Archivio del Tag ‘Movimento Roosevelt’
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Carpeoro: ma il “no” agli sbarchi è come gli 80 euro di Renzi
Portare a casa un risultato subito, quale che sia: che differenza c’è tra il blocco delle navi delle Ong imposto da Salvini e la mancia degli 80 euro concessi da Renzi? Se lo domanda Gianfranco Carpeoro, convinto che alla fermezza di Salvini – pur legittima, e contestata in modo strumentale dal mainstream – non corrisponda una visione strategica, un impegno almeno decennale: «Succede sempre, quando sparisce l’ideologia: se togli la parte progettuale, la politica si riduce a pura gestione elettoralistica, preoccupata solo dell’oggi». E’ una conseguenza sistemica, dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: da mezzo utile e neutro, il denaro è diventato un fine. «Dal liberalismo (massonico e anche progressista) siamo passati al neoliberismo più reazionario, e i risultati sono questi»: la gente si aspetta “tutto e subito”, e la politica la accontenta con misure-spot destinate a non cambiare niente, dagli 80 euro al divieto per gli sbarchi. «So benissimo che l’immigrazione mediterranea è pilotata, ma so anche che il blocco delle navi non risolve il problema, che va affrontato alla partenza», sostiene Carpeoro, che – insieme a Paolo Mosca, altro esponente del Movimento Roosevelt – propone la creazione di un’agenzia europea per filtrare i migranti in modo intelligente sulla sponda sud del Mediterraneo.Carpeoro ricorda che fu Bettino Craxi, nel lontano 1990, a fotografare col necessario tempismo un problema che, nei decenni seguenti, sarebbe diventato assillante. In sede Onu, il leader del Psi fece una proposta forte e chiara: cancellare il debito dei paesi poveri e promuovere ingenti investimenti europei per creare lavoro direttamente nel Terzo Mondo, attraverso una cooperazione progettata per produrre sviluppo e benessere diffuso. Un discorso che oggi apparirebbe lunare: Craxi propose all’Occidente di investire qualcosa come il 10% del suo Pil, con l’obiettivo strategico di annullare l’abnorme diseguaglianza tra nord e sud del mondo entro il 2020. Oggi in Europa ci si azzanna per decimali di Pil, e un paese come la Francia – che più di altri ha “rapinato” l’Africa, scatenando il grande esodo cui stiamo assistendo – prova a contrastare l’Italia fingendo di apprezzare la moderazione del premier Giuseppe Conte solo per tentare di dividere il governo gialloverde, allontanando il 5 Stelle dalla Lega di Salvini, vero protagonista dell’esordio del nuovo esecutivo “populista”. Facile profeta, Carpeoro? Con largo anticipo, ha formulato un doppio pronostico preoccupante: il rischio che il governo cada, e il pericolo di attentati terroristici in Italia, paese finora risparmiato dalla “sovragestione” e protetto da servizi segreti particolarmente efficienti.Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione, 2016), Carpeoro svela l’identità atlantica del terrorismo in apparenza islamico, targato Isis, che ha martoriato l’Europa. Già a capo della più antica comunione massonica italiana di rito scozzese – da lui stesso poi disciolta, in polemica con il degrado della massoneria italiana – Carpeoro punta il dito contro una sorta di strategia della tensione a livello internazionale, orchestrata da un’élite supermassonica neo-conservatrice, in grado di pilotare (in modo criminale) interi settori dell’intelligence, fino a rendere sistematico lo stragismo. Allarme rosso in Italia, se il nuovo governo vorrà “smontare” gli attuali vertici della struttura deputata alla sicurezza, a maggior ragione dopo l’inquietante insulto (“vomitevole”) riservato alla politica italiana dal partito di Macron, uomo Rothschild, vicinissimo alla pericolosa oligarchia “nera” che, per imporre il rigore finanziario contestato dal “populismo”, non ha esistato a imboccare la strada dell’auto-terrorismo, che in Francia ha portato a leggi speciali, dopo l’insabbiamento dell’inchiesta sulla mattanza di Chalie Hebdo, “seppellita” dal segreto di Stato per oscurare imbarazzanti collegamenti tra i servizi segreti e il commando terrorista.L’Italia è in pericolo perché è politicamente fragile, insiste Carpeoro: è vero, Salvini ha costretto l’Ue ad ammettere che il nostro paese è solo, di fronte alla marea africana. Ma il “nemico” è potente, e la politica di Salvini non basta: le navi delle Ong continueranno a imbarcare profughi smistati dalla mafia dei negrieri, se un’altra Europa – certo non questa – non comincerà a investire, davvero, sul futuro di masse a cui l’élite industriale e finanziaria ha portato via tutto, in nome del neoliberismo più cieco che oggi ci condanna all’inferno alla crisi. E’ l’autolesionismo del gangster: anziché creare condizioni accettabili per tutti, le aziende hanno rincorso il lavoro schiavistico a costo zero, da noi tagliando i salari e nel Terzo Mondo provocando un esodo che non ha eguali nella storia. Non se ne esce bloccando qualche nave, finanziata da Soros e protetta dall’ipocrisia assistenziale di un sistema marcio, che si rifiuta di denunciare le cause del dramma e impone alla sola Italia di sostenere i costi dell’accoglienza marittima, negando al nostro paese la necessaria flessibilità nei conti pubblici. E’ l’ennesimo capolavoro di quest’Europa-fantasma, dominata dalle stesse élite neo-feudali che hanno esiliato un politico come Craxi, dopo aver assassinato in Svezia il leader socialista Olof Palme e in Burkina Faso il presidente Thomas Sankara, leader del riscatto sovranista dell’Africa. Nomi che a pochissimi, oggi, dicono qualcosa.Portare a casa un risultato subito, quale che sia: che differenza c’è tra il blocco delle navi delle Ong imposto da Salvini e la mancia degli 80 euro concessi da Renzi? Se lo domanda Gianfranco Carpeoro, convinto che alla fermezza di Salvini – pur legittima, e contestata in modo strumentale dal mainstream – non corrisponda una visione strategica, un impegno almeno decennale: «Succede sempre, quando sparisce l’ideologia: se togli la parte progettuale, la politica si riduce a pura gestione elettoralistica, preoccupata solo dell’oggi». E’ una conseguenza sistemica, dice Carpeoro, in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: da mezzo utile e neutro, il denaro è diventato un fine. «Dal liberalismo (massonico e anche progressista) siamo passati al neoliberismo più reazionario, e i risultati sono questi»: la gente si aspetta “tutto e subito”, e la politica la accontenta con misure-spot destinate a non cambiare niente, dagli 80 euro al divieto per gli sbarchi. «So benissimo che l’immigrazione mediterranea è pilotata, ma so anche che il blocco delle navi non risolve il problema, che va affrontato alla partenza», sostiene Carpeoro, che – insieme a Paolo Mosca, altro esponente del Movimento Roosevelt – propone la creazione di un’agenzia europea per filtrare i migranti in modo intelligente sulla sponda sud del Mediterraneo.
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Arrangiatevi: così la scuola neoliberista tradisce i ragazzi
Come trasformare un bambino in un “asset”: un individuo solo al mondo, in lotta contro tutti. E’ l’orrore del neoliberismo, sintetizzato da Margaret Thatcher nel 1980: «L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima». Si comincia presto, dai banchi di scuola: e il risultato è ormai sotto i nostri occhi, avverte Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt ed esperta del mondo scolastico. Nata in circoli accademici ristretti, «lautamente foraggiati per contrastare il mainstream economico keynesiano», la teoria economica neoliberista finisce con il diventare in pochi anni, fra gli anni ‘70 e ‘80, la visione dominante dell’economia, grazie agli economisti della Scuola di Chicago come Milton Friedman e Friederich von Heyek. Applicazioni immediate: il Cile di Augusto Pinochet, la Gran Bretagna della “Strega del Nord”, gli Usa di Reagan. Il neoliberismo? «Fondato su una visione assiomatica (ovvero indimostrabile) del mondo». Un mondo economico “ideale”, come «una realtà perfettamente ordinata e regolata da leggi “naturali”, al di fuori di ogni intervento regolatore dello Stato». Homo homini lupus: estremizzando la teoria della “mano invisibile” di Adam Smith, il neoliberismo «postula la spontanea diffusione della ricchezza e del benessere come conseguenza “naturale” dell’assenza di ogni vincolo economico, giuridico, ambientale, politico e sociale all’egoistico perseguimento del profitto».Si tratta di un dogma che non ammette smentite, scrive Patrizia Scanu sul blog del Movimento Roosevelt: l’idea della capacità dei mercati di autoregolarsi viene assunta come principale e indiscutibile legge dell’economia. Pura teologia: «Qualunque fatto che la contraddica – la disoccupazione, l’aumento dell’inflazione, l’arresto della crescita – viene attribuito esclusivamente all’insufficiente libertà del mercato». Per autoconvalida, quindi, «la ricetta è sempre “meno Stato, più mercato” (salvo quando, in modo contraddittorio, si chiede che lo Stato intervenga ad attuare politiche pro-cicliche di austerity o a proteggere il mercato interno dalla concorrenza estera, per esempio)». In questo senso, la teoria accademica – una volta nelle mani dei politici e dei potentati economici internazionali – diventa una ideologia totale, cioè «una produzione intellettuale sostanzialmente falsa e inautentica». Mira a dare ordine alla società e ad orientarne l’evoluzione storica, «che è incorreggibile e pretende di essere universale e globale». In altre parole, il neoliberismo vorrebbe «dire tutto l’essenziale sull’uomo, sotto qualunque cielo e in qualunque circostanza».In economia, continua Patrizia Scanu, le ricette neoliberiste sono principalmente tre: deregulation (ovvero assenza di regole che limitino l’acquisizione di profitti e la circolazione dei capitali), privatizzazioni (sulla base dell’assioma che il privato è più efficiente del pubblico) e riduzione della spesa sociale, per evitare “l’inquinamento” dello Stato nel mondo “perfetto” dei mercati. Una visione «discutibile e astratta dell’economia, strumentale allo spostamento di ricchezza dai poveri ai ricchi». Una concezione che è anche «responsabile dell’aggravarsi della diseguaglianza, della miseria e della disperazione, laddove essa è stata applicata in modo inflessibile (come spiega molto bene il premio Nobel Joseph Stiglitz nel saggio “La globalizzazione e i suoi oppositori”)». Nella realtà storica del processo di globalizzazione, a questa deformazione si accompagna anche e soprattutto «una visione distorta dell’uomo e della vita». Si tratta di «una vera e propria perversione antropologica, che si insinua nelle coscienze, nelle famiglie, nelle comunità e che distrugge in profondità la spontanea propensione umana alla cooperazione, all’altruismo e all’empatia». Infatti, «in questa visione esiste solo il singolo, che persegue avidamente e in modo aggressivo il suo utile egoistico; la vita è una lotta per la sopravvivenza nella quale emerge chi vince nell’incessante competizione per l’accaparramento di beni finiti».L’altro essere umano non è che «una minaccia costante al proprio benessere». Conseguenza: «Il valore di ogni relazione ed esperienza umana si misura con il denaro ed è quantificabile in termini economici». Peggio: «Non esistono limiti etici al diritto di trarre profitto dalle proprie attività, visto che per sgocciolamento (“trickle down”) la ricchezza accumulata dai vincenti porterà comunque benessere a tutti». Lo Stato che spende per i servizi sociali? «E’ vizioso, e il debito pubblico è una sorta di peccato originale che richiede un’espiazione collettiva». I mercati? «Sono l’unico Dio a cui essere sottomessi, senza remissione». Una degradazione infernale della dimensione umana: «La propria felicità si persegue a danno della felicità altrui: mors tua, vita mea, in un eterno gioco a somma zero, in cui la miseria e la sofferenza prodotte sono un male necessario per consentire la crescita indefinita, unico fine dell’attività economica». Una deriva ideologica, ben riassunta dalla famigerata Thatcher: «Non esiste una cosa chiamata società, ci sono solo individui e famiglie». Tradotto: le idee di vita associata, di solidarietà sociale e di beni comuni e inalienabili sono estranee a questa visione del mondo. «Tutto è quantificabile, alienabile e privatizzabile; tutto è subordinato al perseguimento dell’interesse privato e lo Stato non ha alcun ruolo nel mediare fra interessi contrapposti, anche quando i costi umani sono altissimi».Più che nella sommaria tecnicalità economistica, il neoliberismo si esprime – in termini di devastazione sociale – attraverso il modello umano che sottende, e che guida l’azione politica. «Stiamo parlando cioè di un fenomeno di egemonia culturale, nel senso descritto da Antonio Gramsci, ovvero di un pensiero che diventa dominante in un momento storico e consente ai gruppi al potere di esercitare una forma di controllo sulle persone, grazie al fatto che esso viene assunto nelle pratiche sociali, diffuso costantemente e interiorizzato». Questo pensiero egemonico, aggiunge Patrizia Scanu, di fatto «sostituisce una visione del mondo ad un’altra e colonizza le menti, rendendo difficile uscire dal “frame”, dallo schema interpretativo imposto». Per averne un saggio, basti leggere una riflessione di Gary Becker, l’allievo di Friedman che coniò l’espressione “capitale umano”. Testualmente: «Per la maggior parte dei genitori, i figli sono una fonte di reddito psicologico, o di soddisfazione. Pertanto, nella terminologia economica, essi si possono considerare un bene di consumo», scrive Becker. «I figli possono anche fornire reddito, ed in qualche caso sono anche un bene produttivo». Ancora: «Questa caratteristica fa dei figli un bene durevole, sia produttivo che di consumo».