Archivio del Tag ‘Leonid Breznev’
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Cure precoci, oscurato video MrTv: appello al governo
La mano dei censori colpisce ancora: YouTube ha rimosso il video girato il 7 maggio a Roma da Mrtv, la web-tv del Movimento Roosevelt, tra i medici in piazza per chiedere l’accesso alle cure domiciliari precoci contro il Covid. A intervistare i sanitari (tutti con mascherina) la giornalista Monica Soldano, attivista di primo piano del Movimento Roosevelt ed esponente dell’Ordine dei Giornalisti. «La manifestazione era stata regolarmente autorizzata dalla Prefettura: non si negava affatto la pericolosità del virus, ma si criticava la “vigile attesa” e si invocava la necessità di introdurre finalmente terapie tempestive, per curare i malati direttamente a casa, alla comparsa dei primi sintomi». Protesta Roberto Hechich, dirigente del Movimento Roosevelt: «Ricordiamo a YouTube e al ministero della salute che il web è pubblico, demaniale: chi usufruisce della Rete deve sottostare alle leggi dello Stato e alla Costituzione».Invece, YouTube «fa quello che il governo indica, indirettamente, in base ai protocolli stilati». E così, «il cittadino che osa esprimere pacatamente la propria opinione, scientificamente suffragata da esperti, è trattato come pericoloso sovversivo, o peggio». Aggiunge Hechich: «Nemmeno durante gli “anni di piombo” e dei mancati golpe (un periodo che avrebbe dovuto essere molto più pericoloso per la tenuta democratica) si era arrivati a restringere i diritti come oggi, e il coprifuoco ne è un esempio eclatante. E mai ci saremmo aspettati che proprio le istituzioni liberamente elette fossero in prima fila in questo restringimento, infinitamente meno giustificabile di allora». Il Movimento Roosevelt ribadisce che, nel suo video, non ha diffuso “fake news” e non ha istigato alla violenza, né si è sostituito ai medici consigliando cure pericolose. «Non siamo No-Vax, non abbiamo negato l’esistenza del virus: semplicemente, abbiamo pubblicato un video dove i medici richiamavano il diritto di cura domiciliare per il Covid».Il tema è noto; superare l’attuale protocollo (solo palliativo) che ancora propone la “vigile attesa” e un farmaco come la Tachipirina, che è solo un antipiretico e non certo un antinfiammatorio. Il diritto alle cure – ricorda Hechich – è contemplato nell’articolo 32 della Costituzione. «Quelli presenti a Roma erano medici seri, non visionari: sempre più esponenti scientifici autorevoli, a livello mondiale, spiegano infatti che le cure precoci sono spesso decisive, per evitare l’aggravarsi delle condizioni dei pazienti». Peccato che sia stato lo stesso ministro della salute, Roberto Speranza, a chiedere al Consiglio di Stato di bloccare le cure precoci. «Guardiamo esterrefatti ai colpi sferrati alla Costituzione», dice Hechich. «Nel dopoguerra, la popolazione sarebbe scesa nelle piazze in massa, per difenderla».Analoga condanna per il ricorso al Tso, a scuola, contro lo studente marchigiano refrattario all’uso della mascherina in classe. «Basaglia si rivolterebbe nella tomba: era l’Urss di Breznev a mandare al manicomio i dissidenti politici». Insiste Hechich: «Se plaudiamo ai metodi “cinesi” contro la pandemia, con che coraggio poi possiamo criticare l’autocrazia in certi paesi, dal momento che anche noi ci mettiamo su quella stessa strada?». Un appello: «Chiediamo a tutti i cittadini, alle parti sociali, alle associazioni e ai partiti che hanno ancora a cuore i diritti e la democrazia di appoggiarci, nella richiesta – non a YouTube, ma al governo stesso – di ripristinare la visione del nostro filmato e soprattutto la Costituzione, il bene più prezioso che possiede un paese libero, civile e democratico. Fate rimettere quel filmato su YouTube, in nome della libertà di pensiero e della democrazia italiana».La mano dei censori colpisce ancora: YouTube ha rimosso il video girato il 7 maggio a Roma da Mrtv, la web-tv del Movimento Roosevelt, tra i medici in piazza per chiedere l’accesso alle cure domiciliari precoci contro il Covid. A intervistare i sanitari (tutti con mascherina) la giornalista Monica Soldano, attivista di primo piano del Movimento Roosevelt ed esponente dell’Ordine dei Giornalisti. «La manifestazione era stata regolarmente autorizzata dalla Prefettura: non si negava affatto la pericolosità del virus, ma si criticava la “vigile attesa” e si invocava la necessità di introdurre finalmente terapie tempestive, per curare i malati direttamente a casa, alla comparsa dei primi sintomi». Protesta Roberto Hechich, dirigente del Movimento Roosevelt: «Ricordiamo a YouTube e al ministero della salute che il web è pubblico, demaniale: chi usufruisce della Rete deve sottostare alle leggi dello Stato e alla Costituzione».
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Borrelli: che disastro, dopo Mani Pulite (che risparmiò il Pci)
Rispetto di fronte alla morte, ma anche un sereno giudizio (severo, nel caso) su un personaggio pubblico che ha contribuito a sconvolgere la storia del paese. Gianluigi Da Rold si riferisce a Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite. Probabilmente, scrive Da Rold sul “Sussidiario”, la popolarità di Mani Pulite è sempre alta. Eppure, rispetto ai risultati ottenuti «con l’abbattimento della Prima Repubblica e l’avvento di altre ipotetiche repubbliche variamente numerate», si nota qualche ripensamento e anche qualche critica. «Quando nel 1992 iniziò Tangentopoli chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e gli eccessi, nella certezza che la mannaia avrebbe colpito indistintamente a destra quanto a sinistra», ha detto Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”. «Poi a un certo punto – ha ammesso – ci siamo accorti che alcuni erano stati risparmiati o avevano ricevuto un trattamento di riguardo, creandosi una situazione di disparità francamente imbarazzante: chi in galera e chi al potere». Più impressionante quella sorta di “pentimento” che lo stesso Borrelli consegnò a Marco Damilano, oggi direttore dell’“Espresso”, vent’anni dopo l’esplosione della grande inchiesta: abbiamo combinato un bel guaio, ammise il magistrato.Nel saggio “Eutanasia di un potere”, edito da Laterza nel 2013, Borrelli dice a Damilano: «Se fossi un uomo pubblico di qualche paese asiatico, dove è costume chiedere scusa per i propri sbagli, chiederei scusa per il disastro seguito a Mani pulite». E aggiunge: «Non valeva la pena di buttare all’aria il mondo precedente per cascare poi in quello attuale». Nel libro citato, annota Da Rold, il pensiero di Borrelli viene riproposto un altro paio di volte, «e probabilmente offre la misura della delusione provata anche dal capo del pool di fronte alla parabola politica che parte con Berlusconi, passa dai comprimari del “nuovismo” di sinistra per poi approdare a “Giggino”, “Dibba” e al “Capitano”». Pesa la pochezza culturale dei nuovi leader, peraltro inaugurata da