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Magaldi: fidatevi, sarà proprio l’Italia a cambiare l’Europa
Fidatevi: sarà l’Italia a cambiare l’Europa. Eresia pura, a prima vista. Tempi: non sospetti. Fine 2014, con il giovane Renzi insediato a Palazzo Chigi e pronto a recitare la sua mediocre particina teatrale, il dinamismo giovanilistico e solo cosmetico di riformette Merkel-compatibili, pre-formattate da Mario Draghi, Jp Morgan e colleghi. «Fidatevi: sarà l’Italia a cambiare l’Europa». Firmato: Gioele Magaldi, il visionario. Il massone dissidente, l’eretico, il fastidioso smascheratore di un sistema truccato, neoliberale e segretamemte super-massonico. Autore di un bestseller clamoroso (“Massoni”, edito da Chiarelettere) che svela il ruolo decisivo di 36 superlogge internazionali nel retrobottega di qualsiasi potere, nazionale e internazionale, con ramificazioni solidissime in tutti i centri decisionali anche italiani, dalla Banca d’Italia a Palazzo Chigi fino al Quirinale. Draghi, Monti, Napolitano: «Tutti massoni neo-aristocratici, protagonisti della crisi pilotata che ha segnato il declino del nostro paese sotto il ricatto artificioso dello spread». Il nostro paese: l’Italia stremata dal piduista Berlusconi e sabotata dal finto progressista Prodi, «globalizzatore in grembiulino». Venticinque anni di decadenza, «grazie a una regia occulta». Ebbene, nonostante ciò – questo il lieto annuncio, a fine 2014 – sarà proprio dall’Italia che partirà un riscatto popolare e democratico, in grado di cambiare l’Europa.Magaldi il sognatore, il poetico utopista? In capo a quattro anni, contro ogni previsione, nel 2018 proprio l’Italia “scodella” un nome come quello di Paolo Savona: per la prima volta, probabilmente, dal Trattato di Maastricht, un paese-cardine dell’Unione Europea candida come ministro dell’economia un oppositore dichiarato del sistema. Chi l’avrebbe detto? Attenzione: come da molti sottolineato, Paolo Savona non è un oppositore qualsiasi. Personalità autorevolissima, economista dell’establishment vicinissimo al massone Ciampi al momento di costruirla, l’Unione Europea. Un uomo capace di ripensamento: questa Europa così com’è non funziona. Non va bene per l’Italia, ma in fondo non va bene per nessuno, se alimenta risentimento e competitività interna. Rimettiamo la palla al centro, propone Savona: troviamo il coraggio di ridiscutere i termini dei trattati. Sotto la spinta di forti pulsioni euroscettiche, la Gran Bretagna – mai entrata nell’Eurozona, e rimasta a lungo nell’Ue in condizioni privilegiate – ha già abbandonato l’Unione Europea (ma c’è voluto un referendum estremamente sofferto, e dall’esito sorprendente e lacerante). Nulla di simile s’è mai visto in Germania o in Francia, dove Marine Le Pen si è limitata a una battaglia di principio contro Bruxelles, ben sapendo che sarebbe stato facile – per un massone conservatore come Macron – neutralizzare il Front National facendo leva sulla paura dei francesi.Contro ogni previsione – non di Magaldi, certo – il Rubicone l’ha varcato proprio l’Italia. Sono stati Matteo Salvini e Luigi Di Maio, paracadutati fra i tornanti di una vorticosa evoluzione della crisi post-elettorale, a tener duro – anche contro il Quirinale – sul nome del ministro “eretico”, di cui il potere finanziario europeo pare avere il terrore. Paolo Savona è diventato un totem: la possibilità del cambiamento. Le ultime settimane hanno preso in contropiede politici, elettori, istituzioni e mondo economico – ma non Magaldi: in fondo se l’aspettava, “sapeva” che l’Italia – e solo l’Italia – sarebbe stata capace di tornare al centro della politica europea. Il momento è drammatico: uno scontro istituzionale inaudito, con ripercussioni incalcolabili. Ma il costo di una “rivoluzione” è sempre meglio, in ogni caso, della morte lenta assicurata dallo status quo: la sovranità democratica non ha prezzo, vale più di qualsiasi stabilità momentanea perché può garantire benessere diffuso ed equità sociale, senza cui la società collassa. Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, indica l’esempio di Nino Galloni. Keynes, nel terzo millennio: investire sull’Italia, per uscire dalla crisi e dal ricatto della paura. In altre parole: il futuro. L’unico possibile. Nel bene e nel male, oggi l’Italia è al centro della scena europea. Volano parole inaudite, rivoluzionarie. Sembrano il germe di un risveglio, per tutta l’Europa. Nate dove? In Italia.Fidatevi: sarà l’Italia a cambiare l’Europa. Eresia pura, a prima vista. Tempi: non sospetti. Fine 2014, con il giovane Renzi insediato a Palazzo Chigi e pronto a recitare la sua mediocre particina teatrale, il dinamismo giovanilistico e solo cosmetico basato su riformette Merkel-compatibili, pre-formattate da Mario Draghi, Jp Morgan e colleghi. «Fidatevi: sarà l’Italia a cambiare l’Europa». Firmato: Gioele Magaldi, il visionario. Il massone dissidente, l’eretico, il fastidioso smascheratore di un sistema truccato, neoliberale e segretamemte super-massonico. Autore di un bestseller clamoroso (“Massoni”, edito da Chiarelettere) che svela il ruolo decisivo di 36 superlogge internazionali nel retrobottega di qualsiasi potere, nazionale e internazionale, con ramificazioni solidissime in tutti i centri decisionali anche italiani, dalla Banca d’Italia a Palazzo Chigi fino al Quirinale. Draghi, Monti, Napolitano: «Tutti massoni neo-aristocratici, protagonisti della crisi pilotata che ha segnato il declino del nostro paese sotto il ricatto artificioso dello spread». Il nostro paese: l’Italia stremata dal piduista Berlusconi e sabotata dal finto progressista Prodi, «globalizzatore in grembiulino». Venticinque anni di decadenza, «grazie a una regia occulta». Ebbene, nonostante ciò – questo il lieto annuncio, a fine 2014 – sarà proprio dall’Italia che partirà un riscatto popolare e democratico, in grado di cambiare l’Europa.
