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Il partito che non c’è: quello che direbbe tutta la verità
«Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli un po’ le unghie». Lo disse Olof Palme, grande leader socialdemocratico europeo, assassinato nel 1986 a Stoccolma mentre era premier della civilissima Svezia, dove aveva imposto l’ingresso diretto dello Stato nell’economia per salvare industrie traballanti, assegnando addirittura ai lavoratori una quota azionaria. «Chi ha ucciso Palme voleva “uccidere” il socialismo in Europa: il leader svedese andava abbattuto per poter poi mettere in piedi un obbrobrio come l’attuale Eurozona», sostiene Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che collega l’omicidio Palme (tuttora senza colpevoli) a un telegramma con il quale Licio Gelli annunciò l’imminente “caduta” della “palma svedese” al parlamentare statunitense Philip Guarino, allora braccio destro del politologo supermassone Michael Ledeen, onnipresente nella politica italiana, tanto che – sempre secondo Carpeoro – affiancò «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». Carpeoro aderisce al Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi, già maestro venerabile di una loggia romana del Grande Oriente d’Italia e poi Gran Maestro del Grande Oriente Democratico. Magaldi – sceso in campo a colpi di denunce contro gli abusi di certa massoneria internazionale neoaristocratica e in difesa e promozione della secolare tradizione progressista della libera muratoria – oggi invoca la nascita del “partito che non c’è”.«Chiedetevi come mai ci ritroviamo a domandarci, ogni volta, dov’è finita la politica seria, e perché è scomparsa», ripeteva anni fa Paolo Barnard, ricostruendo – nel saggio “Il più grande crimine” – la genesi dell’Eurozona in chiave economico-finanziaria ma soprattutto criminologica. L’accusa: una élite feudale pre-moderna e pre-democratica, travolta per due secoli dai progressivi successi della democrazia industriale, si sta semplicemente riprendendo tutto: in Europa ha rifondato una sorta di Sacro Romano Impero dove comandano politici non-eletti, a loro volta manovrati da una oligarchia finanziaria che ha imposto una moneta “privatizzata”, l’euro, con l’unico scopo di impoverire le popolazioni, trasferendo ricchezza dal basso verso l’alto. I politici che potevano opporsi sono stati eliminati (come Olof Palme) o più semplicemente “comprati”, cooptati, perché tradissero il loro mandato, il loro elettorato, i loro sindacati di riferimento. Applicarono alla lettera lo storico memorandum di Lewis Powell, adottato dalla Commissione Trilaterale per abbattere la sinistra sociale dei diritti, usando come clava il dogma del neoliberismo: il welfare deve finire, il potere deve tornare in mani neo-feudali come quelle che pilotano l’ordoliberismo germanico.Nel suo libro uscito nel 2014, “Massoni, società a responsabilità illimitata”, Magaldi (che cita spesso Barnard) completa il quadro: i “campioni” dell’attuale élite, dalla Merkel a Draghi, sono tutti supermassoni affiliati a 36 Ur-Lodges internazionali. «Non sono veri massoni», precisa Carpeoro, «visto che hanno tradito i principi progressisti della massoneria». Magaldi preferisce chiamarli contro-iniziati. Ma ricorda che proprio alla libera muratoria si devono le istituzioni-cardine della modernità: democrazia, elezioni, Stato laico, suffragio universale. Il dono della Rivoluzione Francese, ispirata proprio da massoni. «Solo che poi siamo arrivati a Monti, a Napolitano. Anche Renzi ha bussato a quei circoli, ma non gli hanno aperto. In alternativa ci sarebbero i 5 Stelle, ma non hanno ancora spiegato cosa farebbero, una volta al governo». Sicché, torna in campo la suggestione del “partito che non c’è”, ma sarebbe tanto utile se ci fosse. Un partito che, ad esempio, avesse come frontman un economista di primissimo piano come Nino Galloni, allievo del professor Federico Caffè (come lo stesso Draghi, che però si laureò con una tesi sull’insostenibilità di una moneta unica europea). Galloni ha le idee chiarissime: sbattere la porta in faccia all’Ue, se non accetta di rivedere tutti i trattati-capestro, da Maastricht in poi. Un sogno? Certo, per ora sì: è il sogno del “partito che non c’è”.Negli anni ‘80, quando Olof Palme era ancora vivo, una corrente (non populista) scosse l’Europa: quella del movimento ambientalista, che poi crebbe velocemente “grazie” al disastro nucleare di Chernobyl. Nemmeno i Verdi della prima ora intendevano abbattere il capitalismo, ma solo “tagliargli le unghie”, precisamente quelle più “velenose”, in nome della salute di cittadini e lavoratori. Fu una piccola rivoluzione, anche culturale: prima di degradarsi, il movimento costrinse i paesi europei a dotarsi di legislazioni più “verdi”, più attente alla tutela dell’ambiente. Ma a prendere il sopravvento, in Italia, fu il ciclone Tangentopoli, che solo oggi – dopo oltre vent’anni – si vede cosa ha prodotto: da quella colossale “distrazione di massa” venne fuori il nuovo conio dell’Unione Europea, quella che ha ridotto la Grecia a paese del terzo mondo e ha privato l’Italia del 25% della sua produzione industriale, facendo ricomparire ovunque lo spettro della povertà. E i ruggenti 5 Stelle? Molti si sono stupiti del loro silenzio tombale sul decreto-monstre della ministra Lorenzin sui 12 vaccini obbligatori. Non Carpeoro: «L’unica speranza sta nella base dei 5 Stelle, che è fatta di persone pulite. Vedremo se avranno la forza di prevalere sugli attuali vertici, che sono collusi con il potere».Chiedetevi perché non ci sono più i politici di una volta, insiste Barnard. «Un minuto dopo l’istituzione dell’euro – aggiunge Carpeoro – lo stesso Craxi “profetizzò” che sarebbe stato l’inizio della fine, per l’Italia. Con lui, se lo potevano sognare di fare quel tasso di cambio, rispetto alla lira». Galloni, all’epoca, era in trincea: era stato chiamato nientemeno che da Giulio Andreotti, per tentare di limitare i danni attraverso una “guerra” da condurre al coperto, nel palazzo. «Telefonò l’allora cancelliere Kohl – ricorda – per chiedere che fossi rimosso: lottavo, per cercare di impedire la deindustrializzazione dell’Italia». Ma il piano era partito, inesorabilmente, ed era potentissimo. Banche, grande industria, think-tanks, lobby euro-atlantiche, élite franco-tedesche con frotte di politici, tecnocrati ed economisti di complemento. Morti e feriti, alla distanza: rigore, austerity, Monti e Napolitano, la Fornero. Barnard accusa anche D’Alema, uomo-record nelle privatizzazioni, come il suo alleato Romano Prodi, advisor della Goldman Sachs, e personaggi del calibro di Tommaso Padoa Schioppa e dello stesso Carlo Azeglio Ciampi, l’uomo che chiuse il “bancomat” statale di Bankitalia prima ancora dell’avvento dell’euro, costringendo il paese a dipendere, di colpo, dal credito della finanza privata internazionale, trasformando il debito pubblico in un dramma.Gioele Magaldi segnala che, dal fronte progressista di quella stessa élite neo-massonica, provengono anche segnali di risveglio. Carpeoro “legge” l’inquietudine dell’élite “terrorista” che ora colpisce Londra e Manchester, temendo che il Regno Unito post-Brexit possa smarcarsi dal vertice neocon ultraliberista. Ma se qualcuno ha palpitato per le elezioni francesi, sognando una vittoria “sovranista” di Marine Le Pen, si è dovuto arrendere all’evidenza del supermassone Macron, protetto dal supermassone reazionario Jacques Attali (storico sodale di D’Alema, secondo Barnard). Quanto all’Italia, «rido per non piangere», chiosa Magaldi, tra gli inchini di Gentiloni ai potenti del G7: «I nostri partiti cianciano di legge elettorale “alla tedesca” per ingessare in eterno il sistema con un bell’abbraccio tra Renzi e Berlusconi, che pare piaccia anche a Grillo, dato che porrebbe di fronte alla comoda prospettiva di una nuova stagione di opposizione da “duro e puro”».Tutto ciò, senza una sola parola – da parte di nessuno – su come uscire dalla trappola di questa Ue. Servirebbe, appunto, il “partito che non c’è”. Quelli che ci sono, infatti, servono solo a lasciare l’Italia in letargo, in mezzo alle sue “irrisolvibili” tragedie economiche, che il mainstream si guarda bene dall’approfondire: Barnard (cofondatore di “Report”) è trattato come un appestato, e il libro di Magaldi (decine di migliaia di copie vendute) non ha avuto sinora spazi in tv. Il mainstream preferisce registrare gli slogan di Salvini, fotografare l’anziano Silvio che allatta agnellini, filmare l’ectoplasma di Renzi che si riprende l’ectoplasma del Pd. Il mainstream riesce a stare ancora ad ascoltare persino la controfigura di Bersani che straparla di sinistra dimenticando l’altro Bersani, quello vero, che militarizzò il Parlamento per far votare il pareggio di bilancio imposto dall’élite per tramite dei suoi commissari, Monti e Napolitano. Forse, il “partito che non c’è” è quello degli italiani, che ancora stazionano davanti al televisore godendosi questo spettacolo, mentre altrove i veri capi – gli unici – decidono, ancora e sempre, sulla testa di tutti.«Io non sono contro il capitalismo, voglio solo tagliargli un po’ le unghie». Lo disse Olof Palme, grande leader socialdemocratico europeo, assassinato nel 1986 a Stoccolma mentre era premier della civilissima Svezia, dove aveva imposto l’ingresso diretto dello Stato nell’economia per salvare industrie traballanti, assegnando addirittura ai lavoratori una quota azionaria. «Chi ha ucciso Palme voleva “uccidere” il socialismo in Europa: il leader svedese andava abbattuto per poter poi mettere in piedi un obbrobrio come l’attuale Eurozona», sostiene Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che collega l’omicidio Palme (tuttora senza colpevoli) a un telegramma con il quale Licio Gelli annunciò l’imminente “caduta” della “palma svedese” al parlamentare statunitense Philip Guarino, allora braccio destro del politologo supermassone Michael Ledeen, onnipresente nella politica italiana, tanto che – sempre secondo Carpeoro – affiancò «prima Craxi e poi Di Pietro, quindi Renzi e contemporaneamente il grillino Di Maio». Carpeoro aderisce al Movimento Roosevelt fondato da Gioele Magaldi, già maestro venerabile di una loggia romana del Grande Oriente d’Italia e poi Gran Maestro del Grande Oriente Democratico. Magaldi – sceso in campo a colpi di denunce contro gli abusi di certa massoneria internazionale neoaristocratica e in difesa e promozione della secolare tradizione progressista della libera muratoria – oggi invoca la nascita del “partito che non c’è”.
