Archivio del Tag ‘Laura Boldrini’
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Tagliare i viveri ai blog scomodi, la prima vittima è ByoBlu
«Stampatevi bene questa data nella testa: 27 gennaio 2017. Il giorno in cui gli effetti della campagna contro le cosiddette “fake news” (ma in realtà con l’obiettivo di colpire l’informazione libera e indipendente), orchestrata da Hillary Clinton, dal Parlamento Europeo, da Laura Boldrini, da Angela Merkel e da tutti quelli che hanno paura che l’informazione libera possa scalzare i loro privilegi e la loro posizione di forza, hanno iniziato a colpire anche in Italia, togliendo la linfa vitale della monetizzazione Adsense, con motivazioni che avrebbero del ridicolo o del tragicomico, se non rappresentassero qualcosa di ben più grave». Così Claudio Messora, dopo che il servizio pubblicitario di Google ha improvvisamente “tagliato i viveri” a “ByoBlu”, il più seguito video-blog indipendente italiano, che vive di donazioni e, appunto, delle inserzioni pubblicitarie “random” veicolate da Adsense. «Oggi è un giorno pesante, il più pesante per l’informazione libera e indipendente in Italia e nel mondo – dichiara Messora – da quando ho iniziato a fare questo “mestiere” del blogger, dieci anni fa».Gli fa eco Pino Cabras su “Megachip”: «Fa molto bene Claudio Messora a sottolineare che il vero obiettivo della campagna contro le ‘fake news’ non erano certo quei cialtroni che infestano il web di notizie false, razziste e irresponsabili per acchiappare clic, che pure ci sono e da chissà chi sono mossi». No, il vero obiettivo politico era «ogni forma di dissidenza informativa, ogni voce non inserita in quell’oligopolio che controlla – con apparente pluralismo ma sostanziale totalitarismo – la galassia dei media tradizionali, un mainstream in radicale crisi di credibilità e ormai in modalità panico». Aggiunge Cabras: «Fa anche bene Messora a non fare tanti giri di parole quando fa i nomi dei maggiori artefici di questa sistematica volontà di censura, che stanno dentro le istituzioni e nelle aziende dominanti delle telecomunicazioni. Sono nomi che si muovono in un sistema legato mani e piedi al blocco d’interessi di cui Hillary Clinton sarebbe stata il maggiore garante, se non avesse subito il rovescio elettorale. E’ un blocco che ha una sua ideologia e che ha ancora molto potere: perciò vuole trasformare l’ideologia in misure concrete, mirate, inesorabili».Così, accanto al “lavoro ai fianchi” ideologico (in cui «si fa aiutare persino da gente che crede di difendere la libertà»), questa galassia di controllori «fa un lavoro più sporco, inteso a prosciugare le risorse del dissenso». Oltre alle personalità e alle istituzioni citate da Messora, Cabras ricorda anche la Nato, un’organizzazione sempre più attenta a inserire nelle azioni di guerra anche la “guerra della percezione”: ha persino redatto un “Manuale di Comunicazione Strategica” che intende coordinare e sostituire tutti i dispositivi antecedenti che si occupavano di diplomazia, pubbliche relazioni anche militari, sistemi elettronici di comunicazione (Information Operations) e, naturalmente, operazioni psicologiche (PsyOps). «Sono azioni coordinate ad ampio spettro, portate avanti da strutture dotate di risorse immani e che lavorano ventiquattr’ore su ventiquattro in coordinamento con i grandi amministratori delegati di imprese del calibro di Google».L’offensiva è dunque in atto e viene da lontano, prende nota Cabras, attivo su “Megachip” e su “Pandora Tv”, voci libere nate su iniziativa di Giulietto Chiesa. Un’eminenza grigia molto importante dell’amministrazione Usa uscente, Cass Sunstein, anni fa scrisse un saggio in cui – oltre a teorizzare l’«infiltrazione cognitiva» dei gruppi dissenzienti, da perfezionare spargendo disinformazione, confusione, e calunnie – invitava il legislatore a prendere «misure fiscali» (diceva proprio così) contro i propugnatori delle “teorie cospirazioniste” e per l’assoluto divieto di esprimersi liberamente su quanto sia disapprovato dalle autorità, ricorda Cabras. «Ci siamo a suo tempo chiesti dove volesse andare a parare, il professor Sunstein. Voleva dire che chi dissente paga pegno allo Stato? E come diavolo doveva chiamarsi questa nuova imposta? All’epoca erano misteri e deliri di un professore di Harvard, un costituzionalista che ripudiava i capisaldi della Costituzione scritta americana. Ma nel frattempo quel delirio si è fatto strada e si è fatto sistema di potere. E’ bene ricordarlo a quelli che si scandalizzano per Trump senza accorgersi che le ossessioni contro la libertà di espressione hanno colonizzato le istituzioni e i media in cui hanno riposto fiducia, anche a casa Clinton e a casa Obama. Oggi attaccano “Byoblu.com”. Ma sarà presto un attacco contro tutti i dissidenti. E’ una questione già maledettamente seria». In pericolo il pluralismo: è scattato un “maccartismo 2.0”, «un’isteria che vuol fare tabula rasa dell’informazione non allineata».«Stampatevi bene questa data nella testa: 27 gennaio 2017. Il giorno in cui gli effetti della campagna contro le cosiddette “fake news” (ma in realtà con l’obiettivo di colpire l’informazione libera e indipendente), orchestrata da Hillary Clinton, dal Parlamento Europeo, da Laura Boldrini, da Angela Merkel e da tutti quelli che hanno paura che l’informazione libera possa scalzare i loro privilegi e la loro posizione di forza, hanno iniziato a colpire anche in Italia, togliendo la linfa vitale della monetizzazione Adsense, con motivazioni che avrebbero del ridicolo o del tragicomico, se non rappresentassero qualcosa di ben più grave». Così Claudio Messora, dopo che il servizio pubblicitario di Google ha improvvisamente “tagliato i viveri” a “ByoBlu”, il più seguito video-blog indipendente italiano, che vive di donazioni e, appunto, delle inserzioni pubblicitarie “random” veicolate da Adsense. «Oggi è un giorno pesante, il più pesante per l’informazione libera e indipendente in Italia e nel mondo – dichiara Messora – da quando ho iniziato a fare questo “mestiere” del blogger, dieci anni fa».