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Carpeoro: Mattarella può bocciare Savona e poi dimettersi
Mi sembra che da questa vicenda del ministro Savona non ne esca bene, il nostro presidente della Repubblica. Capisco che possa sentirsi costretto a prendere questa posizione, ma non può sostituirsi alla responsabilità che si sono assunti gli italiani, che hanno votato questi due partiti, 5 Stelle e Lega, che hanno formato una maggioranza. E li hanno votati garantendo una maggioranza costituzionale necessaria perché questi due partiti governino. Mattarella si deve assumere le sue responsabilità. Se pensa che questo presidente incaricato, Conte, non stia gestendo bene il suo incarico, può non confermarglielo: può farlo. Il fatto che questo sia corretto democraticamente, poi, credo che consenta molte discussioni. Certamente Mattarella non può esprimere un parere sulla condotta di questo incaricato presidente del Consiglio solo sulla base del fatto che ne vuole praticamente far fuori un ministro, Paolo Savona. Io credo che tutto questo sia estremamente scorretto, dal punto di vista costituzionale e democratico. Credo sia l’ennesimo vulnus grave, che negli ultimi anni un presidente della Repubblica arreca agli equilibri garantiti dalla Carta costituzionale, che – può piacere o no – è in pieno e democratico vigore. E credo anche che questa vicenda sia pericolosissima, perché molto probabilmente non sarà indolore, se il presidente continua a irrigidirsi su questa posizione: probabilmente ci saranno dei movimenti di piazza.Il presidente della Repubblica deve assumersi dinnanzi al popolo la responsabilità del fatto che un governo non venga varato perché lui non è d’accordo su un ministro. La nomina del presidente della Repubblica è un atto formale: il presidente promulga le leggi, però le leggi le fa il Parlamento. Il Quirinale può rimandarla indietro, una legge, ma se poi il Parlamento gliela rimanda avanti può solo mandarla alla Corte Costituzionale per la verifica di costituzionalità. E se poi la legge va avanti, lui la deve firmare: come dovrà firmare i ministri. Sarebbe un atto gravissimo se non nominasse un ministro, nel caso il presidente del Consiglio incaricato insistesse su questa scelta. Perché nella Costituzione c’è scrittoche il presidente della Repubblica “nomina”, non “sceglie”. L’atto d’acquisto di una casa non è valido, se non è firmato da un notaio; ma l’accordo lo fanno le parti. E secondo me, l’atto immediatamente successivo, se il presidente della Repubblica non firmasse l’atto di nomina dei ministri, dovrebbero essere le sue dimissioni – affinché il Parlamento esprima un altro presidente della Repubblica, dotato della fiducia di un nuovo Parlamento.Questa posizione di Mattarella è politica, non costituzionale o istituzionale. Questo presidente, che sta prendendo questa posizione, non è stato eletto da questo Parlamento. E quindi non ha la forza di insistere su questo atteggiamento. Dovrebbe insistere, ma poi dimettersi. E vedere se un nuovo Parlamento eleggerà un presidente della Repubblica che ha questa linea. C’è davvero paura che il governo affronti una reale svolta anti-euro? Faccio notare che il presidente della Repubblica ha chiesto specificamente a Conte, nell’espletamento del suo mandato (di scelta e preparazione di una proposta istituzionale di governo) di incontrare il governatore della Banca d’Italia. Questo non era mai accaduto. Anche perché il governatore di Bankitalia ha sì poteri di autonomia, però non c’è mai stata una diarchia – sulle situazioni economiche – rispetto alle linee del governo. Perché Mattarella ha chiesto a Conte di incontrare il governatore della Banca d’Italia? Perché Visco ha avuto la libertà, in termini di “moral suasion” (lo dico tra virgolette: intimidazione, condizionamento) di dire a Conte le cose che direttamente non avrebbe potuto dire il presidente della Repubblica. D’altro canto, l’incarico di Visco è stato rinnovato su pressione del Quirinale, perché Renzi non lo voleva rinnovare.Come vedete, quella di Mattarella è tutt’altro che una presidenza diversa da quella di Napolitano. Solo che, siccome Mattarella è in carica, nessuno gli dice niente. Napolitano hanno cominciato a contrastarlo solo quando non è stato più in carica, perché l’Italia è un paese di eroi. La sovragestione del potere si è fatta più sfrontata, come dice qualcuno, visto che molti giornali scrivono apertamente che questo governo non deve nascere? La spudoratezza ormai è consuetudine: la gente ha una specie di narcosi, per cui basta dirgli una cosa come certa, e tanto basta per farla ritenere certa – c’è gente che vaccina i figli per il morbillo, perché gli hanno detto che di morbillo si muore, come di peste. Io comunque credo che sia uno scontro anche tra i reazionari, su questo governo: perché i reazionari americani lo vogliono, mentre i reazionari europei non lo vogliono. Quindi c’è uno scontro – all’interno di ambienti massonici, di Ur-Lodges e di ambienti finanziari – anche tra americani ed europei.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube, il 27 maggio 2018. Massone, già a capo della più antica obbedienza del Rito Scozzese italiano – da lui stesso disciolta – l’avvocato Pecoraro, eminente simbologo, ha firmato con lo pseudonimo Carpeoro romanzi e saggi, tra cui “Dalla massoneria al terrorismo” e “Summa Symbolica”. Esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi, Carpeoro ha denunciato la “sovragestione” del potere europeo e italiano operata da Ur-Lodges reazionarie, cioè superlogge internazionali di matrice neo-aristocratica che controllano i maggiori centri di potere economico e finanziario nonché le stesse istituzioni europee, condizionando in modo sistematico l’operato dei governi democraticamente eletti).Mi sembra che da questa vicenda del ministro Savona non ne esca bene, il nostro presidente della Repubblica. Capisco che possa sentirsi costretto a prendere questa posizione, ma non può sostituirsi alla responsabilità che si sono assunti gli italiani, che hanno votato questi due partiti, 5 Stelle e Lega, che hanno formato una maggioranza. E li hanno votati garantendo una maggioranza costituzionale necessaria perché questi due partiti governino. Mattarella si deve assumere le sue responsabilità. Se pensa che questo presidente incaricato, Conte, non stia gestendo bene il suo incarico, può non confermarglielo: può farlo. Il fatto che questo sia corretto democraticamente, poi, credo che consenta molte discussioni. Certamente Mattarella non può esprimere un parere sulla condotta di questo incaricato presidente del Consiglio solo sulla base del fatto che ne vuole praticamente far fuori un ministro, Paolo Savona. Io credo che tutto questo sia estremamente scorretto, dal punto di vista costituzionale e democratico. Credo sia l’ennesimo vulnus (grave) che negli ultimi anni un presidente della Repubblica arreca agli equilibri garantiti dalla Carta costituzionale, che – può piacere o no – è in pieno e democratico vigore. E credo anche che questa vicenda sia pericolosissima, perché molto probabilmente non sarà indolore, se il presidente continua a irrigidirsi su questa posizione: probabilmente ci saranno dei movimenti di piazza.
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Mazzucco: il veto su Savona distrugge la credibilità dell’Italia
Il vero problema di Paolo Savona è che la sa lunga. Non è uno che ha scoperto ieri che l’euro è un problema. Lui l’ha detto vent’anni fa. Questo è il problema di un personaggio del genere. I guai li aveva visti già allora, e quindi sa benissimo quali sono le tenaglie, le difficoltà che ci vengono imposte a livello Ue. Dargli mano libera in questo momento? Immaginate come deve sentirsi chi ha messo in piedi questa grande scatola di schiavitù che è l’euro. Su Paolo Savona, per fortuna, Salvini si è impuntato. E ha trovato un nome che è inattaccabile, benché critico dell’euro. Savona ha fatto il ministro, ha lavorato per Ciampi e per la Banca d’Italia: che gli vai a dire? Lo scacco matto di Salvini è stato veramente geniale. Per fortuna Di Maio – anche se un po’ in ritardo – si è allineato con Salvini nel tener duro, insieme, su Savona. A questo punto Mattarella è con le spalle al muro: o fa saltare lui il governo, e passa alla storia per quello che ci ha tolto un governo assolutamente legittimo (e quindi fa un regalo comunque a 5 Stelle e Lega, che a questo punto alle prossime elezioni farebbero l’80%, insieme – perché in caso di elezioni anticipate si sveglierebbero anche i morti, pur di protestare contro un gesto del genere), oppure dovrà trangugiare l’amaro calice; dopodiché cominceremo a divertirci.Io credo comunque che siamo arrivati a un punto dal quale non si torna più indietro. I giochi dell’Europa stanno venendo smascherati, proprio grazie a questa proposta di Salvini su Savona, e sta venendo fuori il fatto che Savona viene osteggiato anche senza motivazioni. Quindi dà fastidio uno che la pensi a favore degli italiani. Una rappresentante del Pd, Elisabetta Gualmini, criticando Giuseppe Conte, a “Matrix” ha detto chiaramente: questo Conte vorrebbe fare l’avvocato del popolo, pur restando amico dell’Europa: ma non si può essere contemporaneamente amici dell’Europa e del