Berlusconi col suo partito-azienda e seguita a ruota dall’altrettanto personalistico Renzi, fino ad arrivare alla “caserma” pentastellata. Fu comunque Berlusconi – poi vittima a sua volta delle “toghe rosse” – il primo ad approfittare dello tsunami di Tangentopoli: tutti ricordano le dirette non-stop di Emilio Fede, con Paolo Brosio in pianta stabile davanti al palagiustizia milanese, ad applaudire i giustizieri. Il resto è cronaca, lo si sconta da trent’anni ma molti se ne accorgono solo oggi: Mani Pulite sguarnì il Belpaese di fronte all’offensiva dei superpoteri europei – industriali e finanziari – che fecero dell’Italia un sol boccone, dal Trattato di Maastricht in poi.In Borrelli e nel suo vitalissimo e popolarissimo pool – scrive Da Rold – c’era purtroppo «il vecchio spirito inquisitorio che l’Italia non vuole abbandonare». In più «c’era, in quei tempi, un’intesa tra magistratura inquirente e mass media che portò molti giornalisti quasi al “disgusto”, alle dimissioni di fronte a certe carte che passavano da una mano all’altra e a certe rivelazioni clamorose ed esclusive». Il 14 luglio 1994, ricorda Da Rold, sugli schermi televisivi apparvero i Pm del pool per affossare il cosiddetto decreto Conso, che tentava di porre un argine all’improvvisa esuberanza di una magistratura per mezzo secolo s’era ben guardata dal “vedere” gli illeciti amministrativi della politica. «Un simile spettacolo di invadenza giudiziaria nella vita politica non sarebbe immaginabile neppure oggi, nemmeno nella piuttosto sgangherata vecchia Gran Bretagna in preda alla Brexit», scrive Da Rold. Da noi, invece, «naturalmente vinsero i “pm” che avrebbero “pulito” l’Italia». Ma quello che più stupisce, aggiunge l’analista, è l’ipocrisia: tutti sapevano che il finanziamento pubblico ai partiti era stato illecito fin dal 1946. «Dati alla mano, si è dimostrato che tutti i bilanci firmati dai presidenti delle Camere, sin dal 1946, erano falsi e che nessun politico e nessun magistrato aveva mai sollevato obiezioni, tranne poi scatenare la “grande lotta alla corruzione”».Inoltre, aggiunge Da Rold, il “nuovismo” politico si è pure rifiutato di creare su Tangentopoli commissione d’inchiesta – doverosa, almeno da quello che appariva. Ora ci risiamo, con le bufale velenose del Russiagate salviniano? Dato che siamo in tema di “Russopoli”, Da Rold ricorda Stephane Courtois, autore de “Il libro nero del comunismo”, che scrive: «L’assordante silenzio che ha accompagnato in Italia le rivelazioni sulla dimensione criminale di quasi un secolo di comunismo, cioè sugli 85 milioni di morti ammazzati, non è nulla rispetto al silenzio, come dire?, rimbombante che è stato steso su quello che riguardava la ‘question financière’, cioè l’oro di Mosca». Alla vigilia della guerra di Corea, nel 1950 – riassume Da Rold – Stalin dava incarico all’armeno Vagan Grigorian di costituire un fondo per finanziare sistematicamente i partiti comunisti di opposizione in Occidente. Il nome che fu stabilito era questo: “Fondo sindacale di assistenza alle organizzazioni operaie di sinistra”. Cose vecchie? Mica tanto: secondo i calcoli di Courtois, sino alla caduta del Muro di Berlino, il Pci – sotto varie forme – intascò il 25% per cento dei finanziamenti di Mosca «anche dopo Stalin, dopo Kruscev, dopo Breznev e dopo le “ultime mummie” del Cremlino». Totale: mille miliardi di vecchie lire. E i magistrati, Borrelli e colleghi? «Non si è mai capito – conclude Da Rold – perché ancora alla fine degli anni Settanta, e forse anche dopo, il Pci avesse a disposizione sulla Bank of Cyprus di Londra il conto numero 100203939/560. Erano archiviate tutte queste possibili inchieste? Forse Borrelli e i suoi “ragazzi” se ne erano dimenticati».Rispetto di fronte alla morte, ma anche un sereno giudizio (severo, nel caso) su un personaggio pubblico che ha contribuito a sconvolgere la storia del paese. Gianluigi Da Rold si riferisce a Francesco Saverio Borrelli, capo del pool Mani Pulite. Probabilmente, scrive Da Rold sul “Sussidiario”, la popolarità di Mani Pulite è sempre alta. Eppure, rispetto ai risultati ottenuti «con l’abbattimento della Prima Repubblica e l’avvento di altre ipotetiche repubbliche variamente numerate», si nota qualche ripensamento e anche qualche critica. «Quando nel 1992 iniziò Tangentopoli chiudemmo un occhio sulle esagerazioni e gli eccessi, nella certezza che la mannaia avrebbe colpito indistintamente a destra quanto a sinistra», ha detto Ferruccio De Bortoli, già direttore del “Corriere della Sera”. «Poi a un certo punto – ha ammesso – ci siamo accorti che alcuni erano stati risparmiati o avevano ricevuto un trattamento di riguardo, creandosi una situazione di disparità francamente imbarazzante: chi in galera e chi al potere». Più impressionante quella sorta di “pentimento” che lo stesso Borrelli consegnò a Marco Damilano, oggi direttore dell’“Espresso”, vent’anni dopo l’esplosione della grande inchiesta: abbiamo combinato un bel guaio, ammise il magistrato.
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Magaldi: Renzi bussa alla superloggia Maat, quella di Obama
Secondo Giulio Occhionero, indagato per hacking nel 2018 durante la legislatura Renzi-Gentiloni, i servizi segreti avrebbero forgiato false prove per il Russiagate. Sempre secondo Occhionero, Renzi potrebbe essere accolto nella superloggia Maat, dove si trova anche Obama. Occhionero, accusato di aver hackerato i computer di Renzi e Draghi, sembra il capro espiatorio di un gioco più complesso: lui e la sorella Francesca Maria, arrestati e condannati per accesso abusivo a sistemi informatici, stanno pagando per qualcosa di più grande di loro. L’ammissione di Renzi nella Ur-Lodge “Maat”? E’ uno dei luoghi in cui Renzi, che ora è passato per il Bilderberg, sta iniziando a bussare. La “Maat” fu un incontro di conservatori di stampo non terroristico, massoni neoaristocratici vecchio stile – non quelli della filiera “Hathor Pentalpha” (che hanno dato origine all’Isis e, prima ancora, ad Al-Qaeda). La “Maat” fu immaginata da Ted Kennedy e da Zbigniew Brzezisnki come la loggia che doveva supportare l’arrivo del “fratello” Obama alla Casa Bianca per mettere fine agli anni bui dei Bush, col predominio terroristico globale di “Hathor Pentalpha”, “Geburah”, “Der Ring” e altre superlogge interessate a creare terrore globale, a fare guerre, a distruggere per poi ricostruire.Nel frattempo la funzione storica della “Maat” si è un po’ appannata, e oggi quella superloggia è meno prestigiosa di altre, pur restando importante. Renzi? Sta cercando in tutti i modi di entrare da qualche porta, magari anche da qualche entrata di servizio, come il Bilderberg. Io però continuo a ritenere che oggi più che mai non ci sia alcun interesse, da parte di nessun gruppo massonico, ad ammettere Renzi, la cui stella è chiaramente in declino, benché qualcuno possa ancora ritenerlo una pedina, certo subalterna. Di questo e altro – per esempio, dei