Archivio del Tag ‘Luigi Di Maio’
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Pieni poteri a Grillo: l’uomo del Britannia ha in mano l’Italia
Beppe Grillo era sul Britannia, il 2 giugno 1993, insieme a Mario Draghi e a tutti gli altri uomini del Deep State italiano, reclutati dalla finanza globalista per spennare il Belpaese. Lo afferma l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, saggista e massone progressista, acuto osservatore dei retroscena italici. Moviola storica: cade il Muro di Berlino, i partiti della Prima Repubblica diventano inutili come diga contro l’Urss e quindi vengono rasi al suolo dai giudici di Mani Pulite, che – dopo cinquant’anni – si accorgono che la corruzione domina la politica nazionale. Cadono Craxi e Andreotti, ma si risparmia il Pci-Pds, incaricato di ereditare il potere nella colonia-Italia. A inceppare il piano, l’anno seguente irrompe Berlusconi (variante classica del neoliberismo puro, visto da destra). Un anno prima, invece, a condurre il gioco è ancora l’ex sinistra, da integrare nell’establishment attraverso notabili e tecnocrati, a patto che ammaini tutte le bandiere della sinistra storica, le battaglie per i diritti sociali. Mario Draghi, di formazione keynesiana, è l’uomo giusto al momento giusto, ma anche nel posto giusto (la direzione del Tesoro, da cui gestirà le turbo-privatizzazioni all’italiana che metteranno in croce il paese, svenduto a Francia e Germania). L’altro partner si chiama Romano Prodi, in quota alla sinistra Dc, incaricato di smantellare l’Iri, cioè il complesso industriale (pubblico) più grande d’Europa. Oggi, Prodi e Draghi sono i due maggiori candidati a succedere a Mattarella. E il possibile king-maker, dietro le quinte, è proprio il finto outsider Beppe Grillo.
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Peggio del patto degli zombie, la fanta-sinistra di Bersani
Da una parte «il finto segretario del partito di Renzi», dall’altra il fantasma del movimento di protesta che nel 2018 sfiorò il 33% e ora sarebbe ridotto al 10% dei consensi, secondo i sondaggi evocati da Vittorio Sgarbi. Più che imbarazzanti le manovre per tentare di dar vita al governo-zombie, tra le voci sulla regia occulta di Prodi (che spera di arrivare al Quirinale dopo Mattarella), i ventilanti “sconti-flessibilità” dell’ignobile Ue e le navi delle Ong improvvisamente dirottate su Malta, ora che non c’è più Salvini da “speronare”. Mentre metà dei grillini manifestano orrore per l’inciucio, Sgarbi sintetizza: non solo si cerca di mettere al governo chi ha perso le elezioni lasciando fuori chi le ha vinte, cioè la Lega, «che oggi veleggia attorno al 40%». Peggio: i notai del possibile patto di potere, sostenuto solo dal terrore di perdere le poltrone che anima i parlamentari Pd e 5 Stelle, sono Zingaretti (che non controlla deputati e senatori, largamente renziani) e l’altrettanto inconsistente Di Maio, sorretto da Grillo ma ormai isolato da Fico, Di Battista e dalla base grillina, che ormai invoca – con Casaleggio – il ricorso alla consultazione interna per respingere in extremis l’accordo-vergogna che metterebbe fine, per sempre, all’illusione ottica e politica del grillismo. In questo sfacelo, si può fare di peggio? Ci prova, mestamente, Pierluigi Bersani.Ospite di Luca Telese e David Parenzo a “In Onda” su La7, l’ex segretario del Pd (defenestrato da Renzi all’indomani della “non vittoria” del 2013) riesce a trasformare in capolavoro surrealista lo sconcio della trattativa per il Conte-bis, che – come ricorda Nicola Porro – rischierebbe di «portare il Pd al governo per la quarta volta, in 6 anni, senza elettori». In mezz’ora di puro delirio politologico, Bersani – senza mai venir meno al suo stile casereccio, onestamente simpatico – racconta un’Italia che esiste solo nella sua fantasia: un paese imbranato e sfortunato, pasticcione, unico responsabile del caos nel quale si trova. La sola analisi che Bersani fornisce è la seguente: gli elettorati del Pd e dei 5 Stelle sono contigui, per questo il Pd ha commesso un errore storico nel demonizzare i grillini, come se il centrosinistra – peraltro – fosse immacolato, figlio di una storia esemplare. Non è lecito dubitare della sincerità di Bersani, e in questo sta la vera tragedia: perché l’ex capo della “ditta”, infatti, sembra ignorare del tutto l’esistenza del vincolo esterno chiamato Unione Europea, la camicia di forza post-democratica che impedisce, nei fatti, qualsiasi politica espansiva. Rompere il guscio (come chiede Salvini) sarebbe l’unica possibilità per ottenere politiche diverse, anche sociali, come quelle che invoca Bersani. Ma l’ex leader del Pd sembra non rendersene conto: e siamo nel 2019.Bersani militarizzò il Pd come una caserma, suicidando qualsiasi residuo della parola “sinistra” nell’imporre il sostegno al governo nazi-liberista di Mario Monti, fino al sacrificio supremo inflitto alla nazione, senza anestesia: iper-tassazione, legge Fornero sulle pensioni, Fiscal Compact e pareggio di bilancio in Costituzione. Nerl giro di pochi mesi, l’Italia perse il 25% del suo potenziale economico. Corollario: l’esplosione della disoccupazione. Non ha imparato niente, Bersani? Pare di no: oggi infatti rimprovera al governo gialloverde di aver potuto agire, laddove è riuscito a combinare qualcosa, solo grazie al denaro racimolato coi mini-condoni e con il ricorso al deficit. E dove lo andrebbe a recuperare, Bersani, il denaro necessario a finanziare politiche “di sinistra”? Semplice: instaurando una tassazione più progressiva e scatenando una lotta epocale contro l’evasione fiscale – cioè, ancora una volta: a valle del problema che affossa l’Italia, ovvero il bullismo degli oligarchi Ue. Un tempo, proprio la sinistra combatteva per il welfare, saggiamente sostenuto dal deficit. La stessa sinistra s’è rimangiata tutto, comprata a peso dall’establishment. Bersani evidentemente non c’è stato bisogno di comprarlo: esegue volontariamente i diktat dell’establishment finanziario, e lo fa orgogliosamete “da sinistra”, come se l’Unione Europea nemmeno esistesse. Uno spettacolo sconcertante e preoccupante: quand’anche la storia togliesse di mezzo i Conte, i Di Maio e gli Zingaretti, resterebbero tra i piedi i Bersani (e i Prodi) a raccontare agli italiani, ancora una volta, il contrario della verità.Da una parte «il finto segretario del partito di Renzi», dall’altra il fantasma del movimento di protesta che nel 2018 sfiorò il 33% e ora sarebbe ridotto al 10% dei consensi, secondo i sondaggi evocati da Vittorio Sgarbi. Più che imbarazzanti le manovre per tentare di dar vita al governo-zombie, tra le voci sulla regia occulta di Prodi (che spera di arrivare al Quirinale dopo Mattarella), i ventilanti “sconti-flessibilità” dell’ignobile Ue e le navi delle Ong improvvisamente dirottate su Malta, ora che non c’è più Salvini da “speronare”. Mentre metà dei grillini manifestano orrore per l’inciucio, Sgarbi sintetizza: non solo si cerca di mettere al governo chi ha perso le elezioni lasciando fuori chi le ha vinte, cioè la Lega, «che oggi veleggia attorno al 40%». Peggio: i notai del possibile patto di potere, sostenuto solo dal terrore di perdere le poltrone che anima i parlamentari Pd e 5 Stelle, sono Zingaretti (che non controlla deputati e senatori, largamente renziani) e l’altrettanto inconsistente Di Maio, sorretto da Grillo ma ormai isolato da Fico, Di Battista e dalla base grillina, che ormai invoca – con Casaleggio – il ricorso alla consultazione interna per respingere in extremis l’accordo-vergogna che metterebbe fine, per sempre, all’illusione ottica e politica del grillismo. In questo sfacelo, si può fare di peggio? Ci prova, mestamente, Pierluigi Bersani.