popolo italiano. E’ una frase di una gravità assoluta. A quel punto il conduttore, Nicola Porro, avrebbe dovuto ribattere: dunque se si fanno i favori all’Europa non facciamo gli interessi del nostro popolo? E la Gualmini quella frase l’ha detta con un candore allucinante: qualunque vero giornalista avrebbe dovuto farle chiarire il senso di quelle parole. Non solo. A “Otto e mezzo”, su La7, sempre la Gualmini ha detto che Savona non è solo “preoccupante” per le sue posizioni sull’euro, ma soprattutto perché è una persona navigata e rispettabile, quindi il suo parere ai tavoli europei peserebbe moltissimo. Tradotto: essendo Savona un pezzo da novanta, qualora diventasse ministro inizierebbe a fare ciò che dice, e per questo qualcuno sta tremando. Sarebbe come dire che la nazionale ha trovato finalmente un centravanti che fa goal, però non lo mette in campo perché altrimenti le altre squadre si spaventano.Il Quirinale? Se mettesse un vero e proprio veto, su Savona – cosa che Salvini lo sta obbligando a fare – salterebbe veramente il sistema, perché la Costituzione non dice che il presidente ha potere di veto; dice semplicemente che il capo dello Stato nomina i ministri su proposta del primo ministro incaricato. La parola “proposta” resta ambigua: chi decide, in caso di dissidio? Ma si presume che il capo dello Stato faccia gli interessi degli italiani. E dato che si presume che anche un governo nascente faccia, in teoria, gli interessi degli italiani, al momento di scrivere la Costituzione nessuno aveva pensato che ci potesse essere un giorno un’Europa che, da fuori, ponesse un veto – attraverso il capo dello Stato – su quello che tu vorresti fare nel tuo paese. All’epoca non si pensava che oggi si sarebbe potuto creare un problema di sovranità come questo. Il Qurinale ha detto: non poniamo veti, ma non accettiamo diktat. E’ un ossimoro logico: o l’uno o l’altro. Se tu non poni veti, vuol dire che scelgo io. Ma se non accetti diktat, vuol che io non posso scegliere. Non puoi dirmi che tu non poni veti, però io non posso decidere: uno dei due deve farlo. E nell’ambiguità della risposta del Quirinale c’è l’imbarazzo in cui si trova oggi il capo dello Stato. Io vorrei vederlo partire, questo governo: vorrei vederlo dimostrarci fino a che punto è possibile cambiare le cose, in Italia. Mattarella dice: dobbiamo proteggere la credibilità delle istituzioni. Il modo migliore per distruggerla, quella credibilità, sarebbe proprio un veto su Savona. Di colpo, ci renderemmo conto di essere in una dittatura che viene dall’estero, e della quale il capo dello Stato non è altro che l’esecutore materiale, a casa nostra.(Massimo Mazzucco, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Mazzucco Live”, su YouTube, il 26 maggio 2018).Il vero problema di Paolo Savona è che la sa lunga. Non è uno che ha scoperto ieri che l’euro è un problema. Lui l’ha detto vent’anni fa. Questo è il problema di un personaggio del genere. I guai li aveva visti già allora, e quindi sa benissimo quali sono le tenaglie, le difficoltà che ci vengono imposte a livello Ue. Dargli mano libera in questo momento? Immaginate come deve sentirsi chi ha messo in piedi questa grande scatola di schiavitù che è l’euro. Su Paolo Savona, per fortuna, Salvini si è impuntato. E ha trovato un nome che è inattaccabile, benché critico dell’euro. Savona ha fatto il ministro, ha lavorato per Ciampi e per la Banca d’Italia: che gli vai a dire? Lo scacco matto di Salvini è stato veramente geniale. Per fortuna Di Maio – anche se un po’ in ritardo – si è allineato con Salvini nel tener duro, insieme, su Savona. A questo punto Mattarella è con le spalle al muro: o fa saltare lui il governo, e passa alla storia per quello che ci ha tolto un governo assolutamente legittimo (e quindi fa un regalo comunque a 5 Stelle e Lega, che a questo punto alle prossime elezioni farebbero l’80%, insieme – perché in caso di elezioni anticipate si sveglierebbero anche i morti, pur di protestare contro un gesto del genere), oppure dovrà trangugiare l’amaro calice; dopodiché cominceremo a divertirci.
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Il Guardian: ha ragione l’Italia, il rigore farà esplodere l’Ue
William Hague una volta ha descritto l’euro come un edificio in fiamme senza uscite, e l’esperienza dell’Italia negli ultimi 20 anni ha dimostrato che il leader del partito conservatore aveva assolutamente ragione. L’adesione alla moneta unica è stata decisa alla fine degli anni ’90 come fosse una cosa facile. Uno dei paesi primi firmatari del Trattato di Roma, l’Italia voleva disperatamente entrare nella prima ondata dell’Unione monetaria. Ma non è stato condotto un vero esame sul fatto se un paese come l’Italia – con le sue tendenze inflazionistiche – potesse effettivamente far fronte ai rigori dell’adesione alla moneta unica. Non c’è stato nessun equivalente dei cinque criteri economici di Gordon Brown, criteri che l’allora cancelliere dello scacchiere (figura equivalente al Ministro delle Finanze in altri ordinamenti, ndt) aveva indicato (in aggiunta ai criteri di convergenza di Maastricht, ndt) al fine di valutare la possibilità della Gran Bretagna di unirsi all’Eurozona. Al contrario, quando è diventato chiaro che l’Italia non avrebbe rispettato i criteri di Maastricht, le regole sono state piegate per assicurarsi che il paese entrasse nell’euro. Il risultato: due decenni economici perduti in cui il tenore di vita è rimasto stagnante, motivo per cui l’Italia si è ora allontanata dalla politica mainstream.Un governo di coalizione di due partiti populisti ed euro-scettici – il Movimento 5 Stelle e la Lega – sembra imminente. Sebbene nessuno dei due partiti della coalizione abbia mai apprezzato l’euro, ora entrambi si sono resi pienamente conto di quanta verità sia contenuta nelle parole di Hague. Il loro progetto di accordo politico comprendeva la proposta che l’Ue stabilisse una procedura per l’uscita dall’euro per quei paesi che dimostrassero una “volontà popolare” in tal senso, ma ora questa proposta è stata abbandonata. Non è difficile capire perché. Se i mercati finanziari si convincessero che il nuovo governo populista è seriamente intenzionato ad abbandonare la moneta unica, i titoli di Stato italiani diventerebbero più rischiosi. Gli investitori richiederebbero un rendimento più elevato per detenerli e ciò comporterebbe un aumento dei tassi di interesse di mercato. La Banca Centrale Europea potrebbe correre in aiuto con l’acquisto di titoli italiani, ma sarebbe poco incentivata a venire incontro a un governo a Roma che mostrasse l’intenzione di minare – se non distruggere – l’Unione monetaria.Il nuovo governo si troverebbe coinvolto in una crisi finanziaria. Il sistema bancario traballante dell’Italia crollerebbe e il paese sprofonderebbe in una grave recessione. La disoccupazione aumenterebbe e il Movimento 5 Stelle e la Lega verrebbero incolpati per questo. I populisti diventerebbero rapidamente impopolari. Quindi il nuovo governo italiano si trova nella stessa posizione di tutti gli altri governi che il paese ha avuto negli ultimi due decenni: l’appartenenza alla moneta unica è una maledizione, ma il tentativo di abbandonare l’euro sarebbe ancora peggio. Come la Grecia, l’Italia sta scoprendo che è un po’ tardi per dire che sarebbe stato meglio dotare la costruzione dell’euro di una qualche via di fuga. In realtà è più facile per la Gran Bretagna – con la propria banca centrale e la propria valuta – lasciare l’Ue piuttosto che per l’Italia lasciare l’euro. Ma anche se l’Italia prende le distanze dall’indipendenza monetaria, il nuovo governo ha comunque dei piani fiscali e di spesa che rappresentano una sfida per il modo in cui l’Eurozona è stata gestita fino ad ora. Questi includono un nuovo reddito di cittadinanza, pensioni più generose e tasse più basse. Le stime suggeriscono che queste misure costeranno intorno ai 60 miliardi di euro all’anno – circa il 3,5% del Pil dell’Italia.Ciò farebbe saltare le regole fiscali dell’Eurozona, che impongono limiti severi alla misura in cui può essere concesso un deficit di bilancio. Inoltre, farebbe salire il rapporto debito-Pil dell’Italia – il volume del debito pubblico del paese in relazione alle dimensioni della sua economia – che passerebbe da poco più del 130% del Pil a circa il 150% del Pil. La prospettiva di un deciso allentamento della politica economica spaventa i mercati finanziari e non andrà bene alle altre capitali europee. Ma, in realtà, le politiche fiscali della coalizione hanno senso. Il vero problema risiede nelle assurde regole fiscali deflazionistiche dell’Eurozona. Come ha rilevato Dhaval Joshi della Bca Research, l’Italia è per certi versi simile al Giappone. Entrambi i paesi hanno incontrato difficoltà perché le loro banche in crisi si sono rivelate incapaci di prestare al settore privato. Il Giappone ha risolto questo problema facendo in modo che il settore pubblico concedesse prestiti, anche se ciò significava un forte aumento del suo rapporto debito-Pil. L’Italia è in una posizione peggiore, perché le regole fiscali della zona euro non permettono di gestire maggiori deficit di bilancio. L’Italia ha un indebitamento complessivo – privato e pubblico messi insieme – inferiore a Gran Bretagna, Francia e Spagna, ma per i vincoli fiscali dell’Ue solo il debito pubblico è rilevante. Osserva Joshi: «Di conseguenza, al governo italiano è stato impedito di ricapitalizzare il proprio sistema bancario e l’economia italiana ha ristagnato per un decennio».I responsabili della moneta unica sanno che, così com’è, l’euro è un progetto incompiuto. Potrebbe essere completato dal pacchetto di riforme proposto dal presidente francese Emmanuel Macron, che comporterebbe oltre all’unione monetaria anche l’unione fiscale, presieduta da un ministro delle finanze della zona euro. Non c’è la minima possibilità che Macron possa ottenere l’adesione al suo piano del nuovo governo di Roma, anche se potrebbe assicurarsi il sostegno a tutto campo della Germania. Un’alternativa allo schema di Macron è consentire ai membri della zona euro più libertà per gestire politiche fiscali che soddisfino le loro esigenze, che è ciò che sta chiedendo la coalizione populista italiana. Allo stato attuale, le regole significano che qualsiasi paese in difficoltà può rendersi più competitivo solo attraverso la deflazione interna – tagli di spesa e austerità. L’altra alternativa è lasciar andare alla deriva la situazione così com’è e sperare per il meglio. L’euro è sopravvissuto – a mala pena – a una crisi, ma non ne passerebbe un’altra. Il rischio non è che un paese salti fuori dall’edificio in fiamme, ma che l’edificio finisca per collassare con tutti dentro.(Larry Elliott, “Le politiche dell’Italia hanno senso, sono le regole dell’Eurozona ad essere assurde”, dal “Guardian” del 20 maggio 2018, articolo tradotto da “Voci dall’Estero”).William Hague una volta ha descritto l’euro come un edificio in fiamme senza uscite, e l’esperienza dell’Italia negli ultimi 20 anni ha dimostrato che il leader del partito conservatore aveva assolutamente ragione. L’adesione alla moneta unica è stata decisa alla fine degli anni ’90 come fosse una cosa facile. Uno dei paesi primi firmatari del Trattato di Roma, l’Italia voleva disperatamente entrare nella prima ondata dell’Unione monetaria. Ma non è stato condotto un vero esame sul fatto se un paese come l’Italia – con le sue tendenze inflazionistiche – potesse effettivamente far fronte ai rigori dell’adesione alla moneta unica. Non c’è stato nessun equivalente dei cinque criteri economici di Gordon Brown, criteri che l’allora cancelliere dello scacchiere (figura equivalente al Ministro delle Finanze in altri ordinamenti, ndt) aveva indicato (in aggiunta ai criteri di convergenza di Maastricht, ndt) al fine di valutare la possibilità della Gran Bretagna di unirsi all’Eurozona. Al contrario, quando è diventato chiaro che l’Italia non avrebbe rispettato i criteri di Maastricht, le regole sono state piegate per assicurarsi che il paese entrasse nell’euro. Il risultato: due decenni economici perduti in cui il tenore di vita è rimasto stagnante, motivo per cui l’Italia si è ora allontanata dalla politica mainstream.
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Sapelli: basta veti, Mattarella rispetti il voto degli italiani
Di Maio lo ha definito «l’italiano senza santi in paradiso». Avrebbe già dovuto ricevere l’incarico dal capo dello Stato di formare il nuovo governo, ma per ora non se ne parla. Giuseppe Conte è sotto la lente del Quirinale, che ha preso tempo per riflettere sulle credenziali del giurista e per tranquillizzare l’Europa e i “mercati”. «Il caso Conte assomiglia molto all’ennesima manovra per non far partire questo governo», dichiara l’economista Giulio Sapelli, intervistato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”. Per Sapelli, occorre non cedere al ricatto dei “mercati”, chiamandoli per nome e scegliendo di stare dalla parte delle gente. Ma non lo fanno né l’Europa, né chi attualmente comanda in Italia. Mattarella ha consultato i presidenti di Camera e Senato, prendendo altro tempo. «Non capisco perché», protesta Sapelli: «Avrebbe già dovuto mandare Di Maio in Parlamento, come si faceva nella Prima Repubblica». Un messaggio al Qurininale: «Prima ancora del rispetto della Costituzione – dice Sapelli – bisognerebbe comportarsi secondo la regola del buon padre di famiglia: questa mancanza di fiducia nelle persone e nel voto popolare è grave e preoccupante».Ci sarebbero perplessità anche su Paolo Savona, che la Lega vorrebbe come ministro dell’economia: le sue posizioni critiche sull’euro (e la Germania) hanno messo in allarme Bruxelles e il Colle. «Ma per favore», taglia corto Sapelli: «Il professor Savona gode di una stima universale, gli basterebbe alzare il telefono per parlare con tutti i banchieri centrali del mondo. Lo conosco da trent’anni e posso assicurare che è un grande servitore di questo paese. Anzi, lo vedrei benissimo come premier». Evidentemente c’è qualcuno che non si fida. «Mai come in queste ore – aggiunge Sapelli – bisognerebbe invece agire con benevolenza: senza fiducia e benevolenza, la politica muore. E la società anche». La polemica sui “tecnici” al governo? «Lega e M5S parlano di premier tecnico molto impropriamente», dice Sapelli. «Ogni cosiddetto tecnico ha anche una visione politica. Se dice di non averla, mente e rappresenta quella di qualcun altro». Secondo l’economista, «si è rotto il rapporto tra intellettuali e popolo, come diceva Pasolini, perché i grandi partiti di massa si sono estinti». Come si può ricostruirlo? «Con la propria voce, con i social. Non è protagonismo, ma ricerca di un rapporto con l’opinione pubblica, che non abbiamo più». E cosa c’è al suo posto? «Giornali che rappresentano gruppi di interesse e di potere esterni».Sempre secondo Sapelli. «la parola “mercati” andrebbe bandita, insieme a quella di “populismo”. Come diceva Federico Caffè, i mercati hanno un nome, un cognome e spesso anche un soprannome. Quando sento parlare di “mercati” – aggiunge – ho paura che ritornino cose terribili che in parte conosciamo». Monti, il fantasma (pilotato) dello spread: il pretesto per spolpare il paese. «Chi asseconda l’allarme dei mercati mi fa venire in mente il discorso di Franz Neumann negli anni Trenta sul controllo politico dell’angoscia: e l’angoscia porta a destra, al fascismo, alla mentalità autoritaria, anche all’antisemitismo», accusa Sapelli. Le agenzie di rating? «Fanno gli interessi di quattro-cinque grandi banche di investimento speculativo e rappresentano istanze che vogliono danneggiare il paese. Le istituzioni dovrebbero dire questo, in Europa e in Italia: parlare alla gente, prendere per mano il popolo e pacificarne gli animi. Invece li eccitano, gli animi, spesso gli uni contro gli altri». Si sono fatte sentire anche le autorità europee: sui conti pubblici non si scherza. E’ vero, ribatte Sapelli, ma quelle «sono espressioni di una volontà di dominio antidemocratico».L’austerity, i poteri europei: «Il problema vero è che l’Europa si sta disfacendo, sotto i colpi non dei cannoni ma della progressiva occupazione di spazi di potere nella Ue e all’interno della macchina tecnocratica e burocratica europea», continua il professore. «In quanti sanno chi è Martin Selmayr, che da portavoce di Juncker si è ritrovato segretario generale della Commissione? Eppure è a capo di un esercito di più di 20mila funzionari e controlla le leve delle nostre vite». Sapelli aggiunge due osservazioni: la prima è che il popolo italiano ha eletto Di Maio, la seconda è che le istituzioni responsabilizzano, educano. «E perciò do fiducia anche al giovane Di Maio. Del resto, se qualcuno ha dato fiducia a Marianna Madia e nessuno ha battuto ciglio, perché non darla a Di Maio?». Pare che Salvini intenda fare muro su Savona: o va all’economia o salta tutto. «Se è così, fa bene. Se il nome fosse rifiutato si aprirebbe una faglia gravissima tra il presidente della Repubblica e il Parlamento». Resterebbe solo il voto. «Forse, nello stato in cui siamo, sarebbe la soluzione migliore». Con questa legge elettorale? «Non se ne possono fare altre. Per fare una legge elettorale seria ci vorrebbero dei partiti veri, con una cultura politica e di governo».Di Maio lo ha definito «l’italiano senza santi in paradiso». Avrebbe già dovuto ricevere l’incarico dal capo dello Stato di formare il nuovo governo, ma per ora non se ne parla. Giuseppe Conte è sotto la lente del Quirinale, che ha preso tempo per riflettere sulle credenziali del giurista e per tranquillizzare l’Europa e i “mercati”. «Il caso Conte assomiglia molto all’ennesima manovra per non far partire questo governo», dichiara l’economista Giulio Sapelli, intervistato da Federico Ferraù per “Il Sussidiario”. Per Sapelli, occorre non cedere al ricatto dei “mercati”, chiamandoli per nome e scegliendo di stare dalla parte delle gente. Ma non lo fanno né l’Europa, né chi attualmente comanda in Italia. Mattarella ha consultato i presidenti di Camera e Senato, prendendo altro tempo. «Non capisco perché», protesta Sapelli: «Avrebbe già dovuto mandare Di Maio in Parlamento, come si faceva nella Prima Repubblica». Un messaggio al Qurininale: «Prima ancora del rispetto della Costituzione – dice Sapelli – bisognerebbe comportarsi secondo la regola del buon padre di famiglia: questa mancanza di fiducia nelle persone e nel voto popolare è grave e preoccupante».
