Archivio del Tag ‘intolleranza’
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Salutare questo blog, dopo 14 anni di impegno quotidiano
Tragica primavera, quella che stiamo vivendo: oppressa da scenari lividi e dominata dalla menzogna, sia in Italia che sul fronte orientale, dove imperversa la ferocia del conflitto. Nel 2008 – quando avviai timidamente questo blog – non potevo certo immaginare che, 14 anni dopo, il nostro paese avrebbe inviato armi a uno Stato in guerra contro la Russia. Una nazione, l’Ucraina, affollata di milizie sfrontatamente neonaziste, addestrate dall’Occidente: formazioni protagoniste di un’atroce pulizia etnica contro le popolazioni russofone, sotto la protezione omertosa degli oligarchi di Kiev telecomandati da Washington. E invece siamo arrivati a questo: chiuso ogni spiraglio negoziale, Mosca è stata sostanzialmente indotta a ricorrere alle armi. Questo ha fornito il pretesto – lungamente inseguito – per espellere finalmente la Russia dalla “comunità internazionale” a guida occidentale, constatata l’impossibilità (per ora, almeno) di imporre un “regime change” capace di sfrattare dal Cremlino l’attuale leadership autocratica, intollerabilmente al potere da oltre due decenni.Qui sta la vera tragedia, par di capire: i russi, profondamente europei, verrebbero espulsi dall’Europa e tagliati fuori da qualsiasi possibile convivenza con l’Occidente. Come dire: si vorrebbe davvero congelare il mondo e imporre il prezzo di una guerra devastante, forse lunghissima, destinata a cambiare gli assetti del pianeta. Nel 2008, l’attenzione era puntata sui bankster di Wall Street e sulle spericolate promesse di Barack Obama. Poi sarebbero arrivate le primavere arabe, le tante rivoluzioni colorate sponsorizzate dal club di Soros (come il golpe in Ucraina) e le spietate guerre di aggressione in Libia e in Siria. Sarebbero comparsi i tagliagole dell’Isis, appena spentisi i dolori europei della crisi degli spread, con la Bce di Draghi che non aveva esitato a chiudere i bancomat ad Atene gettando i greci nella fame e nella disperazione. In Italia sarebbe spuntato Mario Monti, insieme al pareggio di bilancio inserito nella Costituzione, con la benedizione del Pd di Bersani e persino del detronizzato, ammutolito Berlusconi. Pallido sollievo, quello dell’effimero e velleitario Renzi, che infatti concesse all’establishment Usa la possibilità di utilizzare l’Italia come paese-cavia per la nuova frontiera dell’obbligo vaccinale.L’ossessione vaccinale era una oscura avvisaglia dei tempi che ci sarebbero franati addosso, di lì a poco, non appena i gestori della storia avessero deciso di allungare il passo verso la dimensione definitiva, pandemica, della grande crisi occidentale, andando a colpire essenzialmente Europa e Nord America, oltre alle estreme propaggini coloniali dell’uomo bianco, Australia e Nuova Zelanda. Queste, in pratica, le regioni del mondo maggiormente sottoposte all’inaudita severità della nuova austerity, quella sanitaria. Già alla fine del 2018 – da fonti indipendenti, orientali e occidentali – era giunta voce di un imprecisato disastro globale che sarebbe potuto esplodere nella primavera 2020, avente proprio l’Italia come epicentro europeo. Una sinistra previsione, puntualmente avveratasi. Sperimentata l’inaudita durezza del lockdown, ci è toccato assaggiare anche l’ultima sensazionale trovata del governo italiano, il coprifuoco. Si viveva letteralmente al buio: in una situazione di angosciosa sospensione della libertà, con l’illusione però che si potesse trattare, ancora, di misure solo temporanee.Sinceramente, non mi aspettavo che a Palazzo Chigi finisse per approdare Mario Draghi, né che Draghi – visto il suo recente dichiarato riposizionamento, in favore di politiche sociali – restasse poi invece totalmente allineato all’ultima versione del rigore europeo: ortodossia sanitaria (obbligo vaccinale), ortodossia socio-economica (Pnrr autoritario, dettato dall’Ue in salsa “gretina”) e ortodossia geopolitica (totale sottomissione all’antico “padrone” americano, anche a costo di esporre l’Italia a pesantissime ritorsioni). Inutile spendere parole sullo scenario parlamentare nostrano: Salvini e Meloni, l’eterno Pd, gli incresciosi grillini. Politica clinicamente morta, nelle tenebre di una società violentemente retrocessa nell’oscurantismo psico-sanitario e costretta a subire il Green Pass “cinese” come orizzonte permanente, destinato a incombere per sempre sulla vita di tutti, in mezzo alle macerie delle libertà costituzionali che furono. Ce ne sarebbe abbastanza per prendere in considerazione l’idea – già abbracciata da molti, del resto – di lasciare questo paese, proprio per manifesta impraticabilità democratica.E’ figlia di una lunga maturazione ormai giunta a termine, invece, la mia decisione di abbandonare questo blog: che tra pochi giorni, probabilmente, cesserà di esistere. Aggiornarlo in modo quasi quotidiano, per ben 14 anni, ha comportato un notevole impegno e prodotto anche una buona dose di stanchezza. A volte, il blog ha sbagliato mira: succede. Se non altro, ha cercato sempre di agire secondo una linea di fondo che fosse sostanzialmente coerente: ossia cercando spiegazioni eterodosse, magari sconcertanti, in grado però di rendere meno incomprensibili gli accadimenti. Dare voce alle fonti più disparate può concorrere a svelare trame, suggerire recondite motivazioni e illuminare possibili retroscena, al di là della fumogena versione ufficiale. Non credo occorra dilungarsi sulle prodezze del mainstream: a partire dal 2001 (Torri Gemelle) la narrazione dei grandi media – con pochissime eccezioni – ha imboccato il vicolo cieco della neo-verità orwelliana, ulteriormente rafforzata dalla censura di regime introdotta nel 2020 con il cosiddetto Covid-19 e ora estesa, ad libitum, grazie al gelo della nuova guerra mondiale in corso.Sommessamente, ricordo i nomi di due illustri dissidenti occidentali: lo statunitense Edward Snowden, riparato in Russia, e l’australiano Julian Assange, detenuto in Gran Bretagna (e presto, pare, estradato negli Usa, dove rischierebbe 150 anni di carcere per aver messo in luce le carneficine americane in Iraq e in Afghanistan). Personalmente, ebbi l’onore e il privilegio di collaborare con Giulietto Chiesa: si è improvvisamente spento il 26 aprile 2020, lasciandoci orfani di una voce profeticamente preziosa. In un certo senso, si sta avverando quello che aveva a lungo paventato: l’esplosione definitiva dell’intolleranza fisiologica, da parte dell’Occidente, per qualsiasi regime politico in grado di sfuggire al suo controllo, al suo potere ormai declinante. Giulietto Chiesa denunciava vigorosamente gli avversari della democrazia, palesi e occulti: i manipolatori che, in Europa e negli Usa – utilizzando l’esteriorità formale della democrazia, dopo averne svuotato la sostanza – si comportano esattamente come i leader dei paesi autoritari, dove la democrazia non esiste neppure sulla carta.Ora, l’attualità più recente ci ha riservato continue sorprese. Chi poteva aspettarselo, che gli italiani – medici compresi – avrebbero accettato di subire l’inoculo obbligatorio di strani sieri genici sperimentali? Chi sarebbe riuscito a immaginare che la maggioranza della popolazione si sarebbe piegata così facilmente a un simile ricatto, pur di continuare a lavorare e vivere? Ricatto imposto, in modo subdolo, da un regime che ha ingigantito un’emergenza patologica negando ostinatamente l’accesso a terapie efficaci, che avrebbero fatto crollare il numero dei ricoveri. Si è trattato di un vero e proprio “genocidio della verità”, che ha finito per terremotare le menti, sotto le bombe quotidiane della disinformazione panica. I danni sociali sono tangibili, ma forse incalcolabili; basta osservare la quantità di persone che ancora circolano all’aperto con la mascherina sul viso, avendo ormai accettato di vivere nella paura: anche per sempre, eventualmente. E’ sufficiente che una voce, dall’alto, spieghi loro – anzi: intimi – che così si deve fare, senza più lasciare spazio per alcuna discussione. E chi osa contraddire la versione ufficiale, ormai, viene letteralmente cancellato.Se fino all’altro ieri la minaccia era comunque relativamente selettiva (le crisi finanziarie pilotate, i terrorismi domestici), ora l’attacco è condotto in modo indiscriminato nei confronti della totalità della popolazione: hanno dichiarato guerra a tutti noi, ripeteva Giulietto Chiesa in tempi non sospetti, quando la caccia all’uomo non era ancora arrivata nelle nostre città e in ogni casa, in ogni famiglia, in ogni ufficio e in ogni scuola. Proprio la folle drammaticità della situazione, per contro, ha spinto milioni di persone – persino in Italia – a resistere a questo delirio. A insorgere moralmente sono gli italiani che hanno spento il televisore, i cittadini che hanno progressivamente imparato ad attingere informazioni da fonti alternative, dai tanti social, dai canali YouTube, dalla galassia dei blog. Una platea attenta e partecipe, matura, capace di affrontare anche psicologicamente la sfida più impegnativa: e cioè, prendere atto – dolorosamente – che la realtà è spesso lontanissima dalla versione dei fatti ufficialmente presentata, e che tante intime convinzioni (sedimentate attraverso i decenni) erano clamorosamente infondate.Gli infernali architetti dei lager nazisti confidavano proprio nella comprensibilissima incredulità dei più: non ammetteranno mai – si dicevano – la possibilità che qualcuno sia stato davvero capace di tanto. Ancora oggi, infatti, è lo scetticismo a dominare l’animo di chi ascolta le voci che dimostrano il flagrante, sanguinoso raggiro dell’11 Settembre: si stenta sempre a credere che possa davvero esistere un potere così cinico e smisuratamente stragista. La medesima incredulità ha accompagnato per decenni le segnalazioni degli ufologi, ancorché incoraggiate, in fondo, da tanta fantascienza: per questo suscitano grande sconcerto le recenti ammissioni del Pentagono sull’esistenza degli Ufo, ora ribattezzati Uap. Una ristretta minoranza di osservatori, oggi, tende a unire i puntini: se i libri antichi (compresa la Bibbia) sembrano proprio alludere a presenze come quelle, sovrastanti rispetto alla comunità umana, è davvero possibile che oggi qualcuno decida di separare in modo così tragico l’Est e l’Ovest, senza che questa scelta sia stata prima concertata, in qualche modo, con i misteriosi soggetti che sarebbero alla guida degli sfreccianti Uap?Ovvero: non è forse la stessa letteratura antica, da quella indiana a quella omerica, a descrivere il ruolo superiore delle “divinità” nella conduzione delle guerre terrestri, fatte combattere dagli umani? Sono semplici pensieri, questi, liberamente espressi, con i quali mi piace concludere questa mia personale narrazione, intrapresa 14 anni fa. Un lungo lasso di tempo – un battito di ciglia, nella vita dell’universo – nel quale però il mondo ha affrontato trasformazioni vertiginose e sempre più rapide. E resta un mistero, in fondo, la gran fretta che i gestori del pianeta hanno dimostrato, a partire dalla stranissima accelerazione imposta nel 2020 con l’introduzione dell’emergenza “pandemica”. Di fatto, questo gigantesco imbuto di sapore squisitamente zootecnico, fondato sulla paura e sulla frode, ha travolto centinaia di milioni di occidentali: ha revocato diritti e libertà, incanalando i cittadini lungo una strada che, a prima vista, sembra senza ritorno. Forse sarà la storia stessa, però, a incaricarsi di smentire i pessimisti: luce e ombra finiscono per rubarsi la scena a vicenda, attraverso le imprevedibili stagioni di quella che assomiglia a una sostanziale alternanza.Certo, i periodi di buio possono essere terribili e durare a lungo: ma non in eterno, se si tiene accesa la fiaccola della ragione. Credo sia questo, in fondo, il sentimento di chi si sforza di animare un blog: la consapevolezza di offrire un’opera, civica e volontaria, al servizio del proprio paese, nell’intento cioè di contribuire – nel suo piccolo, veicolando segnalazioni e analisi – alla crescita dell’opinione pubblica. Quell’opinione pubblica che, come me, oggi si augura innanzitutto una cosa, sopra tutte le altre: che possa cessare, al più presto, l’immane tragedia dell’Ucraina. Con questo stato d’animo prendo congedo dal blog che ho aggiornato quasi quotidianamente per tanti anni. La vita è fatta di stagioni, e c’è un tempo per tutto. Ringrazio quindi sinceramente ogni lettore, dal primo all’ultimo. Se chi ha apprezzato questo blog vorrà seguirmi ancora, lo aspetto nel mio nuovo diario web – libreidee.it – nel quale, credo, mi concenterò su considerazioni più meditate, non necessariamente giornalistiche e non sempre legate in modo diretto all’impetuoso precipitare dell’attualità. Bene, è tutto. Mi auguro che questo periodo di tenebra, se non altro, possa continuare a svegliare di chi ancora sonnecchia, senza capire perché il mondo sta precipitando.(Giorgio Cattaneo, 25 marzo 2022).Tragica primavera, quella che stiamo vivendo: oppressa da scenari lividi e dominata dalla menzogna, sia in Italia che sul fronte orientale, dove imperversa la ferocia del conflitto. Nel 2008 – quando avviai timidamente questo blog – non potevo certo immaginare che, 14 anni dopo, il nostro paese avrebbe inviato armi a uno Stato in guerra contro la Russia. Una nazione, l’Ucraina, affollata di milizie sfrontatamente neonaziste, addestrate dall’Occidente: formazioni protagoniste di un’atroce pulizia etnica contro le popolazioni russofone, sotto la protezione omertosa degli oligarchi di Kiev telecomandati da Washington. E invece siamo arrivati a questo: chiuso ogni spiraglio negoziale, Mosca è stata sostanzialmente indotta a ricorrere alle armi. Questo ha fornito il pretesto – lungamente inseguito – per espellere finalmente la Russia dalla “comunità internazionale” a guida occidentale, constatata l’impossibilità (per ora, almeno) di imporre un “regime change” capace di sfrattare dal Cremlino l’attuale leadership autocratica, intollerabilmente al potere da oltre due decenni.
