia. Nello specifico, il nostro oro o le nostre aziende strategiche. L’unione di intenti fra le due nuove “teste” dell’Ue condurrà al disastro? Nonostante i “precedenti”, infatti, già da qualche anno l’Fmi ha iniziato, sia pur timidamente, a ripensare i propri modelli.Se prima l’austerità e le riforme strutturali erano l’unica via da percorrere, oggi la musica sembra in minima parte cambiata. E’ quindi estremamente probabile che, seguendo la nuova trama, che Christine Lagarde possa riprendere in mano il “bazooka” lanciato da Draghi con il nome di Quantitative Easing. Modificandolo, dandogli forse una diversa taratura. Ma certo non riponendolo in soffitta. Altro ossigeno, insomma, per un’Eurozona che è e rimane disastrata e preda delle contraddizioni intrinseche di una moneta unica architettata male e realizzata peggio. Un effetto placebo che, come già dimostrato fino ad oggi (nonostante l’invasione di liquidità l’inflazione, zavorrata da una crescita che resta asfittica, di salire non ne vuol proprio sapere) rischia solo di procrastinare la nostra agonia. Evitando forse manovre lacrime e sangue. Ma non per questo affrontando qui problemi talmente connaturati all’euro dal non poter essere in alcun modo risolti. A meno di non voler dare una nuova forma all’unione monetaria, magari iniziando a discutere di trasferimenti monetari dalle zone più ricche a quelle più in difficoltà. Scelta di politica economica standard in condizioni “normali”, ma che la Germania non accetterà mai. E anche qualora si dimostrasse aperta all’ipotesi, chiederebbe in cambio di scrivere – insieme a Bruxelles e alla Bce stessa – direttamente le nostre finanziarie. Sarebbe desiderabile?(Filippo Burla, “La macellaia della Grecia a capo della Bce: ecco chi è Christine Lagarde”, da “Il Primato Nazionale” del 3 luglio 2019. Laureato in scienze politiche ed economia aziendale, Burla è un analista economico del giornale, indipendente, ascrivibile all’area culturale della nuova destra sovranista italiana. Quanto alla Lagarde, nel saggio “Massoni” edito da Chiarelettere, Gioele Magaldi svela che la presidente uscente del Fmi milita stabilmente in svariate Ur-Lodges, come le superlogge “Three Eyes” e “Pan-Europa”, espressione dell’ala reazionaria e oligarchica del supremo potere massonico mondiale).«Usami per il tempo che ti serve». E ancora: «Se mi usi, ho bisogno di te come guida e come sostegno». La lettera era senza data, ma riconducibile agli anni fra il 2007 e il 2011 quando Christine Lagarde, dal 2 luglio governatore in pectore della Bce, siedeva sulla poltrona di ministro dell’economia della Francia. Così si rivolgeva all’allora presidente Nicolas Sarkozy, dando di sé un’immagine che sottomessa è dir poco. Non sorprenderà, allora, che nel valzer delle nomine che contano in Ue, a spuntarla sia stata proprio Parigi. Classe 1956, è – al pari di Ursula von der Leyen, destinata alla presidenza della Commissione Ue – la prima donna che guiderà la Bce. Si tratta anche della prima personalità senza studi di economia: figlia dell’altissima borghesia parigina, la Lagarde è infatti laureata in giurisprudenza. Esponente dell’Ump, ha iniziato la sua carriera “istituzionale” nel 2005. Senza soluzione di continuità, è stata prima ministro delegato al commercio estero, poi dell’agricoltura e della pesca, successivamente titolare delle finanze e dell’industria. Christine Lagarde diviene nota alle cronache per prendere possesso, nel 2011, dello scranno più alto al Fondo Monetario Internazionale. Succede al suo connazionale Dominique Strauss-Kahn, esautorato a causa di uno scandalo di natura sessuale poi rivelatosi una montatura.
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Della Luna: l’Eurolager è una banda di ladri, denunciamoli