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I 5 Stelle: basta terrore, l’Italia si smarchi da Ue e Nato
Dopo la strage di Nizza del 14 luglio e il fallito golpe in Turchia, il Movimento 5 Stelle batte un colpo e chiede apertamente che l’Italia si smarchi dal guinzaglio Usa-Ue. «Gli ultimi eventi europei impongono a tutti i cittadini una profonda riflessione a proposito della politica estera italiana», spiegano i 5 Stelle in una nota sul blog di Grillo, accompagnata da un video-editoriale del deputato Manlio Di Stefano. «Il governo è totalmente in preda agli eventi, elargisce solidarietà a destra e a manca ma non agisce in alcun modo, anche perché tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra», è la premessa. L’esecutivo «nicchia, non prende posizione, si accoda alle grandi cordate e non si guarda dentro». Tocca quindi al Parlamento provare a fare «quello che il governo non ha il coraggio di fare», ovvero: «Discutere di un cambio nella nostra politica estera». Tema decisivo e urgentissimo, dal momento che «tutt’intorno una Terza Guerra Mondiale a pezzetti prende sempre più piede».Dai 5 Stelle, dunque, anche una lettera ai presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso. «Ci troviamo in una fase cruciale e la paura è il denominatore comune che ci sta accompagnando in questi mesi convulsi, segnale dell’impotenza e dello stato confusionale in cui versa l’establishment euro-atlantico», scrivono i grillini. L’Unione Europea «appare come un ‘contenitore geopolitico’ incapace di adeguarsi ai mutamenti in atto e dare risposte in termini di sicurezza e lotta al terrorismo». Attenzione: «L’intera impalcatura su cui è costruito il potere del sistema euro-atlantico sembra essere ormai vicina al collasso». Consci della gravità del problema, i 5 Stelle questo chiedono «una svolta nella politica estera e una reale volontà politica nel farlo». In altre parole, «l’Italia ha l’obbligo di tornare ad esprimere una politica estera sempre più autonoma e che abbia come principale interesse la sicurezza nazionale. Una politica estera non più schiava di decisioni altrui che negli ultimi anni si sono rivelate drammatici fallimenti».Come forza principale di opposizione, i 5 Stelle chiedono di inserire nell’agenda parlamentare un dibattitto su temi strategici, a cominciare dalla «ridiscussione del ruolo e degli accordi con la Turchia, come principale alleato nella gestione dell’immigrazione, alla luce degli ultimi eventi». I grillini vogliono anche ridiscutere la decisione emersa nell’ultimo vertice Nato di proseguire la missione militare in Afghanistan, per la quale si chiede all’Italia un impegno più consistente. Altra proposta: «Non destinare più nostri finanziamenti a paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar e i paesi del Golfo a causa della loro ambiguità con il terrorismo internazionale», oggi targato Isis, introducendo anche una moratoria sulle armi da fuoco. Infine, i parlamentari grillini chiedono al governo Renzi di instaurare «una collaborazione senza precedenti tra le forze di intelligence dei paesi Ue, Nato e della Federazione russa».Dopo la strage di Nizza del 14 luglio e il fallito golpe in Turchia, il Movimento 5 Stelle batte un colpo e chiede apertamente che l’Italia si smarchi dal guinzaglio Usa-Ue. «Gli ultimi eventi europei impongono a tutti i cittadini una profonda riflessione a proposito della politica estera italiana», spiegano i 5 Stelle in una nota sul blog di Grillo, accompagnata da un video-editoriale del deputato Manlio Di Stefano. «Il governo è totalmente in preda agli eventi, elargisce solidarietà a destra e a manca ma non agisce in alcun modo, anche perché tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra», è la premessa. L’esecutivo «nicchia, non prende posizione, si accoda alle grandi cordate e non si guarda dentro». Tocca quindi al Parlamento provare a fare «quello che il governo non ha il coraggio di fare», ovvero: «Discutere di un cambio nella nostra politica estera». Tema decisivo e urgentissimo, dal momento che «tutt’intorno una Terza Guerra Mondiale a pezzetti prende sempre più piede».
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Tsipras, Grillo, Podemos e la rivoluzione dei maiali di Orwell
Nei momenti di crisi, quando le istituzioni sembrano sul punto di esplodere e la rabbia sociale aumenta, le masse istintivamente guardano a nuove soluzioni e nuovi uomini. Per quanto il sistema riesca a produrre sempre finte opposizioni buone per perpetuare la teoria del Gattopardo, il punto di rottura prima o poi arriva per davvero. Tsipras in Grecia, Grillo in Italia e Podemos in Spagna rappresentano le ultime frecce all’arco dei nazisti tecnocratici Mario Draghi e Wolfang Schaeuble, dopodiché, smascherati gli ultimi ascari e lestofanti al servizio dei summenzionati criminali continentali, tutto diventa possibile. In Grecia Tsipras ha già il fiato corto, avendo appena approvato una miserabile riforma pensionistica in stile Elsa Fornero che lo smaschera definitivamente quale nemico del popolo e volgare traditore della Patria; lo stesso dicasi per Grillo, oramai pronto a lasciare il campo in favore di un damerino come Di Maio già opportunamente “sdoganato” dal Financial Times, libello ufficiale dei nuovi nazisti globalizzati. Podemos, infine, è palesemente un altro covo di “macchiette”, popolato da tante piccole Laure Boldrini iberiche pronte a fare opposizione ai Re Magi in quanto uomini e perciò poco attenti al rispetto delle quote rosa.I contenitori guidati dai tanti “pagliacci” che fingono di opporsi al sistema eretto da Draghi e Schaueble – su preciso ordine conferito degli stessi Draghi e Schaeuble – rimarranno sulla scena giusto il tempo di finire sommersi dagli sputi e dalle pernacchie. Poi sarà il diluvio. Non bisogna guardare al caos con fastidio e preoccupazione, al punto in cui siamo soltanto uno shock vero e profondo potrà invertire un insostenibile corso della Storia. Nel caos però, oltre a sinceri uomini politici animati da desiderio di giustizia, sguazzano spesso pure gli elementi peggiori, avventurieri senza scrupoli che nascondono turpi obiettivi di comando e di potere occultati dietro una maschera di filantropia indossata per l’occasione. Riconoscerli non è semplice ma neppure impossibile. A tal proposito consiglio a tutti la lettura di uno splendido romanzo politico del geniale George Orwell, “La Fattoria degli Animali”, capolavoro immortale che offre a tutti un realistico quadro psicologico e sociale delle dinamiche complessive che sottendono la conquista e il mantenimento del potere.Il maiale “Napoleone” è un archetipo diffuso – scaltro, carismatico e senza scrupoli – garante per antonomasia di un sistema di regole che egli stesso presenta, interpreta e violenta di continuo al fine di puntellare una leadership di cartapesta fondata sull’imbroglio, sulla consuetudine, sulla paura e sul ricatto. La forza del maiale “Napoleone” consiste nella sua capacità di allontanare i dubbi che avvolgono il suo operato tramite la creazione artificiale di un provvidenziale “nemico esterno”, di fronte al quale il gruppo nel suo insieme deve naturalmente trovare smalto e acritica compattezza intorno alla figura del grande capo. Altrettanto importante risulta inoltre il ruolo esercitato dal maiale “Piffero”, strimpello mediatico impegnato di continuo nel presentare a parole Napoleone quale massimo esempio di bontà, generosità e magnanimità, mentre nei fatti il maiale protagonista del racconto è chiaramente un concentrato di vanità, violenza e menzogna.Un altro fattore di riconoscimento è costituito dall’endemico e spasmodico ricorso alla tecnica del “ballon d’essai”, ovvero dalla continua diffusione di notizie non vere ma verosimili, veicolate con l’obiettivo di saggiare a fini manipolativi la reazione della pubblica opinione. Bisogna perciò stare molto attenti, altrimenti correremo in prospettiva il serio rischio di combattere un sistema iniquo per sostituirlo con uno perfino peggiore: «Alla fine non lo chiamavano più semplicemente Napoleone. Ci si riferiva a lui definendolo con formula cerimoniale “il nostro capo, il compagno Napoleone”, e i maiali si compiacevano di coniare nuovi titoli come “padre di tutti gli animali, “terrore del genere umano”, “protettore degli olivi”, “amico degli anatroccoli”, e via dicendo…”» (“La Fattoria degli Animali”, pag 76, cap. 7).(Francesco Maria Toscano, “Il maiale Napoleone e la fattoria degli animali”, dal blog “Il Moralista” del 6 gennaio 2016).Nei momenti di crisi, quando le istituzioni sembrano sul punto di esplodere e la rabbia sociale aumenta, le masse istintivamente guardano a nuove soluzioni e nuovi uomini. Per quanto il sistema riesca a produrre sempre finte opposizioni buone per perpetuare la teoria del Gattopardo, il punto di rottura prima o poi arriva per davvero. Tsipras in Grecia, Grillo in Italia e Podemos in Spagna rappresentano le ultime frecce all’arco dei nazisti tecnocratici Mario Draghi e Wolfang Schaeuble, dopodiché, smascherati gli ultimi ascari e lestofanti al servizio dei summenzionati criminali continentali, tutto diventa possibile. In Grecia Tsipras ha già il fiato corto, avendo appena approvato una miserabile riforma pensionistica in stile Elsa Fornero che lo smaschera definitivamente quale nemico del popolo e volgare traditore della Patria; lo stesso dicasi per Grillo, oramai pronto a lasciare il campo in favore di un damerino come Di Maio già opportunamente “sdoganato” dal Financial Times, libello ufficiale dei nuovi nazisti globalizzati. Podemos, infine, è palesemente un altro covo di “macchiette”, popolato da tante piccole Laure Boldrini iberiche pronte a fare opposizione ai Re Magi in quanto uomini e perciò poco attenti al rispetto delle quote rosa.
