Archivio del Tag ‘Margaret Thatcher’
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Meno democrazia, più diseguaglianze. Così saltiamo in aria
Se vince il Sì, il governo sarà più forte e i cittadini conteranno ancora di meno. Come ha scritto don Ciotti, chi ha voluto questa “nuova” Costituzione vede «la democrazia come un ostacolo», e il bene comune come «una faccenda in cui il popolo non deve immischiarsi». Come siamo arrivati a questo? La risposta, per Tomaso Montanari, è racchiusa in una parola: diseguaglianza. Secondo l’Istat, l’Italia è il paese in cui – tra 1990 e 2010 – la diseguaglianza sociale è aumentata di più. «Succede in tutto l’Occidente: pochi ricchi sono sempre più ricchi, mentre si allarga la fascia degli impoveriti e la classe media non arriva agevolmente alla fine del mese». Anche per Joseph Stiglitz, «la stragrande maggioranza sta soffrendo insieme», mentre l’1% accumula fortune. «Ma quando la diseguaglianza arriva a questi livelli – osserva Montanari – l’establishment ha un problema: la democrazia. Perché in democrazia il voto di un ricco vale quanto quello di un povero». E i ricchi, osserva lo storico britannico Tony Judt, «non vogliono le stesse cose che vogliono i poveri». La cosa più semplice, per il potere? Silenziare il 99%, restringendo la democrazia.«Chi dipende dal posto di lavoro per la propria sussistenza non vuole le stesse cose di chi vive di investimenti e dividendi», scrive Judt in “Guasto è il mondo”. «Chi non ha bisogno di servizi pubblici (perché può comprare trasporti, istruzione e protezione sul mercato privato) non cerca le stesse cose di chi dipende esclusivamente dal settore pubblico». E se i poveri votano tutti insieme, il sistema può essere rovesciato, conclude Montanari, in una riflessione sull’“Huffington Post”. «Fino a un certo punto la soluzione è a portata di mano: incoraggiare l’astensione di massa». Non a caso il messaggio (dalla Thatcher a Blair, a Renzi) è: “non c’è alternativa”. Tradotto: “non votate, tanto è inutile”. Ma, da un certo punto in poi, l’astensione non basta più: «Per tenere il conflitto sociale fuori dai luoghi in cui si decide bisogna separare questi luoghi (il Parlamento e il governo) dal suffragio popolare, dai cittadini. È per questo che non voteremmo più il Senato e i governi delle Provincie, che le leggi di iniziativa popolare sarebbero in balìa della maggioranza parlamentare, che le Regioni verrebbero espropriate di ogni potere reale».In breve, continua Montanari, «se la diseguaglianza è tale da rendere “pericolosa” la democrazia ci sono due soluzioni: diminuire la diseguaglianza, o diminuire la democrazia. Il governo Renzi ha scelto quest’ultima strada». Il progetto di Renzi è chiaro: ridurre la partecipazione per consentire il perdurare della diseguaglianza. «È per questo che Confindustria, Marchionne, Jp Morgan, l’establishment tedesco e in generale il mercato votano Sì», mentre «la Fiom e tutta la Cgil, Libera, l’Arci, l’Anpi e infinite associazioni di cittadini votano No». Le poche riserve del mondo della finanza (per esempio quelle dell’“Economist”) «non vengono certo da un disaccordo politico, ma dal dubbio (fondato) che le riforme siano così mal congegnate che rischiano di dare un potere blindato nelle mani non dell’establishment», ma di un soggetto percepito come non-complice, cioè Grillo. Per Montanari, votare No significa «aver compreso che così non si può andare avanti: se restringiamo ancora la democrazia, invece di ridurre la diseguaglianza, lo schianto sarà ancora più forte».Secondo Montanari, «una vera classe dirigente» dovrebbe capire che, «se vogliamo evitare lo schianto, gli Stati devono ricominciare a esercitare la sovranità». Ovvero: «La libera circolazione delle merci non può continuare a essere l’unico dogma che regge il mondo: se la Cina continuerà a inondare il mondo di prodotti a costo zero (perché frutto di schiavitù di massa) l’Africa non avrà alcuna possibilità di sviluppo, con conseguenze drammatiche sulle migrazioni». E dato che le sfide sono di questa portata, «il Sì è come un’aspirina per uno che ha bisogno di un trapianto: il No vuol dire mettersi in lista per l’operazione». Ancora: «Il Sì è come mettere il dito nel buco della diga: il No vuol dire avviarsi a svuotare il bacino che sta per tracimare». Qualcuno pensa davvero che si possa andare avanti così? Qualcuno sì, e cioè «chi ha qualcosa da difendere», soprattutto «i benestanti anziani, che preferiscono non chiedersi come faranno i loro figli e i loro nipoti a tenere insieme diseguaglianza e democrazia». Magari «pensano che non ci saranno più quando tutto questo salterà in aria».Se vince il Sì, il governo sarà più forte e i cittadini conteranno ancora di meno. Come ha scritto don Ciotti, chi ha voluto questa “nuova” Costituzione vede «la democrazia come un ostacolo», e il bene comune come «una faccenda in cui il popolo non deve immischiarsi». Come siamo arrivati a questo? La risposta, per Tomaso Montanari, è racchiusa in una parola: diseguaglianza. Secondo l’Istat, l’Italia è il paese in cui – tra 1990 e 2010 – la diseguaglianza sociale è aumentata di più. «Succede in tutto l’Occidente: pochi ricchi sono sempre più ricchi, mentre si allarga la fascia degli impoveriti e la classe media non arriva agevolmente alla fine del mese». Anche per Joseph Stiglitz, «la stragrande maggioranza sta soffrendo insieme», mentre l’1% accumula fortune. «Ma quando la diseguaglianza arriva a questi livelli – osserva Montanari – l’establishment ha un problema: la democrazia. Perché in democrazia il voto di un ricco vale quanto quello di un povero». E i ricchi, osserva lo storico britannico Tony Judt, «non vogliono le stesse cose che vogliono i poveri». La cosa più semplice, per il potere? Silenziare il 99%, restringendo la democrazia.
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Sylos Labini: solo lo Stato può salvarci dall’inferno dell’euro
Scrisse Antonio Gramsci: «La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere». Questa citazione descrive bene ciò che sta succedendo nel periodo attuale, sostiene Stefano Sylos Labini: il capitalismo finanziario neoliberista è entrato in crisi ormai da anni e sta utilizzando l’intervento delle banche centrali per rimanere in piedi. Si è capito che i vecchi approcci sono ormai superati perché non riescono più a garantire crescita e benessere diffuso. «L’intervento pubblico è paralizzato dal peso del debito mentre il sistema bancario si è inceppato e non sta finanziando in modo adeguato le famiglie e le imprese». Per questo servono nuove logiche di intervento per sostenere l’economia reale. Sylos Labini cita il Sardex, moneta complementare lanciata in Sardegna come “sistema di compensazione di credito reciproco”, attraverso cui l’economia reale crea la sua moneta per finanziare scambi e investimenti evitando l’intermediazione del sistema bancario. Ma ovviamente non basta: «E qui in Europa abbiamo anche il problema dell’euro», aggiunge l’economista, «che si fonda su delle regole che impediscono di promuovere la crescita dell’economia e non consentono di attuare politiche per ridurre la disoccupazione».Si tratta di una situazione preoccupante, se consideriamo gli imponenti fenomeni migratori che si stanno riversando sul Vecchio Continente, osserva Sylos Labini in una riflessione prooposta al festival “Mitzas” di Cagliari e ripresa da “Megachip”. «Si parla di piani di accoglienza e di re-distribuzione dei migranti, ma quello che serve è un grande Piano del Lavoro: questa gente se si ferma in Europa deve lavorare per avere un reddito. Ma in tal caso il Piano del Lavoro deve riguardare – e con diritto di precedenza – i disoccupati europei, che sono circa 20 milioni di persone». Attenzione: «Solo lo Stato può garantire quel contributo fondamentale all’impiego in lavori di pubblica utilità, servizi sociali, manutenzione del territorio e delle infrastrutture». Il settore privato può fare la sua parte, certo, «ma da solo non sarà mai in grado di risolvere il problema della disoccupazione». Non esiste alternativa allo Stato, che «deve avere le risorse finanziarie nonché le capacità organizzative per offrire un impiego a tutti coloro che sono in grado di lavorare».E se non riusciremo a mettere in campo delle nuove politiche economiche per assicurare una vita dignitosa alla popolazione europea, continua Sylos Labini, corriamo il rischio di entrare in quella che Giorgio Ruffolo ha definito una “Nuova Età dei Torbidi”: dopo la fase socialdemocratica dell’Età dell’Oro e la fase neoliberista dell’Età del Capitalismo Finanziario, oggi si sta profilando una nuova fase storica dominata dalla destra protezionista e nazionalista. A Bretton Woods nel 1944 si era stabilito un sistema che prevedeva una forte limitazione dei trasferimenti di capitale da un paese all’altro dando piena libertà agli scambi commerciali. Questo sistema, ricorda l’economista, lasciava ai governi nazionali un largo spazio di autonomia nella gestione della politica monetaria e della politica economica. «In tal modo si consolidò un compromesso tra capitalismo e democrazia che in Europa permise ai governi socialdemocratici di assicurare benessere diffuso e piena occupazione».Alla fine degli anni ‘70, però, «si scatenò la controffensiva capitalistica: Reagan e la Thatcher avviarono un processo di deregolamentazione e di liberalizzazione dei movimenti di capitale che determinò un completo rovesciamento dei rapporti di forza sia tra capitale e lavoro, sia tra capitalismo e democrazia», creando «una condizione di fortissimo vantaggio per le grandi imprese private nei confronti degli Stati nazionali». Da quel momento, prosegue Sylos Labini, la capacità di intervento dello Stato nell’economia andò incontro ad un drastico ridimensionamento, mentre i lavoratori iniziarono a subire i ricatti delle delocalizzazioni produttive: imprese trasferite nel terzo mondo, dove il lavoro costa pochissimo, a tutto vantaggio del nuovo capitalismo finanziario. «Si è creato così un mercato finanziario integrato che ha consentito al capitale di tutto il mondo di entrare in collegamento e di dar luogo all’“internazionale dei capitalisti”, un’élite globale che concentra in sé un potere immenso». Ironia della storia: «L’appello di Karl Marx, “proletari di tutto il mondo unitevi”, si è realizzato, ma al contrario».Oggi, i mercati finanziari sono diventati un’istituzione strutturata. E si esprimono come gli Stati. «È ben noto, infatti, che a Wall Street si tengono riunioni periodiche dei capi delle grandi banche e delle società finanziarie che stabiliscono i tassi di interesse e, attraverso le decisioni di investimento, possono sfiduciare i governi che attuano politiche economiche non gradite, condizionando il destino di intere popolazioni». Di fatto, «la democrazia è stata svuotata e la sovranità popolare umiliata». Vie d’uscita? Una: «Superare la globalizzazione gestita dal capitale finanziario». Ma costruire un nuovo modello di sviluppo non sarà semplice, «perché il vasto schieramento che è contro l’austerità e il liberismo non ha una strategia unitaria». Troppe fazioni, in contrasto tra loro. «Una situazione particolarmente grave in Europa, dove esiste il problema di una moneta unica che sta allargando i divari tra il blocco dell’euro-marco e i paesi della periferia». Per Sylos Labini, «ci troviamo in una trappola infernale», perché «uscire dalla moneta unica è complicato», ma «continuare con queste politiche economiche ci porterà al disastro». E sperare in una svolta progressista dell’Europa è «un’ingenua illusione».Scrisse Antonio Gramsci: «La crisi è quel momento in cui il vecchio muore e il nuovo stenta a nascere». Questa citazione descrive bene ciò che sta succedendo nel periodo attuale, sostiene Stefano Sylos Labini: il capitalismo finanziario neoliberista è entrato in crisi ormai da anni e sta utilizzando l’intervento delle banche centrali per rimanere in piedi. Si è capito che i vecchi approcci sono ormai superati perché non riescono più a garantire crescita e benessere diffuso. «L’intervento pubblico è paralizzato dal peso del debito mentre il sistema bancario si è inceppato e non sta finanziando in modo adeguato le famiglie e le imprese». Per questo servono nuove logiche di intervento per sostenere l’economia reale. Sylos Labini cita il Sardex, moneta complementare lanciata in Sardegna come “sistema di compensazione di credito reciproco”, attraverso cui l’economia reale crea la sua moneta per finanziare scambi e investimenti evitando l’intermediazione del sistema bancario. Ma ovviamente non basta: «E qui in Europa abbiamo anche il problema dell’euro», aggiunge l’economista, «che si fonda su delle regole che impediscono di promuovere la crescita dell’economia e non consentono di attuare politiche per ridurre la disoccupazione».