«Il governo Conte fa bene a piegarsi alle richieste di Bruxelles e ad evitare la procedura di infrazione (che comporterebbe un esproprio delle funzioni politico-economiche in favore degli eurocrati). E’ il male minore, oggi». Lo sostiene l’avvocato Marco Della Luna, acuto saggista euroscettico. «L’euro ha un effetto tecnico inevitabile: deindustrializzare l’Italia trasferendone le risorse e gli assets migliori a paesi più efficienti e dominanti entro la Ue: lo scopo fondativo dell’Ue è esattamente questo, e non solo nei confronti dell’Italia», scrive Della Luna nel suo blog. «Se l’Italia resta nell’euro e nell’Ue è destinata a una fine certa e miseranda, ma non a un tracollo immediato, perché – mentre è in corso il suo svuotamento – viene mantenuta in vita finanziariamente». Psicologia: «La gente non si ribella perché ha paura dei tracolli e dei sacrifici immediati e non pensa al lungo termine. Ed è per questo che la si può portare dove si vuole, quindi le si concede la “democrazia”». Aggiunge Della Luna: «Rompere la gabbia dell’euro e dell’Ue sarebbe pertanto un obiettivo da perseguire anche a costo di sacrifici, ma può farlo soltanto un governo unito, guidato da grandi economisti, sostenuto dal consenso popolare. Un governo capace di resistere alle pressioni, ai ricatti e alle ritorsioni dell’Ue, e al contempo di rimpiazzare l’euro e di ricollegare l’economia nazionale ai fornitori e clienti esteri di cui necessita, essendo la nostra un’economia di trasformazione molto dipendente dagli scambi internazionali».Oggi, al contrario, abbiamo «un governo disunito, balordo e demagogico in economia, privo di veri statisti soprattutto economici, sostenuto dalla maggioranza di un popolo che però non vuole uscire dall’euro». Soprattutto, l’esecutivo gialloverde «è tenuto sotto la spada di Damocle da un Quirinale che è garante della Ue, che vieta di nominare ministri dell’economia eurocritici imponendo invece l’europeista Tria, e che – a detta delle malelingue – avrebbe precedenti di golpe su ordine germanico». Ovviamente, con siffatte premesse, «non si può andare allo scontro con gli interessi europeisti, per quanto siano rovinosi per l’Italia». Quindi, propone Della Luna, «cerchiamo di archiviare il reddito di cittadinanza, la Quota 100, il salario minimo, le chiusure domenicali, lo shock fiscale». Il taglio delle tasse «fa ripartire la domanda e gli investimenti solo in un quadro di stabilità, di sicurezza, di futuro ragionevolmente buono e di umore diffusamente positivo», mentre oggi «il quadro è di instabilità, di debolezza e divisione del governo, di futuro preoccupante, e l’umore generale è negativo». Non funzionerebbe nemmeno una distribuzione di denaro alla popolazione: per tornare a consumare, gli italiani avrebbero bisogno di prospettive rassicuranti, viceversa metterebbero da parte il denaro in più, come scorta di sicurezza per ripararsi dagli scossoni in arrivo.Infatti, sostiene Della Luna, «oggi sta aumentando la propensione al risparmio perché le aspettative sono giustamente fosche». Meglio quindi usare le risorse disponibili per fare investimenti pubblici infrastrutturali, nell’immediato. Ma nel medio-lungo periodo? Il nodo da sciogliere è sempre lo stesso: il rapporto con l’Ue. «L’Italia attuale, a causa anche delle regole finanziarie europee e dell’euro (oltre che dell’incompetenza economica dei suoi governi), ha una cattiva tendenza in quanto a Pil, rapporto deficit/Pil, rapporto debito/Pil, andamento della produttività (competitività)». Dal canto suo, «l’Ue reagisce e continuerà a reagire imponendo misure recessive e proibendo il ricorso a rimedi come i minibot». La combinazione di questi due fattori farà sì che il contrasto con Bruxelles «continuerà ad aggravarsi, a farsi sempre meno gestibile e ricomponibile». Della Luna ipotizza esiti preccupanti. Il peggiore? «Colpo di Stato europeista del Quirinale, sottomissione dell’Italia, sua grecizzazione, sua spoliazione totale (se si