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Renzi-2, il ritorno: Italia ko, oscurati Zingaretti e i 5 Stelle
Tutto sembra ormai predisposto per il lancio del nuovo governo M5S-Pd-Leu e gruppi misti di varia natura. Un governo di legislatura, con 5 “pilastri” che non sono quelli della fede islamica ma quelli annunciati da Zingaretti perché il partito democratico torni ad occuparsi della cosa pubblica, salvando al tempo stesso il lauto stipendio di tanti parlamentari. Si sostanziano delle solite dichiarazioni di principio e hanno per tema, rispettivamente: la ricollocazione piena e senza riserve dell’Italia in Europa (leggi: ritorno servile sotto Eurogermania), il pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa (leggi: nessuna concessione a istanze di democrazia diretta, care ai pentastellati), lo sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale (leggi: niente che significhi qualcosa di serio), la discontinuità nella politica sull’immigrazione (leggi: tutti potranno tornare a sbarcare sui lidi del Belpaese), le ricette economico-sociali per ridistribuire la ricchezza e avviare gli investimenti produttivi (leggi: la solita patrimoniale sugli immobili e un programma generico che presuppone tempi diversi e/o provvedimenti forse in contraddizione tra di loro, come potrebbero esserlo il salario minimo e la contemporanea crescita produttiva delle imprese).Indisponibile, invece, il segretario del Pd ad un governo istituzionale o comunque di breve durata come suggeriva Renzi. E del resto, Zingaretti avrebbe preferito andare direttamente al voto per una serie di motivi abbastanza comprensibili: disfarsi della massiccia rappresentanza parlamentare controllata da Renzi e recuperare una buona parte dei voti perduti nelle precedenti elezioni a vantaggio dei Cinquestelle. Bisogna tuttavia tener conto non solo di Renzi, ma di Franceschini, Delrio, Gentiloni, Orlando etc… e anche, naturalmente, di Mattarella; e allora, nella ritrovata, apparente unità del partito, il segretario del Pd si limita a porre qualche condizione al governo con i pentastellati: che sia di legislatura e che si basi sui 5 pilastri, che prefiguri una lunga e fruttuosa intesa politica tra le due forze (leggi: accordi elettorali nelle elezioni amministrative), che infine rappresenti una discontinuità con il precedente governo, nel nome del presidente del Consiglio, dei ministri più rappresentativi e soprattutto nella cancellazione di alcuni provvedimenti (leggi: quelli sulla sicurezza e non solo).Ai 5 punti “irrinunciabili” di Zingaretti, Di Maio ne affianca 10, il primo dei quali è la riduzione del numero dei parlamentari e su queste basi si vedranno oggi pomeriggio le delegazioni di Pd e M5S. Con quante possibilità di condividere i 15 punti e/o di trovare una sintesi comune? Molte, al di là delle dichiarazioni di principio poco conciliabili ma che sembrano formulate unicamente per incantare i rispettivi elettorati. Lo scoglio più difficile da superare sembra proprio quello sulla riduzione dei parlamentari, ma il paradosso è che proprio su questo punto potrebbero essere gettate le basi per un’intesa politica di lunga durata: riduzione dei parlamentari (non 345 ma in numero minore) nel contesto di una nuova legge elettorale anti-Lega, secondo una prassi già sperimentata con il Rosatellum, concepito per far vincere il Pd con l’aiuto di Forza Italia contro il cosiddetto populismo e che invece ha avuto l’effetto di rendere possibile la maggioranza gialloverde.Sia come sia, il governo M5S-Pd-Leu che, a meno di clamorose quanto impensabili sorprese, nascerà la prossima settimana, non può essere definito un “inciucio”, perché è sostenuto da una maggioranza parlamentare altrettanto legittima di quella che ha governato il paese negli ultimi 14 mesi. Il problema semmai è un altro e riguarda la concezione della democrazia: sostenere come ha fatto Renzi nel suo discorso in Senato (altri lo hanno imitato magari fuori del Parlamento) che andare a votare significherebbe far vincere la Lega di Salvini, denuncia un atteggiamento elitario e oligarchico che nulla ha a che vedere con i principi della democrazia, rappresentativa o diretta che sia. L’intesa Pd-M5S ha molte implicazioni. Renzi controllerà di fatto il nuovo esecutivo pur non facendone parte e Zingaretti più che segretario del suo partito ne sarà il notaio, dal momento che per tenere tutti uniti sceglie l’uovo oggi piuttosto che la gallina domani.I Cinquestelle non sono da meno: evitano il dimezzamento della rappresentanza parlamentare e salvano lo stipendio per tutti gli oltre 300 tra deputati e senatori, ma nel loro orizzonte s’intravede già il grigiore dell’insignificanza che li destina ad essere una ruota di scorta del sistema. La Lega, dal canto suo, paga il momentaneo scotto di una mossa in apparenza inopportuna, incomprensibile anche per molti dei suoi, ma è forse l’unica forza a mantenere intatta la prospettiva di un cambiamento nel panorama asfittico e opportunistico della politica italiana. Cosa ha portato Salvini a fare la scelta che ha fatto? Lo si è capito in Senato, nonostante il poco lucido discorso, quando invece di ribattere punto su punto le accuse di un neodemocristiano, dalla cronaca reso eroe per un giorno – lui che i media hanno sempre irriso come un burattino nelle mani dei due vicepresidenti – il leader della Lega si è limitato a poche parole significative per spiegare il suo gesto.Frasi purtroppo non comprensibili a tutti o addirittura da iniziati, per di più inframmezzate dalla solita inguardabile ostentazione del rosario: che senso ha rimanere in un governo accanto a un movimento che ha bocciato le autonomie, che alla proposta di riforma fiscale basata su tre aliquote progressive di riduzione delle tasse (dunque neanche la Flat Tax) si sente opporre – come ingenuamente ha riferito lo stesso Nicola Morra ai giornalisti qualche ora più tardi – che non ci sono le coperture finanziarie, che si schiera ipocritamente per il NoTav, quando è lo stesso presidente del Consiglio ad approvarla, che in luogo degli investimenti produttivi propone in modo demagogico il salario minimo a imprese già sull’orlo del fallimento? Con quale faccia la Lega si sarebbe rivolta ai suoi dopo la finanziaria? Meglio perdere qualcosa oggi che perdere tutto domani! Questo il messaggio in codice di Salvini. C’erano altre strade? Può darsi. Servirsi della clausola contenuta nel contratto di governo per dirimere le contese? Presentare comunque la cosiddetta Flat Tax in Parlamento, mediare sulla legge per le autonomie, spiegare che il salario minimo viene dopo la ripresa delle aziende in crisi? Forse sì e forse no.(Sergio Magaldi, “Pd, l’uovo oggi o la gallina domani?”, da “Lo Zibaldone di Sergio Magaldi” del 23 agosto 2019).Tutto sembra ormai predisposto per il lancio del nuovo governo M5S-Pd-Leu e gruppi misti di varia natura. Un governo di legislatura, con 5 “pilastri” che non sono quelli della fede islamica ma quelli annunciati da Zingaretti perché il partito democratico torni ad occuparsi della cosa pubblica, salvando al tempo stesso il lauto stipendio di tanti parlamentari. Si sostanziano delle solite dichiarazioni di principio e hanno per tema, rispettivamente: la ricollocazione piena e senza riserve dell’Italia in Europa (leggi: ritorno servile sotto Eurogermania), il pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa (leggi: nessuna concessione a istanze di democrazia diretta, care ai pentastellati), lo sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale (leggi: niente che significhi qualcosa di serio), la discontinuità nella politica sull’immigrazione (leggi: tutti potranno tornare a sbarcare sui lidi del Belpaese), le ricette economico-sociali per ridistribuire la ricchezza e avviare gli investimenti produttivi (leggi: la solita patrimoniale sugli immobili e un programma generico che presuppone tempi diversi e/o provvedimenti forse in contraddizione tra di loro, come potrebbero esserlo il salario minimo e la contemporanea crescita produttiva delle imprese).
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Truffa 5 Stelle, il giocattolo preferito dei nemici dell’Italia
Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di ladroni”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.Per pesare lo spessore politico del loro attuale, pericolante portavoce, basta ricordare la disinvoltura con cui Luigi Di Maio nella primavera 2018 tendeva la mano indifferentemente alla Lega e al Pd, pur di far nascere un governo quale che fosse. Lo si è visto brillare puntualmente, Di Maio: prima amico dei Gilet Gialli e poi devoto ad Angela Merkel, socia della bestia nera dei Gilet Janunes, Emmanuel Macron. Una conversione folgorante, sulla via di Bruxelles, come quelle – altrettanto mistiche – sull’Ilva di Taranto, sul Tap pugliese, sulle trivelle petrolifere in Adriatico. Anticamente, i 5 Stelle blateravano di un referendum consultivo sull’euro. Poi, guidati dal loro padrone Beppe Grillo, hanno chiesto asilo a Strasburgo agli ultra-euristi dell’Alde. Mossa non riuscita al primo colpo, ma ora insaponata alla perfezione dall’operazione-Ursula: tra i nazi-euristi, oggi i 5 Stelle si sono aggregati tra gli applausi di chi l’Italia l’ha distrutta per davvero. Sono riusciti in un’impresa da record: tradire ogni tipo di promessa. Non volevano gli F-35 né l’obbligo vaccinale, ma si sono rimangiati tutto. Persino il Tav Torino-Lione è finito nella spazzatura grillina, con l’aggiunta della farsa parlamentare inscenata per recitare per l’ultima volta la commedia degli oppositori, in realtà allineati ai diktat indiscutibili del loro premier Conte e del solito padrone Grillo.Fondato nel 2009, il Movimento 5 Stelle non ha mai sentito il bisogno – in dieci anni – di confrontarsi in un regolare congresso, per misurare idee e verificare tesi e impostazioni. Ha offerto di sé uno spettacolo indecoroso, particolarmente rassicurante per il grande potere economico: una belante scolaresca al guinzaglio, al posto di quella che, nell’Europa devastata dall’austerity, doveva essere l’avanguardia di un riscatto popolare democratico. Non hanno solo tradito ogni aspettativa: hanno diserbato il terreno dove poteva crescere una protesta seria fino a tradursi in proposta concreta. Sono il giocattolo perfetto per chiunque abbia cattive intenzioni, e quindi interesse a disinnescare il dissenso, convogliandolo verso lidi innocui. Appena è comparso un concorrente – non un eroe omerico, solo il modesto Salvini – l’elettorato ex-grillino ha dato inizio all’emorragia, riconoscendo nel capo della Lega molte delle parole d’ordine del grillismo delle origini, messe in campo però con ben altra coerenza. Non appena Salvini ha accennato a contestare Bruxelles, cioè i dominatori che ci fanno la guerra da decenni, il potere ha prontamente usato i grillini per neutralizzare il potenziale disturbatore.Se si votasse oggi, dicono i sondaggi, i 5 Stelle scenderebbero attorno al 10% dei consensi. Se invece sorreggessero il governo anti-italiano al quale stanno affanosamente lavorando, per loro l’estinzione sarebbe garantita. Ma non importa, perché a questo dovevano servire: a disarmare il paese, mantenendolo debole e vulnerabile, dopo aver abilmente finto di raccogliere le migliore istanze degli italiani. Quello infatti era il pericolo: che avesse uno sbocco politico la rabbia di milioni di italiani, esasperati dalla “democratura” finanziaria gestita dall’establishment neoliberista col supporto dei collaborazionisti domestici. Più che servizievoli, i 5 Stelle hanno gareggiato in zelo con le peggiori maschere del vecchio potere italiano ed eurocratico. E ora eccoli – con Matteo Renzi – a progettare un esecutivo con un’unica missione: sabotare Salvini, cioè l’unico politico che mostri (in modo larvale, almeno) una specie di visione del futuro, avendo chiaro che lo status quo – i “signor no” della Commissione che tagliano i viveri all’Italia – può voler dire solo una cosa, e cioè crisi infinita. Gettata la maschera, contro l’Italia ora combattono a viso aperto anche i grillini, disperatamente avvinghiati ai loro seggi parlamentari: capiscono perfettamente che gli elettori, ferocemente traditi, non li perdoneranno mai.Dopo aver esibito l’intero campionario della peggior politica – la cialtroneria distintiva della Seconda Repubblica fondata sulla fuffa e sull’imbroglio del nuovismo – ora i 5 Stelle (avvinghiati alle poltrone) mettono in mostra anche il peggio della Prima, il trasformismo. Ai parlamentari grillini è severamente vietato cambiare casacca? Niente paura, basta traslocare in blocco l’intero “moVimento”, facendogli fare esattamente il contrario di quanto aveva promesso a quei fessi degli elettori. Persino l’impensabile: andare a nozze con l’odiato Renzi e la sua “banda di pidioti”, quella che avrebbe “distrutto il paese”, stando sempre al soave lessico grillino. In questa corsa cieca e suicida verso l’abisso, deputati e senatori arruolati dal partito-caserma di Grillo e Casaleggio non hanno freni: sono pronti anche a tenere in ostaggio gli italiani, scongiurando le elezioni anticipate e preparandosi a sorreggere un esecutivo “istituzionale” iper-governista, barbaricamente alleato degli euro-killer come Ursula von der Leyen, non a caso giunta alla guida della Commissione Europea con il contributo determinante degli ex rivoluzionari all’amatriciana, eccitati dall’ex comico genovese e “selezionati” via web dalla rinomata piattaforma privata della Casaleggio & Associati.