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Un Macron italiano: i poteri forti vogliono sostituire Renzi
Girano voci, riprese da giornali come il “Foglio”, su chi potrebbe essere il Macron italiano in un prossimo futuro. I nomi più gettonati sono tre: lo scontatissimo Mario Draghi, il ministro dell’interno Marco Minniti e l’editore Urbano Cairo. «Dire Macron – sottolinea Aldo Giannuli – significa dire una cosa: un nuovo partito “liquido” (anzi gassoso) che si presenti come “né di destra né di sinistra”, ma “della nazione”, raccolto intorno ad un personaggio con simpatie trasversali e che si presenti in rottura delle tradizioni politiche precedenti». Di solito, aggiunge il politologo dell’ateneo milanese, «questi discorsi preparano un partito di destra», sostanzialmente «tutto interno al sistema neoliberista», non nuovo ma «solo ben truccato». Ma chi potrebbe interpretare questo ruolo? E con quali probabilità di successo? Soprattutto: che impatto ha già, sul sistema, il semplice fatto che se ne parli? Per Giannuli, in pole position è saldamente il supremo tecnocrate della Bce, che Gioele Magaldi (nel libro “Massoni”, del 2014) presenta come autorevole leader della supermassoneria internazionale reazionaria, espressione dell’élite neo-feudale che, con l’ideologia del rigore, ha azzerato gli storici diritti sociali conquistati negli anni ‘70.Minniti? «Sembra solo una boutade», scrive Giannuli nel suo blog. «Anche se Macron non era esattamente vergine di impegno politico, essendo stato più volte ministro, Minniti è una vecchia stella del varietà che calca le scene da un quarto di secolo: a spacciarlo per nuovo non riuscirebbe nemmeno Paolo Rossi in preda al brandy». E poi il ministro dell’interno «non ha nemmeno “le phisique du role”: dote essenziale di questi nuovi politici è di essere giovani e bellocci». La vera novità sarebbe invece Cairo, che non è giovanissimo ma «ha un esercito mediatico dietro le spalle, una immagine di successo». Inoltre «non si è mai compromesso né a destra né a sinistra (o meglio: né con Berlusconi né con Renzi) e potrebbe andar bene per tutte le stagioni». Ma sia Draghi che Cairo, aggiunge Giannuli, non è detto che ci stiano: il primo potrebbe puntare verso il Fmi o altro incarico finanziario di livello mondiale, il secondo «potrebbe avere la tentazione di essere un nuovo Murdoch e consolidare a livello europeo il suo ruolo di grande tycoon: e fare il presidente del Consiglio in Italia, con i tempi che arrivano, non è che sia una prospettiva così eccitante».Possibilità di successo della manovra? «Intanto dobbiamo vedere quanto dura la popolarità del Macron originale, cosa della quale è lecito dubitare», continua Giannuli. «Ma poi, sono anni che dura questa infatuazione esterofila degli italiani che di volta in volta hanno cercato il Blair italiano, il Sarkozy italiano, lo Zapatero italiano, persino lo Tsipras italiano (e qualcuno ci ha addirittura intestato la sua lista elettorale), ma la cosa non ha mai prodotto particolari risultati, proprio per il carattere artificiale ed effimero del tentativo». Copione che non cambierà nemmeno stavolta: probabilmente sforneranno «un prodotto vendibile fra gli elettori italioti», la platea del “Partito della Nazione” già ventilato da Renzi. Piuttosto, Giannuli si concentra sul motivo di queste voci insistenti: può significare che «i poteri forti e le centrali di sistema non si fidino più di Renzi e diano per spacciato Berlusconi che, con i suoi 80 suonati, non ha più prospettive neanche di medio periodo». Si cerca «qualcosa di apparentemente nuovo, che rompa anche con l’ombra delle tradizionali famiglie politiche», considerando che «i partiti della Seconda Repubblica furono pallide imitazioni di quelli della Prima».La vera novità, ragiona Giannuli, «è la liquidazione dei partiti come forme di partecipazione organizzata stabilmente sul territorio, sostituiti dal ruolo di personalità apparentemente carismatiche». Ma oggi nessuno degli aspiranti a questo ruolo sarebbe pronto per le prossime elezioni, per cui «la prossima legislatura sarà solo un intermezzo per permettere la costituzione dei nuovi soggetti e sgombrare il terreno da quelli attuali». Tutto questo, conclude Giannuli, «ha come suo avversario dichiarato il M5S (il “populismo” italiano)». Ma la manovra di riassetto dei poteri forti «probabilmente si avventerà prima di tutto sulla Lega, la cui presenza è di forte disturbo ad una operazione del genere». In altre parole, queste «sono le doglie del parto della Terza Repubblica». E nessuno (a parte Salvini con i suoi slogan) si prenota per l’unica vera battaglia utile: affrontare di petto la distorsione dell’assetto Ue, con Bruxelles che impone agli Stati i suoi diktat, suggeriti dall’élite finanziaria. Lo stesso Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, sta pensando a un nuovo soggetto politico, il Partito Democratico Progressista, guidato da un economista come Nino Galloni. «La prima cosa da fare? Eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione, andare a Bruxelles e dire, a muso duro: o riscriviamo i trattati europei, o l’Italia abbandona l’Ue».Girano voci, riprese da giornali come il “Foglio”, su chi potrebbe essere il Macron italiano in un prossimo futuro. I nomi più gettonati sono tre: lo scontatissimo Mario Draghi, il ministro dell’interno Marco Minniti e l’editore Urbano Cairo. «Dire Macron – sottolinea Aldo Giannuli – significa dire una cosa: un nuovo partito “liquido” (anzi gassoso) che si presenti come “né di destra né di sinistra”, ma “della nazione”, raccolto intorno ad un personaggio con simpatie trasversali e che si presenti in rottura delle tradizioni politiche precedenti». Di solito, aggiunge il politologo dell’ateneo milanese, «questi discorsi preparano un partito di destra», sostanzialmente «tutto interno al sistema neoliberista», non nuovo ma «solo ben truccato». Ma chi potrebbe interpretare questo ruolo? E con quali probabilità di successo? Soprattutto: che impatto ha già, sul sistema, il semplice fatto che se ne parli? Per Giannuli, in pole position è saldamente il supremo tecnocrate della Bce, che Gioele Magaldi (nel libro “Massoni”, del 2014) presenta come autorevole leader della supermassoneria internazionale reazionaria, espressione dell’élite neo-feudale che, con l’ideologia del rigore, ha azzerato gli storici diritti sociali conquistati negli anni ‘70.
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Scarpinato: Falcone ucciso da mafia e 007, su ordine di chi?
Il 23 maggio 1992 esplose l’autostrada di Capaci e si portò via Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. In questi 25 anni abbiamo raggiunto l’importante risultato di condannare all’ergastolo gli esecutori mafiosi delle stragi e i componenti della “commissione” di Cosa Nostra che le deliberarono. Ma restano ancora impermeabili alle indagini rilevanti zone d’ombra: un cumulo di fonti processuali, tali e tante da non potere essere neppure accennate tutte, convergono nel fare ritenere che la strategia stragista del 1992-’93 ebbe matrici e finalità miste, frutto di una convergenza di interessi tra la mafia e altre forze criminali. Di che tipo? Lo diceva già in un’informativa del 1993 la Dia (Direzione Investigativa Antimafia): dietro le stragi si muoveva una «aggregazione di tipo orizzontale, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergono finalità diverse»; e dietro gli esecutori mafiosi c’erano menti che avevano «dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi della comunicazione di massa nonché una capacità di sondare gli ambienti della politica e di interpretarne i segnali».Traduzione: insieme a personaggi come Salvatore Riina, Matteo Messina Denaro, i fratelli Graviano e altri boss che perseguivano interessi propri di Cosa Nostra, si mossero altre forze che utilizzarono la mafia come braccio armato, come “instrumentum regni” e come causale di copertura per i loro sofisticati disegni finalizzati a destabilizzare la politica. Questa convergenza di interessi criminali la rivelò per primo Elio Ciolini, un ambiguo personaggio implicato nelle indagini per la strage di Bologna, legato al mondo dei servizi segreti, della massoneria e dell’eversione nera. Nel 1992 era in carcere a Bologna e il 4 marzo e il 18 marzo, poco prima che si scatenasse l’inferno, anticipò ai magistrati che nel marzo-luglio del ’92 sarebbe stato ucciso un importante esponente della Dc, sarebbero state compiute stragi e poi si sarebbe distolto «l’impegno dell’opinione pubblica dalla lotta alla mafia, con un pericolo diverso e maggiore di quello della mafia». Tutti quegli eventi puntualmente si verificarono: il 12 marzo ’92 fu assassinato l’eurodeputato Salvo Lima, proconsole di Andreotti in Sicilia; il 23 maggio fu consumata la strage di Capaci; il 19 luglio quella di via D’Amelio; poi – sempre come Ciolini aveva anticipato – la strategia stragista si spostò al Centro-Nord con le mattanze di Milano e Firenze e gli attentati a Roma.Tutte azioni rivendicate da comunicati a nome della “Falange Armata”, sigla di un’organizzazione eversiva che serviva appunto a distogliere l’opinione pubblica dal pericolo mafioso. Ma Ciolini non fu l’unico ad avere la “sfera di cristallo” che gli consentì di rivelare con così largo anticipo l’unitarietà e il respiro strategico della lunga campagna stragista. Il 21 e il 22 maggio 1992 l’agenzia di stampa “Repubblica”, vicina ai servizi segreti, pronosticò che di lì a poco ci sarebbe stato un bel “botto esterno” per giustificare uno voto di emergenza che avrebbe sparigliato i giochi di potere in corso per la elezione del nuovo presidente della Repubblica. Anche questo evento puntualmente si verificò il 23 maggio: il “botto esterno” di Capaci azzerò le manovre per portare alla presidenza della Repubblica il senatore Giulio Andreotti e contribuì all’elezione dell’outsider Oscar Luigi Scalfaro.Molti collaboratori di giustizia ci hanno confermato in seguito che un selezionato numero di capi della Commissione regionale di Cosa Nostra, riuniti alla fine del 1991 in un casolare della campagna di Enna, avevano discusso per vari giorni quel complesso progetto politico che stava dietro alle stragi. Un progetto che fu tenuto segreto ad altri capi e ai ranghi inferiori dell’organizzazione, ai quali venne fatto credere che le stragi servivano solo a scopi interni alla mafia, cioè a costringere lo Stato a scendere a patti, garantendo in vari modi impunità e benefici penitenziari. E invece – come la Dia evidenziò già nel 1993 – dietro quella campagna si celavano menti raffinate e soggetti esterni, il cui ruolo attivo emerge anche nella fase esecutiva delle stragi. Purtroppo, dopo 25 anni di indagini, non è stato ancora possibile identificarli. Sono ancora ignoti i personaggi che, dopo la strage di Capaci, si affrettarono a ispezionare i file del computer di Falcone (riguardanti Gladio e i delitti politico-mafiosi) nel suo ufficio romano al ministero della giustizia, alla ricerca di documenti scottanti di cui evidentemente conoscevano l’esistenza. E restano senza nome anche gli uomini degli apparati di sicurezza che fornirono ai mafiosi le riservatissime informazioni logistiche indispensabili per uccidere Falcone già nel 1989 nel momento in cui si sarebbe concesso un bagno sulla scogliera del suo villino all’Addaura.Da Falcone si passa poi a Borsellino, appena 57 giorni dopo. Chi era il personaggio non appartenente alla mafia che, come ha rivelato il collaboratore Gaspare Spatuzza, reo confesso della strage di via D’Amelio, assistette alle operazioni di caricamento dell’esplosivo nell’autovettura utilizzata per l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta? Chi conosce le regole della mafia sa bene che tenere segreta a uomini d’onore l’identità degli altri compartecipi alla fase esecutiva di una strage è un’anomalia evidentissima: la prova dell’esistenza di un livello superiore che deve restare noto solo a pochi capi. Altri pezzi mancanti su via D’Amelio? Francesca Castellese, moglie del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, in un colloquio intercettato il 14 dicembre ’93, poco dopo il rapimento del loro figlio Giuseppe (avvenuto il 23 novembre), scongiurò il marito di non parlare ai magistrati degli “infiltrati” nell’esecuzione della strage di via D’Amelio. Quell’intercettazione è agli atti del processo, ma quegli “infiltrati” è stato impossibile identificarli e assicurarli alla giustizia.Chi è in possesso dell’agenda rossa di Paolo Borsellino trafugata, con una straordinaria e lucida tempistica, pochi minuti dopo l’immane esplosione di via D’Amelio? Su quell’agenda è noto che Paolo