retroscena del Russiagate – si parlerà nel mio libro “Globalizzazione, esoterismo e massoneria”, di prossima uscita. Ammetiamolo: ci sono delle filiere di contatto tra Putin e Trump, così come nel corso del ‘900 ci sono sempre stati contatti tra ambienti russi e americani. Basta vedere il caso dell’imprenditore Armand Hammer, massone, esponente dell’ultra-destra repubblicana aspramente antisovietica e contemporaneamente vicinissimo ad alti esponenti del Cremlino. Uno strano uomo d’affari, un massone molto potente che si trovava a contatto, in modo plateale, con quelli che formalmente demonizzavano l’Unione Sovietica, e allo stesso tempo era in contatto coi dirigenti sovietici che, nell’era Breznev, avevano dato una sterzata in senso autoritario, dopo le storiche aperture di Nikita Khrushev.Riguardo al Russiagate, sul piano delle indagini non sarà facile arrivare al dunque, perché quello che si cerca è sbagliato. Non è che Trump sia stato eletto grazie ai servizi segreti russi: questa è una stupidaggine. E non è che vi sia, quindi, la possibilità di trovare la prova di questo ipotetico “tradimento”, di questa operazione per la quale Trump sarebbe una sorta di avamposto del “nemico russo”, al quale sarebbe legato da chissà quali patti. Non è così. Però esistono evidentemente dei network massonici, la cui attività non viene spiegata in modo leale, dai media: quando avviene l’elezione del presidente di un paese importante, le filiere sovranazionali massoniche si muovono, in modo trasversale. Sembra paradossale, rispetto a quello che uno si immaginerebbe. Ma non si tratta di russi che intervengono negli Usa, o viceversa: in queste filiere sovranazionali siedono, l’una accanto all’altra, persone di paesi che magari formalmente sono in guerra o in stato di tensione diplomatica. E’ la cosiddetta sovragestione.Meglio voltare pagina: il Russiagate è una costruzione piuttosto insipiente, sia a livello mediatico che sul piano giuridico. Ma è evidente che Putin (e alcuni massoni della filiera di cui Putin è parte) preferissero Trump alla Casa Bianca, e hanno operato per favorire questo – così come, per altri versi, è intervenuta la massoneria progressista, in modo pesantissimo, per fare con Trump un’operazione di rottura rispetto a un certo quadro della globalizzazione. Tuttavia la massoneria progressista non vede certo in Trump il campione di una riscossa definitiva: serve un altro Roosevelt (che ancora non c’è, sulla scena). Non poteva esserlo Bernie Sanders, né l’inglese Jeremy Corbin o il francese Jean-Luc Mélenchon. Si tratta di personaggi vecchi, nella loro impostazione politica: non sono questi i campioni del progressismo che verrà. Ci vuole qualcos’altro.Trump? E’ “un dito nel sedere”, per dirla in francese, per i tanti che a livello globale erano preparati alla solita manfrina di politici che, indifferentemente di destra o di sinistra, sarebbero stati addomesticabili dal sistema, per come lo abbiamo conosciuto in questi decenni. Trump è una variante impazzita, un Maverick utile a fare un po’ di casino, al netto dei suoi molti difetti. Questo non giustifica sul piano giuridico le accuse del Russiagate, ma certamente Putin e Trump possono avere obiettivi comuni, anche quando vi siano frizioni tra Usa e Russia (ed è è normale: in tutti gli ambienti di potere, privato e pubblico, ci sono ragioni per divergere e ragioni per convergere). In ogni caso state tranquilli: non c’è stata la longa manus del Cremlino sulle elezioni alla Casa Bianca, nel senso banale in cui lo si è detto.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate il 24 giugno 2019 nella diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”).Secondo Giulio Occhionero, indagato per hacking nel 2018 durante la legislatura Renzi-Gentiloni, i servizi segreti avrebbero forgiato false prove per il Russiagate. Sempre secondo Occhionero, Renzi potrebbe essere accolto nella superloggia “Maat”, dove si trova anche Obama. Occhionero, accusato di aver hackerato i computer di Renzi e Draghi, sembra il capro espiatorio di un gioco più complesso: lui e la sorella Francesca Maria, arrestati e condannati per accesso abusivo a sistemi informatici, stanno pagando per qualcosa di più grande di loro. L’ammissione di Renzi nella Ur-Lodge “Maat”? E’ uno dei luoghi in cui Renzi, che ora è passato per il Bilderberg, sta iniziando a bussare. La “Maat” fu un incontro di conservatori di stampo non terroristico, massoni neoaristocratici vecchio stile – non quelli della filiera “Hathor Pentalpha” (che hanno dato origine all’Isis e, prima ancora, ad Al-Qaeda). La “Maat” fu immaginata da Ted Kennedy e da Zbigniew Brzezisnki come la loggia che doveva supportare l’arrivo del “fratello” Obama alla Casa Bianca per mettere fine agli anni bui dei Bush, col predominio terroristico globale di “Hathor Pentalpha”, “Geburah”, “Der Ring” e altre superlogge interessate a creare terrore globale, a fare guerre, a distruggere per poi ricostruire.
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Limonov: Putin obbedisce a 30 famiglie. Skripal? False flag
«Ma quali russi! Questo Skripal non contava niente, era in pensione da 14 anni, insegnava storia dell’intelligence ai ragazzini delle scuole russe. Putin è molto intelligente, che interesse aveva a farlo fuori? Può crederci solo quella vecchia scopa di Theresa May, quest’inglese volgare che si crede Churchill, batte in arroganza Trump e dimentica cosa fecero i sovietici per aiutare i suoi padri». Così lo scrittore russo Eduard Limonov, intervistato da Francesco Battistini per il “Corriere della Sera”. «Questi avvelenamenti sono una commedia», dice. «Una guerra di parole». L’ex spia Sergej Skripal, avvelenato in Inghilterra col gas nervino? La Russia non c’entra: «Si ricorda il Dottor No di James Bond? È stato un diabolico Dottor No a fare il lavoro», sostiene Limonov, facendo eco all’ex ambasciatore britannico Craig Murray, che sospetta del Mossad israeliano, in rotta con Mosca per l’impegno russo in Siria. Secondo Murray, il Cremlino non avrebbe mai potuto firmare il simile autogol, immediatamente colto come pretesto dal Regno Unito, che ha coinvolto Francia e Usa nella nuova guerra contro Putin a colpi di sanzioni. «Il mondo delle spie l’ho conosciuto in prigione», racconta Limonov al “Corriere”. «In cortile c’era un ufficio dell’Fsb, l’ex Kgb, e quando sono uscito e mi seguivano 12 agenti, li conoscevo tutti. Li ho ancora dietro, anche se vado al ristorante. Ho 75 anni: perché non mi lasciano in pace?».Il quotidiano milanese presenta Limonov, protagonista della premiatissima biografia dedicatagli da Emmanuel Carrère, come «scrittore e politico, bolscevico e nazionalista, playboy e gay, combattente nei Balcani e punk newyorkese». Rifiuta categoricamente l’idea che i servizi segreti di Mosca abbiano avuto un ruolo nel caso Srkipal. Di Putin, che detesta, dice: «Nella sua famiglia vivono a lungo, i suoi genitori sono arrivati a 90 