«Può sembrare eccessivo, artificiale, forse anche immorale classificare i figli alla stregua di automobili, case o macchinari», ammette Becker, ma aggiunge: le soddisfazioni garantite dai figli sono paragonabili a quelle di altri “beni durevoli”. I figli visti come beni di consumo o, peggio ancora, come bene produttivo? «Rappresentano adeguatamente il livello di stravolgimento assiologico di questo discorso», sottolinea Patrizia Scanu: «Invece di essere funzionale alla vita, l’economia la fagocita e ne inscatola con cinica indifferenza l’infinita ricchezza in una serie di anonimi contenitori tutti uguali e misurabili, che si chiamano “beni di consumo” o “beni produttivi”». Attenzione: «In questo delirio di onnipotenza, i legami familiari, i sentimenti, le aspirazioni, i destini di individui e popoli diventano la variabile dipendente delle leggi “naturali” del mercato, concepite come fisse e immodificabili, come un Fato di fronte al quale si può solo chinare la testa, con pia rassegnazione». E il guaio è che «non ci rendiamo sempre conto di quanto abbiamo finito per considerare normale questa maligna distorsione della realtà “sub specie oeconomica”, che rende pensabile l’impensabile, attraverso l’apparente neutralità del linguaggio scientifico».E’ vero: «Finiamo con l’abituarci al fatto che in molte aree del mondo esistano bambini-schiavi, bambini-soldato, bambini-oggetto sessuale (che sono senz’altro “beni produttivi”) o al fatto che le famiglie possano essere disgregate senza riserve, perché prima vengono le esigenze produttive, quando i genitori devono accettare un posto di lavoro sempre più precario in luoghi diversi e lontani fra loro, quando devono lavorare oltre l’orario per non perdere il posto, quando l’azienda delocalizza l’attività». Oppure, ci diventa familiare «il fatto che i bambini, sempre più soli, vengano tenuti buoni lasciandoli incollati molte ore al giorno ai loro costosi schermi digitali, che li rendono dipendenti e rubano loro esperienze ben più vitali». O ancora, «riusciamo a trovare accettabili le ricette neoliberiste per la scuola, espresse in una “neolingua” economica dalla quale vengono espulsi la vita, la bellezza, la conoscenza, la relazione profonda e la crescita umana». E’ diventato tragicamente normale parlare di “dirigenti” scolastici (come in azienda) anziché di presidi, di “debiti e crediti” formativi, di “offerta” formativa, di “successo” formativo, di “piani e pianificazione”, di “innovazione e imprenditorialità”, di “competenze” intese non nel senso etimologico di un sapere a cui si aspira condividendo esperienza, ma come strumenti per competere alla pari sul mercato, da “certificare” (altra parola della “neolingua”) e da misurare con “test” oggettivi e standardizzati.Patrizia Scanu ricorda il “Portfolio delle competenze” della ministra Moratti, «fulgido esempio di lessico aziendalista». La Buona Scuola di Renzi? «E’ un concentrato di ideologia neoliberista, in cui tutto è finalizzato a trasformare la scuola in un’azienda, i docenti in passivi impiegati privi di autonomia professionale e costantemente sotto ricatto economico e psicologico, gli studenti in docili schiavi da addestrare per le esigenze del mondo del lavoro, ma privi di creatività e di senso critico». E’ una dimensione in cui il tempo-scuola – sempre più ridotto dal 2008 in poi, fino alla trovata dei licei quadriennali – è un tempo «infarcito di attività accattivanti, ma prive di sostanza culturale, come il Clil (ovvero l’insegnamento di una materia in lingua straniera con didattica smart) o la didattica multimediale». Ormai il mondo del lavoro «entra di prepotenza nella didattica, diventandone lo scopo». E arriva, con il nuovo esame di Stato, «a valutare l’alunno, al posto del docente, per una parte cospicua del voto finale». E gli enti certificatori esterni, come l’Invalsi (che entrerà anch’esso nella valutazione finale dello studente) sottraggono una bella fetta di autonomia didattica al docente, «costringendolo all’aberrazione del “teaching to test”, cioè a sacrificare ulteriormente la filosofia, la matematica, la storia o la letteratura alla preparazione al test standardizzato».La verità, sintetizza Patrizia Scanu, è che «nell’orizzonte ideologico neoliberista non esistono né l’uomo né il cittadino, ma solo il lavoratore e il consumatore». E la standardizzazione «livella ogni differenza di personalità e di profili attitudinali individuali». Da quest’anno, poi, nella valutazione finale in uscita dalla scuola primaria (a 10 anni!) entra una qualità comportamentale che si chiama “Spirito di iniziativa ed imprenditorialità”, «tanto per chiarire subito qual è il fine». Obiettivamente, un bambino che cresce “intossicato” da questa visione del mondo «è pronto ad accettare qualunque lesione ai propri diritti, a considerare normale l’egoismo e naturale competere con gli altri, a dare per scontata la “durezza del vivere” che è il prezzo della crescita». Ed è pronto a considerare il lavoro una specie di condanna, «anziché la propria emancipazione personale e civile come scopo dello studio». Il bambino si abitua a non fare mai domande, «poiché tutto è già pianificato, predisposto e certificato: ogni conoscenza è misurabile e quantificabile, e ciò che esula dalla misura standardizzata (il pensiero critico, il gusto estetico, la creatività) non ha più posto nella sua formazione e nel suo portfolio delle competenze».In questo modello di scuola, aggiunge Patrizia Scanu, scompare anche l’autonomia didattica del docente, «compressa dalla pressione ministeriale a conformarsi ai metodi via via imposti dall’alto come innovativi», fino all’alternanza scuola-lavoro (che sottrae tempo alla didattica) e all’influenza dei datori di lavoro che valutano gli studenti. Ci sono i vincoli dell’Invalsi, la valutazione meritocratica (economicistica), i risultati quantificabili con il “successo formativo” degli allievi. E ancora: l’ingerenza dei privati nel finanziamento e nella gestione degli istituti. Secondo il piano renziano, «le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola». Per questo intervengono le risorse private, che «possono contribuire a trasformare la scuola in un vero investimento collettivo». La scuola è una frontiera mobile, si legge nel documento: «Se pensiamo alle sfide della competizione globale, al dinamismo di una società sempre più multiculturale, alla rapidità del cambiamento tecnologico, capiamo subito le esigenze di una continua sperimentazione educativa. Vale per la scuola quanto è ormai ovvio per moltissimi altri ambiti, a partire dalla ricerca: sommare risorse pubbliche a interventi dei privati è l’unico modo per tornare a competere».Via libera ai fondi privati, visto che lo Stato chiude i rubinetti: ben vengano fondazioni e altri enti per la gestione di risorse provenienti dall’esterno, privi di “appesantimenti burocratici”. Tanto per essere chiari, osserva Patrizia Scanu: la scuola deve attrezzarsi alla competizione globale «data come indiscutibile», dev’essere in continua sperimentazione «come se fosse sempre in funzione di esigenze esterne a sé e priva di riferimenti culturali», deve accogliere senza controllo finanziamenti privati «con le relative pressioni esterne», e deve diventare “un investimento collettivo”, trasformandosi in una fondazione. «Ma i soggetti di questo “noi” non sono precisati e sono facilmente individuabili nei capitali privati. Eccolo lì, il punto-chiave, quello su cui pochissimo si è detto ai cittadini: la scuola-fondazione non è la scuola pubblica della Costituzione: non forma uomini e cittadini, ma lavoratori già pronti a entrare velocemente e senza diritti nel mondo del lavoro». Quella scuola, scrive Patrizia Scanu, «non colma le disuguaglianze sociali, ma le accentua, rendendole territoriali». Peggio: «Non rilascia titoli con valore legale, ma certificazioni di competenze, abbandonando i singoli alla leggi spietate del mercato. E non educa, ma si limita ad istruire secondo la volontà di chi la finanzia».Siamo all’applicazione scolastica dell’ingegneria sociale promossa dagli “stregoni” della Scuola di Chicago: «Ritroviamo qui per intero il Verbo neoliberista: deregolamentare, privatizzare e tagliare servizi pubblici con la scusa del debito pubblico e della carenza di fondi, unica realtà immodificabile». La stessa autonomia scolastica, nata per superare il centralismo burocratico della scuola statale, attraverso questa pericolosa “mutazione genetica” diventa «la solitudine darwiniana della scuola, che deve mantenersi a galla nella lotta per la sopravvivenza escogitando sempre nuovi modi per attrarre finanziamenti, perdendo ogni reale autonomia e diventando, nella sostanza, privata». Questo, conclude Patrizia Scanu, è un crimine politico: «E’ un tradimento del compito educativo della scuola ed è un violento assalto ai valori sui quali si fonda la scuola della Costituzione». Una deriva in apparenza inarrestabile, alla quale – oggi più che mai – è necessario opporre contromisure strategiche.Come trasformare un bambino in un “asset”: un individuo solo al mondo, in lotta contro tutti. E’ l’orrore del neoliberismo, sintetizzato da Margaret Thatcher nel 1980: «L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima». Si comincia presto, dai banchi di scuola: e il risultato è ormai sotto i nostri occhi, avverte Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt ed esperta del mondo scolastico. Nata in circoli accademici ristretti, «lautamente foraggiati per contrastare il mainstream economico keynesiano», la teoria economica neoliberista finisce con il diventare in pochi anni, fra gli anni ‘70 e ‘80, la visione dominante dell’economia, grazie agli economisti della Scuola di Chicago come Milton Friedman e Friederich von Heyek. Applicazioni immediate: il Cile di Augusto Pinochet, la Gran Bretagna della “Strega del Nord”, gli Usa di Reagan. Il neoliberismo? «Fondato su una visione assiomatica (ovvero indimostrabile) del mondo». Un mondo economico “ideale”, come «una realtà perfettamente ordinata e regolata da leggi “naturali”, al di fuori di ogni intervento regolatore dello Stato». Homo homini lupus: estremizzando la teoria della “mano invisibile” di Adam Smith, il neoliberismo «postula la spontanea diffusione della ricchezza e del benessere come conseguenza “naturale” dell’assenza di ogni vincolo economico, giuridico, ambientale, politico e sociale all’egoistico perseguimento del profitto».