aveva annotato i terribili segreti intravisti negli ultimi mesi di vita. Segreti che l’avevano sconvolto e convinto di non avere scampo, perché – come confidò alla moglie Agnese – sarebbe stata la mafia a ucciderlo, ma solo quando altri lo avessero deciso. Chi erano questi “altri”? L’elenco delle domande che sinora non hanno avuto risposta disegna i contorni di un iceberg ancora sommerso che né le inchieste parlamentari né i processi sono mai riusciti a portare alla luce, per una pluralità di fattori che si sommano e delineano un quadro inquietante. Possibile che i magistrati che indagano da 25 anni non siano riusciti a fare luce su tutto questo? E come si fa, quando vengono sottratti ai magistrati documenti decisivi per l’accertamento di retroscena occulti? Ho già accennato alle carte di Falcone e all’agenda di Borsellino, episodi che si inscrivono in una lunga tradizione di carte rubate sui misteri d’Italia: dalla sparizione delle bobine con gli interrogatori di Aldo Moro nella prigione delle Br al trafugamento dei documenti segreti del generale Carlo Alberto dalla Chiesa dopo il suo assassinio.Ma penso anche alla miniera di tracce documentali custodita nella villa di via Bernini a Palermo, dove Salvatore Riina aveva abitato negli ultimi anni della sua latitanza. Si impedì ai magistrati di perquisire l’abitazione di Riina immediatamente dopo il suo arresto il 15 gennaio 1993: ci assicurarono che il luogo era strettamente sorvegliato giorno e notte, mentre in realtà fu abbandonato poche ore dopo quella stessa assicurazione, lasciando campo libero a squadre di “solerti pulitori” che ebbero agio per diversi giorni di far sparire ogni cosa, smurando persino la cassaforte e ridipingendo le pareti per eliminare eventuali tracce di Dna. Chi è in possesso da 24 anni di quei documenti e che uso ne ha fatto? Decine di mafiosi, anche boss di prima grandezza, hanno collaborato con la giustizia. Certamente più di molti uomini delle istituzioni. Purtroppo tacciono ancora tanti boss che sanno tutto: i fratelli Graviano, Santapaola, Madonia e altri capi detenuti. E anche alcuni collaboratori danno l’impressione di sapere molto più di quel che dicono, ma di autocensurarsi. E penso anche ai silenzi prolungati e all’amnesia generalizzata di alcuni esponenti delle istituzioni, che solo con il forcipe delle indagini penali si sono decisi, a distanza di anni, a rivelare brandelli di verità.Quali erano i segreti sul coinvolgimento di apparati deviati dello Stato in stragi e omicidi eseguiti dalla mafia che Giovanni Ilardo, capomafia legato ai servizi segreti e alla destra eversiva, aveva promesso di rivelare ai magistrati pochi giorni prima di essere assassinato il 10 maggio 1996, proprio mentre si apprestava a mettere a verbale le sue dichiarazioni iniziando a collaborare? Lo stesso Ilardo era stato il primo a indicare Pietro Rampulla, anch’egli mafioso ed estremista di destra, come l’artificiere della strage di Capaci, che infatti sarebbe stato poi condannato con sentenza definitiva. Alcuni eventi recenti, ancora in corso di verifica processuale, sembrano dimostrare che purtroppo questa non è solo una tragica storia del passato. Per esempio le recenti rivelazioni del collaboratore di giustizia Vito Galatolo, capo dell’importante mandamento di Resuttana, membro di una famiglia mafiosa implicata in stragi e delitti eccellenti del passato e vecchia amica di apparati deviati delle istituzioni. Racconta Galatolo che alla fine del 2012 il capo latitante di Cosa Nostra, Messina Denaro, protagonista della stagione stragista del 1992-’93, ha ordinato l’omicidio del pm Nino Di Matteo, impegnato nelle indagini sulla trattativa fra Stato e mafia, con un’autobomba.Galatolo ha dichiarato che sia lui sia altri capi erano rimasti colpiti dal fatto che l’identità dell’artificiere messo a disposizione da Messina Denaro, doveva restare ignota a tutti, compresi i capi di Cosa Nostra. Una circostanza che, ancora una volta, contrastava palesemente con le regole mafiose e indicava la partecipazione anche in quel progetto stragista di soggetti esterni, portatori di interessi criminali convergenti con quelli della mafia. Prima che Galatolo iniziasse a collaborare rivelando l’episodio, un esposto anonimo aveva già messo al corrente la magistratura che Messina Denaro aveva ordinato una strage su richiesta di suoi “amici romani” per interessi politici che andavano oltre quelli di Cosa Nostra. Continuare a ricercare la verità è un dovere non solo istituzionale, ma anche morale. Il modo più autentico per onorare la memoria, per dare un senso al sacrificio dei tanti servitori dello Stato e alla morte di tante vittime innocenti le cui vite sono state inghiottite nei gorghi tumultuosi di quello che Giovanni Falcone definì “il gioco grande del potere” una guerra sporca giocata con tutti i mezzi nel “fuori scena” della storia.(Roberto Scarpinato, dichiarazioni rilasciate a Marco Travaglio per l’intervista “Strage di Capaci, una verità a brandelli: interessi politici oscuri tramano ancora”, pubblivata dal “Fatto Quotidiano” il 23 maggio 2017. Scarpinato, già membro del pool antimafia siciliano, è oggi procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo).Il 23 maggio 1992 esplose l’autostrada di Capaci e si portò via Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. In questi 25 anni abbiamo raggiunto l’importante risultato di condannare all’ergastolo gli esecutori mafiosi delle stragi e i componenti della “commissione” di Cosa Nostra che le deliberarono. Ma restano ancora impermeabili alle indagini rilevanti zone d’ombra: un cumulo di fonti processuali, tali e tante da non potere essere neppure accennate tutte, convergono nel fare ritenere che la strategia stragista del 1992-’93 ebbe matrici e finalità miste, frutto di una convergenza di interessi tra la mafia e altre forze criminali. Di che tipo? Lo diceva già in un’informativa del 1993 la Dia (Direzione Investigativa Antimafia): dietro le stragi si muoveva una «aggregazione di tipo orizzontale, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergono finalità diverse»; e dietro gli esecutori mafiosi c’erano menti che avevano «dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi della comunicazione di massa nonché una capacità di sondare gli ambienti della politica e di interpretarne i segnali».
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“Londra colpita perché vuole smarcarsi dal peggior potere”
Inghilterra nel mirino, e non a caso: dopo lo strappo della Brexit, Londra ha scelto di non stare più dalla parte dell’élite maggiormente reazionaria, neoliberista sul piano economico e neo-feudale a livello politico, ben rappresentata da creazioni-mostro come l’attuale Unione Europea. “Logico”, sotto questo profilo, che la Gran Bretagna sia finita sotto attacco: prima l’attentato-kamikaze di Londra e ora quello di Manchester, la cui “firma” (non certo islamica ma esoterico-massonica) sta proprio nella sua data, 22 maggio. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, autore del libro “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016. «I mandanti di questo neoterrorismo artificiale sono sempre gli stessi, con modalità operative che ormai si ripetono in modo regolare»: una manovalanza di matrice jihadista in realtà “coltivata” da settori dei servizi segreti, per eseguire attentati puntualmente “firmati”, in codice, come per dire: sì, siamo stati noi. «Io la chiamo sovragestione», precisa Carpeoro, alludendo a un vertice mondiale occulto, composto da superlogge reazionarie e poteri finanziari. «Stanno cercando di fabbricare una nuova classe dirigente planetaria, ma evidentemente l’Inghilterra non si è ancora allineata: per questo viene colpita».Secondo Carpeoro, in diretta streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, c’è da aspettarsi clamorose sorprese, dal Regno Unito che si è sganciato da Bruxelles: «L’Inghilterra, che è la patria storica della massoneria (che vi ha piena cittadinanza istituzionale), sta vivendo uno scontro sempre più acceso nell’establishment, dove – anche a livello massonico – emergono spinte di carattere progressista e addirittura socialista». In più, aggiunge Carpeoro, si accumulano le tensioni in vista delle elezioni per rafforzare il divorzio da Bruxelles, senza contare le pulsioni separatiste come quella della Scozia. In altre parole, l’Inghilterra è in pieno fermento e non è ancora chiaro come si ridislocherà sul piano geopolitico: è questo, insiste Carpeoro, a inquietare gli strateghi occulti della “sovragestione”, gli stessi che hanno “fabbricato” l’Isis e vorrebbero puntare tutto sul business della guerra, dopo aver trasformato il Medio Oriente in un inferno senza vie d’uscita. Londra vorrebbe smarcarsi? Gli attentati-kamikaze sono un avvertimento, «rivolto nel caso di Manchester soprattutto ai giovani, cioè al futuro della nazione: un monito esplicito ai suoi governanti».Il problema, aggiunge Carpeoro, è che non ci sono vere soluzioni in vista: «Lo scontro in Europa è tra chi vorrebbe mantenere l’impresentabile l’Ue così com’è, in perenne crisi, e chi invece vorrebbe smantellare l’Unione per tornare agli Stati nazionali. Non è ancora in campo un credibile progetto di riforma politica, sociale ed economica dell’Europa». Forse qualcosa si sta muovendo, in questo senso, proprio in Inghilterra: rimarrà nella storia lo choc per la separazione dall’oligarchia di Bruxelles. Nebbia fitta invece in Italia, paese che infatti è stato finora risparmiato dal terrorismo finto-islamico. E questo per varie ragioni, spiega sempre Carpeoro: «I nostri servizi segreti hanno disposto una rete di protezione efficiente, tale da rendere complicata l’attuazione di attentati in Italia, paese che – peraltro – grazie alla leadership politica del passato, ha sviluppato rapporti non conflittuali con il mondo arabo». Ma vale anche la geopolitica recente: «L’Italia non si è ancora impegnata, in modo diretto, militare, nelle aree dell’Isis». Forse però l’ultima ragione è la più importante: «A livello internazionale, l’Italia conta zero», sottolinea Carpeoro, che aggiunge: «Al posto di Gentiloni, ripetutamente umiliato al G7 di Taormina, io avrei sciolto il vertice e rimandato a casa Trump, la Merkel e Theresa May».Quanto alla “cabala” del numero 22, nessun mistero: lo stesso giorno (marzo 2016) i soliti “terroristi islamici” colpirono Bruxelles sia nella metropolitana che all’aeroporto, «secondo un preciso schema simbolico, “come in cielo, così in terra”, ben noto al mondo esoterico». Il cosiddetto “codice segreto” legato al numero 22, aggiunge Carpeoro, discende dall’archeologia dei Sumeri e dalla successione dei loro re. «Un sistema numerico da cui poi il mondo iniziatico ha tratto un codice per costruire, scrivere, dipingere, fare musica». Anche quella di Manchester – 22 maggio, ore 22 – è dunque una “firma” estremamente precisa, rivolta a chi può “leggerla” nel modo corretto. A partire dalla stessa Theresa May, che infatti avverte: «Ci aspettiamo altri attentati». Come dire: gli attentatori – i loro mandanti occulti – non credano di averci intimidito. «Dall’Inghilterra mi aspetto di tutto», conferma Carpeoro: «Quel paese sta cambiando i suoi assetti e non ha ancora deciso con chi schierarsi, nel grande gioco mondiale del potere, di cui questo neoterrorismo non è che uno degli strumenti, il più feroce».Inghilterra nel mirino, e non a caso: dopo lo strappo della Brexit, Londra ha scelto di non stare più dalla parte dell’élite maggiormente reazionaria, neoliberista sul piano economico e neo-feudale a livello politico, ben rappresentata da creazioni-mostro come l’attuale Unione Europea. “Logico”, sotto questo profilo, che la Gran Bretagna sia finita sotto attacco: prima l’attentato-kamikaze di Londra e ora quello di Manchester, la cui “firma” (non certo islamica ma esoterico-massonica) sta proprio nella sua data, 22 maggio. Lo sostiene Gianfranco Carpeoro, scrittore e simbologo, autore del libro “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016. «I mandanti di questo neoterrorismo artificiale sono sempre gli stessi, con modalità operative che ormai si ripetono in modo regolare»: una manovalanza di matrice jihadista in realtà “coltivata” da settori dei servizi segreti, per eseguire attentati puntualmente “firmati”, in codice, come per dire: sì, siamo stati noi. «Io la chiamo sovragestione», precisa Carpeoro, alludendo a un vertice mondiale occulto, composto da superlogge reazionarie e poteri finanziari. «Stanno cercando di fabbricare una nuova classe dirigente planetaria, ma evidentemente l’Inghilterra non si è ancora allineata: per questo viene colpita».
