Archivio del Tag ‘Matteo Renzi’
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Ce l’hai con Matteo? Ti spezzano le gambe, su Internet
Bene, ora lo sappiamo: Matteo Renzi e Filippo Sensi possono contare su un esercito invisibile. Che c’è per loro ma non c’è per il pubblico. Un esercito composto da un numero imprecisato di blogger incaricato di battere il web per sostenere le posizioni del premier e denigrare quelle degli oppositori. Il tutto sotto mentite spoglie. Già perché i guerrieri del web , ma sarebbe meglio chiamarli i “picchiatori del web”, mica dichiarano la propria appartenenza politica. Si presentano come normali internauti, appassionati di politica che passano ore su Facebook, su Twitter, sui blog a duellare con foga, per creare l’onda pro Renzi o spezzare quella anti Renzi. Roba da professionisti. La notizia del “Fatto Quotidiano” di qualche giorno fa, in cui si narra che Filippo Sensi ha invitato a “menare Di Battista sulla Libia” non è un fatto di colore, non è un colpo di sole estivo come è stato trattato dai giornali, che hanno evidenziato come il portavoce si sia sbagliato di chat, scrivendo il messaggio su quella usata per mandare comunicati ufficiali ai giornalisti. E’ ben più grave.Benché Sensi si sia premurato di fornire una spiegazione, che peraltro non ha convinto nessuno, è evidente che pensava di scrivere su un’altra chat, molto riservata, molto verosimilmente quella in cui i finti blogger aspettano il messaggio del giorno per poi colpire sul web. Costruire ma soprattutto distruggere. Senza pietà. Idee, ma anche persone. In questo caso Di Battista. Fino a pochi mesi fa Casaleggio. Da sempre Salvini. E occasionalmente Berlusconi. In ogni caso chi si oppone alla volontà del Narciso di Rignano. Dirige il Maestro Sensi. Ma come, penserete voi, il portavoce di un primo ministro fa queste cose? Non dovrebbe rappresentare tutti gli italiani, nel rispetto di un mandato che è comunque istituzionale? Certo che dovrebbe. Ma quando ci sono di mezzo gli spin doctor tutto diventa relativo e opinabile. Quel che conta è l’obiettivo, che va raggiunto ad ogni costo. Sia chiaro: lo fanno anche altrove, in Francia, negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, paesi imbevuti di spin, ma dove si cerca di salvaguardare le apparenze, anche solo per tutelare il presidente o il premier.A occuparsi di queste utilissime ma poco presentabili attività non è mai direttamente il portavoce del presidente o del premier, bensì qualcuno che fa da filtro e che, nell’improbabile ipotesi che la stampa se ne accorga, possa essere sacrificato. Quel che colpisce di Renzi e del suo spin doctor Sensi è l’arroganza, è la sfacciataggine, è la certezza di non essere denunciati dai giornalisti. Altrove nessun premier si permetterebbe di minacciare direttori di giornali con frasi del tipo “ti spezzo le gambe”, di inviare sms intimidatori, di occupare la Rai per spegnere qualunque voce di dissenso e, a quanto pare, persino la libertà di satira. Nessun portavoce riuscirebbe a rimediare alla gaffe della chat con una battuta, peraltro poco riuscita e per nulla credibile. In Italia, nell’Italia di Renzi, invece è pratica corrente. Sanno, Matteuccio e il suo abile propagandista, che la maggior parte dei giornalisti, con poche lodevoli eccezioni, preferirà tacere, per convenienza, anziché battere i pugni sul tavolo. Solo dopo, solo quando Renzi, nonostante l’overdose di spin, sarà finito, tuoneranno. Dopo, quando non c’è nulla da rischiare.(Marcello Foa, “Renzi e i picchiatori del web, una verità imbarazzante”, dal blog “Il cuore del mondo” su “Il Giornale” dell’11 agosto 2016).Bene, ora lo sappiamo: Matteo Renzi e Filippo Sensi possono contare su un esercito invisibile. Che c’è per loro ma non c’è per il pubblico. Un esercito composto da un numero imprecisato di blogger incaricato di battere il web per sostenere le posizioni del premier e denigrare quelle degli oppositori. Il tutto sotto mentite spoglie. Già perché i guerrieri del web , ma sarebbe meglio chiamarli i “picchiatori del web”, mica dichiarano la propria appartenenza politica. Si presentano come normali internauti, appassionati di politica che passano ore su Facebook, su Twitter, sui blog a duellare con foga, per creare l’onda pro Renzi o spezzare quella anti Renzi. Roba da professionisti. La notizia del “Fatto Quotidiano” di qualche giorno fa, in cui si narra che Filippo Sensi ha invitato a “menare Di Battista sulla Libia” non è un fatto di colore, non è un colpo di sole estivo come è stato trattato dai giornali, che hanno evidenziato come il portavoce si sia sbagliato di chat, scrivendo il messaggio su quella usata per mandare comunicati ufficiali ai giornalisti. E’ ben più grave.
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Italia in guerra in Libia? Ora aspettiamoci i nostri Bataclan
Aspettiamoci pure il nostro Bataclan: arriverà presto, grazie all’appoggio dell’Italia ai bombardamenti americani sulla Libia. Lo sostiene Massimo Fini, che accusa gli Stati Uniti: «Prima costituiscono in Libia un governo fantoccio, quello di Al-Sarraj, che fino a poco tempo fa era così ben visto dalla popolazione libica che era costretto a starsene, con i suoi ministri, su un barcone imboscato nel porto di Tripoli. Adesso che questo governo ha ottenuto l’appoggio della fazione di Misurata, ma non quello del governo antagonista di Tobruk e tantomeno delle altre mille milizie che agiscono in Libia, gli Stati Uniti gli han fatto chiedere il loro soccorso. Qualcosa che somiglia molto alla richiesta di ‘aiuto’ dei paesi fratelli quando l’Urss invadeva l’Ungheria e la Cecoslovacchia che erano insorte contro i governi filosovietici». Secondo gli americani, i loro raid su Sirte e altrove saranno “di precisione”. «Speriamo che non abbiano gli stessi effetti dei ‘missili chirurgici’ e delle ‘bombe intelligenti’ usati nella prima Guerra del Golfo del 1990», replica Fini, ricordando che in quella guerra, secondo dati ufficiali del Pentagono, morirono 167.000 civili, tutti arabi, fra cui 48.000 donne e 32.195 bambini.Naturalmente, Al-Sarraj s’è affrettato ad assicurare che il suo governo respinge qualsiasi intervento straniero senza la sua autorizzazione. «Il fantoccio di Tripoli – scrive Fini sul “Fatto Quotidiano”, in un articolo ripreso da “Come Don Chisciotte” – sa benissimo che una guerra aperta e dichiarata alla Libia compatterebbe tutti i libici di qualsiasi fazione», grazie all’orgoglio nazionale. «E questo andrebbe a tutto vantaggio dell’Isis, che è il gruppo più forte, meglio armato, più determinato, che in breve tempo ingloberebbe anche le altre milizie». Ma ciò che dice al-Sarraj «è una barzelletta a cui è difficile credere, sia perché ciò che nega è già avvenuto, sia perché è alle dirette dipendenze del governo americano a cui è legata la sua sopravvivenza». Sicché, «gli Usa faranno quello che vorranno», e inoltre «sul terreno sono già presenti truppe speciali americane, inglesi e francesi». Dopo aver raso al suolo il regime di Gheddafi – contro gli interessi dell’Italia – trasformando la Libia in un inferno terroristico, adesso la ri-bombardano, continua Fini. «Non c’è niente da fare, passano gli anni e i decenni ma noi non riusciamo a liberarci della pelosa tutela dell’‘amico amerikano’».Nel 1999, ricorda il giornalista, partecipammo all’aggressione alla Serbia (gli aerei americani partivano da Aviano), guerra anche questa a cui l’Onu s’era dichiarata contraria. E anche con la Serbia noi italiani avevamo solidi rapporti di amicizia che risalivano addirittura ai primi del ‘900, quando a Belgrado si pubblicava un quotidiano intitolato “Piemonte”: «I serbi infatti vedevano nell’Italia che si era da poco unita un esempio per conquistare la propria indipendenza sotto le forme di una monarchia costituzionale». Non era obbligatorio aderire alla guerra anti-serba, aggiunge Fini, «tant’è che la piccola Grecia, che fa parte anch’essa della Nato, si rifiutò di parteciparvi». Adesso è il turno della Libia, secondo round. E noi «saremo costretti a fornire la nostra base di Sigonella dove sono presenti una dozzina di droni e di caccia americani. Bel colpo». Finora il governo Renzi, seguendo la linea di Angela Merkel, si era tenuto prudentemente ai margini del caos mediorientale, «e per questo l’Isis non aveva colpito né noi né i tedeschi (gli attentati terroristici in Germania sono stati fatti da psicopatici, sulle cui azioni poi l’Isis ha messo il cappello)». Adesso, invece, «dovremo attenderci anche in Italia attacchi dell’Isis che più viene colpita in Medio Oriente e più, logicamente, porta la guerra in Europa. Vedremo come reagiranno le mamme italiane quando avremo anche noi i nostri Bataclan».Aspettiamoci pure il nostro Bataclan: arriverà presto, grazie all’appoggio dell’Italia ai bombardamenti americani sulla Libia. Lo sostiene Massimo Fini, che accusa gli Stati Uniti: «Prima costituiscono in Libia un governo fantoccio, quello di Al-Sarraj, che fino a poco tempo fa era così ben visto dalla popolazione libica che era costretto a starsene, con i suoi ministri, su un barcone imboscato nel porto di Tripoli. Adesso che questo governo ha ottenuto l’appoggio della fazione di Misurata, ma non quello del governo antagonista di Tobruk e tantomeno delle altre mille milizie che agiscono in Libia, gli Stati Uniti gli han fatto chiedere il loro soccorso. Qualcosa che somiglia molto alla richiesta di ‘aiuto’ dei paesi fratelli quando l’Urss invadeva l’Ungheria e la Cecoslovacchia che erano insorte contro i governi filosovietici». Secondo gli americani, i loro raid su Sirte e altrove saranno “di precisione”. «Speriamo che non abbiano gli stessi effetti dei ‘missili chirurgici’ e delle ‘bombe intelligenti’ usati nella prima Guerra del Golfo del 1990», replica Fini, ricordando che in quella guerra, secondo dati ufficiali del Pentagono, morirono 167.000 civili, tutti arabi, fra cui 48.000 donne e 32.195 bambini.