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L’ultima di Nichi: nuova sinistra, zero idee e fedeltà all’Ue
Volete ridere? Per creare il “nuovo soggetto politico di sinistra”, di cui l’Italia ha bisogno come il pane, a farsi avanti è Nichi Vendola. Tradotto: Sel si candida ad aggregare i fuoriusciti del Pd, Rifondazione e qualche transfuga del M5S, per poi mendicare poltrone al riparo del Pd e della fedeltà al regime Ue-Nato. «La novità starebbe nel fatto che questa volta non si tratterebbe di un “improvvisato cartello elettorale” ma di un soggetto unitario, insomma un nuovo partito», diverso cioè dall’album degli orrori degli ultimi anni (Sinistra Europea, Sinistra Arcobaleno, Rivoluzione Civile, L’Altra Europa con Tsipras). Aldo Giannuli, politologo ed ex dirigente del Prc prima della scissione vendoliana, oscilla tra ilarità e sconforto: «Capisco che Sel sia l’unico di questi gruppi ad avere un minimo di organizzazione nazionale e un gruppo parlamentare, e capisco che Sel si collochi al centro fra Rifondazione e i fuorusciti del Pd, ma la politica? Dico: la politica dov’è?». La proposta di Nichi? Zero assoluto, con un’aggravante: guardare ancora con fiducia a Bruxelles e alla Bce che hanno fatto a fette la Grecia. «Le varie sinistre arcobaleno non sono fallite per chissà qualche congiunzione astrale, ma perché non avevano niente da dire». E infatti, ci risiamo.Il metodo è quello di sempre, accusa Giannuli: lunghi elenchi di nomi, «gruppetti e gruppettini, defilè di vecchie stelle del varietà e di generali senza esercito», ma quanto a idee siamo allo zero assoluto. «Sul fisco che diciamo? Zero. Dobbiamo restare nella Nato? Zero. Quali politiche occupazionali vogliamo promuovere? Non pervenuto. Come rilanciare l’industria in Italia? Zero. Quale politica della ricerca? Zero. Quale riforma della giustizia? Zero. E voi volete fare così un nuovo partito? A me hanno sempre insegnato che prima ci si dà una politica e dopo si cerca di costruire lo strumento adatto a realizzarla». Ma Vendola riesce a fare anche peggio, provando a riesumare lo zombie dell’europeismo: «Vogliamo sentire parole di rilancio del sogno dell’Europa federale. E’ necessario conferire più poteri alla Bce», affinché questo soggetto diventi «prestatore di ultima istanza, impedendo che il sistema creditizio internazionale si comporti come un usuraio nei confronti dei popoli del sud dell’Europa»Quindi, deduce Giannuli, «non solo Vendola pensa che il cadavere della Ue debba restare insepolto, ma per “rivitalizzarlo” si affida ai finanzieri della Bce che sono quelli che stanno strangolando la Grecia e che, per Vendola, “devono avere più poteri” (perbacco!). E per fare questa minchiata (scusatemi il termine) c’è bisogno di fare un nuovo partito di sinistra?». Siamo a posto: «Che Vendola capisca di economia come io di dialetti esquimesi era cosa nota – premette Giannuli – ma lui pensa che se Draghi non emette liquidità con il sifone del selz è perché ha pochi poteri. Non gli viene in testa che l’euro è una moneta che ha come obiettivo prioritario la stabilità, e che dunque i tedeschi non permetterebbero mai di fare quello che lui sogna e che neanche Draghi vuole più di tanto. Dunque, la somma algebrica della sua relazione è la seguente: 0+ 0 +0 + 0 + 1 sbagliato». Sicché, «sulla base di questo programma, per quale motivo la gente dovrebbe votare questo ennesimo accrocchio di ceti politici di sinistra?».Bene che vada, continua Giannuli, verrà fuori il solito partitino del 4-5% che, «dopo un po’ di smorfie, si adatterà a fare il cespuglio del Pd, sempre che Renzi ce lo voglia». E per di più «dopo una lunghissima serie di fallimenti implacabili e in una situazione internazionale molto peggiore del passato». Appello: «Caro Nichi, non ti sei accorto che il tuo partito nasce morto ed è già stato sconfitto? E’ stato sconfitto definitivamente ad Atene. Auguri». Prima di chiudere, Giannuli – che si dichiara “uno dei più antichi filologi” della “poetica” di Vendola – si diverte a fornire «all’ignaro lettore» quella che definisce «l’esatta versione in prosa di alcuni passaggi del suo alato discorso», all’assemblea nazionale di Sel. Dice il leader: «Sel non si scioglie, ma investe il suo patrimonio per rinascere in una cosa più grande». Traduzione: Sel si pone come soggetto centrale che aggrega gli altri. «Basta con i cartelli elettorali e gli accrocchi di ceto politico», insiste Nichi. Traduzione di Giannuli: gli altri sì, si devono sciogliere, mentre Sel, che aspira ad essere il pezzo più importante del costituendo nuovo partito, ambisce ad essere il principale azionista, quindi farà le liste senza garantire nessun altro partecipante.Vendola evoca una nuova sinistra di governo, plurale, inclusiva, moderna che sappia anche «inventarsi nuove leadership» e che sia «costruita con le nuove generazioni»? In realtà vuol dire: un partito che cercherà spiragli per ottenere qualche poltrona, e non ha nessuna intenzione di restare all’opposizione. «E che ci darà nuovi Pisapia, Doria, Boldrini…». Quanto alla leadership, ci sarà un ricambio generazionale. Quando? “Dopo”, ovviamente, amche se Nichi annuncia: «Possiamo congedarci definitivamente dall’epoca della sinistra del rancore e dei risentimenti». Traduzione: “Ferrero, non ti montare la testa che non conterai niente”. E infine: «Dobbiamo confrontarci ora per far nascere una nuova, grande stagione referendaria». Magnifico, molto democratico. Traduzione di Giannuli: “Non sappiamo su cosa, ma indiremo qualche referendum per fare un po’ di campagna promozionale”.Volete ridere? Per creare il “nuovo soggetto politico di sinistra”, di cui l’Italia ha bisogno come il pane, a farsi avanti è Nichi Vendola. Tradotto: Sel si candida ad aggregare i fuoriusciti del Pd, Rifondazione e qualche transfuga del M5S, per poi mendicare poltrone al riparo del Pd e della fedeltà al regime Ue-Nato. «La novità starebbe nel fatto che questa volta non si tratterebbe di un “improvvisato cartello elettorale” ma di un soggetto unitario, insomma un nuovo partito», diverso cioè dall’album degli orrori degli ultimi anni (Sinistra Europea, Sinistra Arcobaleno, Rivoluzione Civile, L’Altra Europa con Tsipras). Aldo Giannuli, politologo ed ex dirigente del Prc prima della scissione vendoliana, oscilla tra ilarità e sconforto: «Capisco che Sel sia l’unico di questi gruppi ad avere un minimo di organizzazione nazionale e un gruppo parlamentare, e capisco che Sel si collochi al centro fra Rifondazione e i fuorusciti del Pd, ma la politica? Dico: la politica dov’è?». La proposta di Nichi? Zero assoluto, con un’aggravante: guardare ancora con fiducia a Bruxelles e alla Bce che hanno fatto a fette la Grecia. «Le varie sinistre arcobaleno non sono fallite per chissà qualche congiunzione astrale, ma perché non avevano niente da dire». E infatti, ci risiamo.