riuscirà a inibire la protesta popolare e a reprimere le forze che la esprimeranno) e africanizzazione (colonia franco-tedesca)».Oppure: «Uscita dall’Italia dall’euro e dell’Ue, verso un futuro incerto ma condizionato dall’essere un sistema-paese inefficiente, con una classe politica scadente, e molto dipendente da fornitori e clienti – quindi un futuro tendente al Terzo Mondo». Terza ipotesi: «Una riforma organica della Ue che sostituisca le regole finanziarie errate e infondate con regole aderenti alla realtà, limitando lo strapotere e l’approfittamento franco-tedesco, e consentendo l’introduzione dei minibot o di altre misure per rimonetizzare l’economia reale italiana che oggi ristagna anche per carenza di liquidità e la diffusa insolvenza». Della Luna vede anche in teoria l’uscita dall’euro e dalla Ue da parte della Germania e di altri paesi, se non addirittura lo scioglimento della stessa Ue. Cosa conviene all’Italia? Per evitare l’ipotesi più pericolosa – il commissariamento – occorre «cercare un forte alleato esterno», cioè gli Usa o l’Eurasia russo-cinese, cercando di «riformare l’istituto della Presidenza della Repubblica per limitare i suoi poteri di ingerenza». Se possibile, aggiunge Della Luna, bisognerebbe eleggere al Colle, appena possibile, «un personaggio non di parte euro-bancaria». Mattarella? «Potrebbe essere costretto a dimettersi dallo scandalo della magistratura, dato che per ben cinque anni è stato presidente del Csm, quindi conosceva bene e non denunciava ciò che ora, costretto dalle rivelazioni pubbliche, denuncia con enfatica prosopopea».Lo sbocco numero due sarebbe l’Italexit. «Dato che la struttura e gli effetti tecnici pianificati di euro e Ue sono di sottomettere e spogliare l’Italia, bisogna uscire». Sennonché, rileva Della Luna, per uscire dall’euro e dall’Ue «bisogna avere un governo coeso, con ministri competenti, indipendente dal Quirinale, in grado di sostenere lo scontro contemporaneo con questo, con la Ue e con la Bce». E anche capaci di gestire «la fase di transizione verso un nuovo assetto», risolvendo enormi problemi. Esempio: con che valuta pagare le materie prime? Come convertire la produzione industriale oggi integrata nella Ue? Come difendersi dalle ritorsioni? «Dato che queste condizioni allo stato mancano, non bisogna cercare di uscire ora, né andare ora allo scontro, che probabilmente finirebbe con un nuovo golpe», come quello che nel 2011 portò il “macellaio” Monti a Palazzo Chigi. Quanto al terzo ipotetico sbocco, cioè la riforma democratica dell’euro-sistema, per Della Luna sarebbe di gran lunga l’esito più desiderabile. Ma è anche assai difficile da attuare, «perché l’attuale assetto euro-comunitario è conforme ai piani e agli interessi dei potentati bancari che controllano l’Ue». Per Della Luna «vale la pena in ogni caso di tentare», anche perché il tentativo può portare alla “fuga” della Germania o al suicidio dell’Ue.Per tentare di costringere l’Ue ad adottare finalmente regole democratiche, secondo Della Luna «bisogna guadagnare qualche mese», periodo in cui «sostituire Mattarella e dotarsi di un governo coeso e competente con un idoneo ministro dell’economia», nonché «revocare i provvedimenti costosi e improduttivi in termini di Pil, emettendo invece provvedimenti sani e intelligenti (in modo che Bruxelles non possa imputare il malandare dell’economia italiana a misure economiche sbagliate e demagogiche». Bisognerebbe anche «smascherare e criticare a fondo le falsità, le aberrazioni, le iniquità e i conflitti di interesse nell’Ue, nella Bce e nei rapporti tra grande finanza e governi, insistendo fino a ottenere la messa in comune del debito pubblico, l’approvazione degli eurobot e dei minibot, il livellamento dell’extra-surplus commerciale tedesco, l’eguaglianza di tutti i paesi comunitari rispetto alle regole comuni». Quelle falsità, iniquità, aberrazioni e incompatibilità di interessi «sono tanto gravi, strutturali e oscene, che una campagna di informazione e denuncia ben fatta potrebbe avere effetti delegittimanti e devastanti per eurocrati ed eurobanchieri, perciò costituirebbe uno strumento forte per negoziare l’uscita dall’Eurolager».