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C’è qualcosa peggio di Renzi? Ma certo: è la sinistra Pd
Dopo la strage di Nizza e quello che sta succedendo in Turchia, ci si sente male a commentare quel che fa la folla di omuncoli che occupano il nostro palcoscenico politico: Verdini, Alfano, Renzi, Salvini, Speranza, Bersani… C’è una sproporzione inaudita fra le tragedie planetarie che si stanno consumando e che ne preannunciano di altre e più gravi e l’infinita piccolezza dei nostri cialtroncelli di regime. Ma, tant’è, tocca occuparcene perché se assai piccola è la statura dei nostri uomini di governo, grandi e pesanti sono i danni che rischiano di produrre e che, in parte, stanno già producendo. E dunque, mestamente, veniamo ai problemi di casa. Dunque referendum il 6 novembre o giù di lì e, a quanto pare, referendum singolo: Renzi è il più intelligente dei renziani e capisce che l’ipotesi spacchettamento è una fesseria che non sta in pieni né sul piano pratico né su quello logico e tantomeno su quello costituzionale. D’altra parte è stata una idea dei radicali (che quando si tratta di far danno alla democrazia sono sempre in prima fila) e di Bersani che ha perso un’altra magnifica occasione per tacere.Che poi il referendum si faccia davvero il 6 novembre non sarei così sicuro, soprattutto per il rischio che si sovrapponga la crisi delle banche e magari l’ipotesi spacchettamento torna utile non per essere attuata, ma per fare manfrina fra Cassazione e Corte Costituzionale e guadagnare due o tre mesi di tempo, poi chi vivrà vedrà. In questo quadro fosco di drammi internazionali e di scenari interni assai preoccupanti, la sinistra Pd trova il modo di farci ridere, nostro malgrado, con una proposta elettorale semplicemente indecente. La riforma, presentata da quel raro talento di Speranza, prevede l’elezione dei deputati in 475 collegi uninominali a turno unico e 12 eletti all’estero con sistema proporzionale. Gli altri 143 seggi vengono così assegnati: 90 alla prima lista o coalizione, fino a un totale massimo di 350 deputati; 30 alla seconda lista o coalizione; 23 divisi tra chi supera il 2% e ha meno di 20 eletti.Cioè: eliminiamo il doppio turno perché se no vince Grillo, facciamo i collegi uninominali perché abbiamo più possibilità di battere Grillo, e ci accaparriamo così la maggioranza dei seggi. Poi, come se non bastasse, ci aggiungiamo altri 90 seggi, ma solo sino ad un massimo di 350, badate bene: ben 4 in meno del premio previsto dall’Italicum, 30 li diamo alla seconda lista (sperando che sia la destra e non il M5s) e 23 li distribuiamo come mancia fra quelli che, avendo superato la clausola di sbarramento del 2%, abbiano avuto meno di 20 seggi così una lista che magari ha avuto il 18% ma solo 15 seggi uninominali, piò anche arrivare ad averne 23-24 (una mancia non si nega a nessuno). E se non ci sono liste con più del 2% e meno di 20 seggi? In quel caso i 23 seggi li ridistribuiamo fra le due prime liste, ma se poi la prima lista ha già 350 seggi, li diamo alla seconda, tanto non cambia molto.Cioè un metodo maggioritario con correzione maggioritaria e clausola di sbarramento. L’Italicum è molto meno disrappresentativo: in fondo, quello che avanza da quel che va al vincitore, lo distribuisce proporzionalmente fra tutti quelli che superano la soglia di sbarramento. Naturalmente, questo superbo metodo elettorale che non ha eguali nel mondo (da nessuna parte si somma il maggioritario uninominale, il premio di maggioranza e la clausola di sbarramento, ma con la mancia finale) avrebbe il dono di far superare tutti i dubbi sulla riforma costituzionale e la “sinistra Pd” potrebbe lietamente aiutare Renzi a vincere! E ci vogliono imbrogliare? A Lecce dicono: “Io e te, ad un altro, sì. Tu a me no”. Poi la ciliegina sulla torta: Speranza dice che l’uninominale aiuterebbe a colmare il divario fra eletti ed elettori perché si restituirebbe agli elettori la possibilità di scegliere il rappresentante: come dire che, al ristorante ti presento una lista con un solo piatto e ti dico: “scegli!”. Ma Speranza è cretino o pensa che siano cretini tutti gli altri? Secondo me fa il doppio gioco…Neanche a dirlo il sistema è anche tecnicamente fatto in modo sbagliato, per cui può produrre risultati assolutamente controintuitivi. Ad esempio, assegnare la maggioranza al secondo e non al primo: se una lista, prevalendo di un solo voto per collegio, si accaparra 316 seggi ha già la maggioranza e, anche se il suo concorrente ottiene più voti nazionali, con tutto il premio dei 90 seggi, perde. Oppure può benissimo darsi che per la distribuzione del voto, nessuno abbia la maggioranza assoluta perché la lista A ottiene 200 seggi uninominali, più i 90 del premio (= 290) la lista B altri 200 (+ 30= 230) e gli altri 75 seggi uninominali vadano alla lista C ed ai minori che si prendono anche i 23 seggi di mancia. Risultato: nessuno ha la maggioranza per governare e, per di più abbiamo realizzato il sistema più disrappresentativo del mondo. Un capolavoro di ineguagliata grandezza! Questi della sinistra Pd (che non si capisce a nome di chi parlino e chi rappresentino) sono degli stalinisti andati a male per overdose di opportunismo e se sono “sinistri” lo sono nel senso di “loschi”. Il giorni in cui Renzi li sterminerà sino all’ultimo con ferocia turca, io applaudirò freneticamente. Anche alla disonestà intellettuale occorre mettere un limite, soprattutto quando viene da persone intellettualmente ipodotate.(Aldo Giannuli, estratti da “C’è qualcosa di peggio di Renzi? Sì, la sinistra Pd”, dal blog di Giannuli del 21 luglio 2016).Dopo la strage di Nizza e quello che sta succedendo in Turchia, ci si sente male a commentare quel che fa la folla di omuncoli che occupano il nostro palcoscenico politico: Verdini, Alfano, Renzi, Salvini, Speranza, Bersani… C’è una sproporzione inaudita fra le tragedie planetarie che si stanno consumando e che ne preannunciano di altre e più gravi e l’infinita piccolezza dei nostri cialtroncelli di regime. Ma, tant’è, tocca occuparcene perché se assai piccola è la statura dei nostri uomini di governo, grandi e pesanti sono i danni che rischiano di produrre e che, in parte, stanno già producendo. E dunque, mestamente, veniamo ai problemi di casa. Dunque referendum il 6 novembre o giù di lì e, a quanto pare, referendum singolo: Renzi è il più intelligente dei renziani e capisce che l’ipotesi spacchettamento è una fesseria che non sta in pieni né sul piano pratico né su quello logico e tantomeno su quello costituzionale. D’altra parte è stata una idea dei radicali (che quando si tratta di far danno alla democrazia sono sempre in prima fila) e di Bersani che ha perso un’altra magnifica occasione per tacere.