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Magaldi: Galloni e Rinaldi nei ministeri, contro la tecnocrazia
Tecnici per la democrazia e contro la tecnocrazia: come il leghista Armando Siri, appena nominato sottosegretario alle infrastrutture. Ma nella squadra ci sono anche gli economisti Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi, insieme a Claudio Quaranta e Aldo Storti. Nomi caldamente raccomandati da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in piena trasparenza: ci stiamo adoperando, spiega, per inserire personaggi-chiave nella nuova macchina governativa. Obiettivo: «Supportare il governo Conte e i suoi ministri, lungo l’esaltante ma insidiosissima traiettoria che li attende». Secondo Magaldi, servono esperti e tecnici di grande spessore anche nei gangli più decisivi e meno in vista, costituiti dalle super-burocrazie ministeriali: capi di gabinetto, dirigenti generali, funzionari superiori. «Hanno il compito fondamentale di supportare i membri dell’esecutivo giallo-verde nel conseguimento dei loro importanti obiettivi». Per far funzionare adeguatamente le macchine ministeriali del nuovo governo – economia e sviluppo economico, lavoro e politiche sociali, infrastrutture e trasporti, affari europei – secondo Magaldi «occorrono degli esperti-tecnici ispirati da un ideale di democrazia sostanziale, da una ferrea lealtà istituzionale verso la Costituzione repubblicana e da un’attenzione sollecita verso l’interesse del popolo sovrano».Nomi autorevoli, che sempre «sarebbero utilissimi al back-office ministeriale del governo Conte», come anticipato dallo stesso Magaldi a “Colors Radio”, nel formulare la prima “cinquina”. Il primo della lista è ovviamente Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: economista post-keynesiano allievo di Federico Caffè, Galloni è stato un altissimo dirigente del back-office ministeriale italiano, già impegnato a contrastare l’impianto del Trattato di Maastricht, denunciato come sfavorevole all’Italia. Poi c’è Antonio Maria Rinaldi, altro docente universitario, allievo di Paolo Savona e creatore del newsmagazine “Scenari Economici”: già consulente e collaboratore di diverse banche private e della Consob, Rinaldi è stato anche direttore generale della Sofid, società “capogruppo finanziaria” dell’Eni. Altro nome: Claudio Quaranta, già importante funzionario in aziende del gruppo Iri, l’Istituto per la Ricostruzione Industriale malamente smantellato a suo tempo da Romano Prodi. Quaranta è un esperto di risorse umane e organizzazione gestionale; oggi è l’amministratore unico di Ics Group e coordinatore del progetto politico “Unione di Scopo”.Armando Siri? «Particolarmente adatto a un incarico viceministeriale, in questa fase», l’ha definito Magaldi, a poche dalla nomina. Per il futuro, il presidente del Movimento Roosevelt vede in Siri «un eccellente ministro dell’economia e finanze, o un titolare di altri dicasteri importanti». Neo-senatore eletto nelle fila della Lega, è l’ispiratore e curatore della «originalissima e benemerita» Scuola Politica del Carroccio. Magaldi considera Siri «tra i più importanti artefici della svolta della Lega in senso nazionale e della trasformazione del suo paradigma politico-economico in senso post-keynesiano, con inclusa proposta della Flat Tax: elementi “social”, quindi, positivamente contaminati con suggestioni autenticamente “liberali” di riduzione drastica delle aliquote fiscali». L’ultimo nome della “prima cinquina” proposta da Magaldi è quello di Aldo Storti, socio fondatore del Movimento Roosevelt nel 2015: ingegnere versato anche in studi umanistici, Storti è definito «intellettuale raffinato e studioso di tradizioni sapienziali occidentali e orientali». E’ il responsabile della regia tecnica della “Scuola politica della Lega”, nonché consulente in scienza della comunicazione e analisi socio-politiche. «La prospettiva pedagogica e culturale di area rooseveltiana – chiosa Magaldi – intende promuovere un nuovo ethos politico-civile». Tradotto: anziché tramare nell’ombra per le poltrone, è il caso di podurre esternazioni trasparenti, per rendere pubblico ciò che solitamente viene detto solo in privato.Tecnici per la democrazia e contro la tecnocrazia: come il leghista Armando Siri, appena nominato sottosegretario alle infrastrutture. Ma nella squadra dei virtuosi ci starebbero anche gli economisti Nino Galloni e Antonio Maria Rinaldi, insieme a Claudio Quaranta e Aldo Storti. Nomi caldamente raccomandati da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, in piena trasparenza: ci stiamo adoperando, spiega, per inserire personaggi-chiave nella nuova macchina governativa. Obiettivo: «Supportare il governo Conte e i suoi ministri, lungo l’esaltante ma insidiosissima traiettoria che li attende». Secondo Magaldi, servono esperti e tecnici di grande spessore anche nei gangli più decisivi e meno in vista, costituiti dalle super-burocrazie ministeriali: capi di gabinetto, dirigenti generali, funzionari superiori. «Hanno il compito fondamentale di supportare i membri dell’esecutivo giallo-verde nel conseguimento dei loro importanti obiettivi». Per far funzionare adeguatamente le macchine ministeriali del nuovo governo – economia e sviluppo economico, lavoro e politiche sociali, infrastrutture e trasporti, affari europei – secondo Magaldi «occorrono degli esperti-tecnici ispirati da un ideale di democrazia sostanziale, da una ferrea lealtà istituzionale verso la Costituzione repubblicana e da un’attenzione sollecita verso l’interesse del popolo sovrano».
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Aiutarli a casa loro, per la prima volta nella storia dell’Ue
Hanno trasformato l’Italia nella frontiera-sud dell’Unione Europea, ma si sono dimenticati di dircelo. Parola d’ordine: arrangiatevi. «Per questo apprezzo la fermezza di Salvini», dice Gioele Magaldi a “Colors Radio”: la decisione di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius della Ong “Sos Mediterranée” «rompe l’insopportabile ipocrisia dei finti progressisti di Roma e di Bruxelles, che sono anche finti europeisti e in realtà distruttori dell’idea stessa di unità europea». Non a caso, gli stessi euro-buonisti sono in imbarazzo di fronte alla prima uscita internazionale di Giuseppe Conte, brillantemente impegnato al G7 canadese a giocare di sponda – sulla Russia – con un Trump che finalmente si sta dimostrando tutt’altra cosa, rispetto all’evanescente Obama. «Il presidente americano sa benissimo di esser stato appoggiato in modo determinante dai circuiti massonici progressisti», ricorda Magaldi: per questo non è strano che riapra verso Mosca e si schieri con l’Italia che chiede la revoca delle sanzioni, mentre nel frattempo – con la stretta sui dazi – avverte la Germania che il tempo dell’ordoliberismo mercantilista è finito, insieme a quello del rigore per l’Europa. Tutto va rimesso in discussione: anche le frontiere? Senz’altro, secondo il Movimento Roosevelt, che – con Paolo Mosca – propone un’agenzia Ue che finalmente si decida a gestire i migranti in modo civile e responsabile. Come? Filtrandoli alla partenza e trovando vere soluzioni, per la loro vita, finanziate dall’Ue.Premessa: per affrontare in modo dignitoso i drammi del nostro tempo, dice Magaldi, è indispensabile sgombrare il campo dall’equivoco umanitario della cultura politica del centrosinistra, che “santifica” il migrante africano dopo aver umiliato il pensionato italiano con la legge Fornero, esasperando gli animi di un paese storicamente tollerante, costretto a subire un’immigrazione incontrollata (a volte anche criminale) che alimenta un business opaco. L’accoglienza diventa un dogma, senza la minima sincerità: non una parola sulle vere cause dell’esodo, cioè il neoliberismo imposto a mano armata a intere regioni del pianeta, devastate anche dalle guerre neo-coloniali europee come quella condotta in Libia. E’ comodo ergersi a paladini delle famiglie africane ridotte alla disperazione, sottolinea Magaldi, per un centrosinistra moralista che ha demolito il welfare e precipitato l’Italia nella disoccupazione di massa, pur di obbedire servilmente ai diktat dei grandi gruppi (privati) che dirigono l’Unione Europea come fosse “cosa loro”. Bene ha fatto, Salvini, a inviare a Bruxelles un messaggio chiarissimo: scordatevi che l’Italia continui da sola a spendere miliardi per il controllo del Mediterrano, per poi subire tagli continui a un bilancio che deve necessariamente essere espanso, per finanziare gli investimenti strategici di cui il paese ha assoluto bisogno.Se c’è qualcosa di scandaloso, infatti, è proprio il menefreghismo dell’Ue di fronte alla marea umana in fuga dalla guerra e dalla fame. Sottolinea Gianfranco Carpeoro, altro esponente del Movimento Roosevelt: «E’ indecente che la morale corrente ormai distingua chi muore di guerra da chi muore di fame, come se il migrante economico avesse meno diritti e appartenesse a un altro tipo di umanità. Ed è altrettanto inaccettabile l’idea che l’emigrazione sia fisiologica, alla stregua di un fenomeno naturale: c’è qualcuno, su quei barconi, che – se potesse – non se ne starebbe volentieri a casa sua? Perché non ci chiediamo mai che colpa abbiamo noi, nel loro esodo? Siamo stati noi ipocriti a razziare i paesi da cui provengono i migranti. Troppo comodo, dopo, limitarsi a dire che bisogna accoglierli». Ragionamenti che Paolo Mosca traduce in precisi punti programmatici. Primo: radunare tutti i migranti sbarcati o raccolti in mare, e identificarli. Poi: rilasciare a tutti un documento provvisorio di identità, non valevole per l’accoglienza in uno Stato europeo. Terza mossa: rilasciare un documento definitivo solo ai migranti in possesso dei requisiti per l’accoglienza, da smistare in Europa sulla base di quote prestabilite. E i migranti senza requisiti? Vanno ricollocati in paesi non europei, secondo progetti industriali condivisi (coi paesi che ospitano i centri, o anche con altri disponibili ad accoglierli).Visione strategica: la creazione, finalmente, di una agenzia europea per l’immigrazione, capace di filtrare l’esodo e smistare forza lavoro in modo intelligente, su aree prestabilite. «L’obiettivo oltre frontiera – dice Mosca – deve essere il medesimo entro frontiera: garantire a tutti casa e lavoro. E ciò è possibile solo sviluppando risorse in modo coordinato secondo strategie innovative e sinergie finora non praticate». Per varare l’agenzia basterebbero sei mesi. E il piano, di concerto con le Ong, potrebbe entrare in funzione nel giro di due anni. Con quali soldi? Tutti i fondi Ue oggi destinati alla gestione dell’immigrazione, inclusi i fondi dei singoli paesi. E poi: una quota specifica dei fondi strutturali Ue per lo sviluppo economico. Vogliamo cominciare a parlarne? «L’errore atavico dei nostri governi – affermano Mosca e Carpeoro – è stato quello di non porre in discussione il problema della frontiera, nel caso specifico dell’Italia di accettare di essere frontiera. La nuova logica può essere quella di spostare la frontiera stipulando accordi con Stati, ad esempio nordafricani, che accettino di avere sul loro territorio, debitamente supportati economicamente a livello europeo, dei centri di raccolta per il controllo dell’immigrazione gestiti direttamente da una istituzione europea».Hanno trasformato l’Italia nella frontiera-sud dell’Unione Europea, ma si sono dimenticati di dircelo. Parola d’ordine: arrangiatevi. «Per questo apprezzo la fermezza di Salvini», dice Gioele Magaldi a “Colors Radio”: la decisione di chiudere i porti italiani alla nave Aquarius della Ong “Sos Mediterranée” «rompe l’insopportabile ipocrisia dei finti progressisti di Roma e di Bruxelles, che sono anche finti europeisti e in realtà distruttori dell’idea stessa di unità europea». Non a caso, gli stessi euro-buonisti sono in imbarazzo di fronte alla prima uscita internazionale di Giuseppe Conte, brillantemente impegnato al G7 canadese a giocare di sponda – sulla Russia – con un Trump che finalmente si sta dimostrando tutt’altra cosa, rispetto all’evanescente Obama. «Il presidente americano sa benissimo di esser stato appoggiato in modo determinante dai circuiti massonici progressisti», ricorda Magaldi: per questo non è strano che riapra verso Mosca e si schieri con l’Italia che chiede la revoca delle sanzioni, mentre nel frattempo – con la stretta sui dazi – avverte la Germania che il tempo dell’ordoliberismo mercantilista è finito, insieme a quello del rigore per l’Europa. Tutto va rimesso in discussione: anche le frontiere? Senz’altro, secondo il Movimento Roosevelt, che – con Paolo Mosca – propone un’agenzia Ue che finalmente si decida a gestire i migranti in modo civile e responsabile. Come? Filtrandoli alla partenza e trovando vere soluzioni, per la loro vita, finanziate dall’Ue.
