Archivio del Tag ‘long-seller’
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Magaldi: massoni in guerra, ma per vincere serve il popolo
La guerra dei poveri, la chiamò Nuto Revelli. E i poveri erano gli alpini in Russia con le suole di cartone, i partigiani in armi dopo l’8 settembre, i montanari che li nutrivano con pane duro e castagne. Un memoriale-capolavoro, quello uscito per Einaudi nel 1962, in cui Revelli racconta in modo magistrale la vertiginosa trasformazione di un intero paese, grazie allo choc collettivo della catastrofe bellica. Metamorfosi che investe lo stesso protagonista: da ufficiale fascista, imbevuto di retorica militarista, a comandante della Resistenza, nelle brigate “Giustizia e Libertà”. Il brusco risveglio, nel 1943, è propiziato dallo sfacelo delle forze armate allo sbando, il 25 luglio. Un anno dopo, quando gli Alleati sbarcheranno in Provenza, una divisione corazzata della Wehrmacht si muoverà dal Cuneese per affrontarli. Nuto Revelli e i suoi riusciranno a rallentare i panzer per dieci giorni, inchiodandoli tra le gole della valle Stura, permettendo così agli americani di conquistare le alture di Nizza. Finita la battaglia, il comandante vorrebbe marciare verso la Liguria. Ma gli uomini glielo impediscono, vogliono svalicare in Francia. E la spuntano: votando, per alzata di mano. Democrazia, in alta montagna, dopo vent’anni di adunate nere: il riscatto della coscienza. Ma non è mai gratis, la libertà. Lo ripete anche oggi chi combatte un’altra guerra, sotterranea ma non troppo, tra le fila della cosiddetta massoneria progressista.
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Magaldi: è stato il libro ‘Massoni’ a far dimettere Napolitano
Pensateci: chi meglio di Mario Draghi, per smontare il rigore eurocratico? Se fosse sinceramente pentito dei suoi trent’anni di neoliberismo privatizzatore, e ora orientato da una visione neoaristocratica della politica, l’ex presidente della Bce potrebbe fare molto, per l’Italia, se ad esempio fosse eletto presidente della Repubblica dopo Mattarella. Gioele Magaldi, frontman italiano del circuito massonico progressista mondiale, conferma: insieme a Christine Lagarde, che ora ne ha ereditato la poltrona al vertice dell’Eurotower, lo stesso Draghi ha bussato alle porte della massoneria rivale, promotrice dei diritti sociali e ostile al rigore Ue. Tradotto: lui e la Lagarde offrirebbero la loro piena collaborazione per cominciare a rimediare ai disastri che l’élite oligarchica (di cui sono stati leader) ha finora combinato, mettendo alla frusta gli Stati e creando a tavolino una crisi che sembra senza vie d’uscita. L’altra notizia – che Magaldi affida a una video-chat con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è che fu proprio lui, con il libro “Massoni” edito da Chiarelettere a fine 2014, a costringere alle dimissioni Giorgio Napolitano all’inizio del 2015, avendone svelato l’imbarazzante cifra massonica occulta e il ruolo di vettore strategico di nefasti poteri extra-italiani.Napolitano, dice Magaldi, «si è dovuto dimettere in seguito all’uscita del mio libro», un besteller (e long-seller, tuttora vendutissimo) preceduto da decine di migliaia di prenotazioni, prima ancora del debutto in libreria. Magaldi ha fondato il Movimento Roosevelt, entità metapartitica trasversale creata per rianimare in senso democratico la politica italiana, sclerotizzata nell’apparente opposizione destra-sinistra (a valle dell’obbedienza trentennale ai poteri forti dell’oligarchia europea). Già inziato alla superloggia “Thomas Paine” e ora gran maestro del Grande Oriente Democratico, lo stesso Magaldi fornisce una lettura esclusiva del back-office del vero potere, che descrive come interamente massonico, dominato da decine di superlogge apolidi e transnazionali che ispirano le scelte politiche a monte dei governi eletti. Secondo questa rappresentazione, una faglia profonda oppone le due galassie supermassoniche: da una parte la corrente progressista rooseveltiana, che detenne la leadership dell’Occidente fino alla fine dgli anni ‘60 preparandosi a lanciare verso la Casa Bianca il ticket rappresentato da Bob Kennedy e Martin Luther King, e dall’altra il filone neo-conservatore che avrebbe messo in campo politici come Reagan e Thatcher, per arrivare fino all’estremismo “terroristico” del clan Bush.Obiettivo della regia supermassonica del neoliberismo: demolire il welfare e la mobilità sociale, in nome dei dogmi economico-filosofici di Milton Friedman, Robert Nozick e Friedriech von Hayek, figli di una concezione neo-feudale della società. Di qui la politica post-democratica dell’ordoliberismo Ue: predisporre la scarsità artificiosa della moneta, sostanzialmente “privatizzata”, per ricattare gli Stati (leggasi spread) togliendo loro sovranità democratica