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L’auto-golpe del boia Erdogan, ladrone e super-terrorista
“La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre” (Frank Zappa). “Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali” (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880). Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.Lo sibila tra i denti anche lo stesso Gulen che, ovviamente, rintanato negli Usa sotto tutela e controllo di Washington, non c’entra niente. Anche perché quando mai lui, islamista integralista quanto Erdogan, avrebbe potuto/voluto lanciare contro il sultanato una forza militare che, a dispetto delle epurazioni islamizzanti subite negli anni, mantiene una robusta base secolare e nazionalista. Anche perché per una roba del genere i suoi sorveglianti americani non gli avrebbero mai allentato le briglia. Ci possono essere dissapori, tra il maniaco criminale di Ankara e quelli di Washington. Che so, sui curdi, sulla gestione del califfo, su pace o guerra con Mosca o Iran, ma mettere in discussione un pilastro Nato piantato in mezzo a Medioriente e Asia, ai confini della Russia che delenda est, una forza militare che è la seconda dell’Occidente dopo gli Usa, un regime che tiene appesa al gancio del collasso da migrazioni l’Unione Europea, ecchè, vogliamo metterlo in discussione?E allora tutti, da Obama al “Manifesto”, lungo l’intero arco atlantico da destra a sinistra, a inneggiare alla preservazione delle istituzioni, dei diritti civili e del governo democraticamente (sic!) eletto, con qualcuno dal sottofondo che flauteggia l’auspicio che Erdogan si ravveda e non ne combini più delle sue. Non se ne preoccupa più di tanto Tommaso De Francesco, del quotidiano cripto-Nato, ma con etichetta comunista, il quale non fa che inanellare scemenze e insipienze da quando attribuì a Milosevic despotismo e pulizie etniche e in questo caso, con una Turchia chiaramente spaccata a metà tra affascinati dalla Sharìa e resistenti umani, individua un “Erdogan ferito”, ma anche un “popolo turco”, tutto intero, sdraiatosi davanti ai carri armati come a Tien An Men, in difesa del suo presidente, “democraticamente eletto”. Già gli erano svaporati dalle malferme sinapsi i milioni che negli anni si sono ritrovati nelle piazze, da Dyiarbakir a Istanbul, per farsi sparare addosso dagli sgherri del democraticamente eletto.Divertente poi la linea a balzelloni del giornaletto restituito a malavita (lo ha annunciato l’altro giorno) e alla sua cooperativa più che da lettori fedeli, dai paginoni dei compagni di Eni, Enrel, Telecom, Enav, Coop. Come quando con il suo responsabile esteri sentenzia un Erdogan fragile e indebolito dall’emergere di un elemento di contrasto capace di tenerlo sulla corda per ben tre ore di golpe, nientemeno, mentre l’altro redattore si piega alla realtà di un presidente tornato in grande spolvero e ora in grado spazzare via ogni residuo di opposizione. Ma che riunioni di redazione fanno? Torniamo al “golpe”, auto. Quello sul cui fallimento il “Manifesto” e tanta stampa (un po’ meno lo scaltro “Il Fatto”) si azzarda a ricostruire la «centralità del Parlamento e del ruolo fondamentale dei partiti politici nel gioco democratico» (sic!): esattamente, ed è naturale, i termini in cui hanno salutato il salvataggio della democrazia da parte del più turpe energumeno nazista dell’area gli zii della Casa Bianca, del Dipartimento di Stato e del Pentagono e, scendendo molto in basso per li rami, pure Matteo Renzi e – qui ci scappelliamo – l’eurodama Mogherini.Ebbene qualcuno si ricorda dei colpi di Stato effettuati dai militari turchi ogni qualvolta sospettavano che l’eredità nazionale e laica di Ataturk fosse posta a repentaglio da destra o sinistra? E qualcuno gli ha messo a confronto quiell’aborto di colpetto di Stato della notte tra il 15 e il 16 luglio 2016? Hanno occupato la tv di Stato, ma non le tv private, tutte infeudate a Erdogan, non la Cnn turca (braccio mediatico Nato e Usa) dalla quale è difatti ripartito il controgolpe, cioè il colpo di Stato vero, con la trasmissione da smartphone dell’appello di Erdogan al pogrom antimilitare. Non hanno fatto nessuna delle cose che potevano assicurare il successo di una liberazione militare del popolo turco dalla Vergine di Norimberga in cui progressivamente lo ha rinchiuso il suo Torquemada. Non hanno spento i ripetitori delle telecomunicazioni, i cellulari, internet, non hanno ordinato il coprifuoco e proclamato la legge marziale, non hanno occupato i ministeri, appena qualche tank sui ponti sul Bosforo, di grande visibilità e dove sarebbero potuti arrivare in poco tempo e in tanti a “difendere la democrazia”.Non hanno occupato alcuna via di comunicazione strategica nel paese e tra il paese e i vicini, non hanno occupato le prefetture, presidiato i nodi ferroviari, bloccato gli aeroporti (solo per finta quello di Istanbul dove Erdogan è potuto subito arrivare dal suo luogo di vacanze, a Marmaris, che nessuno si è sognato di bombardare o occupare). Nel tempo delle immagini e dei leaderismi che ne scaturiscono non hanno saputo produrre un nome e una figura carismatica di riferimento, non hanno usato i social network. Dilettantismo di quattro sprovveduti, per quanto bene intenzionati, che non hanno neanche ricordato che i colpi di Stato si fanno a notte fonda, prima dell’alba, quando non si corre l’inconveniente di gente sveglia e per strada. E così le Cnn e le tv associate al disegno del despota hanno potuto riprendere strade e piazze con qualche centinaio di persone, emerse da discoteche e trattorie e poi moltiplicati dagli accorsi agli appelli di Erdogan liberamente trasmessi, simulando una rivolta di massa contro i carri.Poi è finito tutto. Salvo per i 300 morti, per ora, i 6000 arrestati, per ora, i 3000 magistrati dimessi e poi incarcerati, la campagna di linciaggi lanciata contro i soldati “traviati”, piazza pulita di tutti i critici e irriverenti, l’immaginabilissima ulteriore stretta sui diritti politici, civili, operai, la continuità del doppio forno antisiriano (alleanza con Isis, finto guerra all’Isis), lo sprofondare del paese in un abisso di regressione politica e culturale. Una Turchia degna dell’ingresso nell’Ue,vero modello avanzato di quanto si ha in mente a Bruxelles, Washington e tra coloro che brandiscono Nato e Ttip, tanto per assicurarci sulla «centralità del Parlamento turco e dei partiti come attori fondamentali del gioco democratico», come titola il foglio cripto-Nato su un pezzo davvero turco di tale Mariano Giustino. Cosa può essere successo?Che gli attentati finalizzati, come in Francia, come ovunque, ad accelerare la marcia verso lo Stato con gli stivali chiodati e a passo dell’oca non erano riusciti a far ingranare la quarta. Che nell’esercito, per quanto epurato, sopravvivevano fermenti laici, nazionalisti, in disaccordo con le catastrofiche imprese esterne e interne di un regime che andava isolandosi da tutti. Che si è lasciato che i portatori di questi fermenti, nei gradi medio-alti, congiurassero, che magari con agenti provocatori li si incoraggiasse, che addirittura gli si facesse balenare un appoggio euro-atlantico, che poi li si inducesse a commettere le ingenuità, gli errori clamorosi che si sono visti, nell’illusione, loro, che si sarebbero tirati dietro popolo e armate.Tutti a sottolineare il silenzio delle cancellerie occidentali, Obama, Merkel, Juncker, May, Hollande e Renzi (per quel che conta), nelle tre ore del golpe, interpretato e biasimato come un barcamenarsi in attesa di sapere chi avrebbe vinto. Balle! Sapevano benissimo chi avrebbe vinto, ma, davanti all’immagine del golem turco insediatasi ormai nella percezione della gente pensante in tutta la sua orripilante identità di padrino del terrorismo jihadista, massacratore del suo e di altri popoli, corrotto ladrone e capo di un clan di