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Cacciari: manovra indecente. Ma l’inciucio piace al Vaticano
«E’ una manovra indecente» l’accordo tra Movimento 5 Stelle e Pd. Massimo Cacciari, in una intervista a “Il Giorno”, stronca l’asse tra Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio: «Trovo surreale che, dopo aver sparato a palle incatenate per anni, essersi insultati, essersene dette di tutti i colori, adesso Pd e 5 Stelle cerchino accordi senza aver fatto un minimo di autocritica. Non erano dei populisti terribili? E allora perché tentare un governo assieme? Qualche passo per fare in modo che non appaia una manovra di Palazzo mi parrebbe opportuno». Non la pensa così padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, braccio destro di Papa Francesco: per il responsabile della rivista dei gesuiti, è bene che Salvini venga espulso dalla scena politica italiana. Padre Spadaro accusa il leader della Lega per «il modo di trattare la questione migratoria, le numerose manifestazioni di chiusura e di grettezza», ma anche «il discorso politico ridotto a contrapposizione tra sovranismo e cosmopolitismo», nonché «il linguaggio d’odio sdoganato, l’uso dei simboli religiosi per la propaganda». Rincara la dose, Antonio Spadaro: «Ho visto in pericolo la dignità umana e l’amicizia sociale».Bene, per Spadaro, un’alternativa di governo per evitare il voto anticipato: «Stanno percorrendo la strada giusta», dice Spadaro, pensando a Renzi e Grillo, Zingaretti e Di Maio. Il Movimento 5 Stelle «ha vissuto una stagione di smarrimento, a contatto con la macchina elettorale salviniana». Ora, con il Pd, i grillini dovranno trovare «un punto di sintesi sul quale lavorare». Rottamato l’impresentabile Conte, con quale premier nascerebbe il nuovo esecutivo anti-Salvini, posto che si evitino le elezioni anticipate? Secondo Luigi Bisignani, Mattarella vorrebbe una donna premier, «possibilmente Marta Cartabia», la vicepresidente della Corte Costuzionale «che coccola da anni», mentre il suo braccio destro al Quirinale, Ugo Zampetti, anch’esso proveniente dalla sinistra Dc e intenzionato a riportare il Pd al governo, «sta facendo carte false per spingere il suo intimo sodale, Enrico Giovannini». Stando a Bisignani, Mattarella e Zampetti lavorano per mettere in piedi un governo che duri fino alle prossime elezioni presidenziali del 2022. A quel punto, il candidato in pole position per il Quirinale sarebbe Mario Draghi? Solo Berlusconi – tramite Sallusti – lo ha lanciato nel toto-nomine per Palazzo Chigi: puntando al Colle, Draghi sa benissimo che la guida di un governo “lacrime e sangue” non sarebbe certo un buon viatico per diventare poi capo dello Stato.Intanto, l’inattesa “crisi di ferragosto” pare stia facendo male a Matteo Salvini: secondo un sondaggio Winpoll commissionato dal “Sole 24 Ore”, la Lega passerebbe dal 38,9% del 30 luglio al 33,7%, perdendo così più di cinque punti. Il Movimento 5 Stelle e il Pd di Zingaretti sarebbero in risalita, anche se nessuno dei due beneficia significativamente dell’ipotetico calo del Carroccio. In proporzione, cresce di più Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Intenzioni di voto a parte, il 41% degli elettori vorrebbe tornare al voto in autunno, come invocato da Salvini. «Questo dato nasconde però una netta differenza tra destra e sinistra», osserva Roberto D’Alimonte: «Solo il 21% degli elettori del Pd vorrebbero le urne mentre il 62% preferisce un governo con il M5S». Dall’altra parte, «l’83% degli elettori della Lega vogliono le elezioni, insieme a quelli di Fdi e di Forza Italia». Gli elettori grillini invece si collocano a tentà strada: «Solo il 22% vuole il voto in autunno, mentre il 43% preferisce un governo con il Pd. Questi ultimi non sono la maggioranza assoluta, ma non sono pochi, e fino a poche settimane fa erano molti meno», aggiunge D’Alimonte. «Sono pochissimi invece gli elettori della Lega (solo il 7%) che preferiscono tornare al governo con i 5 Stelle, e altrettanto pochi sono gli elettori M5S (16%) che vorrebbero tornare con la Lega».«E’ una manovra indecente» l’accordo tra Movimento 5 Stelle e Pd. Massimo Cacciari, in una intervista a “Il Giorno”, stronca l’asse tra Nicola Zingaretti e Luigi Di Maio: «Trovo surreale che, dopo aver sparato a palle incatenate per anni, essersi insultati, essersene dette di tutti i colori, adesso Pd e 5 Stelle cerchino accordi senza aver fatto un minimo di autocritica. Non erano dei populisti terribili? E allora perché tentare un governo assieme? Qualche passo per fare in modo che non appaia una manovra di Palazzo mi parrebbe opportuno». Non la pensa così padre Antonio Spadaro, direttore de “La Civiltà Cattolica”, braccio destro di Papa Francesco: per il responsabile della rivista dei gesuiti, è bene che Salvini venga espulso dalla scena politica italiana. Padre Spadaro accusa il leader della Lega per «il modo di trattare la questione migratoria, le numerose manifestazioni di chiusura e di grettezza», ma anche «il discorso politico ridotto a contrapposizione tra sovranismo e cosmopolitismo», nonché «il linguaggio d’odio sdoganato, l’uso dei simboli religiosi per la propaganda». Rincara la dose, Antonio Spadaro: «Ho visto in pericolo la dignità umana e l’amicizia sociale».
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Colonia Italia, l’agenda neoliberista del servizievole Di Maio
Siamo alle solite, nel vecchio usurato copione. In Italia, dal dopoguerra in poi, o c’è un governo gradito ai mondialisti e agli americani, vedi Dc e poi governi tecnici Pd, oppure c’è un governo voluto dal popolo che puntualmente viene annerito, definito “fascista”, “razzista”, con tanto di diabolizzazione del capo, vedi caso Craxi, poi Berlusconi, poi adesso Salvini. Questo copione viene snocciolato agli italiani nel frame emotivo della tifoseria da stadio dove due squadre devono assolutamente contrastarsi anche qualora avessero trovato, per miracolo, una sinergia, e agendo sulle leve della manipolazione di massa a cui si prestano i media appartenenti ai grandi gruppi, Rai compresa, che sottostà ai diktat dei gruppi di pubblicità. Ed è così che le due squadre di governo dovevano sin da prima della loro nascita mai unirsi in quei punti sovranisti, tanti, che condividevano nei programmi elettorali, insieme al programma della Meloni che, primo errore, è stata scartata sin da subito da Luigi Di Maio al momento di formare il governo.Pertanto la Meloni per tutta la durata di questo governo ha giocato al gioco di gettare olio sul fuoco della zizzania del divide et impera voluto dalla finanza internazionale, allo scopo di riformare un centrodestra – voluto da Trump e Bannon – tanto poco sovranista quanto di stampo liberista, pro-privatizzazioni, per le autonomie e le riforme costituzionali, tra cui il presidenzialismo, riforme del tutto non necessarie per il popolo italiano ma che vanno, assieme al taglio dei deputati fortemente voluto da M5S e FdI, nel senso di castrare e silenziare il Parlamento con un governo ancora più forte e per di più espresso – nel caso del presidenzialismo alla francese – da un uomo forte al comando. Ricordiamo che i punti in comune per cui alcuni sovranisti hanno voluto e votato questo governo erano, sia il reddito di cittadinanza che la Flat Tax, sia misure anticicliche keynesiane che la separazione tra banche commerciali e banche d’affari, sia la nazionalizzazione di Bankitalia che una banca pubblica per gli investimenti, sia strumenti monetari aggiuntivi, come i minibot, che la sospensione dei limiti ai contanti e nessun aumento dell’Iva, il superamento della legge Fornero e la rimessa in discussione del Fiscal Compact.Questi erano i punti in comune tra i tre partiti, che però hanno poi finito per dare la priorità a tutti gli altri punti, populisti e poco sovranisti, come le autonomie, il taglio dei deputati, oltre a una misura raffazzonata del reddito di cittadinanza, perché dalla copertura troppo corta, un non superamento della legge Fornero che ha partorito un topolino, quota cento, e per finire il regalo alla Francia: la Tav. Sin dall’inizio, dicevo, comunque il governo è nato male: con il siluramento di Savona all’economia, e l’infiltrazione nel governo di ministri come Tria, in economia, che proprio non ne ha voluto più sapere di minibot, di superamento del deficit e di Flat Tax, oltre a personaggi non politici, come Moavero agli esteri e la Trenta alla difesa che hanno spudoratamente remato contro Salvini, denunciandolo persino negli ambienti comunitari (Moavero alla Commissione) per il decreto sicurezza-bis fatto e votato giustamente per fermare le Ong con il toto-clandestini all’Italia e quell’enorme inganno chiamato “immigrazione” di (finti) “profughi”.Quindi dal punto di vista programmatico viene fuori che a partire dallo strappo sulla von der Leyen (di cui non si è capito il non detto do ut des, ma che possiamo facilmente immaginare nello scambio di favori al M5S di cariche di commissari e di altro tipo, ancora da scoprire entro ottobre quando si voteranno i commissari europei), la Lega si è vista pesantemente penalizzata a livello europeo nonostante la vittoria schiacciante elettorale – con un piddino italiano alla presidenza del Parlamento Europeo – e tanto di stigmatizzazione generale del personaggio Salvini, con la tecnica, già usata per Berlusconi e Craxi, di “character assassination”. Tecnica utilizzata per tutti quei personaggi fuori dalle righe, nel mondo, che non si adeguano al linguaggio del perbenismo ipocrita e mondialista, onde creare le condizioni presso l’opinione pubblica di un loro siluramento o assassinio quanto meno traumatizzante ed eclatante: Saddam Hussein, Gheddafi, Laurent Gbagbo, oppure Orban, Chavez, Putin, Al Assad, Fidel Castro, il presidente nord coreano, eccetera; la lista è lunghissima e la tecnica è sempre la stessa. Dopo la “character assassination” si passa ai fatti con infiltrazioni e maneggi interni i quali, se non bastano, lasciano posto