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Rovesciare Trump e insediare Mike Pence: il piano procede
Ma cosa sta succedendo negli Usa? Per capirlo bisogna ripercorrere in rapida sequenza i primi 5 mesi della presidenza. Trump inizia come un presidente di rottura, che nel suo discorso inaugurale traccia degli obiettivi e una visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo antitetici rispetto ai suoi predecessori. Come prevedibile, la reazione dell’establishment è durissima: manifestazioni di piazza, giudici che bloccano decisioni presidenziali, l’intelligence che soffia sul fuoco del Russiagate alimentando lo spettro che Mosca abbia interferito nelle elezioni mentre molti repubblicani si schierano con i democratici. Lo Stato Profondo (Deep State) è in rivolta e protagonista di ogni forma di boicottaggio. Dopo appena tre settimane, uno dei suoi consiglieri più, quello alla sicurezza nazionale, Michael Flynn, si dimette per aver nascosto alcune conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington. In sé nulla di irrimediabile, anche il team di Hillary ha avuto contatti con l’ambasciata russa. Trump, che non conosce la potenza dell’apparato, commette un errore, si dimostra arrendevole e abbandona Flynn.Il 6 aprile nuovo cedimento: l’altro fedelissimo, Steve Bannon, viene estromesso dal Consiglio nazionale della sicurezza, dove restano solo falchi, tra cui molti neoconservatori. Dopo poche ore Trump rinnega i capisaldi del suo discorso inaugurale e diventa improvvisamente interventista. Bombarda con i missili una base militare in Siria, lancia la “madre di tutte le bombe” in Afghanistan, fa salire alle stelle le tensioni con la Corea del Nord. Intanto, al Pentagono, si affinano i piani di guerra. Trump appare normalizzato, inghiottito dall’establishment. E improvvisamente il Russiagate sparisce dalle prime pagine, perde di intensità e di importanza. Il presidente annuncia la revoca del trattato di libero scambio Nafta ma dopo poche ore si rimangia tutto, a conferma del suo ammansimento. La revoca dell’Obamacare torna d’attualità con il convinto assenso del partito repubblicano. Poi, però, accade qualcosa. Trump ci ripensa o, almeno, dimostra di volersi riprendere qualche spazio, soprattutto diplomatico.Dopo aver incontrato da solo il leader cinese Xi, con cui stabilisce un ottimo rapporto personale, esautora di fatto il Dipartimento di Stato, decidendo da solo la visita dal Papa il 24 maggio e, soprattutto, avviando un dialogo con Mosca; parla al telefono con Putin e riceve alla Casa Bianca il ministro degli esteri russo Lavrov. L’establishment non gradisce e inizia ad agitarsi. Le polemiche interne riaffiorano, i giornali ricominciano a descrivere una Casa Bianca spaccata e caotica. Quando il presidente decide di licenziare il capo dell’Fbi Comey, il Deep State dichiara una nuova guerra, verosimilmente definitiva, al redivivo Trump. Seguendo i dettami illustrati dall’ex consigliere di Obama Kupchan, che invitava ad «adoperare i media e l’opinione pubblica», sulla stampa amica – ovvero “New York Times” e “Washington Post” fioccano indiscrezioni e rivelazioni pesantissime, insinuanti e, come sempre, anonime, ma di fonte sicura: servizi segreti, esponenti dell’amministrazione. Gli altri media amplificano. E l’isteria monta.Qualunque voce o ricostruzione contro Trump viene presentata dai media come sicura e provata, qualunque indizio a sua discolpa viene relativizzato o ignorato. La “Washington Post” annuncia che le informazioni passate a Lavrov durante l’incontro alla Casa Bianca sono segrete e che il presidente ha messo a repentaglio la sicurezza nazionale. Si scopre, tuttavia, che si tratta dell’allarme sulla possibilità che l’Isis compia attentati sugli aerei nascondendo bombe nei laptop, rischio noto da giorni, e lo stesso Putin smentisce di aver ricevuto informazioni segretissime e si dice pronto a dimostrarlo. Ma non basta a riportare la quiete. McCain cita il Watergate, i democratici incalzano, i media attaccano con toni scandalizzati. E ora? Un esponente di lungo corso della politica Usa, insospettabile perché rappresenta la sinistra americana, Dennis Kucinich, legge con molta lucidità la situazione. Ricorda di non aver nulla in comune con Trump ma, in un’intervista a “Fox News”, giudica pretestuosa questa campagna.«Se l’informazione era così sensibile perché è stata passata al “Washington Post”?», si chiede. E ancora: «Qualcosa è fuori controllo. C’è un tentativo di stravolgere la relazione con la Russia. Dobbiamo chiederci: perché l’intelligence sta cercando di sovvertire il presidente degli Stati Uniti con questi leaks? Io sono in disaccordo con Trump su molte questioni, ma su questa no. Ci può essere solo un presidente e qualcuno, nel mondo dei servizi segreti, sta cercando di rovesciare questo presidente al fine di perseguire una linea politica che ci mette in conflitto con la Russia. Il punto è: perché? E chi? Abbiamo bisogno di scoprirlo». Kucinich ha quasi certamente ragione. Qualunque pretesto è utile per perseguire lo scopo finale: ribaltare la volontà popolare, cacciare Trump e mantenere il potere nelle mani dell’establishment, al cui interno si annullano le differenze politiche tra destra e sinistra, e che governa gli Usa dai tempi di Kennedy. Il successore è già pronto: è il vice Mike Pence, che non è mai stato un fedelissimo di Trump. E’ uomo del partito repubblicano. Di lui si fidano.(Marcello Foa, “Obiettivo finale, rovesciare Trump. Preparatevi…”, dal blog di Foa sul “Giornale” del 17 maggio 2017).Ma cosa sta succedendo negli Usa? Per capirlo bisogna ripercorrere in rapida sequenza i primi 5 mesi della presidenza. Trump inizia come un presidente di rottura, che nel suo discorso inaugurale traccia degli obiettivi e una visione del ruolo degli Stati Uniti nel mondo antitetici rispetto ai suoi predecessori. Come prevedibile, la reazione dell’establishment è durissima: manifestazioni di piazza, giudici che bloccano decisioni presidenziali, l’intelligence che soffia sul fuoco del Russiagate alimentando lo spettro che Mosca abbia interferito nelle elezioni mentre molti repubblicani si schierano con i democratici. Lo Stato Profondo (Deep State) è in rivolta e protagonista di ogni forma di boicottaggio. Dopo appena tre settimane, uno dei suoi consiglieri più, quello alla sicurezza nazionale, Michael Flynn, si dimette per aver nascosto alcune conversazioni con l’ambasciatore russo a Washington. In sé nulla di irrimediabile, anche il team di Hillary ha avuto contatti con l’ambasciata russa. Trump, che non conosce la potenza dell’apparato, commette un errore, si dimostra arrendevole e abbandona Flynn.
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I padroni del mondo sono già su Giove, e ci faranno a pezzi
Loro sono già su Giove e vi faranno a pezzi. Sto girando l’Italia per presentare il film “Piigs” che racconta al pubblico delle famiglie italiane cosa veramente è la Ue, quanto male ci fa la Moneta Unica euro, cioè la catastrofe che ‘sta moneta ha portato soprattutto all’Italia. E intanto io so cose che mi fanno sentire così: come uno che sta girando l’Italia nel maggio 2017 per raccontare al popolo di mettersi in guardia contro Napoleone e i suoi fucili a baionetta. Cioè mi sento costretto a insegnare alla gente roba ottocentesca, mentre io so che vivo nel terzo millennio di cervelli micidiali che già ora stanno letteralmente cambiando la faccia del pianeta in un modo che i vostri figli e i figli dei figli non sapranno neppure riconoscere. Altro che Eurozona. Poi guardo l’Italia, ferma più o meno al 1200 Dc, ascolto i nostri leader industriali – perché ascoltare i politici è come chiedere una consulenza industriale a un petto di pollo – e mi rendo conto che altrove sono già atterrati su Giove e da lassù ci faranno a pezzi. Ora io vi chiedo di leggere in modo totalmente passivo le righe che seguono; non cercate di capirle, solo confrontatele con quello che vi dicono i media e i politici, e i grillini, e i leader economici in Italia. E sappiate che più vi sembreranno incomprensibili, fuori dalla vostra vita come un meteorite attorno a Saturno, più avrete colto cosa voglio dirvi. Faranno a pezzi il mondo dei vostri figli.“Siamo all’inizio della Quarta Rivoluzione Industriale. Ogni singolo settore economico del pianeta è ora digitalizzato. Manca poco a che ogni singola azienda del pianeta lo sarà. Tutto questo sbriciolerà interi comparti industriali. Da queste fratture escono morti i tradizionali Re del business, ed escono gli Imperatori”. “E’ quello che ha fatto Jeff Bezos, che ha sbriciolato tutto il comparto industriale a cui apparteneva, ha azzerato sei comparti in un colpo solo, e ora l’Imperatore è Amazon”. “Stiamo studiando quali possono essere gli stati di equilibrio nei comparti industriali, vogliamo una lente attraverso cui guardare la omeostasi produttiva. Vogliamo capire quali elementi nel business aiutano l’equilibrio e quali invece si posso scartare. Questo stato di equilibrio è però amplificato oggi dalle nuove tecnologie, come Artificial Intelligence, robotizzazione e Sviluppo Cognitivo uomo-Ai”. “Per esempio: tradizionalmente il manager dell’industria dell’auto vive e produce in una fetta del mercato e tende a non occuparsi di molto al di fuori di essa. Ma l’equilibrio della sua fetta è garantito invece da altre industrie, dal sistema assicurativo, dalla gara per i software, ecc. E questo manager dell’auto oggi non li controlla, e allora stiamo studiando come egli può diventare invece parte di questo ecosistema di omeostasi sia degli assets che del prodotto, inclusi anche i dipendenti, digitalizzando l’equilibrio stesso”.“C’è questa cosa chiamata Strumento per Pianificare l’Offerta, dove mettiamo a confronto l’offerta di qualsiasi cosa con la richiesta, anche per minime cose come una stanza in affitto o un servizio taxi. Finora abbiamo avuto, con i software disponibili, una miriade di aziende impegnate in questo, ma i nuovi software ci daranno la stessa realtà capitata con Jeff Bezos, cioè moriranno i piccoli Re e ci saranno pochi Imperatori che possiedono immense Piattaforme. Le Piattaforme dovranno però interagire nel Pianeta, tutto si gioca in questo, nelle Piattaforme, e noi guardiamo oggi agli agganci ed equilibri possibili”. “E allora qui noi vogliamo i Pensatori Critici. Sono fondamentali. Quindi quando tu fai business devi oggi cercarti i migliori Pensatori Critici per valutare le Piattaforme, e non il prodotto come si faceva prima. E chi vince in questa gara di pensiero critico sulle piattaforme, finisce per catturare un intero mercato per decenni, non come oggi che un’azienda può dominare di anno in anno, o addirittura per un solo quadrimestre.”“Alla fine questa è l’era della digitalizzazione e tutta la gara sarà fra chi saprà fare i migliori codici. Noi siamo a caccia di talenti in codes-making, sono tutto per il business, dalla finanza al cibo. Cioè usare i software per sbriciolare comparti industriali con prodotti o soluzioni che nessuno ancora possiede”. “Nel 2010 circa, la General Electric (il colosso tech-industriale più grande del mondo, nda) ha iniziato a cercare di estrarre valore dalle analisi dei nostri assets industriali, analisi che potevamo poi impiegare nei nostri contratti di servizi perché capimmo che la tecnologia digitale stava andando in quella direzione”. “Oggi abbiamo un internet per consumatori, tipo Google e Facebook, poi c’è un internet per le imprese tipo Microsoft. Ma ora abbiamo bisogno di un internet Grande-Industriale che ci permetterà di raccogliere i dati analitici per aumentare la produttività. La domanda più importante oggi è: chi sarà il primo a fare questo tipo di Rete? Sarà una Corporation che parte dai suoi assets e va in alto? O Microsoft, o un ragazzino in un garage e un pc? Ma ok, quello che importa è sviluppare la capacità di mettere assieme le caratteristiche di un prodotto con i dati analitici per aumentare produttività. Questo davvero conta.”Ora eccomi da voi, lettori e lettrici. Cosa credete che sia l’Eurozona confronto a ciò che sti Signori della Guerra stanno preparando per il mondo? Italietta della Raggi o Della Valle inclusa? La cosa che, devo ammettere, mi affascina, è osservare il loro volto mentre parlano di questa umanità ridipinta dal pianeta Giove, ma che poveretta sta anche a Livorno o a Treviso e che devasterà i vostri figli e i figli dei figli. I loro sono volti umani, non mostruosi, ma sempre hanno occhi come diamanti. (Tratto da una conversazione privata fra Lloyd Blankfein, Ceo di Goldman Sachs, Robert Smith, guru di Vista Equity Partners, e Jeff Immelt, Ceo di General Electric, cioè la tua vita).(Paolo Barnard, “Voi ascoltate Della Valle; altrove sono già su Giove, e vi faranno a pezzi”, dal blog di Barnard del 20 maggio 2017).Loro sono già su Giove e vi faranno a pezzi. Sto girando l’Italia per presentare il film “Piigs” che racconta al pubblico delle famiglie italiane cosa veramente è la Ue, quanto male ci fa la Moneta Unica euro, cioè la catastrofe che ‘sta moneta ha portato soprattutto all’Italia. E intanto io so cose che mi fanno sentire così: come uno che sta girando l’Italia nel maggio 2017 per raccontare al popolo di mettersi in guardia contro Napoleone e i suoi fucili a baionetta. Cioè mi sento costretto a insegnare alla gente roba ottocentesca, mentre io so che vivo nel terzo millennio di cervelli micidiali che già ora stanno letteralmente cambiando la faccia del pianeta in un modo che i vostri figli e i figli dei figli non sapranno neppure riconoscere. Altro che Eurozona. Poi guardo l’Italia, ferma più o meno al 1200 Dc, ascolto i nostri leader industriali – perché ascoltare i politici è come chiedere una consulenza industriale a un petto di pollo – e mi rendo conto che altrove sono già atterrati su Giove e da lassù ci faranno a pezzi. Ora io vi chiedo di leggere in modo totalmente passivo le righe che seguono; non cercate di capirle, solo confrontatele con quello che vi dicono i media e i politici, e i grillini, e i leader economici in Italia. E sappiate che più vi sembreranno incomprensibili, fuori dalla vostra vita come un meteorite attorno a Saturno, più avrete colto cosa voglio dirvi. Faranno a pezzi il mondo dei vostri figli.