«Il governo Conte fa bene a piegarsi alle richieste di Bruxelles e ad evitare la procedura di infrazione (che comporterebbe un esproprio delle funzioni politico-economiche in favore degli eurocrati). E’ il male minore, oggi». Lo sostiene l’avvocato Marco Della Luna, acuto saggista euroscettico. «L’euro ha un effetto tecnico inevitabile: deindustrializzare l’Italia trasferendone le risorse e gli assets migliori a paesi più efficienti e dominanti entro la Ue: lo scopo fondativo dell’Ue è esattamente questo, e non solo nei confronti dell’Italia», scrive Della Luna nel suo blog. «Se l’Italia resta nell’euro e nell’Ue è destinata a una fine certa e miseranda, ma non a un tracollo immediato, perché – mentre è in corso il suo svuotamento – viene mantenuta in vita finanziariamente». Psicologia: «La gente non si ribella perché ha paura dei tracolli e dei sacrifici immediati e non pensa al lungo termine. Ed è per questo che la si può portare dove si vuole, quindi le si concede la “democrazia”». Aggiunge Della Luna: «Rompere la gabbia dell’euro e dell’Ue sarebbe pertanto un obiettivo da perseguire anche a costo di sacrifici, ma può farlo soltanto un governo unito, guidato da grandi economisti, sostenuto dal consenso popolare. Un governo capace di resistere alle pressioni, ai ricatti e alle ritorsioni dell’Ue, e al contempo di rimpiazzare l’euro e di ricollegare l’economia nazionale ai fornitori e clienti esteri di cui necessita, essendo la nostra un’economia di trasformazione molto dipendente dagli scambi internazionali».
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Perché l’Iran: Usa e Israele stan perdendo il Medio Oriente
Spirano venti di guerra nel Golfo Persico, dove all’inasprimento delle sanzioni economiche contro l’Iran si aggiunge un numero crescente di provocazioni militari: la speranza di Washington è che il regime iraniano imploda sotto il peso delle molteplici pressioni ma, data la solidità di quest’ultimo, non è neppure escludibile un attacco militare diretto, di qui al 2020. Meglio sarebbe, ovviamente, se Teheran cadesse nella trappola di attaccare per primo. Alla base della strategia angloamericana c’è sicuramente la volontà di mantenere la superiorità regionale di Israele, destabilizzando il principale avversario; c’è, però, anche la volontà di scardinare una potenza terrestre che, a fianco di Russia e Cina, sta “organizzando” il Medio Oriente con importanti infrastrutture. Nella nostra analisi geopolitica per il 2019, “Dal golfo di Biscaglia al Mar cinese”, non ci eravamo ovviamente scordati di menzionare l’Iran che, sin dall’inverno 2017/2018, era stato preso di mira dall’amministrazione Trump. Ai soliti tentativi di rivoluzione colorata, si è aggiunto, nel corso del 2018, un ritorno alle sanzioni, sospese durante l’era Obama: la presidenza democratica, già impegnata nella destabilizzazione della Siria (e nel tentativo di scatenare una guerra turco-iraniana), aveva infatti allentato la morsa sull’Iran, per impedire che questo si gettasse nelle braccia della Russia.