all’embargo economico, di qualsiasi tipo esso sia. In Europa, essendo impossibile per via dell’unione doganale, interviene lo spread.Perché stigmatizzare Salvini? Perché Salvini negli ultimi interventi si è pronunciato contro alcune misure che l’Ue vuole assolutamente imporci, ad esempio: l’eliminazione totale e illegale dei contanti; il rafforzamento della fattura elettronica e agenda digitale indiscriminata; le privatizzazioni demaniali di cui ha parlato Conte nel suo intervento; l’obbedienza ai criteri di deficit imposti dal Fiscal Compact, del tutto ingiustificati poiché paesi come Francia, Spagna e Portogallo, ma anche Belgio continuano allegramente a sforare il 3% o ci si avvicinano. Inoltre traspare ben chiara la volontà di Salvini, dagli ultimi interventi, di alleggerire assolutamente l’onere fiscale degli italiani con la Flat Tax e di chiudere i porti, due misure imprescindibili per la ripresa del paese o per lo meno per non farlo affossare del tutto, e verso le quali il 5S è risultato più prudente. Al punto che nei 10 punti programmatici per un eventuale rimpasto di governo, Di Maio uscendo dal Colle ha completamente omesso sia la Flat Tax, sia una soluzione “porti chiusi” – senza citare il decreto sicurezza bis, votato dal suo gruppo che non poteva immediatamente rimettere in discussione – parlando in cambio di soluzioni assieme alle politiche dell’Unione Europea e la modifica del regolamento di Dublino.Ma come, non lo sanno che vi è un tacito consenso europeo e internazionale per portarli tutti da noi (e in Grecia), cioè nei due paesi presi di mira da chi ci ha denominati Piigs, ossia i mercati, come strumento per destabilizzarci e farci fallire più facilmente? Una lista di dieci punti, quella di Di Maio, che mescola appunto misure volute dall’establishment finanziario – riduzione dei parlamentari, Green Deal, conflitto di interessi Rai (quale?) per un modello Bbc, velocizzare la giustizia per pignoramenti più rapidi, autonomie e riforme enti locali – con timidissime misure sovraniste, come il salario minimo orario (più che giusto, ma senza strumenti monetari aggiuntivi e senza alleggerimento fiscale non farà che penalizzare ulteriormente micro e mini imprese) – sostegno nascite, disabilità e aiuto casa (più che giusto, ma senza dire “no alla patrimoniale” sono solo parole) – rintracciabilità dei grandi evasori (bisogna capire chi intenda per grandi evasori, la mafia nostrana che opera in contanti, scusa suprema per digitalizzarci tutti, o le grandi multinazionali i cui flussi infrasocietari devono essere resi pubblici alle nostre autorità fiscali, per cui basterebbe la volontà politica compatta?).Per ultimo, banca pubblica per gli investimenti per il Sud e separazione tra banche d’affari e banche commerciali: come vedete, questi due punti, che sono l’abc di una politica anticiclica, o keynesiana che dir si voglia, vengono in fondo alla lista; e poi, visto che 10 punti sono tanti, per un governo provvisorio, non verranno mai attuati. La tattica è sempre la stessa. Chi di noi aveva visto che nel contratto la priorità era il taglio dei deputati? Non certo i sovranisti che studiano la moneta, o chi studia gli abusi delle banche; eppure improvvisamente questo punto è andato all’ordine del giorno, perché all’agenda globalista che si intromette continuamente nei nostri affari premono più di tutto, oltre alle misure di austerità, le riforme della nostra Costituzione e dell’assetto dello Stato per andare verso un assetto costituzionale di regioni forti onde minare lo Stato centrale insieme a governi forti – presidenzialismo – e sempre meno importanza del Parlamento, già esautorato da anni, relegato al ruolo del passa carte dei decreti di governo.Il solito copione, fino a quando non metteremo la moneta al centro di un nuovo contratto sociale, sia nazionale che internazionale, non cambierà mai; ma anzi abbiamo visto che questi, alla minima burrasca dei media e dei mercati hanno smesso persino di citare la parola minibot, che – ricordiamo – era una proposta del senatore della Lega Claudio Borghi. In poche parole, il “sospettato” antieuropeismo mai sopito della Lega, oramai fugato dal M5S con molteplici dichiarazioni nel senso dell’euroadesione, oltre alla determinazione di contrastare il limite al contante, e di perseverare con la Flat Tax, il deficit al 3% e i porti chiusi hanno fatto il resto, essendo le misure più impopolari per i mercati e l’Europa loro lacché. As usual. Colonia rimane chi si comporta come tale. E noi lo rimaniamo.(Nicoletta Forcheri, “Colonia Italia, solito copione”, da “Scenari Economici” del 23 agosto 2019).Siamo alle solite, nel vecchio usurato copione. In Italia, dal dopoguerra in poi, o c’è un governo gradito ai mondialisti e agli americani, vedi Dc e poi governi tecnici Pd, oppure c’è un governo voluto dal popolo che puntualmente viene annerito, definito “fascista”, “razzista”, con tanto di diabolizzazione del capo, vedi caso Craxi, poi Berlusconi, poi adesso Salvini. Questo copione viene snocciolato agli italiani nel frame emotivo della tifoseria da stadio dove due squadre devono assolutamente contrastarsi anche qualora avessero trovato, per miracolo, una sinergia, e agendo sulle leve della manipolazione di massa a cui si prestano i media appartenenti ai grandi gruppi, Rai compresa, che sottostà ai diktat dei gruppi di pubblicità. Ed è così che le due squadre di governo dovevano sin da prima della loro nascita mai unirsi in quei punti sovranisti, tanti, che condividevano nei programmi elettorali, insieme al programma della Meloni che, primo errore, è stata scartata sin da subito da Luigi Di Maio al momento di formare il governo.
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Rottamati i 5 Stelle, l’Italia resta prigioniera del voto-contro
Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.Se i militanti grillini, almeno all’inizio, furono coinvolti in una specie di palingenesi simil-rivoluzionaria a suo tempo coraggiosa, restando poi ipnotizzati dall’inerzia della dinamica interna fatalmente scaduta nel tifo e nel furore momentaneo per questa o quella causa contingente, milioni di elettori italiani – mai arruolatisi veramente nel circo pentastellato – erano stati indotti a votare 5 Stelle quasi per disperazione, non esistendo altro modo per contestare in modo squillante l’andazzo dei governi dimezzati, proni alla grande menzogna dell’austerity eterodiretta a scapito dell’Italia. Fu comunque un consenso freddo, vigile, pieno di riserve: chi votò per i grillini nel 2013 e nel 2018 vedeva benissimo quanto fosse ambiguo, confuso e inconsistente il programma esibito da Di Maio, che – in modo fin troppo eloquente – ometteva di citare la fonte prima del male oscuro italiano, cioè l’intollerabile sudditanza (psico-politica, finanziaria, economica) rispetto alla cricca degli avventurieri dominanti, il cartello delle industrie finanziarie private che manipolano l’Ue a loro uso e consumo, in questa fase utilizzando l’élite franco-tedesca, in combutta con l’establihment tricolore, per continuare allegramente a spolpare il Balpaese dormiente.Dove mai sarebbe potuto arrivare, il piccolo Di Maio, senza neppure gli spiccioli del mini-deficit al 2,4%, per finanziare in modo decente il più che discutibile reddito di cittadinanza, sbandierato in modo demenziale come orizzonte salvifico? Per fortuna, gli elettori hanno reagito tempestivamente, revocando in modo brutale il consenso imprudentemente concesso ai 5 Stelle. Molti peraltro si sono rifugiati nel limbo più frustrante, l’astensionismo: alle europee ha votato poco più che un elettore su due. Ora quel voto d’opinione si trova a un bivio altrettanto scomodo: provare a digerire il folkloristico Salvini, l’unico a non aver ancora rinnegato le sue promesse e la sfida lanciata all’attuale governance Ue, piuttosto che arrendersi agli zombie del partito eterno della morte civile e della svendita del paese a rate, all’infinito, ai poteri che banchettano su quella che una volta era la potenza industriale italiana. Le gazzette naturalmente propongono le loro Carola Rackete, le loro Greta, evitando accuratamente di informare il pubblico pagante su quanto sta avvenendo davvero, in Italia e nel mondo. E il pubblico, a sua volta, evita – ancora e sempre – di decidersi a fare qualcosa di concreto per avere, un giorno, la possibilità di regalarsi una proposta politica da votare con convinzione, senza turarsi il naso.Basterà, a fare pulizia, l’estinzione del super-bidone a 5 Stelle che ha coperto l’Italia di ridicolo anche in Europa, passando dal sostegno ai Gilet Gialli al voto decisivo per Ursula von der Leyen? L’impressione è che quei milioni di voti (oggi a spasso, o decisi a restare a casa) confluiranno mestamente verso altre scommesse azzardate, magari meno cialtrone ma altrettanto claudicanti, spurie, non trasparenti. Prima di suicidarsi, o di fingere di farlo, Salvini, Grillo e Conte sono riusciti a intonare insieme l’antico coretto della Torino-Lione, ancora una volta – come tutti i loro predecessori (Berlusconi e Prodi, Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) – senza degnarsi di spiegare, con la dovuta trasparenza, a cosa mai servirebbe quell’immane spreco di denaro, in un paese che ha un drammatico bisogno di grandi opere utili. In questa Italia passa velocemente di moda anche la quasi-tragedia dell’obbligo vaccinale, imposto di colpo nello stesso modo: senza spiegazioni. Silenzio assoluto sull’unica istituzione che abbia brillato per dovere civico, la Regione Puglia presieduta da Michele Emiliano, la sola capace di approntare un servizio di farmacovigilanza attiva (che per inciso ha svelato come 4 bambini su 10 abbiano subito reazioni avverse alle vaccinazioni somministrate in batteria anche ai neonati).Non c’è una vicenda – una sola – che si concluda in modo coerente, a quanto pare. La rissa a reti unificate contro il feroce Salvini che sbarra l’accesso ai porti è tutto quello che ha da offrire, il mainstream, di fronte