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Foa: terrorismo contro Lega e 5 Stelle, cioè contro gli italiani
Dobbiamo avere fiducia, nel nuovo governo con 5 Stelle e Lega? Be’, se ascoltiamo i telegiornali e leggiamo i giornali la risposta è no: vi stanno terrorizzando, vi stanno dicendo che sarà una catastrofe, che violiamo tuti i patti europei, che è una sciagura, che sono irresponsabili. Io vi dico: no, tutto questo è sbagliato. Bisogna avere fiducia, in questo governo, per una ragione molto semplice: io ho ammirato il modo in cui le due delegazioni si sono incontrate, in cui per giorni – avendo poco tempo a disposizione – si sono sedute in modo responsabile e costruttivo al tavolo delle trattative, per arrivare a una “quadra” tra due programmi che erano molto diversi su molti punti. E ci sono riusciti: hanno anteposto il disegno di un programma credibile alla ricerca spasmodica delle poltrone, come hanno sempre fatto i politici fino ad oggi (ed è quello che la gente rimproverava alla casta). Ebbene, Lega e 5 Stelle hanno dato prova di un approccio diverso alla politica. E soprattutto, hanno dimostrato che si possono tentare delle nuove strade per risolvere i problemi che stanno più a cuore ai cittadini.Infatti, cosa ci dicono? Vogliono rilanciare l’economia, vogliono dare più attenzione alle piccole e medie imprese, vogliono risolvere i problemi della sicurezza, vogliono dare una speranza a chi è senza lavoro, vogliono proteggere le pensioni, vogliono cercare di anteporre l’interesse nazionale a interessi sovranazionali che non sempre sono legittimi, e soprattutto che non sempre sono davvero nell’interesse degli italiani. Ce la faranno? Non lo so, lo vedremo. Ma dovremo dar loro cinque anni di tempo per provarci, mentre quel che sta avvenendo, secondo me, è molto grave. Stanno cercando di creare un clima di terrore verso questo governo. E’ un’operazione che non mi sorprende, visto che queste operazioni le conosco da tanto tempo, ma a cui non bisogna dare troppo retta. Bisogna dire: lasciamoli lavorare, giudichiamoli sui fatti, e non sul pregiudizio.(Marcello Foa, video-editoriale pubblicato sul blog “Il Cuore del Mondo” ospitato dal “Giornale” il 19 maggio 2018. Già caporedattore con Indro Montanelli, Foa è una delle voci più libere e autorevoli dell’attuale giornalismo italiano. Ha collaborato anche con la Rai e con la Bbc. A capo di TiMedia, gruppo editoriale del Canton Ticino nella Svizzera italiana, ha fondato con Stephan Russ-Mohl l’Osservatorio Europeo di Giornalismo. Docente universitario in Svizzera, è vicepresidente dell’associazione culturale “Asimmetrie” diretta dall’economista Alberto Bagnai, ora eletto senatore con la Lega. Nel 2018 è uscita una versione aggiornata del fortunatissimo saggio “Gli stregoni della notizia”, edito da Guerini, il cui Foa denuncia il sistema mediatico attuale, prigioniero di schemi ricorrenti di manipolazione, “fake news” e “post-verità”).Dobbiamo avere fiducia, nel nuovo governo con 5 Stelle e Lega? Be’, se ascoltiamo i telegiornali e leggiamo i giornali la risposta è no: vi stanno terrorizzando, vi stanno dicendo che sarà una catastrofe, che violiamo tuti i patti europei, che è una sciagura, che sono irresponsabili. Io vi dico: no, tutto questo è sbagliato. Bisogna avere fiducia, in questo governo, per una ragione molto semplice: io ho ammirato il modo in cui le due delegazioni si sono incontrate, in cui per giorni – avendo poco tempo a disposizione – si sono sedute in modo responsabile e costruttivo al tavolo delle trattative, per arrivare a una “quadra” tra due programmi che erano molto diversi su molti punti. E ci sono riusciti: hanno anteposto il disegno di un programma credibile alla ricerca spasmodica delle poltrone, come hanno sempre fatto i politici fino ad oggi (ed è quello che la gente rimproverava alla casta). Ebbene, Lega e 5 Stelle hanno dato prova di un approccio diverso alla politica. E soprattutto, hanno dimostrato che si possono tentare delle nuove strade per risolvere i problemi che stanno più a cuore ai cittadini.
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Magaldi al “fratello” Krugman: a Roma non ci sono i barbari
«E bravo Di Maio: il programma viene prima dei nomi, dei personalismi, delle ambizioni». Gioele Magaldi, finora mai tenero con il neo-leader dei 5 Stelle, apprezza il metodo condiviso con Salvini in funzione del governo: presentare ai cittadini, punto su punto, una lista precisa di cose da fare. «E’ la prima volta che succede, nella storia della Repubblica italiana», ha detto a “Border Nights” il documentarista Massimo Mazzucco: «Ottima novità, dato che la trasparenza è parte fondamentale del meccanismo democratico». Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt – che ha avanzato la candidatura di Nino Galloni per Palazzo Chigi – concorda con Mazzucco: sembra proprio la fine del leaderismo della Seconda Repubblica, fondato su vuoti slogan che servivano solo a coprire la sottomissione sostanziale dei vari governi italiani ai diktat dell’oligarchia (supermassonica) che dirige, in modo privatistico, le istituzioni «sedicenti europee, in realtà fatte apposta per allontanare i cittadini dall’idea stessa di Europa unita». E a proposito di massoni: «Mi spiace che il “fratello” Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia e massone progressista, abbia manifestato allarme per l’eventuale esecutivo “gialloverde”: stavolta sbaglia, a Roma non ci sono “i barbari” ma, finalmente, politici disposti a cominciare a cambiare qualcosa, nell’insopportabile copione eurocratico e finto-europeista che ha causato la crisi italiana».Probabilmente, aggiunge Magaldi a “Colors Radio” «Krugman è giustamente preoccupato per l’annunciata esclusione, dal prossimo governo, di esponenti della massoneria: si tratta evidentemente di un abuso, visto che la Costituzione italiana non consente di discriminare cittadini per via della loro appartenenza culturale, religiosa o filosofica». Magaldi annuncia che il Movimento Roosevelt è al lavoro per convincere i pentastellati a fare retromarcia, onde non incorrere – fra l’altro – in possibili azioni legali. Lo ha ripetuto, negli ultimi mesi, anche accusando lo stesso Di Maio di aver ripetutamente bussato ai “santuari” della finanza anglosassone, notoriamente massonici: inutile strillare contro “i massoni” per poi magari fare anticamera proprio davanti alla loro porta, dimenticando peraltro la formazione massonica di veri e propri padri della patria come Meuccio Ruini, presidente della commissione che diede vita alla Costituzione democratica. Ma, a parte questo, l’ostracismo velleitario contro i “grembulini” conclamati non mette certo i 5 Stelle al riparo dalla presenza di eventuali massoni occulti. Una situazione non priva di risvolti comici: «C’è gente che ancora ride – dice Magaldi – ricordando quanto goffamente Mario Monti riuscì a mentire, sulla propria identità massonica, interpellato da Lilli Gruber dopo che il mio libro appena uscito, “Massoni”, lo presentava come autorevole esponente dell’aristocrazia massonica europea di stampo reazionario».Se Magaldi annuncia, in parallelo, l’iniziativa interamente massonica condivisa con un’obeddienza prestigiosa come la Camea per arrivare a redigere una sorta di registro ufficiale delle affiliazioni italiane, mettendo così fine alle periodiche speculazioni sulle presunte malefatte della massoneria in quanto tale, il presidente del Movimento Roosevelt promuove in ogni caso l’attivismo di Salvini e Di Maio: sarebbe il primo passo, che tutti aspettano, per cominciare a riscrivere in senso democratico, e non oligarchico, il destino del nostro paese. Nino Galloni? «E’ un eminente economista sovranista, di formazione keynesiana, apprezzato sia dai leghisti che dai pentastellati. E’ figlio del compianto ministro Giovanni Galloni, autorevole esponente di quella sinistra Dc a cui apparteneva anche lo stesso presidente Mattarella. A Palazzo Chigi sarebbe l’uomo giusto al posto giusto, anche se forse non è ancora venuto il suo momento: è comprensibile che oggi la scelta ricada su personalità meno preoccupanti, per Bruxelles». Ma attenzione: «Presto o tardi, Nino Galloni sarà tra i protagonisti dell’imminente Terza Repubblica». Entro l’estate, avverte Magaldi, assumeranno concretezza i preparativi per un nuovo soggetto politico, di cultura liberal-socialista, visto lo stato di rottamazione di Forza Italia e del Pd: «L’ex centrodestra berlusconiano e il fu centrosinistra sono palesemente alla frutta, avrebbero bisogno di una rigenerazione radicale. Il Pd – come tutti possono vedere – è ormai in stato imbarazzante, senza più una classe dirigente: a questo punto farebbe bene a sciogliersi».