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Massoneria? Un mistero solo per le facce di bronzo della Tv
La massoneria è un potere forte, anzi fortissimo: peccato che sui giornali e nei talkshow televisivi si preferisca il pettegolezzo sulla piccola massoneria nostrana, ignorando deliberatamente l’unica fonte che, in Italia, ha messo nero su bianco nomi e cognomi della supermassoneria internazionale, quella che conta. Supermassoneria conservatrice, alla quale appartiene lo stesso neopresidente francese Emmanuel Macron: e alla medesima porta «hanno ripetutamente bussato sia Matteo Renzi che l’ex direttore del “Corriere”, Ferruccio De Bortoli, lo stesso che ora (nel libro “Poteri forti”) polemizza con Renzi evocando l’ombra della massoneria toscana su Maria Elena Boschi e Banca Etruria». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), dalle pagine web di “Affari Italiani” si rivolge direttamente «ai vari Lilli Gruber, Giovanni Floris, Luca Telese, Corrado Formigli, Enrico Mentana, Gianluigi Paragone, Bruno Vespa». Giornalisti e frontman che, «con rara faccia di bronzo, in questi anni hanno parlato di qualsiasi tematica attinente da vicino o da lontano la massoneria e il potere, ma si sono scientificamente cimentati nella censura e nella rimozione del libro “Massoni”, nonostante la grande diffusione del volume in Italia e all’estero».La polemica tra De Bortoli, Boschi e Renzi su Banca Etruria «è una vicenda piena di ipocrisia, doppi e tripli sensi, surrealtà e vecchi rancori», afferma Magaldi. La Boschi? «Ha fatto bene a interessarsi del possibile salvataggio di Banca Etruria, essendo una parlamentare del territorio dove la banca operava». Semmai, «ha fatto male a negare di averlo fatto: una brutta abitudine, quella di negare l’evidenza, che l’accomuna spesso allo stesso Renzi». Quanto alla telefonata tra i due Renzi, padre e figlio, intercettata dagli inquirenti e poi pubblicata dal “Fatto Quotidiano”, per Magaldi si tratta di «una pantomima», nella quale il figlio tratta il padre, Tiziano, «apparentemente in modo rude e con tono inquisitorio». Secondo Magaldi «si tratta di un’operazione preventiva, per poter un giorno utilizzare questa scenetta quale dimostrazione dell’assoluta estraneità di Matteo ai maneggi e alle relazioni “pericolose” del padre». Peccato, però, che il sistema di potere di cui Renzi junior ha beneficiato nella prima parte della sua ascesa, aggiunge Magaldi, si sia fondato «anche su tutta una serie di rapporti con personaggi toscani (alcuni massoni e altri no) collegati agli interessi imprenditoriali ed economici di Renzi senior, all’interno di un più complessivo groviglio di legami tra politica, istituzioni e cenacoli privati alla ricerca di profitti, tra Firenze e territori contigui».Massoneria e banche? Senz’altro: si tratta di un rapporto «storicamente evidente». Vale anche per Banca Etruria, «benemerita banca dedita al credito popolare», fondata da massoni e a lungo «ottimamente gestita dal “fratello” massone Elio Faralli», prima che subentrassero quelli che Stefano Bisi, gran maestro del Grande Oriente d’Italia, chiama “bischeri”, massoni e non. «Ma in tutta questa vicenda – insiste Magaldi su “Affari Italiani” – il personaggio più in malafede appare proprio Ferruccio De Bortoli». Un giornalista che, sempre secondo Magaldi, «durante tutta la sua carriera ha sempre cercato di essere ammesso ai salotti più esclusivi dell’aristocrazia massonica euro-atlantica». Solo che «non c’è mai riuscito», come del resto lo stesso Renzi, «da anni aspirante apprendista massone presso superlogge sovranazionali, visto che le amicizie massoniche di medio-basso calibro del padre Tiziano potevano essere buone per arrivare a governare la Provincia e il Comune di Firenze, ma non erano e non sono certo sufficienti a puntellare e a consolidare la traiettoria nazionale e internazionale delle ambizioni renziane».Sia De Bortoli che Renzi, aggiunge Magaldi, hanno spesso sfiorato l’accesso al “salotto buono”: «In tempi diversi, tra diverse Ur-Lodges presso cui hanno “bussato” (mediante intermediari), si sono trovati entrambi a un soffio dall’essere accolti dalla superloggia moderata “Atlantis-Aletheia”», una “officina” internazionale di cui fa peraltro fa parte «il massone Emmanuel Macron, neoeletto presidente francese». Incongruenza tutta italiana: «Trovo davvero ipocrita che De Bortoli si metta a cianciare in stile genericamente antimassonico di rapporti tra “massoneria e banche”, riguardo alla vicenda Etruria, ma si sia sempre guardato bene (al pari di quasi tutto il sistema giornalistico italiano) dall’evocare la questione della responsabilità che hanno avuto massoni neoaristocratici come Mario Draghi e Anna Maria Tarantola (all’epoca ai vertici di Bankitalia) nella pessima gestione del Monte dei Paschi di Siena, con riferimento sia all’acquisizione di Banca Antonveneta che ad altre non meno scabrose questioni». Non solo: «Trovo gravissimo – aggiunge Magaldi – che in contesti come la trasmissione “Otto e Mezzo” condotta da Lilli Gruber, così come in altri talk-show televisivi italiani, venga data occasione a De Bortoli e ad altri di pontificare genericamente di legami tra massoneria e banche, massoneria e affari, massoneria e poteri opachi o poteri forti, senza che nessuno si sia mai preso la briga di citare e discutere le precise informazioni e le puntualissime narrazioni (con nomi, cognomi, sigle, date e circostanze) degli intrecci tra la “libera muratoria” e il potere contenute nel libro “Massoni. Società a responsabilità illimitata”», edito già a fine 2014.Lilli Gruber – ed altri suoi colleghi del piccolo schermo – invitano “cani e porci”, «inesperti di questioni latomistiche o carichi di veleni antimassonici per qualche mancata affiliazione», a parlare di massoneria e potere in televisione, presentando «miriadi di libri privi di reale interesse per la pubblica opinione», ma al tempo stesso «evitano come la peste», anzi «censurano da anni» le straordinarie rivelazioni del libro “Massoni”, appena sbarcato anche in Spagna e Sud America, e di cui sta per uscire il sequel, significativamente intitolato “Globalizzazione e massoneria”. Perché dunque rifiutarsi di far approdare nel mainstream una precisa lettura del legame tra massoneria e potere, in primis in ambito finanziario? Forse perché quegli stessi media mainstream, «da qualche decennio, e non solo i Italia, sono in buona parte caduti nelle mani di ambigui segmenti massonici “contro-iniziatici”, traditori dei valori progressisti di libertà, uguaglianza e fratellanza che contraddistinguono da secoli l’autentica “libera muratoria”». Meglio allora evitare che il pubblico televisivo condivida “la scoperta delle Ur-Lodges”, cioè le 36 superlogge mondiali che rappresentano il “back office” del vero potere. Inclusa la “Atlantis Aletheia”, quella di Macron: la superloggia che, secondo Magaldi, si sarebbe rifiutata finora di accogliere i “bussanti” De Bortoli e Renzi.La massoneria è un potere forte, anzi fortissimo: peccato che sui giornali e nei talkshow televisivi si preferisca il pettegolezzo sulla piccola massoneria nostrana, ignorando deliberatamente l’unica fonte che, in Italia, ha messo nero su bianco nomi e cognomi della supermassoneria internazionale, quella che conta. Supermassoneria conservatrice, alla quale appartiene lo stesso neopresidente francese Emmanuel Macron: e alla medesima porta «hanno ripetutamente bussato sia Matteo Renzi che l’ex direttore del “Corriere”, Ferruccio De Bortoli, lo stesso che ora (nel libro “Poteri forti”) polemizza con Renzi evocando l’ombra della massoneria toscana su Maria Elena Boschi e Banca Etruria». Gioele Magaldi, autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), dalle pagine web di “Affari Italiani” si rivolge direttamente «ai vari Lilli Gruber, Giovanni Floris, Luca Telese, Corrado Formigli, Enrico Mentana, Gianluigi Paragone, Bruno Vespa». Giornalisti e frontman che, «con rara faccia di bronzo, in questi anni hanno parlato di qualsiasi tematica attinente da vicino o da lontano la massoneria e il potere, ma si sono scientificamente cimentati nella censura e nella rimozione del libro “Massoni”, nonostante la grande diffusione del volume in Italia e all’estero».