al dramma plurisecolare dell’Africa aggravato dal globalismo finanziario. Il cardinale nigeriano Francis Arinze, voce nel deserto, sfida il fronte buonista capitanato dal pontefice: com’è possibile non capire che l’emorragia di giovani condanna il continente nero? Riflesso immediato, casalingo: il derby tra gli hoolingan dell’Ong di turno e quelli del bieco ministro dell’interno. C’è chi si dispera: è accettabile che non si creino mai le condizioni per un discorso serio, oltre l’emergenza? Come gli storici ben sanno, i risvegli generalmente sono drastici e burrascosi, innescati da veri e propri cataclismi. Viceversa, la sovrastruttura amministra il grande sonno reggendo i fili del discorso pubblico in modo più che attento, reticente e depistante, scegliendo anche gli innocui galletti da combattimento da gettare sul ring, uno dopo l’altro.Per contro starebbe crescendo, si dice, una specie di foresta: è ancora silente, ma più estesa di quanto si pensi. Una quota di popolazione che va riaprendo gli occhi: oggi, forse, un altro Grillo non riuscirebbe più a prendere in giro nessuno. Ma non basta. Il popolo del cosiddetto risveglio non ha ancora un lessico pienamente condiviso, né solidi strumenti per comunicare quello che pensa. L’ipotetica, nuova antropologia in arrivo sembra dover passare necessariamente per fenomeni come il post-leghismo di Salvini, largamente indigesto ai più, ancora in cerca di approdi univoci e meno divisivi. Mancano appigli, per il momento, diffusamente percepiti come viatico per la costruzione collettiva di un universo meno inospitale, più umano, con meno urlatori e più ragionatori. Il 99% della scena è tuttora intasato di scontri, bocciature, insulti, testa a testa. Vince il “no”, a mani basse: il voto-contro. E’ perfetto per rinviare all’infinito il voto-per, quello di cui tutti avrebbero bisogno. Che fare, per vedere finalmente l’arrivo di quel giorno?(Giorgio Cattaneo, “L’Italia non s’è desta, ancora prigionera dell’inutile voto-contro”, dal blog del Movimento Roosevelt del 17 agosto 2019).Prima spariscono dai radar i 5 Stelle, meglio è per l’Italia. Che abbaglio: nel 2013 avevano rotto il sarcofago maleodorante in cui imputridivano Berlusconi, Bersani e gli altri cadaveri eccellenti della cosiddetta Seconda Repubblica. Poi, cinque anni dopo, si sono ritrovati tra le mani un trionfo difficilissimo da maneggiare, che infatti hanno affrontato nel modo peggiore. Poteva andare diversamente? Evidentemente no, vista la caratura del fragilissimo e inesperto Di Maio, a sua volta telecomandato dalla “ditta”. Sconcerta, semmai, che i grillini – mossi da un’esasperazione condivisibile, rispetto alla palude italica – si siano lasciati regolarmente dominare dai loro persuasori, occulti e non, padroni assoluti del movimento. Dissenso silenziato, espulsioni a catena, sanzioni pecuniarie per i parlamentari che cambiassero casacca. Zero confronto interno, solo diktat – annacquati, per finta, dalla piattaforma digitale di proprietà del signor Casaleggio. Quanto al signor Grillo, proprietario del marchio 5 Stelle, per fischiare la fine dell’ultimo campionato – abbandonando al suo destino l’icona elettorale della valle di Susa e aprendo le porte all’arcinemico Renzi – non ha nemmeno più sentito il bisogno della parodia rituale della consultazione della “rete”.
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Mattarella esaudirà Renzi-Grillo (Ue) o gli Usa, cioè Salvini?
Singolare coincidenza: nel momento esatto in cui in Senato Matteo Renzi “randellava” Salvini e lanciava segnali ai 5 Stelle, Nicola Zingaretti dettava alle agenzie una nota pesantissima contro Giuseppe Conte, accusandolo di aver taciuto per quindici mesi davanti alle “sgrammaticature istituzionali” del suo ministro dell’interno. Ma attenzione: Sergio Mattarella non si lascerà trasformare in “ostaggio” del Pd, sostiene Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, commentando l’evoluzione della crisi di governo aperta formalmente il 20 agosto con l’annuncio delle dimissioni di Conte, che ha rimesso il mandato al presidente della Repubblica dopo lo scontro a distanza con Salvini, deluso dai grillini. Per i 5 Stelle proprio da Conte bisogna ripartire, mentre per il segretario del Pd evidentemente no. Eppure – scrive Del Duca – il premier uscente ha fatto di tutto per accreditarsi come leader moderato in grado di guidare un nuovo esecutivo “giallorosso”. «È di tutta evidenza che il punto critico che deciderà l’esito della crisi è dentro il Pd, con Renzi fautore di quell’accordo con il M5S che silurò quindici mesi fa, e Zingaretti gelido sostenitore dell’opportunità del ritorno al voto».Bruciato Conte, secondo Del Duca resta impensabile che i 5 Stelle accettino un premier gradito al Pd. E se nell’assegnare l’incarico Mattarella si prenderà qualche giorno «sarà solo per consentire all’attuale premier di partecipare venerdì e sabato al G7 di Biarritz», da dimissionario, ma non ancora del tutto fuori gioco. «In ogni caso, il punto critico che determinerà l’esito della crisi appare il confronto dentro il Pd, con i renziani nettamente in vantaggio sul piano comunicativo, della narrazione di questa nuova convergenza come utile e necessaria per il bene del paese. Il favore della grande stampa a questo schema appare evidente». L’unico schema alternativo al “governo giallorosso” in grado di evitare le urne sarebbe quello di una ricomposizione in extremis di una convergenza fra 5 Stelle e Lega, «che in astratto non si può escludere, ma che non potrebbe vedere Salvini nella compagine di governo e – di conseguenza – neppure Luigi Di Maio». I segnali in questa direzione – dice Del Duca – non mancano, «soprattutto dal lato leghista», mentre i 5 Stelle in Senato hanno espresso rabbia nei confronti dell’ex alleato, che li ha appena scaricati.Alla fine sarà Mattarella a dover operare una scelta, anche se «non farà nulla per imporre una soluzione piuttosto che un’altra», sostiene Del Duca. Anzi, se i renziani si attendono che dal capo dello Stato possa venire l’invito a farsi carico del governo con i 5 Stelle in nome di un interesse superiore, «la delusione è dietro l’angolo: certi interventi che si son visti con Scalfaro e Napolitano ben difficilmente saranno replicati dall’attuale inquilino del Quirinale». C’è da sperarci, visto che proprio Mattarella – per la gioia di Draghi, tramite Ignazio Visco di Bankitalia – nel 2018 fu il primo frenare il governo gialloverde, privandolo della spinta di Paolo Savona, che avrebbe radicalmente reimpostato le linee economiche aprendo una vertenza a testa alta con Bruxelles. Savona avrebbe cercato di sottrarre il paese alla sudditanza dai cosiddetti “mercati”, pilotati dai poteri forti dell’Ue. Se invece sta per compiersi l’ennesimo “scippo” di democrazia, col partito più votato costretto all’opposizione, non ne manca il corollario: oltre al grottesco attivismo di Renzi e all’indegno voltafaccia del suo alleato Beppe Grillo, parlano da sole le esternazioni dei grillini in Senato il 20 agosto: camionate di odio contro Salvini, accuse ridicole (assenteismo) e silenzio di tomba sull’infinita serie di tradimenti dell’elettorato e fallimenti governativi di cui si sono resi responsabili i pentastellati.Nell’inevitabile foga polemica della parlamentarizzazione della crisi, si rischiano di perdere di viste le linee di fondo che l’hanno innescata, ovvero l’attacco concentrico dell’establishment ai danni dell’ingombrante leader della Lega, il politico più amato dagli italiani. Assediato dalla magistratura anche sul caposaldo della sua politica di bandiera – lo stop all’accoglienza illimitata e demenziale dei migranti – Salvini si è visto recapitare una richiesta mostruosa, quasi 50 milioni di euro da “restituire” allo Stato, per rimediare all’antico ammanco (infinitamente inferiore) addebitato alla Lega di Bossi. Da lì la spedizione esplorativa di Gianluca Savoini a Mosca, in cerca – si dice – di aiuti finanziari russi per consentire alla Lega di sopravvivere come partito e quindi svolgere regolare attività politica? Salvini, sostiene Gianfranco Carpeoro, non aveva alternative: sapeva che, se non avesse aperto il divorzio politico (ben motivato, peraltro, dall’imbarazzante latitanza governativa dei grillini) entro fine anno sarebbe finito in trappola, costretto in un modo o nell’altro alle dimissioni. Ora la palla è nel campo di Mattarella: sarà “passata” a Renzi e Grillo, allineati al rigore di Bruxelles come conferma il voto a Ursula von der Leyen, o invece la parola sarà restituita agli elettori, come – sostiene Giulio Sapelli – in fondo chiedono gli Usa, che restano vicini a Salvini, unica carta europea teoricamente disponibile per limitare, domani, lo strapotere dell’oligarchia reazionaria e post-democratica europea?Singolare coincidenza: nel momento esatto in cui in Senato Matteo Renzi “randellava” Salvini e lanciava segnali ai 5 Stelle, Nicola Zingaretti dettava alle agenzie una nota pesantissima contro Giuseppe Conte, accusandolo di aver taciuto per quindici mesi davanti alle “sgrammaticature istituzionali” del suo ministro dell’interno. Ma attenzione: Sergio Mattarella non si lascerà trasformare in “ostaggio” del Pd, sostiene Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, commentando l’evoluzione della crisi di governo aperta formalmente il 20 agosto con l’annuncio delle dimissioni di Conte, che ha rimesso il mandato al presidente della Repubblica dopo lo scontro a distanza con Salvini, deluso dai grillini. Per i 5 Stelle proprio da Conte bisogna ripartire, mentre per il segretario del Pd evidentemente no. Eppure – scrive Del Duca – il premier uscente ha fatto di tutto per accreditarsi come leader moderato in grado di guidare un nuovo esecutivo “giallorosso”. «È di tutta evidenza che il punto critico che deciderà l’esito della crisi è dentro il Pd, con Renzi fautore di quell’accordo con il M5S che silurò quindici mesi fa, e Zingaretti gelido sostenitore dell’opportunità del ritorno al voto».