e capacità di spesa, a esclusivo vantaggio della grande finanza speculativa. I rottami di questa lunghissima stagione, aperta in Italia dallo storico divorzio fra Tesoro e Bankitalia (retta allora dal massone Ciampi), sono sotto i nostri occhi. Il dramma dell’Ilva non è che l’ultimo capitolo di una tragedia a puntate, avviata dallo smembramento dell’Iri affidato a Romano Prodi (che Magaldi definisce “globalizzatore in grembiulino”). Sintomatico l’episodio del Britannia, 2 giugno ‘92, col massone Draghi raccontato come grande protagonista occulto della presunta cospirazione finanziaria anglosassone per la svendita del paese. «Più che le suggestioni complottistiche – avverte Magaldi – pesano i lunghi anni in cui Draghi, da direttore generale del Tesoro, agevolò le disastrose privatizzazioni all’italiana che minarono il futuro del paese».Qualche anno dopo, Massimo D’Alema (per Magaldi, altro supermassone neoaristocratico) si vantò di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni. Ma D’Alema non era un leader della sinistra? Se è per questo lo erano anche Bill Clinton, Tony Blair e Gerhard Schroeder, fautori della “terza via” teorizzata dall’inglese Anthony Giddens come formula a metà strada tra capitalismo e socialismo. In realtà, i “terzisti” erano arruolati nella supermassoneria reazionaria – e tra questi anche Napolitano, iniziato alla superloggia “Three Eyes”, quella di Kissinger, Rockefeller e Brzezinski. Un uomo di cui Magaldi offre un ritratto piuttosto ruvido: «Negli anni ‘50, il comunista Napolitano era stalinista e difese la repressione sovietica della rivolta ungherese, e ancora negli anni ‘70 era un ostinato avversario della prospettiva europeista». Cambiò idea su tutto, capovolgendo le sue posizioni politiche: «Nel 2011, insieme a Draghi, predispose il “golpe bianco” di Mario Monti, eseguendo le direttive della supermassoneria oligarchia e post-democratica europea». Oggi tocca a Draghi cambiare bandiera, stavolta in direzione opposta?C’è chi lo indica candidato al Quirinale addirittura dalla Lega, in cambio del suo appoggio a un eventuale governo Salvini, qualora il Conte-bis saltasse per aria nei prossimi mesi. In molti diffidano del super-banchiere, solo ieri osannato dai peggiori esponenti dell’euro-sistema, Macron e Merkel in testa. Da parte sua, Magaldi ribalta il ragionamento: proprio per il prestigio di cui Super-Mario gode, da Bruxelles a Berlino, chi potrebbe smentire altrettanto autorevolmente i suoi ex sodali? Del resto, far passare dalla tua parte un generale nemico può essere il modo migliore per vincere una guerra. Non c’è bisogno di scomodare il paragone con la lotta alla mafia, dove sono stati i pentiti a svolgere un ruolo decisivo. Proprio la compravendita di colonnelli è lo sport nel quale ha primeggiato il fronte neoliberista, reclutando leader della sinistra e dirigenti sindacali. Era una prescrizione del geniale memorandum scritto nel 1971 da Lewis Powell: “comprare” i capi della sinistra riformista, lasciando a loro il compito di spiegare all’elettorato che l’austerity sarebbe stata cosa buona e giusta. Nel caso di Draghi, in realtà, saremmo di fronte a un ripensamento spontaneo: si è ricordato dell’antico insegnamento progressista del maestro Federico Caffè? In ogni caso, Magaldi è ottimista: gli oligarchi dell’euro-sistema, dice, hanno capito perfettamente che la loro “teologia” del rigore non potrà durare, viste le sofferenze sociali che sta infliggendo ai popoli europei.Pensateci: chi meglio di Mario Draghi, per smontare il rigore eurocratico? Se fosse sinceramente pentito dei suoi trent’anni di neoliberismo privatizzatore, e non più orientato da una visione neoaristocratica della politica, l’ex presidente della Bce potrebbe fare molto, per l’Italia, specie nel caso in cui, ad esempio, fosse eletto al Colle dopo Mattarella. Gioele Magaldi, frontman italiano del circuito massonico progressista mondiale, conferma: insieme a Christine Lagarde, che ora ne ha ereditato la poltrona al vertice dell’Eurotower, lo stesso Draghi ha bussato alle porte della massoneria rivale, promotrice dei diritti sociali e ostile al rigore Ue. Tradotto: lui e la Lagarde offrirebbero la loro piena collaborazione per cominciare a rimediare ai disastri che l’élite oligarchica (di cui sono stati leader) ha finora combinato, mettendo alla frusta gli Stati e creando a tavolino una crisi che sembra senza vie d’uscita. L’altra notizia – che Magaldi affida a una video-chat su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights” – è che fu proprio lui, con il libro “Massoni” edito da Chiarelettere a fine 2014, a costringere alle dimissioni Giorgio Napolitano all’inizio del 2015, avendone svelato l’imbarazzante cifra massonica occulta e il ruolo di vettore strategico di nefasti poteri extra-italiani.