anni. Ma voi europei siete ossessionati, pensate che Putin sia il motore di tutto». Della Russia, offre la seguente rappresentazione: «Il paese è governato da 30 famiglie, l’1% che possiede il 74% delle ricchezze. Peggio che in India». Il nuovo Zar «è solo il loro brillante portavoce, una delle torri del Cremlino. Non gestisce la baracca. Ha padroni che si chiamano Mikhail Fridman, fondatore di Alfa Group», colosso finanziario. E gli oppositori? «Tutti finti. Navalny è uno che stava nel board dell’Aeroflot, raccomandato dal banchiere Lebedev. L’ambiziosa Ksenia Sobchak è parente di Putin: le hanno dato la parte della liberale, ha voluto perdere in partenza dicendo subito che la Crimea va restituita all’Ucraina. E poi c’ è quel furbastro Grudinin che si fa passare per comunista: un idiota, predica il socialismo e possiede una società per azioni, fa il padrone capitalista».In ogni caso, «il caso Skripal è una messa in scena», insiste Limonov, in un’intervista all’Ansa ripresa dall’“Huffington Post”. «La Russia non avrebbe avuto nessun tornaconto ad ammazzarlo, anzi: se fosse stato davvero pericoloso, non lo avrebbero liberato per poi tentare di ammazzarlo. Col nervino si muore in pochi minuti, mentre lui invece è ancora vivo». La Russia, argomenta Limonov, era stata “depennata” nel 1991 dalla lista degli avversarsi, causando frustrazione: la caccia al “nemico”, benché inventato, è la spiegazione dell’isteria anti-russa che si sta scatenando. «Basta vedere la caccia alle streghe in corso oggi negli Usa, e il modo in cui la Russia viene vista in Occidente, in modo ripugnante. È davvero senza precedenti. Anche perché un tempo esisteva la diplomazia, oggi non più». Secondo Limonov, l’Occidente ha un’idea semplificata del sistema politico russo e, soprattutto, sopravvaluta il potere di Vladimir Putin. «Le decisioni – dice – non le prende lui da solo, ma in modo collettivo. Il paese – ribadisce – è governato da circa 30 famiglie. E Putin, più che uno zar, è il portavoce di questo gruppo». Il sistema politico russo, insiste Limonov, «non si esaurisce con Putin».Secondo Igor Sibaldi, filologo e scrittore di madre russa, non si riflette mai con attenzione su un dettaglio: «Nel Kgb, Putin non era un generale, ma solo un colonnello». Come dire: un leader, certo, ma obbligato a rendere conto del suo operato ad altri soggetti. Uomini che restano nell’ombra, all’interno dell’impianto di potere creato da Yurij Andropov addirittura alla fine degli anni ‘60, pensato già allora per tenere in piedi la Russia dopo l’eventuale collasso dell’Urss, ritenuto inevitabile prima ancora dell’era Breznev. Se oggi i russi non c’entrano con il caso Skripal, sono comunque nella bufera – non a caso, a pochi giorni dall’annuncio del 1° marzo in cui Putin ha presentato le nuovissime super-armi di Mosca, destinate a ristabilire la parità strategica con gli Usa. Uno schiaffo ai “signori della gerra” – che poi, secondo Gianfranco Carpeoro (autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”) sono anche i veri registi occulti delle stragi europee firmate Isis. «Il neo-terrorismo – afferma Carpeoro – è nato da una spaccatura all’interno della supermassoneria più reazionaria: a un certo punto, qualcuno ha cessato di appoggiare quel tipo di strategia della tensione internazionale». Carpeoro, su “Border Nights”, ha spesso dichiarato di temere un super-attentato, in Europa, stile 11 Settembre – che però non c’è stato. «Vero, e questo significa che si sono rimessi d’accordo su come agire, a livello di “sovragestione”». Basta stragi “false flag” in Europa. Meglio la guerra a Putin?«Ma quali russi! Questo Skripal non contava niente, era in pensione da 14 anni, insegnava storia dell’intelligence ai ragazzini delle scuole russe. Putin è molto intelligente, che interesse aveva a farlo fuori? Può crederci solo quella vecchia scopa di Theresa May, quest’inglese volgare che si crede Churchill, batte in arroganza Trump e dimentica cosa fecero i sovietici per aiutare i suoi padri». Così lo scrittore russo Eduard Limonov, intervistato da Francesco Battistini per il “Corriere della Sera”. «Questi avvelenamenti sono una commedia», dice. «Una guerra di parole». L’ex spia Sergej Skripal, avvelenato in Inghilterra col gas nervino? La Russia non c’entra: «Si ricorda il Dottor No di James Bond? È stato un diabolico Dottor No a fare il lavoro», sostiene Limonov, facendo eco all’ex ambasciatore britannico Craig Murray, che sospetta del Mossad israeliano, in rotta con Mosca per l’impegno russo in Siria. Secondo Murray, il Cremlino non avrebbe mai potuto firmare il simile autogol, immediatamente colto come pretesto dal Regno Unito, che ha coinvolto Francia e Usa nella nuova guerra contro Putin a colpi di sanzioni. «Il mondo delle spie l’ho conosciuto in prigione», racconta Limonov al “Corriere”. «In cortile c’era un ufficio dell’Fsb, l’ex Kgb, e quando sono uscito e mi seguivano 12 agenti, li conoscevo tutti. Li ho ancora dietro, anche se vado al ristorante. Ho 75 anni: perché non mi lasciano in pace?».
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A salvare la Russia è stato Andropov: il Kgb, cioè oggi Putin
Quando sta per arrivare la “fine del mondo”, c’è sempre qualcuno che la vede in anticipo. E in silenzio, dietro le quinte, prepara il “dopo”. Prendiamo l’Urss, crollata nel 1991. Colpa di Gorbaciov? No: la perestrojka fu un tentativo generoso ma tardivo, fuori tempo massimo. Tutti, al Cremlino, sapevano perfettamente che l’Unione Sovitica era finita: come sistema sociale non poteva più reggere. Il primo a saperlo era l’uomo che allevò Gorbaciov: Yurij Andropov, ininterrottamente a capo del Kgb dal lontano 1967. Proprio il potente servizio segreto era il migliore osservatorio della situazione: prima ancora che andasse a sostituire Breznev nel 1982 alla guida del paese, Andropov già sapeva che solo il Kgb avrebbe potuto impedire la catastrofe definitiva, il tracollo della Russia. Lo sostiene il filosofo Igor Sibaldi, di origine russa per parte di madre, autore di besteller come “I maestri invisibili”. Tre le sue fonti confidenziali anche un amico d’infanzia, ufficiale del Kgb. Non a caso, lo stesso Gorbaciov veniva dall’intelligence, ne era stato il direttore amministrativo. E chi è Vladimir Putin? Un ex colonnello del Kgb. «Ancora oggi, Putin rappresenta un potente network, di cui è il portavoce: è ancora l’ex Kgb a reggere il paese, dopo averne evitato il crollo».Lo ammette anche Giulietto Chiesa, autore di libri come “Roulette russa” e “Russia addio”, scritti durante la disastrosa epoca Eltsin, con la colossale svendita del paese a vantaggio del grande capitale americano, con la mediazione degli “oligarchi” cresciuti attorno al Cremlino. «Il vero iniziatore della perestrojka fu Jurij Andropov, cioè il Kgb, che era la parte più “informata dei fatti”», scrive Chiesa in una riflessione su “Megachip”. «Gorbaciov arrivò quando ormai la situazione era intenibile. Fece