“Persa la guerra” in Siria, per gli Usa è tornata prioritaria la caduta del regime iraniano, caduta che si spera di facilitare strangolando la sua economia e impedendo l’esportazione di idrocarburi. Inizialmente, gli Usa avevano concesso una “esenzione” di 180 giorni ai principali acquirenti di greggio iraniano, poi non rinnovata nell’aprile scorso: chi avesse continuato a fare affari con Teheran, sarebbe incappato nelle contromisure americane. L’ennesimo round di sanzioni (che, in sostanza, affliggono l’Iran dal 1979), colpisce duro soprattutto i paesi industrializzati o in via di industrializzazione dell’Asia: Turchia, India, Cina, Giappone e Sud Corea. Tokyo, quarta consumatrice mondiale di greggio e decisa a non appiattirsi completamente alla strategia angloamericana, si è fatta protagonista di una singolare iniziativa: benché il suo governo si sia impegnato a tagliare gli acquisti di greggio iraniano, Shinzo Abe è volato a Teheran (la prima visita di un premier giapponese nella Repubblica Islamica!) per stemperare le tensioni e, ovviamente, mettere in sicurezza gli approvvigionamenti energetici del Giappone, che sarebbe duramente colpito da uno choc petrolifero.“L’insubordinazione” giapponese, proprio mentre gli angloamericani erano impegnati a fare terra bruciata attorno all’Iran, è stata punita col classico attacco piratesco delle potenze marittime: mentre Shinzo Abe ed il presidente Hassan Rouhani erano a colloquio, due petroliere, di cui una giapponese (la Kokuka Courageous) sono state colpite il 13 giugno nello stretto di Hormuz, davanti alle coste iraniane. Inizialmente si è parlato di siluri, ma i danni sopra la linea di galleggiamento fanno propendere per l’impiego di missili: con un’incredibile sfacciataggine, il segretario di Stato Mike Pompeo ha prontamente accusato l’Iran. Il crescendo di tensioni e provocazioni (tra cui l’invio aggiuntivo di 1.000 soldati in Medio Oriente) è culminato con l’abbattimento, il 21 giugno, di un drone americano sopra i cieli iraniani. Il mondo, ora, aspetta col fiato sospeso gli sviluppi della vicenda: un attacco all’Iran, afferma il presidente russo Vladimir Putin, sarebbe «catastrofico». Il sogno angloamericano sarebbe, ovviamente, che il regime iraniano implodesse sotto il peso delle sanzioni o, perlomeno, attaccasse per primo: è, tuttavia, uno scenario irrealistico, vuoi per la comprovata resilienza del regime alle sanzioni, vuoi per la rinomata prudenza iraniana.Un attacco militare angloamericano, magari innescato da qualche “incidente di frontiera”, resta quindi una realistica opzione, di qui al 2020. L’Iran, intanto, ha dichiarato di voler procedere con l’arricchimento dell’uranio dopo il naugrafio degli accordi dell’era Obama. In questa sede, però, ci interessa soprattutto inquadrare lo scontro in un’ottica geopolitica, cioè nel più ampio scontro tra Terra e Mare. È indubbio che l’amministrazione Trump sia sensibilissima alle esigenze di sicurezza di Israele: abbattuto l’Iraq bahatista, fallito il tentativo di impiantare un “Sunnistan” tra Siria e Iran, Teheran è ormai in grado di proiettarsi sino al ridosso di Israele. La distruzione del regime iraniano è una priorità israeliana e, quindi, americana. Tuttavia, non bisogna mai scordare che Israele assolve anche a un’importante funzione per le potenze marittime: quella cioè di mantenere in costante instabilità il Medio Oriente ed impedire che qualche potenza continentale “organizzi” la regione.Turchia e Iran, due potenze dell’Heartland in termini mackinderiani, sono gli storici “organizzatori” del Levante e della Mesopotamia: un elemento che sicuramente ha contribuito alla decisione angloamericana di aumentare la pressione sull’Iran è stato, in parallelo al suo rafforzamento militare in Siria, la sua volontà, annunciata lo scorso aprile, di costruire una ferrovia transnazionale dall’altopiano iranico sino al Mediterraneo. Poco importa se su questa ferrovia dovessero viaggiare solo merci o turisti, in ogni caso l’Iran espanderebbe la sua influenza sino al mare, attirando nelle propria orbita i vicini, e, presto o tardi, renderebbe irrilevante Israele (e gli angloamericani). La natura geopolitica dello scontro in atto (dove per “geopolitico” si intende specificatamente la dialettica Terra-Mare) spiega anche la convergenza in atto dell’Iran verso le altre due potenze dell’Heartland per