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Ddl Zan, tutti in ginocchio: clericalismo imposto per legge
«Egregio Presidente Draghi ed egregi confratelli della Loggia Laica del Grande Occidente, se volete davvero difendere la laicità dello Stato, del governo e del Parlamento italiano, dovete prendere meglio la mira. Scappucciatevi per vedere bene la realtà circostante. Non è la Chiesa cattolica apostolica romana, e tantomeno la Chiesa bergogliana, umanitaria e accogliente, a vagheggiare il ritorno a uno Stato confessionale, prono ai precetti religiosi e teso a restaurare la devozione popolare». Così Marcello Veneziani, su “La Verità”, smaschera il “nuovo clericalismo” che si vorrebbe imporre per legge, col Ddl Zan contro l’omofobia. «Per una volta – in modo magari maldestro, “gesuitico” e un po’ vile, appellandosi al Concordato – la Chiesa ha perorato il suo contrario, ha sposato una causa che più laica non si può: si è richiamata alle leggi, alla libertà di pensiero e di espressione, messa in pericolo dalla Legge Zan». Non è ingerenza nella vita laica dello Stato e della politica italiana, «nemmeno paragonabile alle numerose ingerenze della Chiesa bergogliana in tema di migranti, modelli sociali ed economici, giudizi politici e ideologici».Al contrario, scrive Veneziani, stavolta il Vaticano chiede di fermare «l’ingerenza di una legge, col relativo strascico d’intimidazione psicologica e ideologica, nella vita dei cittadini, non solo credenti e praticanti, se solo trasgrediscono ai precetti della nuova religione bioetica imposta al culto di tutti». Insiste Veneziani: «Se volete difendere davvero la laicità dello Stato, della politica, del governo e del Parlamento italiano, abbiate il coraggio di affrontare il nuovo clericalismo e la nuova Inquisizione che stanno instaurando in Italia e in Occidente le leggi, le proposte, i comitati di vigilanza, denuncia e sconfessione, che sorgono qua e là nel nostro paese a difesa e protezione della nuova religione umanitaria fondata sull’antifascismo, l’antirazzismo e l’antiomotransfobia». Una religione “anti”, molto curiosa, «imperniata sul principio di “odiare gli odiatori”, “perseguitare i persecutori”, farsi intollerante con gli intolleranti». Con la differenza che i presunti odiatori, persecutori e intolleranti «sono in larga parte inermi, innocui, e non dispongono del potere e delle armi di cui dispone la nuova Macchina dell’Inquisizione che dovrebbe colpirli a norma di legge».Il meccanismo ideologico-punitivo, secondo Veneziani, si fonda su un’inversione: ogni tentativo di difendere la famiglia o proteggere i bambini o di tutelare la sovranità nazionale e la civiltà in pericolo «viene letta e condannata al contrario come attacco a gay e trans o razzismo contro neri e migranti». Ragionando con la mente sgombra e senza «imbecillità di gregge e conformismo ideologico», ci si accorge che alla vita laica di tutti i giorni verrebbe applicato «un protocollo clericale fatto di processi alle intenzioni, catechismi impartiti in tutte le sedi, a cominciare dai bambini, caccia alle streghe, battesimi e cresime progressiste o al contrario scomuniche, esorcismi e sospensioni a divinis, inginocchiatoi e santini, devozioni e ricorrenze, nel nome di quel canone ormai sacro che ci nausea ripetere per l’ennesima volta: il politically correct e i suoi derivati tossici». Nel dettaglio, «la blasfemia, l’oltraggio alla religione, la bestemmia e la dissacrazione posti una volta a tutela della religione vengono trasferiti pari pari alle nuove categorie protette: neri senza g di mezzo, femministe del me-too, omotrans e affini, rom e altre categorie minori».«Non si può nemmeno fare una battuta su di loro, è ritenuta e punita come blasfemia», come se si trattasse di proteggere entità “intoccabili”, introducendo il reato d’opinione (di cui si occuperà «la Nuova Laica Inquisizione»). «Come chiamate tutto questo se non clericalismo, riduzione della laicità a uno Stato confessionale, regime teocratico col nuovo Dio Nero-Arcobaleno? E come chiamate i nuovi imam, i nuovi muezzin, i nuovi ayatollah che queste leggi stanno partorendo nei tribunali, nelle commissioni di vigilanza, nei comitati politici?». Clero, risponde Veneziani: «Sono clero, alle cui dirette dipendenze lavora la polizia psicopolitica, i nuovi battaglioni della Santa Fede. Il servizio d’ordine del Pci e di Lotta Continua è diventato ora milizia di stato della Nuova Religione Umanitaria. E se non ti puniscono in modo esemplare, ti intimano quanto meno di cospargerti il capo di cenere: Chiedi Scusa! Inginocchiati! Fai la penitenza! Recita l’atto di Contrizione, dieci Avemarie al gay profanato, cento Paternoster al Migrante dissacrato, ricordati di Santificare le lesbiche». Accusa Veneziani: «Il nuovo clericalismo da cui dovremmo difendere la laicità dello Stato e delle istituzioni è proprio quello che state elevando sugli altari e i tribunali a norma di legge».«Egregio Presidente Draghi ed egregi confratelli della Loggia Laica del Grande Occidente, se volete davvero difendere la laicità dello Stato, del governo e del Parlamento italiano, dovete prendere meglio la mira. Scappucciatevi per vedere bene la realtà circostante. Non è la Chiesa cattolica apostolica romana, e tantomeno la Chiesa bergogliana, umanitaria e accogliente, a vagheggiare il ritorno a uno Stato confessionale, prono ai precetti religiosi e teso a restaurare la devozione popolare». Così Marcello Veneziani, su “La Verità”, smaschera il “nuovo clericalismo” che si vorrebbe imporre per legge, col Ddl Zan contro l’omofobia. «Per una volta – in modo magari maldestro, “gesuitico” e un po’ vile, appellandosi al Concordato – la Chiesa ha perorato il suo contrario, ha sposato una causa che più laica non si può: si è richiamata alle leggi, alla libertà di pensiero e di espressione, messa in pericolo dalla Legge Zan». Non è ingerenza nella vita laica dello Stato e della politica italiana, «nemmeno paragonabile alle numerose ingerenze della Chiesa bergogliana in tema di migranti, modelli sociali ed economici, giudizi politici e ideologici».
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“Bogre”, Fredo Valla: il mio film sul massacro dei Catari
«I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto», sono parole di Pierre Bayle (1647-1706), filosofo francese contemporaneo di Spinoza, che, perseguitato per la sua fede ugonotta, si rifugiò a Rotterdam nei Paesi Bassi. Parole che mi sono state di ispirazione nella realizzazione del mio ultimo film documentario “Bogre – la grande eresia europea”. Film dedicato alla storia dei “bogre” (si legge bugre), ossia dei Bogomìli bulgari, cristiani dualisti, e della loro filiazione in Occidente, i Catari della Francia del Midì (l’Occitania dei Trovatori), dell’Italia settentrionale e centrale, delle Fiandre, della Germania e della Bosnia. Tra loro non si dicevano Catari, né Bogomìli, ma buoni uomini o buoni cristiani. Tuttavia, in Occitania, in segno di disprezzo, li dissero “bogre”, che significa bulgaro, per la derivazione dall’eresia sorta nel X secolo nelle terre balcaniche.In Italia, il catarismo trovò terreno fertile a partire dal XI secolo, con forti comunità di buoni uomini a Desenzano, Concorezzo (Milano), Piacenza, Cremona, Sirmione, Verona, Marca Trevigiana, Firenze, Spoleto, Orvieto e, in Piemonte, a Monforte d’Alba, Roccavione, Cuneo e Acqui. Alcuni studiosi pensano che ai tempi di Farinata degli Uberti, una buona percentuale di fiorentini fosse catara. I rapporti fra le chiese catare d’Occitania, Italia e Bosnia con i bogomili di Bulgaria furono frequenti, perlomeno fino al XIII secolo, con un flusso dai Balcani di libri dottrinali e la partecipazione ai concili, favorito dai commerci e dal passaggio delle crociate verso la Terrasanta. A testimonianza della ricchezza di contatti e scambi in un’Europa medievale che siamo abituati a pensare chiusa e isolata.In Occidente il catarismo si propose come alternativa alla Chiesa di Roma. Per questo motivo nel 1209 Papa Innocenzo III scatenò contro i Catari una crociata di cristiani contro cristiani, chiamando a raccolta baroni e cavalieri del nord della Francia, coraggiosi ma spiantati – un po’ come i conquistadores spagnoli in Messico e Perù – promettendo loro la salvezza eterna e i ricchi feudi della Linguadoca. Il colpo più duro lo diede nuovamente il Papa nel 1230, con l’istituzione dei tribunali dell’Inquisizione, che crearono un clima di terrore e di delazione, che non può non portare alla mente il terrore staliniano. Ultima a resistere fu la Bosnia, dove il catarismo si estinse nella seconda metà del XV secolo con la conquista ottomana, quando la dottrina originaria già si stava esaurendo in un sincretismo religioso compromesso col potere.In che cosa credevano Bogomìli e Catari? Essenzialmente distinguevano fra Spirito e Materia. Tutto ciò che appartiene allo Spirito è stato creato dal Dio Buono, mentre tutto ciò che è Materia (quindi anche i corpi umani) sono creatura di un Demiurgo, Dio del Male o Demonio a seconda del nome che gli si voleva attribuire. In questo modo essi rispondevano alla domanda delle domande: Unde malum? Perché il Male? Il Male esiste – dicevano – perché esiste un Dio del Male. Sono anni che faccio documentari e mi occupo di lingua e di cultura occitana, quindi la vicenda dei Catari ha attraversato la mia vita. Poi nel 2005 ho avuto l’occasione di cominciare una collaborazione con Antonio e Pupi Avati, che producevano una serie di puntate sui paesi dell’Est per “Tv2000″. A me fu assegnata la Bulgaria. Là conobbi Axinia Dzurova, studiosa di testi slavi e glagolitici.Axinia, allieva di Ivan Dujcev, tra i maggiori studiosi dei Bogomili, mi rivelò – e fu una vera rivelazione – le relazioni fra Bogomìli e Catari. Da qui l’idea del film, per raccontare un’eresia europea che nessun film aveva mai raccontato. Tra il 2016 e il 2017 ho lavorato alla scrittura. Le prime riprese sono state in Bulgaria, nell’autunno del ’17, là dove la vicenda di questi eretici ha preso le mosse. A marzo di quest’anno, “Bogre” ha esordito con successo al Film Festival Internazionale di Sofia ed è un po’ come se si fosse chiuso un cerchio, come se il film cominciasse la sua strada da dove tutto è iniziato. Ma “Bogre” ha una storia particolare anche per ciò che riguarda il reclutamento della troupe, composta da ex allievi e collaboratori de “l’Aura”, la scuola di cinema che ho fondato col mio sodale Giorgio Diritti a Ostana, paese delle Alpi occitane davanti al Monviso. Girare è stato come fare scuola sul campo. Una bella soddisfazione, per me e per gli allievi che sono cresciuti facendo.“Bogre – la grande eresia europea” si presenta come un evento anche a partire dalla durata, 200 minuti, in cui chiedo allo spettatore di essermi complice, di entrare con me nella bolla e abbandonarsi alle immagini e alle parole del racconto. Per questo il film va visto al cinema e non in tivù. Duecento minuti che sono una scelta di linguaggio, in cui il film si dipana e si mostra nel suo farsi, con la mia troupe in scena, o io e il mio montatore, Beppe Leonetti che è anche co-produttore con Chambra d’Oc e Lontane Province, in sala montaggio. Ho sempre pensato che un film dura quanto deve durare. Questa volta mi sono sentito libero: come i Catari e i Bogomili. “Bogre” è un film sulla libertà di pensiero, sul diritto di scegliere (eresia significa scelta), su un’idea di giustizia in opposizione ai poteri intolleranti. Le vicende di questi eretici trovano un parallelo in storie a noi più vicine, come la Shoah, il genocidio armeno, l’intolleranza verso chi è diverso da noi e viene a “invadere” l’Occidente civilizzato. I “bogre” di oggi! Una storia estirpata dai libri di storia che ritorna, perché, ahimé, il male non finisce.(Fredo Valla, “Bogre, il mio film sulla libertà di pensiero, sul diritto di scegliere, su un’idea di giustizia contro i poteri intolleranti”, da “La Stampa” dell’8 giugno 2021. Autore, regista e sceneggiatore, Fredo Valla ha curato il copione di film come “Il vento fa il suo giro” e “Un giorno devi andare”, diretti da Giorgio Diritti. E’ un instancabile difensore della minoranza linguistica occitanica e della sua antica cultura, che sopravvive nelle valli alpine cuneesi e nel Sud della attuale Francia).«I perseguitati non hanno sempre ragione, ma i persecutori hanno sempre torto», sono parole di Pierre Bayle (1647-1706), filosofo francese contemporaneo di Spinoza, che, perseguitato per la sua fede ugonotta, si rifugiò a Rotterdam nei Paesi Bassi. Parole che mi sono state di ispirazione nella realizzazione del mio ultimo film documentario “Bogre – la grande eresia europea“. Film dedicato alla storia dei “bogre” (si legge bugre), ossia dei Bogomìli bulgari, cristiani dualisti, e della loro filiazione in Occidente, i Catari della Francia del Midì (l’Occitania dei Trovatori), dell’Italia settentrionale e centrale, delle Fiandre, della Germania e della Bosnia. Tra loro non si dicevano Catari, né Bogomìli, ma buoni uomini o buoni cristiani. Tuttavia, in Occitania, in segno di disprezzo, li dissero “bogre”, che significa bulgaro, per la derivazione dall’eresia sorta nel X secolo nelle terre balcaniche.
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Pura magia: la scienza diventa religione, negando la verità
Il metodo socratico rappresenta un elemento portante nello sviluppo epistemologico, cui si ispireranno sia l’età dell’Umanesimo che quella dell’Illuminismo, dove l’interesse per la scienza troverà massima espressione, elevandosi a ideale contro l’oscurantismo, l’intolleranza e ogni forma di assolutismo. L’approccio odierno alla scienza la allontana notevolmente dal suo fine massimo di raggiungimento del sapere quale emancipazione dell’essere umano, attraverso il percorso arduo e incessante della ricerca della conoscenza. Al contrario, lo scientismo attuale costringe l’individuo dentro una gabbia ristretta di norme e dogmi che appaiono imperscrutabili al comune intelletto, divenendo roccaforte di un gruppo di eletti, forti del prestigio conferito loro dall’appartenenza a enti rappresentativi del sapere in quello specifico settore. Rinnegando la strada percorsa dai grandi scienziati del passato che pagarono con la propria vita l’aver messo in dubbio le credenze contemporanee, gli attuali preferiscono muoversi nel solco del conformismo e dell’omologazione. Non c’è spazio per il dubbio, elemento fondamentale della ricerca della sapienza, ma solo per l’assertività, la dogmaticità inconfutabile e autoreferenziale delle proprie affermazioni. Uno scientismo imperante e anti-dialogico sta contaminando tutti gli ambiti della conoscenza, con una smania positivista che ha pervaso persino le scienze umane.