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Grazie a Napolitano, oggi l’Italia è una valle di lacrime
Da oggi gli italiani possono guardare al futuro con un pizzico di speranza e di fiducia in più. Giorgio Napolitano, arcigno avamposto italiano di poteri schiavistici, antidemocratici e occulti, si è finalmente dimesso, liberando inconsapevolmente nell’aria un fresco profumo di libertà che riscalda il cuore ed ossigena il cervello. Credo sia opportuno che il Parlamento, espressione di una volontà popolare ripetutamente tradita dal vecchio presidente, sottolinei l’importanza storica di siffatta circostanza, magari affiancando simbolicamente il 14 gennaio al 25 Aprile. Napolitano, con metodi e modi alquanto diversi da quelli utilizzati da Benito Mussolini, ha commissariato l’Italia per quasi un decennio, violentando una dialettica democratica da sacrificare sull’altare di interessi speculativi privati. Napolitano rappresenta uno spartiacque per il nostro paese. Gli storici, così come avvenne per l’esperienza fascista, saranno costretti a raccontare quanto l’Italia sia cambiata (in peggio) in conseguenza dell’ascesa al potere dell’ex comunista migliorista preferito da Henry Kissinger.Nel 2006 l’Italia era un paese relativamente prospero e felice, con un tasso di disoccupazione accettabile e un tessuto industriale ancora solido e competitivo. L’Italia di oggi è invece una valle di lacrime, impoverita e umiliata da tecnocrati sprovvisti di mandato popolare che banchettano sulla pelle dei più deboli. In Italia, grazie alle politiche volute da una serie di governi-fantoccio creati dallo stesso Napolitano, la disoccupazione è salita alle stelle. Generazioni intere sono state falcidiate agitando strumentalmente il mito del debito pubblico, tra l’altro paradossalmente aumentato proprio in conseguenza delle dissennate politiche di austerità difese a spada tratta e contro ogni logica proprio dal nostro ex presidente. Ma Napolitano non si è limitato a farsi garante per conto terzi del declino economico e industriale del Belpaese: ha fatto di più e di peggio; ha imposto cioè una visione del potere elitaria e oligarchica, lentamente sfociata in un vero e proprio culto della personalità indegno persino di un paese in via di sviluppo.In questi anni la grande stampa, all’unisono, non ha mai osato mettere in discussione le scelte del presidente-monarca, bollando come impuri ed infedeli tutti quelli che trovavano il coraggio di resistere alla dittatura del pensiero unico. Un crinale allo stesso tempo risibile e pericoloso, palesatosi al mondo in tutta la sua ridicola drammaticità il giorno in cui i presidenti delle Camere, Grasso e Boldrini, invitarono i parlamentari a non pronunciare invano in aula il nome del presidente Napolitano. Scene fantozziane che farebbero arrossire di vergogna perfino tipi alla Erdogan. Ancora oggi giornali come “Repubblica”, la “Stampa” e il “Corriere della Sera” trovano il tempo di raccontare al popolo quanto Napolitano sia felice di tornarsene a casa (figuratevi quanto lo siamo noi). Eugenio Scalfari, in un articolo pubblicato ieri su “Repubblica”, è riuscito a scrivere che Napolitano aderì in gioventù al Guf (gruppi universitari fascisti) in funzione antifascista. Ma vi rendete conto? E’ come dire che Tizio volle farsi prete perché chiaramente anticlericale. Non sanno più cosa inventarsi per tenere il sacco ad un uomo anziano che ha sempre e soltanto creduto nel potere per il potere.Quando però i piccoli interessi contingenti saranno sopiti, le menzogne interessate e pavide evaporeranno, lasciando sul campo una verità fattuale che, per quanto comprensiva e abbellita, condannerà in eterno il ricordo di Napolitano, pessimo presidente bravo a fare della banalità un’arte e dell’ipocrisia un punto di forza. Stendiamo infine un velo pietoso sulle vere ed eversive dinamiche che hanno preparato la nascita del governo Monti, denunciate sia nel libro di Alan Friedman (“Ammazziamo il Gattopardo)”, che in quello pubblicato dall’ex segretario del Tesoro americano Tim Geithner (“Stress Test”). Retroscena inquietanti, non a caso silenziati da un sistema informativo che, pur ricordando nei fatti l’Istituto Luce, marcia in difesa del ricordo dei giornalisti di “Charlie Hebdo”, massacrati nel nome di una libertà che non accetta limiti né compromessi. Addio Giorgio. L’Italia è finalmente libera di ricominciare a vivere.(Francesco Maria Toscano, “L’Italia è finalmente libera, il 14 gennaio 2015 come il 25 aprile 1945”, dal blog “Il Moralista” del 16 gennaio 2015).Da oggi gli italiani possono guardare al futuro con un pizzico di speranza e di fiducia in più. Giorgio Napolitano, arcigno avamposto italiano di poteri schiavistici, antidemocratici e occulti, si è finalmente dimesso, liberando inconsapevolmente nell’aria un fresco profumo di libertà che riscalda il cuore ed ossigena il cervello. Credo sia opportuno che il Parlamento, espressione di una volontà popolare ripetutamente tradita dal vecchio presidente, sottolinei l’importanza storica di siffatta circostanza, magari affiancando simbolicamente il 14 gennaio al 25 Aprile. Napolitano, con metodi e modi alquanto diversi da quelli utilizzati da Benito Mussolini, ha commissariato l’Italia per quasi un decennio, violentando una dialettica democratica da sacrificare sull’altare di interessi speculativi privati. Napolitano rappresenta uno spartiacque per il nostro paese. Gli storici, così come avvenne per l’esperienza fascista, saranno costretti a raccontare quanto l’Italia sia cambiata (in peggio) in conseguenza dell’ascesa al potere dell’ex comunista migliorista preferito da Henry Kissinger.