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Vergogna M5S: ha tradito tutti, dai suoi elettori a Salvini
Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.E quanto all’Ue, il cambiamento da demolitori in aperti sostenitori non trova neppure una spiegazione razionale, perché quella del sostegno all’assetto dell’Ue in difesa del Pil italiano pronunciata dal senatore Lanzi lo scorso aprile è e rimane una “kaxxata” che solo persone prive di capacità cognitive potrebbero accettare per buona. Ma come, vieni a dirmi che dobbiamo difendere l’istituzione che ci ha massacrato economicamente e socialmente per 20 anni per salvaguardare proprio quel Pil italiano che è stato fatto a pezzi dai Lorsignori a marchio Bruxelles? E questo dopo che per 10 anni ripeti ovunque che quell’Europa istituzionale, che ora vuoi sostenere, è un Club Med di rispettabili criminali, arricchiti burocrati asserviti ai neoliberisti mondiali che nell’assetto dell’Ue e nelle sue regole capestro hanno trovato un altro giocattolo per far pagare le crisi finanziarie ai meno abbienti, italiani inclusi?Quanto alla Tav serve veramente a poco che Grillo dica che «non avere la forza numerica per bloccare l’inutile piramide non significa essersi schierati dalla parte di chi la sostiene». Servirebbe piuttosto chiedersi se il MoV ha cercato degli alleati per allargare il fronte istituzionale del dissenso in questi anni. Di fronte a fallimenti continui come si può affermare che qui si tratta di coerenza e non di rigidità? Con che coraggio o mancanza di vergogna si dichiara che se il resto d’Europa vuole la Tav, il M5S ha comunque coerentemente fatto tutto quello che doveva e quindi non è responsabile? Ma se impegnarsi e non riuscire a mantenere gli impegni comporta l’ammettere la propria inadeguatezza e andarsene – Casaleggio, mai sconfessato da Grillo, dixit – a cosa serve dire che si è fatto il possibile? E allora Pizzarotti che ha percorso tutte le vie legali per fermare l’inceneritore di Parma e non vi è riuscito cosa doveva fare? Andare di notte con un commando ed esplosivo e farlo saltare? Eppure lui doveva dimettersi – giustamente – e chi sta al governo che ha fatto un voltafaccia su tutto, no?!A questo punto rimarrebbe da spiegare il comandamento etico dei “pacta sunt servanda”, mai venuto meno per il M5S, e che in democrazia dovrebbe valere per tutti, semper Casaleggio Senior dixit. Dov’è il tradimento di Pizzarotti che, vistosi impossibilitato a mantenere una promessa elettorale, dopo aver esaurito tutte le vie legali, ha tentato di trattare con i poteri forti per restare a galla cercando di contenere i danni dell’inceneritore? Non è la stessa cosa che tenta di fare il M5S “per sopravvivere”, dopo che la decisione di Salvini di aprire la crisi di governo lo ha riportato alla realtà del voto e delle scelte maldestre e antitetiche al programma condiviso con la Lega in Europa? Quindi se fallire vuol dire “te ne vai”, anche se ci si può rifiutare comprensibilmente di associare al fallimento qualche dietrofront o inciampo su punti marginali, fallire totalmente su battaglie che in teoria rappresentavano l’anima politica del M5S, le promesse chiave di quel rinnovamento che voleva portare in Italia, cosa comporta? Starsene in poltrona per dire che si è coerenti e che gli altri sono brutti, cattivi e corrotti?Si leggono in questi giorni messaggi di ogni tipo su social che incolpano dell’attuale crisi di governo l’orco Salvini, l’irresponsabile traditore che vuole consegnare l’Italia all’ultradestra. Alternativamente Salvini cede il primo posto sulla gogna mediatica agli italiani, agli Usa, a Di Battista, meno a coloro che dirigono il M5S e che hanno sostenuto il suo sistema. Per i “veri” appartenenti al M5S, dal MoV dovrebbero uscire, anzi essere cacciati, i traditori, gli infiltrati, i fascisti… va bene, ma poi chi ti rimane? Intendo dire che se cacci i fascisti da un partito-azienda dove sopravvive e viene promosso chi fa la volontà del capo, che è una sola persona, non è che poi rimangono molti, dopo aver fatto pulizia. Ora, finché il proprietario era in vita e aveva una visione della storia e della politica ad ampio raggio, il messaggio innovatore poteva essere sostenuto, con qualche falla. Ma nel momento in cui è stato sostituito da un nuovo proprietario che al posto dei libri si interessa solo previsioni di vendita, di cosa ci illudiamo? Del cambiamento? Della Rivoluzione?Fatta da chi? Da una manica di gente messa insieme alla meno peggio e presentata ai cittadini dopo una selezione da casting televisivo su come si ripetono slogan messi a punto dalla Casaleggio, o su come vengono le zoomate fatte a 32 denti o sui tacchi? Se qualcuno davvero crede, dopo quanto il MoV ha mostrato nell’ultimo anno, che una simile compagine potesse davvero competere con Salvini e rappresentare un’alternativa al malgoverno sistemico di questa nazione, allora ha bisogno di supporto psichiatrico. E magari serviva pensare che a trattare con Salvini ci andava gente diversa da un ragazzo di 30 anni con una cultura, esperienza di vita e di lavoro molto limitata. E per capire questo non serviva una visione alternativa e unica della democrazia. Bastava il buon senso, anche se era contrario agli affari, per fare i quali serve impegnarsi solo nelle battaglie che portano utili, che però in questo caso non sono quelle che servono per cambiare l’Italia e abbattere la tanto detestata casta.Per cambiare la gestione sistemica dell’Italia serve ridare allo Stato italiano quella sovranità che non ha più, sovranità che a parole il M5S difende, e per farlo serve attaccare coloro che quella sovranità riducono, e che siedono a Bruxelles nel consesso dell’Ue. La battaglia è contro l’attuale assetto dell’Ue, contro i trattati applicati in modo diverso all’interno dei vari Stati, per cui mentre la Francia emette il franco coloniale contravvenendo al Trattato di Maastricht e in Germania le banche possono prestare denaro pubblico, come più e più volte ha evidenziato Nicoletta Forcheri, l’Italia non può fare nulla. La battaglia è contro la gestione del Mes, il Fondo europeo di stabilità finanziaria, di cui l’Italia è il terzo principale contributore dopo Germania e Francia, e nel quale finora ha versato miliardi di euro. Un fondo tanto generoso e gestito saggiamente che, se uno Stato in difficoltà ne avesse bisogno, verrebbe salvato con erogazioni a tassi di usura, per cui per ricevere in forma di aiuto quei soldi che ha versato deve pagare una tangente, come si fa con ogni rispettabile organizzazione mafiosa.La battaglia è contro la mancanza di una politica europea condivisa e seria sull’immigrazione, invece di favorire una tratta a pagamento di esseri umani gestita da Ong amiche e cooperative compiacenti, sotto la falsa pretesa di una solidarietà che vorrebbe che un continente ne ospitasse un altro “per risolvere i problemi di entrambi”, e che non ha nessun riscontro nella storia. A cosa serve risparmiare qualche ghello, anche tagliando i parlamentari, se poi dall’alto vi è chi ti dice comunque cosa devi o non devi fare, ti impone limiti di spesa, ti obbliga a versare miliardi con cui potresti sanare i debiti pubblici, e affossa i tuoi diritti? A niente, e se una forza politica “rivoluzionaria” si rifiuta di impegnarsi negli scontri veri inventandosi nemici immaginari, allora vuol dire che del cambiamento non gli frega niente. Questi sono i punti che il M5S dovrebbe trattare se volesse davvero cambiare le cose in Italia, e per farlo deve contrapporsi all’Europa così com’è. Certo costa, ma la via è quella. E invece su questi temi, dopo il famoso referendum consultivo sull’euro di 7 anni fa rimasto lettera morta, la propaganda del M5S e il blog non parlano mai… strano!Dovrebbe portare lo scontro in Europa, come ha dichiarato per 10 anni di voler fare. Avrebbe dovuto sostenere il fronte sovranista. E invece cosa ha fatto? Ha lasciato al manipolo di 14 europarlamentari eletti lo scorso maggio libertà di coscienza sulla votazione che avrebbe portato il piddino Doc Sassoli – quello che dice che il Parlamento Europeo per lui sarà sempre aperto all’immigrazione, come i porti, per intenderci – e ha votato alla presidenza della Commissione Ursula von der Leyen, eletta con appena 9 voti di scarto e alla quale non sono mancati quelli dei 14 del M5S. La signora Austerity, amica della Lagarde, la macellaia sociale dell’Ue, e di Angelona Merkel e sua ex ministra, è il correlativo oggettivo di Mario Monti in gonnella, e di Monti condivide oltre alla visione di austerity e tagli alle spese sociali, anche le amicizie importanti per le multinazionali e società di fondi d’investimento e di consulenza come la McKinsey. E mentre veniva incoronata presidente della Commissione Ue, Castaldo (M5S) è stato eletto vicepresidente nonostante i 5 Stelle siano senza gruppo a Bruxelles: è la prima volta in Europa. Ma sarà un caso?Queste “battaglie” del M5S sembrano più scambi di favori per chi vuole farsi gli affari propri a prescindere dalle promesse fatte al beneamato popolo che dovrebbe difendere. E mentre vende briciole di slogan di democrazia, il MoV si rifiuta di attuare le uniche vere scelte che dovrebbe fare se davvero volesse tener fede a quanto detto per una decade. Ma si sa, bisogna sopravvivere e poiché ‘l’amico del mio nemico può diventare amico mio” nel mondo dell’immaginifico politico stellato dove non esiste né destra né sinistra, le ideologie sono morte, ma il denaro rimane, ecco che allora anche l’ipotesi di allearsi con pezzi del Pd renziano può andar bene. Il cofondatore del M5S potrebbe infine illuminarci sulle ragioni – quelle vere, che ancora non conosciamo – per le quali la sua creatura politica è diventata europeista al punto di votare la von der Leyen, che rappresenta la reincarnazione femminile di Monti-aka Rigor Mortis, o chiarire il significato grillino – quello italiano lo conosciamo già – dell’espressione “comitati d’affari” tanto cara al MoV delle origini, lo stesso che nel 2011 condannava Rigor Mortis e che ora con metamorfosi politica – attuata per sopravvivenza o convenienza? – è arrivato camaleonticamente a fare le scelte di cui sopra. I nodi sono sempre quelli.(Alessandro Guardamagna, estratti da “Se pacta sunt servanda, chi ha tradito chi?”, da “Come Don Chisciotte” del 15 agosto 2019).Nel 2014, il cofondatore del M5S Gianroberto Casaleggio rilasciava a “Il Fatto Quotidiano” una lunga intervista, dal titolo “Pacta Sunt Servanda”. Spaziando su molti argomenti, Casaleggio riassumeva l’idea di democrazia semplice e diretta che stava alla base del MoVimento: in politica gli impegni vanno mantenuti e chi non lo fa deve essere cacciato. Riferendosi al sindaco di Parma, l’allora pentastellato Federico Pizzarotti, Casaleggio sentenziava senza mezzi termini: «Se io prendo l’impegno di chiudere un inceneritore, o lo chiudo o vado a casa». Parole inequivocabili, che riflettevano una visione alternativa dei rapporti tra eletti e cittadini elettori. Nell’aprile 2019, dopo aver portato avanti efficaci campagne di demonizzazione e demolizione degli avversari politici ed avere ottenuto il potere, il M5S è arrivato a negare totalmente alcuni temi per i quali era stato da sempre sostenuto dai cittadini. Qualcuno potrebbe obiettare che a volte le cose vanno indipendentemente dalla volontà di chi agisce. E vero, ma passare dal NoVax, NoTav e NoUe al Sì Vax, Sì Ue e infine Sì Tav non equivale a discorrere di quisquilie.