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Veneziani: politically correct, una piaga violenta e ignorante
Ma cos’è esattamente il politically correct? Lo citiamo ogni giorno senza magari coglierne tutto il significato. Provo a offrire una breve guida, un sunto critico e un succo concentrato. Per cominciare, il politicamente corretto è un canone ideologico e un codice etico che monopolizza la memoria storica, il racconto globale del presente e prescrive come comportarsi. Nasce dalle ceneri del ’68, cresce negli Usa e nel nord Europa, si sviluppa sostituendo il comunismo con lo spirito radical (o radical chic secondo Tom Wolfe) e sostituendo l’egemonia marxista e gramsciana col “bigottismo progressista” (come lo definisce Robert Hughes). Rompe i ponti col sentire popolare, non rappresenta più il proletariato, almeno quello delle nostre società; separa i diritti dai doveri e li lega ai desideri, rigetta i limiti e i confini personali, sociali, sessuali e territoriali, nel nome di una libertà sconfinata, sostituisce la natura col volere dei soggetti. E sostituisce l’anticapitalismo con l’antifascismo, aderendo all’establishment tecno-finanziario di cui intende accreditarsi come il precettore.Il politically correct è una forma di riduzionismo ideologico che produce le seguenti fratture: a) riduce la storia, l’arte, il pensiero e la letteratura al presente, nel senso che tutto quel che è avvenuto va letto, riscritto e giudicato alla luce del presente, in base ai canoni corretti e ai generi; b) riduce la realtà al moralismo, nel senso che rifiuta le cose come sono e le riscrive come dovrebbero essere in base al suo codice etico e gender; c) riduce la rivoluzione vanamente sognata nel Novecento e nel ’68 alla mutazione lessicale, nel senso che non potendo cambiare la realtà delle cose e l’imperfezione del mondo si cambiano le parole per indicarle, adottando un linguaggio ipocrita e rococò; d) riduce le differenze ideologiche a una superideologia globale o pensiero unico, che se si nega come tale. Alle quattro riduzioni di cui sopra, il politically correct aggiunge una serie di sostituzioni: 1) sostituisce il sentire comune, l’interesse popolare, il legame famigliare e comunitario con la priorità assegnata ad alcune diversità e minoranze, ritenute discriminate o emarginate. E adotta uno schema vittimistico: non sono i grandi, gli eroi, i geni a meritare onori, strade, elogi unanimi ma le vittime (retaggio cristiano, notava René Girard).2) sostituisce la preferenza per ciò che è nostrano – la nostra identità, le nostre tradizioni, il nostro modo di vedere, la nostra civiltà e religione, i nostri legami e le nostre appartenenze – con la preferenza per tutto ciò che è remoto – le culture e i costumi altrui, i migranti, i mondi lontani, le ragioni di chi viene da fuori (quella che Roger Scruton chiamava oicofobia); 3) sostituisce l’antica dicotomia tra il compatriota e lo straniero, o quella politico-militare tra l’amico e il nemico con la dicotomia tra il Bene e il Male, per cui chi non è allineato al canone non è uno che la pensa differentemente né un avversario da combattere ma è il male assoluto da sradicare e annientare. Col nemico si può arrivare a patti, lo puoi sconfiggere e sottomettere; il Male no, va cancellato e dannato nella memoria. 4) sostituisce l’oppositore, il dissidente, l’antagonista col razzista, nemico dell’umanità, del progresso e della ragione. E gli riserva un trattamento a metà strada fra la patologia e la criminologia, accusandolo di fobie: è omofobo, sessuofobo, islamofobo, xenofobo, e via dicendo.Di conseguenza non c’è contesa con lui, ma lo si isola tramite cordone sanitario, lo si affida alla profilassi medica e prevenzione nelle scuole, università, media; o quando il caso è conclamato, lo si affida ai tribunali e alla condanna. Il pregiudizio ideologico riduce i dissidenti al rango di pregiudicati, ovvero di condannati dalla storia, dal progresso, dalla ragione. Non conflitti ma bombe umanitarie, operazioni di polizia culturale o internazionale. Per il politically correct la realtà, la natura, la famiglia, la civiltà finora conosciute, vissute e denominate, sono sbagliate. Il politicamente corretto è il moralismo in assenza di morale, il razzismo etico in assenza di etica, il bigottismo in assenza di religione. Ecco, in breve il politically correct. Postilla finale dedicata a come si reagisce. Chi rifiuta l’imposizione del politicamente corretto e reagisce con l’insulto contro i suoi totem e i tabù, entra a pieno titolo nel suo gioco e ne conferma l’assunto e l’assetto: visto, che avevamo ragione a dire che il razzismo, l’odio, l’intolleranza albergano nei nostri nemici? È una forma stupida e istintiva di risposta che rafforza il politically correct.Non migliore sul piano dell’efficacia è la risposta opposta, mimetica, di chi sta al gioco, asseconda, tace o compiace, rispondendo con ipocrisia all’ipocrisia parruccona del politicamente corretto. Anche in questo caso si resta sul suo terreno, si fa il suo gioco, si mira a una sopravvivenza immediata e individuale pregiudicando in prospettiva una visione alternativa più ampia. Spesso ci si limita a opporre all’ideologia la realtà, alla sua narrazione la vita pratica. Invece, partendo da quella, si dovrebbe tentare lo sforzo opposto: smontare i loro tic, totem e tabù, usando l’arma dell’intelligenza, del paragone culturale, del senso critico e ironico. E indicando percorsi alternativi, letture diverse, altre priorità. Qui, purtroppo, l’intolleranza degli uni s’imbatte nell’insipienza degli altri, frutto di ignoranza, ignavia e indifferenza. Se il politically correct domina, è anche perché non trova adeguate risposte. Solo imprecazioni e silenzi. La città è nelle mani degli stolti, dissero al sovrano i messi di una città in rivolta; ma i “savi” nel frangente che facevano, chiese loro il Re Carlo d’Angiò? Domandiamocelo pure noi.(Marcello Veneziani, “Corso intensivo sul politicamente corretto”, da “La Verità” del 16 febbraio 2020).Ma cos’è esattamente il politically correct? Lo citiamo ogni giorno senza magari coglierne tutto il significato. Provo a offrire una breve guida, un sunto critico e un succo concentrato. Per cominciare, il politicamente corretto è un canone ideologico e un codice etico che monopolizza la memoria storica, il racconto globale del presente e prescrive come comportarsi. Nasce dalle ceneri del ’68, cresce negli Usa e nel nord Europa, si sviluppa sostituendo il comunismo con lo spirito radical (o radical chic secondo Tom Wolfe) e sostituendo l’egemonia marxista e gramsciana col “bigottismo progressista” (come lo definisce Robert Hughes). Rompe i ponti col sentire popolare, non rappresenta più il proletariato, almeno quello delle nostre società; separa i diritti dai doveri e li lega ai desideri, rigetta i limiti e i confini personali, sociali, sessuali e territoriali, nel nome di una libertà sconfinata, sostituisce la natura col volere dei soggetti. E sostituisce l’anticapitalismo con l’antifascismo, aderendo all’establishment tecno-finanziario di cui intende accreditarsi come il precettore.
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Bizzi: ci schiavizzano mentendo, come previsto da Orwell
Ripubblicare oggi, nel giugno del 2020, un’opera come “1984″ di George Orwell «non rappresenta soltanto un preciso dovere culturale ed editoriale». Rappresenta, anche e soprattutto, «un chiaro messaggio politico e di denuncia sociale». Mai prima d’ora, infatti, dal 1949 – l’anno in cui Eric Arthur Blair (il vero nome di Orwell) pubblicò a Londra la sua ultima e più nota opera letteraria, “Nineteen Eighty-Four” – il mondo in cui viviamo ha rischiato realmente di precipitare nei cupi e allucinanti scenari, così mirabilmente descritti da questo scrittore singolare e visionario. Lo scrive lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, nel presentare (insieme a Marco Della Luna) una riedizione dell’incubo del Grande Fratello in piena era Covid. «Molto probabilmente – scrivi Bizzi, nella prefazione – la drammatica situazione che stiamo ancora vivendo a livello globale sarà un giorno menzionata nei libri di scuola dei nostri figli e nipoti come il più grande inganno degli ultimi secoli». Un grande inganno «perpetrato, ai danni dei popoli, da una certa élite di potere che, con il pretesto di una falsa pandemia e servendosi di un “virus” abilmente ingegnerizzato in laboratorio, ha tentato di accelerare (per tutta una serie di ragioni che andremo a spiegare) il progetto di instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale».Un Nuovo Ordine Mondiale «già da molto tempo pianificato ed annunciato, fondato sul forzato depopolamento e sul controllo tecnocratico totale dei cittadini di un mondo sempre più globalizzato». Gli strumenti: progressiva accentrazione di tutte le risorse e le ricchezze, e distruzione delle identità etniche, nazionali, culturali e religiose. E graduale restringimento, fino ad arrivare alla totale eliminazione, dei diritti civili e delle libertà democratiche sanciti dalle vigenti costituzioni nazionali. «Diritti civili e libertà democratiche conquistati dai popoli con il sangue, attraverso secoli di incessanti lotte e battaglie». Come ricorda lo stesso Della Luna, avvocato e scrittore di successo nonché autore (insieme a Bizzi) dei testi inediti che concorrono alla prefazione a questa riedizione del capolavoro di Orwell, oggi i popoli della Terra «sono divenuti superflui», perché i metodi di produzione del potere e della ricchezza «si sono accentrati nel controllo di poche grandi famiglie dinastiche». Un’oligarchia che «decide a porte chiuse, sopra quanto rimane delle istituzioni delle democrazie formali nazionali». Oligarchie che «non necessitano più delle masse di lavoratori, consumatori, combattenti di cui necessitava fino a non molto tempo fa il capitalismo industriale produttivo».Di conseguenza, «cittadini e lavoratori hanno perso quella capacità di negoziare che fino all’altroieri ha rappresetato forse la sua unica e ultima risorsa». Cittadini che quindi «stanno inesorabilmente perdendo reddito, diritti, sicurezze, voglia di far figli». In sintesi, scrive Bizzi, stanno perdendo il loro stesso futuro, «condannati a una prospettiva di vita forse ancora peggiore di quella decrittaci da Orwell nel suo romanzo». Ciò che sta accadendo dall’autunno del 2019, «con il rilascio (intenzionale) il 19 di ottobre a Wuhan, in Cina, di un virus ingegnerizzato in laboratorio e con la sua propagazione palesemente “anomala”», cioè saltando letteralmente (a parte la Corea) tutte le nazioni confinanti con la Cina e diffondendosi direttamente in paesi come l’Iran, l’Italia, gli Stati Uniti e il Brasile. Su Facebook, già il 29 aprile, Bizzi le aveva chiamate “Prove tecniche di dittatura”, evidenziavo le inquietanti analogie tra gli strumenti e i metodi repressivi in uso nei paesi dell’Est Europa al tempo della Guerra Fredda e le misure «antidemocratiche e anticostituzionali» adottate in Italia dal governo Conte «con il pieno avvallo del Capo dello Stato, senza alcun voto parlamentare e con la totale connivenza e complicità delle cosiddette “opposizioni”».Impietoso, il parallelo tra il 2020 e la vita nei paesi del cosiddetto “socialismo reale” prima della caduta del Muro di Berlino. Primo punto: controllo totale dei cittadini, dei loro spostamenti e delle loro telefonate. «All’epoca non esistevano certe “applicazioni”, ma lo Stato non si faceva sfuggire niente, con l’impiego massiccio e sistematico di semplici ma efficienti metodi “tradizionali”, quali intercettazioni, pedinamenti, posti di blocco, e ricorrendo ad una estesa rete di delatori», ricorda Bizzi. «Ognuno era pronto, per paura e per evitare a sua volta di essere additato come un “nemico dello Stato”, a denunciare il proprio vicino, perfino i propri amici e familiari». Ci ricorda qualcosa di vicinissimo a noi? «Con il pretesto dell’instaurazione dapprima di “zone rosse” e poi di un lockdown esteso all’intero territorio nazionale, in spregio ai più elementari diritti sanciti dalla Costituzione, sessanta milioni di cittadini italiani sono stati di fatto costretti agli arresti domiciliari, con la simultanea forzata chiusura di oltre il 90% delle attività produttive e degli esercizi commerciali e con il divieto di spostamento e di libera circolazione».Agli italiani non è stato impedito solo di lavorare, e quindi di mantenere la propria famiglia, ma è stato loro “consentito” di uscire di casa «solo per ragioni di stretta necessità, uno solo per nucleo familiare, e con il divieto di allontanarsi a più di duecento metri dal proprio domicilio!». E ovunque, posti di blocco e pattuglie «a vigilare su una simile follia». Forze dell’ordine «incredibilmente potenziate per l’occasione, con l’acquisto di migliaia di nuovi automezzi, camionette blindate, elicotteri, droni e un notevole incremento di organico». Un’operazione dispendiosissima, sostiene Bizzi, «che poteva essere pianificata solo con diversi mesi di anticipo», e riguardo alla quale «nessun parlamentare di “opposizione” si è degnato di indagare o di avanzare un’interrogazione». Ciliegina sulla torta, «il ricorso alla sistematica delazione, da parte di vicini di casa improvvisatisi ignominiosamente spie da balcone, per l’individuazione e il sanzionamento dei “trasgressori”». Un controllo ferreo, agevolato dal punto 2 dell’operazione: totale censura e piena omologazione della stampa e delle televisioni al pensiero unico, proprio come avveniva nei regimi dell’Est Europa.