malfattori senza scrupoli, conveniva mostrare qualche disponibilità a chi aveva proclamato nel suo comunicato il «ritorno alla democrazia e al rispetto dei dirtti umani e la pace e amicizia con tutti i popoli vicini». Ovviamente anatema per la Nato e per un’Europa che si muove, per ora con mocassini e tacchi a spillo, nella stessa direzione.Pensate se avesse vinto il colpo di Stato. Via i Fratelli Musulmani, quelli tanto cari al “Manifesto”, ormai nettamene minoritari nella regione (Tunisia, Qatar e Turchia). Cioè via la forza sociale, militare e culturale ideata e nutrita dai colonialismi vecchi e nuovi a garanzia dei propri modelli di sviluppo e di sfruttamento, del proprio ordine mondiale. Al suo posto una realtà imprevedibile e incalcolabile, con rigurgiti nazionalisti e statalisti suscettibili di guardare oltre il soffocante perimetro delle alleanze e dipendenze occidentali, sicuramente laica e, dunque, ostica ai processi di decerebramento religioso che servono a neutralizzare nostalgie di autodeterminazione popolare e nazionale. Quelle che hanno animato alla rivolta alcune decine di milioni di egiziani, dopo aver assaporato la medicina dei Fratelli Musulmani e dei loro surrogati terroristici, sotto un presidente eletto “democraticamente” dal 17% della popolazione in un voto boicottato dalla maggioranza, che aveva imposto la sharìa, sparato sui manifestanti, incarcerato gli oppositori, bruciato le chiese cristiane, trasferito tagliagole in Siria e i cui seguaci ora assassinano civili, funzionari e poliziotti in una guerra terroristica che tutti preferiscono nascondere sotto le presunte infamie di Abdelfatah Al Sisi.Avessero vinto in Turchia i militari, ontologicamente fascisti secondo un’aporia di sinistra, a dispetto di dimostrazioni storiche contrarie, ci saremmo giocati «la centralità del Parlamento turco e dei partiti nel loro ruolo di attori fondamentali del gioco democratico», come temeva il “Manifesto” e tutto il cucuzzaro destro-sinistro dell’atlantismo? Chi lo sa. Di sicuro c’è che, come Al Sisi è meglio di Morsi per gli egiziani, gli arabi, il Medioriente, il movimento delle cellule cerebrali dell’essere umano, difficilmente qualcuno di quelli che si sono agitati l’altra notte a Istanbul avrebbe potuto essere peggio di Erdogan, il padrino degli squartatori del popolo iracheno, libico e siriano. Certo che la Nato, John Negroponte, l’Mi6, la Cia, Oxford Analytica e il “manifesto”, a questo qualcuno non avrebbero esitato un attimo a spedigli un Giulio Regeni, poveretto.(Fulvio Grimaldi, “Turchia, fanno tutto da soli e sono capaci di tutto”, da “Mondocane” del 17 luglio 2016).“La mente è come un paracadute, non funziona se non si apre” (Frank Zappa). “Siamo gli strumenti e i servi di uomini ricchi dietro le quinte. Siamo le marionette; loro tirano i fili e noi balliamo. I nostri talenti, le nostre capacità e le nostre vite sono tutti la proprietà di altri. Siamo prostitute intellettuali” (John Swinton, direttore del “New York Tribune”, 1880). Partiamo dall’ultima bufala False Flag, quella dell’autogolpe del tiranno turco, destinata a completare, con l’ennesima carneficina di propri sudditi, la serie di autoattentati con cui è riuscito a governare uno Stato di Polizia quasi perfetto. Gli mancava la liquidazione di qualche residuo di esercito, magistratura, informazione, politica (il gruppo Fethullah Gulen) e una dimostrazione ad alleati vagamente perplessi che senza di lui non si va da nessuna parte. E così ha allestito il suo incendio del Reichstag, quello che nel 1933 servì a Hitler per rimuovere comunisti, socialisti e cattolici antifascisti e, nel 2011, con l’11 settembre, alla cupola militar-finanziaria-industriale USraeliana a lanciare la guerra per la loro dittatura mondiale.
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I 5 Stelle: basta terrore, l’Italia si smarchi da Ue e Nato
Dopo la strage di Nizza del 14 luglio e il fallito golpe in Turchia, il Movimento 5 Stelle batte un colpo e chiede apertamente che l’Italia si smarchi dal guinzaglio Usa-Ue. «Gli ultimi eventi europei impongono a tutti i cittadini una profonda riflessione a proposito della politica estera italiana», spiegano i 5 Stelle in una nota sul blog di Grillo, accompagnata da un video-editoriale del deputato Manlio Di Stefano. «Il governo è totalmente in preda agli eventi, elargisce solidarietà a destra e a manca ma non agisce in alcun modo, anche perché tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra», è la premessa. L’esecutivo «nicchia, non prende posizione, si accoda alle grandi cordate e non si guarda dentro». Tocca quindi al Parlamento provare a fare «quello che il governo non ha il coraggio di fare», ovvero: «Discutere di un cambio nella nostra politica estera». Tema decisivo e urgentissimo, dal momento che «tutt’intorno una Terza Guerra Mondiale a pezzetti prende sempre più piede».Dai 5 Stelle, dunque, anche una lettera ai presidenti di Camera e Senato, Laura Boldrini e Piero Grasso. «Ci troviamo in una fase cruciale e la paura è il denominatore comune che ci sta accompagnando in questi mesi convulsi, segnale dell’impotenza e dello stato confusionale in cui versa l’establishment euro-atlantico», scrivono i grillini. L’Unione Europea «appare come un ‘contenitore geopolitico’ incapace di adeguarsi ai mutamenti in atto e dare risposte in termini di sicurezza e lotta al terrorismo». Attenzione: «L’intera impalcatura su cui è costruito il potere del sistema euro-atlantico sembra essere ormai vicina al collasso». Consci della gravità del problema, i 5 Stelle questo chiedono «una svolta nella politica estera e una reale volontà politica nel farlo». In altre parole, «l’Italia ha l’obbligo di tornare ad esprimere una politica estera sempre più autonoma e che abbia come principale interesse la sicurezza nazionale. Una politica estera non più schiava di decisioni altrui che negli ultimi anni si sono rivelate drammatici fallimenti».Come forza principale di opposizione, i 5 Stelle chiedono di inserire nell’agenda parlamentare un dibattitto su temi strategici, a cominciare dalla «ridiscussione del ruolo e degli accordi con la Turchia, come principale alleato nella gestione dell’immigrazione, alla luce degli ultimi eventi». I grillini vogliono anche ridiscutere la decisione emersa nell’ultimo vertice Nato di proseguire la missione militare in Afghanistan, per la quale si chiede all’Italia un impegno più consistente. Altra proposta: «Non destinare più nostri finanziamenti a paesi come l’Arabia Saudita, il Qatar e i paesi del Golfo a causa della loro ambiguità con il terrorismo internazionale», oggi targato Isis, introducendo anche una moratoria sulle armi da fuoco. Infine, i parlamentari grillini chiedono al governo Renzi di instaurare «una collaborazione senza precedenti tra le forze di intelligence dei paesi Ue, Nato e della Federazione russa».Dopo la strage di Nizza del 14 luglio e il fallito golpe in Turchia, il Movimento 5 Stelle batte un colpo e chiede apertamente che l’Italia si smarchi dal guinzaglio Usa-Ue. «Gli ultimi eventi europei impongono a tutti i cittadini una profonda riflessione a proposito della politica estera italiana», spiegano i 5 Stelle in una nota sul blog di Grillo, accompagnata da un video-editoriale del deputato Manlio Di Stefano. «Il governo è totalmente in preda agli eventi, elargisce solidarietà a destra e a manca ma non agisce in alcun modo, anche perché tirato per la giacchetta da una parte e dall’altra», è la premessa. L’esecutivo «nicchia, non prende posizione, si accoda alle grandi cordate e non si guarda dentro». Tocca quindi al Parlamento provare a fare «quello che il governo non ha il coraggio di fare», ovvero: «Discutere di un cambio nella nostra politica estera». Tema decisivo e urgentissimo, dal momento che «tutt’intorno una Terza Guerra Mondiale a pezzetti prende sempre più piede».