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Paolo Barnard, l’appestato. E’ l’uomo più scomodo d’Italia
Ho iniziato a fare il giornalista ‘alla vecchia’ (piccoli pezzi x piccolo ma ottimo giornale, “La Gazzetta di Parma”) mentre vivevo a Londra sotto il ‘Nazismo’ Neoliberista di Margaret Thatcher. Anni ’80. Lavoravo con schiavi sociali in un tunnel a sgrassare auto, in nero. Ho vissuto come vivono gli schiavi delle ‘riforme’ del lavoro. Mi sono specializzato in politica estera vivendo anche negli Usa. Lì ho visto di peggio parlando di sadismo sociale Neoliberista, cose che in Italia arriveranno fra 20 anni. Di certo. Nel 1988 approdo alla stampa italiana importante, Mondadori, perché ho l’idea di essere il primo giornalista al mondo che intervista Roger Waters, Pink Floyd, unicamente sulle tematiche sociali di “The Wall”. Waters aveva appena rifiutato una richiesta di “Rolling Stone Magazine”. Accetta me perché nessuno si era mai interessato alle sue idee politiche. Nel 1991 inizio una collaborazione con “Samarcanda” di Michele Santoro, dove, con l’aiuto della compianta Jill Tweedy, faccio lo scoop del testimone americano che, all’insaputa del mondo intero, era rinchiuso all’Al-Rasheed hotel di Baghdad durante la I Guerra del Golfo, e che aveva smentito con foto tutta la versione della Cnn/Pentagono su bombardamenti di civili.Vengo minacciato di arresto dal deputato Giuliano Ferrara e salvato da Andreotti che, col Papa, si opponeva alla guerra. Mai incontrato Andreotti, la cosa mi fu rivelata dopo da Paolo Liguori. 1993, vengo minacciato di morte da un agente Cia a Roma, che mi dice: «Se ti offriamo 5 milioni di lire al mese per andare a fare il giornalista all’ufficio turistico del Trentino, tu accetta. Mi stai capendo?». Offerta mai giunta, perché fui allontanato dalla Rai immediatamente, quindi non ero più un pericolo. Nel 1993 scopro per primo le torture dei soldati italiani in Somalia nell’operazione “Restore Hope”, le pubblico su “La Stampa” di Torino. Silenzio generale (anni dopo, “Panorama” fece lo ‘scoop’). Nel frattempo lavoro per quasi tutte le testate nazionali di stampa, inclusi il “Corriere della Sera” e la “Voce” di Indro Montanelli, poi per Paolo Flores D’Arcais a “Micromega”, e per il “Golem” del “Sole 24 Ore” con l’ex Pm di Mani Pulite Gherardo Colombo. Sempre da esterno. Nel 1994, Roberto Quagliano, Milena Gabanelli ed io, con 4 altri, fondiamo “Report”, sotto la direzione di Giovanni Minoli (allora si chiamava “Effetto Video8”).Nello stesso anno sono in Africa a lavorare sulla guerra in Angola e soprattutto in Sudafrica, dove Mandela rischia di non poter essere eletto per via delle violenze. Vedo stragi, corpi dilaniati, rischio due volte di morire. La seconda volta ero sdraiato sul fondo di una cabina del telefono x mandare una corrispondenza, mentre dei proiettili Ak 47 mi volavano sopra la testa. Dall’altra parte del telefono un idiota mi dice: «Richiama, c’è Berlusconi in diretta». Lì decisi che l’Italia… stocazzo. All’elezione di Mandela sputtano Henry Kissinger di fronte a tutta la stampa mondiale. Nessun italiano presente. Pensai di non lasciare il paese vivo. Alla fine del 1995 intervisto in esclusiva il leader serbo-bosniaco Radovan Karadzic, che faccio infuriare quando gli dico che Milosevic ha tendenze suicide e sta portando tutto il paese alla morte. Al tempo non eravamo al corrente degli accordi segreti Usa-Israele per fomentare la guerra, rivelati poi. Nel 1998 faccio un’inchiesta (“Report”, Rai3) sull’assistenza ai morenti (Hospice) del tutto inesistente allora in Italia. Sono il primo in Italia a fare un’inchiesta (“Report”, Rai3) sul debito dei paesi poveri che li sta ammazzando per il sadismo del Fondo Monetario Internazionale, che insiste nei pagamenti da parte di gente disperata. Vedo la fame, cosa sono i poveri davvero, l’orrore dell’Africa fuori dai club vacanze.Sono il primo in Italia nel 1999 a fare un’inchiesta (“Report”, Rai3) sulla globalizzazione e sugli Istituti Sovranazionali padroni del mondo, che comandano i Parlamenti di chiunque (oggi tutti lo sanno…). Da lì inizio la mia indagine sul Vero Potere, intuisco cioè che la vita di tutti noi non è comandata dai singoli governi. Sono il primo in Italia a fare un’inchiesta (“Report”, Rai3) dove denuncio Usa, Iraele e Gran Bretagna come i maggiori terroristi del mondo. Tratto il caso Palestina senza peli sulla lingua per Israele. Ricevo il plauso di Noam Chomsky, Ilan Pappe, John Pilger, fra gli altri. Sono il primo in Italia a fare un’inchiesta (“Report”, Rai3) sullo sfruttamento degli ammalati da parte delle multinazionali del farmaco, che costa alla Rai la prima querela in civile mai ricevuta, e a me l’abbandono da parte di Milena Gabanelli, “l’eroina del giornalismo libero”. Mi abbandonarono perché non si creasse un precedente in Rai dove un giornalista viene difeso e gli viene pagata l’eventuale condanna pecuniaria. In tribunale, Rai e Gabanelli chiedono la mia condanna in esclusiva, come se l’inchiesta l’avessi messa in onda io da solo! Perdo il lavoro e il reddito e non ho fondi per difendermi.Sono il primo in Italia a fare un’inchiesta (Rai Educational di Minoli) su come una Commissione di Grandi Clinici ammalati gravi, che quindi hanno conosciuto la sofferenza e la paura, saprebbe rifare la sanità in senso più umano e più efficiente. Fondiamo la Commissione, arriviamo fino al ministro della sanità Livia Turco, ma il suo governo cade poche settimane dopo. Sono il primo in Italia a scrivere un libro di altissima documentazione internazionale (archivi segreti Usa e Gb et al.) sul terrorismo occidentale nel mondo povero, sull’orrore neo-nazista d’Israele in Palestina, e di come questo nostro terrorismo in un secolo di violenze immani ha poi portato a Bin Laden e ad altri gruppi armati di resistenza nel mondo. Il libro è edito da Rizzoli Bur, col titolo “Perché ci odiano”. Scrivo altri 5 libri, ma non voglio che li compriate, perché gli editori sono delle merde e non meritano soldi. Giovanni Minoli mi chiede di tornare in Rai. Gli dico no. Prima Rai e Gabanelli devono chiedermi scusa in pubblico (sì, certo). Scrivo due saggi, fra altri, intitolati “Per un mondo migliore” e “L’informazione è noi” dove parlo di concetti che forse verranno capiti fra 90 anni.Nel 2009 intuisco che tutta l’Eurozona è un immenso crimine sociale guidato da poteri forti, cioè il Vero Potere. Studio un’economia alternativa e di altissimo interesse pubblico, la Mosler Economics-Mmt (Me-Mmt), dal nome dell’economista americano Warren Mosler (un genio). La porto in Italia per primo, e nel 2010 pubblico la storia, la denuncia, e i rimedi (la Me-Mmt) del crimine chiamato Eurozona in “Il Più Grande Crimine” (online). Vengo deriso per anni da tutti, specialmente dagli economisti di ‘sinistra’. Oggi tutti ’sti pezzenti mi copiano parola per parola senza citarmi. Racconto per anni cosa sia il Vero Potere, come funziona, dico cose che appaiono alla gente e ai ‘colleghi’ come follie, ma sono io avanti 50 anni su questo perché ho vissuto fra Il Vero Potere, e infatti tutto ciò che dissi si sta avverando. Nel 2012, al palazzo dello sport di Rimini, io e altri attivisti organizziamo la più grande conferenza di economia della storia, con oltre 2.000 partecipanti paganti. Portiamo la Me-Mmt in Italia in grande stile. Nessun media, neppure quelli di quartiere ci coprono. Santoro manda una ragazzina a filmare, che poi dirà che le cassette furono… rubate.La Me-Mmt diventa un fenomeno nazionale organizzato per gruppi regionali. Facciamo migliaia di conferenze. Io vengo chiamato da “L’ultima parola”, Rai2, diverse volte, da TgCom24, da “La Zanzara”, da Radio3, e poi divengo editorialista economico di punta di “La Gabbia” a La7. Verrò cacciato per motivi, non pretestuosi ma ridicoli, da Gian Luigi Paragone di “La Gabbia” ben 3 volte. La verità la sa solo lui (e Berlusconi). Creo quindi ciò che lo stesso Warren Mosler chiama “il più grande fenomeno Me-Mmt” del mondo. Purtroppo pochi anni dopo Mosler mi accoltella alle spalle, col beneplacido del 99% dei miei collaboratori. Oplà. Divento un ‘appestato’, il primo giornalista-Ebola d’Italia. Una carriera, la mia, che va dal top nazionale al non essere più chiamato neppure da una radio di parrocchia. Sono il primo in Italia a inventarsi “La crisi economica spiegata alla nonna”, dove racconto il crimine epocale dell’Eurozona con termini comprensibili alle nonne. Oggi gentaglia economica di ogni sorta, e i miei stessi ex collaboratori, mi stanno copiando tutto senza citarmi. Sono il primo in Italia a inventarsi “La storia dell’economia (che ti dà da mangiare) spiegara al bar”. Idem come sopra, copioni inclusi. Sono il primo in Italia a inventarsi “L’economia criminale spiegata ai ragazzi attraverso i testi delle canzoni pop”. Questa non me l’hanno ancora copiata, ma fra un poco vedrete…Nella mia vita professionale ho mandato al diavolo ogni singola occasione di divenire famoso. Ho criticato aspramente (mandato a fanc…) per senso di giustizia ed etica: Minoli (disse: «Se vedo Barnard gli tiro un armadio», ma Minoli rimane un ‘grande’) – la Gabanelli (che rimane una m…) – Flores D’Arcais – Gherardo Colombo – Marco Travaglio – Beppe Grillo (che mi chiamò a Quarrata “un grande”) – Lorenzo Fazio che è il boss di Chiarelettere e del “Fatto Quotidiano” – Giuliano Amato (che mi chiamò a casa) – Vittorio Sgarbi che mi voleva in una sua trasmissione – il ministro Tremonti che mi chiamò per capire ‘la moneta’… – Cruciani e Parenzo in diverse puntate – Gianluigi Paragone – e ho rifiutato ogni singola offerta di candidatura politica, fra cui quella di Berlusconi per voce di Marcello Fiori (con testimoni). Ho ignorato un migliaio di paraculi più o meno noti che mi volevano come volto pubblico. Ho detto a Maroni in diretta Tv che è un deficiente, ho chiamato “criminali” Mario Monti, Prodi, Napolitano e molti altri, sempre in diretta Tv, mi feci cacciare dal ministero dell’industria dal ministro Piero Fassino, ho sputtanato Romano Prodi alla Commissione Europea, ho detto a Peter Gomez che è un falsario (con Travaglio) che ha ignorato la distruzione del paese per far soldi coi libri su Berlusconi. Infatti sono l’unico italiano che non ha un blog sul “Fatto Quotidiano”.Quando compresi che il 99% dei miei collaboratori nel Movimento Me-Mmt erano dei fagiani che non capiscono il Vero Potere per nulla, parecchio vigliacchini, o che erano perfidi carrieristi, li ho tutti buttati al cesso. E… ho ignorato un tal Roberto Mancini che si è alzato da un tavolo per stringermi la mano. Non sapevo che è una star del calcio…( Ho fatto volontariato per decenni in aiuto a gente che voi neppure immaginate, ho messo le mani nel dolore, nella devastazione sociale, nella morte. E forse sarà l’unica cosa che mi ricorderò quando crepo. Oggi nel panorama giornalistico e intellettuale non mi considera più nessuno. Dicono, alcuni critici, che è a causa delle mie folli provocazioni sociali che ho reso pubbliche, ma ciò è falso: il problema non erano le mie provocazioni, ma che il 99,9% del pubblico è troppo scemo per capirle. Nella realtà, e siamo seri, se un reporter da 30 anni attacca Usa, Israele, e soprattutto il Vero Potere come ho fatto io, be’, è normale essere sepolto vivo. Curiosità: piaccio alle donne, ragazzine incluse, come se fossi Johnny Depp, ma so che è solo perché sono un ‘personaggio’, e non ci vado a letto (sono vecchio e brutto come un c…). So fare le pizze e il filetto al pepe verde come un Dio. Ho un carattere micidiale, quando mi parte la furia o la rabbia sociale non mi fermo (inclusi gli 8 poliziotti che chiamavo ‘assassini’ di Cucchi e Aldrovandi, e che mi hanno spaccato un braccio, denunciato, ecc.). Ma sono un genio che ha scritto e fatto cose 100 anni avanti a tutti. Amo indossare i gioielli come le donne, e di più. Adoro la donne. Vostro PB.