eccellenza, Russia e Cina. Mosca, impegnata nelle operazioni militari in Siria, ha sinora cercato di mantenere un certo equilibrio tra Israele e Iran: tuttavia, non c’è alcun dubbio che, qualora quest’ultimo fosse attaccato, la Russia fornirebbe assistenza militare attraverso il Mar Caspio per sostenere l’urto angloamericano.Il fronte meridionale della Russia è ora relativamente “in sicurezza”; lo sarebbe molto meno se il regime iraniano dovesse cadere. Un discorso analogo vale per la Cina: non solo l’Iran è una preziosa fonte di approvvigionamento di petrolio per Pechino, ma è anche un tassello chiave del corridoio centrale della Via della Seta, che dovrebbe portare i treni cinesi fino a Istanbul passando proprio per Teheran. Un attacco all’Iran, con il suo immediato contagio di caos e violenza a tutto il Medio Oriente, rischierebbe di ritardare per anni il corridoio centrale; un’implosione del regime per decenni. Ecco perché anche Pechino ha interesse a sostenere l’Iran in questo difficilissimo momento. Zbigniew Brzezinski aveva già previsto nel 1997, nel suo The Grand Chessbord, la possibile nascita di un’alleanza “anti-egemonica” (ossia anti-angloamericana) tra Russia, Cina e Iran. «Theresult could, at least theoretically, bring together the world’s lead-ing Slavic power, the world’s most militant Islamic power, and theworld’s most populated and powerful Asian power, thereby creating a potent coalition». Quest’alleanza è in nuce, e gli Usa stanno facendo di tutto per spingere verso la guerra il membro più debole del “blocco continentale”: se guerra sarà, Cina e Russia non staranno sicuramente a guardare.(Federico Dezzani, “Perché l’Iran”, dal blog di Dezzani del 21 giugno 2019. La traduzione del passo di Brzezinski: «Almeno teoricamente, potrebbero unirsi il principale potere slavo del mondo, la potenza islamica più militante del mondo e il potere asiatico più popoloso e potente del mondo, creando così una potente coalizione»).Spirano venti di guerra nel Golfo Persico, dove all’inasprimento delle sanzioni economiche contro l’Iran si aggiunge un numero crescente di provocazioni militari: la speranza di Washington è che il regime iraniano imploda sotto il peso delle molteplici pressioni ma, data la solidità di quest’ultimo, non è neppure escludibile un attacco militare diretto, di qui al 2020. Meglio sarebbe, ovviamente, se Teheran cadesse nella trappola di attaccare per primo. Alla base della strategia angloamericana c’è sicuramente la volontà di mantenere la superiorità regionale di Israele, destabilizzando il principale avversario; c’è, però, anche la volontà di scardinare una potenza terrestre che, a fianco di Russia e Cina, sta “organizzando” il Medio Oriente con importanti infrastrutture. Nella nostra analisi geopolitica per il 2019, “Dal golfo di Biscaglia al Mar cinese”, non ci eravamo ovviamente scordati di menzionare l’Iran che, sin dall’inverno 2017/2018, era stato preso di mira dall’amministrazione Trump. Ai soliti tentativi di rivoluzione colorata, si è aggiunto, nel corso del 2018, un ritorno alle sanzioni, sospese durante l’era Obama: la presidenza democratica, già impegnata nella destabilizzazione della Siria (e nel tentativo di scatenare una guerra turco-iraniana), aveva infatti allentato la morsa sull’Iran, per impedire che questo si gettasse nelle braccia della Russia.
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Crypto-Libra, allarme: deleghiamo il futuro a Zuckerberg?