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L’Italia ha già perso, se ricomincia lo stesso vecchio film
Prima era tutta colpa della Dc di Andreotti o, a scelta, dei “comunisti”. Poi di Craxi, e quindi di Berlusconi, oppure di Prodi e D’Alema, infine di Renzi. Per Di Maio, a “distruggere il paese” era stato il Pd, nato però soltanto nel 2007. Ora la colpa è tutta di Salvini, per il quale invece sono stati i 5 Stelle a far deragliare il governo delle meraviglie. Gli italiani applaudono o fischiano, ma più spesso – attoniti – restano a casa (o in spiaggia, dato il periodo). Si domandano cosa stia succedendo. Tutto e niente, si rispondono. Come nel resto del mondo, peraltro, dove gli Stati continuano ad armarsi e a guardarsi in cagnesco, mentre i “mercati” fanno politica al posto dei partiti, meri club di esecutori di piccolo calibro. I politici? Mediocri mestieranti, arruolati da questa o quella consorteria internazionale, secondo uno schema fluido a geometria variabile che corrisponde squisitamente al caos. Persino i loro padroni, le divinità auree, vivono alla giornata: le alleanze non reggono, le promesse sono parole al vento. Castelli di sabbia che il mare provvede a cancellare, onda su onda, senza che nessuno abbia il tempo di metabolizzare veri progetti. L’unico in campo – fare soldi, grazie al monopolio privato del denaro – ha il potere di piegare qualsiasi istanza alternativa. Non esiste altro cielo che quello mercantile. Destra e sinistra sono modi di dire, vezzi linguistici buoni solo a tenere in piedi rottami di clero politicante, in servizio elettorale permanente, verso consultazioni democratiche regolarmente inutili.La rottamazione del governo Conte è cominciata prima ancora che si aprisse lo spoglio delle fatali schede delle europee: a votare era andato soltanto un italiano su due. Già allora gli elettori si erano pronunciati a larghissima maggioranza, scendendo in sciopero e bocciando, di fatto, il miles gloriosus padano e il suo omologo partenopeo. Bei tomi: si erano permessi di illudere la cittadinanza, maneggiando una mitologia dal sapore escatologico. La fine dei tempi, l’inizio di una nuova era di giustizia. Orizzonti stellari, mirabolanti: la sfida alla tirannide euro-burocratica, l’esorcismo contro la paura del declino e della povertà celebrato evocando il crollo delle tasse e la cornucopia della mancia di Stato, già brillantemente inaugurata dal proto-populista fiorentino, altro campione di chiacchiere. “Sì, ma noi siamo diversi”, avevano giurato i valorosi paladini, gli alieni della Terza Repubblica fondata sulla palingenesi del potere in chiave messianica: da un lato il rozzo giustiziere nordico della razza bianca, dall’altro la gracidante scolaresca reclutata via web dal partito-azienda di proprietà di un ex comico, salito a bordo del Britannia tra i massimi oligarchi. A disegnargli la rotta, anni dopo, fu un informatico schivo e visionario. Un uomo misterioso e reticente, pieno di segreti, membro di un’élite intenzionata a fare esperimenti (anche politici, elettorali) per testare la risposta della mandria umana.Solo l’abissale disgusto per i predecessori, gli sciagurati ultimi reggenti della macelleria-Italia (Monti e Letta, Renzi e Gentiloni) aveva spinto gli elettori a votare, per disperazione, gli sfrontati cavalieri dell’impossibile, i fantapolitici delle promesse universali. Speravano, gli italiani, che fosse vero almeno il 10% di quanto garantivano, leghisti e grillini. Ma al primo urto col potere vero, quello euro-finanziario, l’Italietta gialloverde è saltata per aria. Se fossero stati sinceri, Di Maio e Salvini, si sarebbero dimessi allora, di fronte ai ceffoni rimediati a Bruxelles, all’umiliazione subita nel vedersi negare il diritto di risollevare l’economia attraverso il deficit. Sono rimasti entrambi al loro posto, invece, pensando solo al modo di salvare la pelle, l’uno a spese dell’altro, tra agguati e abiure, tradimento dopo tradimento. Oggi si dibattono in una vasca di fango, menando fendenti, per la gioia dei boia dell’Italia, cioè le spietate nomenklature franco-tedesche. Il leghista tenta la fuga in solitaria, slealmente, mentre il grillino – scornato, e altrettanto sleale – prova a imbrigliarlo, ricorrendo ai peggiori trucchi, grazie all’abbraccio mortale del vecchio potere, che non aspettava altro che veder distrutta la teorica anomalia italiana creatasi avventurosamente nel 2018. Poteva essere una falla nell’euro-sistema? Non certo con quei due tizi al timone.Comunque vada, sarà un insuccesso (facile profezia). Ancora una volta, gli elettori non hanno strumenti all’altezza: solo cavalli azzoppati, vecchi brocchi, giovani avventati. Malgrado loro, comunque, i gialloverdi hanno resuscitato una specie di memoria nazionale, l’ombra di qualcosa che in altri tempi di sarebbe chiamato orgoglio, spirito identitario, diversità italiana. Ora stanno cercando di distruggerlo, questo fantasma, perché è troppo ingombrante per la loro statura. Il pubblico può ammirare lo spettacolo, dalla crepa che si è aperta nel muro: vede benissimo, oggi, che nessuno degli attori in campo ha la minima chance per costruire qualcosa di solido, credibile, adatto a tutti. Servirebbero statisti, cioè politici capaci di pensieri lunghi, oltre l’orticello. Non se ne vede l’ombra, anche perché la maggioranza continuna a restare a casa: non partecipa, non rischia, non si impegna. Una buona metà degli elettori non va oltre il tifo, la comodissima caccia all’uomo nero. L’altra metà non riesce più ad avvicinarsi alle urne, ma non fa nulla per darsi una speranza, una prospettiva. Prevale lo sconforto, insieme alla nausea. Ci si domanda se tutto questo ha un senso, e se ce lo meritiamo. La risposta è implicita: alzi la mano chi può dire di aver mosso un dito per evitare di rivedere all’infinito lo stesso film.Prima era tutta colpa della Dc di Andreotti o, a scelta, dei “comunisti”. Poi di Craxi, e quindi di Berlusconi, oppure di Prodi e D’Alema, infine di Renzi. Per Di Maio, a “distruggere il paese” era stato il Pd, nato però soltanto nel 2007. Ora la colpa è tutta di Salvini, per il quale invece sono stati i 5 Stelle a far deragliare il governo delle meraviglie. Gli italiani applaudono o fischiano, ma più spesso – attoniti – restano a casa (o in spiaggia, dato il periodo). Si domandano cosa stia succedendo. Tutto e niente, si rispondono. Come nel resto del mondo, peraltro, dove gli Stati continuano ad armarsi e a guardarsi in cagnesco, mentre i “mercati” fanno politica al posto dei partiti, meri club di esecutori di piccolo calibro. I politici? Mediocri mestieranti, arruolati da questa o quella consorteria internazionale, secondo uno schema fluido a geometria variabile che corrisponde squisitamente al caos. Persino i loro padroni, le divinità auree, vivono alla giornata: le alleanze non reggono, le promesse sono parole al vento. Castelli di sabbia che il mare provvede a cancellare, onda su onda, senza che nessuno abbia il tempo di metabolizzare veri progetti. L’unico in campo – fare soldi, grazie al monopolio privato del denaro – ha il potere di piegare qualsiasi istanza alternativa. Non esiste altro cielo che quello mercantile. Destra e sinistra sono modi di dire, vezzi linguistici buoni solo a tenere in piedi rottami di clero politicante, in servizio elettorale permanente, verso consultazioni democratiche regolarmente inutili.