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Ma l’Ue nasce dall’Opus Dei, riciclando criminali nazifascisti
L’Opus Dei svolse un ruolo di primo piano nella costruzione europea. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, vecchi responsabili fascisti si insediarono in seno alle nuove istituzioni europee, collocati dai membri dell’“opera divina”. Durante la guerra, pur condannando l’ideologia nazista, i principali responsabili della Chiesa cattolica sostennero notevolmente i regimi fascisti, per il fatto che costituivano un baluardo alla sovversione bolscevica. Il crollo del III Reich, sotto i colpi congiunti di inglesi, americani e sovietici, avrebbe dovuto tradursi non soltanto con l’epurazione della classe politica europea, ma anche con quella della Chiesa romana. Non se ne fece nulla. Gli ecclesiastici collaborazionisti manipolarono l’illusione religiosa al punto che ogni obiezione della loro responsabilità in crimini contro l’umanità apparve come una blasfemia. Utilizzando l’immunità che agli occhi dei credenti è loro conferita dalle sacre funzioni da essi esercitate, si dedicarono ad “esfiltrare” verso l’America Latina i capi fascisti per sottrarli alla giustizia e impedire che i processi giungessero a rivelare le loro colpe. In questo contesto, l’Opus Dei dedicò tutte le sue forze nel cancellare le tracce della storia, favorendo la riconciliazione europea.Questa politica fu favorita a malincuore dal generale de Gaulle. I francesi avevano sostenuto massicciamente e sino all’ultimo momento il regime fascista dell’ex-maresciallo Pétain e, attraverso lui, avevano attivamente partecipato allo sforzo di guerra del Reich. Alla conferenza di Yalta, gli Alleati avevano deciso di occupare la Francia non appena avessero vinto, di fucilare i suoi ufficiali e di accusare di incapacità civica tutti gli uomini al di sopra dei quarant’anni. Il genio di de Gaulle fu dunque di presentare lo Stato francese come un usurpatore e il governo della Francia libera, durante la sua avventura londinese, come il solo legittimo. Perfettamente cosciente che la Resistenza che era effettivamente esistita sul suolo francese era in maggioranza comunista, e temendo un’insurrezione marxista, Churchill diede il suo appoggio a questa menzogna storica: si presentò la disfatta dello Stato francese come la liberazione da un territorio occupato da un nemico. Trascinato da questa logica revisionista, de Gaulle fu costretto ad accettare il mantenimento dei vescovi fascisti e a fare amnistiare, cioè presentare come “resistenti” diversi responsabili petainisti.Questo riciclaggio di cattolici fascisti fu favorito da due membri dell’Opus Dei vicini al generale: Maurice Schumann (“La vois de la France Libre”) e la contessa Thérése, sposa del maresciallo Leclerc de Hautecloque. De Gaulle pensava di evitare così una guerra civile. Comunque sia, questa tattica ha permesso a dei politici e funzionari di estrema destra di integrarsi nelle nuove istituzioni democratiche, di farvi carriera di nascosto e infine di farvi trionfare di nuovo le loro idee. Un caso sorprendente è quello di Robert Schuman (con una sola “n”, con nessun legame di parentela con il precedente appena citato). Nel settembre del 1944, questo politico cristiano-democratico, allora di 58 anni, appariva come l’effimero consigliere del maresciallo de Lattre de Tassigni durante la liberazione dell’Alsazia-Lorena. Eletto deputato nel 1945, nominato ministro delle finanze nel 1946, presidente del Consiglio nel 1947, ministro degli affari esteri nel 1948. Nel 1949, installò la sede della Nato a Parigi. Lanciò l’idea dell’Europa comunitaria nel 1950 (Ceca e Ced) e partecipò attivamente al governo di Antoine Pinay. Tenuto ai margini degli affari francesi al ritorno di de Gaulle, fu il primo presidente del Parlamento Europeo. Colpito da senilità, morì nel 1963. Rimane nella memoria come il “padre dell’Europa”.Lo si conosceva come profondamente religioso, come uno che assisteva alla messa ogni mattina, che si dedicava a dolorose mortificazioni; si sa oggi, in occasione della sua beatificazione, che era membro dell’Opus Dei. Avremmo dovuto ricordarci del decreto Poinso-Chapuis: quel testo, che egli firmò il 22 maggio 1948 da presidente del Consiglio, permetteva alla Chiesa di sviare delle sovvenzioni pubbliche attraverso l’espediente delle associazioni familiari. Fu ritirato dopo una potente mobilitazione nazionale. Ma prima che Robert Schuman venisse proclamato beato, poi santo da Giovanni Paolo II, conviene chiedersi come hanno potuto dimenticarsi che era stato fascista, sottosegretario di Stato di Philippe Pétain. Colpito da indegnità nazionale alla Liberazione, al momento stesso in cui aveva tentato di porsi presso il maresciallo de Lattre, era stato sollevato dalla sua ineleggibilità per intervento di Charles de Gaulle nell’agosto del 1945. Per camuffare questa riabilitazione si era evidenziato il fatto che era stato posto agli arresti domiciliari dai nazisti sin dal 1941. In realtà, Robert Schuman aveva sempre sostenuto la “rivoluzione nazionale” fascista e si era unicamente opposto all’annessione dell’Alsazia-Mosella da parte del Grande Reich.Robert Schuman non poté edificare le prime istituzioni europee che con l’aiuto di un altro membro dell’Opus Dei, Alcide De Gasperi, il cui processo di beatificazione è anch’esso in corso alla Sacra congregazione per la causa dei santi. De Gasperi si oppose all’accesso di Mussolini al potere e fu imprigionato dalle “camicie nere” nel 1926. Ma fu liberato e si ritirò dall’opposizione dopo la firma degli accordi del Laterano tra la Santa Sede e l’Italia. Visse allora nella Città del Vaticano, dove lavorò agli archivi segreti sino alla caduta del Duce. Segretario generale della Democrazia Cristiana, entrò al governo sin dal giugno del 1945 e fu diverse volte presidente del Consiglio. Sospese immediatamente l’epurazione e vegliò personalmente al ricollocamento dei quadri del fascismo che avevano saputo essere così generosi con il papato. Morì nel 1954. Robert Schuman e Alcide De Gasperi poterono appoggiarsi su Konrad Adenauer per costruire l’Europa dell’amnesia. Il cancelliere tedesco, presidente della Democrazia Cristiana tedesca (Cdu), non sembra essere stato membro della santa setta, ma fu, almeno sino al 1958, il suo alleato indefettibile.Pur sostenendo il nazismo, non svolse un grande ruolo nel regime hitleriano. Sindaco di Colonia, era stato accusato di incapacità dagli Alleati e rimosso dalle sue funzioni. Konrad Adenauer partecipò attivamente alla protezione dei sospetti di crimini contro l’umanità e al riciclaggio dei fascisti, non soltanto per ambizione politica ma per occultare il proprio passato. I primi vagiti dell’Europa comunitaria si concretizzarono nel 1950 con l’instaurazione della Comunità Economica del Carbone e dell’Acciaio (Ceca). Riuniva come per caso gli interessi dei grandi industriali cattolici, produttori di materie prime, e degli armamenti pesanti. Nel 1957, la Comunità Europea vide la luce grazie al Trattato di Roma. I testi fondatori impiegano una fraseologia improntata alle encicliche sociali: “comunità”, “comunione”, “sussidiarità”. La sede della Comissione fu stabilita a Bruxelles, capitale del molto pio membro dell’Opus Dei Baldovino I. Il cardinale Danneels ha richiesto d’altronde la beatificazione del re cristiano che si era opposto all’aborto, confermando che l’Opus Dei è un vivaio di piccoli santi.Per garantire l’aiuto reciproco dei fascisti reinseriti in seno alle nuove istituzioni europee, l’erede del trono d’Austria-Ungheria, l’arciduca Otto von Asburgo-Lorena, fondò allora il Centro europeo di documentazione e di informazione (Cedi). Questa lobby fu del tutto naturalmente installata dall’Opus Dei al riparo dalla madrepatria sotto la protezione del caudillo, il generalissimo Franco. Cattolico di grande umiltà, Sua Altezza Imperiale Otto von Asburgo si è fatto eleggere semplice deputato europeo per continuare a Strasburgo la sua lotta per la riconciliazione europea. Grazie a lui, al Parlamento Europeo, i democratici cristiani (Ppe, Partito Popolare Europeo) non sono più a destra, e i socialisti (Pse, Partito Socialista Europeo) non sono più a sinistra. I confronti ideologici sono riservati alla galleria, in occasione delle elezioni. Una volta eletti, i deputati dei due grandi gruppi abbandonano i loro programmi e votano insieme la maggior parte dei testi. A Strasburgo la buona educazione di “monsignore” si è imposta: non ci sono conflitti politici, non vi sono che interessi condivisi. Il consenso dei privilegiati permette anche di spartirsi la presidenza del Parlamento e di organizzare un sistema a turno Ppe/Pse. I gruppi che rifiutano di entrare nella combinazione (comunisti, ecologisti, radicali) sono esiliati, insieme alle loro convinzioni.Con la progressione della sua espansione, l’Opus Dei ha ampliato i suoi obiettivi in Europa. Al riciclaggio dei fascisti, alla difesa delle monarchie cattoliche, al controllo delle nuove istituzioni democratiche si è aggiunta la difesa dei grandi interessi economici. Lo strumento più notevole fu creato nel 1983 sotto l’impulso del visconte dell’Opus Dei Étienne Davignon (allora comissario europeo incaricato dell’Industria e successivamente presidente della Societé Générale del Belgio): la Tavola Rotonda degli Industriali europei (Ert, European Roundtable of Industrialists). Raccoglie oggi una quarantina di dirigenti d’impresa, di cui più della metà sono membri della santa setta. L’adesione si fa unicamente per cooptazione, a titolo individuale, e non impegna ufficialmente le loro imprese. Tuttavia l’Ert è finanziata da queste imprese e pone a suo servizio alcuni dei loro quadri. L’Ert rivolge regolarmente le sue “raccomandazioni” alla Commissione Europea.L’Ert non manca mai di ricordare che è la lobby economica più potente in Europa: i suoi 42 membri impiegano tre milioni di persone. Realizzano 3.500 miliardi di franchi annui (del 1995) di volume d’affari. Un argomento che permette all’Ert di imporre le sue esigenze. Il “social-cristiano” Jacques Delors, che non gli rifiutava nessun appuntamento, diceva dell’Ert: «È una delle forze maggiori dietro il mercato unico». È «risolutamente pronunciata per uno sviluppo di reti europee di infrastrutture» e ha fatto inscrivere questi obiettivi nel Trattato di Maastricht. L’Opus Dei non si accontenta di piazzare i suoi membri e di difendere la loro comunità di interessi. Persegue sempre il suo obiettivo di restaurazione della cristianità. Per questo è protesa sia sul controllo dell’evoluzione istituzionale che sul controllo dei media. Così ha ottenuto che uno dei suoi membri fosse nominato alla Commissione Europea. Marcellino Oreja-Aguirre si è così visto stranamente affidare allo stesso tempo il portafoglio dei “Problemi audiovisivi” e quello della rinegoziazione del Trattato di Maastricht.Per quel che riguarda i “Problemi audiovisivi”, l’Opus Dei è favorevole al libero scambio. Cioè si augura di abolire «l’eccezione culturale», con riserva di una deontologia euro-americana della moralità nei media. Auspica che un ordine di giornalisti e produttori sia incaricato del suo rispetto. Quanto all’evoluzione istituzionale sono favorevoli a uno sviluppo della sovranazionalità a condizione che il potere politico sia affidato a dei tecnici. Su questo principio, hanno ottenuto il trasferimento del potere monetario a un consiglio non-politico, sul modello della Bundesbank. Un sistema che incantava il presidente (dell’Opus Dei) della banca centrale tedesca, Hans Tiettmeyer, oltretutto accademico pontificio. Si sono pronunciati per un allargamento dell’Europa sul criterio della cultura cristiana e non su quello della democrazia. È in base a questo principio che il democratico cristiano Helmut Kohl si è opposto al sostegno europeo alla repubblica laica della Bosnia Erzegovina, la cui popolazione è a maggioranza musulmana.(Thierry Meyssan, “L’Opus Dei e l’Europa, dal riciclaggio dei fascisti al controllo delle democrazie”, da “Osservatorio Anticapitalista” del 4 gennaio 2012. Giornalista internazionale e analista politico francese, Meyssan è fondatore di “Réseau Voltaire” e della conferenza “Axis for Peace”).L’Opus Dei svolse un ruolo di primo piano nella costruzione europea. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, vecchi responsabili fascisti si insediarono in seno alle nuove istituzioni europee, collocati dai membri dell’“opera divina”. Durante la guerra, pur condannando l’ideologia nazista, i principali responsabili della Chiesa cattolica sostennero notevolmente i regimi fascisti, per il fatto che costituivano un baluardo alla sovversione bolscevica. Il crollo del III Reich, sotto i colpi congiunti di inglesi, americani e sovietici, avrebbe dovuto tradursi non soltanto con l’epurazione della classe politica europea, ma anche con quella della Chiesa romana. Non se ne fece nulla. Gli ecclesiastici collaborazionisti manipolarono l’illusione religiosa al punto che ogni obiezione della loro responsabilità in crimini contro l’umanità apparve come una blasfemia. Utilizzando l’immunità che agli occhi dei credenti è loro conferita dalle sacre funzioni da essi esercitate, si dedicarono ad “esfiltrare” verso l’America Latina i capi fascisti per sottrarli alla giustizia e impedire che i processi giungessero a rivelare le loro colpe. In questo contesto, l’Opus Dei dedicò tutte le sue forze nel cancellare le tracce della storia, favorendo la riconciliazione europea.