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Da soldati del capitale a uomini liberi, malgrado la Boldrini
L’immigrazione è uno dei temi più caldi del dibattito pubblico attuale. Del resto, in un mondo sempre più globale e insicuro, non potrebbe essere altrimenti. Come spesso capita, però, la discussione si è distanziata precocemente dalla ricerca della verità e di soluzioni concrete, fossilizzandosi in due macro-schieramenti: da un lato, c’è chi vede nell’immigrato un invasore, colpevole di rubare il posto di lavoro altrui; dall’altro, la difesa spasmodica di tale fenomeno ha portato ad affermazioni che farebbero rabbrividire qualsiasi appassionato di distopie. È questo il caso, relativamente recente, del presidente della Camera Laura Boldrini, la quale ha esplicitamente dichiarato in diretta nazionale che «il migrante è l’avanguardia dello stile di vita che presto sarà lo stile di vita di moltissimi di noi». Considerata da alcuni come massimo esempio di tolleranza e libertà, quest’idea se fosse del tutto realizzata sancirebbe la vittoria assoluta del sistema liberal-capitalista, già oggi dominante.Come una veggente di stampo neoliberista, infatti, la Boldrini fa riferimento ad un futuro dove si «dovranno muovere i capitali, le merci, gli esseri umani», vale a dire un mondo senza coesione sociale, valori condivisi e stabilità, in cui a comandare, sempre di più, saranno i marchi multinazionali e gli investitori privati. Non un futuro roseo, insomma, per chi è portatore di tradizioni millenarie e combatte contro i disagi della post-modernità da tutta la propria vita. La posizione “boldriniana”, inoltre, ha la presunzione di considerare la vita dell’immigrato come positiva e fiorente, senza interrogarsi su quanto l’esistenza di una persona, costretta ad abbandonare il proprio paese, la propria famiglia e le proprie consuetudini possa essere considerata un bene e dirsi veramente felice. Quest’atteggiamento denota un forte etnocentrismo che forse sarebbe ora di considerare come il razzismo del XXI secolo. Se è vero, infatti, che gran parte della storia coloniale ha visto nella presunta superiorità di una razza sull’altra la giustificazione del dominio e delle ingiustizie, oggi è l’imposizione di modelli propri di una determinata cultura, liberale e occidentale, ad altre, a svolgere la stessa funzione soggiogatrice.È così che le diverse popolazioni perdono la propria identità e il rispetto di se stesse, nella falsa speranza di divenire altro. Del resto, come osserva Jean Baudrillard, «la cultura occidentale si mantiene soltanto sul desiderio del resto del mondo di accedervi». In quanto tristemente reale, questo concetto si collega direttamente all’altra posizione accennata in precedenza, spesso popolare, che vede nell’immigrato il nemico numero uno, l’artefice del male. Questa visione confonde il vero problema in questione, individuandolo non nel fenomeno sistemico e manipolato dai poteri forti, ma nei suoi attori individuali e disperati. Erroneamente, sposta il bersaglio della critica dall’immigrazione agli immigrati. Questi ultimi, più che ad un esercito invasore, assomigliano a quello che Karl Marx, nel primo libro del “Capitale”, definisce «l’esercito industriale di riserva», ovvero quella massa di disoccupati particolarmente comoda ai capitalisti perché, a seguito della grande concorrenza, determina bassi salari e scarse rivendicazioni sociali.Ecco allora come l’immigrazione, difesa non a caso dai liberisti più accaniti, assomiglia più che ad un’invasione, ad una tratta di schiavi. L’immigrato è, allo stesso tempo, agente inconsapevole e vittima reale di un sistema planetario capace di minare la sicurezza e la dignità di tutti. Continuare a sostenere questo tipo di immigrazione, che di scambio tra culture non ha veramente nulla, significa semplicemente legittimare le logiche neoliberiste. Le stesse logiche che hanno ridotto i paesi del “Nord” alla crisi (culturale, sociale, economica) e, più o meno indirettamente, quelli del “Sud” alla miseria. Questo significherebbe volersi chiudere su se stessi ignorando i problemi, tra l’altro da noi creati, nelle parti più povere del mondo? Niente affatto. In realtà, questa presa di coscienza rappresenterebbe il primo passo concreto per agire veramente a difesa delle popolazioni ridotte oggi alla fame, perché intaccherebbe la struttura stessa del sistema liberal-capitalista, prendendo le distanze sia da slogan distanti dalla realtà di cose, sia da un moralismo molto politically correct che non ha davvero ragione di esistere.Questa critica, costruttiva e non distruttiva, dovrà partire dalla rivalutazione dei paesi, delle culture e della dignità stessa degli abitanti del “Sud” del mondo. Nel suo “Breve trattato sulla decrescita serena”, Serge Latouche parla di una «sfida della decrescita per il Sud», sostenendo come la sua popolazione è ancora in tempo per non ficcarsi in quel vicolo cieco, che è la società progressista, in cui l’altra parte del mondo è condannata da tempo. Oggi la società occidentale attira migliaia di persone con l’illusione della tecnica e di un marcio benessere, costruito proprio sulle spalle altrui; per questo, come osserva Latouche, «finché l’Etiopia e la Somalia saranno costrette, mentre infuria la carestia, a esportare alimenti per i nostri animali domestici, finché noi ingrasseremo il nostro bestiame con la pasta di soia prodotta sulle cenere delle foreste amazzoniche, noi soffocheremo qualsiasi tentativo di reale autonomia nel Sud». La “reale autonomia” di tutti i popoli, alimentata dal confronto e dalla scambio tra le diverse realtà presenti nel mondo, rappresenta l’obiettivo per cui lottare oggi. Una presa di posizione netta sul tema dell’immigrazione, al di là di posizioni stereotipate, è necessaria per far finire il circolo vizioso e conseguire questo fine.(Lorenzo Pennacchi, “Da soldati del capitale a uomini liberi”, da “L’Intellettuale Dissidente” del 24 ottobre 2014).L’immigrazione è uno dei temi più caldi del dibattito pubblico attuale. Del resto, in un mondo sempre più globale e insicuro, non potrebbe essere altrimenti. Come spesso capita, però, la discussione si è distanziata precocemente dalla ricerca della verità e di soluzioni concrete, fossilizzandosi in due macro-schieramenti: da un lato, c’è chi vede nell’immigrato un invasore, colpevole di rubare il posto di lavoro altrui; dall’altro, la difesa spasmodica di tale fenomeno ha portato ad affermazioni che farebbero rabbrividire qualsiasi appassionato di distopie. È questo il caso, relativamente recente, del presidente della Camera Laura Boldrini, la quale ha esplicitamente dichiarato in diretta nazionale che «il migrante è l’avanguardia dello stile di vita che presto sarà lo stile di vita di moltissimi di noi». Considerata da alcuni come massimo esempio di tolleranza e libertà, quest’idea se fosse del tutto realizzata sancirebbe la vittoria assoluta del sistema liberal-capitalista, già oggi dominante.
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Addio democrazia, Renzi e Silvio i manovali del piano
Le chiamano “riforme”, come fossero sinonimo di “migliorie”, secondo la vulgata mainstream accettata dai media come verità di fede. Ma sono soltanto le “indicazioni” – leggasi: diktat – che l’oligarchia euroatlantica da anni reitera all’Italia, a colpi di spread (Mario Monti) oppure confidando nell’appeal demiurgico di Renzi, che attraverso il ministro Padoan (Ocse) e con la collaborazione dell’immancabile “uomo di sinistra”, il ministro Poletti, propone la stessa cura-Monti spacciandola per innovazione entusiasmante. Tutto molto semplice: smantellare i punti cardine della Costituzione antifascista, quella che Jamie Dimon (Jp Morgan) ritiene obsoleta, perché tutela l’interesse pubblico di cittadini e lavoratori contro la legge del business. Quella che – con l’applicazione del Ttip, il Trattato Transatlantico voluto dai padroni di Obama e imposto a Renzi – farà sparire in tutta Europa le ultime garanzie di tutela su ambiente, salute, lavoro e sicurezza alimentare, liquidando la qualità del made in Italy. Logica traduzione: sbaraccare lo Stato di diritto e il “rischio” che possa essere governato dai cittadini tramite politici onesti e responsabili.Marco Travaglio lo chiama “il patto Renzi-Berlusconi”, individuandone la declinazione italiana di oggi, i suoi manovali. Ma è un “patto” che viene da lontano, a metà strada tra Wall Street, Bruxelles e Berlino. «Unendo i puntini delle varie riforme vaganti tra governo e Parlamento, costituzionali e ordinarie, ma anche di certe prassi quotidiane passate sotto silenzio per trasformarsi subito in precedenti pericolosi, come le continue interferenze del Quirinale nell’autonomia del Parlamento, della magistratura e della stampa, viene fuori un disegno che inquieta», scrive Travaglio sul “Fatto Quotidiano”. «Una democrazia verticale, cioè