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Il Conte Zio: si finge Zorro l’eurogrillino “falce e mattarella”
Chi è Conte e come si comporterà, ci chiedevamo quando fu insediato premier. Queste erano le considerazioni che facemmo, più di un anno fa. Abbiamo quattro ingredienti di partenza per costruire un suo ritratto: il curriculum falsato o gonfiato che sarà un vizio diffuso ma lo rende un po’ sbruffone e un po’ inaffidabile (miles gloriosus, per i colti). Poi la sua temeraria adesione al fantagoverno grillino prima del voto, e la sua pronta accettazione di un incarico nonostante la sua Verginità Assoluta, anzi in virtù della sua verginità assoluta. Quindi le sue prime dichiarazioni che denotano la sua pronta adesione all’ideologia nazionale, il Cerchiobottismo, in cui il Professore si è dimostrato un eurogrillino falce e mattarella, per compiacere tutti e procedere senza spigoli, rotolando come si addice ai cerchi. Infine il suo modo di presentarsi, la sua sincera emozione e il suo simpatico inciampare nelle parole, qualche traccia di dauno e un po’ meno di visiting professor nelle università più fantastiche del pianeta. Il suo sguardo mi ha ricordato qualcuno. Il suo volto, i suoi occhi, la sua modesta altezza e la sua evidente smisurata ambizione. I suoi fogli inseparabili. Ma sì, era lui, somiglia a Silvio, il Berlusconi del ’93, il Berlusconi che scende in campo e lo annuncia urbi et orbi.Fermate alcuni fotogrammi e paragonate. Viso lungo, occhio furbo, sguardo in cerca di accattivare. Berlusconi coi capelli. Con l’età quasi ci siamo, la differenza è tricologico-imprenditoriale, qualche capello in più e qualche azienda in meno. E l’inflessione non brianzola, la differente capacità comunicativa; versione rustico-accademica di Berlusconi, populismo meridional-avvocatesco. Solo che lui il lifting, il riporto lo fa al curriculum anziché alla capigliatura. A vederlo meglio, la sua espressione è un incrocio preciso tra Berlusconi e Tonino Capacchione da Margherita di Savoia, mio amico, che ha le terre in quel di Zapponeta, dalle parti del prof. Ecco, sparsi i pezzi del mosaico provo a comporre un ritratto non reale ma surreale del Professore, fino a leggergli la mano, la fronte e il futuro. Se tanto mi dà tanto, e se conosco l’indole pugliese-levantina (a cui appartengo) che pure incide benché in percentuale bassa, il professore sarà presto un’entità autonoma da Di Maio, si metterà uno studio in proprio a Palazzo Chigi e giocherà ai due forni, le Istituzioni e il Popolo, Mattarella e i grillini, gli eurocrati e gli eurofobi (nuovo reato in via di formazione, primo imputato il professor Savona).Il suo primario interesse sarà restare in piedi. E tifa per la sua durata, ma sotto traccia, quasi l’intero Parlamento per ragioni di autoconservazione. Sarà quello il vero collante, di natura personale. Ma torno sul professore e su quei tratti preliminari. Se tanto mi dà tanto, dai curriculum farciti allo spirito d’avventura d’imbarcarsi in questa impresa, dalle sue parole ai suoi sguardi, ho l’impressione che sarà pronto all’infedeltà, mascherata da una superiore fedeltà al suo ruolo, alle istituzioni, al mandato divino. In Italia il passaggio dal cerchiobottismo al paraculismo è facile e anche rapido… Però a me questo Conte avvocato del popolo ricorda qualcuno, che conoscevo da bambino. Ma sì, El Zorro, che poi vuol dire Volpe. Eccolo, il Conte Zorro, un accademico appartato e schivo che si mette la mascherina, prende il cappello a cinque stelle, sguaina la spada e combatte nel nome del popolo contro il Palazzo che egli stesso frequenta quando è in borghese. Pronto ad arrampicarsi ai lampadari per togliere ai ricchi e dare ai poveri. O almeno fingere di farlo, per accontentare il pubblico pagante e i produttori del film. Sì, alla fine è la fiction, è il film l’unica chiave di lettura… Non può essere vero quello che stiamo vivendo. Lui, loro e noi.(Marcello Veneziani, “Il Conte Zio”, dal blog di Veneziani del 13 agosto 2019).Chi è Conte e come si comporterà, ci chiedevamo quando fu insediato premier. Queste erano le considerazioni che facemmo, più di un anno fa. Abbiamo quattro ingredienti di partenza per costruire un suo ritratto: il curriculum falsato o gonfiato che sarà un vizio diffuso ma lo rende un po’ sbruffone e un po’ inaffidabile (miles gloriosus, per i colti). Poi la sua temeraria adesione al fantagoverno grillino prima del voto, e la sua pronta accettazione di un incarico nonostante la sua Verginità Assoluta, anzi in virtù della sua verginità assoluta. Quindi le sue prime dichiarazioni che denotano la sua pronta adesione all’ideologia nazionale, il Cerchiobottismo, in cui il Professore si è dimostrato un eurogrillino falce e mattarella, per compiacere tutti e procedere senza spigoli, rotolando come si addice ai cerchi. Infine il suo modo di presentarsi, la sua sincera emozione e il suo simpatico inciampare nelle parole, qualche traccia di dauno e un po’ meno di visiting professor nelle università più fantastiche del pianeta. Il suo sguardo mi ha ricordato qualcuno. Il suo volto, i suoi occhi, la sua modesta altezza e la sua evidente smisurata ambizione. I suoi fogli inseparabili. Ma sì, era lui, somiglia a Silvio, il Berlusconi del ’93, il Berlusconi che scende in campo e lo annuncia urbi et orbi.
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Grandi manovre, ma piccoli partiti. E tanti saluti agli italiani
Vestali della comunicazione, opposizioni parlamentari ed élite che dalla scorsa estate non hanno fatto altro che evocare crisi di governo e nuove elezioni, ora che Salvini si è chiamato fuori, le elezioni non le vogliono più. Con qualche eccezione motivata, per esempio il Pd di Zingaretti, ma non il Pd di Renzi che controlla la maggior parte dei senatori e dei deputati del partito. Quanto a Forza Italia, che in Senato conta più rappresentanti della Lega, sono in corso trattative con Salvini: se il leader della Lega sarà disponibile per ricostituire il centrodestra classico, bene, altrimenti Berlusconi si orienterà per appoggiare il cosiddetto “governo di scopo”, affidato ad un tecnico con il compito di scongiurare l’esercizio provvisorio di bilancio, evitare l’aumento dell’Iva in cambio di altri sacrifici, e magari approvare la riduzione dei parlamentari con l’intento di evitare le elezioni almeno per i prossimi sei mesi, giustificando con ciò anche l’eventuale approvazione di una nuova legge elettorale.Quanto alla Meloni di Fratelli d’Italia, la sua consueta rigidità non le consente di vedere che l’alleanza elettorale con Salvini, senza neppure la mediazione del Cavaliere, porterebbe ad uno scontro nel paese dove nulla sarebbe scontato: l’estrema destra contro tutti gli altri difficilmente vince in Occidente, tanto più in un paese come l’Italia che conserva ancora freschi ricordi del proprio drammatico passato. Ciò premesso, è interessante osservare come ciascuna fazione del panorama politico italiano lavori unicamente in vista del proprio tornaconto, infischiandosene dei cittadini e degli interessi reali dell’Italia. Tutti, senza eccezione alcuna. A cominciare dalla Lega, che avrà pure le sue buone ragioni nel denunciare i ripetuti “no” dei Cinquestelle al programma di governo, ma che sceglie il momento peggiore per staccare la spina e non lo fa certo sull’onda di un’emozione ma sulla base di calcoli ben precisi che riguardano il proprio assetto interno (la mancata approvazione della legge sulle autonomie, cara alle regioni del nord) e la contemporanea impossibilità di mantenere le tante promesse all’esterno (investimenti produttivi, sterilizzazione dell’Iva e contemporanea approvazione della Flat Tax), per la manifesta contrarietà di quanti, nel governo e fuori, si sono impegnati a “non strappare” con l’Europa.Salvini aveva la possibilità di portare in Parlamento l’approvazione della Flat Tax e degli investimenti produttivi, lasciando ai Cinquestelle la responsabilità di bocciarli; preferisce invece assumere in proprio la responsabilità della crisi col pretesto della Tav, esponendosi a tutti i contraccolpi del sistema: un atto coraggioso o ingenuo o soltanto imposto dal vecchio nucleo della Lega Nord? Per continuare con Zingaretti che vuole andare alle elezioni subito per lucrare sulla perdita di consensi dei Cinquestelle, ridimensionare definitivamente Renzi, togliendogli il monopolio dei gruppi parlamentari, e riattivare il bipolarismo centrosinistra- centrodestra. Con Renzi che per mantenere il suddetto monopolio è disposto persino ad allearsi con i Cinquestelle per un governo di scopo e/o di garanzia elettorale. Con Grillo e Di Maio che faranno di tutto pur di non vedere dimezzata la propria rappresentanza parlamentare. Con Meloni e Berlusconi di cui si è già detto.(Sergio Magaldi, “Grandi manovre e piccoli partiti”, da “Lo Zibaldone di Sergio Magaldi” del 10 agosto 2019).Vestali della comunicazione, opposizioni parlamentari ed élite che dalla scorsa estate non hanno fatto altro che evocare crisi di governo e nuove elezioni, ora che Salvini si è chiamato fuori, le elezioni non le vogliono più. Con qualche eccezione motivata, per esempio il Pd di Zingaretti, ma non il Pd di Renzi che controlla la maggior parte dei senatori e dei deputati del partito. Quanto a Forza Italia, che in Senato conta più rappresentanti della Lega, sono in corso trattative con Salvini: se il leader della Lega sarà disponibile per ricostituire il centrodestra classico, bene, altrimenti Berlusconi si orienterà per appoggiare il cosiddetto “governo di scopo”, affidato ad un tecnico con il compito di scongiurare l’esercizio provvisorio di bilancio, evitare l’aumento dell’Iva in cambio di altri sacrifici, e magari approvare la riduzione dei parlamentari con l’intento di evitare le elezioni almeno per i prossimi sei mesi, giustificando con ciò anche l’eventuale approvazione di una nuova legge elettorale.