(Paolo Barnard, “Obbligatorio leggere chi sono, prima di leggermi”, post in evidenzia nel blog di Barnard, i cui agiornamenti sono sospesi, per protesta, dall’inizio di agosto 2016, per sfiducia nel pubblico italiano).Ho iniziato a fare il giornalista ‘alla vecchia’ (piccoli pezzi x piccolo ma ottimo giornale, “La Gazzetta di Parma”) mentre vivevo a Londra sotto il ‘Nazismo’ Neoliberista di Margaret Thatcher. Anni ’80. Lavoravo con schiavi sociali in un tunnel a sgrassare auto, in nero. Ho vissuto come vivono gli schiavi delle ‘riforme’ del lavoro. Mi sono specializzato in politica estera vivendo anche negli Usa. Lì ho visto di peggio parlando di sadismo sociale Neoliberista, cose che in Italia arriveranno fra 20 anni. Di certo. Nel 1988 approdo alla stampa italiana importante, Mondadori, perché ho l’idea di essere il primo giornalista al mondo che intervista Roger Waters, Pink Floyd, unicamente sulle tematiche sociali di “The Wall”. Waters aveva appena rifiutato una richiesta di “Rolling Stone Magazine”. Accetta me perché nessuno si era mai interessato alle sue idee politiche. Nel 1991 inizio una collaborazione con “Samarcanda” di Michele Santoro, dove, con l’aiuto della compianta Jill Tweedy, faccio lo scoop del testimone americano che, all’insaputa del mondo intero, era rinchiuso all’Al-Rasheed hotel di Baghdad durante la I Guerra del Golfo, e che aveva smentito con foto tutta la versione della Cnn/Pentagono su bombardamenti di civili.
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5 Stelle e zero idee: l’Italia non ha alternative al peggio
C’è qualcosa di sconcertante nel tempismo con cui, all’indomani del voto sul Brexit, il Movimento 5 Stelle si è precipitato a dichiarare la propria assoluta contrarietà all’uscita dall’Unione Europea e dalla tenaglia suicida dell’euro. Il partito fondato da Grillo e Casaleggio, che ha costruito la sua narrazione propagandistica sulla riappropriazione della sovranità da parte dei cittadini, è come se gettasse la maschera: fa sapere infatti che non muoverà un dito contro la colossale macchina europea edificata per abolire ogni sovranità democratica utilizzando proprio la leva finanziaria per impedire agli Stati di investire in occupazione. A quanto pare, tutto quello che faranno, i 5 Stelle, sarà – al massimo – sostituire il Pd, magari ripulendo il volto del personale politico, ma senza disturbare il manovratore. Non una parola, dai grillini, su come costruire un piano-B per restituire salute economica al paese. E silenzio assoluto anche sul vasto e assordante background della geopolitica, fra terrorismo opaco, fiumi di profughi e guerre alle porte. Nessuna vera indicazione: né sulla politica economica, né sulla politica estera.Era tutto previsto fin dall’inizio, sostegono alcuni critici come Gianfranco Carpeoro, secondo cui i 5 Stelle sono stati, da sempre, la carta di riserva degli Stati Uniti per contenere la protesta e impedire all’Italia di esprimere una politica autonoma. In altre parole: se cade Renzi arriva Di Maio, ma non cambia assolutamente nulla. Un ex pentastellato come Bartolomeo Pepe, ai microfoni di “Forme d’Onda”, mette la parte il risentimento dell’ex per lasciare spazio all’amarezza e alla preoccupazione: denuncia la manipolazione verticistica di cui la stragrande maggioranza degli stessi 5 Stelle (elettori ed eletti) sarebbe vittima, e su Di Maio esprime un giudizio ben poco lusinghiero: il super-canditato grillino sarebbe «un bravo attore, una scatola senza contenuti», reduce da svariate ricognizioni nei centri di potere – politici, diplomatici, finanziari – per rassicurare i padroni del vapore e spiegare loro che, coi 5 Stelle a Palazzo Chigi, non avranno nulla da temere.Se il senatore Pepe – un coraggioso attivista antimafia – racconta il profondo travaglio personale col quale ha vissuto la disillusione e quindi lo strappo dal gruppo Grillo-Casaleggio, al pubblico resta un senso di desolazione: si sta avvicinando il momento delle grandi decisioni, e l’Italia non ha una squadra da schierare in campo. La meteora Renzi sta evaporando, il centrodestra non esiste più, i 5 Stelle non esprimono un’alternativa di governo. Tra i loro più fermi detrattori, il profetico Paolo Barnard: già all’indomani delle politiche 2013 si era affrettato a proporre ai grillini un piano di piena occupazione messo a punto da un team di economisti guidato da Warren Mosler. Valore: 2 milioni di posti di lavoro. Bellissimo, risposero, ma Grillo e Casaleggio non ne vogliono sapere. Dopo tre anni di piccolo cabotaggio e conquiste di Comuni e città, con l’Europa in frantumi e l’Italia sempre più in bilico, dai 5 Stelle non è finora pervenuta nessuna soluzione strutturale per riconvertire il declino italiano strappando il paese allo strapotere dell’élite finanziaria internazionale. “There is no alternative”, diceva Margaret Thatcher.C’è qualcosa di sconcertante nel tempismo con cui, all’indomani del voto sul Brexit, il Movimento 5 Stelle si è precipitato a dichiarare la propria assoluta contrarietà all’uscita dall’Unione Europea e dalla tenaglia suicida dell’euro. Il partito fondato da Grillo e Casaleggio, che ha costruito la sua narrazione propagandistica sulla riappropriazione della sovranità da parte dei cittadini, è come se gettasse la maschera: fa sapere infatti che non muoverà un dito contro la colossale macchina europea edificata per abolire ogni sovranità democratica utilizzando proprio la leva finanziaria per impedire agli Stati di investire in occupazione. A quanto pare, tutto quello che faranno, i 5 Stelle, sarà – al massimo – sostituire il Pd, magari ripulendo il volto del personale politico, ma senza disturbare il manovratore. Non una parola, dai grillini, su come costruire un piano-B per restituire salute economica al paese. E silenzio assoluto anche sul vasto e assordante background della geopolitica, fra terrorismo opaco, fiumi di profughi e guerre alle porte. Nessuna vera indicazione: né sulla politica economica, né sulla politica estera.
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Ciao Usa, meglio la Cina: ecco il Brexit. L’Ue? E’ già finita
«Nessuno sembra capire le conseguenze della decisione britannica di lasciare l’Unione Europea: la separazione dei britannici dalla Ue non si farà affatto lentamente, perché l’Unione crollerà più velocemente rispetto al tempo necessario alle trattative burocratiche per l’uscita della Gran Bretagna». Così la vede il giornalista Thierry Meyssan, analista internazionale. Tesi: al netto del chiasso dei “populismi” alla Farage, il voto inglese è stato voluto da chi comanda a Londra, che ha ormai capito che il tempo del dominio Usa – di cui Bruxelles è una succursale – è ormai al tramonto. Meglio allora sbaraccare, tenendosi le mani libere per essere i primi, in Europa, a chiudere un accordo strategico col nuovo vincitore, la Cina. La posta in gioco non ha nulla a che fare con le polemiche sull’immigrazione: «Il divario tra la realtà e il discorso politico-mediatico illustra la malattia di cui soffrono le élites occidentali: la loro incompetenza». Ancora nel 1989, il Pcus non “vedeva” il crollo del Muro di Berlino. Poi vennero la fine del Comecon e del Patto di Varsavia, il collasso dell’Urss. «In un futuro assai prossimo assisteremo in modo identico alla dissoluzione dell’Unione Europea e della Nato e – se non staranno abbastanza attenti – allo smantellamento degli Stati Uniti».A differenza delle spacconate di Nigel Farage, l’Ukip non è all’origine del referendum che ha appena vinto, scrive Meyssan su “Megachip”. «Questa decisione è stata imposta a David Cameron da membri del partito conservatore: per loro, la politica di Londra deve essere un adattamento pragmatico al mondo che cambia. Questa “nazione di bottegai”, come la definiva Napoleone, osserva che gli Stati Uniti non sono più né la più grande economia del mondo, né la prima potenza militare. Non hanno dunque più motivo di essere i loro partner privilegiati». Proprio come Margaret Thatcher non ha esitato a distruggere l’industria britannica per trasformare il suo paese in un centro finanziario globale, continua Meyssan, allo stesso modo «questi conservatori non hanno esitato ad aprire la via all’indipendenza della Scozia e dell’Irlanda del Nord, e quindi alla perdita del petrolio del Mare del Nord, per fare della City il primo centro finanziario “off shore” dello yuan».La campagna per il Brexit è stata ampiamente sostenuta dalla Gentry e da Buckingham Palace, che hanno mobilitato la stampa popolare per fare appello a ritornare all’indipendenza. E, contrariamente a quanto spiega la stampa europea, la separazione dei britannici da Bruxelles avverrà alla velocità della luce, cioè prima che possa crollare la stessa Unione Europea. Meyssan insiste con il paragone con l’Urss, che si afflosciò in un amen, una volta iniziato il movimento centrifugo. «Gli Stati membri della Ue che si aggrappano ai rami e continuano a salvare quel che resta dell’Unione non riusciranno ad adattarsi alla nuova situazione, con il rischio di sperimentare le convulsioni dolorose dei primi anni della nuova Russia: caduta vertiginosa del livello di vita e della speranza di vita». E ancora: «Tutti credono, a torto, che il Brexit apra una breccia in cui gli euroscettici andranno a introdursi». Ma il Brexit è solo «una risposta al declino degli Stati Uniti».Il Pentagono, che prepara il vertice Nato a Varsavia, «non ha capito che non era più in grado di imporre ai suoi alleati di sviluppare il loro bilancio della difesa e di sostenere le sue avventure militari». Il dominio di Washington nel mondo è terminato? «Quel che abbiamo è un cambiamento d’epoca».La caduta del blocco sovietico, continua Meyssan, è stata dapprima la morte di una visione del mondo: i sovietici e i loro alleati volevano costruire una società solidale in cui si mettessero quante più cose possibili in comune. Ma hanno avuto «una burocrazia titanica e dei dirigenti necrotizzati». Il Muro di Berlino? «Non è stato abbattuto da anti-comunisti, ma da una coalizione di giovani comunisti e di Chiese luterane. Intendevano rifondare l’ideale comunista liberato dalla tutela sovietica, dalla polizia politica e dalla burocrazia. Sono stati traditi dalle loro élites che, dopo aver servito gli interessi dei sovietici si sono precipitate con tanto ardore a servire quelli degli statunitensi». Oggi, gli elettori del Brexit più impegnati cercano in primo luogo di riguadagnare la loro sovranità nazionale e di far pagare ai leader dell’Europa occidentale l’arroganza di cui hanno dato ampia prova con l’imposizione del Trattato di Lisbona dopo il rifiuto popolare della Costituzione europea (2004- 07). Potrebbero anche essere delusi da ciò che seguirà, sostiene Meyssan. «Il Brexit segna la fine della dominazione ideologica degli Stati Uniti, quella della democrazia al ribasso delle “quattro libertà”», indicate da Roosevelt nel 1941: libertà di parola e di espressione, libertà di religione, libertà dal bisogno, libertà dalla paura di un’aggressione straniera. «Se gli inglesi risaliranno alle loro tradizioni, gli europei continentali ritroveranno gli interrogativi delle rivoluzioni francese e russa sulla legittimità del potere, e rovesceranno le loro istituzioni a rischio di veder risorgere il conflitto franco-tedesco».Qualcosa di tellurico sta già avvenendo in Francia, dove i sindacati rifiutano il disegno di legge sul lavoro redatto dal governo Valls sulla base di un rapporto dell’Unione Europea, a sua volta ispirato dalle istruzioni del Dipartimento di Stato Usa. «Se la mobilitazione della Cgt ha permesso ai francesi di scoprire il ruolo dell’Ue in questo caso, non hanno ancora colto in cosa consista l’articolazione Ue-Usa. Hanno capito che invertendo le norme e mettendo i contratti aziendali al di sopra dei contratti di settore, il governo rimetteva in realtà in questione la preminenza della legge sul contratto, ma ignorano la strategia di Joseph Korbel e dei suoi due figli, la sua figlia naturale democratica Madeleine Albright e la sua figlia adottiva repubblicana Condoleezza Rice. Il professor Korbel affermava che, per dominare il mondo, era sufficiente che Washington imponesse una riscrittura delle relazioni internazionali secondo termini giuridici anglosassoni. In effetti, nel porre il contratto al di sopra della legge, il diritto anglosassone privilegia nel lungo periodo i ricchi e i potenti in rapporto ai poveri e ai miserabili».È probabile che i francesi, gli olandesi, i danesi e altri ancora cercheranno di rompere con l’Unione europea, continua Meyssan. «Dovranno per tutto ciò affrontare la loro classe dirigente. Se la durata di questa lotta è imprevedibile, il risultato non lascia più dubbi». Quanto alla Gran Bretagna, potrebbe essere Boris Johnson a gestire la transizione, che sarà rapidissima: «Il Regno Unito non aspetterà la sua uscita definitiva dalla Ue per gestire la propria politica. A cominciare dal dissociarsi dalle sanzioni prese contro la Russia e la Siria». A differenza di quel che scrive la stampa europea, la City di Londra non è direttamente influenzata dal Brexit: «Dato il suo status speciale di Stato indipendente sotto l’autorità della Corona, non ha mai fatto parte dell’Unione Europea». E così «potrà utilizzare la sovranità di Londra per sviluppare il mercato dello yuan». Già ad aprile, annota Meyssan, la City ha ottenuto i privilegi necessari firmando un accordo con la Banca centrale della Cina. «Inoltre, dovrebbe sviluppare le sue attività di paradiso fiscale per gli europei».Se il Brexit disorganizzerà temporaneamente l’economia britannica in attesa di nuove regole, è probabile che il Regno Unito – o almeno l’Inghilterra – si riorganizzerà rapidamente ottenendo il massimo profitto. «La domanda è se chi ha concepito questo terremoto avrà la saggezza di far arrivare dei benefici al proprio popolo: il Brexit è un ritorno alla sovranità nazionale, non garantisce la sovranità popolare», conclude Meyssan. «Il panorama internazionale può evolvere in modi molto diversi a seconda delle reazioni che seguiranno. Anche se questo dovesse andare male per alcune persone, è sempre meglio attenersi alla realtà come fanno i britannici, anziché persistere a stare in un sogno fino a quando questo non va in pezzi».«Nessuno sembra capire le conseguenze della decisione britannica di lasciare l’Unione Europea: la separazione dei britannici dalla Ue non si farà affatto lentamente, perché l’Unione crollerà più velocemente rispetto al tempo necessario alle trattative burocratiche per l’uscita della Gran Bretagna». Così la vede il giornalista Thierry Meyssan, analista internazionale. Tesi: al netto del chiasso dei “populismi” alla Farage, il voto inglese è stato voluto da chi comanda a Londra, che ha ormai capito che il tempo del dominio Usa – di cui Bruxelles è una succursale – è ormai al tramonto. Meglio allora sbaraccare, tenendosi le mani libere per essere i primi, in Europa, a chiudere un accordo strategico col nuovo vincitore, la Cina. La posta in gioco non ha nulla a che fare con le polemiche sull’immigrazione: «Il divario tra la realtà e il discorso politico-mediatico illustra la malattia di cui soffrono le élites occidentali: la loro incompetenza». Ancora nel 1989, il Pcus non “vedeva” il crollo del Muro di Berlino. Poi vennero la fine del Comecon e del Patto di Varsavia, il collasso dell’Urss. «In un futuro assai prossimo assisteremo in modo identico alla dissoluzione dell’Unione Europea e della Nato e – se non staranno abbastanza attenti – allo smantellamento degli Stati Uniti».