ben poco democratica: sconosciuta, anzi opposta ai principi ispiratori della Costituzione, fondata invece su un assetto orizzontale in ossequio alla separazione e all’equilibrio dei poteri». Svolta autoritaria: «All’insaputa del popolo italiano, mai consultato sulla riscrittura della Costituzione, e fors’anche di molti parlamentari ignoranti o distratti, il combinato disposto di leggi, decreti e prassi – di per sé all’apparenza innocue – rischia di costruire un sistema illiberale e piduista fondato sullo strapotere del più forte e sul depotenziamento degli organi di controllo e garanzia».Il pericolo, sintetizza Travaglio, è una «dittatura della maggioranza». Una “democratura”, come direbbe Giovanni Sartori, «a disposizione del primo “uomo solo al comando” che se ne impossessa, diventando intoccabile, incontrollabile, non contendibile, dunque invincibile». Unendo l’ultimo dei “puntini” – il più importante, anche se Travaglio lo sfuma, forse dandolo per scontato – si scopre che il cervello della manovra per liquidare la residua democrazia italiana non risiede a Roma, ad Arcore o a Firenze, ma nei centri di potere economico-finanziari e tecnocratici che negli ultimi trent’anni hanno logorato senza sosta i gangli vitali della fragile e sgangherata democrazia italiana, per assoggettarla a regole scritte altrove, nei santuari del neoliberismo: fine della sovranità nazionale, debito pubblico ostaggio della speculazione finanziaria, demonizzazione del deficit, taglio della spesa pubblica e del welfare, attacco ai salari, flessibilità e precarizzazione del lavoro (Jobs Act), massacro delle pensioni (riforma Fornero). Tutto questo è avvenuto grazie all’alibi del debito, in realtà esploso dopo il divorzio tra Bankitalia e Tesoro nel 1981, che privò di colpo il paese della possibilità di finanziare il deficit – cioè l’investimento pubblico – a costo zero.Da allora, tutti i “tecnici” al potere (in prima linea e nelle retrovie: Draghi, Ciampi, Amato, Andreatta, Prodi, Dini, Padoa Schioppa, Visco, Treu, Bassanini, Monti) hanno proseguito la missione: dire agli italiani che “bisogna” suicidare lo Stato, cioè spillare più soldi – in tasse – di quanti lo Stato non sia disposto a spendere per i cittadini. “Lo vuole l’Europa”, naturalmente, ovvero la Germania, interessata a sbarazzarsi della concorrenza industriale italiana, e lo vuole – da sempre – l’élite economica euroatlantica, insofferente alla relativa autonomia di paesi come l’Italia, capaci di sviluppare benessere diffuso (nonostante la casta corrotta dei politici) proprio grazie alla spesa pubblica strategica dello Stato, che finisce per fare concorrenza al “mercato”, ovvero ai signori delle multinazionali. Sono loro, i “padroni dell’universo”, gli unici a comandare oggi – a fare le leggi che contano – grazie alle lobby insediate a Bruxelles e a organismi sovranazionali pressoché onnipotenti, dal Wto alla Banca Mondiale, dal Fmi alla Bce, dal Bilderberg alla Banca dei Regolamenti Internazionali. Tutto il potere che conta è verticalizzato, nel sistema neo-feudale dell’euro, in mano a poche “menti raffinatissime” che vogliono la morte per fame dello Stato democratico e la impongono mediante rigore e austerity, Fiscal Compact, unione bancaria europea, pareggio di bilancio.Nella sua lunga analisi, Travaglio osserva la traduzione italiana del piano, affidato a Renzi e Berlusconi con la regia di Napolitano sin dai tempi di Monti (Goldman Sachs, Commissione Trilaterale) e Letta (Aspen, Bilderberg). Il fondatore del “Fatto” individua i punti-chiave della definitiva archiviazione della macchina democratica così come l’abbiamo conosciuta finora. La spaventosa legge elettorale, battezzata “Italicum”, che impedirebbe ai cittadini di eleggere i loro candidati. Il Senato, ridotto a comparsa della democrazia. La fine dell’opposizione, con l’emarginazione dei parlamentari scomodi nelle commissioni (il caso Mineo) e una riforma costituzionale che «disarma le minoranze, istituzionalizzando la “ghigliottina” calata dalla presidente Laura Boldrini contro il M5S che tentava di impedire la conversione in legge del decreto-regalo alle banche». E mentre vengono falciati i poteri di controllo, il capo dello Stato abdica al suo storico ruolo di garanzia per ripiegare su una «funzione gregaria del governo», se per eleggerlo basteranno 33 senatori, dopo che il premier – con la legge-truffa per le elezioni – disporrà «del 55% dei deputati da lui nominati».Chi andrà al governo con l’Italicum, continua Travaglio, controllerà anche la Corte Costituzionale, il Csm, i procuratori della Repubblica: un’ingerenza mai vista prima del potere esecutivo, che – con le nuove regole – metterà al guinzaglio il potere giudiziario, proprio come sognava di fare Licio Gelli. Su tutto, resta ovviamente in piedi l’immunità parlamentare anche per i neo-senatori “nominati”, cioè sindaci e consiglieri regionali: «Basterà che un consiglio regionale li nomini senatori, e nel tragitto dalla loro città a Roma verranno coperti dallo scudo impunitario, che impedirà ai magistrati di arrestarli, intercettarli e perquisirli senza l’ok di Palazzo Madama». Tutto questo proviene dal giovane Renzi: interessato a “rottamare” la democrazia, si guarda bene dal toccare le due leggi-vergogna sull’informazione, la Gasparri sulla televisione e la Frattini sul conflitto d’interessi, mentre i grandi giornali italiani restano in mano a editori impuri come «imprenditori, finanzieri, banchieri, palazzinari (per non parlare di veri o finti partiti, con milioni di fondi pubblici), perlopiù titolari di aziende assistite e/o in crisi e dunque ricattabili dal governo, anche per la continua necessità di sostegni pubblici». Non è strano, quindi, che non raccontino ciò che sta davvero accadendo.Addio, cittadini italiani: «Espropriati del diritto di scegliersi i parlamentari, scippati della sovranità nazionale (delegata a misteriose e imperscrutabili autorità europee), i cittadini non ancora rassegnati a godersi lo spettacolo di una destra e di una sinistra sempre più simili e complici, che fingono di combattersi solo in campagna elettorale, possono rifugiarsi in movimenti anti-sistema ancora troppo acerbi per proporsi come alternativa di governo (come il M5S); o inabissarsi nel non-voto (che sfiora ormai il 50%)». In teoria, la Costituzione prevede alcuni strumenti di democrazia diretta, come i referendum abrogativi: «Che però, prevedibilmente, saranno sempre più spesso bocciati dalla Consulta normalizzata». Restano le leggi d’iniziativa popolare, peraltro quasi mai discusse dal Parlamento, ma i “padri ricostituenti” hanno pensato anche a queste, «quintuplicando la soglia delle firme necessarie, da 50 a 250 mila. Casomai qualcuno s’illudesse ancora di vivere in una democrazia».Nella peggiore delle ipotesi, l’allarme di Travaglio sarà costretto a impallidire se il Trattato Transatlantico che avanza a porte chiuse fosse davvero approvato, come vogliono Obama e Renzi, entro la fine del 2015: i giudici italiani non avrebbero più nessun potere contro le pretese delle multinazionali, pronte a chiedere maxi-risarcimenti a Stati e governi che oseranno opporre leggi a tutela del territorio, dei lavoratori, delle persone. E se a qualcuno il “nuovo ordine” non starà bene, l’Unione Europea – ora guidata dall’impresentabile oligarca Juncker – sta già addestrando in gran segreto l’Eurogendfor, polizia militare antisommossa e multinazionale, incaricata di reprimere le proteste: a caricare i cortei italiani potranno essere agenti francesi e olandesi, poliziotti spagnoli e portoghesi. Entro due o tre anni, secondo i critici più pessimisti, la Costituzione italiana sarà ricordata soltanto sui libri di storia.Le chiamano “riforme”, come fossero sinonimo di “migliorie”, secondo la vulgata mainstream accettata dai media come verità di fede. Ma sono soltanto le “indicazioni” – leggasi: diktat – che l’oligarchia euroatlantica da anni reitera all’Italia, a colpi di spread (Mario Monti) oppure confidando nell’appeal demiurgico di Renzi, che attraverso il ministro Padoan (Ocse) e con la collaborazione dell’immancabile “uomo di sinistra”, il ministro Poletti (Lega Coop), propone la stessa cura-Monti spacciandola per innovazione entusiasmante. Tutto molto semplice: smantellare i punti cardine della Costituzione antifascista, quella che Jamie Dimon (Jp Morgan) ritiene obsoleta, perché tutela l’interesse pubblico di cittadini e lavoratori contro la legge del business. Quella che – con l’applicazione del Ttip, il Trattato Transatlantico voluto dai padroni di Obama e imposto a Renzi – farà sparire in tutta Europa le ultime garanzie di tutela su ambiente, salute, lavoro e sicurezza alimentare, liquidando la qualità del made in Italy. Logica traduzione: sbaraccare lo Stato di diritto e il “rischio” che possa essere governato dai cittadini tramite politici onesti che abbiano a cuore l’Italia.