«Esattamente quello che è successo e che sta ancora (mentre scrivo) succedendo in Italia: sistematica censura delle notizie “scomode” e arbitraria cancellazione o rimozione – da siti Internet, social network come Facebook e Twitter e da piattaforme come Youtube – di articoli, interviste, testimonianze e video che osavano mettere in discussione il pensiero unico imposto dal regime». Sconcertante, il “ministero della verità” istituito a Palazzo Chigi da Andrea Martella (Pd) per “bonificare” il web dalle notizie scomode. A questo si sono aggiunte «azioni di censura e di delegittimazione (fino al vero e proprio linciaggio mediatico) di politici, intellettuali, giornalisti, medici e scienziati che non si allineano con la narrazione imposta dal governo». E’ la legge della “società fondata sulla menzogna” (terzo caposaldo, per Bizzi, dei regimi coministi). La prassi: «Falsificazione totale dei dati economici e delle statistiche». Ovvero: «A dispetto di ogni evidenza, ciò che lo Stato affermava e comunicava ai cittadini diveniva verità assoluta e doveva essere accettato alla stregua di un dogma di fede». Anche in questo caso, in Italia «continua ad esserci una spudorata falsificazione dei dati e delle statistiche, sia da un punto clinico che economico».Bizzi denuncia la «palese falsificazione per eccesso del numero dei decessi», con l’inclusione forzata (nei numeri comunicati dai teatrali bollettini televisivi della Protezione Civile) dei morti «per qualsiasi patologia, anche per infarto o incidente stradale». In parallelo, la deformazione dei dati economici, «con la promessa, da parte del governo, di aiuti alle imprese e alle famiglie mai effettivamente erogati». E anche in questo caso, «con la demonizzazione e il discredito di chiunque si permettesse di criticare o di contestare le “verità” imposte dal regime». Parlava da sola (e lo fa ancora) il quarto punto indicato da Bizzi, nell’inquietante parallelo con l’Est Europa: lunghe code fuori da negozi e supermercati. «Altra situazione da incubo, creata ad arte dal regime per incrementare il senso di paura e di emergenza». Mentre nei paesi comunisti le code erano dovute all’effettiva penuria di generi di prima necessità, «le immense code fuori da supermercati e uffici postali che sono diventate una regola in Italia fin dall’inizio del lockdown sono state attentamente studiate e pianificate», per creare disagio, allarme e paura.In parallelo (punto 5) gli assembramenti rigorosamente vietati, che Bizzi preferisce chiamare “assemblamenti”: «I “puristi” della lingua Italiana qui mi criticheranno, ma io preferisco usare la parola “assemblamento” (che è effettivamente da sempre in uso nella lingua parlata), piuttosto che “assembramento”, una parola ruvida e stonata che gli Italiani hanno imparato a conoscere solo con gli incostituzionali decreti contiani». Attenzione: con questo pretesto sono stati negati anche il diritto di sciopero e quello di manifestazione. Già a febbraio, un intellettuale come Alessandro Benati annotava: «Le parole, la liturgia, i segni e i gesti di questa pandemia illustrano quanto chi sta orchestrando la nostra presunta salvezza fisica abbia profondamente in odio l’Essere Umano». Esempio, il “distanziamento sociale”: «In queste due innocue paroline è racchiuso il massimo disprezzo che certe potenze hanno per il massimo che può esprimere appunto l’uomo: l’amore e la libertà. L’algido e asettico neo linguaggio tecno-scientocratico tenta di far passare con ciò il messaggio che la tua salvezza (fisica, e solo fisica) debba passare dall’abdicazione a tutto ciò che Tu sei realmente, e che ti distingue da tutti gli altri Esseri del Cosmo: un essere d’amore e libero, capace di esprimere questi due valori Universali anzitutto nei confronti degli altri Esseri Umani, cioè nel sociale».Libertà, continua Benati, che va vista «come manifestazione dello Spirito attraverso i talenti nell’arte, nella cultura, nel lavoro manuale o intellettuale». Amore, «declinato ad esempio come solidarietà, in campo economico». Distanziamento sociale: «Due paroline innocue che nascondono invece un potenziale anti-umano inimmaginabile». Questa «sottrazione di umanità», aggiungeva Benati, è alimentata da personaggi «che non hanno per niente a cuore la vostra libertà e il vostro amore: anzi, si nutrono proprio del vostro dolore, della vostra volontà inespressa (vedi i talenti di cui sopra), della vostra sofferenza, e soprattutto della vostra adesione a queste forme-pensiero, siano esse parole, rituali, gesti, immagini». Bizzi concorda sulla pericolosità dei termini: sarebbe stato meglio evocare un distanziamento “fisico”, provvisorio. L’aggettivo “sociale”, invece, sottolinea «quanto l’obiettivo del governo e dei suoi manovratori internazionali sia proprio quello di spezzare i legami sociali tra le persone, di annientare ogni forma di aggregazione e di socialità», mortificando «l’indole e l’essenza stessa dell’essere umano, che è un animale sociale per definizione».Nel suo parallelo coi paesi del “socialismo reale”, Bizzi inserisce (punto 6) anche l’assenza di qualsiasi opposizione politica. Non che non in quel mondo non esistesse, un’opposizione formale: ma era appunto solo cosmetica, serviva a legittimare la finzione di una democrazia esclusivamente nominale, assorbendo il dissenso in modo che non potesse disturbare la macchina statale. «Nell’Italia di oggi il quadro non solo non è molto dissimile, ma è addirittura peggiore», accusa Bizzi. «I partiti di “opposizione” hanno del tutto tolto la maschera, dimostrando di essere totalmente funzionali e asserviti al pensiero unico del regime e ai suoi disegni totalitari, tecnocratici e antidemocratici». Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia «si sono piegati agli aberranti decreti anticostituzionali del governo, legittimando in questo modo la sospensione dei più elementari diritti democratici dei cittadini». Non solo: esponenti di spicco di quei partiti «hanno deliberatamente incrementato il clima di paura e di repressione, dimostrandosi più filogovernativi degli stessi partiti che sostengono l’esecutivo». Per non parlare «di quegli amministratori e sindaci di centrodestra che, degni emuli di Goebbels e di Mengele, non hanno esitato a ricorrere alla barbara pratica dei trattamenti sanitari obbligatori per silenziare i dissidenti».«Sarà senz’altro la Storia a giudicarli – scrive Bizzi – anche se mi auguro che possano venire un giorno non molto lontano giudicati e condannati nelle aule dei tribunali». I sedicenti partiti di “opposizione” «sono ormai del tutto delegittimati agli occhi del popolo Italiano». La loro unica funzione, ormai, «è quella di catalizzare e inertizzare ogni forma di dissenso». Altro dramma (punto 7), i diritti civili: garantiti solo sulla carta. «Nella dittatura orwelliana in cui è stata precipitata l’Italia, dissentire è diventato estremamente pericoloso», scrive Bizzi. «E gli abusi esercitati dalle “forze dell’ordine”, in spregio ai più elementari diritti costituzionali, sono ormai divenuti una costante pratica intimidatoria», mentre in televisione esponenti del Pd e dei 5 Stelle «esaltano senza alcun ritegno le misure liberticide del loro governo e proclamano la sospensione della Costituzione, al pari dell’orwelliano Ministero della Verità». Così, le task force di tecnici e di “esperti” «dettano la linea politica all’esecutivo, perseguendo un’agenda che è stata imposta dall’alto». Un’azione di annientamento: «Continuano inesorabilmente a distruggere ogni diritto civile e ogni conquista sociale».Ottavo capitolo dell’infame parallelo tra l’Italia e gli ex satelliti dell’Urss, la scure sulle funzioni religiose. «Mai, nella storia, neppure durante le spaventose epidemie di peste nera del XIV° e del XVII° secolo, la libertà di culto e il diritto dei cittadini di esercitare funzioni religiose e di prendervi parte erano stati messi in discussione». E’ invece avvenuto nell’Italia del 2020. Nei paesi del blocco orientale, nonostante l’ateismo di Stato, la religione non è mai stata vietata, e le pratiche di culto venivano comunque tollerate, sia pure sotto stretta sorveglianza politica. «Nell’Italia del 2020, invece, in nome di una falsa pandemia e adducendo come pretesto il divieto di assemblamenti e il mantra del “distanziamento sociale”, le funzioni religiose (e addirittura anche i funerali!) sono state veramente cancellate e proibite con un tratto di penna, cosa che neanche Stalin in persona osò fare». E la cosa più incredibile, aggiunge Bizzi, è che questo sia potuto avvenire con il pieno assenso del Vaticano e della Cei. Bizzi non è cristiano, né indulgente nei confronti del Vaticano. «Ma la mia posizione – ribadisce – è di assoluta difesa del diritto e della libertà di culto». Accusa: «Appare ormai evidente che l’obiettivo del governo Conte e delle forze oscure che lo eterodirigono sia quello di eradicare dalla popolazione qualsiasi sentimento religioso, in nome di un dogmatismo scientista totalitario che va ben oltre i cupi scenari narratici da Orwell in “1984″».Nona e ultima verogna: l’obbligo di speciali documenti e autorizzazioni (altro che “autocertificazioni”!) per potersi spostare da una città all’altra o da una regione all’altra. «La forzata introduzione di una simile modulistica è servita a impedire la libera circolazione dei cittadini, ad alimentare il clima di paura e la cappa repressiva, e schedare tutti coloro che si sono piegati a compilare simili assurdità e a consegnarle alle autorità». Il paragone con l’Europa dell’Est al tempo del Socialismo reale è però anche in questo caso calzante: in Unione Sovietica esistevano passaporti interni, indispensabili per spostarsi da una regione all’altra. «Passaporti che le autorità spesso revocavano ai dissidenti, proprio per limitare i loro movimenti». Quei lasciapassare li descrive anche Orwell nel suo romanzo distopico. Bizzi ha lavorato per anni in Bulgaria: «Io queste cose le ho vissute, le ho toccate con mano, le ho provate davvero sulla mia pelle. So cosa significa essere costantemente sorvegliato e fermato dalla polizia». Ma c’è una differenza fondamentale: «Nei regimi comunisti il cittadino serviva, rappresentava una forza lavoro, era considerato una indispensabile ruota dell’ingranaggio statale, e veniva in un certo qual modo tutelato dal regime proprio perché “utile”».Oggi, invece, come insegna Marco Della Luna, i popoli (e, di conseguenza, i semplici cittadini) per certe élite di potere sono ormai divenuti “superflui”. «Oggi, queste élite di potere non sono semplicemente interessate a mantenere e consolidare il proprio potere: intendono dare la spinta finale verso una società dittatoriale e tecnocratica decisamente peggiore di quella immaginata da Orwell nel suo romanzo». Una società da incubo, «dominata da un ottenebrante pensiero unico scientista, in cui non esistano più diritti, democrazia e libertà civili». E per fare questo – continua Bizzi – intendono «eliminare fisicamente una consistente parte della popolazione globale, come è stato esplicitamente scritto in otto lingue diverse (inglese, spagnolo, swahili, hindi, ebraico, arabo, cinese e russo) su quell’inquietante monumento noto come Georgia Guidestones, inaugurato su committenza privata il 22 marzo 1980 su una radura della contea di Elbert, in Georgia (Stati Uniti)». Bizzi ricorda le parole di un grande massone libertario, Benjamin Franklin, tra i padri fondatori degli Stati Uniti: «Chi è pronto a dar via le proprie libertà fondamentali per comprarsi briciole di momentanea sicurezza, non merita né la libertà né la sicurezza».Eppure, osserva sempre Bizzi, proprio in nome in una presunta “sicurezza”, la stragrande maggioranza degli italiani, «condizionati dalla paura e da un allarmismo televisivo platealmente confezionato ad arte dal governo», ha clamorosamente dimostrato di essere «pronta a rinunciare alle proprie libertà fondamentali», per le quali le precedenti generazioni «hanno lottato, combattuto e spesso dato la vita». Secondo Bizzi, «siamo di fronte alla più grande psy-op mai messa in atto nel mondo in tempi moderni». Si tratta di «un’operazione ben pianificata e congegnata, in quanto ha saputo fare leva proprio sulla paura, sulla più recondita paura dell’essere umano: la paura della morte, per giunta per mano – in questo caso – di un nemico invisibile». Un nemico elusivo e infido, «nell’immaginario confezionato ad arte dai “controllori della matrix”: il virus «poteva assumere il volto dei nostri vicini, dei nostri amici, dei nostri familiari, dei nostri affetti più cari; poteva insinuarsi ovunque, nell’aria che respiriamo, sugli oggetti che tocchiamo, sui nostri vestiti, nel vento, nella pioggia, sulla terra, nella sabbia». Un nemico «onnipotente e onnipresente, che poteva raggiungerci e colpirci ovunque, al pari del Grande Fratello di Orwell».Ricordate il celebre assioma di Noam Chomsky, “problema-reazione-soluzione”? Il problema, in questo caso, è il “virus”. La reazione è proprio la paura. «La soluzione? Una dittatura. Medica, mediatica, sociale, tecnocratica, finanziaria, politica, culturale». Chiamatela come volete, «ma la sostanza non cambia: una dittatura è una dittatura, punto». Come osserva Marcello Pamio, con la scusa di un misterioso virus arrivato dall’Oriente «il Grande Fratello affina le armi e stringe sempre il cappio attorno alle già risicate libertà». E i nostri governanti «ci impongono così l’isolamento sociale (che fa crescere non solo la paura ma anche la rabbia e il rancore)». Vogliono il tracciamento digitale, «incrociando tabulati, carte di credito e satellitare dei cellulari, per sapere in ogni momento dove siamo e cosa stiamo acquistando». Approntano «telecamere, sensori biometrici e termici per vedere in ogni istante cosa facciamo, nell’attesa del microchip e della sparizione del contante».«Nel biochip – prosegue Bizzi – saranno registrati tutti i dati individuali, sanitari, fiscali, compreso l’Id, l’Identificativo Digitale che tutti avranno». Il denaro cartaceo, «nelle intenzioni dei grandi burattinai», dovrà sparire: lascerà il posto a una moneta virtuale, elettronica, e quindi «facilmente manipolabile, gestibile, controllabile». Attenzione: «Tutto come da copione, tutto già predisposto e pianificato, secondo i piani dell’Agenda ID2020». Niente di inatteso, peraltro – almeno per Bizzi, che appartiene alla tradizione iniziatica dei Misteri Eleusini (è autore del saggio “Da Eleusi a Firenze”, che rivela l’ascendenza “eleusina”, ad esempio della signoria medicea rinascimentale). «La mia appartenenza a elitari contesti iniziatici, della quale non ho mai fatto mistero, e l’aver operato nel settore dell’intelligence – scrive Bizzi – mi hanno da tempo fatto capire quanto profonda e ramificata sia la tana del Bianconiglio: sapevo, in sintesi, che era tutto previsto, tutto già da tempo pianificato da menti che definire criminali sarebbe un eufemismo».Menti che, ci crediate o no, «conoscono molto bene non solo la psicologia umana, ma anche i più reconditi significati dei simboli e le leggi dell’astrologia», non certo quella degli oroscopi televisivi. «Mi sto riferendo a quella particolare forma elevata di astrologia che permette di calcolare, con assoluta precisione matematica, i giorni più propizi per insediare (o destituire) un governo, per scatenare una guerra, un attentato o un’operazione di “false flag”, o addirittura per rilasciare un virus ingegnerizzato in laboratorio o qualsiasi tipo di arma biologica». Ci crediate o meno – insiste Bizzi – una qualsiasi operazione avviata dall’uomo (che si tratti di un matrimonio, di un contratto d’affari, di una dichiarazione di guerra o di un attentato terroristico) in un giorno astrologicamente non propizio è destinata a fallire, mentre avrà invece un buon esito se il giorno sarà stato attentamente scelto sulla base di tutta una serie di requisiti. «Questo lo sapevano bene gli antichi etruschi e i sovrani babilonesi, come lo sapevano bene coloro che hanno pianificato la Rivoluzione Francese, la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, l’abbattimento delle Twin Towers a New York o l’incendio di Notre Dame a Parigi».Certe élite di potere «pianificano tutto, e lo fanno da molto, molto tempo». Niente di ciò che fanno è affidato al caso, «come non lo sono i giorni in cui lo fanno». Tutto, assicura Bizzi, «viene minuziosamente calcolato», e tutte le loro operazioni recano (celata, ma non più di tanto – in determinati simboli e in determinate date) la loro “firma”, sempre riconoscibile. Si pensi, ad esempio, «all’inquietante scenografia messa in atto nella cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Londra nel 2012», con la pantomima dell’emergenza sanitaria e il ricovero di un sosia di Boris Johnson, che allora era lontanissimo dal diventare premier. Oppure, «alla satanica rappresentazione svoltasi il 1° giugno del 2016 per l’inaugurazione del tunnel del San Gottardo», con una scenografia che esibiva sudditi nell’atto di prostrarsi di fronte a un dio-caprome, «fino ad arrivare all’aberrante imposizione agli italiani, nel mese di aprile del 2020, di mascherine, non solo nei luoghi di lavoro o in spazi chiusi, ma addirittura all’aperto».Mascherine? Secondo molti medici, del tutto inutili contro il virus e dannose per la salute. Ma, «al di là della vergognosa speculazione economica che attorno ad esse c’è stata», rivestono anche un profondo e recondito significato simbolico: «In passato, simili “dispositivi” erano riservati agli schiavi, alle persone private della loro libertà». E anche oggi, sostiene Bizzi, il loro vero scopo «è quello di applicare ai cittadini un palese marchio di sottomissione, di asservimento alla paura e di riduzione al silenzio». Obiettivo: creare un esercito silenzioso di zombie mascherati e impauriti, «talmente condizionati da arrivare ad aggredire, temere e insultare chi a tale paura non si conforma, chi osa non indossare la “museruola”». Per uno psicanalista come il professor Massimo Recalcati, infatti, «l’odio è non sopportare la libertà dell’altro». Proprio quella libertà alla quale molti, troppi, hanno scelto di rinunciare in cambio di briciole di momentanea “sicurezza”, o semplicemente per paura, l’atavica paura della morte.Come la paura e la mancanza di ragione uccidono la libertà e la democrazia: lo spiega Riccardo Manzotti, psicologo e filosofo: «Come nel romanzo di Orwell, le persone sono state isolate le une dalle altre e soggette a una continua imposizione di notizie da parte di schermi installati nelle loro abitazioni». E ancora: «Il runner solitario non mette a rischio la salute fisica dei cittadini, ma mette in discussione il valore salvifico della loro presunta moralità: “Se io sto in casa a soffrire, perché non lo fa anche lui?”