degli errori gravi? Sicuramente. Si fidò dell’Occidente, che non conosceva abbastanza? Sicuramente. Ma il fatto incontestabile (se si vuole essere onesti nei confronti della realtà) è che l’Impero del Bene di reaganiana memoria aveva già conquistato le menti della grande maggioranza dei russi. E di quasi tutta l’intelligencija sovietica». L’alternativa concreta che si pose davanti a Gorbaciov, continua Chiesa, fu semplice e tragica: «Continuare così, fino al collasso (con il rischio che i cretini di ambo le parti tentassero la soluzione di forza, e sarebbe stata la fine del genere umano), oppure avviare i cambiamenti necessari». Non ha funzionato, come sappiamo. Ma incolpare solo Gorbaciov «significa oscurare del tutto il progetto di dominio mondiale che cominciò ad attuarsi in quegli anni e che oggi strangola tutti noi».In una conversazione registrata su YouTube, Sibaldi traccia un parallelo tra la crisi terminale dell’Unione Sovietica e l’attuale collasso del nostro sistema, fondato sul consumo di merci superflue: «Le crepe sono evidentissime, la situazione sta crollando. Non sappiamo più neppure chi siamo e cosa ci piace: sappiamo solo cosa dobbiamo dire che ci piace». Nei momenti difficili, aggiunge Sibaldi, conta l’individuo consapevole, che ha coscienza di sé e sente che sta cambiando l’aria, in modo irreversibile. «La domanda da porsi è: come ci si organizza, per il dopo? La Russia sovietica già negli anni ‘70 non aveva più futuro, ma i cittadini non lo volevano accettare: pensavano che l’Unione Sovietica sarebbe durata per sempre. A capire la situazione, con largo anticipo, fu il Kgb. Che, con Andropov, si organizzò per il “dopo” con larghissimo anticipo». Insiste Sibaldi: «Già negli anni ‘60, Andropov si era accorto che l’impero russo sarebbe crollato, inevitabilmente: non aveva speranza, un paese che diceva di essere comunista ma in realtà andava verso il nazismo, di mese in mese, con atrocità intollerabili». Era lucido, il capo del Kgb: «Ha pensato: lo Stato crolla, salvarlo è impossibile. E allora bisogna preparare un edificio a parte, che resista. E ha fatto quello che Isaac Asimov aveva scritto nei suoi romanzi di fantascienza: solo che, anziché su un altro pianeta, l’ha fatto in una struttura statale».Uno Stato nello Stato, in assoluta segretezza. «Poi il crollo è avvenuto, e l’unica cosa che è rimasta in piedi è stato proprio il Kgb, cioè quello che Andropov era riuscito a costruire. Non per niente, Putin è un colonnello del Kgb, non un generale: non è “il dittatore”, è l’espressione visiva di una struttura che è dietro di lui, e che è rimasta solidissima». Il fenomeno dei “nuovi ricchi” russi? E’ la dimostrazione di «processi sociali avviati in quel periodo, accuratamente progettati: la diffusione di un nuovo sistema di ricchezza, dall’alto, per “tener su” un popolo mentre lo Stato crolla». Una visione che coincide in parte con quella di Gioele Magaldi, autore del saggio “Massoni”, spesso molto critico di fronte agli entusiasmi dei “corifei” del nuovo Zar di Mosca. Magaldi rivela che Putin fu affiliato alla supermassoneria internazionale già nei primi anni ‘80, quando risiedeva in Germania Est: «Insieme ad Angela Merkel, che conosce personalmente da allora – ricorda Magaldi a “Colors Radio” – Putin fu accolto nella Ur-Lodge “Golden Eurasia”, non esattamente progressista». E’ al potere da troppo tempo e impedisce che la democrazia russia maturi pienamente? Vero. Ma, per contro – ammette Magaldi – Putin ha stabilizzato il paese, migliorando la vita dei russi. «E, altra cosa utile per l’equilibrio del mondo: è riuscito a riproporre la Russia come potenza». Nel segno del capostipite del network, il lungimirante Yurij Andropov.Quando sta per arrivare la “fine del mondo”, c’è sempre qualcuno che la vede in anticipo. E in silenzio, dietro le quinte, prepara il “dopo”. Prendiamo l’Urss, crollata nel 1991. Colpa di Gorbaciov? No: la perestrojka fu un tentativo generoso ma tardivo, fuori tempo massimo. Tutti, al Cremlino, sapevano perfettamente che l’Unione Sovitica era finita: come sistema sociale non poteva più reggere. Il primo a saperlo era l’uomo che allevò Gorbaciov: Yurij Andropov, ininterrottamente a capo del Kgb dal lontano 1967. Proprio il potente servizio segreto era il migliore osservatorio della situazione: prima ancora che andasse a sostituire Breznev nel 1982 alla guida del paese, Andropov già sapeva che solo il Kgb avrebbe potuto impedire la catastrofe definitiva, il tracollo della Russia. Lo sostiene il filosofo Igor Sibaldi, di origine russa per parte di madre, autore di besteller come “I maestri invisibili”. Tre le sue fonti confidenziali anche un amico d’infanzia, ufficiale del Kgb. Non a caso, lo stesso Gorbaciov veniva dall’intelligence, ne era stato il direttore amministrativo. E chi è Vladimir Putin? Un ex colonnello del Kgb. «Ancora oggi, Putin rappresenta un potente network, di cui è il portavoce: è ancora l’ex Kgb a reggere il paese, dopo averne evitato il crollo».
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Oliver Stone: prego che questa America non attacchi Mosca
«Non avrei mai pensato che mi sarei trovato a pregare per il livello ragionevolezza di un Donald Trump. Ricordate “L’Iliade”? Secondo Omero gli dèi si libravano sopra le battaglie di ogni giorno e ne decidevano il risultato. Chi sarebbe morto e chi sarebbe vissuto. Gli dèi sono ancora in ascolto?». Così il regista Oliver Stone, letteralmente terrorizzato dall’escalation militare in corso contro la Russia, «un paese che crede che in questo momento gli Stati Uniti, con il più grande schieramento della Nato ai suoi confini dalla Seconda Guerra Mondiale di Hitler, siano abbastanza folli da preparare un attacco preventivo». Nessuno ne parla, sui grandi media, ma è così: pur già con le valigie in mano, Obama ha dato il via libera alla colossale operazione “Atlantic Resolve”, con oltre 5.000 mezzi corazzati in azione per 9 mesi sul confine russo-lituano. Silenzio assoluto anche in Italia: se Mentana denuncia Grillo per l’accusa di alimentare “fake news”, Giulietto Chiesa li rimbecca, su “Megachip”: «Questa dovrebbe essere una notizia di apertura anche per il telegiornale di Mentana. E anche per il blog di Grillo. Tacciono invece entrambi».Dagli Usa, Oliver Stone riversa su Facebook la sua angoscia: l’ormai decadente “New York Times” degenera nell’impostazione del “Washington Post” «con la sua ristagnante visione da Guerra Fredda di un mondo degli anni ’50 dove ai russsi viene data la colpa di tutto – la sconfitta di Hillary, la maggior parte delle aggressioni e dei disordini nel mondo, la volontà di destabilizzare l’Europa». In più, il “Times” «ha aggiunto la questione delle “fake news” per riaffermare il suo discutibile ruolo di voce dominante dell’establishment di Washington», cavalcando la polemica sull’ipotetico hackeraggio da parte della Russia nelle elezioni presidenziali vinte da Trump. Nel post, tradotto da “Come Don Chisciotte”, il regista cita la Cia e l’Fbi, la Nsa e il direttore della National Intelligence, James Clapper, un uomo che «come si sa, mentì al Congresso a riguardo dell’affare Snowden». Tutti in coro: Obama e la Dnc, Hillary Clinton e il Parlamento: colpa di Putin. E a fianco di questi «patrioti», aggiunge Stone, spicca in particolare il senatore John McCain, «psicotico, amante della guerra», che definisce Putin come «un delinquente, un bullo e un assassino», finendo sulla prima pagina del “Times”.