«E bravo Di Maio: il programma viene prima dei nomi, dei personalismi, delle ambizioni». Gioele Magaldi, finora mai tenero con il neo-leader dei 5 Stelle, apprezza il metodo condiviso con Salvini in funzione del governo: presentare ai cittadini, punto su punto, una lista precisa di cose da fare. «E’ la prima volta che succede, nella storia della Repubblica italiana», ha detto a “Border Nights” il documentarista Massimo Mazzucco: «Ottima novità, dato che la trasparenza è parte fondamentale del meccanismo democratico». Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt – che ha avanzato la candidatura di Nino Galloni per Palazzo Chigi – concorda con Mazzucco: sembra proprio la fine del leaderismo della Seconda Repubblica, fondato su vuoti slogan che servivano solo a coprire la sottomissione sostanziale dei vari governi italiani ai diktat dell’oligarchia (supermassonica) che dirige, in modo privatistico, le istituzioni «sedicenti europee, in realtà fatte apposta per allontanare i cittadini dall’idea stessa di Europa unita». E a proposito di massoni: «Mi spiace che il “fratello” Paul Krugman, Premio Nobel per l’Economia e massone progressista, abbia manifestato allarme per l’eventuale esecutivo “gialloverde”: stavolta sbaglia, a Roma non ci sono “i barbari” ma, finalmente, politici disposti a cominciare a cambiare qualcosa, nell’insopportabile copione eurocratico e finto-europeista che ha causato la crisi italiana».
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Crolla un’epoca di abusi, se la Torino-Lione non è più tabù
«Se proprio bisogna spendere tanti miliardi per “bucare” qualcosa, si perfori il sottosuolo di Torino per dotare il capoluogo piemontese di una vera rete metropolitana: vorrebbe dire fermare migliaia di auto, migliorare la salute della città più inquinata d’Italia e regalare ai pendolari due ore di vita ogni giorno, contro il famoso quarto d’ora che la Torino-Lione farebbe risparmiare agli improbabili passeggeri della linea ferroviaria ad alta velocità». Parola di Gianna De Masi, già assessore ambientalista di Rivoli, terza città della provincia per numero di abitanti, alla vigilia dell’ennesimo corteo promosso dai NoTav per celebrare i trent’anni di opposizione all’infrastruttura più controversa d’Europa. «Ormai la Francia aspetta solo un cenno per poter dire addio a questo progetto faraonico e completamente inutile», sostengono gli attivisti valsusini. «Sono gli stessi tecnici di Palazzo Chigi, oggi, a confermare i dati da noi forniti da almeno dieci anni», puntualizza il professor Angelo Tartaglia del Politecnico torinese: la Torino-Lione (costosissima, devastante per l’ambiente, pericolosa per la salute con cantieri “infiniti” tra montagne piene di amianto) non servirebbe a niente, dato che il trasporto italo-francese è al tramonto e l’attuale linea internazionale Torino-Modane che già attraversa la valle di Susa potrebbe reggere da sola un incremento del 900% del traffico, secondo le autorità elvetiche incaricate dall’Unione Europea di monitorare i collegamenti transalpini.
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Di Maio e Salvini: trasparenza mai vista prima, nella storia
Questa è la prima volta, nella storia della Repubblica italiana, che un partito che va al governo si impegna con un programma preciso in 30-40 punti. Finora, l’unico impegno visto era stato quello di Berlusconi quando aveva firmato il suo “contratto con gli italiani” da Vespa, promettendo un milione di posti di lavoro – ma quella era solo una battuta da saltimbanco, mentre quelli sottoscritti da Di Maio e Salvini sono punti precisi. E quindi, supponendo che si arrivi fino alla fine della legislatura, il cittadino poi sarà in grado di valutare cosa è stato fatto e cosa non è stato fatto, e – nel caso delle cose non fatte (certamente ce ne saranno), di valutare se è stato per mancanza di volontà o per mancanza di possibilità. Non è detto che tutto si possa fare, ma almeno alla fine potremo giudicare – al momento di tornare a votare – se questa gente ha fatto il massimo possibile, rispetto alle cose su cui s’era impegnata. Non era mai successo, questo. E secondo me stabilisce un punto di non-ritorno, nella storia italiana: da domani, è difficile che un partito che voglia andare al governo non si senta obbligato, a sua volta, a fare una promessa altrettanto specifica.E’ un complimento, che va fatto sia a Salvini che a Di Maio, a prescindere da quello che poi riusciranno a mettere in atto: hanno comunque cambiato le regole del gioco. E la chiarezza e la trasparenza delle intenzioni, secondo me, sono una parte fondamentale del meccanismo democratico. Sapete, gli altri – il Pd – dicevano semplicemente “votate noi, che penseremo a proteggere i più deboli”, punto a capo, e ciao. Cosa penso del programma di Salvini e Di Maio? Penso che rappresenti il miglior equilibrio che si potesse raggiungere, all’interno di una legge elettorale che era stata concepita proprio perché questo non avvenisse. Quindi, secondo me, Salvini e Di Maio la seconda “magia” l’hanno fatta nel riuscire comunque ad arrivare all’intesa, pur all’interno delle costrizioni di una legge elettorale che, veramente, ti impone di metterti d’accordo su tutto con qualuno, altrimenti non puoi fare il governo. La buona volontà ce l’hanno messa tutta, e stanno sconfiggendo il sistema stesso, che aveva pensato di “fotterli” (soprattutto i 5 Stelle) con questa legge elettorale. Non ci sono riusciti, almeno finora. E infatti, come vedete, sia Berlusconi che gli uomini di Renzi sono contrariati: “je rode”, e mica poco.Lo si vede dalle interviste in televisione: Martina sembra isterico, quando accusa i 5 Stelle e la Lega di aver “fatto perdere 70 giorni di tempo” all’Italia. E’ ormai una commedia ridicola vedere i telegiornali, con questi che strepitano e si lamentano. Di Maio e Salvini non hanno ancora fatto niente: aspettiamo, a giudicarli. Magari andrà male veramente, però aspettiamo. Questa voglia di seppellire un governo che non è neanche nato ci dà la misura di quanto gli rompe le scatole, e quindi di quanto fosse subdolo il calcolo che era stato fatto a monte – l’alleanza Pd-Berlusconi, che avrebbe mantenuto le cose esattamente come sono rimaste fino ad oggi. Potrebbe aprirsi una pagina di speranza? Lo vedremo. Una pagina nuova, comunque, si è già aperta. Hanno cambiato le regole del gioco, questi due: nella pagina nuova ci siamo già. Volenti o nolenti, siamo in una Terza Repubblica dove, da oggi in poi, le cose si mettono per iscritto – e quindi, dopo cinque anni, l’elettore può andare a vedere quante ne hai fatte e quante no, se eri in buona fede o se hai preso in giro gli elettori.Nella fase nuova, ripeto, siamo già entrati. La speranza? Se non ci riescono loro non ci riesce nessuno, a scardinare questo sistema. Se non ci riescono loro due insieme, che arrivano risicati al 51%, a scardinare