. E così si deve stare in casa non per evitare il virus, ma per non mettere in discussione l’autorità del governo cui la società ha demandato la propria libertà. Perché il sacrificio della libertà di tutti sia efficace, deve essere condiviso». Così, secondo Manzotti, si rivela il lato oscuro della irrazionalità: paura e ignoranza. «L’ignoranza gonfia la paura, che cerca nel sacrificio della libertà e nella sottomissione all’autorità una salvezza che viene applicata con la stupidità irrazionale propria della superstizione». Nel citare Manzotti, lo stesso Bizzi ne sottoscrive le tesi: «L’aspetto peggiore si è manifestato in tutte quelle forme di intolleranza e di miseria umana che trovano amplificazione nel razzismo da balcone. Si spiano le persone perché gli altri non sono più percepiti in quanto esseri umani, ma come un potenziale pericolo».L’applicazione rigida della legge – aggiunge Manzotti – diventa il pretesto per sfogare invidie, rivalità e complessi di inferiorità, fino al patetico astio campanilistico che ad esempio ha ispirato il governatore della Campania nella sua ridicola polemica contro la Lombardia, sottoscritta dagli hooligan che vedono nel sistema-Milano la patria dell’odiato leghismo salviniano. «Quando la libertà individuale è sospettata di egoismo, quando si avalla il principio etico-politico che la sola vera libertà è quella che esprime il bene universale – scrive sempre Manzotti – la persona è in pericolo, perché la persona è la sua libertà individuale, insindacabile, indomabile, ingiudicabile». E’ un fatto: «La paura del virus ha spinto molti a rinunciare ai propri diritti individuali». La salvezza del corpo in cambio dell’anima appare un baratto ragionevole. «Accettare il diktat dello stare a casa senza ragione non è solo un rischio sanitario (il danno che tanti avranno da questa inutile clausura domestica) ma soprattutto il fallimento del patto di ragione tra Stato e cittadino». Ovvero: «Allo Stato non si chiede di spiegare le motivazioni razionali delle regole. Ai cittadini non si chiede di comportarsi responsabilmente. Ognuno viene meno ai suoi obblighi e ci si tratta con l’indulgenza tipica di persone immature».Il patto, conclude Manzotti, non è più basato sulla ragione e sul rispetto reciproco tra persona e istituzione, ma sull’interesse e sulla paura: «E la superstizione ne è il naturale collante». Lo sciagurato slogan #iorestoacasa, infatti, «esprime il fallimento della libertà e della democrazia». Nella sua introduzione alla nuova edizione di “1984″, Bizzi cita anche un giornalista scomodo come Gianmarco Landi, che definisce la App Immuni un aberrante strumento di controllo dei cittadini, dalle connotazioni veramente orwelliane: «Ho definio idioti quelli che la installano, e ho preteso da loro un distanziamento on-line cancellando l’amicizia su Facebook». Precisa Landi: «Non volevo offendere, ma scuotere in maniera vibrante chiunque pensasse di fare questa gigantesca idiozia». L’epiteto idioti non piace? Meglio «grandissime teste del piffero»? L’appello: «La app del telefonino è una finzione astratta inutile, perché non è che uno si faccia il tampone ogni giorno, quindi a cosa servirebbe? È una roba politica, non sanitaria». Alcuni protestano: tanto, siamo già on-line e spiati da Facebook. «Immuni non è Facebook, è roba dello Stato. Come fate a non capire la differenza? Avete chat di WhatsApp con gruppi vari? Integrate vostra moglie/marito in tutte, e vedrete cosa succederà nei prossimi giorni alla vostra vita».Immuni, aggiunge Landi, esprime lo stesso concetto della metafora chat WhatsApp, moltiplicato in gravità per 10.000. «Facebook vi può illecitamente prevaricare censurandovi, ma non è lo Stato e non ha polizie e pubblici ministeri che vi possono accusare, né procedure che vi possono spedire in carcere». A Facebook – continua il giornalista – non paghiamo le tasse o le multe, «Facebook non vi pignorerà somme o beni, né vi farà fallire con una procedura concorsuale». Ancora: «Nessuno farà una legge per non farvi entrare in un locale con amici per mangiare una pizza se non avete Facebook sul telefono o potrà cacciarvi via come cani pulciosi dalla vita sociale a patto che non facciate come una qualche Autorità stabilirà per voi». Di fatto, Immuni «può hackerare il vostro telefonino ed estendere ingerenze e controlli a tutti i vostri dispositivi, anche con telefono da voi spento». E tutto questo «è la premessa per una tirannide, lo capite?». Di questo passo, si potrebbe arrivare a essere distrutti, in qualsiasi momento. «C’è anche la possibilità che magistrati o funzionari corrotti e malvagi possano agire da Grande Fratello e usare vostre info personali per godimento proprio, e magari ricattarvi o devastare le vostre vite».«Se pensate di installare questo cavallo di Troia, un “bellissimo” regalo del governo filo-cinese e filo-coronavirus, non siete solo idioti secondo me: siete dei pazzi, degli incoscienti, dei criminali, e sareste responsabili della diffusione della cultura Big Brother di “1984″». Raccomanda Landi: «Leggetevi questo libro, e magari anche altri, prima di cliccare o aprire bocca, e poi traetene le conclusioni, su quanto o meno è stato corretto definire un tale vostro comportamento tipico degli idioti». Che il pericolo sia reale, secondo Bizzi, lo si constata anche rileggendo una storica conferenza di Rudolf Steiner, grande e indiscusso maestro. Era il 27 ottobre 1917. «Parole incredibilmente profetiche, che costituiscono un vero e proprio monito per il nostro presente». Disse Steiner: «Gli spiriti delle tenebre sono in mezzo a noi, sono qua. Dobbiamo restare in guardia in modo da accorgerci quando li incontriamo, in modo da comprendere dove si trovano. Perché la cosa più pericolosa nel prossimo futuro sarà abbandonarsi inconsciamente a tali influssi, che realmente esistono intorno a noi. Infatti, che l’uomo li riconosca o meno, non fa alcuna differenza per la loro reale esistenza. Ma soprattutto, per questi spiriti delle tenebre sarà importante portare confusione, dare false direzioni in ciò che si sta ora diffondendo in tutto il mondo e per cui gli spiriti della luce continueranno a operare nella direzione giusta».Secondo Steiner, il pensiero materialista avrebbe ostacolato in ogni modo lo sviluppo di una certa spiritualità. «Gli spiriti delle tenebre ispireranno le vittime di cui si nutrono, gli uomini che abiteranno, persino ad inventare un vaccino per deviare verso la fisicità, fin dalla prossima infanzia, la tendenza delle anime verso la spiritualità». Così parlava, Steiner, esattamente cent’anni fa. «Come oggi si vaccinano i corpi contro questo e quello, così in futuro si vaccineranno i bambini con una sostanza preparata in modo che attraverso la vaccinazione, queste persone saranno immuni dallo sviluppare in sé la “follia” della vita spirituale – follia, ovviamente, dal punto di vista materialistico». Tutto questo, aggiungeva il padre dell’antroposofia, tende a mettere a punto «il metodo con cui si potranno vaccinare i loro corpi, in modo che essi non potranno sviluppare inclinazioni verso idee spirituali, ma crederanno per tutta la loro esistenza solo alla materia fisica». Steiner, già allora, accusava una certa «inclinazione all’inganno» da parte della medicina: «Oggi si vaccina contro la tubercolosi, così domani si vaccinerà contro la disposizione verso la spiritualità». Steiner vedeva quindi «qualcosa di particolarmente paradossale», in arrivo «in un futuro prossimo e anche più remoto». Un caos così brutale – secondo Steiner – da propiziare, infine, «la vittoria degli spiriti della luce».«È pur vero che molti italiani si stanno svegliando, stanno uscendo dalla “caverna” e prendono gradualmente coscienza del grande inganno che è stato pianificato e attuato ai loro danni», ammette Bizzi, «ma pochi di questi risvegliati – aggiunge – comprendono realmente la vastità, la portata e le finalità di questo grande inganno che stanno vivendo». E purtroppo è anche vero che la maggioranza dei nostri concittadini «non intende minimamente svegliarsi e uscire dalla matrix». Infatti «si sta inesorabilmente incamminando di proposito verso un futuro di schiavitù, caratterizzato dal controllo totale delle persone mediante il riconoscimento facciale, la tecnologia 5G e il monitoraggio di ogni spostamento». Un mondo segnato «dalle vaccinazioni di massa, dall’impianto di microchip sottocutanei e dall’abolizione del denaro contante». Un futuro in cui «sarà abolita ogni forma di socialità e di affettività», e in cui l’infame “distanziamento sociale” diventerà «una regola permanente, anche all’interno dei nuclei familiari». Un futuro, insomma, in cui «non ci sarà spazio per il dissenso, in cui sarà vietato anche solo pensare». Un mondo in cui «chiunque potrà essere sottoposto a trattamenti sanitari obbligatori ed essere “rieducato” e “riprogrammato”, come nei peggiori gulag sovietici e laogai cinesi». La democrazia? «Sarà solo un vago e incerto ricordo, cancellato con un tratto di penna dai libri di storia». Saremo davvero solo numeri, cancellabili dalla memoria di un computer a piacimento dei nostri governanti? «È questo il futuro che volete per voi e per i vostri figli?». Conclude Bizzi: «Italiani, svegliatevi, finché siete in tempo, perché di tempo non ne è rimasto molto. Il 1984 di Orwell è adesso, è drammaticamente adesso!».(Il libro: George Orwell, “1984″, edizioni Aurola Boreale, 250 pagine, 20 euro. Contiene un saggio introduttivo di Nicola Bizzi e una prefazione di Marco Della Luna).Ripubblicare oggi, nel giugno del 2020, un’opera come “1984″ di George Orwell «non rappresenta soltanto un preciso dovere culturale ed editoriale». Rappresenta, anche e soprattutto, «un chiaro messaggio politico e di denuncia sociale». Mai prima d’ora, infatti, dal 1949 – l’anno in cui Eric Arthur Blair (il vero nome di Orwell) pubblicò a Londra la sua ultima e più nota opera letteraria, “Nineteen Eighty-Four” – il mondo in cui viviamo ha rischiato realmente di precipitare nei cupi e allucinanti scenari, così mirabilmente descritti da questo scrittore singolare e visionario. Lo scrive lo storico Nicola Bizzi, editore di Aurora Boreale, nel presentare (insieme a Marco Della Luna) una riedizione dell’incubo del Grande Fratello in piena era Covid. «Molto probabilmente – scrivi Bizzi, nella prefazione – la drammatica situazione che stiamo ancora vivendo a livello globale sarà un giorno menzionata nei libri di scuola dei nostri figli e nipoti come il più grande inganno degli ultimi secoli». Un grande inganno «perpetrato, ai danni dei popoli, da una certa élite di potere che, con il pretesto di una falsa pandemia e servendosi di un “virus” abilmente ingegnerizzato in laboratorio, ha tentato di accelerare (per tutta una serie di ragioni che andremo a spiegare) il progetto di instaurazione di un Nuovo Ordine Mondiale».
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Pericolosi dementi: odiano Salvini e ignorano De Donno
Strano paese, questo: il governo fa come se non esistesse, il medico di Mantova che ha scoperto come annullare la minaccia del coronavirus. Mezzo mondo fa la corte al professor Giuseppe De Donno, che ha trovato l’uovo di Colombo: se nelle vene di un malato si inietta il plasma di un soggetto guarito, il male scompare alla velocità della luce. Grosso guaio, per chi aveva scommesso sulla Peste Bubbonica 2.0, di durata pressoché infinita. Un flagello abbastanza spaventoso da trasformare i cives in pecore, dispostissime domani a subire un vaccino di massa, obbligatorio (che grandi virologi ritengono perfettamente inutile, dato il carattere mutante dei virus Rna). Ma il Covid-19 è perfetto, per lanciare il vaccino come rimedio ineludibile. E a sua volta, sostiene il criminologo Alessandro Meluzzi, la vaccinazione non è che la premessa del vero obiettivo: il microchip universale da inserire sottopelle, che trasformerebbe gli esseri umani in unità sorvegliate h-24, attraverso lo strettissimo monitoraggio che registrerebbe in tempo reale ogni loro mossa. Tutto questo, grazie a infrastrutture informatiche invasive e forse anche pericolose per la salute, come la misteriosa rete 5G che avanza incontrastrata, in Italia, grazie al Movimento 5 Stelle ora al governo con il Pd, l’euro-partito “tedesco” del Rigor Montis.Imbavagliati dalle mascherine che li trasformano in automi coatti, spaventati dall’autorità e disinformati in modo spietato e grottesco da giornali e televisioni, gli italiani per ora assistono agli eventi. Uno su tutti: il crollo dell’economia. Lo ha imposto il governo-fantasma del ventriloquo Conte, che ha confiscato la libertà democratica per restare avvinghiato all’emergenza (che si augura eterna) per non dover fare i conti con i disastri che ha combinato, le promesse a vuoto e i ritardi incresciosi, dai mitici 600 euro alla cassa integrazione, fino alla patetica “preghiera” rivolta alle banche, nel paese in cui l’ex Fiat (migrata all’estero) pretende subito 6,3 miliardi di aiuti, innanzitutto per sé. Ci sarebbe da metter mano a un piano di rilancio epocale, disperatamente necessario già prima della pandemia, ma i pallidi arconti di Palazzo Chigi e i vari prestanome insediati nei ministeri non sanno letteralmente che pesci pigliare: “ispirati” dalle centinaia di anonimi tecnocrati a cui hanno ceduto le leve di comando, sperano che il regime di psicosi duri il più possibile, sotto la sferza della nuova polizia sanitaria, ma sanno che prima o poi – da settembre, al massimo – i nodi verranno al pettine. Dettaglio illuminante: la decisione di Mattarella di non consentire a Conte altri sei mesi di stato d’emergenza. Come dire: questo mediocre teatro di attori cialtroni e minacciosi è durato anche troppo.Sconcerta la presa che questo potere autoritario esercita ancora, su vastissimi strati di cittadini: ad esempio, non vengono pretese le dimissioni immediate del presidente dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini, che annuncia di voler “stanare casa per casa” i contagiati, quasi fossero untori della peste e non invece portatori di un virus che secondo l’Istitito Superiore di Sanità ha ucciso soltanto persone anziane e malate. Un virus che certo non fa più paura a Mantova e Pavia, gli ospedali che lo hanno “disarmato” ricorrendo agli anticorpi sviluppati dai pazienti guariti. E dove viene svolta, la sperimentazione governativa per testare ufficialmente quello che già si conosce, ovvero la validità del metodo-Mantova? A Pisa, dove – secondo De Donno – l’ospedale ha finora affrontato un solo caso di coronavirus. Il posto giusto, parrebbe, per far naufragare la cura risolutiva, secondo il sistema già collaudato, per i tumori, con la terapia Di