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Barnard: getto la spugna, non posso più essere giornalista
Io ero giornalista quando potevo fare quello che vedete in foto. Era un altro universo, secolo, epoca, oggi scomparsi per me. C’è un mio video che è circolato molto e in cui lascio una specie di “testamento”, indicato nel mio recente articolo sui metodi ‘fai-da-te’ di procurarsi eutanasia quando il morire ci riduce il fine-vita a un insulto alla dignità e ad un’agonia per nulla, mentre né medici né familiari sanno o possono aiutarci a spegnerci degnamente. Il video si conclude con un addio ai lettori, nel mio rammarico di non aver potuto fare di più come giornalista (si legga però l’ultimo paragrafo). Per coloro che non si danno pace su come sia possibile che un Paolo Barnard getti la spugna del giornalismo, a prescindere da ciò che mi accade nella vita privata, è mio dovere ripetere, molto più in sintesi, ciò che già scrissi mesi fa. Eccovelo, e un abbraccio a tutti. Non mi è più possibile essere giornalista. In primo luogo il mio lavoro è stato devastato dal Facebook-journalism e dal Twitter-journalism, due tumori del mestiere che ricadono sotto l’ombrello del Google-journalism, o peggio persino, col Netflix-journalism.Oggi chiunque dal pc può infarcirsi di Google search, poi sparare ‘giornalismo’ nel web, Social o persino sui quotidiani online e reclamare, buffonescamente, competenza e celebrità. Il risultato è un’iperinflazione da Weimar di grotteschi personaggi auto proclamatisi giornalisti o commentatori, cioè tizi che eruttano masse di ‘factoids’ sparati ogni ora e 24/7, in un impazzimento fuori controllo. Tragicamente, hanno masse crescenti di pubblico stolto al seguito, che a ogni ‘factoid’ proclama “ecco la verità!”. Fra l’altro è proprio questo pubblico che ha preteso che il giornalismo diventasse intrattenimento istantaneo a portata di click o smart phone 24/7 come Netflix. Notatelo: ho appena scritto che i nuovi giornalistoidi dilaganti del Google-Netflix-journalism eruttano fattoidi sparati ogni ora 24/7, ma lo fanno perché è la gente che oggi chiede maniacalmente la news o il commento dopo pochi minuti da qualsiasi fatto accaduto, esattamente come oggi pretende eruzioni continue di serial e film su Netflix (+ altri) e guai se ogni giorno non ci sono, o esattamente come stanno incollati ai messaggi o ai like sui loro social 24/7.Ma che cazzo di frenesia è questa? Questo non sarà mai giornalismo. E’ una pietosa deformazione cerebrale molto ben conosciuta, ha un nome: “Short term, dopamine driven, feedback loops”. Si tratta di una forma di tossicodipendenza dal web studiata a tavolino nei laboratori di Facebook (et al.) dal 2004 in poi. Gli “Short term, dopamine driven, feedback loops” viaggiano sulla gratificazione immediata (dopamine driven) delle risposte (feedback da like, commenti, o appunto articoli) che diventa una tossicodipendenza (loops). Applicata al mio mestiere, ha significato letteralmente la fine del mio mestiere. Io nacqui come giornalista e reporter negli anni ’80, mi consolidai negli anni ’90 a “Report”, e nella mia vita ho prodotto vero giornalismo. Cos’è il giornalismo? Necessita di un editore in primo luogo, radio Tv o stampa; il giornalista deve essere pagato; il giornalista deve avere i mezzi finanziari per viaggiare, indagare, e attendere se necessario. Queste sono le tre basi elementari e indispensabili per qualsiasi tipo di giornalismo. Il resto è una truffa.Il mio maggior libro, che fu il Longest-Seller e il Best-Seller della collana Rizzoli che lo pubblicò (in foto), richiese 4 mesi di viaggi, quasi 25.000 euro di spese vive, e quasi un anno per la pubblicazione. Le mie inchieste Rai erano lavori maniacalmente rifiniti nel controllo dei fatti, delle fonti, e anche lì occorse tempo e denaro. Idem per il mio impegno in economia. Quello era il giornalismo di Paolo Barnard, per un vero pubblico. Da anni ormai quelle tre condizioni indispensabili mi sono pervicacemente negate, e l’ostracismo degli editori contro di me ha raggiunto una tale pervicacia che non ho più speranza di lavorare. Esprimermi su un Social (demenziale come tutti i Social), o su un sito che è divenuto un Cult per una setta nazionale di miei fans, non è fare giornalismo. Sottolineo che una setta di