almeno alcuni punti fondamentali del sistema, anche quelli che non hanno dichiarato ufficialmente, non ce n’è più, di speranza: se c’è una speranza, è in loro. Certo, non dobbiamo illuderci: siamo molto ricattabili. L’altra sera ho visto Monti, da Formigli. E con quella sua da prete disinteressato, Monti ha sibilato: però ragazzi stiamo attenti, visto quello che è successo ad altri paesi che hanno provato ad alzare un po’ la cresta (sottinteso, la Grecia). Mi ha stupito, Formigli: di fronte a una frase simile, pronunciata da un ex primo ministro, un giornalista che voglia chiamarsi tale avrebbe chiesto a Monti di spiegare il senso di quella sua minaccia. Invece Formigli ha permesso a Monti di dire quello che voleva, in modo vergognoso – ma lasciamo perdere, sulla vergogna dei giornalisti italiani ormai abbiamo steso due o tre veli pietosi.Siamo comunque ricattabili, dicevo. Ma intanto, secondo me, l’importante è comunque far entrare il seme dell’idea che le cose si possono cambiare: perché poi su questo seme puopi costruire molto di più, nel corso del tempo. Se tu riesci a cambiare anche una sola cosa, che prima dicevano che era impossibile cambiare, hai dimostrato alla gente che quando qualcuno dice “questo non si può fare”, be’, non è vero. E questo apre, per le future legislature, moltissime possibilità, che prima non c’erano. Se noi continuamo a produrre informazione alternativa indipendente, a un certo punto le due linee potrebbero anche finire per convergere su cambiamenti più radicali. Anche perché i poteri forti si chiamano “forti” per un motivo preciso, ma possono anche crollare: l’Impero Romano è durato 5-600 anni e poi è scomparso in poche settimane. Quando arrivano a maturazione le motivazioni storiche corrette perché avvenga un cambiamento, poi il cambiamento avviene. Noi possiamo cercare di prepararlo, sperando che nel frattempo ciascuno faccia la sua parte – anche chi andrà al governo molto presto.(Massimo Mazzucco, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming su YouTube “Mazzucco Live” del 19 maggio 2018).Questa è la prima volta, nella storia della Repubblica italiana, che un partito che va al governo si impegna con un programma preciso in 30-40 punti. Finora, l’unico impegno visto era stato quello di Berlusconi quando aveva firmato il suo “contratto con gli italiani” da Vespa, promettendo un milione di posti di lavoro – ma era solo una battuta da saltimbanco, mentre quelli sottoscritti da Di Maio e Salvini sono punti precisi. E quindi, supponendo che si arrivi fino alla fine della legislatura, il cittadino poi sarà in grado di valutare cosa è stato fatto e cosa non è stato fatto, e nel caso delle cose non fatte (certamente ce ne saranno), di valutare se è stato per mancanza di volontà o per mancanza di possibilità. Non è detto che tutto si possa fare, ma almeno alla fine potremo giudicare – al momento di tornare a votare – se questa gente ha fatto il massimo possibile, rispetto alle cose su cui s’era impegnata. Non era mai successo, questo. E secondo me stabilisce un punto di non-ritorno, nella storia italiana: da domani, è difficile che un partito che voglia andare al governo non si senta obbligato, a sua volta, a fare una promessa altrettanto specifica.
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Magaldi: imbecilli a reti unificate minacciano Lega e 5 Stelle
Imbecilli: lasciano credere che il debito dello Stato sia come quello della tabaccheria sotto casa, esposta con la banca. Imbecilli pericolosi: perché scrivono sui giornali e parlano ogni sera in televisione. Somari in buona fede, disastrosamente ignoranti, o vecchi marpioni in malafede? «Non so cosa sia peggio», dice Gioele Magaldi: una persona intelligente puoi sempre persuaderla, mentre di fronte a un cretino non ci sono speranze. Gli imbecilli di turno? Quelli che cercano di spaventare gli italiani, bocciando le “mirabolanti promesse” dell’ipotetico governo gialloverde di Salvini e Di Maio. Lega e 5 Stelle, in realtà, stanno terrorizzando solo l’establishment: i professori della catastrofe, i notai dell’infame declino del paese. Le loro ricette hanno devastato l’Italia, eppure insistono: bisogna tagliare redditi e consumi, senza capire che – per quella strada, se il Pil non cresce – poi a esplodere è proprio il debito, inevitabilmente. «Arriva a comprenderlo anche un mediocre studente di economia, ma non gli imbecilli che ci parlano ogni giorno sui giornali e in televisione», dice Magaldi, in una diretta web-streaming su YouTube con Marco Moiso, in cui rilancia un nome fortissimo per Palazzo Chigi: quello dell’economista post-keynesiano Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt.
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Mentre Lega e 5 Stelle flirtano, la Bce ci mangia le banche
Complottisti si diventa, ma citando Totò io direi che “lo nacqui, modestamente” ed anche se la neolingua ha coniato questa stupida definizione dalle forti tinte negative – il complottismo – chi crede che i complotti non esistano o non ha mai studiato la storia oppure l’ha studiata senza mai capirla. Anche oggi, mentre tutti gli attivisti politici – tutti – riempiono le pagine dei quotidiani e i social pontificando sulla nascita del nuovo governo, solo qualche barbaro debunker seriale si è occupato del colpo gobbo perpetrato dall’Unione Europea contro le banche italiane. Ma come, verrebbe da dire, il Partito Democratico è caduto sotto l’accusa di aver “aiutato le banche”, e ora grillini pentastellati e leghisti manco si accorgono di quello che sta succedendo alla banche di credito cooperativo? La faccenda è tanto lunga, quanto grave e tristemente nuova. Val la pena proporre qui una breve sintesi. Per chi non lo sapesse, le Bcc sono banche di diritto diverso da quelle trdizionali e sono sotto il controllo locale; prestano denaro, cioè finanziano le piccole e medie imprese italiane e, pur essendo esse stesse singolarmente piccole, il loro intervento è stato in questi lustri vitale per l’economia nazionale, visto che le piccole e medie imprese, cioè l’artigiano, il commerciante, ecc, caratterizzano il 90 per cento del tessuto produttivo italiano.Si poteva forse lasciarle stare? Macchè! Se si vuole – come si vuole – piegare l’Italia e ricattarla a 360 gradi (anzi, metterla a novanta gradi, per essere proprio esatti), anche le Bcc devono piegare le ginocchia e genuflettersi alla corte di Bruxelles. A maggio le Bcc cambiano infatti pelle, perchè perdono la loro natura cooperativa, che le obbliga ad aiutare i soci e investire, per statuto, solo sul territorio. La tradizione risale alla cultura cristiana dell’Ottocento che già allora reagiva alla dispersione capitalistica della prima rivoluzione industriale. Le Bcc sono metà del sistema bancario italiano, mica pizza e fichi, con propensione per i micro imprenditori, per ovvi motivi legati alla vocazione comunitaria. Con la Legge 49 del 2016 si impone alle Bcc che si fondano in una specie di holding, tanto per parlare come si mangia, con precisi obblighi di capitalizzazione. Cosa significa? Signifia che anche la Bcc va verso l’aggregazione bancaria con delle capogruppo ipetrofiche, che saranno delle holding controllate. In altri termini, l’inculata che si presero le banche popolari qualche anno fa, che fallirono (de facto…) perchè divennero preda dei fondi speculativi, sta per ripetersi anche per la banche di credito cooperativo.Più semplicemente, queste Bcc una volta fuse e controllate da una capogruppo, avranno libero acceso al grande mercato dei capitali e quindi le quote – con i soliti magheggi aggiratutto – finiranno in mano ai fondi esteri, prima o poi. Sulla carta, questi fondi, cioè questi investitori, potranno ciucciarsi il 49 per cento; dunque, non la maggioranza assoluta. Ma non si tratta proprio di bruscolini, ed è probabile che questi capitali cercheranno l’interesse della globalizzazione e non quello locale. Siamo, dunque, alle solite. Non solo: con questa riforma voluta dall’Europa, le banche anche come sportelli, si ridurranno. Ma, soprattutto, la Bce potrà controllarle perché diventeranno un gruppo bancario grande e come tale sottoposto a vigilanza Ue. I danni saranno enormi, perchè verrà meno lo spirito mutualistico tipico della dottrina sociale dei cattolici e anche perché le uniche banche “sensate” che operano sul territorio diventeranno un oligopolio uguale a quello che già conosciamo e che ha funzionato come tutti abbiamo purtroppo già visto. Ovviamente, questa ipermanovra viene portata avanti mentre tutti parlano eslcusivamente di Giggetto Di Maio e di “Ronfo” Salvini, il bue e l’asinello di un presepe privo di qualsaisi santità.