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5 Stelle e zero idee: l’Italia non ha alternative al peggio
C’è qualcosa di sconcertante nel tempismo con cui, all’indomani del voto sul Brexit, il Movimento 5 Stelle si è precipitato a dichiarare la propria assoluta contrarietà all’uscita dall’Unione Europea e dalla tenaglia suicida dell’euro. Il partito fondato da Grillo e Casaleggio, che ha costruito la sua narrazione propagandistica sulla riappropriazione della sovranità da parte dei cittadini, è come se gettasse la maschera: fa sapere infatti che non muoverà un dito contro la colossale macchina europea edificata per abolire ogni sovranità democratica utilizzando proprio la leva finanziaria per impedire agli Stati di investire in occupazione. A quanto pare, tutto quello che faranno, i 5 Stelle, sarà – al massimo – sostituire il Pd, magari ripulendo il volto del personale politico, ma senza disturbare il manovratore. Non una parola, dai grillini, su come costruire un piano-B per restituire salute economica al paese. E silenzio assoluto anche sul vasto e assordante background della geopolitica, fra terrorismo opaco, fiumi di profughi e guerre alle porte. Nessuna vera indicazione: né sulla politica economica, né sulla politica estera.Era tutto previsto fin dall’inizio, sostegono alcuni critici come Gianfranco Carpeoro, secondo cui i 5 Stelle sono stati, da sempre, la carta di riserva degli Stati Uniti per contenere la protesta e impedire all’Italia di esprimere una politica autonoma. In altre parole: se cade Renzi arriva Di Maio, ma non cambia assolutamente nulla. Un ex pentastellato come Bartolomeo Pepe, ai microfoni di “Forme d’Onda”, mette la parte il risentimento dell’ex per lasciare spazio all’amarezza e alla preoccupazione: denuncia la manipolazione verticistica di cui la stragrande maggioranza degli stessi 5 Stelle (elettori ed eletti) sarebbe vittima, e su Di Maio esprime un giudizio ben poco lusinghiero: il super-canditato grillino sarebbe «un bravo attore, una scatola senza contenuti», reduce da svariate ricognizioni nei centri di potere – politici, diplomatici, finanziari – per rassicurare i padroni del vapore e spiegare loro che, coi 5 Stelle a Palazzo Chigi, non avranno nulla da temere.Se il senatore Pepe – un coraggioso attivista antimafia – racconta il profondo travaglio personale col quale ha vissuto la disillusione e quindi lo strappo dal gruppo Grillo-Casaleggio, al pubblico resta un senso di desolazione: si sta avvicinando il momento delle grandi decisioni, e l’Italia non ha una squadra da schierare in campo. La meteora Renzi sta evaporando, il centrodestra non esiste più, i 5 Stelle non esprimono un’alternativa di governo. Tra i loro più fermi detrattori, il profetico Paolo Barnard: già all’indomani delle politiche 2013 si era affrettato a proporre ai grillini un piano di piena occupazione messo a punto da un team di economisti guidato da Warren Mosler. Valore: 2 milioni di posti di lavoro. Bellissimo, risposero, ma Grillo e Casaleggio non ne vogliono sapere. Dopo tre anni di piccolo cabotaggio e conquiste di Comuni e città, con l’Europa in frantumi e l’Italia sempre più in bilico, dai 5 Stelle non è finora pervenuta nessuna soluzione strutturale per riconvertire il declino italiano strappando il paese allo strapotere dell’élite finanziaria internazionale. “There is no alternative”, diceva Margaret Thatcher.C’è qualcosa di sconcertante nel tempismo con cui, all’indomani del voto sul Brexit, il Movimento 5 Stelle si è precipitato a dichiarare la propria assoluta contrarietà all’uscita dall’Unione Europea e dalla tenaglia suicida dell’euro. Il partito fondato da Grillo e Casaleggio, che ha costruito la sua narrazione propagandistica sulla riappropriazione della sovranità da parte dei cittadini, è come se gettasse la maschera: fa sapere infatti che non muoverà un dito contro la colossale macchina europea edificata per abolire ogni sovranità democratica utilizzando proprio la leva finanziaria per impedire agli Stati di investire in occupazione. A quanto pare, tutto quello che faranno, i 5 Stelle, sarà – al massimo – sostituire il Pd, magari ripulendo il volto del personale politico, ma senza disturbare il manovratore. Non una parola, dai grillini, su come costruire un piano-B per restituire salute economica al paese. E silenzio assoluto anche sul vasto e assordante background della geopolitica, fra terrorismo opaco, fiumi di profughi e guerre alle porte. Nessuna vera indicazione: né sulla politica economica, né sulla politica estera.
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Mai sprecare una bella crisi: ecco cos’hanno in mente
“Draghi vuole un Nuovo Ordine Mondiale che i populisti ameranno odiare”: così “Bloomberg” all’indomani del Brexit. «Mai sprecare una bella crisi, e il Brexit lo è», scrive Maurizio Blondet: «I globalizzatori sono dunque all’attacco: mentre gli europeisti (che sembrano essere la cosca perdente) cercano di cavalcare la crisi per instaurare “più Europa”, Draghi e complici puntano al Nuovo Ordine Mondiale. Ciò sarà venduto al pubblico come “necessario coordinamento fra le banche centrali”, in seguito ad un collasso finanziario globale che è stato già (deliberatamente?) innescato». Per “Bloomberg”, oggi le banche centrali sono ancora «governate da leggi concepite in patria, che richiedono loro di perseguire certi scopi, a volte espliciti, in genere legati all’inflazione e alla disoccupazione». Per di più, «devono rispondere ai legislatori nazionali, eletti». Il che è un guaio per i banchieri globali, commenta Blondet sul suo blog. Ecco perché, ora, «gli obbiettivi a breve termine dovrebbero essere sostituiti dagli obbiettivi globali». E cioè: più recessione e più disoccupazione. «La crisi ci farà cadere dalla padella dell’euro alla brace della moneta globale governata contro gli interessi dei popoli».Brandon Smith, economista e blogger, sostiene che il Brexit sia stato un evento artificiale, per preparare deliberatamente il prossimo collasso, che indurrà tutti – media e i governi – a «implorare il governo unico mondiale». Idea non peregrina, continua Blondet: come se l’uscita del Regno Unito dalla Ue sia stata voluta da Buckingham Palace «per posizionare la City come centrale globale di negoziazione dello yuan». La valuta cinese, infatti, «farà parte del paniere di monete che costituirà la moneta globale digitale, una volta tramontato il dollaro». Pechino s’è affrettata ad esprimere il proposito di collaborare, con la sua Asian Infrastructure Investment Bank (Aiib), con la Banca Mondiale? E’ la prova, per Smith, che «i cinesi non hanno mai avuto l’intenzione di fare di fare della Aiib un contro-Fmi», dato che «i cinesi lavorano con i globalizzatori, non contro di essi». Sta cambiando tutto. Anche per questo, oggi, Tony Blair viene scaricato come criminale di guerra 12 anni dopo l’Iraq. «Allo stesso modo, l’Unione Europea viene abbandonata come un guscio vuoto». Persino Schaeuble dice: se alcuni Stati membri vogliono perseguire le loro politiche al di fuori delle istituzioni europee, che lo facciano pure. «Una Ue ridotta ad accordi fra governi, adesso gli va benissimo».«Se il progetto è quello indicato da Bloomberg – salto nella globalizzazione totalitaria – si capisce anche l’imprevista pugnalata di Draghi al Montepaschi, a cui ha richiesto, ordinato, di liberarsi di 10 miliardi di crediti inesigibili: certo con ciò ha precipitato il fallimento della banca (del Pd), e magari il collasso del sistema bancario italiano, il più fragile, e non può non averlo fatto apposta», scrive Blondet. «Con ciò ha decretato anche la disfatta di Matteo Renzi. Deliberatamente ha pugnalato alla schiena il giovine rottamatore, come già fece con il vecchio Berlusconi». Come Blair, Juncker e Schulz, «simili personaggi non servono più», se l’Ue si sbriciola in favore della globalizzazione definitiva. «Anche Matteo Renzi sarà dato in pasto alle folle inferocite, e ai suoi sicari di partito», con un’Italia precipitata «nel collasso del suo sistema bancario senza un governo funzionante, e magari – il che è lo stesso – con un governo grillino eletto a furor di popolo». “Mai sprecare una bella crisi”. Meglio aggravarla, piuttosto che alleviarla – così sospetta Brandon Smith. «Non a caso Soros continua a dire che sta per arrivare la catastrofe. Non a caso il Fondo Monetario e la Banca dei Regolamenti Internazionali hanno “lanciato l’allarme” prevedendo un crash colossale nel 2016». Previsioni di crisi difficilmente sballate, «perché sono loro che pongono le condizioni perché esplodano».“Draghi vuole un Nuovo Ordine Mondiale che i populisti ameranno odiare”: così “Bloomberg” all’indomani del Brexit. «Mai sprecare una bella crisi, e il Brexit lo è», scrive Maurizio Blondet: «I globalizzatori sono dunque all’attacco: mentre gli europeisti (che sembrano essere la cosca perdente) cercano di cavalcare la crisi per instaurare “più Europa”, Draghi e complici puntano al Nuovo Ordine Mondiale. Ciò sarà venduto al pubblico come “necessario coordinamento fra le banche centrali”, in seguito ad un collasso finanziario globale che è stato già (deliberatamente?) innescato». Per “Bloomberg”, oggi le banche centrali sono ancora «governate da leggi concepite in patria, che richiedono loro di perseguire certi scopi, a volte espliciti, in genere legati all’inflazione e alla disoccupazione». Per di più, «devono rispondere ai legislatori nazionali, eletti». Il che è un guaio per i banchieri globali, commenta Blondet sul suo blog. Ecco perché, ora, «gli obbiettivi a breve termine dovrebbero essere sostituiti dagli obbiettivi globali». E cioè: più recessione e più disoccupazione. «La crisi ci farà cadere dalla padella dell’euro alla brace della moneta globale governata contro gli interessi dei popoli».