«Non ricordo che i presidenti Eisenhower, Nixon o Reagan, nei periodi più neri degli anni 50/80, si siano mai riferiti ad un presidente russo in questo modo», scrive Stone. «Le invettive venivano rivolte al regime sovietico ma non erano mai Khrushchev o Brezhnev il bersaglio della loro bile. La mia ipotesi è che questa sia una nuova forma di diplomazia da parte dell’America. Se un giovane nero viene ucciso nelle nostre città od i partecipanti ad un banchetto di nozze in Pakistan vengono sterminati dai nostri droni Obama viene additato come assassino, bullo, delinquente?». I grandi giornali che ora crocifiggono Putin sono gli stessi che hanno taciuto sulle scandalose irregolarità emerse sulla Clinton, grazie all’ex ambasciatore Craig Murray, ora portavoce di Wikileaks. «Se su questo si fosse indagato correttamente si sarebbe benissimo potuti arrivare a scoprire che per Hillary Clinton questo era il “Nixon moment”». Sembra di essere tornati negli anni ‘50, «quando si supponeva che i russi fossero nelle nostre scuole, al Congresso, al Dipartimento di Stato – in sintonia con molti supporter di Eisenower/Nixon – per impadronirsi del nostro paese senza incontrare una seria opposizione». Salvo poi «sostenere la nostra necessità di andare in Vietnam per difendere la nostra libertà contro i comunisti, a 10.000 chilometri di distanza».E dopo che il Terrore Rosso finalmente se ne fu andato una volta per tutte nel 1991, continua Stone, vediamo che non è mai finita: «Il Terrore è diventato Saddam Hussein in Iraq con i suoi missili di distruzione di massa, il “fungo atomico”. E’ diventato il Demone, reale tanto quanto ogni Processo alle Streghe di Salem. E’ stato Gheddafi in Libia e poi è stato Assad in Siria. In altre parole, come in una profezia orwelliana, non è mai finita. E vi posso garantire che non si riderà mai loro in faccia – a meno che noi cittadini, ancora capaci di un pensiero autonomo nelle faccende esistenziali, diciamo “basta” a questo agire demoniaco: “Ne abbiamo abbastanza, fuori dai piedi”». Inutile sperare nel riveglio dei media. «Mio Dio, il fantasma di Izzy Stone è tornato dagli anni ’50! D’altronde lo è anche Tom Clancy dagli anni ’80. Falsi thriller verranno scritti sull’hackeraggio dei russi nelle elezioni americane. Si faranno soldi e serial Tv. Non avevo mai letto simile spazzatura isterica sul “New York Times” (chiamiamola per quello che è, “fake news”) in cui gli editoriali sono diventati diatribe oltraggiose sui presunti crimini da parte della Russia, la maggior parte dei quali presumibilmente scritti da Serge Schmemann, uno di quegli ideologi che ancora la notte guarda se ci sono russi sotto il suo letto; erano chiamati ai vecchi tempi “russi bianchi” e, come i cubani di destra a Miami, non sono capaci di accantonare il passato».Questo tipo di pensiero, agiunge Stone, ha chiaramente influenzato il Pentagono e molte delle affermazioni di generali Usa, e ha pervaso i report di quello che che il regista chiama “Msm”, sistema del mainstream media. «Quando un gruppo di pensiero controlla la nostra comunicazione nazionale, diventa veramente pericoloso. In questo spirito, io sto linkando numerosi saggi cruciali della nuova annata, sottolineando la vergogna che è diventato il Msm». Oliver Stone non ama Trump e vede che è bersaglio numero uno, insieme a Putin, del sistema mainstream. E teme che lo resterà «fino a quando non salterà sul binario anti-Cremlino grazie a qualche tipo di falsa informazione o incomprensione cucinate dalla Cia». A quel punto, «col suo modo impulsivo di fare, inizierà a combattere con i russi, e non passerà molto tempo prima che venga dichiarato lo stato di guerra contro la Russia». Basterebbe leggere Robert Parry, secondo cui i neocon hanno fabbricato il nuovo “nemico” a partire dal 1980, con lo spettro del terrorismo “islamico” attribuito all’Iran. «Come questo abbia portato al nostro disordine attuale è una brillante analisi che è sconosciuta al pubblico americano». A parte gli dèi dell’Olimpo, per trovare appigli, Oliver Stone non ha che il Dalai Lama: «Ognuno di noi, anche attraverso le nostre preghiere, può contribuire al miglioramento di questo mondo». Troppi missili, in giro: non ci resta che pregare?«Non avrei mai pensato che mi sarei trovato a pregare per il livello ragionevolezza di un Donald Trump. Ricordate “L’Iliade”? Secondo Omero gli dèi si libravano sopra le battaglie di ogni giorno e ne decidevano il risultato. Chi sarebbe morto e chi sarebbe vissuto. Gli dèi sono ancora in ascolto?». Così il regista Oliver Stone, letteralmente terrorizzato dall’escalation militare in corso contro la Russia, «un paese che crede che in questo momento gli Stati Uniti, con il più grande schieramento della Nato ai suoi confini dalla Seconda Guerra Mondiale di Hitler, siano abbastanza folli da preparare un attacco preventivo». Nessuno ne parla, sui grandi media, ma è così: pur già con le valigie in mano, Obama ha dato il via libera alla colossale operazione “Atlantic Resolve”, con oltre 5.000 mezzi corazzati in azione per 9 mesi sul confine russo-lituano. Silenzio assoluto anche in Italia: se Mentana denuncia Grillo per l’accusa di alimentare “fake news”, Giulietto Chiesa li rimbecca, su “Megachip”: «Questa dovrebbe essere una notizia di apertura anche per il telegiornale di Mentana. E anche per il blog di Grillo. Tacciono invece entrambi».
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Magaldi: super-fratelli d’Italia, élite occulta del vero potere