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Brexit, il sogno si avvera: torna il fantasma della democrazia
Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. “The impossible made possible”: i primi dati consolidati sullo scrutinio inglese – la Brexit al 52%, nonostante l’efferato, “provvidenziale” omicidio dell’unionista Jo Cox, turpemente trasformata in martire della causa di Bruxelles – finisce per scomodare l’immaginario collettivo e mediatico, dal trionfalismo lirico dei sovranisti al catastrofismo apocalittico degli europeisti ad ogni costo, con le loro proiezioni infernali sulla “fine del mondo” in salsa britannica, l’annesso crollo della sterlina e l’armageddon delle Borse. Di fatto, la parola Brexit – che ha terrorizzato Obama e Cameron, la Merkel e Wall Street, Draghi e la Bce, cioè tutti i principali protagonisti “neri” del girone dantesco chiamato crisi, fatto di recessione e austerity, guerra e terrorismo – assume un significato sconcertante, di portata epocale: il ritorno della sovranità democratica, pura eresia che trionfa, in un continente narcotizzato da tecnocrati oscuri, dominato da lobby planetarie impegnate da quarant’anni a spegnere, svuotare, neutralizzare ogni residuo germe di democrazia.Brexit suona davvero come fine del mondo, di quel mondo: dal “there is no alternative” di Margaret Thatcher negli anni ‘80 al “padroni a casa nostra” del fatidico 2016. Non c’è alternativa all’iper-liberismo totalitario, neo-aristocratico e privatizzatore del regime fiscale del 3%, dell’Eurozona e del Ttip? A quanto pare, gli inglesi non concordano: una alternativa deve per forza esistere, altrimenti finisce anche il popolo – inteso come comunità votante, sociale ed economica. Da Londra sembra levarsi un boato, destinato ad assordare l’Occidente, fino a coprire di ridicolo anche i più recenti belati italiani: «Noi non siamo mai stati contrari all’Unione Europea, vorremmo solo che fosse un po’ più democratica», ha ripetuto di recente in televisione il grillino Di Battista, nel solco del Casaleggio che, alla vigilia delle europee, dichiarò a Marco Travaglio: «Noi non siamo contrari all’euro». Come se lo scenario fosse dominato dalla paura di dover sfidare apertamente un regime tenebroso, capace di tutto.Aspettiamoci qualsiasi cosa, scrive Federico Dezzani sul suo blog: dal voto inglese fino alle elezioni americane, c’è da temere colpi di coda inimmaginabili. Chi ha cercato in ogni modo di evitare la Brexit adesso farà l’impossibile per sbarrare la strada a Donald Trump, l’imprevedibile tycoon si cui il super-potere non si fida, anche perché – in mezzo a tante chiacchiere confuse e violente – accusa Obama e la Clinton per l’affermazione dell’Isis in Siria e blatera di accordi strategici con la Russia per porre termine alla sporchissima “guerra infinita” che sta ininterrottamente insanguinando il mondo a partire dall’11 Settembre. In questa chiave, hanno ripetuto svariati analisti, va letta anche la strategia della tensione in atto dal Medio Oriente agli Usa, fino agli attentati europei di Parigi e Bruxelles. Segnali che indicano che l’élite del “there is no alternative” è spaccata e inquieta, una parte del vertice planetario si sta defilando di fronte al conto spaventoso dei costi umani della privatizzazione globale, a partire dal massacro della Grecia, con guerre ovunque e l’esodo biblico dei profughi. Ma il voto inglese supera le manovre di vertice, e rimette in campo il fantasma di gran lunga più temuto dagli architetti del medioevo Ue: quello della democrazia.Quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo lo chiama farfalla. “The impossible made possible”: i primi dati consolidati sullo scrutinio inglese – la Brexit al 52%, nonostante l’efferato, “provvidenziale” omicidio dell’unionista Jo Cox, turpemente trasformata in martire della causa di Bruxelles – finisce per scomodare l’immaginario collettivo e mediatico, dal trionfalismo lirico dei sovranisti al catastrofismo apocalittico degli europeisti ad ogni costo, con le loro proiezioni infernali sulla “fine del mondo” in salsa britannica, l’annesso crollo della sterlina e l’armageddon delle Borse. Di fatto, la parola Brexit – che ha terrorizzato Obama e Cameron, la Merkel e Wall Street, Draghi e la Bce, cioè tutti i principali protagonisti “neri” del girone dantesco chiamato crisi, fatto di recessione e austerity, guerra e terrorismo – assume un significato sconcertante, di portata epocale: il ritorno della sovranità democratica, pura eresia che trionfa, in un continente narcotizzato da tecnocrati oscuri, dominato da lobby planetarie impegnate da quarant’anni a spegnere, svuotare, neutralizzare ogni residuo germe di democrazia.
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Jobs Act e Ttip, francesi in rivolta. E gli italiani? Buonanotte
“Non temere il nemico, che può solo prenderti la vita. Molto meglio che temi i media, poiché quelli ti rubano la verità e l’onore. Quel potere orribile, l’opinione pubblica di una nazione, viene creato da un’orda di ignoranti, compiaciuti sempliciotti che incapaci di zappare o fabbricare scarpe, si sono dati al giornalismo per evitare il Monte di Pietà” (Mark Twain). “Una stampa cinica, mercenaria, demagogica finirà col produrre un popolo altrettanto spregevole” (Joseph Pulitzer). Le fenomenali lotte insurrezionali in Francia, dove si sta applicando la lezione latinoamericana dell’attacco allo Stato capitalista di polizia attravero il blocco dello Stato da parte di tutte le categorie che lo fanno funzionare, meriterebbe un trattamento approfondito e su vasta scala, anche per neutralizzare l’omertà della nostra tremebonda classe politica e dei nostri media asserviti. Omertà con il regime francese che si esprime attraverso l’arma di un silenzio quasi assoluto su quanto da settimane va succedendo in quel paese.Essendo noi quelli dove un prefetto può ridurre d’imperio da 24 a 4 ore uno sciopero dei trasporti, senza che il sindacato sollevi un sopracciglio, sapendo adeguatamente della Francia e dei suoi scioperi ad oltranza, potremmo scoprire che non è detto che i giochi col padrone – che sia Renzi, Boccia, Camusso, Juncker, Draghi, Obama – si debbano sempre fare secondo le regole loro. Ho trovato in rete il documento in calce che fa un interessante confronto tra la nostra situazione e quella francese. Credo che l’autore dello scritto,fidandosi del potenziale di lotta dei lavoratori italiani, pur sottolineando la diserzione dei loro rappresentanti storici, sindacali e politici, trascuri un dato importante: la passivizzazione dei settori sociali che una successione di governi al servizio del grande capitale finanziario transnazionale è riuscita a produrre. Uno degli strumenti più efficaci, dopo la creazione dello Stato della Sorveglianza Totale e della paura, è stato il depistaggio dalla contraddizione principale, quella di classe, quella del rapporto di forza tra padrone e lavoratore, tra sovrano e suddito, tra dipendenza e sovranità, all’obiettivo totalizzante dei – pur validi – diritti civili, unioni di fatto, Glbtq, adozioni.Molto importante è poi un dato storico, metapolitico: in Francia resiste un forte senso patriottico in difesa della sovranità dello Stato, che in passato, a partire da De Gaulle, aveva determinato il rifiuto dell’ingresso nell’apparato militare della Nato e poi aveva prodotto lo straordinario No al referendum sui trattati Ue. In Francia, perciò, mi sembra esserci un terreno più propizio per l’opposizione a provvedimenti di repressione e desertificazione sociale (le 45-50 ore di lavoro settimanali, i contratti aziendali a discapito di quelli nazionali di categoria, la totale flessibilità e il potere assoluto di licenziamento) che la gente percepisce essere la componente francese di un piano transnazionale di trasferimento della ricchezza dal basso in alto, di liquidazione della sovranità popolare e statale, di distruzione progressiva dei diritti e delle libertà democratiche, che hanno per mandanti i tecnocrati non eletti di Bruxelles, Wall Street e la Nato. Cioè forze esterne e prevaricatrici. Fenomeno già riscontrato in tempi recenti quando, facendosi forza della minaccia terroristica, opportunamente coltivata da Charlie Hebdo in poi, Hollande ha tentato di bloccare, con arresti preventivi alla Mussolini, le manifestazioni contro la farsa del Cop21 sul clima. E non gli è riuscito.Schiacciare la società per far passare il Ttip (e la Nato). C’è un’altra considerazione che probabilmente è stata fatta dai dirigenti delle lotte francesi e da gran parte della società. Le misure sociocide ordinate a Hollande e Valls dalle centrali sopra nominate sono il preludio al Ttip, il trattato di libero scambio Ue-Usa, Nato economica, che, come sappiamo e come validi parlamentari del M5S denunciano con forza, è inteso a radere al suolo le costituzioni europee, le salvaguardie di lavoro, ambiente, salute, sovranità, conquistate in decenni di lotte e a sottometterci agli interessi delle multinazionali Usa. Una consapevolezza che in altri paesi europei sembra già più matura, viste le manifestazioni in Germania, 250mila a Berlino, 90mila a Hannover, seguite non malamente da Roma con 30mila. In Francia si è capito che i gravissimi provvedimenti di ordine pubblico – militarizzazione della società, stati d’emergenza, caccia alle streghe per oppositori – adottati con il pretesto degli attentati terroristici (su cui aleggiano ombre nerissime), nelle intenzioni dei loro esecutori e mandanti (esterni) servono proprio a impedire che, contro il dumping sociale e la riduzione della democrazia a mero involucro formale, si possa manifestare una grande e duratura opposizione di massa.Il fatto che questo progetto sia stato messo in crisi in Francia, e addirittura in Belgio, da una vera e propria insurrezione popolare, di tutte le categorie del lavoro e con l’appoggio (Nuit Debout) di altri settori sociali, pur più volatili, ma ugualmente colpiti (prima di tutti quelli dell’lstruzione), potrebbe significare che nè un terrorismo utilizzato come alibi per lo Stato di polizia, nè un concerto mediatico omologato alle strumentalizzazioni e falsificazioni di regime, hanno avuto ancora partita vinta. C’è da augurarsi che questa storia non vada a finire come lo scontro tra i minatori britannici e la Thatcher, Lady di uranio impoverito, antesignana con Reagan di una guerra di sterminio interna e mondiale. Questi formidabili francesi hanno nel Dna il seme del 1989, di Robespierre, della Comune. I britannici del Brexit, dei minatori e, forse, di Oliver Cromwell. E il nostro di seme, quello del ’48, della lotta partigiana, del ‘68, dove s’è nascosto?(Fulvio Grimaldi, “Allons enfants!”, dal blog “Mondo Cane” del 2 giugno 2016).“Non temere il nemico, che può solo prenderti la vita. Molto meglio che temi i media, poiché quelli ti rubano la verità e l’onore. Quel potere orribile, l’opinione pubblica di una nazione, viene creato da un’orda di ignoranti, compiaciuti sempliciotti che incapaci di zappare o fabbricare scarpe, si sono dati al giornalismo per evitare il Monte di Pietà” (Mark Twain). “Una stampa cinica, mercenaria, demagogica finirà col produrre un popolo altrettanto spregevole” (Joseph Pulitzer). Le fenomenali lotte insurrezionali in Francia, dove si sta applicando la lezione latinoamericana dell’attacco allo Stato capitalista di polizia attravero il blocco dello Stato da parte di tutte le categorie che lo fanno funzionare, meriterebbe un trattamento approfondito e su vasta scala, anche per neutralizzare l’omertà della nostra tremebonda classe politica e dei nostri media asserviti. Omertà con il regime francese che si esprime attraverso l’arma di un silenzio quasi assoluto su quanto da settimane va succedendo in quel paese.