Bella. Il ragazzetto che ufficialmente esercita il ruolo di ministro della sanità, tale Roberto Speranza (già capogruppo del Pd bersaniano che consegnò l’Italia alla Premiata Macelleria Monti e al pareggio di bilancio in Costituzione) ha l’aria di essere una semplice comparsa, in uffici dominati dall’eminente figura di Walter Ricciardi, player italiano di quella stessa Oms, finanziata dal vaccinocrate Bill Gates, che gli Usa accusano di aver “incubato” il coronavirus a Wuhan.Che i segni di follia costellino i giorni italiani del Covid lo dimostra l’astio, perdurante e surreale, nei confronti di un personaggio politico modestissimo come Matteo Salvini, che nel 2018 ebbe il piccolo merito di denunciare l’ipocrita business politico, italiano e internazionale, realizzato sulla pelle dei migranti. Lo stesso Salvini ebbe però il grandissimo demerito di aver ceduto su tutto il resto, in primis l’intransigenza Ue sulla richiesta di deficit, fino alle pressioni del super-potere che utilizzò i soliti 5 Stelle per convalidare, con Giulia Grillo, l’aberrante obbligo vaccinale improvvisamente esteso a 10 vaccinazioni, senza alcuna motivazione medica, pena l’esclusione dei bambini dalle scuole dell’infanzia. Il piccolo eroe del Papeete, ribattezzato “il cazzaro verde” dal greve propagandista Scanzi, aveva esordito malissimo, ingoiando senza fiatare il “niet” di Mattarella sulla nomina di Paolo Savona all’economia. Dipinto come un mostro razzista e xenofobo, praticamente fascista, Salvini si era difeso dall’assedio (mediatico e giudiziario, prima che politico) ricorrendo all’inchino rituale di fronte al totem di Israele, con il consueto cerimoniale: omaggiare le vittime della Shoah, trascurando le nefandezze del governo Netanjahu contro i palestinesi. Ora qualcosa sembra sul punto di rompersi: su chat di magistrati emergono espressioni come “quella merda di Salvini”, al punto da spingere il capo dello Stato a esprimere solidarietà verso il leader leghista.Ma il punto è un altro: ed è l’odio implacabile di cui il “cazzaro verde” rimane vittima, anche in pieno tsunami-coronavirus. Lo si legge nel mare mosso dei social, ottimo sismografo dei sentimenti collettivi, intasato di insulti e polemiche avvelenate. Quanto sarebbe costata la liberazione di Silvia Romano? “Meno di 49 milioni”, è la pronta risposta degli haters del “cazzaro”, disposti a bersi la bufala secondo cui la Lega avrebbe davvero “rubato” quei soldi. La verità la sintetizza Luca Telese, mai tenero coi leghisti: attraverso una sentenza che non ha precedenti in Italia, la magistratura (cioè, colleghi dei magistrati che ammettono di aver cercato di fermare “quella merda di Salvini”) ha semplicemente decretato, a posteriori, che la Lega non avrebbe avuto diritto ai finanziamenti annuali, nel frattempo pervenuti e regolarmente spesi per l’attività politica, in modo trasparente. Tutto questo, per via di remote malversazioni imputate all’epoca di Bossi (peraltro di entità infinitamente minore: solo mezzo milione di euro, a quanto pare), quando l’allora oscuro Salvini era un semplice consigliere comunale. Non pochi specialisti del diritto hanno considerato quella sentenza un’anomalia giuridica: quando infatti la Lega di Salvini riceveva regolarmente quei 49 milioni (la somma dei rimborsi di svariate tornate elettorali) era perfettamente autorizzata a incassarli.Ripetere oggi che la Lega (e quindi l’odiato “cazzaro”) avrebbe “rubato” 49 milioni, è patetico, a prescindere dall’opinione politica, anche pessima, che si possa avere del discutibilissimo ex ministro dell’interno, capace di performance imbarazzanti e indimenticabili, come quando – vestito da poliziotto – andò all’aeroporto ad accogliere l’ex terrorista Cesare Battisti, estradato dal Sudamerica. Preoccupante, parlare di 49 milioni “rubati”. E ancora più allarmante se un’idiozia simile la si ripete mentre il paese sta collassando, vessato dai suoi strani carcerieri e minacciato da un futuro che più buio non potrebbe essere. Torna in mente l’allegoria manzoniana dei capponi di Renzo, che non trovano di meglio che scannarsi tra loro anche un attimo prima di finire in padella. A Rivoli, grosso centro dell’hinterland torinese, è stata letteralmente scuoiata viva, per settimane, una donna malaccorta, vicesindachessa (in quota Lega, ecco il guaio), protagonista di un’uscita infelice sul presunto abuso politico del 25 Aprile. A crocifiggerla, con petizioni e tam-tam di ogni genere, sui social, gli autoproclamati Eredi Unici e Universali dei Partigiani. Italiani “di sinistra”, anch’essi prigionieri dei decreti Conte: eppure, benché relegati agli arresti domiciliari, la Liberazione l’hanno celebrata dai balconi, cantando Bella Ciao, senza lontanamente domandarsi come avrebbero reagito, gli amati partigiani, di fronte a inaudite restrizioni delle libertà imposte forzando proprio la Costituzione antifascista.Il problema? L’identità leghista, e quindi “cazzara”, della povera vicesindachessa. Certo, lo stesso Salvini è l’ultimo a potersi lamentare del clima di brutale intolleranza che regna nel paese, avendo lui stesso dato un enorme contributo all’imbarbarimento dei costumi politici. Ma è possibile che i suoi tanti odiatori non vedano quanto sia piccolo, Salvini, di fronte all’immensità del problema totalitario chiamato coronavirus? Viene addirittura il sospetto che la mano invisibile che ha aiutato Salvini ad emergere, ospitandolo per anni il televisione, volesse proprio questo: gonfiare una rana di fatto innocua per il potere europeo, ma abbastanza spaventevole per i gonzi italiani che ancora non hanno capito che qualcuno sovragestisce abilmente l’affare planetario del Covid. Per questo Salvini resta perfetto, ancora oggi, come spaventapasseri: distrae gli ingenui dal vero problema, dai veri decisori. Se l’è anche cercata, Salvini, persino in Emilia: la decisione di molestare al citofono un tunisinino, trattandolo come uno spacciatore, resterà negli annali dei suicidi politici. E il peggio è che il beneficiario del suicidio, l’incolore Bonaccini, oggi passa quasi per eroe: funziona alla grande, l’odio verso Salvini, per sdoganare l’idea – vagamente hitleriana – di chi pensa di “stanare casa per casa” gli italiani che non risponderanno signorsì al Ministero della Verità.Chi ancora perde il suo tempo a odiare Salvini, mentre il paese crolla e l’orizzonte della libertà si allontana di giorno in giorno, non spende una parola di indignazione per l’ignobile “task force” istituita dal piddino Martella per censurare l’informazione sul Covid. Chi detesta il “cazzaro” non protesta perché Fabio Fazio, anziché il salvatore De Donno, invita a ripetizione Roberto Burioni: un tizio che nel suo Patto per la Scienza (firmato da Grillo, Renzi e Mentana) anticipò i tempi duri che stiamo vivendo, con la pretesa – messa per iscritto – di pilotare i fondi destinati alla ricerca. E’ lo stesso Burioni che, per silenziare uno scienziato eretico (Stefano Montanari) ha chiesto alla magistratura di spegnere “ByoBlu”, il video-blog più seguito dagli italiani. Eppure, gli haters se la prendono con Salvini (non con Burioni o Fazio), e parteggiano per l’imbarazzante Bonaccini (non per l’eroe nazionale De Donno). Ma se in questo si volesse scorgere una simmetria, si sbaglierebbe: perché nemmeno Salvini si batte per De Donno e contro Burioni. Gli italiani sono soli: questa è la verità. E a milioni, ancora, si accaniscono contro falsi nemici. Cosa sarebbe successo, se Berlusconi avesse imposto anche solo da decima parte dei diktat di Conte? E se lo avesse fatto Salvini, addirittura? Va tutto bene, invece, se i Pieni Poteri se li prende “l’avvocato del popolo”, lo yesman fabbricato dalla peggiore baronia universitaria e protetto dal Vaticano, imbucato oculatamente tra i 5 Stelle un attimo prima che gli elettori, nel 2018, ne decretassero il trionfo.Cosa bisogna pensare, degli elettori che nel 2018 diedero fiducia all’ingenuo Speranza, agli scalpitanti grillini, all’economista di sinistra Alberto Bagnai rassegnato a candidarsi con la Lega vista l’impossibilità di praticare teorie di sinistra nello zoo renziano e zingarettiano? Con sfumature diverse, tutti questi elettori – milioni di italiani, davvero tanti – erano accomunati da un’unico bisogno: la necessità di rimettere la politica al di sopra della finanza. Com’è finita, lo si è visto: prima l’inconcludente governo gialloverde, poi l’altrettanto inutile esecutivo giallorosso, identico al precedente, con la sola variante (meramente estetica, cosmetica) dell’assenza del “cazzaro”. Stessa politica: austerity, in ossequio al super-potere di Bruxelles. Fino al magico V-Day, non più grillino ma cinese: l’avvento dell’Era del Virus. Il piano prevedeva precisamente il pandemonio, e infatti eccolo all’opera: niente sarà più come prima. Se i cittadini rassegnati (ieri al lockdown e oggi alla museruola) pensano ancora che l’incubo si dissolverà, forse non hanno capito quello che è successo davvero.Sarà proprio la ferocia della crisi – dicono alcuni osservatori – ad aprire gli occhi ai dormienti, spingendoli a fare l’unica cosa sensata: unire le forze, mettendo da parte l’odio tribale che serve solo a chi ha interesse a dividere gli ex cittadini, trasformati in sudditi in soli due mesi, a colpi di decreti, da parte di un premier mai eletto da nessuno. La strada però è ancora lunga: lo dice la stima di cui tuttora gode il peggior primo ministro della storia nazionale. C’è chi lo ama, addirittura: perché osò sfidare il “cazzaro”. Non sembra avere fine, l’autolesionismo italiota: si riverbera magnificamente nell’imbecillità di chi demonizza i ragazzi che si assiepano all’aperitivo, dopo quasi tre mesi di clausura. Imbecillità criminosa, a questo punto: perché in tempo di guerra gli idioti diventano un pericolo pubblico. Guardare di traverso chi non indossa la museruola significa essere essere complici, oltre che cretini: complici di chi censura la verità, di chi tace i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (tra le vittime classificate Covid, solo il 3,7% non affetto da gravi patologie pregresse). Complici, soprattutto, di chi finge che il Covid sia tuttora un male incurabile: complici, quindi, dei censori che oscurano De Donno. Un medico di cui tutti gli italiani dovrebbero andare fieri, compresi quelli che lo ignorano: e anche in questo, Matteo Salvini e i suoi odiatori sono tristemente identici.(Giorgio Cattaneo, “I pericolosi dementi che ancora odiano Salvini (e ignorano De Donno)”, dal blog del Movimento Roosevelt del 23 maggio 2020).Strano paese, questo: il governo fa come se non esistesse, il medico di Mantova che ha scoperto come annullare la minaccia del coronavirus. Mezzo mondo fa la corte al professor Giuseppe De Donno, che ha trovato l’uovo di Colombo: se nelle vene di un malato si inietta il plasma di un soggetto guarito, il male scompare alla velocità della luce. Grosso guaio, per chi aveva scommesso sulla Peste Bubbonica 2.0, di durata pressoché infinita. Un flagello abbastanza spaventoso da trasformare i cives in pecore, dispostissime domani a subire un vaccino di massa, obbligatorio (che grandi virologi ritengono perfettamente inutile, dato il carattere mutante dei virus Rna). Ma il Covid-19 è perfetto, per lanciare il vaccino come rimedio ineludibile. E a sua volta, sostiene il criminologo Alessandro Meluzzi, la vaccinazione non è che la premessa del vero obiettivo: il microchip universale da inserire sottopelle, che trasformerebbe gli esseri umani in unità sorvegliate h-24, attraverso lo strettissimo monitoraggio che registrerebbe in tempo reale ogni loro mossa. Tutto questo, grazie a infrastrutture informatiche invasive e forse anche pericolose per la salute, come la misteriosa rete 5G che avanza incontrastrata, in Italia, grazie al Movimento 5 Stelle ora al governo con il Pd, l’euro-partito “tedesco” del Rigor Montis.
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Antisionismo e antisemitismo, per Salvini tutto fa brodo
Visto che in Europa sopravvive la vergogna strisciante dell’antisemitismo, la follia criminale che attribuisce responsabilità politiche agli ebrei in quanto tali, Matteo Salvini coglie la palla al balzo per confondere l’antisemitismo con le critiche agli eccessi del sionismo, l’ideologia che consente a una potenza nucleare (lo Stato di Israele) di perseguitare con ogni mezzo i palestinesi, destabilizzando il Medio Oriente da mezzo secolo. Il leader della Lega, scrive Amedeo La Mattina su “La Stampa”, «ha puntato su Gerusalemme da quando, lo scorso anno, è stato accolto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu con tutti gli onori». In quell’occasione, l’ex ministro dell’interno «aveva sostenuto che la Città Santa dovrà essere la capitale di Israele, come ha sempre detto il presidente americano Donald Trump». Salvini lo ha ripetuto il 16 gennaio nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, alla presenza della presidente del Senato Elisabetta Casellati, in un convegno sulle “nuove forme dell’antisemitismo”. La “Stampa” segnala «un costante riallineamento a Washington e un conseguente allontanamento da Mosca», da parte del leghista. Barra dritta su alcuni concetti, ripetuti come un mantra: «L’antisemitismo di certa destra tradizionalista e di certa sinistra è nostro nemico», dichiara Salvini. «Abbiamo il dovere di combattere chi dice che gli ebrei siano i nazisti di oggi: c’è chi lo pensa nel mondo islamico ma anche in certi mondi in Europa».Attenti alle parole: è noto che nessuno, sano di mente, dice o pensa che “gli ebrei” siano “i nazisti di oggi”. Semmai, l’accusa investe il governo israeliano, da decenni dominato dalla destra. E’ stato Netanyahu a compiere spaventosi abusi verso i palestinesi, come i bombardamenti su Gaza costati 1.400 morti tra la popolazione civile (e la coraggiosa protesta dei Refuseniks, i militari israeliani che esercitano l’obiezione di coscienza rifiutandosi di partecipare ad azioni che rischiano di provocare vittime tra i civili). Le cronache di questi anni sono gremite di proteste: a quelle degli arabi e degli occidentali si aggiungono quelle degli stessi ebrei, scandalizzati per la brutalità della violenza israeliana. L’olandese Henk Zanoli (che salvò ebrei dalle persecuzioni naziste) ha chiesto che il suo nome venisse rimosso dal sacrario dei Giusti di Israele, dove si commemorano gli eroi che misero in salvo innocenti durante la Seconda Guerra Mondiale. Il giovanissimo soldato Udi Segal ha preferito andare in carcere, pur di non partecipare alle operazioni militari di repressione contro la popolazione di Gaza. «Ho letto i libri di Ilan Pappe», ha spiegato Segal, alludendo al maggiore storico israeliano contemporaneo, ora costretto a insegnare lontano da Israele dopo aver ricordato che la “pulizia etnica” contro gli arabi in Palestina fu avviata ben prima dell’avvento di Hitler.A descrivere la radice violenta di una certa declinazione del sionismo – sostiene Paolo Barnard – bastano i diari di David Ben Gurion: se il sionismo originario era il sogno di Theodor Herzl (una patria ebraica in Palestina, capace di convivere con gli altri popoli della regione), Ben Gurion lo interpretò in modo anche brutale, non esistando a raccomandare di sterminare donne e bambini nei villaggi palestinesi. Solo più tardi l’immane catastrofe della Shoah spinse il mondo a concedere agli ebrei il loro Stato (accompagnato però dalla nascita di quello parallelo per i palestinesi: uno Stato mai nato, quest’ultimo, in seguito alle guerre che costrinsero il neonato Israele a difendersi dai paesi arabi, che non accettarono la costituzione dello Stato israeliano). La pace separata