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Magaldi: ipocrita De Bortoli, bussò alla super-massoneria
«Ferruccio De Bortoli dimostra ancora una volta una grande ipocrisia: conosce benissimo i mondi massonici, sia quelli caserecci che quelli sovranazionali. Lui stesso, come Renzi, ha cercato più volte, senza riuscirci, di essere ammesso ai salotti massonici di alto profilo». Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges, superlogge internazionali, che funzionano da “back-office” del vero potere. «Sia chiaro, non è affatto un disonore cercare di essere accolti in quei circoli», premette Magaldi, intervistato da Gianluca Fabi ai microfoni di “Radio Cusano Campus”. Il problema, semmai è la mancanza di franchezza: nel suo libro “Poteri forti, o quasi”, l’ex direttore del “Corriere della Sera” e del “Sole 24 Ore” parla di massoneria e banche, da Mps a Banca Etruria, da cui la polemica su Maria Elena Boschi, che avrebbe interessato Unicredit per tentare di salvare la banca toscana di cui il padre era vicepresidente. «Giusto parlare di conflitto d’interessi quando si compie qualcosa di sbagliato, non quando si cerca di tutelare risparmiatori e posti di lavoro», taglia corto Magaldi, che rimprovera a De Bortoli di “fare le pulci” ai toscani senza però rivelare nulla sui suoi rapporti con la vera massoneria di potere, il mondo delle Ur-Lodges.Massoneria e banche? Mps, per esempio: «Tra massoni veri e presunti», dichiara Magaldi, «gli unici due che avrebbero dovuto essere ben vigilati sono due massoni di altissimo grado: Mario Draghi, all’epoca governatore di Bankitalia, e Anna Maria Tarantola», poi ministro del governo Monti, «allora a capo della vigilanza di Bankitalia, che non vigilò affatto sulle operazioni Antonveneta e Mps». Esponenti entrambi non della piccola massoneria nazionale, «provinciale», ma del vero circuito del grande potere, quello delle superlogge. La massoneria oggi chiamata in causa perché ne parla De Bortoli? «Qui entriamo nel paradosso, nella surrealtà», continua Magaldi, ricordando che a suo tempo il direttore del “Corriere” parlò di “odore stantio di massoneria” per descrivere i rapporti intorno a Renzi. Errore ottico: «Non era importante indagare tra i rapporti caserecci e di piccolo calibro del padre di Renzi in Toscana, ma andavano cercate altre aree: Renzi si muoveva a New York e bussava alle porte di ben altri templi». Lo stesso Magaldi ne parlò apertamente a “Linkiesta” già nel settembre 2014: «Nessuno ha notato la coincidenza tra la pubblicazione dell’editoriale di De Bortoli e la contemporanea presenza di Matteo Renzi alla sede newyorkese del Council on Foreign Relations».Il potente Cfr, “santuario” dell’élite atlantica, è definito «solidissimo sodalizio paramassonico istituito nel 1921, mentre nel 1920 era stato fondato il suo omologo britannico, il Royal Institute of International Affairs o Chatham House». Entrambe queste associazioni paramassoniche, rivela Magaldi, furono create su iniziativa della Ur-Lodge “Leviathan”, espressione dei circuiti supermassonici reazionari. Entrambe, sia il Cfr che il Riia, «continuano ad essere controllate e gestite da massoni, con la presenza ancillare e subalterna di paramassoni servizievoli, ossia di membri “profani” del jet-set politico, economico-finanziario, mediatico, diplomatico, militare e culturale internazionale, i quali ancora non hanno avuto un’iniziazione massonica presso il circuito elitario ed ambitissmo delle Ur-Lodges, ma aspirano ad averla». In gergo si chiamano “bussanti”: ruolo che, secondo Magaldi, accomuna Renzi e De Bortoli, entrambi lasciati – per ora – fuori dalla porta. Naturalmente De Bortoli non ne fa cenno, però torna a evocare il tema della massoneria “casereccia” anche in televisione, da Lilli Gruber, per poi essere richiamato alla franchezza da Massimo Cacciari, che gli risponde: ma vogliamo parlare allora dei reticolati massonici francesi e internazionali che hanno costruito in modo artificiale l’operazione Macron?Il neo-inquilino dell’Eliseo, che ha voluto celebrare la vittoria elettorale «ai piedi della piramide del Louvre fatta erigere dal massone Mitterrand», è senz’altro figlio di un’operazione massonica raffinata, conferma Magaldi: si tratta però di capire di quale segno sia, anche se la storia del suo mentore, il supermassone reazionario Jacques Attali, tra gli architetti dell’oligarchia Ue, si è finora mosso in una direzione non certo progressista. Che Macron sia massone, comunque, non è un segreto (né un problema) per nessuno, in Francia, dove la massoneria – dai tempi di Napoleone, che importò da Charleston il Rito Scozzese e dall’Egitto la simbologia delle piramidi – si confronta apertamente con la politica: «I candidati alle presidenziali vanno tranquillamente a fare audizioni nella sede del Grande Oriente di Francia, e una volta eletti – quando non sono massoni – tributano il loro omaggio ai vertici delle comunioni massoniche francesi, talvolta dichiarando di essersi consultati con loro anche per decisioni importanti dal punto di vista geopolitico, strategico, economico». Il tutto, alla luce del sole: «Negli Usa, nel Regno Unito e in altre democrazie occidentali, il discorso pubblico sulla massoneria è molto più sereno e pacato». Il problema, ribadisce Magaldi, è l’Italia: «Da noi c’è questo verminaio, perché l’opinione pubblica di massoneria non sa nulla, i giornalisti ancor meno, e gli intellettuali, gli editori, i direttori di giornali – che invece ne sanno – fanno finta di non sapere».«Ferruccio De Bortoli dimostra ancora una volta una grande ipocrisia: conosce benissimo i mondi massonici, sia quelli caserecci che quelli sovranazionali. Lui stesso, come Renzi, ha cercato più volte, senza riuscirci, di essere ammesso ai salotti massonici di alto profilo». Parola di Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico nonché presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni, società a responsabilità illimitata” (Chiarelettere), che rivela l’esistenza di 36 Ur-Lodges, superlogge internazionali, che funzionano da “back-office” del vero potere. «Sia chiaro, non è affatto un disonore cercare di essere accolti in quei circoli», premette Magaldi, intervistato da Gianluca Fabi ai microfoni di “Radio Cusano Campus”. Il problema, semmai è la mancanza di franchezza: nel suo libro “Poteri forti, o quasi”, l’ex direttore del “Corriere della Sera” e del “Sole 24 Ore” parla di massoneria e banche, da Mps a Banca Etruria, da cui la polemica su Maria Elena Boschi, che avrebbe interessato Unicredit per tentare di salvare la banca toscana di cui il padre era vicepresidente. «Giusto parlare di conflitto d’interessi quando si compie qualcosa di sbagliato, non quando si cerca di tutelare risparmiatori e posti di lavoro», taglia corto Magaldi, che rimprovera a De Bortoli di “fare le pulci” ai toscani senza però rivelare nulla sui suoi rapporti con la vera massoneria di potere, il mondo delle Ur-Lodges.
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Macron, il gattopardo mannaro spremerà sangue francese
Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi: Emmanuel Macron è il nuovo gattopardo che si aggira per l’Europa, scrive Giacomo Russo Spena su “Micromega”. E’ l’ultimo paladino del riformismo europeo, l’uomo della provvidenza. Giovane, rampante, volto pulito e sbarazzino. Ha il merito di aver arginato l’avanzata del “populismo xenofobo”, affermando “l’europeismo” contro il neosovranismo, mandando al settimo cielo personaggi come Angela Merkel, Jean-Claude Juncker e lo statista Angelino Alfano, che twitta: «Brinda la Francia e chi crede nell’Europa, nel libero mercato, nella solidarietà». Piace, Macron, perché è il nuovo che avanza sulle ceneri di un sistema ormai al collasso, tra i socialisti francesi ridotti al livello del Pasok greco e la crisi del gollismo, incapace di arrivare al ballottaggio. Macron si definisce “né di destra né di sinistra”, ma incarna veramente il “nuovo che avanza”? A leggere biografia, programma e dichiarazioni, siamo di fronte ad un caso gattopardesco, insiste Russo Spena: dietro quell’idea di rottura con l’establishment, infatti, si nascondono esattamente gli stessi blocchi di potere e di interessi economici finora perfettamente dominanti.Dopo la prima tornata elettorale, Marta Fana e Lorenzo Zamponi spiegavano su “Internazionale” come il successo di Macron si basasse sulla debolezza del socialista Hamon e del gollista Fillon, e soprattutto sull’ampia visibilità garantitagli dai media, che l’hanno presentato come un argine affidabile contro l’ascesa dei “populisti” di destra e di sinistra: a spaventare i moderati, lo strappo anto-Ue promesso da Le Pen e Mélenchon, che ha messo in allarme soprattutto gli interessi immobiliari di fronte allo spettro di un crollo dei prezzi. Ma Macron non sembra affatto rappresentare un’inversione di rotta nell’Europa dell’austerity, continua Russo Spena: «Ha annunciato, tra le varie misure, di voler tagliare 120mila funzionari pubblici, oltre a proporre una nuova riforma del lavoro». Attenzione: la legge Loi Travail, il Jobs Act francese, già motivo di dure proteste giovanili, «è una sua filiazione politica». E ora il nuovo inquilino dell’Eliseo «è pronto addirittura ad irrigidire alcune norme in materia». Così, la sua svolta graverà «in primo luogo sui lavoratori e sui soggetti sociali più deboli», già in fibrillazione nelle piazze.Secondo un articolo del “Sole24ore”, Macron deciderà di intervenire subito liberalizzando ulteriormente il mercato del lavoro: già a luglio chiederà al Parlamento di votare la legge che consentirà al governo di agire rapidamente con decreti di immediata attuazione su almeno due punti chiave, a rischio di scontrarsi con sindacati e mobilitazioni sociali: il trasferimento di maggiori competenze a livello di categoria e impresa, nonché i tetti alle indennità di licenziamento. Come scrive l’economista Emiliano Brancaccio, «Macron incarna l’estremo tentativo del capitalismo francese di aumentare la competitività, accrescere i profitti e ridurre i debiti per riequilibrare i rapporti di forza con la Germania e stabilizzare il patto tra i due paesi sul quale si basa l’Unione Europea. Al di là degli slogan di facciata, cercherà di sfruttare il crollo dei socialisti e lo spostamento a destra dell’asse della maggioranza parlamentare per promuovere le riforme che gli imprenditori francesi invocano e che, a loro avviso, Hollande ha portato avanti con troppa timidezza».Per dirla con Paolo Barnard: «Il razzismo di Le Pen e ogni altra sua orripilante facciata erano noccioline in confronto al regalo che ci avrebbe fatto la sua vittoria, cioè: fine dell’Ue, dell’Eurozona e dell’economicidio di milioni di famiglie». Veder vincere Marine Le Pen sarebbe stato come «pagare il prezzo del bombardamento di Montecassino per la fine della Germania nazista». Ora abbiamo Macron, che «fa rima col peggio di Wolfgang Schaeuble», ma anche col nome Rothschild, in cui il rampante Emmanuel «fu centrale nella bella fetta di torta (10 miliardi di dollari) che la Nestlé si è pappata dal colosso mondiale dei più potenti e corrotti informatori farmaceutici del mondo, cioè la Pfizer». Peter Brabeck-Letmathe, che era il capo della Nestlé quando rifiutò a Barnard un’intervista per “Report”, «fu un patrigno di Macron mentre ammazzavano qualche milioncino di bambini col loro latte finto, venduto in Africa e in Sud America dicendo alle madri che il latte delle loro tette era infetto». E poi il nome Macron «fa rima con ’sti colossi francesi della sanità privata, roba che la rivoltante UniSalute è una scorreggia in confronto, cioè International Sos, che lavora in 1.000 laboratori-rapina in 90 paesi del mondo estorcendo ad ammalati disperati i risparmi per un’ecografia salvavita».E non è tutto: «Macron prende soldi da Meetic», la piattaforma online per “cuori solitari”, che incassa «una media di 150 milioni di dollari all’anno». E ancora: «Come potevano mancare nell’armadio di Macron nomi come Walter Lippmann, Edward Bernays, Samuel Huntington e Sundar Pichai? Ed ecco che uno dei fratellini di Macron è la Atari Corp., uno dei colossi mondiali della distrazione di massa sul divano, inclusi Casinò Social, e gioco d’azzardo, quelli della “terza ondata di apatizzazione dei popoli”, scritta e studiata a tavolino». Non ha dubbo, Barnard: «Macron è fratellino anche di questi, ’sto tizio descritto dai vostri giornali come “un liberale in economia ma di sinistra sulle questioni sociali”». E questo, spacciato come “il nuovo”, sarebbe il Macron-pensiero: nient’altro che l’ultima puntata del filone lib-lab capeggiato da Tony Blair, quella cosiddetta “terza via” entrata irreversibilmente in crisi. Riciclaggio politico: «L’establishment ha risolto così il modo per sopravvivere al crollo dei partiti tradizionali», dice Russo Spena su “Micromega”. Un circolo vizioso: «Le politiche dei Macron producono, come reazione, le politiche delle Le Pen, per arginare le quali poi i Macron ci chiedono il “voto utile”». Serve un’alternativa vera, perché «il cambiamento non passa per i gattopardi: i Macron non sono la soluzione, ma parte del problema».Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi: Emmanuel Macron è il nuovo gattopardo che si aggira per l’Europa, scrive Giacomo Russo Spena su “Micromega”. E’ l’ultimo paladino del riformismo europeo, l’uomo della provvidenza. Giovane, rampante, volto pulito e sbarazzino. Ha il merito di aver arginato l’avanzata del “populismo xenofobo”, affermando “l’europeismo” contro il neosovranismo, mandando al settimo cielo personaggi come Angela Merkel, Jean-Claude Juncker e lo statista Angelino Alfano, che twitta: «Brinda la Francia e chi crede nell’Europa, nel libero mercato, nella solidarietà». Piace, Macron, perché è il nuovo che avanza sulle ceneri di un sistema ormai al collasso, tra i socialisti francesi ridotti al livello del Pasok greco e la crisi del gollismo, incapace di arrivare al ballottaggio. Macron si definisce “né di destra né di sinistra”, ma incarna veramente il “nuovo che avanza”? A leggere biografia, programma e dichiarazioni, siamo di fronte ad un caso gattopardesco, insiste Russo Spena: dietro quell’idea di rottura con l’establishment, infatti, si nascondono esattamente gli stessi blocchi di potere e di interessi economici finora perfettamente dominanti.