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Lacrime e sangue? Certo, un’altra Europa è impossibile
La maggioranza della “sinistra” si crogiola nell’illusione che l’Europa possa mutare pelle sotto la spinta della solidarietà fra i popoli europei. Da dove scaturisca tale speranza non è dato capire. Il problema europeo è legato alla crisi della democrazia, all’anti-politica, alla diffusa disaffezione, se non aperta ostilità di gran parte della popolazione ai meccanismi della rappresentanza e della mediazione politica. In termini più accademici questa è definita la crisi della democrazia. Questa disaffezione si traduce nell’idea che la politica sia tutta uguale, destra e sinistra, e che i politici siano tutti disonesti. Alla base di questa disaffezione, e in fondo anche alla base della pochezza progettuale ed etica dei politici, v’è la sostanziale impotenza della politica nazionale ad affrontare piccoli e grandi problemi, una volta privata delle leve della politica economica, e in particolare della sovranità monetaria, improvvidamente cedute a istanze sovranazionali dominate dalle potenze europee più forti. Questo spiega dunque molte cose.Spiega la disaffezione come dovuta all’incapacità dei politici di risolvere i problemi, la disoccupazione in primis, mentre tutti si riempiono la bocca del medesimo mantra delle riforme (operando delle feroci contro-riforme). Spiega la sostanziale somiglianza fra destra e sinistra che agli occhi del comune cittadino è giustamente scomparsa. Qual’è la differenza fra Berlusconi e Prodi? Fra Monti e Bersani? Fra Renzi e Tsipras? La politica è (nei tratti di fondo) la medesima ed è quella dettata da Bruxelles, Francoforte o Berlino. E spiega anche il drammatico scadimento della politica, screditata agli occhi delle persone capaci, per cui chi vale fa altro, e monopolio di personaggi che non hanno altro da occuparsi se non di conservare le poltrone per sé e per le proprie consorterie. Detto in termini un poco più nobili, una volta esautorato e reso impotente lo Stato nazionale, che è il terreno primario in cui si svolge il conflitto sulla distribuzione del reddito, viene a mancare il sale della democrazia.Ma in verità il “sogno europeo”, è precisamente questo: un disegno liberista volto a esautorare i popoli nazionali dal potere di incidere sulle scelte dei propri governi nazionali, resi impotenti se non come strumenti d’ordine (vedi le riforme costituzionali in questa direzione). Stati nazionali filiali regionali dell’ordine ordo-liberista che “trasforma le leggi del mercato in leggi dello Stato” (Alessandro Somma), e ben individuato dai tedeschi nel Ministro unico dell’economia. Questa espropriazione dello Stato nazionale perfeziona lo svuotamento del terreno del conflitto sociale, dunque della democrazia, già mortificato dalla globalizzazione del capitale, lasciato libero di collocarsi dove più gli aggrada. E non ci si dica, per favore, che piccoli stati sovrani avrebbero vita dura nell’”economia globalizzata”, come si sente spesso. Polonia e Corea del Sud se la passano meglio dell’Italia, per fare qualche esempio.Ma perché, mi si obietta, non lottare per un’Europa diversa? L’analisi economica – a cui invito a prestar fede non in nome della fiducia in una scienza discutibile, ma in nome del realismo politico a cui ci invitava un grande intellettuale, Danilo Zolo – ha da tempo indicato che un’unione monetaria fra paesi a diverso grado di sviluppo può reggere solo con un cospicuo bilancio federale a scopo perequativo, precisamente la “tax-transfer union” tanto temuta dai tedeschi. Di che parliamo allora? Di utopie da cui Danilo Zolo ci suggeriva di sfuggire come la peste? Hayek lo disse chiaramente in un saggio del 1939: uno Stato federale fra paesi culturalmente ed economicamente diversi e dotato di un cospicuo bilancio perequativo non sarebbe destinato a durare, e si lacererebbe presto sulla destinazione delle risorse (Jugoslavia docet). L’unico Stato federale possibile è quello con uno Stato minimo, uno Stato ordo-liberista che detti le sole regole di mercato.Ma questo è lo Stato europeo che già abbiamo, e che la potenza dominante di cui parliamo oggi intende rafforzare. Quella che abbiamo è la sola Europa possibile, anzi potrebbe andar peggio. La “sinistra” è responsabile di cotanto disastro continentale. In Inghilterra e negli Stati Uniti, la Thatcher e Reagan si sono resi responsabili di sconfiggere Keynesismo e Stato Sociale. In Europa l’ha in gran parte fatto la sinistra, in nome dell’Europa. Le responsabilità dell’Ulivo devono essere ancora conteggiate – ma c’è chi ha cominciato a farlo, come Giulio Sapelli. Ma forse non c’è n’è bisogno. La sinistra italiana sta finendo da sola nella spazzatura del 3%. Abbiamo invece bisogno di una sinistra italiana che della battaglia per il ripristino dell’autonomia della politica economica nazionale faccia il proprio vessillo. Siccome la sinistra è più sensibile all’orecchio della difesa della Costituzione, bene faremmo ad affiancare questa battaglia a quella della difesa dei valori costituzionali.Ma attenzione, se la sinistra ufficiale e intellettuale è sensibile ai valori costituzionali, la gente normale vede questi temi come estranei, lontani. Guarda con favore, per esempio, alla semplificazione dei processi politici. Quindi anche la battaglia per la difesa della Costituzione se ne gioverebbe, se da astratta difesa di principi si mostrasse come strumento di avanzamento sociale su temi concreti come piena occupazione, difesa di salari e Stato Sociale. Un’ultima precisazione. Personalmente non credo che lo slogan “fuori dall’euro” sia oggi popolare. Tuttavia un sentimento anti-Europeo sta montando. L’euro crollerà se e quando diventerà politicamente insostenibile, e quest’esito va perseguito e preparato, progettando il dopo, una nuova Europa di Stati indipendenti e cooperativi. Purtroppo la sinistra italiana, nella sua maggioranza, va nella direzione opposta di coltivare il “sogno europeo”, predisponendosi all’oblio della storia.(Sergio Cesaratto, “Sveglia, un’altra Europa è impossibile”, da “Sollevazione” del 12 marzo 2016).La maggioranza della “sinistra” si crogiola nell’illusione che l’Europa possa mutare pelle sotto la spinta della solidarietà fra i popoli europei. Da dove scaturisca tale speranza non è dato capire. Il problema europeo è legato alla crisi della democrazia, all’anti-politica, alla diffusa disaffezione, se non aperta ostilità di gran parte della popolazione ai meccanismi della rappresentanza e della mediazione politica. In termini più accademici questa è definita la crisi della democrazia. Questa disaffezione si traduce nell’idea che la politica sia tutta uguale, destra e sinistra, e che i politici siano tutti disonesti. Alla base di questa disaffezione, e in fondo anche alla base della pochezza progettuale ed etica dei politici, v’è la sostanziale impotenza della politica nazionale ad affrontare piccoli e grandi problemi, una volta privata delle leve della politica economica, e in particolare della sovranità monetaria, improvvidamente cedute a istanze sovranazionali dominate dalle potenze europee più forti. Questo spiega dunque molte cose.