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La strage a Dacca contro l’Italia schierata in Iraq e in Siria
Non ingannino le apparenze visto che tutto, nello spettacolare globale degli attentati, pare somigliarsi. La strage di italiani a Dacca non è simile e ad altre, dove sono rimasti coinvolti, e uccisi, altri nostri connazionali. Come accaduto in Egitto e in Tunisia, dove turisti italiani sono rimasti coinvolti in attentati che avevano come obiettivo di fermare i flussi turistici per penalizzare i governi di quei paesi. Stavolta gli italiani sono manifestamente parte dell’obiettivo principale. Visto che l’obiettivo della strage è stato un complesso di bar e ristoranti notoriamente frequentato da italiani, stando a fonti non sensazionalistiche, collocato molto vicino all’ambasciata del nostro paese in Bangladesh. Ma, si dirà, con il governo Renzi che ha rifiutato l’avventura coloniale in Libia, chi può lanciare un simile atto di guerra all’esecutivo, con una strage che non vedeva coinvolti un numero di italiani così alto dai tempi dell’attentato al treno del natale 1984?Beh, la risposta è semplice. E sta in Iraq e in Siria. Dove truppe italiane sono parte integrante del conflitto, che riguarda l’Isis e altre forze dell’islamismo radicale, mentre il parlamento non ne parla e le forze politiche discutono dell’Italicum. Basta scorrere un po’ di siti di intelligence per scoprire l’acqua calda: con l’arrivo a Erbil (Iraq) del reparto della Brigata Friuli per le operazioni di Personnell Recovery (secondo “Analisi Difesa”, 130 militari con 4 elicotteri Nh-90 e 4 elicotteri da attacco A-129D Mangusta) e delle prime aliquote del contingente, sulla base del 6° reggimento bersaglieri, destinato a schierarsi presso la Diga di Mosul (a 10 km dall’Isis), il comando delle forze italiane impegnate contro lo Stato Islamico (Operazione “Inherent Resolve”, per l’Italia “Prima Parthica”) è stato elevato al rango di generale di brigata. Questo per capire un paio di cose: la prima è che l’Italia è sul fronte Isis in Iraq, la seconda che l’operazione si fa così complessa da dover richiedere un rango più alto di comando sul campo.Su siti di intelligence si trovano poi informazioni sul fatto che l’identità dei militari in azione in Iraq è oscurata, assieme a qualsiasi foto che li riguardino, per motivi di sicurezza (e di informazione sui media, aggiungiamo). Niente però impedisce all’Isis, o a chi vuol mandare messaggi a Renzi, di uccidere italiani, ad esempio, in Bangladesh. Sono le regole del conflitto asimmetrico, applicate da più di un ventennio ormai. Non è finita qui, la stessa “Analisi Difesa”, fonte di destra ma preziosa per capire guerre anche dimenticate come l’Afghanistan (dove l’Italia continua ad esserci grazie anche al voto della allora sinistra superpacifista), ricorda che nel caldo fronte di guerra della Siria ci sono batterie di missili italiane con 135 artiglieri. Ufficialmente posizionati in Turchia ma con il compito di monitorare il fronte siriano. Non c’è da stupirsi, in presenza di un impegno militare italiano in Siria ed in Iraq che dei nostri connazionali vengano uccisi da islamisti radicali in Bangladesh. Una strage mirata, tipica della guerra asimmetrica: non ti colpisco sul fronte dove ti sei blindato, ma in uno delle tante retrovie dove sei sensibile, nella superficie globale.Il governo Renzi mostra così di essere in guerra, a bassa intensità e nascosta appena possibile, dove con la Brexit ha fatto vedere di essere dentro una guerra finanziaria, con il tracollo delle banche (del quale si prova a rimediare trattando con l’Ue e la Bce). Certo, il governo Renzi fa il suo mestiere: diluire gli eventi, decontestualizzarli, nel governo dei media. Fare in modo che l’impatto, sull’opinione pubblica, della guerra sul campo e di quella finanziaria sia minimo. Il modo da attribuire i disastri in corso ad altre cause mai contestualizzate tra loro. Desta invece stupore che le opposizioni, a vario titolo, non riescano ad andare più in là delle polemiche sulla legge elettorale appena entrata in vigore. Da gennaio a giugno la capitalizzazione delle banche si è dimezzata, poi l’attacco finanziario agli istituti bancari nazionali dopo la Brexit: minimo doveva esserci il parlamento mobilitato, od occupato, dalle opposizioni che dovevano proporre misure serie ed efficaci. Per non parlare di questo atto di guerra, asimmetrica, in risposta all’impegno militare italiano certificato sul campo.Al di là delle posizioni di rito, e di cordoglio, le opposizioni hanno risposto con l’encefalogramma piatto. Se il colmo di un governo, come quello Renzi, è comandare i media e rischiare di andare a casa lo stesso, quello delle opposizioni è farsi trascinare in una doppia guerra, finanziaria e sul campo, senza accorgersene. Ora i fatti continueranno il loro corso, senza la politica italiana, evidentemente. Restano i morti sul campo, con storie di esternalizzazione del tessile italiano in Bangladesh, e il paese in cui si è svolto l’attentato. Quasi 170 milioni di abitanti, uno dei paesi con la più alta densità di abitanti per km quadrato al mondo, e le contraddizioni acute tipiche della nazione “in via di sviluppo”, quelle che piacciono tanto al neoliberismo standard. E con l’islamismo radicale, feroce, cieco che svolge anche funzioni di reazione al liberismo, altrettanto feroce. Questo il mondo in cui siamo. Ed ora via ad un altro bel dibattito sulla legge elettorale.(“Dacca, strage di italiani per dichiarare guerra al governo Renzi”, da “Senza Soste” del 3 luglio 2016).Non ingannino le apparenze visto che tutto, nello spettacolare globale degli attentati, pare somigliarsi. La strage di italiani a Dacca non è simile e ad altre, dove sono rimasti coinvolti, e uccisi, altri nostri connazionali. Come accaduto in Egitto e in Tunisia, dove turisti italiani sono rimasti coinvolti in attentati che avevano come obiettivo di fermare i flussi turistici per penalizzare i governi di quei paesi. Stavolta gli italiani sono manifestamente parte dell’obiettivo principale. Visto che l’obiettivo della strage è stato un complesso di bar e ristoranti notoriamente frequentato da italiani, stando a fonti non sensazionalistiche, collocato molto vicino all’ambasciata del nostro paese in Bangladesh. Ma, si dirà, con il governo Renzi che ha rifiutato l’avventura coloniale in Libia, chi può lanciare un simile atto di guerra all’esecutivo, con una strage che non vedeva coinvolti un numero di italiani così alto dai tempi dell’attentato al treno del natale 1984?