Esistono i massoni e i supermassoni, le logge e le superlogge. Lo rivela Gioele Magaldi, quarantenne “libero muratore” di matrice progressista, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere, editrice che figura tra gli azionisti del “Fatto Quotidiano”. Proprio sul “Fatto”, Gianni Barbacetto e Fabrizio D’Esposito presentano l’operazione editoriale, soffermandosi sul sottititolo dell’opera di Magaldi, basata su documenti custoditi a Londra, Parigi e New York: “La scoperta delle Ur-Lodges”. Magaldi, che anni fa ha fondato in Italia il Grande Oriente Democratico in polemica con il Goi (Grande Oriente d’Italia, la più grande obbedienza massonica del nostro paese), in 656 pagine apre ai profani un mondo segreto e invisibile: «Tutto quello che accade di importante e decisivo nel potere è da ricondurre a una cupola di superlogge sovranazionali, le Ur-Lodges, appunto, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali. Non sfugge nessuno a questi cenacoli. Le Ur-Lodges citate sono 36 e si dividono tra progressiste e conservatrici, e da loro dipendono le associazioni paramassoniche tipo la Trilateral Commission o il Bilderberg Group. Altra cosa infine sono le varie gran logge nazionali, ma queste nel racconto del libro occupano un ruolo marginalissimo. Tranne in un caso, quello della P2 del Venerabile Licio Gelli».Laura Maragnani, giornalista di “Panorama” che ha collaborato con Magaldi e scrivendo anche una lunga prefazione, spiega che il libro è frutto di un lavoro durato quattro anni, nei quali Magaldi ha consultato gli archivi di varie Ur-Lodges. Tuttavia, come scrive l’editore nella nota iniziale, in caso di “contestazioni” Magaldi si impegna a rendere pubblici gli atti segreti, depositati in studi legali in Europa e negli Usa. «Tra le superlogge progressiste – premette il “Fatto” – la più antica e prestigiosa è la Thomas Paine (cui è stato iniziato lo stesso Magaldi) mentre tra le neoaristocratiche e oligarchiche, vero fulcro del volume, si segnalano la Edmund Burke, la Compass Star-Rose, la Leviathan, la Three Eyes, la White Eagle, la Hathor Pentalpha». Tutto il potere del mondo sarebbe contenuto in queste Ur-Lodges. E persino i vertici della fu Unione Sovietica, da Lenin a Breznev, sarebbero stati superfratelli di una loggia conservatrice, la Joseph de Maistre, creata in Svizzera proprio da Lenin. «Può sembrare una contraddizione, un paradosso, ma nella commedia delle apparenze e dei doppi e tripli giochi dei grembiulini può finire che il più grande rivoluzionario comunista della storia fondi un cenacolo in onore di un caposaldo del pensiero reazionario».In questo filone, secondo Magaldi, s’inserisce pure l’iniziazione alla Three Eyes, a lungo la più potente Ur-Lodges conservatrice, di Giorgio Napolitano, attuale presidente della Repubblica e per mezzo secolo esponente di punta della destra del Pci: «Tale affiliazione avvenne nello stesso anno il 1978, nel quale divenne apprendista muratore Silvio Berlusconi», scrive Magaldi. «E mentre Berlusconi venne iniziato a Roma in seno alla P2 guidata da Licio Gelli nel gennaio, Napolitano fu cooptato dalla prestigiosa Ur-Lodge sovranazionale denominata Three Architects o Three Eyes appunto nell’aprile del 1978, nel corso del suo primo viaggio negli Stati Uniti». Più tardi, Berlusconi avrebbe poi creato una sua Ur-Lodge, la Loggia del Drago. Altri affiliati eccellenti, sempre secondo Magaldi, sarebbero Papa Giovanni XXIII, Bin Laden e l’Isis, Martin Luther King e i Kennedy. «C’è da aggiungere, dettaglio fondamentale, che nel libro di Magaldi la P2 gelliana è figlia dei progetti della stessa Three Eyes, quando dopo il ‘68 e il doppio assassinio di Martin Luther King e Robert Kennedy, le superlogge conservatrici vanno all’attacco con una strategia universale di destabilizzazione per favorire svolte autoritarie e un controllo più generale delle democrazie», osservano Barbacetto e D’Esposito.La tesi: il vero potere è massone. E, descritto nelle pagine di Magaldi, «spaventa e fa rizzare i capelli in testa». Dal fascismo al nazismo, dai colonnelli in Grecia alla tecnocrazia dell’Ue, tutto sarebbe venuto fuori dagli esperimenti di questi superlaboratori massonici: persino il “papa buono”, Giovanni XXIII (“il primo papa massone”), Osama Bin Laden e il più recente fenomeno dell’Isis. «In Italia, se abbiamo evitato tre colpi di Stato avallati da Kissinger lo dobbiamo a Schlesinger jr., massone progressista». Nell’elenco di tutti gli italiani attuali spiccano D’Alema, Passera e Padoan. Il capitolo finale è un colloquio tra Magaldi e altri confratelli collaboratori con quattro supermassoni delle Ur-Lodges. Racconta uno di loro, a proposito del patto unitario tra grembiulini per la globalizzazione: «Ma per far inghiottire simili riforme idiote e antipopolari alla cittadinanza, la devi spaventare come si fa con i bambini. Altrimenti gli italiani, se non fossero stati dei bambinoni deficienti, non avrebbero accolto con le fanfare i tre commissari dissimulati che abbiamo inviato loro in successione: il fratello Mario Monti, il parafratello Enrico Letta, l’aspirante fratello Matteo Renzi».Per non parlare del “venerabilissimo” Mario Draghi, governatore della Bce, affiliato a ben cinque superlogge. Secondo Magaldi, Draghi sarebbe peraltro in ottima compagnia. Le Ur-Lodges, infatti, sarebbero gremite di italiani importanti. Come l’ex banchiere centrale e poi ministro Fabrizio Saccomanni, l’industriale Gianfelice Rocca (Techint), l’economista e già ministro Domenico Siniscalco, Giuseppe Recchi (Eni, Exor, Confindustria), Marta Dassù (Aspen Institute, già sottosegretario agli esteri). E poi l’attuale governatore di Bankitalia Ignazio Visco, il banchiere Enrico Tommaso Cucchiani (Intesa Sanpaolo), Alfredo Ambrosetti (patron del summit di Cernobbio), l’ex presidente confindustriale Emma Marcegaglia. E infine il banchiere Matteo Arpe (Lehman Brothers, Capitalia), l’ex ministro Vittorio Grilli (ora Jp Morgan), l’ammiraglio Giampaolo Di Paola (marina militare) e Federica Guidi, ministro dello sviluppo economico del governo Renzi. Ma fino a ieri il dominus della vita italiana non era un certo Berlusconi? In attesa di conferme o smentite, se non altro, il libro di Magaldi contribuisce a dare un volto preciso ai componenti dell’élite: un affollatissimo ritratto di famiglia.(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Esistono i massoni e i supermassoni, le logge e le superlogge. Lo rivela Gioele Magaldi, quarantenne “libero muratore” di matrice progressista, nel libro “Massoni, società a responsabilità illimitata”, pubblicato da Chiarelettere, editrice che figura tra gli azionisti del “Fatto Quotidiano”. Proprio sul “Fatto”, Gianni Barbacetto e Fabrizio D’Esposito presentano l’operazione editoriale, soffermandosi sul sottititolo dell’opera di Magaldi, basata su documenti custoditi a Londra, Parigi e New York: “La scoperta delle Ur-Lodges”. Magaldi, che anni fa ha fondato in Italia il Grande Oriente Democratico in polemica con il Goi (Grande Oriente d’Italia, la più grande obbedienza massonica del nostro paese), in 656 pagine apre ai profani un mondo segreto e invisibile: «Tutto quello che accade di importante e decisivo nel potere è da ricondurre a una cupola di superlogge sovranazionali, le Ur-Lodges, appunto, che vantano l’affiliazione di presidenti, banchieri, industriali. Non sfugge nessuno a questi cenacoli. Le Ur-Lodges citate sono 36 e si dividono tra progressiste e conservatrici, e da loro dipendono le associazioni paramassoniche tipo la Trilateral Commission o il Bilderberg Group. Altra cosa infine sono le varie gran logge nazionali, ma queste nel racconto del libro occupano un ruolo marginalissimo. Tranne in un caso, quello della P2 del Venerabile Licio Gelli».
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Crisi ucraina, perché il Fatto attacca Giulietto Chiesa?