fans non muove nulla, e infatti, da quando si sono raccolti attorno a me, da essi non è partito assolutamente nulla di concreto e utile nel paese.Inutile che continuino a scrivermi “non mollare!”, cosa che fanno perché, da drogati di “Short term, dopamine driven, feedback loops”, pretendono il loro Barnard quotidiano, mica perché poi si danno da fare per cambiare un cazzo nel paese, come appena scritto sopra. Ripeto: senza i sopraccitati fondamentali mezzi, anch’io finirei col truffare i lettori con fattoidi da Google-journalism, e sono sincero: negli ultimi tempi ci stavo cascando. Stop. Poi c’è sempre lui, l’immortale lui: il fatto che gli italiani sono una razza aliena nel pianeta, qui è inutile tentare qualsiasi cosa, tutto viene deformato in parrocchiette e mafie, e va in vacca. Tutto, io ci ho lasciato una vita, e per niente. Partimmo da “viva il Duce” e ci siamo tornati un secolo dopo, unici al mondo nella partenza e nell’arrivo. Che pena. Ridursi al crowdfunding è inaccettabile. Il giornalista non può essere una ‘one man band’ dove con una mano suoni la chitarra, con l’altra la batteria, col piede sinistro stai in piedi e col destro tieni in bilico il cappello per l’elemosina.In quelle stupide condizioni è impossibile produrre nulla di valido, e infatti un’analisi profonda persino dei maggiori esempi internazionali (“Democracy Now!”, “The Intercept”…) mostra lavori instabili e fallati, ma peggio: costretti alla partigianeria per compiacere i donatori, che se no se ne vanno. Di nuovo: questo non sarà mai giornalismo, il giornalismo vero deve poter pubblicare senza preoccuparsi di compiacere chi lo legge. Quindi basta. Così come sono fautore dell’eutanasia, anche fatta in casa, quando la vita diventa indegna di essere vissuta, allo stesso modo sono fautore dell’eutanasia della professione quando diventa indegna di essere praticata. Quindi mi ritiro. Nel mio giornalismo ho vinto alcune medaglie d’oro, la biografia che trovate in questo sito le elenca, ho corso da ‘campione’. Se ci pensate con oculatezza, i ‘campioni’ a cui nella vita fu concesso di vincere medaglie di continuo fino a un minuto prima di spirare sono rari come mosche bianche, quindi rimango più che contento di aver svettato almeno qualche volta, non poche, e non è poco. Poi vi rivelo una cosa: tutto finisce.(Paolo Barnard, “Non posso più essere giornalista”, dal blog di Barnard del 25 maggio 2019).Io ero giornalista quando potevo fare quello che vedete in foto. Era un altro universo, secolo, epoca, oggi scomparsi per me. C’è un mio video che è circolato molto e in cui lascio una specie di “testamento”, indicato nel mio recente articolo sui metodi ‘fai-da-te’ di procurarsi eutanasia quando il morire ci riduce il fine-vita a un insulto alla dignità e ad un’agonia per nulla, mentre né medici né familiari sanno o possono aiutarci a spegnerci degnamente. Il video si conclude con un addio ai lettori, nel mio rammarico di non aver potuto fare di più come giornalista (si legga però l’ultimo paragrafo). Per coloro che non si danno pace su come sia possibile che un Paolo Barnard getti la spugna del giornalismo, a prescindere da ciò che mi accade nella vita privata, è mio dovere ripetere, molto più in sintesi, ciò che già scrissi mesi fa. Eccovelo, e un abbraccio a tutti. Non mi è più possibile essere giornalista. In primo luogo il mio lavoro è stato devastato dal Facebook-journalism e dal Twitter-journalism, due tumori del mestiere che ricadono sotto l’ombrello del Google-journalism, o peggio persino, col Netflix-journalism.
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Shantaram, il potere criminale dietro le guerre
Nel suo travolgente bestseller scritto in carcere, “Shantaram”, l’australiano Gregory David Roberts traccia il mirabile affresco di una megalopoli indiana come Mumbai, brulicante crocevia di traffici, ricchezze miliardarie e autentica disperazione. Figura chiave del monumentale romanzo autobiografico, i cui diritti cinematografici sono stati acquistati da Johhny Depp per il kolossal che uscirà nel 2011, è l’ambiguo e affascinante boss criminale Abdel Khader Khan, padrino-filosofo onnipotente e dai tratti quasi ascetici, che deriva il suo carisma da origini che affondano nel più tormentato e insanguinato dei paesi asiatici: l’Afghanistan.