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Carpeoro: via Renzi arriva Di Maio, il Piano-B dello Zio Sam
«Tranquilli, non c’ è pericolo che in Italia cambi qualcosa: se cade Renzi, c’è già pronto Di Maio, il grillino». Con la consueta chiarezza, l’avvocato Gianfranco Carpeoro – scrittore, studioso di linguaggio simbolico e già gran maestro della massoneria di rito scozzese, ospite dell’ultima puntata della trasmissione web-radio “Border Nights”, sostiene che in Italia non vi sarà nessuna immediata conseguenza politica della Brexit. Premessa: secondo Carpeoro, l’Inghilterra è uscita dall’Unione Europea “per modo di dire”, perché di fatto «in Europa la Gran Bretagna non c’è mai stata davvero». Terremoti geopolitici in vista? Nemmeno: «Al di là delle apparenze – terrorismo europeo, crisi, Isis e chi più ne ha più ne metta – il quadro non cambierà, perché gli Usa sono interessati a congelare la situazione: il loro debito è in mano alla Cina e non vedono l’ora di chiudere questo problema, perché non tollerano l’idea di dipendere da qualcun altro. Hanno bisogno tempo, dunque di stabilità. Fingono di osteggiare l’intervento russo in Siria, ma in realtà fa comodo anche a loro. Idem l’Italia: nulla di sostanziale deve cambiare, e quindi non cambierà».Di ispirazione socialista, Carpeoro esprime un punto di vista sempre fuori dal coro, L’esoterismo? «Il potere non esita a metterlo in burletta, promuovendo i Maghi Otelma di turno, perché teme il potenziale di verità dell’esoterismo serio». L’analisi sullo scenario coincide con quella di Gioele Magaldi: «La massoneria reazionaria internazionale è al lavoro per il massimo profitto dell’élite, revocando diritti e sicurezze». Forse qualcuno si sta sfilando, da quel super-vertice occulto, mettendo in allarme i grandi manovratori, che infatti – attraverso i servizi segreti e manovalanza anche islamica – ricorrono in modo ormai sistematico alla strategia della tensione targata Isis. L’Unione Europea azzoppata dalla Brexit? Ma no: l’Ue non è mai stata altro che una colossale trappola congegnata per drenare ricchezza dal basso verso l’alto, impedendo all’Europa di conquistare una vera sovranità, in autonomia dagli Usa. «E poi: come potrebbe mai funzionare una Unione con al suo interno democrazie parlamentari e monarchie?».Insomma, tutto sotto controllo (si fa per dire). Nel senso: nessun rivolgimento in vista. Anche perché non ci sono segni che possa essere insidiato, nel suo meccanismo fondamentale, «un sistema come questo, fondato su un’economia che prevede che, perché qualcuno stia meglio, c’è bisogno che altri stiano peggio». Inutile illudersi che cambi qualcosa di sostanziale, in Europa come in Italia. Da noi c’è in panchina il movimento fondato da Beppe Grillo? Appunto: «I 5 Stelle sono sempre stati la carta di riserva degli americani, nel caso cedesse il Pd». Che i militanti se ne rendano conto o meno, il movimento è stato “coltivato” dallo Zio Sam. Non a caso, oggi non si accoda agli inglesi che hanno scelto il “leave”. Uscire dall’Ue? Nemmeno per idea, hanno subito chiarito i vari portavoce pentastellati. Su cui svetta il possibile futuro premier Luigi Di Maio: «Le sue visite al consolato americano a Roma sono aumentate, forse è un segno che il tempo di Renzi sta davvero per finire. Beninteso: per gli italiani non cambierà assolutamente niente».«Tranquilli, non c’è pericolo che in Italia cambi qualcosa: se cade Renzi, c’è già pronto Di Maio, il grillino». Con la consueta chiarezza, l’avvocato Gianfranco Carpeoro – scrittore, studioso di linguaggio simbolico e già gran maestro della massoneria di rito scozzese, ospite dell’ultima puntata della trasmissione web-radio “Border Nights”, sostiene che in Italia non vi sarà nessuna immediata conseguenza politica della Brexit. Premessa: secondo Carpeoro, l’Inghilterra è uscita dall’Unione Europea “per modo di dire”, perché di fatto «in Europa la Gran Bretagna non c’è mai stata davvero». Terremoti geopolitici in vista? Nemmeno: «Al di là delle apparenze – terrorismo europeo, crisi, Isis e chi più ne ha più ne metta – il quadro non cambierà, perché gli Usa sono interessati a congelare la situazione: il loro debito è in mano alla Cina e non vedono l’ora di chiudere questo problema, dato che non tollerano l’idea di dipendere da qualcun altro. Hanno bisogno tempo, dunque di stabilità. Fingono di osteggiare l’intervento russo in Siria, ma in realtà fa comodo anche a loro. Idem l’Italia: nulla di sostanziale deve cambiare, e quindi non cambierà».
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Saviano e Napolitano, la sinistra No-Brexit che piace all’élite
Fra gli effetti positivi ed imprevisti del referendum sulla Brexit c’è un certo effetto di “cartina di tornasole” che ci rivela quel che pensa effettivamente una certa sinistra, che in Italia possiamo identificare nel Pd e nei suoi alleati. Ha iniziato un alleato come Monti (quello che Renzi, in un momento di baruffa, si lasciò andare e definì “illuminato”, ecco… appunto) che ha rimproverato Cameron del delitto di lesa maestà per aver dato la parola al popolo con il referendum, un vero “abuso di democrazia” (parole testuali dell’illuminato uomo politico e statista). Poi ci si è aggiunto anche Giorgio Napolitano, altro illuminato progressista, che ha sentenziato che su argomenti così complessi non si può interpellare il popolo che evidentemente non ha gli strumenti per capire. In effetti la stessa cosa si può dire della Costituzione, del nucleare, del codice penale o civile, della responsabilità dei magistrati, e, in fondo anche divorzio, aborto o, diciamola tutta, anche decidere fra Repubblica e Monarchia non sono temi semplici alla portata del popolo bue. Magari questo lo pensò, nel giugno 1946, Umberto II di Savoia e, si sa, il sangue non è acqua.Poi è giunto il verbo dell’eccelso storico e politologo Roberto Saviano che, dall’alto dei suoi studi, ha decretato che quelli che hanno votato Brexit sono tutti fascisti e nazisti! E Saviano è una delle teste più lucide dell’intellettualità di sinistra, anche se dovrebbe perdere ancora un po’ di capelli per giungere alla lucidità integrale. Poi la Melandri ha ritwittato con simpatia la massima di un tale: «Ma perché anziché negare il voto nei primi 18 anni non lo togliamo negli ultimi 18 di vita?». Giusto, solo che c’è un problema: fissare il termine a quo calcolare i 18 ultimi, visto che la gente si ostina a morire a casaccio nelle età più disparate. Certo, si potrebbe fissare per legge il “fine vita” (e l’evoluzione ideologica del Pd va in questa direzione “giovanilistica”), però non credo converrebbe tanto all’on Giovanna Melandri che, insomma, proprio una ragazzina non è più ma solo una ex bella donna. Potremmo proseguire con gli esempi.Sta venendo fuori tutta l’anima ferocemente classista, elitaria, antipopolare di questa sinistra dei salotti. Io appartengo ad un’altra sinistra, che sa perfettamente di dover affrontare le sfide del mondo della globalizzazione, ma che non dimentica il Psi che organizzava le scuole di alfabetizzazione per insegnare agli operai a leggere e scrivere per conquistare quel diritto di voto che questi oggi vorrebbero togliere; che non dimentica il “cafone” Peppino Di Vittorio, che un titolo di studio non lo prese mai ma che insegnò ai braccianti a non togliersi il cappello davanti ai “signori” e che a questi intellettuali di “sinistra” avrebbe potuto insegnare molte cose; che non dimentica le scuole delle repubbliche partigiane come quella organizzata nell’Ossola da Gisella Floreanini; non dimentica intellettuali dome Umberto Terracini, Antonio Gramsci, Concetto Marchesi, Vittorio Foa, che erano veri grandi intellettuali (non come questi cialtroni della gauche caviar) che non nutrivano nessuna spocchia intellettuale e la vita l’hanno spesa per emancipare culturalmente, economicamente e politicamente le classi popolari.La mia sinistra non ignora i problemi dell’oggi, ma non si piega all’idea che la migliore sinistra è … la destra elitaria e classista. Lo confesso, questa sinistra al chachemire, la sinistra delle terrazze romane, ebbene si, mi fa schifo non solo politicamente, ma più ancora moralmente ed umanamente, perché la “sinistra” neoliberista ed elitaria non esiste: è solo una ignobile truffa. Il Pd? E’ più spregevole della Lega e dell’Ukip, credetemi.(Aldo Giannuli, “Contro la sinistra elitaria”, dal blog di Giannuli del 24 giugno 2016).Fra gli effetti positivi ed imprevisti del referendum sulla Brexit c’è un certo effetto di “cartina di tornasole” che ci rivela quel che pensa effettivamente una certa sinistra, che in Italia possiamo identificare nel Pd e nei suoi alleati. Ha iniziato un alleato come Monti (quello che Renzi, in un momento di baruffa, si lasciò andare e definì “illuminato”, ecco… appunto) che ha rimproverato Cameron del delitto di lesa maestà per aver dato la parola al popolo con il referendum, un vero “abuso di democrazia” (parole testuali dell’illuminato uomo politico e statista). Poi ci si è aggiunto anche Giorgio Napolitano, altro illuminato progressista, che ha sentenziato che su argomenti così complessi non si può interpellare il popolo che evidentemente non ha gli strumenti per capire. In effetti la stessa cosa si può dire della Costituzione, del nucleare, del codice penale o civile, della responsabilità dei magistrati, e, in fondo anche divorzio, aborto o, diciamola tutta, anche decidere fra Repubblica e Monarchia non sono temi semplici alla portata del popolo bue. Magari questo lo pensò, nel giugno 1946, Umberto II di Savoia e, si sa, il sangue non è acqua.