dell’Egitto con Tel Aviv costò la vita al presidente egiziano Anwar Sadat, assassinato da fondamentalisti islamici, mentre l’unico vero accordo strategico tra israeliani e palestinesi, a metà degli anni ‘90, fu sabotato dall’omicidio del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, ucciso da un estremista ultra-sionista. Da allora il conflitto non ha fatto che marcire, impugnato come eterno alibi per giustificare la reciproca ostilità arabo-israeliana, costringendo i palestinesi a pagare un prezzo smisurato. Bombe al fosforo bianco su Gaza, dopo che la Striscia è finita sotto il controllo degli islamisti di Hamas, e incentivo (senza più freni) alla politica degli insediamenti israeliani nei Territori Occupati in Cisgiordania.Recenti gli ultimi due atti, fortemente simbolici: Gerusalemme promossa come futura “capitale israeliana” con la benedizione di Trump, e la trasformazione costituzionale di Israele in “Stato ebraico”, a danno della popolazione non ebrea. Protesta un grande artista come Moni Ovadia, promotore in Occidente della cultura ebraica: «La propaganda più sleale continua ad accusare di antisemitismo chi, come me, si batte semplicemente contro la politica violenta e razzista del governo israeliano». Uno dei leader occidentali del movimento che contesta gli abusi del sionismo contemporaneo è l’inglese Roger Waters: il frontman dei Pink Floyd accusa apertamente Israele di “apartheid” ai danni dei palestinesi, e invita a boicottare i prodotti israeliani. Durissimi con Tel Aviv anche musicisti come Brian Eno e il jazzista ebreo Gilad Atzmon, secondo cui non sono in alcun modo giustificabili le vessazioni quotidiane e le violenze a cui il governo di Israele sottopone l’inerme popolazione palestinese. Con Israele non si scherza: durante l’Operazione Piombo Fuso, i devastanti bombardamenti su Gaza a cavallo tra 2008 e 2009, i Refuseniks furono costretti a ricorrere ad annunci a pagamento, sul quotidiano “Haaretz”, per informare i cittadini della loro protesta: non c’era posto per la voce dei militari dissidenti nella decantata democrazia di Israele, per decenni unico paese a non proporre nelle scuole “Se questo è un uomo” data la posizione di Primo Levi, estremamente critico rispetto al sionismo.Tutt’altra storia è invece quella delle cronache europee che, specie in paesi come la Francia, ripropongono l’abominio dell’antisemitismo, un sentimento che infetterebbe ancora alcuni strati dell’opinione pubblica. Nel convegno romano di Palazzo Giustiniani, a denunciarlo è Dore Gold, presidente del Jerusalem Center for Pubblic Affairs: la lordura antisemita riemerge «nel cuore dell’Occidente», e questo «fa capire che combattere l’antisemitismo significa combattere in difesa della nostra civilizzazione». Oltre al neonazismo fanatico, Gold accusa anche una certa sinistra, che nel difendere i palestinesi tollera l’estremismo islamista, che nega ancora a Israele il diritto di esistere. Ma è proprio lo Stato di Israele, ha precisato l’ambasciatore in Italia Eydar Dror, «la polizza assicurativa di tutti gli ebrei del mondo: grazie a esso – dice Dropr – possono andare a testa alta in tutto il mondo, e in caso di necessità tornare a casa». Per l’ambasciatore, l’antisemitismo è una cartina di tornasole: «Indica il declino della società e ne prevede il crollo». È in questa chiave, sottolinea la “Stampa”, che la presidente Casellati ha parlato della necessità di preservare «una società forte della propria identità, che ripudia l’intolleranza e il razzismo».Temi tornati di attualità, secondo la Casellati, anche a causa di una globalizzazione esasperata che tende a sacrificare le nostre tradizioni e radici culturali. «Ma sono temi che chiamano in ballo Salvini e un pezzo del suo elettorato che viene dalla destra anche estrema», scrive Amedeo La Mattina sulla “Stampa”. «Il leader leghista rifiuta accostamenti con CasaPound e Forza Nuova», e nega di alimentare intolleranza e razzismo. «Accuse assurde», precisa, aggiungendo che il contrasto all’immigrazione e la difesa dei confini non c’entrano nulla con l’intolleranza, il razzismo, la Shoah. Salvini si è detto dispiaciuto che «qualcuno non sia venuto» al convegno. Chiaro il rifermento alla senatrice a vita Liliana Segre, che non ha accettato di partecipare. «Lei ha tanto da insegnare, Carola Rackete no», ha scandito l’ex ministro. La “capitana” viene dunque presa a simbolo di quella sinistra “antisionista e antisemita” che inquieterebbe gli israeliani. Ma ad essere messa alla prova – scrive ancora La Mattina – sarà la sinistra di casa nostra: «Salvini chiede che presto il Parlamento voti sul documento dell’Ihra (International Holocaust Remembrance Alliance) che identifica l’antisemitismo oggi».Da Salvini, non una parola sugli abusi di Israele verso i palestinesi. Al contrario: per il leader della Lega, il vero problema è rappresentato da «una Ue che nega le radici giudaico-cristiane ed etichetta i prodotti israeliani, una Onu che nel 2018 dedica alla condanna di Israele 18 risoluzioni e neanche una a Iran e Turchia». Salvini fa l’ultra-israeliano, schierandosi con il blocco di potere che fa capo a Netanyahu, ignorando le posizioni critiche che emergono dalla stessa società israeliana. Quanto a Gerusalemme capitale, nell’antichissima “città santa” (per ebrei, arabi e cristiani) gli abitanti ultra-ortodossi del quartiere Mea Shearim condannano il sionismo, sostenendo che nemmeno la Bibbia autorizza in alcun modo l’esistenza di uno Stato ebraico. Ma si tratta di argomenti non abbordabili per il capo della Lega, abituato a tagliare tutto a fette grosse. Dopo aver suscitato imbarazzo anche tra i cattolici per l’ostentazione del crocifisso nei comizi politici, è stato l’unico politico europeo (insieme all’inglese Johnson) ad esultare pubblicamente per l’omicidio terroristico del generale Soleimani, eroe nazionale dell’Iran ed emblema di un paese di cui l’Italia resta, a quanto a pare, il primo partner economico. Assediato dalle indagini (tra cui quella sulla missione russa di Savoini), il leghista che ambisce a guidare l’Italia chiede aiuto all’asse Usa-Israele e confonde volutamente l’antisionismo con l’antisemitismo, dopo aver insultato 80 milioni di iraniani.Visto che in Europa sopravvive la vergogna strisciante dell’antisemitismo, la follia criminale che attribuisce responsabilità politiche agli ebrei in quanto tali, Matteo Salvini coglie la palla al balzo per confondere l’antisemitismo con le critiche agli eccessi del sionismo, l’ideologia che consente a una potenza nucleare (lo Stato di Israele) di perseguitare con ogni mezzo i palestinesi, destabilizzando il Medio Oriente da mezzo secolo. Il leader della Lega, scrive Amedeo La Mattina su “La Stampa“, «ha puntato su Gerusalemme da quando, lo scorso anno, è stato accolto dal premier israeliano Benjamin Netanyahu con tutti gli onori». In quell’occasione, l’ex ministro dell’interno «aveva sostenuto che la Città Santa dovrà essere la capitale di Israele, come ha sempre detto il presidente americano Donald Trump». Salvini lo ha ripetuto il 16 gennaio nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani, alla presenza della presidente del Senato Elisabetta Casellati, in un convegno sulle “nuove forme dell’antisemitismo”. La “Stampa” segnala «un costante riallineamento a Washington e un conseguente allontanamento da Mosca», da parte del leghista. Barra dritta su alcuni concetti, ripetuti come un mantra: «L’antisemitismo di certa destra tradizionalista e di certa sinistra è nostro nemico», dichiara Salvini. «Abbiamo il dovere di combattere chi dice che gli ebrei siano i nazisti di oggi: c’è chi lo pensa nel mondo islamico ma anche in certi mondi in Europa».
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Gilad Atzmon: Soros e il totalitarismo dell’Ebreo Universale
Mentre la lobby ebraica e le sue squadre di psico-poliziotti sono indaffarate ad inquadrare e distruggere chiunque osi menzionare l’etnia di Soros, Avraham Burg, eminente politico israeliano, presidente dell’Agenzia Ebraica e già presidente ad interim di Israele, plaude a George Soros come alla perfetta icona di “ebreo-universale”. In un suo recente articolo su “Haaretz” intitolato “Preparatevi per il decennio ‘ebraico-universale’ di George Soros e della Open Society”, il politico israeliano afferma che solo «alcune persone hanno il coraggio di resistere ai nuovi tiranni del decennio al comando delle democrazie illiberali». Apparentemente «una di queste persone di coraggio è Soros». Secondo Burg, Soros «rappresenta un punto fermo ‘ebraico-universale,’ un simbolo ebraico alternativo a quello semplicistico abbracciato da Netanyahu, Trump e dai loro sostenitori». Secondo il concetto del cosiddetto “ebraismo-universale,” il 52% degli inglesi che vogliono separarsi dall’Ue sono da considerarsi una «rumorosa minoranza suicida». Sembra che il cosiddetto “ebreo-universale” non sia molto tollerante nei confronti delle persone che votano per i conservatori, Trump o Netanyahu.Questo “ebreo-universale” sembrerebbe essere anche piuttosto ostile nei confronti di coloro che apprezzano i punti di vista dei conservatori o che sono così sfortunati da avere la pelle bianca. E, come abbiamo scoperto, l’”ebreo-universale” non è molto tollerante neanche nei confronti della letteratura e della libertà di parola. Abbiamo visto gli enti finanziati da Soros lavorare instancabilmente per bruciare libri, eliminare testi e persino rimuovere reperti storici ritenuti importanti dalle persone con cui [Soros] è in disaccordo. Il concetto di Burg di ebreo-universale non ha alcuna relazione con la nozione greca di “universale ” o di “universalismo”. Anche se Burg non approva il volto barbaro di Israele e del sionismo, in qualche modo considera Soros come l’incarnazione dell’impegno ebraico al Tikun Olam, cioè al perfezionamento del mondo. «Mentre così tanti ebrei stanno facendo del loro meglio per diventare criminali ultra-nazionalisti e violenti, duri e insensibili, Soros rappresenta, forse inconsapevolmente, l’altro volto della civiltà ebraica, quello nascosto e incantato, il cui obbligo principale è l’impegno di riparare le ingiustizie del mondo, non solo per gli ebrei ma per tutti». Tendo a pensare che il mondo sarebbe un posto molto più bello e più sicuro se gli ebrei decidessero di essere leggermente meno appassionati nel salvare gli altri e si concentrassero invece nel mettere a posto il loro Stato Ebraico.Nel suo commento su “Haaretz”, Burg fa riferimento al mentore di Soros, Karl Popper, autore di “The Open Society and its Enemies” [L’Open Society e i suoi nemici]. Secondo Popper, nessuna persona o organizzazione ha il monopolio della verità, quindi, maggiore è il numero di opinioni diverse tra le persone che vivono in pace e tolleranza l’una con l’altra, maggiori sono i benefici che ne derivano per tutti. Sfortunatamente, Soros e la sua Open Society non seguono il mantra filosofico di Popper. L’”universalismo-ebraico” di Soros è un costrutto divisivo. Frantuma la società in una varietà di segmenti identitari che sono definiti dalla biologia (razza, genere, preferenza sessuale). Nel regno dell’”ebreo-universale”, le persone non vengono identificate come semplici esseri umani che cercano di vivere la loro comune esperienza umana. Al contrario, ogni identità impara a parlare nel dialetto di “come un” (“come una donna …,” “come un ebreo …,” “come un nero …,” “come un gay”, ecc.). Nel mondo dell’”ebreo-universale” le persone cercano caratteri identificativi che li differenziano dal resto dell’umanità. L’esclusività e la differenza vengono tenute nella massima considerazione, anche se contraddicono la ricerca del valore ultimo della fratellanza umana.La “giurisdizione” ebraica-universale riduce l’universo ad una semplice versione ampliata delle “tribù di Israele“: tribù di identitari impegnate in guerre settarie, razziali e di genere. La falsa “diversità” e la fasulla “tolleranza” offerte dall’”ebreo-universale” sono, in effetti, autoritarie e intolleranti nei confronti delle masse. Il cosiddetto “ebreo-universale” è un concetto eccezionalista, progettato per “estraniare” quelli con cui non si va d’accordo. Inavvertitamente, Burg ci ha rivelato che la «guerra tra aperto e chiuso, tra gli isolazionisti e i fautori dell’inclusione» è, in realtà, una battaglia interna ebraica tra i Netanyahu del mondo (Trump, Giuliani, Orban) e gli ebrei-universalisti che chiama “ebrei Soros”: quelli che, secondo Burg, «combattono senza paura affinché il nuovo decennio sia il nostro». Nostro?Immagino che un Gentile possa chiedersi, chi è il “nostro” e “sono compreso anch’io?”. Coloro che hanno votato Trump, Johnson, la Brexit, Orban o Bibi sono anch’essi inclusi nell’”utopia ebraica-universale”? Certamente no! Sono il paniere dei deplorevoli, come li definiva l’”ebrea-universalista” Clinton, appena prima che i suoi sogni presidenziali svanissero nel nulla. Quelli che si fanno infinocchiare da Soros e dal concetto di “ebreo-universale” non dovrebbero essere sorpresi dal successo travolgente della politica della destra. Nei sogni dell’”ebreo-universale” il mondo è spezzato in un amalgama di identità cosmopolite destinate a combattersi tra loro, invece di lottare contro Wall Street e la City. Nella realtà dell’”ebreo-universale“, la sinistra è tenuta in piedi da un “filantropo” capitalista. Se la sinistra intende sostenere i valori dei lavoratori e delle classi lavoratrici, dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di sostenere i valori e le esigenze dei lavoratori, piuttosto che accettare il denaro sporco di un magnate capitalista. Se la sinistra vuole essere rilevante, è meglio che capisca come ripristinare l’universale e l’universalismo. Chiudo questo breve articolo rilevando che non vi è alcuna indicazione che la sinistra voglia ripristinare il suo ruolo politico o sociale. Essere pagata da una istituzione della società ebraica-universale sembra essere il suo modo preferito di agire.(Gilad Atzmon, “Burg, Soros e l’Ebreo-Universale”, dal blog di Atzmon del 1° gennaio 2020; post tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”. Ebreo, Atzmon è uno scrittore e brillante musicista jazz formatosi a Gerusalemme, che vive e lavora a Londra. E’ noto come militante anti-sionista. Nel 2006 ha rilasciato la seguente dichiarazione ad “Al Jazeera”: «Non si può fare un confronto tra Israele e il nazismo: dobbiamo ammettere che Israele è il male assoluto, più della Germania nazista»).Mentre la lobby ebraica e le sue squadre di psico-poliziotti sono indaffarate ad inquadrare e distruggere chiunque osi menzionare l’etnia di Soros, Avraham Burg, eminente politico israeliano, presidente dell’Agenzia Ebraica e già presidente ad interim di Israele, plaude a George Soros come alla perfetta icona di “ebreo-universale”. In un suo recente articolo su “Haaretz” intitolato “Preparatevi per il decennio ‘ebraico-universale’ di George Soros e della Open Society”, il politico israeliano afferma che solo «alcune persone hanno il coraggio di resistere ai nuovi tiranni del decennio al comando delle democrazie illiberali». Apparentemente «una di queste persone di coraggio è Soros». Secondo Burg, Soros «rappresenta un punto fermo ‘ebraico-universale,’ un simbolo ebraico alternativo a quello semplicistico abbracciato da Netanyahu, Trump e dai loro sostenitori». Secondo il concetto del cosiddetto “ebraismo-universale,” il 52% degli inglesi che vogliono separarsi dall’Ue sono da considerarsi una «rumorosa minoranza suicida». Sembra che il cosiddetto “ebreo-universale” non sia molto tollerante nei confronti delle persone che votano per i conservatori, Trump o Netanyahu.