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In bikini per Tsipras, che ignora le cause dell’euro-lager
«Qualche giorno fa Paola Bacchiddu, responsabile per la comunicazione della lista “L’altra Europa con Tsipras” ha postato una propria foto in bikini, con il culo seminudo ben in evidenza in primo piano, accompagnata dal seguente commento: “Ciao è iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate l’Altra Europa con Tsipras”». Un voto in cambio di un desiderio, scrive Rosanna Spadini: un voto in cambio di una proposta indecente? Vince «l’etica della modernità liquida», il monoteismo del marketing: non avrai altro mercato al di fuori di me, ricordati di santificare lo shopping, onora ogni mio desiderio, non uccidere la libidine dentro di te, ama il piacere tuo come te stesso. «Non si capisce a questo punto quale relazione ci possa essere tra il rigore moralistico laico degli tsiprioti, che per certi versi è dogmatico e reverenziale quanto quello cristiano, e la nuova morale postmoderna della società globalizzata, dominata dal neoliberismo sovranazionale planetario». Quale etica, nel tempo dell’assoluta mancanza di etica?Come può convivere l’etica del marketing con la lotta al mercato e al capitalismo? «Marxisti in crisi di identità? Marxisti dell’Illinois? (da una famosa scena del film “The Blues Brothers”, anche se là erano nazisti)», scrive la Spadini su “Come Don Chisciotte”. «Gli tsiprioti infatti sono quegli esseri che viaggiano sollevati a un palmo da terra (come Remedios la Bella di “Cent’anni di solitudine”), sono entità moralmente sovrannaturali, si spendono e si spandono per i diritti umani di tutta l’umanità, sono gli oracoli viventi dell’“unico dogma” che può salvare la pace, la libertà, la democrazia, sono i profeti dell’“unica verità socialista, marxista, comunista”. Quale complicità ci può essere tra i novelli Templari del marxismo, i monaci militanti della fratellanza universale e la subdola seduzione del mercato? Quale connivenza tra le loro esistenze votate all’ideale universalistico della distribuzione globale dei diritti e la sporcizia morale di chi seduce con una sveltina (per di più anale) in cambio di un voto?».Senza considerare, aggiunge Spadini, che spesso gli “tsiprioti” provengono dalle vaste e profonde gole di “Micromega”, frequentate da intellettuali che hanno attraversato gli anni tormentati del berlusconismo «ragionando sapientemente dei massimi sistemi dell’esistenza, senza che il loro nobile pensiero si traducesse mai in risoluzione pratica dei problemi sociali, confondendo spesso l’astrattezza della loro speculazione filosofica con l’astuta strategia politica di chi intercetta e decifra le esigenze del reale». Ecco perché gli “tsiprioti” sono andati in Grecia a cercarsi un loro degno rappresentante: «Perché in Italia non c’era nessun Zarathustra degno di fede, non c’era nessuno che potesse corrispondere ai loro criteri di selezione darwiniana della specie eletta degli ubermensch». Ma Tsipras e i suoi followers, a partire da Barbara Spinelli, «non sembrano capire che un’Europa federale e democratica dei popoli fratelli non è possibile se non uscendo da quel lager eurocratico che la sta devastando».Secondo Rosanna Spadini, «non ci può essere democrazia se non all’interno dello Stato-nazione, non ci può essere sovranità economica se non restaurando la collaborazione tra Tesoro e Bankitalia che è stata interrotta dal “divorzio” del 1981 (legge Ciampi-Andreatta), e non ci può essere benessere sociale se non recuperando la nostra indipendenza politica e democratica». Per di più, «questi monaci militanti della fratellanza globalizzata, che ha anche impedito in Italia la nascita di una coscienza nazionale, concezione da loro soavemente disprezzata, confusa con quella di nazionalismo (che è decisamente un’altra cosa), questi sacerdoti laici che celebrano quotidianamente il loro anacronistico rito liturgico, sono stati sempre la ruota di scorta dei poteri forti, “utili idioti” al servizio del sistema neoliberista, ottusi strumenti nelle mani del potere eurocratico, tribuni di strategie politiche del nulla, sempre e comunque perdenti, proprio perché connaturate amabilmente al potere costituito (vedi Laura Boldrini)».Non si rendono conto, aggiunge Spadini nella sua requisitoria, che l’Europa odierna sta vivendo uno dei momenti più tragici della propria storia: non potrà cambiare il proprio destino se non facendo una diagnosi precisa della cause che hanno provocato il disastro. E’ «un “golpe bianco” che viene da lontano, dal crollo del muro di Berlino del 1989, quando il sistema capitalistico-imperialistico-neoliberista rimasto unico ordine mondiale, si apprestò a dissolvere gli Stati-nazione, privandoli della loro sovranità politico-economica, per ricomporli in quell’orrido organismo sovranazionale, privo di identità e di cultura, che è appunto l’Unione Europea». Un “golpe bianco” che «si serve dell’euro come arma di distruzione di massa per imporre politiche di austerity che devastano l’economia e i diritti, una dittatura finanziaria che ha imposto i trattati-capestro, dal Trattato di Maastricht (1993) a quello di Lisbona (2007), quando al contrario i popoli di Francia e Olanda avevano ampiamente bocciato la Costituzione Europea».Il “nemico” da riconoscere «una dittatura finanziaria che ha poi aperto la strada all’inarrestabile corso dei tagli alla spesa pubblica (che invece statisticamente non oltrepassa la media dei paesi europei), al ciclo delle privatizzazioni, alla precarizzazione a vita del lavoro e alla devastazione del welfare, straordinaria conquista sociale delle lotte del Novecento, ma anche strategia funzionale all’antagonismo tra il benessere capitalistico dell’ovest europeo, opposto al malessere comunista del suo nemico storico, rappresentato dall’Urss, durante il periodo della guerra fredda». Pertanto, Tsipras e «i suoi gattopardeschi followers» vorrebbero rimuovere gli effetti disastrosi della dittatura eurocratica «senza toccarne le cause, rappresentate dall’euro e dai trattati». E questo, purtroppo o per fortuna, è ben più importante dell’ostentata esposizione delle terga della giovane portavoce in bikini.«Qualche giorno fa Paola Bacchiddu, responsabile per la comunicazione della lista “L’altra Europa con Tsipras” ha postato una propria foto in bikini, con il culo seminudo ben in evidenza in primo piano, accompagnata dal seguente commento: “Ciao è iniziata la campagna elettorale e io uso qualunque mezzo. Votate l’Altra Europa con Tsipras”». Un voto in cambio di un desiderio, scrive Rosanna Spadini: un voto in cambio di una proposta indecente? Vince «l’etica della modernità liquida», il monoteismo del marketing: non avrai altro mercato al di fuori di me, ricordati di santificare lo shopping, onora ogni mio desiderio, non uccidere la libidine dentro di te, ama il piacere tuo come te stesso. «Non si capisce a questo punto quale relazione ci possa essere tra il rigore moralistico laico degli tsiprioti, che per certi versi è dogmatico e reverenziale quanto quello cristiano, e la nuova morale postmoderna della società globalizzata, dominata dal neoliberismo sovranazionale planetario». Quale etica, nel tempo dell’assoluta mancanza di etica?