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Gli inglesi nell’Ue solo grazie all’imbroglio dell’élite segreta
I votanti al referendum inglese devono sapere che fin dal primo giorno l’Unione Europea intendeva costruire un superstato federale. Mentre ferve il dibattito sul prossimo referendum Ue, è utile ricordare in primo luogo in che modo la Gran Bretagna sia giunta all’adesione. Mi sembra, infatti, che la maggior parte della gente non capisca il motivo per cui uno dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale debba struggersi così tanto per entrare a far parte di questo “club”. E questo è un peccato, perché la risposta a questa domanda è la chiave per capire perché l’Unione Europea stia andando così male. La maggior parte degli studenti inglesi sembra pensare che la Gran Bretagna fosse in difficoltà economiche, e che la Comunità Economica Europea – come si chiamava allora – costituisse un nuovo motore economico in grado di rivitalizzare la sua economia. Altri pensano che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Gran Bretagna avesse avuto bisogno di riformulare la sua posizione geopolitica, da quella di tipo “imperiale” a una più realistica all’interno dell’Europa. Nessuno di questi argomenti, tuttavia, è valido.La Cee negli anni 1960 e 1970 non era in grado di rigenerare nessuna economia possibile. Utilizzò le sue magre risorse per l’agricoltura e la pesca e non disponeva di mezzi e di politiche per poter generare una crescita economica. Quando entrammo nella Cee il nostro tasso di crescita annuale fu un record del 7,4%, quindi per noi l’argomento “economia-paniere” non sta in piedi (l’attuale cancelliere morirebbe, per simili cifre). Quando la crescita arrivò, non fu grazie alla Comunità Europea. Dalle riforme sull’offerta di Ludwig Erhard in Germania Ovest nel 1948 alle privatizzazioni della Thatcher delle industrie nazionalizzate negli anni ‘80, la crescita europea giunse attraverso riforme introdotte dai singoli paesi e replicate in altri. La politica dell’Unione Europea è sempre stata irrilevante o addirittura dannosa (vedi l’euro). Né si può dire che la crescita britannica sia mai stata inferiore di quella Europea. A volte l’ha anche superata. Nel 1950 l’Europa occidentale registrò un tasso di crescita del 3,5%; nel 1960 era del 4,5%. Ma nel 1959, quando Harold Macmillan assunse l’incarico di governo, il reale tasso di crescita annuo del Pil britannico, secondo l’ufficio nazionale di statistica, era quasi del 6%. Ed era sempre intorno al 6% quando de Gaulle pose il veto alla nostra prima domanda di adesione alla Ce nel 1963.E che dire della geopolitica? Quale argomento, alla luce fredda del senno di poi, avrebbe potuto essere così convincente da indurci a farci prendere a calci dai nostri alleati del Commonwealth nella Seconda Guerra Mondiale per voler aderire ad una combinazione economica tra Belgio, Paesi Bassi, Lussemburgo, Francia, Germania e Italia? Quattro di questi paesi non avevano alcun peso internazionale. La Germania era stata occupata e divisa. La Francia, nel frattempo, aveva perso una guerra coloniale in Vietnam e un’altra in Algeria. De Gaulle era giunto al potere per salvare il paese dalla guerra civile. La maggior parte dei realisti sicuramente avranno considerato questi Stati come un gruppo di perdenti. De Gaulle, egli stesso un iper-realista, sottolineò che la Gran Bretagna aveva delle istituzioni politiche democratiche, legami commerciali con tutto il mondo, cibo a buon mercato dai paesi del Commonwealth ed era anche una delle maggiori potenze mondiali. Perché avrebbe voluto entrare nella Cee?La risposta è che Harold Macmillan e i suoi più stretti collaboratori erano parte di una tradizione intellettuale che vedeva la salvezza del mondo in una forma di supergoverno mondiale fondato sul federalismo regionale. Era anche molto vicino a Jean Monnet, che condivideva lo stesso pensiero. Così, Macmillan diventò il rappresentante del movimento federalista europeo nel Gabinetto britannico. In un discorso alla Camera dei Comuni sostenne il progetto della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca) prima ancora che fosse annunciato in Europa. In seguito, si adoperò per la conclusione di un accordo di associazione tra Regno Unito e la Ceca, e fu sempre lui a garantire che dopo la Conferenza di Messina, che diede vita alla Cee, ai negoziati di Bruxelles fosse sempre presente un rappresentante britannico. Alla fine degli anni ’50 spinse per l’adesione dell’European Free Trade Association alla Cee. Poi, quando il generale de Gaulle iniziò a cambiare la Cee in qualcosa di meno federale, si affrettò a presentare una vera e propria domanda di adesione britannica, con l’intento di frenare le ambizioni gaulliste. Il suo scopo, in un’alleanza con gli Stati Uniti e i proponenti europei di una ordine mondiale federalista, era di dare un colpo alla emergente alleanza franco-tedesca, vista come un’alleanza tra il nazionalismo francese e quello tedesco.Lo statista francese Jean Monnet, che nel 1956 fu nominato presidente della Commissione per gli Stati Uniti d’Europa, incontrò più volte – segretamente – Heath e Macmillan, per facilitare l’ingresso britannico nella Cee. Egli, infatti, fu il primo ad essere informato in quali termini avrebbe potuto inquadrarsi un’eventuale entrata britannica nella Comunità Europea. Nonostante il consiglio del Lord Cancelliere, Lord Kilmuir, che l’adesione avrebbe significato la fine della sovranità parlamentare britannica, Macmillan fuorviò deliberatamente la Camera dei Comuni – e praticamente tutti gli altri, da statisti del Commonwealth a colleghi di governo e l’opinione pubblica – dicendo che erano coinvolti solo rapporti commerciali minori. Tentò anche di ingannare de Gaulle, dicendo di essere anti-federalista, oltre che un suo caro amico, e che avrebbe fatto in modo che anche la Francia, come la Gran Bretagna, ricevesse i missili Polaris dagli americani. Ma de Gaulle non la bevve, e pose il veto per la domanda di adesione della Gran Bretagna.Macmillan lasciò a Edward Heath il prosieguo della questione, e Heath, insieme a Douglas Hurd, dispose – secondo documenti di Monnet – che il partito Tory diventasse un membro (segreto) della Commissione per gli Stati Uniti d’Europa di Monnet. Secondo il primo assistente e biografo di Monnet, François Duchene, più tardi anche i partiti laburista e liberale fecero la stessa cosa. Nel frattempo, il conte di Gosford, uno dei ministri per la politica estera di Macmillan nella Camera dei Lord, informò apertamente la Camera che lo scopo della politica estera del governo era un supergoverno mondiale. La Commissione di Monnet ricevette anche sostegno finanziario dalla Cia e dal Dipartimento di Stato Usa. A quel punto era chiaro che l’establishment anglo-americano fosse intenzionato a creare una federazione di Stati Uniti d’Europa. Ed è così anche oggi. Potenti lobby internazionali sono già al lavoro nel tentativo di dimostrare che qualsiasi ritorno a un governo democratico “indipendente” sarà una sciagura.Alcuni funzionari americani sono già stati allertati per sostenere che un Regno Unito del genere verrebbe escluso da qualsiasi accordo di libero scambio con gli Stati Uniti e che il mondo ha bisogno del trattato commerciale Ttip, che dipende totalmente dalla sopravvivenza dell’Unione Europea. Fortunatamente, i candidati repubblicani statunitensi stanno diventando sempre più euroscettici, e giornali americani come “The National Interest” stanno pubblicando il caso del Brexit. La coalizione internazionale dietro a Macmillan e Heath questa volta non troverà un quadro altrettanto semplice come allora – soprattutto considerando le evidenti difficoltà dell’Eurozona, il fallimento delle politiche europee di immigrazione e la mancanza di coerenti politiche per la sicurezza europea. E inoltre, la cosa più importante: l’opinione pubblica inglese, burlata già una volta, sarà molto più difficile burlarla una seconda volta.(Alan Sked, “Come un’élite segreta creò l’Unione Europea per costruire un governo mondiale”, dal “Telegraph” del 27 novembre 2015, tradotto da “Come Don Chisciotte”. Il professor Alan Sked è uno dei fondatori originari dell’Ukip, il partito indipendentista di Nigel Farage. Docente di storia internazionale alla London School of Economics, sta raccogliendo materiale per un suo libro, che spera di pubblicare presto, sulle esperienze “europee” del Regno Unito).I votanti al referendum inglese devono sapere che fin dal primo giorno l’Unione Europea intendeva costruire un superstato federale. Mentre ferve il dibattito sul prossimo referendum Ue, è utile ricordare in primo luogo in che modo la Gran Bretagna sia giunta all’adesione. Mi sembra, infatti, che la maggior parte della gente non capisca il motivo per cui uno dei vincitori della Seconda Guerra Mondiale debba struggersi così tanto per entrare a far parte di questo “club”. E questo è un peccato, perché la risposta a questa domanda è la chiave per capire perché l’Unione Europea stia andando così male. La maggior parte degli studenti inglesi sembra pensare che la Gran Bretagna fosse in difficoltà economiche, e che la Comunità Economica Europea – come si chiamava allora – costituisse un nuovo motore economico in grado di rivitalizzare la sua economia. Altri pensano che, dopo la Seconda Guerra Mondiale, la Gran Bretagna avesse avuto bisogno di riformulare la sua posizione geopolitica, da quella di tipo “imperiale” a una più realistica all’interno dell’Europa. Nessuno di questi argomenti, tuttavia, è valido.
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Il massacro di Parigi e le rivelazioni-choc di Gioele Magaldi
Poi non dite che non vi avevano avvisato. Anche la nuova strage di Parigi era annunciata, e non solo dai proclami bellicosi dell’Isis. Da almeno un anno, nelle librerie italiane (non sui giornali che avrebbero dovuto recensirlo) fa bella mostra di sé lo sconvolgente libro “Massoni”, di Gioele Magaldi, edito da Chiarelettere. Un saggio deliberamente ignorato dal mainstream, che presenta contenuti scomodi e addirittura devastanti, al punto da costringere a rileggere la storia del ‘900. Alla storiografia ufficiale – l’intreccio di dinamiche socio-economiche di massa – il libro aggiunge l’influenza di una regia occulta. E’ il “convitato di pietra”, il vertice massonico mondiale, spesso evocato ma mai prima “presentato”, con nomi e cognomi. Una struttura di potere marcatamente progressista fino ai primi decenni del dopoguerra, e poi – col doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King – rovinosamente degenerata in una parabola reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica. Dallo storico patto “United Freemasons for Globalization”, la nuova élite ha avuto mano libera fino al Pnac, il piano dei neo-con per il “nuovo secolo americano” su cui costruire il “nuovo ordine mondiale”, quindi l’11 Settembre e la “guerra infinita” (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria) che è sotto i nostri occhi, compreso l’ultimo spaventoso massacro di Parigi. E resta sempre nell’ombra uno dei soggetti-chiave degli ultimi sanguinosi sviluppi: si chiama “Hathor Pentalpha” ed è una delle 36 superlogge internazionali dell’oligarchia mondiale.“Hathor” è l’altro nome della dea egizia Iside, e non è un caso – per Magaldi – che si chiami proprio Isis l’armata di tagliagole del “califfo” Al-Baghdadi, terroristi e miliziani sostenuti da Turchia e Arabia Saudita, appoggiati da settori dell’intelligence Usa e impiegati in diversi teatri, sempre con la medesima missione: destabilizzare gli assetti statali, generare terrore e caos, ingaggiare l’Occidente in una sorta di Terza Guerra Mondiale che ha come obiettivo strategico il depotenziamento della Cina, vero competitor mondiale dell’egemonia del dollaro, e il suo alleato più potente, l’indocile Russia di Putin. Analisi sviluppate in questi anni da decine di osservatori internazionali, ma solo da Magaldi integrate anche con le lenti dell’élite massonica planetaria. Già “gran maestro” della loggia Monte Sion aderente al Grande Oriente d’Italia, Magaldi rivendica orgogliosamente la sua appartenza libero-muratoria e, nel libro, insiste sulla paternità massonica della modernità: «Lo Stato laico, la democrazia e il suffragio universale non li ha portati la cicogna». Rivoluzione Francese, Rivoluzione Americana. Persino la Rivoluzione d’Ottobre: «Prima di far nascere l’Urss, Lenin fondò a Ginevra la superloggia Joseph De Maistre». Inutile stupirsi più di tanto: «E’ comprensibile che il soggetto storico che ha introdotto la modernità poi cerchi anche di pilotarla a suo piacimento».Nei libri di storia, però, di massoneria si accenna, al massimo, tra le pagine dedicate al Risorgimento italiano – essendo massoni Mazzini, Garibaldi e Cavour, anch’essi appartenenti a una corrente impegnata in una lotta secolare contro l’assolutismo monarchico e l’oscurantismo vaticano. Fuoriuscito dal Grande Oriente d’Italia per fondare una sua associazione, il Grande Oriente Democratico, Magaldi è stato affiliato anche a una storica Ur-Lodge progressista anglosassone, la “Thomas Paine”. E ora ha fondato un organismo politico-culturale, il Movimento Roosevelt, che si richiama al lascito dei Roosevelt, entrambi massoni progressisti: il presidente Franklin Delano, fautore del New Deal, e sua moglie Eleanor, promotrice all’Onu della Dichirazione universale dei diritti dell’uomo. Un orizzonte liberal-socialista, nutrito di idee keynesiane, quelle che ispirarono lo storico piano elaborato da George Marshall per far risorgere l’Europa dalle macerie del dopoguerra. Tradotto oggi: fine dell’austerity disposta dall’Ue ed estensione della spesa pubblica espansiva, verso la piena occupazione. Anche qui: si parla spessissimo di Keynes e del Piano Marshall, evitando però di ricordare che l’insigne economista inglese e il famoso generale erano entrambi massoni progressisti. Magaldi rivela che il loro ultimo “discendente”, il celebre sociologo Arthur Schlesinger Jr., elemento di punta della super-massoneria progressista anglosassone, è l’uomo a cui l’Italia deve il fallimento dei tentativi di colpi di Stato rapidamente succedutisi, promossi da elementi della super-massoneria reazionaria.