La Libra – cryptocurrency di Facebook – potrebbe rappresentare un ulteriore attacco alla democrazia e alla sovranità del popolo e dei governi. La Libra potrebbe infatti diventare la prima risorsa monetaria davvero limitata e la sua erogazione sarebbe in mano a privati, senza alcuna responsabilità verso la collettività. Il 17 giugno abbiamo avuto la notizia del lancio della criptovaluta di Facebook: la Libra. Il giorno dopo c’è stata la tanto attesa conferenza stampa in cui Facebook ha presentato il suo progetto al mondo. La Libra si propone di diventare una nuova moneta globale, stabile e sicura. Eppure, in un clima in cui la società vive una involuzione antidemocratica perpetuata a colpi di finanza speculativa, la Libra sembra un ulteriore attacco alla democrazia. Per capire perché la Libra può rappresentare un pericolo dobbiamo fare un paio di salti indietro nel tempo fino al 1929 e alla Grande Depressione negli Stati Uniti, forse peccando di qualche semplificazione. Nel 1929, dopo anni di prosperità, crolla lo stock market americano ed ha inizio la più grande crisi economica del secolo. Nonostante gli “avvertimenti” del mondo della finanza, che metteva in guardia dal fare spesa pubblica a debito, in quanto lo avrebbero dovuto pagare le future generazioni (sic!), nel 1932 viene eletto presidente Usa Franklin Delano Roosevelt.Nel 1933, dichiarando che «l’unica cosa di cui avere paura è la paura stessa» e sfidando il mondo della finanza americano, Roosevelt lancia un grande piano di investimenti pubblici (quindi generando “debito pubblico”) volto a creare occupazione: il New Deal. Il piano funziona e l’economia americana riparte grazie ad un modello di sviluppo che verrà anche ripreso e migliorato, con il Piano Marshall, per il rilancio delle economie europee alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Grazie a questo intervento economico di tipo espansivo, l’economia americana si riprese, tanto da riuscire a sanare il debito iniziale. Nell 1944 ha luogo Bretton Woods. Viene negoziato un nuovo sistema monetario internazionale: 44 nazioni decidono di legare (“pegging”) il valore delle loro valute a quello del dollaro, il quale a sua volta viene legato al prezzo dell’oro. Nel 1971, il presidente americano Nixon, preoccupato dell’ammontare dei dollari in circolazione, slega il dollaro dal valore dell’oro (fine del “gold standard”). Le nazioni diventano così libere di lasciare che i mercati (e non le riserve d’oro nazionali) determinino il valore delle loro valute, e la quantità di moneta erogabile diventa virtualmente illimitata.Dopo il boom economico dei ’50 e dei ’60, negli anni ‘70 in Italia, ad un’alta spinta inflattiva si accompagnano anche un significativo aumento della qualità della vita e una crescente domanda di diritti sociali, civili ed economici. Tra gli anni ’80 e i ’90 inizia la globalizzazione: viene presentata come una grande opportunità per diffondere su scala globale benessere e democrazia, Stato sociale e Stato di diritto. Di fatto, la globalizzazione diviene un processo nel quale vengono deregolamentati i mercati, i flussi di capitali e il mondo della finanza, senza accompagnare alla globalizzazione economico-finanziaria istituzioni giuridiche capaci di regolamentarne le attività, nell’interesse della collettività. In questi anni comincia anche a realizzarsi il cosiddetto modello economico neoliberista. Questo modello diffonde una serie di dogmi, utili a tutelare gli interessi del mondo della finanza. Per evitare la svalutazione dei capitali accumulati, il neoliberismo considera l’inflazione come una cosa negativa; tratta la moneta come risorsa scarsa (se non limitata); ritiene che le banche centrali non debbano essere controllate da poteri politici in quanto questi potrebbero eccedere nell’erogazione della moneta, minandone il valore; ritiene che gli Stati debbano finanziarsi sui mercati, con tassi d’interesse determinati dai mercati stessi; che la moneta debba essere erogata dalla banche centrali con un tasso d’interesse; e relega la politica ad un ruolo subordinato rispetto alla finanza ed all’economia, le quali determinano cosa sia possibile o impossibile fare in base ai capitali disponibili ai governi (capitali finanziati dai mercati).In questo