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Non abbiate paura: l’umanità all’epoca di Bob Kennedy
Esattamente 50 anni fa, nella notte tra il 5 e il 6 giugno del 1968, veniva ammazzato Robert Kennedy. Con lui si spegneva una stagione politica americana fatta di lotta per i diritti, per un mondo più inclusivo ed egualitario. Il suo omicidio arrivava dopo quello del fratello John (1963), quello di Malcolm X (1965) e quello di Martin Luther King (1968). La sua mancata corsa alla presidenza ha mutato il destino di un’America che oggi sarebbe molto diversa da com’è. E possiamo tranquillamente dire che sarebbe migliore. Per chi volesse ripercorrerne la storia, “Netflix” ha pubblicato una serie in 4 episodi. “Bob Kennedy for president”, il passato che è futuro. In quest’epoca di democrazie claudicanti è bello vedere questa serie: si racconta un’epoca storica in cui le democrazie occidentali erano nel loro fiore, dove si credeva nel potere dei diritti, dove i diritti avevano un appeal, dove si lavorava per unire, migliorare, superare vecchi schemi, verso un futuro in cui l’umanità era in grado di prendersi per mano per crescere.Fu un’epoca soppressa nel sangue, ma che portò con sé un’onda lunga di sogni e di battaglie. Fino a qualche anno fa tutto ciò che era razzista, violento, guerrafondaio veniva visto anche come vecchio, destinato al superamento e alla scomparsa. Sembrava naturale ipotizzare un progresso tecnologico che andasse a braccetto con un progresso civile, culturale, economico e sociale. Negli ultimi anni tutti i fantasmi del passato hanno ripreso concretezza. Il razzismo è tornato in voga, la guerra sembra una necessità, i diritti sembrano un ingombro per un neoliberismo che come una macchina impazzita divora tutto ciò che incontra. Eppure ci sono segnali. Sarà che Urano è entrato in Toro, ma credo che l’epoca di Robert Kennedy stia tornando.Chi era Robert Kennedy? Che sogno portava avanti? Come è stato infranto questo sogno e da chi? Tutto viene raccontato attraverso materiali d’epoca in un viaggio in un passato che è futuro. I semi possono attendere in un vaso per anni, ma quando il giardiniere si ricorda di loro, li può prendere, seppellire e in un attimo li vedrà germogliare. Il progresso è un fatto di memoria, la memoria innanzitutto della sua possibilità.(Paolo Mosca, riflessione sulla memoria di Bob Kennedy proposta in “Ricordiamo Bob Kennedy a 50 anni dall’assassinio”, sul blog del Movimento Roosevelt il 6 giugno 2018, e nel post “Bob Kennedy for president, il passato che è futuro”, sul blog “Mosquicide”).Esattamente 50 anni fa, nella notte tra il 5 e il 6 giugno del 1968, veniva ammazzato Robert Kennedy. Con lui si spegneva una stagione politica americana fatta di lotta per i diritti, per un mondo più inclusivo ed egualitario. Il suo omicidio arrivava dopo quello del fratello John (1963), quello di Malcolm X (1965) e quello di Martin Luther King (1968). La sua mancata corsa alla presidenza ha mutato il destino di un’America che oggi sarebbe molto diversa da com’è. E possiamo tranquillamente dire che sarebbe migliore. Per chi volesse ripercorrerne la storia, “Netflix” ha pubblicato una serie in 4 episodi. “Bob Kennedy for president”, il passato che è futuro. In quest’epoca di democrazie claudicanti è bello vedere questa serie: si racconta un’epoca storica in cui le democrazie occidentali erano nel loro fiore, dove si credeva nel potere dei diritti, dove i diritti avevano un appeal, dove si lavorava per unire, migliorare, superare vecchi schemi, verso un futuro in cui l’umanità era in grado di prendersi per mano per crescere.
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Una vera squadra per l’Italia, o vince la Banca chiamata Ue
«Abbiamo mai votato, noi, sull’Unione Europea? Abbiamo votato tutti quei maledetti regolamenti che hanno fatto? Questa è la cessione di sovranità che non si deve fare». Gianfranco Carpeoro taglia corto: l’Unione Europea non esiste. Al suo posto c’è una struttura privatistica e tecnocratica, mai legittimata da nessuna decisione democratica. Anche per questo è inaccettabile che un presidente della Repubblica ponga il veto su un ministro, solo perché critico con trattati europei non sottoposti all’approvazione popolare. Saggista, massone ed esponente del Movimento Roosevelt, ha chiesto a Sergio Mattarella di dimettersi, dopo il veto opposto a Paolo Savona. Poi è nato il governo Conte, con Savona spostato alle politiche comunitarie. Un esecutivo di compromesso, che scommette sull’inedita alleanza tra Salvini e Di Maio. «Sulla carta, è un governo molto migliore di quelli che l’hanno preceduto, dato lo spessore dei suoi componenti e l’impostazione culturale keynesiana di alcuni di essi». Reggerà? «Temo di no», ammette Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Ora l’Ue sta facendo la prevedibile manfrina di chi finge di legittimare il neonato esecutivo. Ma non illudiamoci: i poteri di Bruxelles si stanno preparando a uno scontro durissimo, al quale il governo Conte potrebbe sopravvivere solo in un modo, dimostrandosi una vera squadra unita e affiatata».La premessa è nei fatti: il “contratto” di governo non può essere realizzato senza rompere le rigidità di bilancio imposte dall’oligarchia Ue dominata dalla Germania. Possibile che due personaggi come Salvini e Di Maio possano sopportare un urto così forte, contro i poteri egemoni in Europa? Carpeoro teme che, in caso di difficoltà, preferiscano imboccare l’uscita di sicurezza: «Entro i famosi “cento giorni” a partire dall’insediamento, Di Maio potrebbe scegliere le elezioni anticipate per approfittare dell’onda lunga che premia i 5 Stelle». E a maggior ragione potrebbe farlo Salvini, dato in fortissima ascesa, specie se venisse ostacolato da quella che Carpeoro considera una pericolosa opposizione interna, incarnata da Bossi e Maroni. Tutto è in bilico, niente è escluso: «Questo governo potrebbe sicuramente fare alcune cose obiettivamente positive, a una condizione: che scopra di essere un gruppo coeso, una squadra compatta». C’è il rischio che, per mettere in crisi il nuovo governo, la “sovragestione” metta in atto una strategia della tensione ricorrendo ad attentati terroristici? «E’ possibile», dice Carpeoro, che però sottolinea come l’Italia sia stata letteralmente messa in sicurezza, sotto questo profilo: «Negli ultimi dieci anni i nostri servizi segreti e i loro referenti politici hanno svolto un lavoro eccezionale: è un onore, disporre di apparati di intelligence che hanno sicuramente salvato decine di vite umane, proprio mentre il terrorismo firmato Isis mieteva vittime nel resto d’Europa. Speriamo che si continui così».Col termine “sovragestione”, Carpeoro – autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” (Revoluzione, 2016) – indica un nucleo di potere-ombra, supermassonico e reazionario, capace di utilizzare settori dei servizi segreti per realizzare attentati “false flag” mirati a destabilizzare i governi e premere per leggi speciali come quelle adottate negli Usa e poi in Francia.«Se parlo spesso di sovragestione – spiega – è proprio perché la sovragestione può svilupparsi, principalmente, quando la gente non vota». Il “sovranismo” di oggi contesta l’Ue e spesso si appiglia alla Carta costituzionale. Che però non dev’essere un totem, insiste Carpeoro: «La Costituzione è sbagliata laddove non obbliga a consultare i cittadini su qualunque cosa: non mi deve imporre una soluzione politiva, mi deve garantire che io possa scegliere». Ovvero: «Non mi deve dettare principi su come devo vivere: mi deve garantire la possibilità di scegliere come vivere, stabilendo i limiti della convivenza civile». Noi invece «abbiamo leggi che ci dicono cosa dobbiamo fare o non fare, ma nessuna legge che ci metta in condizioni di scegliere». E aggiunge: «Il grosso buco della Costituzione è che si può rinunciare alla sovranità, ma lo devi scegliere: devi fare una scelta consapevole, di cui sei convinto e sulla quale poi non hai più esitazioni».L’Europa “matrigna”? Certo, per un motivo semplicissimo: la nascita dell’Unione non è mai stata deliberata sulla base di una precisa volontà popolare. «Possiamo anche stabilire che, come europei, votiamo tutti insieme», dice Carpeoro, «ma non puoi istituire una regola in base alla quale si può non votare». E questo, beninteso, «non è nemmeno un problema della Costituzione italiana, ma dipende da ciò che è stato fatto senza volerla fare realmente, l’Unione Europea». La riprova? «Se la vuoi davvero, l’Unione Europea, allora li fai votare, i popoli». Accadde, in parte, anche nel corso del convulso Risorgimento italiano: «Persino le regioni emiliane, nell’800, votarono per associarsi all’Unità d’Italia. Noi invece dal Duemila in poi non abbiamo votato niente». E questo è un problema profondo, sottolinea Carpeoro: «E’ la prova che non la si è voluta fare, l’Unione Europea. Si è voluto fare il Trust Europeo, dove votano solo i consigli di amministrazione. Se si fosse veramente voluto fare l’Unione Europea (come io vorrei), allora sì che i popoli avrebbero votato: tutti». Non è successo. Ed è quindi un potere non-democratico quello che ora attenderà al varco il governo Conte, cercando di farlo cadere alla prima occasione.«Abbiamo mai votato, noi, sull’Unione Europea? Abbiamo votato tutti quei maledetti regolamenti che hanno fatto? Questa è la cessione di sovranità che non si deve fare». Gianfranco Carpeoro taglia corto: l’Unione Europea non esiste. Al suo posto c’è una struttura privatistica e tecnocratica, mai legittimata da nessuna decisione democratica. Anche per questo è inaccettabile che un presidente della Repubblica ponga il veto su un ministro, solo perché critico con trattati europei non sottoposti all’approvazione popolare. Saggista, massone ed esponente del Movimento Roosevelt, ha chiesto a Sergio Mattarella di dimettersi, dopo il veto opposto a Paolo Savona. Poi è nato il governo Conte, con Savona spostato alle politiche comunitarie. Un esecutivo di compromesso, che scommette sull’inedita alleanza tra Salvini e Di Maio. «Sulla carta, è un governo molto migliore di quelli che l’hanno preceduto, dato lo spessore dei suoi componenti e l’impostazione culturale keynesiana di alcuni di essi». Reggerà? «Temo di no», ammette Carpeoro, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”: «Ora l’Ue sta facendo la prevedibile manfrina di chi finge di legittimare il neonato esecutivo. Ma non illudiamoci: i poteri di Bruxelles si stanno preparando a uno scontro durissimo, al quale il governo Conte potrebbe sopravvivere solo in un modo, dimostrandosi una vera squadra unita e affiatata».