«Giulietto Chiesa mente», scrisse tanti anni fa l’agenzia Tass, quando al Cremlino c’era Breznev, che evidentemente non gradiva l’indipendenza del corrispondente italiano. Oggi, nel 2014, lo stesso Chiesa viene definito «più zarista di Putin». Da chi? Dal “Fatto Quotidiano”, che per colpire l’autore de “La guerra infinita” ospita un insolito corsivo «non firmato, quindi redazionale», che per Chiesa è «un attacco in perfetto stile maccartista, proprio da caccia alle streghe». L’imputazione: passare, su “Pandora Tv”, «le veline di “Russia Today”, il network mediatico del Cremlino», arrivando a sostenere che l’Est dell’Ucraina sia abitato da “russi”. «Se lo sentisse Putin, lo licenzierebbe», scrive il “Fatto”. Replica Chiesa: «Chi scrive non sa, evidentemente, che in Ucraina ci sono all’incirca dieci milioni di russi», cioè cittadini ucraini di etnia russa che «non si fidano dei gestori provvisori di Kiev». E attenzione: «Non sono solo russi, quelli che si difendono contro la giunta militare golpista di Kiev: ci sono anche molti ucraini non russi».Perché il “Fatto” si scaglia contro l’ex corripondente da Mosca? Giulietto Chiesa ha lavorato per “L’Unità”, per “La Stampa”, per la Rai, per il Tg5. Ha insegnato all’università negli Stati Uniti, ha fondato con Mikhail Gorbaciov il “World Political Forum”, assise internazionale permanente per riflettere sulla governance mondiale dopo la fine della guerra fredda. Soprattutto, da almeno dieci anni, è impegnato nella denuncia sulle falsisficazioni del massimo tabù nel nuovo secolo, gli attentati dell’11 Settembre frettolosamente attribuiti a Bin Laden, già plenipotenziario della Cia in Afghanistan prima di diventare “lo sceicco del terrore”, capace di accendere la miccia da cui sono scaturite tutte le guerre degli ultimi anni, a cominciare dall’Afghanistan e dall’Iraq. Di tutti gli opinion leader più in vista, forti del loro riconosciuto prestigio personale – scrisse tempo fa un osservatore scomodo e intransigente come Paolo Barnard – Giulietto Chiesa è l’unico che sia stato capace di rinunciare davvero a tutte le comodità del suo rango pur di continuare a impegnarsi, senza compromessi, per lo smascheramento delle menzogne ufficiali.«Se ci fosse un’informazione decente in questo paese, non avrei pensato a fondare “Pandora Tv”», replica oggi Chiesa. Che accusa: sull’Ucraina, i media mainstream hanno oscurato la notizia principale, all’inizio della crisi, e cioè «non ha mostrato le immagini dei poliziotti di Maidan bruciati dai pacifici dimostranti nazisti armati di lanciafiamme». Al “Fatto”, Giulietto Chiesa risponde così: «Fornite le notizie, non censuratele». In altre parole: meglio la voce di “Rt” che le “veline” di John Kerry. Sempre più spesso, oggi, si invertono gli schemi: increscioso, per Barbara Spinelli, che a dare asilo a Edward Snowden non sia stata la civile Europa, colpita dal Datagate persino con lo spionaggio ai danni del telefono personale di Angela Merkel. Snowden, cui dobbiamo la verità sulle intercettazioni di massa della Nsa, ha ottenuto rifugio solo presso Vladimir Putin.Giulietto Chiesa si dichiara stupito che questo attacco «personale, diretto, insultante» non provenga da “Repubblica” o dal “Corriere”, ma dal “Fatto”. Giovanni Miotto, un abbonato del giornale di Padellaro, Gomez e Travaglio, protesta pubblicamente, dando ragione a Chiesa: «Nelle pagine del “Fatto” dedicate agli esteri, da mesi ormai regna la disinformazione». Miotto riferisce di aver appena scritto «una mail di protesta» alla direzione del giornale, lamentandosi «dell’insostenibile livello di quanto pubblicato sull’Ucraina». Quanto a “Russia Today” – che “Pandora” riprende in italiano, via web – ha semplicemente raccontato i fatti, sottraendosi alla censura occidentale organizzata proprio da Kerry. «Dire che siamo dei “velinari di Rt” è semplicemente un insulto: e si ricorre all’insulto quando non si hanno argomenti», aggiunge Chiesa, presentato dal “Fatto” come una sorta di “dipendente” di Putin. «Qui ci sarebbero gli estremi per una querela, ma non voglio aspettare dieci anni per avere ragione: la ragione è già tutta nella mia storia professionale di corrispondente e di scrittore, non ho bisogno di altro». Il primo a calunniarlo, accusandolo di «essere stato pagato dal Kgb», fu Bettino Craxi, poi condannato per diffamazione.«Giulietto Chiesa mente», scrisse tanti anni fa l’agenzia Tass, quando al Cremlino c’era Breznev, che evidentemente non gradiva l’indipendenza del corrispondente italiano. Oggi, nel 2014, lo stesso Chiesa viene definito «più zarista di Putin». Da chi? Dal “Fatto Quotidiano”, che per colpire l’autore de “La guerra infinita” il 26 aprile ospita un insolito corsivo «non firmato, quindi redazionale», che per Chiesa è «un attacco in perfetto stile maccartista, proprio da caccia alle streghe». L’imputazione: passare, su “Pandora Tv”, «le veline di “Russia Today”, il network mediatico del Cremlino», arrivando a sostenere che l’Est dell’Ucraina sia abitato da “russi”. «Se lo sentisse Putin, lo licenzierebbe», scrive il “Fatto”. Replica Chiesa: «Chi scrive non sa, evidentemente, che in Ucraina ci sono all’incirca dieci milioni di russi», cioè cittadini ucraini di etnia russa che «non si fidano dei gestori provvisori di Kiev». E attenzione: «Non sono solo russi, quelli che si difendono contro la giunta militare golpista di Kiev: ci sono anche molti ucraini non russi».
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Yes, we scan: così gli artisti puniscono lo spione Obama
La notte dell’8 luglio un fascio di luce ha attraversato Berlino, proiettando a caratteri cubitali su una facciata dell’ambasciata americana la scritta “United Stasi of America” e il volto dell’attivista web, nonché icona hacker, già magnate del sito di file sharing Megaupload e ora proprietario di Mega, Kim Dotcom, al secolo Kim Schmitz, un tedesco di Kiel che oggi vive in Nuova Zelanda. A Berlino, la notte dell’8 luglio, c’era il light artist tedesco Oliver Bienkowski, nato nel 1982 a Kassel, famoso per i suoi giochi di luce, in particolare con raggi laser, come quelli contro la Porta di Brandeburgo per la Dresdner Bank, il palazzo della società immobiliare Hypo Real Estate, le statue di Lipsia, i parchi, i ponti e gli antichi palazzi di Kassel, l’arcobaleno di luci sul ponte di Düsseldorf, le Torri Bismarck.
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Canfora: governati da lontano, come i satelliti dell’Urss
L’Italia di oggi è governata da lontano. Non abbiamo una politica estera nostra, non abbiamo il potere di decidere sui destini della nostra economia, non possiamo neanche decidere il bilancio dello Stato perché esso è stato già stabilito quando Monti ha firmato quegli impegni all’inizio del suo governo. Si potrebbe dire che siamo un paese a sovranità controllata, come si diceva dei paesi-satellite dell’Urss ai tempi di Breznev. Solo che in quel caso si trattava di un’élite sclerotizzata, quasi monumentalizzata, immobile. Le nostre élite sono più duttili. Nel caso italiano, tuttavia, c’è una contraddizione latente tra le potenzialità, anche economiche e tecnologiche, del nostro paese, e la condizione di minorità politica alla quale siamo ridotti. Il governo Letta? È il tappabuchi di una situazione che deve ancora maturare, e che trascende le persone attualmente al governo.
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Spieghiamo a questi cialtroni che non finiremo come Atene
Ma quante belle notizie, madama Dorè. Bisogna dire la verità: quel Berlusconi era davvero un po’ sovietico, a pensarci bene; la sua réclame era ossessiva ma anche un po’ arcigna, qualcosa di simile alla propaganda dei tempi brezneviani – era soltanto un pochino allietata, come ricordiamo, dalle scollature delle veline e dai pizzi delle mutandine quasi inesistenti. Invece Mario Monti, bisogna ammetterlo, quale altro stile! Ha il fascino della seduzione casta, hollywoodiana, anni ’50. I principali giornali italiani, abbagliati dall’aplomb britannico del nostro nuovo premier, balbettano tutti le stesse cose. Nessuno nota, per esempio, che l’Italia è stata venduta a Bruxelles, con destrezza – venduta alle banche europee, per i prossimi vent’anni. Solo che invece di incassare, cosa che di solito si fa quando si vende, noi dovremo pagare.
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Suicidio Lega, salviamo il piccolo Breznev della Padania
Basta con l’invasione! Con questa crisi economica non si può accogliere tutti! Vengono qui e pretendono di comandare. Si insediano nelle nostre belle città del nord. Hanno persino diritto alle case popolari, certe volte; li curiamo nei nostri ospedali senza nemmeno chiedere da dove vengono. Insomma, se proprio vogliamo essere compassionevoli, diciamolo una volta per tutte: i leghisti, aiutiamoli a casa loro! A Varese, a Monza, ad Adro. Gli paracadutiamo dei viveri, magari gli spediamo qualche libro, ma che stiano lì, nelle loro amate valli, a mangiare gli orsi, a far finta di fare il ministro: una targa in ottone e sono tutti contenti.