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La Brexit travolge Renzi, adesso volano i No al referendum
Basta giri di parole e commissariamenti, meglio libertà e democrazia. Da Londra a Roma, l’onda del Brexit rischia di travolgere Matteo Renzi: contro la “rottamazione” della Costituzione voterebbe il 54% degli italiani, incluso il 22% degli elettori del Pd. L’“Huffington Post” ha pubblicato il primo sondaggio sul referendum di ottobre dopo il voto che ha sancito l’addio del Regno Unito all’Unione Europea. E le percentuali non lasciano spazio di vittoria per il premier, che ha investito tutto sul buon esito della consultazione sulla riforma costituzionale, scrive il “Giornale”. Secondo il sondaggio di “ScenariPolitici” realizzato in esclusiva per l’“Huffington Post”, la maggioranza degli italiani oggi sarebbe orientata a votare contro la manomissione della Costituzione e lo smantellamento del Senato elettivo. «Il 54% degli intervistati voterebbe contro la riforma, il 46% a favore», si legge sul sito diretto da Lucia Annunziata, pur consapevole che si tratti di dati ancora «suscettibili di sostanziali modifiche, visto che meno di un italiano su due oggi è certo di andare a votare».Come racconta Adalberto Signore sul “Giornale”, Renzi sarebbe rimasto molto colpito dalle immagini di David Cameron che davanti all’ingresso del numero 10 di Downing Street annuncia le dimissioni da primo ministro. «Il premier – scrive Sergio Rame – inizia a sospettare che aver indetto un referendum sul ddl Boschi possa essere stato un azzardo. Anche perché ha promesso di lasciare la politica nel caso in cui dovesse passare il “no”. Uscire da questo angolo è pressoché impossibile». Secondo “ScenariPolitici”, il 23% degli italiani non ha ancora deciso cosa votare. Il 29%, invece, non andrà a votare. Non solo. Appena il 28% degli intervistati considera la riforma renziana “una priorità per l’Italia”, mentre per il 49% è molto meglio “focalizzarsi su altre tematiche più urgenti”.Nel frattempo, il fronte del “no” si sta muovendo compatto. Le opposizioni hanno già iniziato la campagna per non far passare il ddl Boschi dalle forche referendarie e, quindi, mandare a casa Renzi. Il “no” starebbe addirittura conquistando l’elettorato del Pd: sempre secondo “ScenariPolitici”, il 22% degli elettori “Dem” sarebbe infatti pronto a votare “no”. «Per Renzi, insomma, sembra non esserci scampo». Lo si può capire: tutta la sua politica, finora, è stata orientata in un’unica direzione – assecondare i diktat dell’élite che usa la Germania come kapò europeo, fingendo però di introdurre brillanti (e indolori) innovazioni. Dopo la porta in faccia sbattuta dagli inglesi, sul muso della Merkel innanzitutto, cresce la voglia di emulazione. Perché dare ancora retta ai pigolii di Renzi, quando è possibile dire dei “no” nettissimi? Ed ecco, per il premier, il grande rischio del referendum di ottobre, annunciato anche dal crollo del Pd alle amministrative.Basta giri di parole e commissariamenti, meglio libertà e democrazia. Da Londra a Roma, l’onda del Brexit rischia di travolgere Matteo Renzi: contro la “rottamazione” della Costituzione voterebbe il 54% degli italiani, incluso il 22% degli elettori del Pd. L’“Huffington Post” ha pubblicato il primo sondaggio sul referendum di ottobre dopo il voto che ha sancito l’addio del Regno Unito all’Unione Europea. E le percentuali non lasciano spazio di vittoria per il premier, che ha investito tutto sul buon esito della consultazione sulla riforma costituzionale, scrive il “Giornale”. Secondo il sondaggio di “ScenariPolitici” realizzato in esclusiva per l’“Huffington Post”, la maggioranza degli italiani oggi sarebbe orientata a votare contro la manomissione della Costituzione e lo smantellamento del Senato elettivo. «Il 54% degli intervistati voterebbe contro la riforma, il 46% a favore», si legge sul sito diretto da Lucia Annunziata, pur consapevole che si tratti di dati ancora «suscettibili di sostanziali modifiche, visto che meno di un italiano su due oggi è certo di andare a votare».
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L’inizio della fine per l’Ue delle banche, dell’euro e del Ttip
Smentendo tutti i sondaggisti e tutti i palazzi del potere, e anche la prematura gioia delle Borse e le premature lacrime di chi come noi era per la Brexit, il popolo britannico ha detto basta alla Ue. Lo aveva fatto un anno fa anche il popolo greco, anche allora smentendo i sondaggi, poi il suo governo si era piegato alla tirannia della Troika. Le Borse e la finanza precipitano dalla euforia alla depressione, in misura esattamente inversa alla euforia di libertà dei popoli, dobbiamo prendere atto che il potere dei mercati e la democrazia sono incompatibili e dobbiamo stare con chi sceglie la democrazia. Con questo voto muore subito il Ttip, che lo stesso Obama aveva legato ai destini della Brexit e comincia la fine della Ue dell’Euro, delle multinazionali, delle banche e soprattutto dell’austerità. Comincia la fine di un sistema di potere europeo dove un solo parlamento è sovrano, quello tedesco, e tutti quelli degli altri paesi eseguono gli ordini della Troika. Comincia la fine della Ue perché questa istituzione non è riformabile, come dimostrano anche le reazioni isteriche, furiose e inconcludenti dei suoi leader.Anche in questi giorni c’è stato chi ha detto che si sta nella Ue per cambiarla, peccato che la Ue sia indisponibile a qualsiasi cambiamento vero e come tutte le tirannie può solo crollare, non cambiare. Nel no alla Ue è stato decisivo il popolo laburista, che non ha seguito le indicazioni del suo establishment politico e sindacale, ma ha premiato l’impegno di minoranze coraggiose, come il glorioso sindacato dei ferrovieri che abbiamo conosciuto come Eurostop. Minoranze oscurate dai mass media, ma che sono state determinanti. Il popolo della sinistra britannica ha chiarito che sinistra ed europeismo oggi sono incompatibili e che la battaglia contro la Ue delle banche è stata egemonizzata finora da forze di destra perché la sinistra ufficiale ha abbandonato il suo popolo. Ora questo popolo ha bisogno di altri rappresentanti, che in nome della eguaglianza sociale e della democrazia e non dei mercati, ricaccino le destre dal terreno abusivamente occupato.Ora si apre l’epoca del coraggio e tutto si rimette in moto, sarà dura ma questo voto mostra che l’epoca della globalizzazione senza diritti sociali è finita, sono gli stessi mercati a crollare sul potere di argilla che hanno costruito. Tornano i popoli, gli stati, le politiche economiche, i diritti sociali e del lavoro. Sarà dura e non sarà breve, ma c’è tutta una classe dirigente europea da rottamare. Cominciamo qui votando No al referendum di ottobre e mandiamo a casa Renzi e la sua controriforma costituzionale, voluta dalla Ue delle banche. E dopo la Renxit avanti con la Italexit. Grazie al popolo britannico che come nel 1940 dà il via al percorso di liberazione dell’Europa, gli Spitfire sono spuntati dalle urne.(Giorgio Cremaschi, “Brexit, l’inizio della fine per l’Europa delle banche”, da “Micromega” del 24 giugno 2016).Smentendo tutti i sondaggisti e tutti i palazzi del potere, e anche la prematura gioia delle Borse e le premature lacrime di chi come noi era per la Brexit, il popolo britannico ha detto basta alla Ue. Lo aveva fatto un anno fa anche il popolo greco, anche allora smentendo i sondaggi, poi il suo governo si era piegato alla tirannia della Troika. Le Borse e la finanza precipitano dalla euforia alla depressione, in misura esattamente inversa alla euforia di libertà dei popoli, dobbiamo prendere atto che il potere dei mercati e la democrazia sono incompatibili e dobbiamo stare con chi sceglie la democrazia. Con questo voto muore subito il Ttip, che lo stesso Obama aveva legato ai destini della Brexit e comincia la fine della Ue dell’Euro, delle multinazionali, delle banche e soprattutto dell’austerità. Comincia la fine di un sistema di potere europeo dove un solo parlamento è sovrano, quello tedesco, e tutti quelli degli altri paesi eseguono gli ordini della Troika. Comincia la fine della Ue perché questa istituzione non è riformabile, come dimostrano anche le reazioni isteriche, furiose e inconcludenti dei suoi leader.