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Scanu: sovranità svenduta illegalmente all’oligarchia Ue-Bce
Dalle parole di Mattarella, protagonista dello strano veto su Paolo Savona all’economia, fermato sulla soglia di quel ministero “in nome dei mercati”, sembrerebbe che i trattati europei abbiano ridotto a zero la nostra sovranità. Ma è davvero così? Aderendo ai trattati europei – si domanda Patrizia Scanu – abbiamo ridotto a tal punto la nostra sovranità, quantomeno cedendone una parte? E soprattutto: «Se abbiamo ceduto sovranità, era possibile farlo sulla base della nostra Costituzione?». Ovvero: «La classe politica che ha firmato quei trattati era legittimata dalla nostra Costituzione ad una cessione del genere? E se così non fosse, quali sarebbero le conseguenze e le azioni future da compiere?». In prospettiva: «Come si conciliano l’esercizio della sovranità e l’esigenza di costruire quell’Europa dei popoli che è il sogno mai realizzato della mia generazione?», si chiede Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt. «Che nozione di sovranità è adatta ad affrontare le sfide della globalizzazione? In concreto: come ci liberiamo adesso di una menzogna criminale che ci è stata raccontata per decenni?». Il gesto di Mattarella, aggiunge la Scanu, «appare rivelativo di un contenuto non espresso chiaramente per decenni, ma di importanza capitale per tutti noi: si tratta della compatibilità fra la nostra Costituzione (così invisa, per ovvie ragioni, alle élite politico-finanziarie che vorrebbero ridurci a periferia dell’Impero) e i trattati europei».Sovranità? Un concetto complesso, «lungamente dibattuto nella filosofia del diritto, in parallelo al percorso storico che porta alla formazione degli Stati moderni». Intesa come sovranità dello Stato – argomenta Patrizia Scanu – esprime l’idea che lo Stato, inteso come persona giuridica, abbia esclusivo potere nell’ambito del proprio territorio. Uno Stato indipendente da altri poteri esterni, che esercita una supremazia nei confronti dei suoi abitanti. Il filosofo Thomas Hobbes, che pure aveva una visione assolutista del potere statale, lo vedeva comunque originarsi da un “contratto sociale” stretto fra gli uomini: per contenere la violenza insita nella loro natura, gli individui cedono la sovranità allo Stato, sottomettendosi totalmente ad esso. «Nella versione più attuale, che si avvale delle riflessioni successive di Grozio, Althusius, Locke e soprattutto Rousseau, e delle discussioni dei coloni della Nuova Inghilterra fra ‘600 e ‘700 – spiega la professoressa Scanu – la sovranità non solo si origina, ma resta nel popolo, poiché gli esseri umani ne sono titolari a prescindere dall’ordinamento giuridico dello Stato». Si parla perciò di “sovranità popolare”, nel senso che i cittadini – individui liberi e sovrani, portatori di diritti – concordano di delegare allo Stato la sovranità, per far funzionare la società in modo ordinato, restandone però unici titolari.I governanti – almeno nelle democrazie indirette – sono rappresentanti del popolo, scelti ed espressi dalla sovranità popolare e agiscono in nome e per conto del popolo, che li può revocare e sostituire. Come recita l’articolo 1 della Costituzione Italiana, “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”, ovvero la esercita per lo più nelle modalità della democrazia indiretta e rappresentativa e nella cornice dell’ordinamento giuridico dello Stato. La Costituzione, sottolinea Patrizia Scanu, prevede anche una limitazione alla sovranità. All’articolo 11, dice: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo”. La Costituzione dice, insomma, che la sovranità è e resta del popolo, ma che lo Stato può accettare particolari limitazioni alla sovranità all’unico scopo di assicurare la pace e la giustizia a livello internazionale (sentite evidentemente come un bene superiore) e in condizioni di parità con altre nazioni.Ma limitare – a certe condizioni – la propria sovranità vuol dire cederla? No: limitare e cedere non sono ha stessa cosa, come ha rilevato il Gip del tribunale di Cassino, Massimo Lo Mastro, in un decreto emesso in risposta ad una opposizione all’archiviazione di una denuncia dell’avvocato Marco Mori contro Laura Boldrini. «Proprio perché senza sovranità lo Stato non esisterebbe, i limiti della Costituzione in materia di compressione del potere d’imperio dello Stato sono rigorosi». Proprio per questo, scrive Lo Mastro, il legislatore si è occupato di sanzionare penalmente la lesione del potere d’imperio dello Stato: si parla infatti di “delitti contro la personalità giuridica internazionale dello Stato” ove ne risultino integrati gli estremi soggettivi e oggettivi. Sulla base dell’articolo 11 della Costituzione, aggiunge il magistrato, la sovranità non può dunque essere ceduta, ma solo limitata. E anche le mere limitazioni hanno ulteriori “limiti”: «Fermo il divieto assoluto di cessioni, la limitazione della sovranità può avvenire unicamente in condizioni di reciprocità ed al fine esclusivo (ogni altra soluzione è stata espressamente bocciata in seno all’Assemblea Costituente) di promuovere un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni».Limitare, precisa il magistrato, significa «circoscrivere un potere entro certi limiti», ovvero «omettere di esercitare il proprio potere d’imperio (che pure deve rimanere intatto) in una determinata materia, oppure di esercitarlo all’interno di certi limiti generalmente riconosciuti dal diritto internazionale ai fini di pace e cooperazione fra le nazioni». Tutto questo, purché il contenimento del proprio potere (che “appartiene al popolo”) sia in ogni caso rispettoso dei limiti costituzionali. «La cessione di sovranità – chiosa Lo Mastro – comporta invece la consegna ad un terzo di un potere d’imperio proprio di uno Stato che così per definizione perde anche la propria indipendenza». Questo vuol dire che, se cessione di sovranità c’è stata – e c’è stata sicuramente, scrive Patrizia Scanu, visto che se per esempio la Bce è indipendente ed ha sovranità monetaria – significa che noi vi abbiamo rinunciato e abbiamo perso l’indipendenza. Una cessione dunque «non legittima»: chi l’ha permessa «ha commesso un reato». Alla lettera: «Nessun trattato europeo può avere più forza della nostra Costituzione. Un presidente della Repubblica non può subordinare la sovranità popolare ai vincoli di trattati internazionali; semmai deve fare il contrario», scrive la Scanu, visto che «ha giurato di difendere la Costituzione», non i trattati europei.Restando al popolo la sovranità, quei trattati «possono pacificamente essere ridiscussi o rigettati, purché nelle forme previste dalla Costituzione, ovvero se questa è la volontà del popolo, espressa con il voto». Questo, osserva Patrizia Scanu, «vuol dire anche che la via d’uscita da questa situazione intollerabile consiste nel riprendersi la sovranità così malamente compressa e calpestata». In altre parole: «Rivendicare sovranità – prima di tutto, sovranità monetaria – non vuol dire né tornare agli Stati nazionali del periodo pre-bellico né uscire dall’Unione Europea né necessariamente uscire dall’euro. Vuol dire al contrario portare a compimento quel processo di federazione europea che farebbe dell’Europa un contrappeso adeguato al dominio delle grandi potenze, Usa e Cina soprattutto (non certo spettatori disinteressati)». Significa «riprendersi la facoltà di emettere moneta nazionale», magari sotto forma di Stato-note o di crediti fiscali, come spiega da tempo l’economista Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt: una misura percorribile anche senza uscire dall’euro. Vuol dire «riportare sotto controllo dei cittadini i poteri extranazionali, non eletti e cooptativi che ci hanno imposto questo ordine neoliberista», in primis la Commissione Europea e la Bce per «riportare in primo piano il benessere e i diritti dei cittadini, invece delle esigenze della finanza internazionale».Insiste Patrizia Scanu: «Non è pensabile una sovranità europea che si costituisca per cessione della sovranità nazionale, come sommatoria di non-Stati, perché senza sovranità popolare non c’è Stato democratico, e se i cittadini di un paese non possono esprimere la loro volontà politica, non siamo più in democrazia». Lo Stato moderno? «E’ entrato in crisi con la globalizzazione, ma non abbiamo ancora inventato una forma politica diversa». I trattati europei? «Sono contratti giuridici fra Stati nazionali, che sono i soggetti contraenti, ciascuno pienamente titolare della propria sovranità: rinunciare ad essa è un suicidio». Impossibile fare scempio in questo modo del vecchio continente: «L’Europa è troppo ricca di storia e di differenze nazionali perché esse possano essere ignorate, ma è anche effettivamente portatrice di una cultura condivisa e di una coscienza comune. Lo scenario attuale è desolante, perché disattende i principi istitutivi dell’Unione Europea». Lo ricorda lo stesso Paolo Savona nel 2015: in teoria, l’Ue aveva formalmente promesso «lo sviluppo sostenibile dell’Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, su un’economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale», senza trascurare «la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri».La crisi della Grecia – osserva Savona – ha mostrato quanto la realtà sia lontana dalle enunciazioni di principio: «Invece di uscire dal paradosso di un non-Stato europeo formato da non-Stati nazionali si intende approfondire questa strana configurazione istituzionale, perché appare vantaggiosa a pochi paesi capeggiati dalla Germania». Per Patrizia Scanu, «stiamo assistendo a una feroce competizione economica fra gli Stati dell’Unione, a cominciare dal mercantilismo tedesco, a uno spaventoso trasferimento di ricchezza dai poveri ai ricchi e dall’economia reale ai mercati finanziari». E abbiamo governi che, uno dopo l’altro, «hanno tradito lettera e sostanza della Costituzione, cedendo progressivamente quote di sovranità per loro indisponibili, rendendoci subalterni a poteri oligarchici, estranei e autoreferenziali che tutto hanno a cuore, fuorché il nostro interesse di cittadini». Prima risposta: «Prendere consapevolezza del colossale inganno perpetrato a nostro danno, con l’illusione del sogno europeo». E quindi, «ridiscutere radicalmente i trattati europei, per rifondare l’Europa su basi autenticamente democratiche». Può sembrare un paradosso, conclude Patrizia Scani, ma «chi critica l’euro e i trattati europei ha l’Europa più a cuore di chi si straccia le vesti di fronte ad ogni ipotesi di cambiamento, come stanno facendo in questi giorni i dirigenti del Pd ormai in pieno stato confusionale, e intanto svende senza contraccambio (almeno per noi) la nostra sovranità nazionale, la nostra economia e il nostro futuro».Dalle parole di Mattarella, protagonista dello strano veto su Paolo Savona all’economia, fermato sulla soglia di quel ministero “in nome dei mercati”, sembrerebbe che i trattati europei abbiano ridotto a zero la nostra sovranità. Ma è davvero così? Aderendo ai trattati europei – si domanda Patrizia Scanu – abbiamo ridotto a tal punto la nostra sovranità, quantomeno cedendone una parte? E soprattutto: «Se abbiamo ceduto sovranità, era possibile farlo sulla base della nostra Costituzione?». Ovvero: «La classe politica che ha firmato quei trattati era legittimata dalla nostra Costituzione ad una cessione del genere? E se così non fosse, quali sarebbero le conseguenze e le azioni future da compiere?». In prospettiva: «Come si conciliano l’esercizio della sovranità e l’esigenza di costruire quell’Europa dei popoli che è il sogno mai realizzato della mia generazione?», si chiede Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt. «Che nozione di sovranità è adatta ad affrontare le sfide della globalizzazione? In concreto: come ci liberiamo adesso di una menzogna criminale che ci è stata raccontata per decenni?». Il gesto di Mattarella, aggiunge la Scanu, «appare rivelativo di un contenuto non espresso chiaramente per decenni, ma di importanza capitale per tutti noi: si tratta della compatibilità fra la nostra Costituzione (così invisa, per ovvie ragioni, alle élite politico-finanziarie che vorrebbero ridurci a periferia dell’Impero) e i trattati europei».