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Fuga da Sel, poltrone senza gloria per post-bertinottani
A quanto pare, Sel è prossima alla scissione: una ventina di deputati e tre o quattro senatori si apprestano a lasciare Sel per volare fra le braccia di Renzi, sperando di essere rieletti. Avete capito bene: Renzi, neppure Bersani o Civati: Renzi. Il tutto alla vigilia del voto per le Europee, dove la lista Tsipras lotta sul decimale in più o in meno per prendere il quoziente e salvarsi: il che è l’evidente vigliaccata di gente che pensa solo a mantenersi il cadreghino sotto il sedere. Ma da Gennaro Migliore, non mi aspettavo di meglio. Le alte motivazioni ideali di questa pattuglia di migranti sono facilissime da capire: Sel è in discesa nei sondaggi e lo era già sei mesi fa, ora, se la lista Tsipras fallisce, loro si trovano coinvolti nel naufragio ed il loro potere di contrattazione scende a zero, se, invece, riesce a salvarsi, poi loro non hanno prospettive di rientro, perché la Befana del premio di maggioranza non ci sarebbe e perché lo stesso partito di appartenenza li mollerebbe. Molto meglio passare in tempo al Pd, facendo finta di dare un contributo elettorale a Renzi che ha bisogno come l’aria di non andare sotto il 30%.Non credo che tutto ciò provocherà grandi terremoti elettorali e che questo pattuglione di “cadrega dipendenti” sposterà nulla (sono gli stessi che hanno perso il congresso, e nell’elettorato non li conosce nessuno). Migliore è uno che, se ci fosse il voto di preferenza, prenderebbe sette voti, compreso quello della madre, del fratello e del portiere di casa (e del portiere non sono neanche troppo sicuro). Ma la scissione può spostare quello 0,1% che fa la differenza fra il prendere e il non prendere il quoziente. Questo è il prodotto della selezione dei gruppi dirigenti di partito e parlamentari nell’area della cosiddetta sinistra radicale (cose anche peggiori potremmo dire di Rifondazione, tanto per fare un esempio) che fanno emergere regolarmente una casta di arrivisti, incapaci e opportunisti. E di questo, nel caso di Sel, la colpa ricade tutta su Nichi al quale, peraltro, non perdoneremo mai di averci rifilato un bidone come la Boldrini.E questo, a sua volta, è il riflesso delle scelte che stanno alla base della nascita di Sel che avrebbe potuto essere il punto di riferimento della sinistra libertaria, ma non ha saputo e voluto esserlo. In primo luogo, aver lasciato decadere la discriminante anticapitalistica, per una forza politica che veniva dalla costola di un partito comunista era una scelta che comportava lo svuotamento di una identità non riempita da altro che formule generiche ed ambigue. Ma più in generale, il progetto virò immediatamente verso quello del comitato elettorale di supporto al leader in vista del miraggio della nomination della sinistra per la Presidenza del Consiglio. Nichi non dedicò alcuno sforzo a costruire il partito né dal punto di vista organizzativo, né da quello della cultura politica. Tutto venne sostituito dal ruolo carismatico suo personale, a sua volta retto solo dalla sua capacità affabulatoria di grande retore della politica.Ho un ricordo personale in proposito: sono più vecchio di Nichi di otto anni e, quando lui aveva 17-18 anni ed iniziava a muovere i primi passi in assemblea, io ne ero già buon frequentatore. Ricordo che un bel giorno, in assemblea interviene un giovanotto sconosciuto che fa un intervento rutilante di metafore, ricco di preterizioni, grondante metonimie ed audacie stilistiche varie. Alla fine commentai: «Come parla bene!!! Che ha detto?». Sel è stata in piedi in questi anni sulla capacità retorica di Nichi e sull’aspettativa della sua ascesa a Palazzo Chigi. Ma il periodo di grazia è durato poco: il 14 dicembre 2010 fu chiaro che non si sarebbe votato nell’anno successivo e che, di conseguenza, le primarie sarebbero slittate indefinitamente. Poi, nell’estate 2011, successero due cose: la crisi riprese con ogni evidenza e Nichi non disse una sola parola in proposito. So che Nichi capisce di economia e finanza come di dialetti tibetani – e va bene, ma se aspiri a fare il presidente del Consiglio non ti puoi permettere di queste ignoranze – e quel lungo silenzio iniziò a logorarlo.Nello stesso tempo, iniziò l’implacabile ascesa di Renzi che assorbì buona parte delle Fabbriche di Nichi. Quando si arrivò alle primarie, nell’autunno 2012, Nichi ci arrivò spompato e racimolò uno scarso 15%, che era più o meno la stessa percentuale presa a suo tempo da Bertinotti. Ancora per tutto il 2012 i sondaggi accreditavano Sel di un grasso 6% (dopo i picchi dell’8 o 9% dell’anno prima) ma alle elezioni del 2013 Sel è andata sotto il 4% ed è stata graziata solo dalla partecipazione alla coalizione vincente. Trentasette deputati, ma disegno politico zero. Si capisce che da quel momento inizia a balenare nella mente dei neoeletti l’idea di migrare verso lidi più caldi e sicuri. Il tentativo di convenzione della sinistra (il cantiere dell’11 maggio) cadde presto nel vuoto ed all’invito non si presentò quasi nessuno. Anche la Fiom, un tempo vicina a Sel, iniziò a pencolare fra M5S e Pd renziano.Nichi aveva perso un’altra occasione: avrebbe potuto fare lui la Linke italiana, ma avrebbe dovuto farlo fra il 2011 ed il 2012. Glielo ha impedito la sua vivace antipatia per Ferrero: possiamo facilmente capirlo, ma in politica bisogna saper passare sulle antipatie personali e privilegiare i disegni di lungo periodo. Poi sono venuti gli infortuni tarantini che ne hanno minato l’immagine irrimediabilmente. E Sel si avvia al capolinea. Ciò nonostante, penso che la Lista Tsipras meriti di farcela e vada sostenuta. Come sapete io voterò M5S, ma se – come nel sistema australiano – avessi un secondo voto, sicuramente sarebbe per la Lista Tsipras. Non ho questa possibilità, però posso fare qualcosa da questo blog per sostenerla. Penso a tutti i militanti del Pd con il mal di pancia. Un voto a questa lista può essere un ottimo antidoto alla deriva renziana e può rafforzare le opposizioni interne, che invece uscirebbero scoraggiate e marginalizzate da una sconfitta di quella lista. Cari amici e compagni della sinistra Pd, pensateci. E anche voi “grillini delusi”, che non volete più saperne di votare M5S: va bene, è una scelta che rispetto, ma il vostro voto naturale è questo, non quello al Pd. Pensateci anche voi.(Aldo Giannuli, “Sinistra e Libertà si spacca: non mi sorprende, comunque auguri alla Lista Tsipras”, dal blog di Giannuli del 1° maggio 2014).A quanto pare, Sel è prossima alla scissione: una ventina di deputati e tre o quattro senatori si apprestano a lasciare Sel per volare fra le braccia di Renzi, sperando di essere rieletti. Avete capito bene: Renzi, neppure Bersani o Civati: Renzi. Il tutto alla vigilia del voto per le Europee, dove la lista Tsipras lotta sul decimale in più o in meno per prendere il quoziente e salvarsi: il che è l’evidente vigliaccata di gente che pensa solo a mantenersi il cadreghino sotto il sedere. Ma da Gennaro Migliore, non mi aspettavo di meglio. Le alte motivazioni ideali di questa pattuglia di migranti sono facilissime da capire: Sel è in discesa nei sondaggi e lo era già sei mesi fa, ora, se la lista Tsipras fallisce, loro si trovano coinvolti nel naufragio ed il loro potere di contrattazione scende a zero, se, invece, riesce a salvarsi, poi loro non hanno prospettive di rientro, perché la Befana del premio di maggioranza non ci sarebbe e perché lo stesso partito di appartenenza li mollerebbe. Molto meglio passare in tempo al Pd, facendo finta di dare un contributo elettorale a Renzi che ha bisogno come l’aria di non andare sotto il 30%.