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Cambiano solo i burattini eletti, non il potere che li crea
Finalmente è finita anche questa farsa che ha tenuto in ansia i media ed i social. Ha vinto Macron. Ha perso la Le Pen. E chi se ne frega. E’ un mese che non si parla d’altro, come se importasse qualcosa, come se cambiasse qualcosa, oltre alle apparenze. Ancora troppo pochi si rendono conto del discorso più profondo: tutta questa bagarre, in realtà, è perchè i popoli diano il loro gioioso assenso alla piramide di fantocci che si occuperà esclusivamente di fare quello che gli viene detto di fare da livelli superiori. In barba a desideri e speranze del popolo. Quello che cambia, come diciamo da sempre, è solo il tipo di sentimenti che vengono cavalcati: da una parte gli egoismi, dall’altra le speranze. Questa la differenza tra Trump e Obama, Le Pen e Macron, Berlusconi e Prodi, Renzi e Salvini, ecc. Che in fondo rispecchia semplicemente la differenza tra Ratzinger e Bergoglio, o meglio, tra Gesuiti ed Opus Dei. Da una parte lo sfruttamento degli egoismi, dall’altra la manipolazione dei buoni sentimenti. Questa la sola vera differenza tra le due principali piramidi di potere del mondo.Ad esempio: cosa cambia ad un bimbo mediorientale, se la bomba che gli cade in testa arriva dall’affabile Obama o dall’impresentabile Trump? Niente. Zero. Zilch. Nada. Nella questione Macron/Le Pen possiamo quindi dire: “rien”. Negli ultimi anni il divide et impera principale che è stato fomentato nelle teste degli europei è “Europa sì, Europa no”. Eppure sarebbe tanto bello poter parlare di un’Europa che andrebbe costruita bene, di una democrazia, di un’economia più equa, ma non è di questo che vogliono farci parlare. Vogliono che ci dividiamo e che scegliamo il “meno peggio” a seconda del nostro orientamento politico/etico. Ma non esiste un meno peggio: esistono marionette manovrate con la mano sinistra, e marionette manovrate con la mano destra. Le differenze? Quando non sono puro maquillage, alla fine si riducono ad argomenti di terz’ordine, quelli che servono per far contenta una parte del proprio elettorato, quella più superficiale.La Le Pen è anti-Europa esattamente come Tsipras: solo chiacchiere. Altrimenti non sarebbe stata ad un passo dalla presidenza francese. In questo articolo, Thierry Meyssan parla del ruolo dell’Opus Dei nella costruzione della Ue attraverso il riciclaggio/sdoganamento degli ex fascisti e nazisti col beneplacito di De Gaulle. Quindi, se avessero eletto la La Pen, avrebbe fatto la fine di Tsipras, ovvero, non sarebbe cambiato nulla. E Macron? Beh, lui viene dalla Banca Rotschild. Una garanzia di assoluta continuità. Dunque non cambia nulla. E quindi? Se è tutta una presa in giro, che possiamo fare? Ovvio: le cose da cui ci vogliono realmente distogliere: la coltivazione e l’utilizzo delle parti migliori di noi. Cerchiamo di smettere di abboccare sempre all’amo.Occupiamoci di cose serie, su cui possiamo avere un impatto concreto: dal sorriso al vicino di casa, alla salvaguardia delle cose che ci sono vicine, dalla diffusione di concetti e forme-pensiero migliori, alla telefonata a quella zia sola e un po’acida, che proprio non vorremmo chiamare. Invece di sentirci a posto perchè abbiamo votato per un Nobel per la Pace che poi bombarda milioni di persone, aumentiamo per come possiamo il livello generale di pace, creandola prima in noi stessi, e poi cercando di contagiare il prossimo. Nel frattempo, ovviamente, occhi sempre più aperti per evitare di cadere in binari di pensiero che sono stati creati apposta per portarci sulla strada sbagliata. E’ finita l’era della delega. Mettiamocelo in testa e nel cuore.(Enrico Carotenuto, “Elezioni francesi: non cambia nulla, proprio come la Le Pen”, da “Coscienze in Rete” dell’8 maggio 2017).Finalmente è finita anche questa farsa che ha tenuto in ansia i media ed i social. Ha vinto Macron. Ha perso la Le Pen. E chi se ne frega. E’ un mese che non si parla d’altro, come se importasse qualcosa, come se cambiasse qualcosa, oltre alle apparenze. Ancora troppo pochi si rendono conto del discorso più profondo: tutta questa bagarre, in realtà, è perchè i popoli diano il loro gioioso assenso alla piramide di fantocci che si occuperà esclusivamente di fare quello che gli viene detto di fare da livelli superiori. In barba a desideri e speranze del popolo. Quello che cambia, come diciamo da sempre, è solo il tipo di sentimenti che vengono cavalcati: da una parte gli egoismi, dall’altra le speranze. Questa la differenza tra Trump e Obama, Le Pen e Macron, Berlusconi e Prodi, Renzi e Salvini, ecc. Che in fondo rispecchia semplicemente la differenza tra Ratzinger e Bergoglio, o meglio, tra Gesuiti ed Opus Dei. Da una parte lo sfruttamento degli egoismi, dall’altra la manipolazione dei buoni sentimenti. Questa la sola vera differenza tra le due principali piramidi di potere del mondo.
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Cremaschi: stanno svendendo l’Italia al miglior offerente
Se l’amministratore di un’impresa privata decidesse di regalare beni aziendali e poi regalasse soldi a chi accettasse di appropriarsene, questo amministratore difficilmente riuscirebbe ad evitare il confronto col codice civile e penale. Invece i nostri governanti, amministratori dei beni di tutti, così si comportano con le nostre proprietà e con quelle altrui che finanziano. Per lo Stato, nell’economia debbono valere regole di svantaggio rispetto a qualsiasi grande azienda privata, così vuole l’Unione Europea e così i governanti che ad essa ubbidiscono. Ovviamente con la massima soddisfazione degli imprenditori privati, che si vedono regalate le aziende e che quando le mandano in malora possono fuggire e scaricare di nuovo tutto sullo Stato. Con quanti nostri soldi lo Stato italiano ha finanziato le privatizzazioni? Decine e decine, forse centinaia sono i miliardi spesi per privatizzare il patrimonio produttivo pubblico, nel nome della riduzione di un debito che non si è mai realizzata e di un maggiore efficienza mai ottenuta. Quanti miliardi sono stati regalati a imprenditori e multinazionali che poi hanno sfasciato le aziende?Questa cifra non viene mai fornita ad una opinione pubblica martellata dalla campagna a favore delle svendite. Svendite come quella delle acciaierie di Piombino, che dopo una lunga trafila di fallimenti imprenditoriali, da Lucchini ai magnati russi, sono state regalate ad un imprenditore algerino che non si è mai fatto vedere. Quella che oggi è l’Ilva è stata regalata alla famiglia Riva dal governo e dall’Iri di Prodi. I Riva hanno accumulato per anni miliardi, poi sono crollati sotto il peso della crisi e dei danni ambientali. Lo Stato da allora finanzia l’azienda a fondo perduto, in attesa di svenderla a qualche multinazionale che saccheggerà ciò che è rimasto, farà un’ecatombe di licenziamenti e lascerà tutti i danni ambientali a carico della comunità e della spesa pubblica. Mentre fallivano in Ilva, i Riva venivano chiamati da Berlusconi a salvare l’Alitalia, assieme a Colaninno, Marcegaglia, Montezemolo e tanti altri bei nomi, tutti coordinati da Passera allora a capo di Banca Intesa. Tutta la crema della imprenditorialità e della finanza italiana ha mostrato il suo reale valore nella gestione della compagnia aerea. E il fallimento è stato totale, come quello del quotidiano che ufficialmente la rappresenta, il “Sole 24 Ore”.Le poche grandi privatizzazioni che, per ora, non sono fallite hanno consegnato le eccellenze del sistema produttivo italiano, dalla Telecom all’Ansaldo, alle multinazionali. Multinazionali a cui si affidano le aziende private medie, non appena i loro vecchi titolari pensino al futuro, Luxottica insegna. La Fiat della famiglia Agnelli è un’azienda americana con sede legale in Olanda, mentre l’Olivetti non esiste più, è stata sacrificata da De Benedetti per realizzare l’Omnitel, che oggi appartiene alla Vodafone. Le banche, che in gran parte erano pubbliche, o sono già in possesso o sono in attesa di un compratore estero, partner si dice nel mondo bene. Quel sistema industriale e finanziario che era stato in grado di collocare il nostro paese tra quelli più sviluppati, e che si reggeva proprio per il peso ed il ruolo del sistema pubblico, è stato smantellato e svenduto pezzo dopo pezzo. E dopo il fallimento indecoroso della classe imprenditoriale italiana, quel sistema è ora terreno di caccia per tutti i venditori di Colosseo che parlino inglese.Il vice di Renzi, Martina, ha sfacciatamente confessato che il governo non può nazionalizzare Alitalia, altrimenti dovrebbe fare altrettanto con tutte le aziende che dovessero chiudere. Che evidentemente sono tante per l’ingenuo ministro, che smentisce in tal modo l’ottimismo ufficiale del palazzo. Così, grazie alla fermezza autolesionista del governo, Lufthansa può far sapere di non essere interessata alla nostra compagnia aerea: deve solo aspettare la catastrofe finale dell’azienda e poi raccoglierne gratis i cocci. Lo stesso faranno le multinazionali dell’acciaio interessate all’Ilva: anch’esse devono solo attendere il disastro. Le privatizzazioni sono solo svendita di beni di tutti, una svendita pagata coi soldi di tutti. Non c’è nulla di più falso e in malafede che affermare che lo Stato non può più spendere i soldi dei cittadini per finanziare aziende in crisi. Perché la realtà dimostra che regalare le aziende pubbliche ai privati alla fine costa molto di più. Costa di più sul piano produttivo perché le aziende vanno peggio. Costa di più sul piano sociale per i nuovi disoccupati che si aggiungono ai tanti altri già esistenti. E costa di più perché il conto, per la spesa pubblica che deve riparare ai guasti del privato, è più alto oggi di quando le aziende erano in mano pubblica. Se l’amministratore di un condominio ruba si caccia lui, ma non si butta giù la casa. Le privatizzazioni han buttato giù la casa.Gli articoli 41e 42 della nostra Costituzione hanno definito i vincoli a cui sono sottoposte la proprietà e l’iniziativa privata e gli spazi riservato all’intervento pubblico. Decenni di politiche liberiste sotto dettatura della Unione Europea hanno rovesciato nel loro opposto questi e tanti altri articoli della nostra Carta. Il privato deve avere tutto e il pubblico lo deve finanziare a fondo perduto. Si regalano 20 miliardi alle banche perché i loro futuri acquirenti non trovino troppe sofferenze, se ne sono versati altri 60 in sede europea per lo stesso scopo. Gentiloni promette a Trump di pagare la bolletta Nato, ma salvare Alitalia, Ilva, Piombino non si può, lì o ci pensa il mercato o si chiude. L’ideologia liberista è già insopportabile in sé, quando poi diventa la giustificazione per lo spreco dei soldi pubblici e per la distruzione del patrimonio industriale diventa un costo insostenibile. Dobbiamo ringraziare i lavoratori Alitalia che con il loro No hanno respinto l’ennesimo regalo ai privati, questa volta concesso agli sceicchi di Etihad, che non sono certo privi di mezzi propri. La nazionalizzazione di Alitalia, dell’Ilva, delle altre aziende strategiche in crisi è la sola via realistica per sottrarsi ai danni dell’incapacità imprenditoriale nazionale e della rapina multinazionale. Il resto è solo servilismo verso i poteri e gli interessi che vogliono il nostro paese in vendita. Low cost.(Giorgio Cremaschi, “Nazionalizzare o svendere, l’economia italiana in mano ai migliori offerenti”, dall’“Huffington Post” del 28 aprile 2017).Se l’amministratore di un’impresa privata decidesse di regalare beni aziendali e poi regalasse soldi a chi accettasse di appropriarsene, questo amministratore difficilmente riuscirebbe ad evitare il confronto col codice civile e penale. Invece i nostri governanti, amministratori dei beni di tutti, così si comportano con le nostre proprietà e con quelle altrui che finanziano. Per lo Stato, nell’economia debbono valere regole di svantaggio rispetto a qualsiasi grande azienda privata, così vuole l’Unione Europea e così i governanti che ad essa ubbidiscono. Ovviamente con la massima soddisfazione degli imprenditori privati, che si vedono regalate le aziende e che quando le mandano in malora possono fuggire e scaricare di nuovo tutto sullo Stato. Con quanti nostri soldi lo Stato italiano ha finanziato le privatizzazioni? Decine e decine, forse centinaia sono i miliardi spesi per privatizzare il patrimonio produttivo pubblico, nel nome della riduzione di un debito che non si è mai realizzata e di un maggiore efficienza mai ottenuta. Quanti miliardi sono stati regalati a imprenditori e multinazionali che poi hanno sfasciato le aziende?