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Massoni, manovre, bugie e omissioni sull’Italia gialloverde
Un presidente della Repubblica che ammette a reti unificate che il paese è ostaggio dei mercati finanziari privati. L’oligarchia euro-tedesca che minaccia apertamente la fine dell’Italia. E l’uomo di Trump che si precipita a Roma per ostacolare i terminali di Berlino e, infine, premere in senso opposto sull’establishment conservatore. Obiettivo: far nascere un governo ibrido e sotto ipoteca, con promesse impossibili da mantenere senza prima scardinare il paradigma teologico europeista del rigore suicida, imposto a mano armata dalla massoneria reazionaria che ha in mano la governance della Germania, della Bce e dell’Unione Europea. L’analista geopolitico Federico Dezzani sottolinea il ruolo di primo piano svolto dall’asse angloamericano nella crisi italiana, evidenziando le mosse di Steve Bannon e dell’ambasciatore statunitense Lewis Eisenberg, che ha incontrato Salvini e Di Maio a fine marzo. Quindi i britannici: «Lo stesso Movimento 5 Stelle è un prodotto più inglese che americano, come dimostrano la lunga carriera di Gianroberto Casaleggio presso il colosso dell’informatica inglese Logica Plc e il doppio passaporto, italiano e britannico, del figlio Davide». Sempre secondo Dezzani, Londra ha giocato un ruolo decisivo nella nascita del governo giallo-verde «attraverso il “protestante” Jorge Mario Bergoglio che, a sua volta, ha schierato l’ancora influente Conferenze Episcopale Italiana».
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Petizione: Mattarella si dimetta, non “osi obbedir tacendo”
«Riteniamo che la sua figura sia ampiamente delegittimata rispetto alla carica». Così Gianfranco Carpeoro si rivolge (via Facebook) al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiedendogli di dimettersi dopo aver bloccato il varo del governo “gialloverde” presieduto da Giuseppe Conte, ponendo il veto su Paolo Savona per il ministero dell’economia. «Non voglio entrare nel dibattito sulla legittimità di tale scelta», premette Carpeoro, ma aggiunge: «Non ho dubbi che, sul piano etico e sul piano della sensibilità democratica, ciò avrebbe già dovuto suggerire a un presidente di alta preparazione costituzionale la doverosa presentazione delle sue dimissioni». E spiega, rivolgendosi al capo dello Stato: «Se entrasse in conflitto anche con la maggioranza del prossimo Parlamento cosa farebbe? Se un governo prossimo futuro entrasse in serio confronto con le burocrazia europea cosa avverrebbe? Un vero e proprio golpe?». Per questo, Carpeoro – al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato di lungo corso – chiede apertamente ai lettori di aderire alla raccolta di firme lanciata su “Change.org” da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, di cui lo stesso Carpeoro è un dirigente. «L’unica speranza degli italiani – dice – è chiedere con un autentico plebiscito le dimissioni del presidente della Repubblica».Sul più diffuso webmagazine nazionale, “Affari Italiani”, proprio Magaldi esprime un severo giudizio politico su Mattarella, definendolo «paramassone conservatore dalla cifra servizievole e subalterna» rispetto ai poteri super-massonici neo-aristocratici che dominano la governance europea. Tuttavia, il “niet” del Quirinale su Savona ha l’aria di essere un autogoal: «I poteri “marci” che si sono serviti del servizievole Mattarella – dichiara Magaldi – hanno compiuto un clamoroso errore», perché il veto su Savona, che il presidente del Movimento Roosevelt definisce un gesto «anticostituzionale e antidemocratico», ha mostrato a tutti che il “Re” è nudo e senza veli: «Il Re (collettivo) neo-aristocratico, post-democratico, anticostituzionale e “controiniziatico” è finalmente denudato e smascherato». Scacco matto alla democrazia? «No. Era stato fatto Scacco al Re con la candidatura di Paolo Savona al ministero dell’economia». Ma adesso, aggiunge Magaldi, «grazie all’inaudita insipienza arrogante di Sergio Mattarella – ostaggio di pressioni oscure e antidemocratiche – lo Scacco al Re si è tramutato in Scacco Matto a quei poteri marci, neoaristocratici e controiniziatici che tengono in ostaggio l’Italia e l’Europa da troppo tempo, ma che ormai sono “nudi e ben visibili” allo sguardo giustamente indignato dei cittadini».Stiamo assistendo in queste ore ad una crisi politica mai vista, osserva Patrizia Scanu, altro esponente del Movimento Roosevelt: «Un presidente della Repubblica, forzando le sue prerogative istituzionali, non permette la formazione di un un governo che avrebbe la maggioranza parlamentare uscita dalle urne (il primo dopo molti anni) per pregiudizio di tipo politico verso il ministro dell’economia proposto dalla maggioranza». Patrizia Scanu cita Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale: per Onida, sul piano strettamente giuridico, Mattarella può dire “io non firmo”. Di fronte all’inistenza sul nome di Savona, aggiunge Onida, «il capo dello Stato si è opposto per ragioni politiche, non personali». E aggiunge: Mattarella è andato contro l’idea che il nostro sia un sistema parlamentare. Non ha neppure posto obiezioni sul programma di governo: «Si è opposto solo a una persona, temendo che potesse mettere in pericolo la stabilità dei mercati finanziari, e la difesa dei risparmiatori. Così facendo – afferma Onida – si dà ai creditori dello Stato un potere immenso, che va al di là delle obbligazioni di un debitore. Un debitore non può diventare così politicamente asservito da accettare ingerenza sulla maggioranza. In questo caso mi sembra sia andato un po’ troppo oltre».Gli avvenimenti degli ultimi giorni, riassume Gianfranco Carpeoro sulla sua pagina Facebook, richiedono un chiarimento analitico di alcuni aspetti. «Una delle prime preoccupazioni della “sovragestione” reazionaria, oligarchica, familistica e aristocratica», rivela Carpeoro, è stata quella di «ridurre al lumicino l’insegnamento dell’educazione civica nelle scuole». Forse a qualcuno sfugge che il presidente della Repubblica resta in carica 7 anni, contro i 5 del Parlamento che lo elegge. Decisione che nacque nel contesto storico-politico del momento post-bellico, dopo la fine del regime fascista. Obiettivo: sottolineare l’autonomia e l’indipendenza della figura istituzionale più alta. «Si trattò all’epoca di una scelta condivisibile, ma col tempo – secondo Carpeoro – si è rivelata anche come la confessione della debolezza intrinseca della figura presidenziale, sotto il profilo della legittimazione democratica e popolare». Debolezza, aggiunge Carpeoro, che di recente «ha costretto a forzature personali di varia natura dei limiti delle prerogative della carica: forzature proporzionali all’arretramento generale sotto il profilo della credibilità, ma anche della efficacia della politica in generale, tanto del potere legislativo che di quello governativo».Gli ultimi decenni della storia politica dell’Italia, aggiunge Carpeoro, hanno registrato onde di flusso e riflusso tra chi voleva rinchiudere la figura presidenziale in un grigio studio notarile e che invece, nel buio della politica, voleva un cavalleresco baluardo: «Non solo unico garante di legalità e costituzionalità, ma anche garante di buon governo, secondo le varie posizioni politiche e idee che peraltro si fronteggiavano in campagne elettorali feroci e perenni». È in questo contesto, continua Carpeoro, che il nostro presidente della Repubblica si è appena rifiutato di varare un governo «scaturito dalla convergenza di una maggioranza parlamentare emersa dopo le numerose consultazioni». Così facendo, aggiunge, «il presidente si è apertamente messo in dissenso con la maggioranza democratica di un Parlamento, peraltro diverso da quello che, a suo tempo, lo aveva eletto». Il motivo del dissenso, secondo lo stesso presidente? Il timore che la nomina di Paolo Savona, «pur legittima sul piano democratico, avrebbe comportato ripercussioni nei mercati sui risparmi degli italiani». Con «affetto e deferenza», Carpeoro si rivolge direttamente a Mattarella. «Non siamo usi agli insulti e alle polemiche incivili», premette. Ma aggiunge: «Indipendentemente dallo stabilire se sia stato un ricatto dei mercati o una imposizione di altri poteri», sarebbe meglio che si facesse da parte. «Ci ascolti, presidente, si dimetta: non non “osi obbedir tacendo”, si rilegittimi e non si consegni alla storia come un don Abbondio qualunque. Il Griso e i suoi bravi glieli rimandi indietro con le pive nel sacco a don Rodrigo».«Riteniamo che la sua figura sia ampiamente delegittimata rispetto alla carica». Così Gianfranco Carpeoro si rivolge (via Facebook) al presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, chiedendogli di dimettersi dopo aver bloccato il varo del governo “gialloverde” presieduto da Giuseppe Conte, ponendo il veto su Paolo Savona per il ministero dell’economia. «Non voglio entrare nel dibattito sulla legittimità di tale scelta», premette Carpeoro, ma aggiunge: «Non ho dubbi che, sul piano etico e sul piano della sensibilità democratica, ciò avrebbe già dovuto suggerire a un presidente di alta preparazione costituzionale la doverosa presentazione delle sue dimissioni». E si domanda, rivolgendosi al capo dello Stato: «Se entrasse in conflitto anche con la maggioranza del prossimo Parlamento cosa farebbe? Se un governo prossimo futuro entrasse in serio confronto con le burocrazia europea cosa avverrebbe? Un vero e proprio golpe?». Per questo, Carpeoro – al secolo Gianfranco Pecoraro, avvocato di lungo corso – chiede apertamente ai lettori di aderire alla raccolta di firme lanciata su “Change.org” da Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, di cui lo stesso Carpeoro è un dirigente. «L’unica speranza degli italiani – dice – è chiedere con un autentico plebiscito le dimissioni del presidente della Repubblica».