(Massimo Bordin, “E mentre Lega e 5 Stelle flirtano, la Bce gode”, dal blog “Micidial” dell’11 maggio 2018).Complottisti si diventa, ma citando Totò io direi che “lo nacqui, modestamente” ed anche se la neolingua ha coniato questa stupida definizione dalle forti tinte negative – il complottismo – chi crede che i complotti non esistano o non ha mai studiato la storia oppure l’ha studiata senza mai capirla. Anche oggi, mentre tutti gli attivisti politici – tutti – riempiono le pagine dei quotidiani e i social pontificando sulla nascita del nuovo governo, solo qualche barbaro debunker seriale si è occupato del colpo gobbo perpetrato dall’Unione Europea contro le banche italiane. Ma come, verrebbe da dire, il Partito Democratico è caduto sotto l’accusa di aver “aiutato le banche”, e ora grillini pentastellati e leghisti manco si accorgono di quello che sta succedendo alla banche di credito cooperativo? La faccenda è tanto lunga, quanto grave e tristemente nuova. Val la pena proporre qui una breve sintesi. Per chi non lo sapesse, le Bcc sono banche di diritto diverso da quelle trdizionali e sono sotto il controllo locale; prestano denaro, cioè finanziano le piccole e medie imprese italiane e, pur essendo esse stesse singolarmente piccole, il loro intervento è stato in questi lustri vitale per l’economia nazionale, visto che le piccole e medie imprese, cioè l’artigiano, il commerciante, ecc, caratterizzano il 90 per cento del tessuto produttivo italiano.
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Avvoltoi: rimpiangono Silvio per spaventare Lega e 5 Stelle
Complottisti si diventa, ma citando Totò io direi che “lo nacqui, modestamente” ed anche se la neolingua ha coniato questa stupida definizione dalle forti tinte negative – il complottismo – chi crede che i complotti non esistano o non ha mai studiato la storia oppure l’ha studiata senza mai capirla. Anche oggi, mentre tutti gli attivisti politici – tutti – riempiono le pagine dei quotidiani e i social pontificando sulla nascita del nuovo governo, solo qualche barbaro debunker seriale si è occupato del colpo gobbo perpetrato dall’Unione Europea contro le banche italiane. Ma come, verrebbe da dire, il Partito Democratico è caduto sotto l’accusa di aver “aiutato le banche”, e ora grillini pentastellati e leghisti manco si accorgono di quello che sta succedendo alla banche di credito cooperativo? La faccenda è tanto lunga, quanto grave e tristemente nuova. Val la pena proporre qui una breve sintesi. Per chi non lo sapesse, le Bcc sono banche di diritto diverso da quelle trdizionali e sono sotto il controllo locale; prestano denaro, cioè finanziano le piccole e medie imprese italiane e, pur essendo esse stesse singolarmente piccole, il loro intervento è stato in questi lustri vitale per l’economia nazionale, visto che le piccole e medie imprese, cioè l’artigiano, il commerciante, ecc, caratterizzano il 90 per cento del tessuto produttivo italiano.Si poteva forse lasciarle stare? Macchè! Se si vuole – come si vuole – piegare l’Italia e ricattarla a 360 gradi (anzi, metterla a novanta gradi, per essere proprio esatti), anche le Bcc devono piegare le ginocchia e genuflettersi alla corte di Bruxelles. A maggio le Bcc cambiano infatti pelle, perchè perdono la loro natura cooperativa, che le obbliga ad aiutare i soci e investire, per statuto, solo sul territorio. La tradizione risale alla cultura cristiana dell’Ottocento che già allora reagiva alla dispersione capitalistica della prima rivoluzione industriale. Le Bcc sono metà del sistema bancario italiano, mica pizza e fichi, con propensione per i micro imprenditori, per ovvi motivi legati alla vocazione comunitaria. Con la Legge 49 del 2016 si impone alle Bcc che si fondano in una specie di holding, tanto per parlare come si mangia, con precisi obblighi di capitalizzazione. Cosa significa? Signifia che anche la Bcc va verso l’aggregazione bancaria con delle capogruppo ipetrofiche, che saranno delle holding controllate. In altri termini, l’inculata che si presero le banche popolari qualche anno fa, che fallirono (de facto…) perchè divennero preda dei fondi speculativi, sta per ripetersi anche per la banche di credito cooperativo.Più semplicemente, queste Bcc una volta fuse e controllate da una capogruppo, avranno libero acceso al grande mercato dei capitali e quindi le quote – con i soliti magheggi aggiratutto – finiranno in mano ai fondi esteri, prima o poi. Sulla carta, questi fondi, cioè questi investitori, potranno ciucciarsi il 49 per cento; dunque, non la maggioranza assoluta. Ma non si tratta proprio di bruscolini, ed è probabile che questi capitali cercheranno l’interesse della globalizzazione e non quello locale. Siamo, dunque, alle solite. Non solo: con questa riforma voluta dall’Europa, le banche anche come sportelli, si ridurranno. Ma, soprattutto, la Bce potrà controllarle perché diventeranno un gruppo bancario grande e come tale sottoposto a vigilanza Ue. I danni saranno enormi, perchè verrà meno lo spirito mutualistico tipico della dottrina sociale dei cattolici e anche perché le uniche banche “sensate” che operano sul territorio diventeranno un oligopolio uguale a quello che già conosciamo e che ha funzionato come tutti abbiamo purtroppo già visto. Ovviamente, questa ipermanovra viene portata avanti mentre tutti parlano eslcusivamente di Giggetto Di Maio e di “Ronfo” Salvini, il bue e l’asinello di un presepe privo di qualsaisi santità.(Massimo Bordin, “E mentre Lega e 5 Stelle flirtano, la Bce gode”, dal blog “Micidial” dell’11 maggio 2018).Vedo tanti gufi in giro, in buona fede e in malafede: pensosi, preoccupati e accigliati. Io sarò il primo a non fare sconti a questi “ragazzi”, a questa ipotesi di governo con Lega e 5 Stelle, però la guardo con simpatia e anche con un’apertura di credito. Peraltro, il popolo italiano – che mi pare sia sovrano (fino a prova contraria) anche se in questi anni ci hanno abituato all’idea che il potere debba essere altrove, presso i sedicenti illuminati e oligarchici gestori delle grandi cose – si è espresso in modo chiaro. In democrazia il potere appartiene al popolo. E il popolo, pur nelle strettoie della legge elettorale Rosatellum, ha chiaramente premiato Lega e Movimento 5 Stelle, dando loro una spinta verso la realizzazione di qualcosa di nuovo. Il popolo ha bocciato gli epigoni della Seconda Repubblica (il Pd, con tutti i vari leaderini e leaderucci improbabili, del passato e del presente) e ha bocciato Berlusconi, che ha beneficiato dell’alleanza di centrodestra, in cui le parole più interessanti venivano proprio dalla Lega, però è stato chiaramente ridimensionato. E a proposito del Cavaliere: il sistema mediatico del nostro paese, così spesso imbelle e asservito, ha sostenuto che la sua riabilitazione (sulla quale non ho nulla da ridire: Berlusconi ha sin qui scontato le sue pene) avrebbe riaperto per lui chissà quale ruolo. Io però non ci credo.