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Renzi, Grillo e il nullivendolo Conte: un decennio senza eredi
Cosa resta del decennio che si è appena chiuso? Nessuna eredità: solo scorie, rottami e frattaglie, sintetizza Marcello Veneziani. «In principio fu Silvio Berlusconi al governo. C’era ancora Fini, c’era Bossi, c’era Casini, c’era Tremonti». In quel tempo, «i problemi dell’Italia e del mondo venivano dopo – per i media, la magistratura e l’opposizione di sinistra – rispetto alla vita sessuale di Berlusconi». Era quello l’argomento, universalmente noto come Bunga Bunga, su cui si concentrava il dibattito pubblico. «Berlusconi col suo baldanzoso ottimismo autoreferenziale vantava che l’Italia con lui stesse alla grande, nonostante la crisi internazionale. I suoi nemici, gli stessi di sopra, descrivevano invece il governo di Berlusconi come una porno-dittatura corrotta che stava stravolgendo l’Italia». In realtà, «Berlusconi non distrusse né rilanciò l’Italia». La sua impronta fu labile, più mediatica che effettiva: «Non ci fu né la rivoluzione liberale né la tirannide populista. Neanche la magistratura fu scalfita». Fino a che, «a colpi di indagini, pressing internazionali, spread e tradimenti», riuscirono a buttar giù Berlusconi «con un mezzo golpe».All’epoca, scrive Veneziani su “La Verità”, passava per statista Gianfranco Fini, da quando si era messo contro il Cavaliere. «La sua parabola finì presto e nel peggiore dei modi possibili, perfino peggio di quanto si potesse prevedere considerata la sua inconsistenza». Finì male pure la parabola di Bossi. E finì il centrodestra, «mentre il paese si consegnava al governo dei tecnici, sotto la sorveglianza dell’Europa». Così nacque il “tecnomontismo”: i tecnocrati, «di buon nome e di gran curricula», chiamati per riparare i danni, «lasciarono un’impronta nefasta», rivelandosi «abbastanza funesti e feroci nello stremare il paese, tassarlo, metterlo in ginocchio e diffondere un’atmosfera di catastrofe e depressione nazionale». Ne uscimmo malconci col breve governo Letta di eurosinistra, «che fu una pallida transizione tra i tecnici e il ritorno della politica, naturalmente da sinistra». Cominciò allora, senza passare dalle urne, la veloce parabola di Renzi: non durò neanche un triennio, «ma in quel tempo sembrò inaugurare un’era, perlomeno un ciclo, vista anche la sua giovane età, la sua energia e il crescente consenso».Renzi, ricorda Veneziani, non aveva rivali né a destra né a manca, «e infatti il peggior rivale di Renzi fu Renzi stesso, che distrusse il suo alter ego per troppo ego: la sua prepotenza accentratrice, il suo voler strafare, stravincere, stracomandare». Ci fu un momento, in effetti, in cui «avrebbe potuto compiere una svolta decisiva: quando annunciò il partito della nazione, lasciando a sinistra i vecchi dinosauri comunisti e la sinistra radicale e spostandosi al centro con un partito trasversale». Ma non ebbe il coraggio di andare fino in fondo, scrive Veneziani. «Stressò il paese in una guerra di rottamazione globale, uno contro il Resto del mondo, fino a che il mondo lo fece a pezzi». Poi annunciò di ritirarsi dalla politica, senza però mai farlo. «Provato così in un quinquennio tutto l’arco delle possibilità – berlusconismo, finto futurismo finiano, sinistra bersaniana, tecnici e sinistra napoleonica renziana – la politica lasciò il passò al dilettantismo assoluto e dannoso dell’antipolitica, interpretato da un comico, una piattaforma, una lobby e una banda di sciamannati o scappati di casa».Così avvenne il prodigio del Movimento 5 Stelle diventato primo “partito”, soprattutto al sud. «Un fenomeno senza precedenti, ma non senza conseguenze: letali». La prima sorpresa fu, un anno e mezzo fa, l’alleanza populista e teoricamente antieuropeista tra i grillini e i leghisti di Salvini. «Un esperimento ardito, preoccupante non solo per l’Unione Europea, ma che destava curiosità e comunque segnava la sconfitta del tardo bipolarismo ma anche un superamento dei berlusconismi destrorsi e sinistrorsi, come quello renziano». L’esperimento populista-sovranista fu tenuto in vita artificialmente per un anno, facendo crescere a dismisura la popolarità di Salvini. «Poi esplose, incautamente, per una valutazione sbagliata di Salvini e una mossa a sorpresa di Renzi. Fino a che si giunse al più raccapricciante mostro dei governi italiani repubblicani, quello grillo-sinistro, che accompagna la fine del decennio». Per Veneziani è «il peggiore che si potesse avere, perché la faziosità intollerante della cupola di sinistra, col suo antifascismo di risulta e di riporto, si è unita alla dannosa ignoranza dei grillini, incapaci di tutto, e nel modo peggiore».Degna sintesi di quell’unione fu lo stesso premier Giuseppe Conte, «assunto come figurante nel precedente governo, venuto dal nulla e nullivendolo egli stesso, che con ripugnante trasformismo passò da guidare l’alleanza con Salvini a guidare l’alleanza antisalviniana, con la sinistra di cui ora si professa simpatizzante». I risultati sono sotto gli occhi (piangenti) di tutti: il decennio, nato sotto la stella (un tempo rossa) di Giorgio Napolitano, è finito «sotto la parrucca bianca di Sergio Mattarella». Nel decennio le abbiamo provate tutte, eccetto il sovranismo: grande incognita, «ma è l’unica via che non abbia ancora avuto esiti fallimentari». Eppure, per l’establishment sembra «la sciagura suprema, decretata a priori, da evitare a ogni costo». E ora che il decennio si è concluso, chiosa Veneziani nella sua analisi, il paese è sospeso nel vuoto: appeso al nulla.Cosa resta del decennio che si è appena chiuso? Nessuna eredità: solo scorie, rottami e frattaglie, sintetizza Marcello Veneziani. «In principio fu Silvio Berlusconi al governo. C’era ancora Fini, c’era Bossi, c’era Casini, c’era Tremonti». In quel tempo, «i problemi dell’Italia e del mondo venivano dopo – per i media, la magistratura e l’opposizione di sinistra – rispetto alla vita sessuale di Berlusconi». Era quello l’argomento, universalmente noto come Bunga Bunga, su cui si concentrava il dibattito pubblico. «Berlusconi col suo baldanzoso ottimismo autoreferenziale vantava che l’Italia con lui stesse alla grande, nonostante la crisi internazionale. I suoi nemici, gli stessi di sopra, descrivevano invece il governo di Berlusconi come una porno-dittatura corrotta che stava stravolgendo l’Italia». In realtà, «Berlusconi non distrusse né rilanciò l’Italia». La sua impronta fu labile, più mediatica che effettiva: «Non ci fu né la rivoluzione liberale né la tirannide populista. Neanche la magistratura fu scalfita». Fino a che, «a colpi di indagini, pressing internazionali, spread e tradimenti», riuscirono a buttar giù Berlusconi «con un mezzo golpe».
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Cretini di sinistra, la “mafia” ipocrita che rimpiange Sciascia
Ah, Leonardo Sciascia, il letterato, il polemista, il siculo acuto e scontento, arabo e illuminista. Quanto ci manca l’intellettuale non conformista fuori dal coro, ripetono in coro i conformisti a trent’anni dalla sua morte, il 20 novembre del 1989. Per accontentarli, vorrei ricordare cinque spunti di Sciascia che non si ricordano volentieri. Il primo fu la sua polemica aperta col catto-comunismo, contro il compromesso storico e in polemica con gli intellettuali organici che reggevano la coda. Sciascia lasciò nel 1977 il Pci, di cui era consigliere comunale a Palermo. Giorgio Amendola, che rappresentava la destra comunista ma ortodossa, accusò Sciascia di disfattismo e nicodemismo, e subito un codazzo d’intellettuali plaudì alla scomunica. Sciascia non si lasciò intimidire e paragonò Amendola al famigerato ministro Liborio Romano, che era passato dai Borboni ai Savoia senza lasciare la sua poltrona di ministro (un Conte ante litteram). Con disinvoltura i comunisti passavano da avversari a consociati della Dc, che avevano criticato per una vita accusandola pure di mafia e corruzione. Il secondo spunto, famoso, riguardò le Brigate Rosse.Oggi prevale la favoletta della neutralità di Sciascia tra lo Stato e le Br, il famoso né né. In realtà Sciascia riteneva poco credibile la linea della fermezza dopo decenni di connivenza, di zona grigia e di cedimento dello Stato a ogni livello. E denunciava la rete larga di complicità intorno al terrorismo rilevando che «è in atto un’espansione del partito armato che sta trovando insediamenti sociali», mentre si continuava a negare la matrice comunista. «Le Brigate Rosse – scrisse Sciascia – erano rosse e non nere come tutti i partiti del cosiddetto arco costituzionale desideravano che fossero». Anzi, notava Sciascia, le Br si appellavano alla stessa fonte di legittimazione dello Stato democratico e antifascista: «La Resistenza è un valore indistruttibile anche per le Brigate Rosse: credono di esserne i figli». Le azioni terroristiche delle Br per lui saldarono il sistema, non lo fecero saltare. Il terzo spunto, connesso al precedente, fu il suo giudizio sul potere democristiano e su Aldo Moro. Le sue interpretazioni furono espresse già nel ’76 in “Todo Modo” e poi ne “L’Affaire Moro” e dispiacquero non solo alla Dc, ma anche al Pci e ai grandi giornali. Berlinguer arrivò a querelarlo. Scalfari lo stroncò prima che il suo libro sul caso Moro uscisse.Sciascia denunciò in Moro lo scarso senso dello Stato. Per lui Moro non era uno statista ma «un grande politicante». A Moro rimproverò pure di non aver speso una parola nelle sue tante lettere dal carcere per la sua scorta trucidata in via Fani. E come Pasolini, anche Sciascia ritenne che Moro avesse inventato un linguaggio incomprensibile, di cui fu detentore ma anche vittima (perché nessuno colse i messaggi cifrati delle sue lettere dal carcere delle Br), che secondo Sciascia serviva a tenere oscura e impenetrabile la chiave del potere. La lingua di Moro era per lo scrittore siciliano come il latino usato dalla Chiesa per rendersi incomprensibile al volgo e così alimentarne l’ossequio devoto. La lingua morotea a suo dire corrompeva la democrazia perché rendeva i percorsi del potere politico inaccessibili e arcani al popolo sovrano. Il quarto spunto di Sciascia è sulla sinistra antifascista. Mi limito a due citazioni riassuntive, tratte da “Nero su nero”: «Il più bello esemplare di fascista in cui ci si possa oggi imbattere è quello del sedicente antifascista unicamente dedito a dar del fascista a chi fascista non è».E poi: «Intorno al 1963 si è verificato in Italia un evento insospettabile e forse ancora, se non da pochi sospettato. Nasceva e cominciava ad ascendere il cretino di sinistra: ma mimetizzato nel discorso intelligente, nel discorso problematico e capillare. Si credeva che i cretini nascessero solo a destra e perciò l’evento non ha trovato registrazione». Ecco l’antifascista di sinistra, intollerante ma cretino. Mirabile sintesi, assai attuale. Infine, in tema di Sicilia e di malgoverno, Sciascia dette una lezione di non conformismo, paragonando l’inefficacia e la corruttela che aveva accompagnato i terremoti avvenuti durante la repubblica italiana con quel che invece era accaduto ai tempi “nefasti” della controriforma e della vituperata dominazione spagnola. Nel 1693, nella Sicilia sotto la prepotenza spagnola, un terremoto colpì una cinquantina di Comuni, tra cui Catania, Avola, Lentini e Noto. Si recò sul luogo del disastro il duca di Camastra, vicario del vicerè, con pieni poteri e con la benedizione della Chiesa. Il signorotto, la Chiesa, i fondi da gestire: il triangolo perfetto del malaffare meridionale.E invece quel duca brusco, altero e devoto, che passava a cavallo tra le macerie, in pochi mesi ricostruì al meglio quei paesi. Il duca, scrisse Sciascia, temperava il rigore cattolico con il culto della bellezza; non si dirà lo stesso dei democratici che gestirono i terremoti più recenti e i loro fondi. Sono riusciti a far rimpiangere la dominazione spagnola. E Sciascia, volterriano laico, onestamente lo riconosceva. Quanti dei signorini che oggi lo invocano e lo rimpiangono avrebbero fatto altrettanto? Certo, Sciascia ha scritto ben altro, non si può ridurre la sua opera a queste polemiche. Ma ogni volta che comincia la messa cantata su Pasolini e Sciascia che ci mancano (a noi mancano anche tanti altri scrittori rimossi perché dalla parte sbagliata), allora vorrei far notare che per questo loro non conformismo subirono in vita linciaggi verbali e peggior sorte avrebbero avuto oggi. Magari anche dalle mafie culturali che ne piangono la scomparsa.(Marcello Veneziani, “Sciascia, rimpianto con ipocrisia”, da “La Verità” del 19 novembre 2019).Ah, Leonardo Sciascia, il letterato, il polemista, il siculo acuto e scontento, arabo e illuminista. Quanto ci manca l’intellettuale non conformista fuori dal coro, ripetono in coro i conformisti a trent’anni dalla sua morte, il 20 novembre del 1989. Per accontentarli, vorrei ricordare cinque spunti di Sciascia che non si ricordano volentieri. Il primo fu la sua polemica aperta col catto-comunismo, contro il compromesso storico e in polemica con gli intellettuali organici che reggevano la coda. Sciascia lasciò nel 1977 il Pci, di cui era consigliere comunale a Palermo. Giorgio Amendola, che rappresentava la destra comunista ma ortodossa, accusò Sciascia di disfattismo e nicodemismo, e subito un codazzo d’intellettuali plaudì alla scomunica. Sciascia non si lasciò intimidire e paragonò Amendola al famigerato ministro Liborio Romano, che era passato dai Borboni ai Savoia senza lasciare la sua poltrona di ministro (un Conte ante litteram). Con disinvoltura i comunisti passavano da avversari a consociati della Dc, che avevano criticato per una vita accusandola pure di mafia e corruzione. Il secondo spunto, famoso, riguardò le Brigate Rosse.
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Filosofo ebreo: la Commissione Segre restringe la libertà
La Commissione Segre è una minaccia alla libertà di opinione, e a ribadirlo non è certo un estremista di destra. Altro che mezzo per contrastare odio, razzismo e antisemitismo. Secondo Alain Finkielkraut, filosofo francese di origine ebrea, la Commissione Segre è un vero e proprio bavaglio che obbliga i cittadini a non esprimere in nessun caso posizioni in contrasto con l’immigrazione. Vietato criticare, anche in modo razionale e costruttivo, un tema che deve essere semplicemente accolto così come viene proposto dall’alto, alla stregua di un dogma religioso. La posizione di Finkielkraut, intervistato dal “Corriere della Sera”, non lascia indifferenti. Già, perché i genitori del filosofo furono deportati ad Auschwitz. Eppure, nonostante la Commissione Segre nasca ufficialmente per vigilare sui reati d’odio, compresi quelli contro gli ebrei, il rischio è che possa provocare un enorme controcircuito: «L’idea di istituire quella commissione ha provocato una legittima inquietudine. Con la scusa di lottare contro il razzismo, in Europa c’è la tendenza a stigmatizzare, se non addirittura criminalizzare, ogni cautela sull’immigrazione».Certo, alcune precisazioni sono però doverose. Intanto Finkielkraut, pur stroncando l’utilità della Commissione Segre, non nega che in Europa siano ritornate scaglie di antisemitismo e che tale fenomeno debba essere combattuto senza se e senza ma. Inoltre, il pensatore francese ha espresso la sua solidarietà alla senatrice Segre per gli insulti subiti, definiti «atroci e ignobili». Detto questo, Finkielkraut riparte in quarta, a difesa della libertà di espressione. Guai a strumentalizzare casi che nulla hanno a che fare con la difesa degli ebrei, confondendo il vero e pericoloso antisemitismo con semplici e legittime posizioni contrarie all’immigrazione: «Un errore usare questi terribili episodi per proibire ogni critica sull’immigrazione». Un esempio citato da Finkielkraut è il Patto di Marrakech, un accordo sottoscritto da diversi paesi (Italia esclusa) sul Global Compact. Ovvero un piano globale nato ufficialmente per rendere l’immigrazione più ordinata, ma che in realtà la incoraggia e la fa apparire come un fenomeno benefico.«Questo patto comincia con un inno all’immigrazione, stabilendo una specie di canone al quale i media devono conformarsi. Posso capire che in Italia qualcuno non veda di buon occhio una commissione fatta con lo stesso spirito del Patto di Marrakech». In altre parole, chi non accetta la linea ufficiale proposta dall’alto, intrisa di politically correct, rischia di essere marchiato con varie etichette – da antisemita a odiatore – capaci pure di avere conseguenze penali. Riguardo poi all’antisemitismo, Finkielkraut fa un’ultima riflessione: «Non è più un volto del razzismo, ma una patologia dell’antirazzismo: per difendere i musulmani, considerati i nuovi dannati della Terra, si attaccano gli ebrei». La posizione della sinistra europea è dunque intollerante e impedisce che qualcuno possa avere un pensiero contrapposto alla “linea ufficiale”. Anzi, come ha ben spiegato Finkielkraut, siamo di fronte a un paradosso: la sinistra vuole combattere l’antisemitismo ma in certi casi sta addirittura dalla parte degli odiatori, cioè degli estremisti musulmani.(Federico Giuliani, “Pure il filosofo ebreo Finkielkraut stronca la Commissione Segre: un pericolo per la libertà di espressione”, dal “Giornale” del 17 novembre 2019).La Commissione Segre è una minaccia alla libertà di opinione, e a ribadirlo non è certo un estremista di destra. Altro che mezzo per contrastare odio, razzismo e antisemitismo. Secondo Alain Finkielkraut, filosofo francese di origine ebrea, la Commissione Segre è un vero e proprio bavaglio che obbliga i cittadini a non esprimere in nessun caso posizioni in contrasto con l’immigrazione. Vietato criticare, anche in modo razionale e costruttivo, un tema che deve essere semplicemente accolto così come viene proposto dall’alto, alla stregua di un dogma religioso. La posizione di Finkielkraut, intervistato dal “Corriere della Sera”, non lascia indifferenti. Già, perché i genitori del filosofo furono deportati ad Auschwitz. Eppure, nonostante la Commissione Segre nasca ufficialmente per vigilare sui reati d’odio, compresi quelli contro gli ebrei, il rischio è che possa provocare un enorme controcircuito: «L’idea di istituire quella commissione ha provocato una legittima inquietudine. Con la scusa di lottare contro il razzismo, in Europa c’è la tendenza a stigmatizzare, se non addirittura criminalizzare, ogni cautela sull’immigrazione».