contesto arrivano le criptovalute. Monete private, la cui erogazione viene gestita autonomamente e non certo nell’interesse degli Stati e dei popoli. Finora, queste valute non hanno comportato un grande rischio: piuttosto una opportunità di investimento. La Libra è un’altra cosa. La Libra di Facebook nasce con la forza di una rete che conta 2.4 miliardi di persone in tutto il mondo e l’appoggio di colossi finanziari ed economici privati come Visa, Mastercard, Paypal, Coinbase, Spotify, eBay, Vodafone, Farfetch, Uber, Lyft e molti altri. La Libra ha la forza di cambiare la faccia sia del commercio che della finanza, diventando la vera valuta globale. Che problema c’è? Facebook ha prodotto un bel video che dimostra come questa valuta renderà le transazioni facili e sicure in tutto il mondo. Ma che vuol dire sicure? Sicure per chi? Al momento, Facebook ci tiene a rassicurare mercati, governi e persone, dicendo che il valore della monetà sarà “pegged” (legato) ad un paniere di valute nazionali. Ma cosa succederà se la Libra dovesse diventare, magari proprio grazie alla sua scarsità e globalità, una risorsa più appetibile delle valute legate alle banche centrali?La Libra sembra avere nella sua ‘raison d’etre’la lotta alla volatilità. Vuol dire forse che, in caso di contraccolpi o debolezza delle valute del paniere di riferimento, la Libra potrebbe staccarsi da queste? E nello scenario non troppo distopico in cui la Libra, nel tempo, diventasse una valuta più voluta e accettata delle valute legate alle banche centrali, potrebbe diventare persino una riserva internazionale, nelle mani di un privato? Stiamo per delegare l’economia dei governi, il finanziamento degli Stati e il Welfare State mondiale (lo Stato sociale mondiale) al buon cuore di Zuckerberg? Sono molte le domande e le preoccupazioni che sorgono di fronte alla nascita della Libra. Infatti, se è vero che negli ultimi anni la Dis-Unione Europea ha mostrato di favorire gli interessi di poteri economico-finanziari, rispetto a quelli della collettività, la Libra potrebbe portare il livello di conflitto economico ad un nuovo, imprevedibile livello. Noi del Movimento Roosevelt staremo bene attenti allo sviluppo di questo progetto. Certo, fa ridere come lo Stato italiano non possa fare i minibot, ma un ragazzo di New York di 35 anni abbia la fiducia per lanciare una nuova moneta, privata e globale. C’è molto da fare.(Marco Moiso, “Libra, attacco alla democrazia”, dal blog del Movimento Roosevelt del 21 giugno 2019).La Libra – cryptocurrency di Facebook – potrebbe rappresentare un ulteriore attacco alla democrazia e alla sovranità del popolo e dei governi. La Libra potrebbe infatti diventare la prima risorsa monetaria davvero limitata e la sua erogazione sarebbe in mano a privati, senza alcuna responsabilità verso la collettività. Il 17 giugno abbiamo avuto la notizia del lancio della criptovaluta di Facebook: la Libra. Il giorno dopo c’è stata la tanto attesa conferenza stampa in cui Facebook ha presentato il suo progetto al mondo. La Libra si propone di diventare una nuova moneta globale, stabile e sicura. Eppure, in un clima in cui la società vive una involuzione antidemocratica perpetuata a colpi di finanza speculativa, la Libra sembra un ulteriore attacco alla democrazia. Per capire perché la Libra può rappresentare un pericolo dobbiamo fare un paio di salti indietro nel tempo fino al 1929 e alla Grande Depressione negli Stati Uniti, forse peccando di qualche semplificazione. Nel 1929, dopo anni di prosperità, crolla lo stock market americano ed ha inizio la più grande crisi economica del secolo. Nonostante gli “avvertimenti” del mondo della finanza, che metteva in guardia dal fare spesa pubblica a debito, in quanto lo avrebbero dovuto pagare le future generazioni (sic!), nel 1932 viene eletto presidente Usa Franklin Delano Roosevelt.