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Magaldi con Savona: via Mattarella, sgominare i poteri marci
L’alto tradimento di Sergio Mattarella rispetto alla Costituzione, rispetto allo Stato, rievoca un altro tradimento – sostanziale, anche se non formale – compiuto da Giorgio Napolitano. Anche nel suo caso il Movimento 5 Stelle propose l’impeachment, che però poi non andò avanti. Ma Napolitano, nel fare senatore a vita il massone tecnocratico, neo-aristocratico e reazionario Mario Monti, non violò la Costituzione formalmente. Ci fu il solito bombardamento di spread, in termini anche più sontuosi e violenti, e Berlusconi fu accompagnato a calci nel sedere fuori dalla porta, mentre Monti fu salutato da squilli di tromba. Di fatto, nella sostanza, fu un golpe – che privò gli italiani di un governo rappresentativo della volontà popolare e presentò come salvatore della patria uno dei becchini dell’Italia. Giorgio Napolitano ha avuto delle responsabilità enormi, in questo, e anche nell’abituare il popolo italiano all’idea che non si governa con il mandato popolare, ma si governa perché i sedicenti “illuminati”, che occupano indebitamente i palazzi del potere italiano ed europeo, decidono cosa è bene per il popolo bue. Per Napolitano non c’erano gli estremi per un impeachment formale, ma qui il discorso è diverso: come notato anche da autorevoli osservatori non ostili a Mattarella o non troppo empatici rispetto al governo “gialloverde” in costruzione, Mattarella ha fatto un discorso politico: e ha messo il veto su una persona per un reato d’opinione.Un reato d’opinione anche molto moderato: Paolo Savona, che in passato ha fatto analisi articolate sull’Eurozona, in un comunicato ha poi spiegato di voler interpretare il “contratto” politico che sottendeva il governo Conte, e di voler appunto (come ha detto anche Salvini) “trattare”, cioè porsi in una condizione di dignità dell’Italia rispetto all’Europa, per concorrere a costruire un’Europa più equa e più forte. Rispetto a questo, Mattarella ha detto che non se la sentiva, e (in modo protervo) che non voleva consentire la nomina e l’insediamento di Savona. Per questo ha respinto un governo legittimato dal voto popolare, affidando l’Italia a un rappresentante del Fmi come Cottarelli, che è parte di quella cricca di tecnici che hanno già malgovernato l’Italia e che rappresentano quei “poteri marci” che vogliono asservire non solo il popolo italiano, ma anche il resto dei popoli europei. Non pensano ad un’Europa prospera e democratica, ma ad una visione disgregatrice, dove il mercato, lo spread e presunti principi di teologia dogmatica, laica e neoliberista, governano il tutto: la bussola è già tracciata e le elezioni sono inutili. Questo è quello di cui si è fatto interprete Mattarella: quindi – al di là di quello che sarà l’iter – l’impeachment va sicuramente avviato, perché politicamente significa che ogni giorno, da qui al voto, si potrà ricordare al popolo italiano quello che è accaduto.Politicamente credo sia utilissimo e anche doveroso iniziare una mobilitazione popolare e comunicativa a favore della messa in stato d’accusa del capo dello Stato, che si è dimostrato infedele ai principi della Costituzione su cui ha giurato, al pari di Napolitano, Monti e Draghi. Ovunque siano insediati, questi uomini rappresentano i terminali di “poteri marci”, neo-aristocratici e massonicamente “controiniziatici”. In realtà, questi stessi poteri erano messi di fronte a uno scacco: la candidatura stessa di Paolo Savona era vista con molto favore dai circuiti massonici progressisti, che in Italia mi onoro di rappresentare. Le sue istanze sull’economia, l’Italia e l’Europa si sovrapponevano perfettamente alle nostre. Mattarella è stato fatto oggetto di pressioni inaudite, da parte di poteri extra-istituzionali, che hanno compiuto una sorta di golpe. Il solo fatto di trovarsi davanti a questo bivio ha messo Mattarella e tutti questi “poteri marci” di fronte a uno scacco: era Scacco al Re. Lo Scacco al Re può essere risolto con qualche mossa avveduta. Peccato che la mossa è stata quella sbagliata: nella sua tragicità, è una mossa che si rivelerà esiziale, per chi ha sin qui distrutto il sogno europeista di tanti italiani, per chi ha affossato un’Europa politica e democratica e ora sta avvilendo anche la dignità dell’Italia nel rapporto con le istituzioni europee e con le altre cancellerie continentali.Mattarella ha smascherato se stesso come maggiordomo di questi poteri, comportandosi da perfetto paramassone, come Enrico Letta: perfetto paramassone asservito anche Mattarella, a cui nemmeno è stato accordato il privilegio di essere direttamente tra i “fratelli” neo-aristocratici; è stato solo utilizzato, come altri, in un rango subalterno e servile. E servilmente, tradendo la Costituzione del suo paese, Sergio Mattarella ha fatto la scelta più sbagliata, per la sua parte: respingendo Savona e mostrando il vero volto di se stesso e dei suoi complici, ha offerto al popolo italiano (e anche a tutti gli osservatori internazionali che ci guardano) l’immagine di un Re Nudo. Un Re collettivo e post-democratico, un Re che non vuole che venga nemmeno messa in discussione la narrativa, la dogmatica politica economica che deve imperare. Usando una metafora cristiana, paradossalmente Mattarella diventa un po’ come Giuda che, compiendo un misfatto, consente però che Cristo muoia e poi risorga. Più modestamente, Mattarella – compiendo questo misfatto – offre finalmente una interpretazione di tutto ciò che è accaduto dal 2011 ad oggi (e anche molto prima).Già nel 2014 spiegavo che la battaglia per la democrazia, in Europa e nel mondo, si sarebbe combattuta in Italia. Quello che oggi è accaduto dimostra che non ero un “poetico visionario”, che non lo erano tutti quelli impegnati con me a combattere in questa direzione. La partita si gioca in Italia: adesso il popolo italiano sarà chiamato a regolarsi di conseguenza. Ovviamente c’è chi prova a seminare zizzania tra Di Maio e Salvini: si tratta di sicofanti, mezzani e professionisti dell’intrigo, per lo più provenienti dall’area di Forza Italia, che infatti teme come la morte che l’asse tra Lega e 5 Stelle possa essere tradotto anche in termini elettorali. Personalmente sarei a favore di quest’opzione, anche per un fatto di trasparenza e per celebrare in modo netto la prospettiva di un nuovo governo, magari persieduto proprio da Paolo Savona: un accordo elettorale, come il “contratto” di governo, con Lega e 5 Stelle che presentano Paolo Savona come candidato premier, gradito a entrambe le parti. Questa è la proposta che il Movimento Roosevelt farà nei prossimi giorni. Non credo che l’ipotesi di accordo elettorale tra Lega e 5 Stelle sarebbe ingenua e farebbe perdere voti: non solo avrebbe un alto valore etico-politico ma sarebbe anche vincente. Con l’attuale legge elettorale, Lega e 5 Stelle saranno forti a livello proporzionale, e in ambito maggioritario sarebbero comunque in grado di sgominare qualunque altro avversario: farebbero il pieno di voti.Berlusconi? Come al solito si è dimostrato verminoso, davvero spregevole, in questa sua solidarietà pelosa a Mattarella e in questo suo riavvicinamento alla “culona inchiavabile”, come definì la Merkel, e a tutti i rappresentanti “marci” del Partito Popolare Europeo, che sono parte di questo establishment che soffoca il continente. La prospettiva di Salvini non è quella di Berlusconi, con tutta evidenza: ha molte più affinità con quella del Movimento 5 Stelle. In un modo o nell’altro, in Parlamento si avrà una nuova maggioranza tra Lega e 5 Stelle. E se ci sarà anche l’impeachment, Mattarella sarà indotto a più miti consigli dalla sollevazione popolare che da oggi inizierà. E finalmente avremo un governo che possa rappresentare le istanze chiarissime espresse dalla volontà del popolo. In più, urge più che mai la costruzione del nuovo partito che serve all’Italia. Il Movimento Roosevelt lavorerà sia per cementare un asse rinnovato e fortificato tra Lega e Movimento 5 Stelle, sia per costruire un soggetto politico che possa supportare ulteriormente una prospettiva di cambiamento, perfezionandola – siamo convinti di aver già insegnato molto, a Lega e 5 Stelle, che sono maturati anche grazie ai nostri buoni consigli, pubblici e privati. Soprattutto, possiamo interpretare (forse anche meglio di loro) la necessità di un cambio di paradigma.Complimenti intanto a Paolo Savona, anche per lo stile con il quale – sottraendosi alle polemiche – ha di fatto “non commentato” gli eventi. Savona dimostra di essere uomo delle istituzioni: degno di fare il ministro dell’economia o il presidente del Consiglio, e magari anche il presidente della Repubblica. Sergio Mattarella? Dimostra di essere quello che è: un servile cortigiano, subalterno di poteri “marci” sovranazionali di ispirazione massonica neo-aristocratica. Cottarelli? Certamente deve andare a casa, e anche di corsa: la sua nomina è un insulto al popolo italiano. Cottarelli è l’uomo dei tagli, l’uomo del Fondo Monetario Internazionale. E’ una cosa scandalosa, il veto su Savona e l’aver proposto Cottarelli: è veramente un atto di arbitrio e di prepotenza. Quindi tutti a casa, si vada al voto. E, possibilmente, l’impeachment per Mattarella.(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli per la diretta “Massoneria On Air” su “Colors Radio” il 28 maggio 2018. Massone, leader del Grande Oriente Democratico e presidente del Movimento Roosevelt, Magaldi è l’autore del saggio “Massoni”, uscito nel 2014 per Chiarelettere, che denuncia il ruolo occulto di 36 superlogge sovranazionali al vertice del potere mondiale, con ramificazioni in ogni governo).L’alto tradimento di Sergio Mattarella rispetto alla Costituzione, rispetto allo Stato, rievoca un altro tradimento – sostanziale, anche se non formale – compiuto da Giorgio Napolitano. Anche nel suo caso il Movimento 5 Stelle propose l’impeachment, che però poi non andò avanti. Ma Napolitano, nel fare senatore a vita il massone tecnocratico, neo-aristocratico e reazionario Mario Monti, non violò la Costituzione formalmente. Ci fu il solito bombardamento di spread, in termini anche più sontuosi e violenti, e Berlusconi fu accompagnato a calci nel sedere fuori dalla porta, mentre Monti fu salutato da squilli di tromba. Di fatto, nella sostanza, fu un golpe – che privò gli italiani di un governo rappresentativo della volontà popolare e presentò come salvatore della patria uno dei becchini dell’Italia. Giorgio Napolitano ha avuto delle responsabilità enormi, in questo, e anche nell’abituare il popolo italiano all’idea che non si governa con il mandato popolare, ma si governa perché i sedicenti “illuminati”, che occupano indebitamente i palazzi del potere italiano ed europeo, decidono cosa è bene per il popolo bue. Per Napolitano non c’erano gli estremi per un impeachment formale, ma qui il discorso è diverso: come notato anche da autorevoli osservatori non ostili a Mattarella o non troppo empatici rispetto al governo “gialloverde” in costruzione, Mattarella ha fatto un discorso politico: e ha messo il veto su una persona per un reato d’opinione.