«L’Italia è sempre stato un paese-laboratorio, un campo di battaglia decisivo dove attuare esperimenti democratici oppure autoritari», spiega Magaldi: «Non a caso, in Portogallo la Rivoluzione dei Garofani del 1974 venne fatta scoccare il 25 aprile, anniversario della Liberazione italiana, per rispondere al golpe dei colonnelli in Grecia». Come sempre, anche oggi l’Italia è nel mirino: nel 2011 è stata investita in pieno dalla potenza di fuoco dell’élite tecnocratica europea, dopo la lettera della Bce con cui la Troika disarcionò Berlusconi, firmata da Jean-Claude Trichet e dal “fratello” Mario Draghi, cui rispose il “fratello” Napolitano insediando a Palazzo Chigi il “fratello” Mario Monti. Le informazioni contenute nel suo libro, assicura Magaldi, sono tutte documentate in 5.000 pagine di archivio, che l’autore si è sempre dichiarato pronto a esibire in caso di contestazioni. Ma non ce n’è stato bisogno: “Massoni, la scoperta delle Ur-Lodges” è stato accolto nel modo più comodo, cioè con la congiura del silenzio da parte di tutti, nel mainstream politico-editoriale. Troppe rivelazioni scomode, per troppi personaggi ancora al potere, da Draghi in giù.Silenzio anche dagli storici, presi in contropiede dalla sconcertante rilettura magaldiana del ‘900: il massone Pinochet contro il massone Allende in Cile, il sostegno della massoneria progressista a John Kennedy, lo “scudo massonico” organizzato per tentare di proteggere Bob Kennedy e Martin Luther King, dalle cui uccisioni scaturì una drammatica rottura. Dagli anni ‘70 si affermò l’ala destra, incarnata da leader come Kissinger e Brzezinski, destinati a mettere all’angolo i leader della corrente progressista. Segreti, misteri e contorsioni anche inattese: l’attentato a Reagan promosso dai sostenitori occulti di Bush e l’attentato (speculare e simmetrico) a Papa Wojtyla, orchestrato dall’élite massonica che aveva sostenuto Reagan. La stessa oligarchia del regime di Bruxelles è interamente massonica, sostiene Magaldi, e appartiene alla corrente neo-conservatrice. Per questo oggi siamo arrivati alla recessione strutturale, alla disoccupazione-record, alla depressione storica di un paese come l’Italia. Loro, i neo-aristocratici, hanno colonizzato il pianeta (e l’Europa) col pensiero unico neoliberista: lo Stato deve capitolare, rinnegare la sua funzione storica, servire le multinazionali e non più i cittadini, rassegati a ridiventare sudditi. Per Magaldi non è solo un attentato alla democrazia, è anche il tradimento della più autentica vocazione massonica.Nel suo saggio, Magaldi rilegge gli eventi epocali che hanno determinato la situazione di oggi, a partire da libri-evento come “La crisi della democrazia” promosso dalla Commissione Trilaterale sempre con lo stesso obiettivo: collocare i propri uomini (Thatcher, Reagan, Kohl, Mitterrand) alla guida dei paesi-chiave, per occupare lo Stato e asservirlo ai diktat delle grandi lobby multinazionali.Nulla di tutto ciò è avvenuto per caso, avverte Magaldi, che nell’esplosiva appendice del suo lavoro editoriale fa dire al massone oligarchico “Frater Kronos” che qualcosa è andato storto, qualcuno è andato oltre il perimetro concordato. Un nome su tutti: quello del “fratello” George Bush senior, che sarebbe “impazzito di rabbia” dopo la bruciante sconfitta inflittagli nel 1980 dai sostenitori di Reagan. Da allora, ancor prima di diventare a sua volta presidente, Bush avrebbe dato vita alla «inquietante, pericolosa e sanguinaria» superloggia denominata “Hathor Pentalpha”, che avrebbe reclutato il gotha neocon del Pnac, il piano per il Nuovo Secolo Americano, da Cheney a Rumsfeld, nonché fondamentali alleati europei, da Blair a Sarkozy, incluso il turco Erdogan. Missione del clan: destabilizzare il pianeta, anche col terrorismo, a partire dall’11 Settembre.Per questa missione, si legge sempre nel libro di Magaldi, è stato riciclato il “fratello” Osama Bin Laden, arruolato dallo stesso Brzezinski ai tempi dell’invasione sovietica in Afghanistan. Risultato, dopo l’attentato alle Torri: una serie di guerre, in sequenza, dall’Afghanistan all’Iraq, dalla Libia alla Siria, anche dietro il paravento della “primavera araba”. Ultimo bersaglio, la Russia di Putin. Ma la “geopolitica del caos” si avvale sempre di più della più grottesca creatura dell’intelligence, il fondamentalismo islamico: nel lontano 2009, i militari americani del centro iracheno di detenzione di Camp Bucca si videro recapitare l’ordine di rilascio dell’allora oscuro Abu Bakr Al-Baghdadi, l’attuale “califfo” dell’Isis. Oggi, Al-Baghdadi è l’uomo che minaccia l’Europa e fa strage di innocenti a Parigi, e c’è chi se ne stupisce: politici e giornalisti esibiscono sconcerto e raccapriccio, come se brancolassero nel buio. Eppure, tra le pagine di “Massoni”, era tutto in qualche modo già scritto. Ma non c’è pericolo che le analisi di Magaldi emergano al punto da affacciarsi in prima serata sul mainstrem televisivo, e neppure sulle pagine sempre reticenti della grande stampa.(Il libro: Gioele Magaldi, “Massoni. Società a responsabilità illimitata. La scoperta delle Ur-Lodges”, Chiarelettere, 656 pagine, 19 euro).Poi non dite che non vi avevano avvisato. Anche la nuova strage di Parigi era annunciata, e non solo dai proclami bellicosi dell’Isis. Da almeno un anno, nelle librerie italiane (non sui giornali che avrebbero dovuto recensirlo) fa bella mostra di sé lo sconvolgente libro “Massoni”, di Gioele Magaldi, edito da Chiarelettere. Un saggio deliberamente ignorato dal mainstream, che presenta contenuti scomodi e addirittura devastanti, al punto da costringere a rileggere la storia del ‘900. Alla storiografia ufficiale – l’intreccio di dinamiche socio-economiche di massa – il libro aggiunge l’influenza di una regia occulta. E’ il “convitato di pietra”, il vertice massonico mondiale, spesso evocato ma mai prima “presentato”, con nomi e cognomi. Una struttura di potere marcatamente progressista fino ai primi decenni del dopoguerra, e poi – col doppio omicidio di Bob Kennedy e Martin Luther King – rovinosamente degenerata in una parabola reazionaria, neo-feudale, neo-aristocratica. Dallo storico patto “United Freemasons for Globalization”, la nuova élite ha avuto mano libera fino al Pnac, il piano dei neo-con per il “nuovo secolo americano” su cui costruire il “nuovo ordine mondiale”, quindi l’11 Settembre e la “guerra infinita” (Iraq, Afghanistan, Libia, Siria) che è sotto i nostri occhi, compreso l’ultimo spaventoso massacro di Parigi. E resta sempre nell’ombra uno dei soggetti-chiave degli ultimi sanguinosi sviluppi: si chiama “Hathor Pentalpha” ed è una delle 36 superlogge internazionali dell’oligarchia mondiale.
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Barnard: da Corbyn solo fumo negli occhi, vi spiego perché
La trasmutazione di tutti i partiti europei socialisti, socialdemocratici o addirittura comunisti (Italia) in macchine oscenamente asservite e convertite alla destra finanziaria neoliberista è immutabile, e di certo Jeremy Corbyn non rappresenta nulla di inverso e contrario. Tutta ’sta parlata di “la sinistra che in Gran Bretagna ritrova finalmente la sua anima dopo 20 anni di débacle europee” è una sciocchezza. Il Vero Potere quando ha pensato e attuato l’Olocausto di qualsiasi cosa sia di sinistra, non ha lasciato spifferi aperti nelle camere a gas, né buchi nel mantello di Dracula. La sinistra è morta e sepolta a diecimila metri sotto terra. Corbyn è un buffone per due motivi: A) o sa quanto ho scritto sopra ma finge, per attuare una scalata “à la” Tsipras (conati) B) oppure non lo sa e quindi è scemo. Io propendo per la prima.I motivi stanno in tre luoghi: A) Uno che – dopo l’evoluzione anni ‘80-’90 di milioni d’inglesi quasi poveri in piccola classe media per l’umiliazione elettorale terrificante dell’ultimo leader laburista degno di nota, Neil Kinnock – uno che, dicevo, crede ancora “nel senso di giustizia sociale, che sono i valori della maggioranza degli inglesi…”, mente (oppure è un idiota cieco). Ho vissuto là per anni e ho visto e ancora vedo coi miei occhi come milioni di britannici, anche se poveracci, alla prima sniffata thatcheriana di due soldini in speculazioni se ne sono altamente sbattuti le palle di chiunque e di qualsiasi pensionato/disoccupato che crepava nella casa accanto, e hanno salutato con entusiasmo quelli che sono oggi 36 anni consecutivi di politiche economiche di destra neoliberale in quel paese. Ma di che cazzo di senso di giustizia sociale parla ’sto Corbyn?B) Mentre il suo ministro ombra per l’economia, McDonnell, fa la solita parata di politica per uso domestico (= prende x il culo il telespettatore) parlando di elevare le paghe minime, scagliandosi contro le multinazionali Starbucks, Vodafone, Amazon o Google perché evadono le tasse, contro le super-paghe dei manager della City, e promette di convertire i soldi per le armi nucleari in infrastrutture (sì, vediamo cosa dice Washington, ciccio!), Jeremy Corbyn si mette assieme un team di 7 economisti come super-consiglieri del Re. E chi sono? Tutti mezze figure che già conosciamo a memoria per aver solo balbettato parolette alla camomilla e ben arrotondate per darla ad intendere al pubblico contro le Austerità e la finanza padrona. In altre parole, fumo negli occhi ma NESSUN VERO PERICOLO PER IL MEGA BUSINESS nessun vero pericolo per il mega-business. Eccoli: David Blanchflower, Mariana Mazzucato, Anastasia Nesvetailova, Ann Pettifor, Thomas Piketty, Joseph Stiglitz, Simon Wren-Lewis. Tutta gente che non possiede neppure un centesimo della radicalità non dico per salvare dalla povertà qualche milione di sfigati inglesi, ma neppure per paventare una qualche minaccia a BIG-BUSINESS Big Business. E Big Business non sposta come al solito le sue scarpe da 5.000 dollari dalla scrivania, neppure stavolta, cari.C) E soprattutto ’sto Jeremy Corbyn non mette in discussione la rovina di tutte la rovine di qualsiasi gestione economica nazionale: il FANTASMA DELLA RIDUZIONE DEL DEFICIT/DEBITO DI STATO fantasma della riduzione del deficit/debito di Stato. Corbyn cerca di barcamenarsi con mezze promesse alla tisana su più spesa pubblica e magari… un poooooooochino più deficit, ma poi corre trafelato a precisare che rimedierà al deficit con più tasse per i ricchi, ecc. Non capisce NIENTE niente delle realtà di macro-economia dello Stato, Cristo, e vive nella terra di un genio universale dell’economia come fu Wynne Godley, che le descrisse alla perfezione. ‘Sto Jeremy non capisce che, non solo i deficit e il debito di Stato con moneta sovrana (la sterlina) sono LA RICCHEZZA DEL PAESE la ricchezza del paese e non un suo peso, come sancì magistralmente Godley, ma neppure ci arriva vicino. E dove cazzo vai, Corbyn, se ti allinei anche tu, magari un po’ meno, ma anche tu al veleno mortale di tutte le democrazie: IL CONTENIMENTO DEL DEFICIT? Il contenimento del deficit? Ok, basta così per ’sto buffone. La City già scommette miliardi in Hedge Funds, oggi che Jeremy Corbyn non arriverà neppure alle elezioni generali. E vinceranno. No, per favore, ascoltate: Warren Mosler, Mosler Economics-Mmt, sono la vera economia salva-vite e salva-nazione con tradizione secolare di autorevolezza. Il resto è tragedia.(Paolo Barnard, “Jeremy Corbin non farà nulla: è Syriza II, meno la tragedia greca”, dal blog di Barnard del 29 settembre 2015).La trasmutazione di tutti i partiti europei socialisti, socialdemocratici o addirittura comunisti (Italia) in macchine oscenamente asservite e convertite alla destra finanziaria neoliberista è immutabile, e di certo Jeremy Corbyn non rappresenta nulla di inverso e contrario. Tutta ’sta parlata di “la sinistra che in Gran Bretagna ritrova finalmente la sua anima dopo 20 anni di débacle europee” è una sciocchezza. Il Vero Potere quando ha pensato e attuato l’Olocausto di qualsiasi cosa sia di sinistra, non ha lasciato spifferi aperti nelle camere a gas, né buchi nel mantello di Dracula. La sinistra è morta e sepolta a diecimila metri sotto terra. Corbyn è un buffone per due motivi: A) o sa quanto ho scritto sopra ma finge, per attuare una scalata “à la” Tsipras (conati) B) oppure non lo sa e quindi è scemo. Io propendo per la prima.