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Magaldi: fidatevi, sarà proprio l’Italia a cambiare l’Europa
Fidatevi: sarà l’Italia a cambiare l’Europa. Eresia pura, a prima vista. Tempi: non sospetti. Fine 2014, con il giovane Renzi insediato a Palazzo Chigi e pronto a recitare la sua mediocre particina teatrale, il dinamismo giovanilistico e solo cosmetico di riformette Merkel-compatibili, pre-formattate da Mario Draghi, Jp Morgan e colleghi. «Fidatevi: sarà l’Italia a cambiare l’Europa». Firmato: Gioele Magaldi, il visionario. Il massone dissidente, l’eretico, il fastidioso smascheratore di un sistema truccato, neoliberale e segretamemte super-massonico. Autore di un bestseller clamoroso (“Massoni”, edito da Chiarelettere) che svela il ruolo decisivo di 36 superlogge internazionali nel retrobottega di qualsiasi potere, nazionale e internazionale, con ramificazioni solidissime in tutti i centri decisionali anche italiani, dalla Banca d’Italia a Palazzo Chigi fino al Quirinale. Draghi, Monti, Napolitano: «Tutti massoni neo-aristocratici, protagonisti della crisi pilotata che ha segnato il declino del nostro paese sotto il ricatto artificioso dello spread». Il nostro paese: l’Italia stremata dal piduista Berlusconi e sabotata dal finto progressista Prodi, «globalizzatore in grembiulino». Venticinque anni di decadenza, «grazie a una regia occulta». Ebbene, nonostante ciò – questo il lieto annuncio, a fine 2014 – sarà proprio dall’Italia che partirà un riscatto popolare e democratico, in grado di cambiare l’Europa.Magaldi il sognatore, il poetico utopista? In capo a quattro anni, contro ogni previsione, nel 2018 proprio l’Italia “scodella” un nome come quello di Paolo Savona: per la prima volta, probabilmente, dal Trattato di Maastricht, un paese-cardine dell’Unione Europea candida come ministro dell’economia un oppositore dichiarato del sistema. Chi l’avrebbe detto? Attenzione: come da molti sottolineato, Paolo Savona non è un oppositore qualsiasi. Personalità autorevolissima, economista dell’establishment vicinissimo al massone Ciampi al momento di costruirla, l’Unione Europea. Un uomo capace di ripensamento: questa Europa così com’è non funziona. Non va bene per l’Italia, ma in fondo non va bene per nessuno, se alimenta risentimento e competitività interna. Rimettiamo la palla al centro, propone Savona: troviamo il coraggio di ridiscutere i termini dei trattati. Sotto la spinta di forti pulsioni euroscettiche, la Gran Bretagna – mai entrata nell’Eurozona, e rimasta a lungo nell’Ue in condizioni privilegiate – ha già abbandonato l’Unione Europea (ma c’è voluto un referendum estremamente sofferto, e dall’esito sorprendente e lacerante). Nulla di simile s’è mai visto in Germania o in Francia, dove Marine Le Pen si è limitata a una battaglia di principio contro Bruxelles, ben sapendo che sarebbe stato facile – per un massone conservatore come Macron – neutralizzare il Front National facendo leva sulla paura dei francesi.Contro ogni previsione – non di Magaldi, certo – il Rubicone l’ha varcato proprio l’Italia. Sono stati Matteo Salvini e Luigi Di Maio, paracadutati fra i tornanti di una vorticosa evoluzione della crisi post-elettorale, a tener duro – anche contro il Quirinale – sul nome del ministro “eretico”, di cui il potere finanziario europeo pare avere il terrore. Paolo Savona è diventato un totem: la possibilità del cambiamento. Le ultime settimane hanno preso in contropiede politici, elettori, istituzioni e mondo economico – ma non Magaldi: in fondo se l’aspettava, “sapeva” che l’Italia – e solo l’Italia – sarebbe stata capace di tornare al centro della politica europea. Il momento è drammatico: uno scontro istituzionale inaudito, con ripercussioni incalcolabili. Ma il costo di una “rivoluzione” è sempre meglio, in ogni caso, della morte lenta assicurata dallo status quo: la sovranità democratica non ha prezzo, vale più di qualsiasi stabilità momentanea perché può garantire benessere diffuso ed equità sociale, senza cui la società collassa. Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, indica l’esempio di Nino Galloni. Keynes, nel terzo millennio: investire sull’Italia, per uscire dalla crisi e dal ricatto della paura. In altre parole: il futuro. L’unico possibile. Nel bene e nel male, oggi l’Italia è al centro della scena europea. Volano parole inaudite, rivoluzionarie. Sembrano il germe di un risveglio, per tutta l’Europa. Nate dove? In Italia.Fidatevi: sarà l’Italia a cambiare l’Europa. Eresia pura, a prima vista. Tempi: non sospetti. Fine 2014, con il giovane Renzi insediato a Palazzo Chigi e pronto a recitare la sua mediocre particina teatrale, il dinamismo giovanilistico e solo cosmetico basato su riformette Merkel-compatibili, pre-formattate da Mario Draghi, Jp Morgan e colleghi. «Fidatevi: sarà l’Italia a cambiare l’Europa». Firmato: Gioele Magaldi, il visionario. Il massone dissidente, l’eretico, il fastidioso smascheratore di un sistema truccato, neoliberale e segretamemte super-massonico. Autore di un bestseller clamoroso (“Massoni”, edito da Chiarelettere) che svela il ruolo decisivo di 36 superlogge internazionali nel retrobottega di qualsiasi potere, nazionale e internazionale, con ramificazioni solidissime in tutti i centri decisionali anche italiani, dalla Banca d’Italia a Palazzo Chigi fino al Quirinale. Draghi, Monti, Napolitano: «Tutti massoni neo-aristocratici, protagonisti della crisi pilotata che ha segnato il declino del nostro paese sotto il ricatto artificioso dello spread». Il nostro paese: l’Italia stremata dal piduista Berlusconi e sabotata dal finto progressista Prodi, «globalizzatore in grembiulino». Venticinque anni di decadenza, «grazie a una regia occulta». Ebbene, nonostante ciò – questo il lieto annuncio, a fine 2014 – sarà proprio dall’Italia che partirà un riscatto popolare e democratico, in grado di cambiare l’Europa.
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Carpeoro: Mattarella può bocciare Savona e poi dimettersi
Mi sembra che da questa vicenda del ministro Savona non ne esca bene, il nostro presidente della Repubblica. Capisco che possa sentirsi costretto a prendere questa posizione, ma non può sostituirsi alla responsabilità che si sono assunti gli italiani, che hanno votato questi due partiti, 5 Stelle e Lega, che hanno formato una maggioranza. E li hanno votati garantendo una maggioranza costituzionale necessaria perché questi due partiti governino. Mattarella si deve assumere le sue responsabilità. Se pensa che questo presidente incaricato, Conte, non stia gestendo bene il suo incarico, può non confermarglielo: può farlo. Il fatto che questo sia corretto democraticamente, poi, credo che consenta molte discussioni. Certamente Mattarella non può esprimere un parere sulla condotta di questo incaricato presidente del Consiglio solo sulla base del fatto che ne vuole praticamente far fuori un ministro, Paolo Savona. Io credo che tutto questo sia estremamente scorretto, dal punto di vista costituzionale e democratico. Credo sia l’ennesimo vulnus grave, che negli ultimi anni un presidente della Repubblica arreca agli equilibri garantiti dalla Carta costituzionale, che – può piacere o no – è in pieno e democratico vigore. E credo anche che questa vicenda sia pericolosissima, perché molto probabilmente non sarà indolore, se il presidente continua a irrigidirsi su questa posizione: probabilmente ci saranno dei movimenti di piazza.Il presidente della Repubblica deve assumersi dinnanzi al popolo la responsabilità del fatto che un governo non venga varato perché lui non è d’accordo su un ministro. La nomina del presidente della Repubblica è un atto formale: il presidente promulga le leggi, però le leggi le fa il Parlamento. Il Quirinale può rimandarla indietro, una legge, ma se poi il Parlamento gliela rimanda avanti può solo mandarla alla Corte Costituzionale per la verifica di costituzionalità. E se poi la legge va avanti, lui la deve firmare: come dovrà firmare i ministri. Sarebbe un atto gravissimo se non nominasse un ministro, nel caso il presidente del Consiglio incaricato insistesse su questa scelta. Perché nella Costituzione c’è scrittoche il presidente della Repubblica “nomina”, non “sceglie”. L’atto d’acquisto di una casa non è valido, se non è firmato da un notaio; ma l’accordo lo fanno le parti. E secondo me, l’atto immediatamente successivo, se il presidente della Repubblica non firmasse l’atto di nomina dei ministri, dovrebbero essere le sue dimissioni – affinché il Parlamento esprima un altro presidente della Repubblica, dotato della fiducia di un nuovo Parlamento.Questa posizione di Mattarella è politica, non costituzionale o istituzionale. Questo presidente, che sta prendendo questa posizione, non è stato eletto da questo Parlamento. E quindi non ha la forza di insistere su questo atteggiamento. Dovrebbe insistere, ma poi dimettersi. E vedere se un nuovo Parlamento eleggerà un presidente della Repubblica che ha questa linea. C’è davvero paura che il governo affronti una reale svolta anti-euro? Faccio notare che il presidente della Repubblica ha chiesto specificamente a Conte, nell’espletamento del suo mandato (di scelta e preparazione di una proposta istituzionale di governo) di incontrare il governatore della Banca d’Italia. Questo non era mai accaduto. Anche perché il governatore di Bankitalia ha sì poteri di autonomia, però non c’è mai stata una diarchia – sulle situazioni economiche – rispetto alle linee del governo. Perché Mattarella ha chiesto a Conte di incontrare il governatore della Banca d’Italia? Perché Visco ha avuto la libertà, in termini di “moral suasion” (lo dico tra virgolette: intimidazione, condizionamento) di dire a Conte le cose che direttamente non avrebbe potuto dire il presidente della Repubblica. D’altro canto, l’incarico di Visco è stato rinnovato su pressione del Quirinale, perché Renzi non lo voleva rinnovare.Come vedete, quella di Mattarella è tutt’altro che una presidenza diversa da quella di Napolitano. Solo che, siccome Mattarella è in carica, nessuno gli dice niente. Napolitano hanno cominciato a contrastarlo solo quando non è stato più in carica, perché l’Italia è un paese di eroi. La sovragestione del potere si è fatta più sfrontata, come dice qualcuno, visto che molti giornali scrivono apertamente che questo governo non deve nascere? La spudoratezza ormai è consuetudine: la gente ha una specie di narcosi, per cui basta dirgli una cosa come certa, e tanto basta per farla ritenere certa – c’è gente che vaccina i figli per il morbillo, perché gli hanno detto che di morbillo si muore, come di peste. Io comunque credo che sia uno scontro anche tra i reazionari, su questo governo: perché i reazionari americani lo vogliono, mentre i reazionari europei non lo vogliono. Quindi c’è uno scontro – all’interno di ambienti massonici, di Ur-Lodges e di ambienti finanziari – anche tra americani ed europei.(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti di “Border Nights” nella diretta web-streaming “Carpeoro Racconta”, su YouTube, il 27 maggio 2018. Massone, già a capo della più antica obbedienza del Rito Scozzese italiano – da lui stesso disciolta – l’avvocato Pecoraro, eminente simbologo, ha firmato con lo pseudonimo Carpeoro romanzi e saggi, tra cui “Dalla massoneria al terrorismo” e “Summa Symbolica”. Esponente del Movimento Roosevelt presieduto da Gioele Magaldi, Carpeoro ha denunciato la “sovragestione” del potere europeo e italiano operata da Ur-Lodges reazionarie, cioè superlogge internazionali di matrice neo-aristocratica che controllano i maggiori centri di potere economico e finanziario nonché le stesse istituzioni europee, condizionando in modo sistematico l’operato dei governi democraticamente eletti).Mi sembra che da questa vicenda del ministro Savona non ne esca bene, il nostro presidente della Repubblica. Capisco che possa sentirsi costretto a prendere questa posizione, ma non può sostituirsi alla responsabilità che si sono assunti gli italiani, che hanno votato questi due partiti, 5 Stelle e Lega, che hanno formato una maggioranza. E li hanno votati garantendo una maggioranza costituzionale necessaria perché questi due partiti governino. Mattarella si deve assumere le sue responsabilità. Se pensa che questo presidente incaricato, Conte, non stia gestendo bene il suo incarico, può non confermarglielo: può farlo. Il fatto che questo sia corretto democraticamente, poi, credo che consenta molte discussioni. Certamente Mattarella non può esprimere un parere sulla condotta di questo incaricato presidente del Consiglio solo sulla base del fatto che ne vuole praticamente far fuori un ministro, Paolo Savona. Io credo che tutto questo sia estremamente scorretto, dal punto di vista costituzionale e democratico. Credo sia l’ennesimo vulnus (grave) che negli ultimi anni un presidente della Repubblica arreca agli equilibri garantiti dalla Carta costituzionale, che – può piacere o no – è in pieno e democratico vigore. E credo anche che questa vicenda sia pericolosissima, perché molto probabilmente non sarà indolore, se il presidente continua a irrigidirsi su questa posizione: probabilmente ci saranno dei movimenti di piazza.