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Mani Pulite, sfasciare l’Italia per venderla ai suoi carnefici
Mani Pulite? Un “golpe” giudiziario per radere al ruolo la Prima Repubblica, corrotta fin che si vuole ma non disposta a demolire la sovranità nazionale. «La vecchia dirigenza Dc-Psi, che per anni, nel bene e nel male, aveva governato l’Italia – scrive Gianni Petrosillo – non avrebbe mai ceduto alle pressioni esterne tese ad ottenere la liquidazione degli asset strategici e patrimoniali del Belpaese, per una sua completa subordinazione a (pre)potenze straniere, in atto di ricollocarsi sullo scacchiere geopolitico dopo l’implosione dell’Unione Sovietica». Tutto ciò «verrà fatto dopo, dai residuati della Prima Repubblica, sospettamente scampati alla mannaia giudiziaria, pur avendo ricoperto ruoli e funzioni di primo piano per una lunga fase, e da nuovi partiti frettolosamente nati sulle macerie di quelli vecchi o appena riverniciati di falso moralismo necessario a mimetizzarsi tra scandali e persecuzioni». Un magistrato come Tiziana Maiolo denunciò le “stranezze” del pool di Milano, «il quale, incredibilmente, insabbiò le indagini sui comunisti e mise i bastoni tra le ruote a quei magistrati che avrebbero voluto fare maggiore chiarezza anche da quella parte».La stessa Maiolo, scrive Petrosillo su “Conflitti e Strategie”, «riprende la tesi del complotto della Cia nell’affaire Tangentopoli», anche se «non arriva a comprendere come gli americani potessero fidarsi dei comunisti, cresciuti sotto l’ala di Mosca, per raggiungere i loro scopi». Forse alla Maiolo erano sfuggiti «importanti spostamenti di campo che il Pci iniziò ad operare sin dalla fine degli anni ’60 e che diventarono sempre più evidenti con il compromesso storico, le dichiarazioni berlingueriane favorevoli alla Nato e i viaggi d’oltreoceano di Giorgio Napolitano». L’onda lunga del “tradimento” si completerà in seguito alla caduta dell’Urss con la svolta occhettiana della Bolognina, che porterà la “ditta” a cambiare apertamente nome e ragione sociale. «E’ vero che la gioiosa macchina da guerra del Pds s’ingripperà sul più bello, mentre dava l’assalto al potere», ma in effetti anche il complotto meglio pianificato può incontrare un inghippo: in quel caso l’inghippo fu Berlusconi, «catalizzatore del bacino elettorale dei partiti distrutti dai giudici».Quando il pool di Milano «procedeva come un carro armato e tutti aspettavano che finalmente andasse a colpire anche il Pci-Pds, che andasse a fondo, che facesse una pulizia totale», grande stupore destarono quindi le parole del procuratore aggiunto Gerardo D’Ambrosio, che in un’intervista rilasciata al quotidiano “L’Unità” il 26 maggio 1993 annunciò che a grandi linee l’inchiesta su Tangentopoli era finita, dopo aver colpito Dc e Psi e risparmiato il Pci-Pds. Fu lo stesso D’Ambrosio, aggiunge Petrosillo, a battersi per dimostrare che Primo Greganti, il faccendiere del Pci-Pds che aveva prelevato denaro in Svizzera dal “Conto Gabbietta”, «rubava per sé e non per il partito». Un paio di anni dopo, quando il quadro politico era radicalmente cambiato e non esistevano più la Dc né il Psi (ma esisteva ancora l’ex partito di Occhetto), il ministro di giustizia del governo Dini, Filippo Mancuso, avvierà un’ispezione nei confronti del pool di Milano, e la questione Greganti salterà di nuovo fuori. Dov’erano finiti quei soldi? «Nelle casse del Pci-Pds». Ma il pool di Milano cessò di indagare. E a Tiziana Parenti, la giovane magistrata che aveva osato sfidare i vertici della Quercia, l’inchiesta fu tolta.«Ci sarà un altro magistrato la cui inchiesta sul Pci-Pds si infrangerà su un muro di omertà complici e di “aiutini”», continua Petrosillo. Si tratta del procuratore di Venezia, Carlo Nordio, cui a un certo punto furono trasferiti anche atti provenienti da Milano. «L’interrogatorio di Luigi Carnevale, che chiamava in causa esplicitamente Stefanini, Occhetto e D’Alema, non arrivò mai. Si disse che era stata una “dimenticanza”. E così l’inchiesta di Venezia, come tante altre che si snodarono in tutta Italia, si risolse con le condanne dei pesci piccoli». E che dire di quel miliardo di lire che Raul Gardini, patron di Enimont, avrebbe consegnato a Botteghe Oscure, su cui esistono diverse testimonianze e per il quale Sergio Cusani fu condannato a sei anni di carcere? «Sparito nelle stanze buie della grande federazione del Pci-Pds. Nessun magistrato, né Di Pietro né in seguito i diversi tribunali individuarono in quali mani il denaro fosse finito. Per D’Alema e Occhetto non è mai valso il principio del “non poteva non sapere” o della “responsabilità oggettiva” con cui fu colpito Bettino Craxi. Eppure c’era stato il racconto (indiretto) di Sergio Cusani che aveva riferito di aver consegnato un miliardo nelle mani di Achille Occhetto».Il tribunale che condannò Cusani scrisse: «Gardini si è recato di persona nella sede del Pci portando con sé 1 miliardo di lire. Il destinatario non era quindi semplicemente una persona, ma quella forza di opposizione che aveva la possibilità di risolvere il grosso problema che assillava Enimont e il fatto così accertato è stato dunque esattamente qualificato come illecito finanziamento di un partito politico». Non si ricordano urla e strepiti del pubblico ministero Antonio Di Pietro (anche se chiederà timidamente di interrogare D’Alema), che dopo quel processo gettò la toga, scrive Petrosillo. Occhetto e D’Alema non furono neppure sentiti e il miliardo passò alla storia come finanziamento illegale “a un partito”. Francesco Misiani, pm romano di sinistra aderente alla corrente più radicale di “Magistratura democratica”, ha spiegato in un libro quale fosse il suo stato d’animo quando scoprì che il Pci-Pds, «lungi dal rappresentare quella “diversità” su cui tanto si era appassionato Enrico Berlinguer, era invece assolutamente omologo (un terzo, un terzo, un terzo) ai partiti di governo e, proprio come aveva denunciato l’inascoltato Craxi, si era sempre finanziato in modo illecito o illegale». Anzi, avendo anche ricevuto finanziamenti dall’Unione Sovietica, come racconterà con franchezza in un altro libro Gianni Cervetti, aveva persino maggiore disponibilità finanziaria.Un politico di Forza Italia come Giuliano Urbani racconta: «Nel 1994, quando ero ministro del primo governo Berlusconi, fui avvicinato da alcuni professori miei amici, che erano legati alla Cia, i quali mi misero in guardia da Di Pietro, mi suggerirono di diffidare della persona. Mi dissero con certezza che Di Pietro nella costruzione di tangentopoli era stato aiutato dai servizi segreti americani». Secondo i “contatti” di Urbani, il desiderio di vendetta degli Stati Uniti nei confronti di Craxi, Spadolini e Andreotti per i fatti di Sigonella ebbe diversi strumenti operativi, tra cui appunto l’uso di Tonino Di Pietro. «Il quale in effetti arrivò, distrusse e se ne andò. Su mandato dei servizi segreti americani». Il racconto di Urbani, proprio perché proviene da un liberale che arrivò nei palazzi del potere “dopo”, e quindi non aveva nessun motivo di revanchismo nei confronti del Pm di Mani Pulite, sembra convincente: «Quegli amici mi hanno avvicinato per avvertirmi della doppiezza dell’uomo, che era stato protagonista di una pagina oscura. E mi hanno proprio cercato loro, appositamente». Vengono con facilità alla memoria quelle trattative, poi saltate, per far entrare Di Pietro nel governo Berlusconi. E i dubbi aumentano. «Sappiamo come è cominciata, ma non sappiamo perché», osserva Petrosillo. «Perché una colossale retata giudiziaria a strascico abbia rivoluzionato la fisionomia politica del paese».C’è chi ha sposato la teoria del complotto internazionale, scrive Petrosillo. Sostenuta da molti esponenti governativi prestigiosi della Prima Repubblica (Craxi in primis), questa ipotesi parte dal presupposto che la magistratura fino al 1992 ignorò il finanziamento illecito dei partiti. Poi, con l’arresto di Mario Chiesa, il caso esplose e si trasformò in un “processo al sistema”. «Qualcuno, si dice, aveva interesse ad annientare l’intera classe politica al governo e sostituirla con un’altra. Chi? Perché?». Francesco Cossiga ha fatto parte di coloro che hanno creduto al complotto internazionale. In una delle sue ultime interviste, attribuì alla Cia un ruolo importante sull’inizio di Tangentopoli, così come sulle “disgrazie” di Craxi e Andreotti. In quel periodo alla Casa Bianca c’erano amministrazioni del Partito democratico, «le più interventiste e implacabili». Un altro boss della Prima Repubblica, l’ex ministro democristiano Paolo Cirino Pomicino, sostiene che il “complotto” iniziò proprio nel 1992, la data fatidica di Mani Pulite. In quei giorni il capo della Cia, James Woolsey, spiegò che l’amministrazione Clinton aveva disposto un vero spionaggio industriale, e a Milano sbarcò l’agenzia privata di investigazioni Kroll. Gli Usa raccolsero corposi dossier sul finanziamento illecito. E il capo della Cia fece sapere al suo governo che c’era la possibilità di far scoppiare scandali, se fosse servito.Nell’analisi di Cirino Pomicino, aggiunge Petrosillo, c’è anche la Gran Bretagna, dove «la Thatcher aveva perso la battaglia sulla moneta unica e gli americani iniziarono una politica aggressiva per difendere il dollaro», oltre che una certa attenzione ai problemi avuti da Chirac in Francia e Kohl in Germania. In quel momento «sarebbe stata scelta l’Italia, come luogo dove far scoppiare lo scandalo». Il punto debole, conclude Petrosillo, è la strategia che gli americani avrebbero avuto sul “dopo”. «Chi assaltò il Palazzo d’inverno, chi prese la Bastiglia aveva un progetto per il giorno dopo la rivoluzione. I servizi segreti americani avevano dunque un accordo con Occhetto? Oppure con quei “poteri forti” che cercavano la discontinuità e che non ameranno mai Berlusconi, trattato sempre come un Maradona, geniaccio arrivato d’improvviso dalle favelas?». La risposta è nei fatti, dal Britannia in poi, col clamoroso precedente del divorzio tra il Tesoro e Bankitalia, quando la banca centrale era retta da Ciampi. Lo ha spiegato molto bene Nino Galloni, consulente di Andreotti alla vigilia del Trattato di Maastricht: l’Italia fu deliberatamente azzoppata, con la complicità delle sue élite tecnocratiche in quota al futuro centrosinistra, per sabotare il sistema produttivo nazionale, come chiedeva la Germania per aderire all’euro e gestire il disegno strategico di indebolimento generale dell’Europa. Il resto è cronaca, e si chiama crisi.Mani Pulite? Un “golpe” giudiziario per radere al ruolo la Prima Repubblica, corrotta fin che si vuole ma non disposta a demolire la sovranità nazionale. «La vecchia dirigenza Dc-Psi, che per anni, nel bene e nel male, aveva governato l’Italia – scrive Gianni Petrosillo – non avrebbe mai ceduto alle pressioni esterne tese ad ottenere la liquidazione degli asset strategici e patrimoniali del Belpaese, per una sua completa subordinazione a (pre)potenze straniere, in atto di ricollocarsi sullo scacchiere geopolitico dopo l’implosione dell’Unione Sovietica». Tutto ciò «verrà fatto dopo, dai residuati della Prima Repubblica, sospettamente scampati alla mannaia giudiziaria, pur avendo ricoperto ruoli e funzioni di primo piano per una lunga fase, e da nuovi partiti frettolosamente nati sulle macerie di quelli vecchi o appena riverniciati di falso moralismo necessario a mimetizzarsi tra scandali e persecuzioni». Un magistrato come Tiziana Maiolo denunciò le “stranezze” del pool di Milano, «il quale, incredibilmente, insabbiò le indagini sui comunisti e mise i bastoni tra le ruote a quei magistrati che avrebbero voluto fare maggiore chiarezza anche da quella parte».