Archivio del Tag ‘nobiltà’
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Il folle riconosce il mondo, il genio ci mostra com’è davvero
Il genio e il folle sono fratelli, forse gemelli. In entrambi il possibile eccede sul reale, ma nel pazzo il possibile sconfina nell’impossibile. Il genio non si accontenta del rapporto tra la realtà e la sua mente; stabilisce nuovi, più arditi contatti. Il pazzo invece ha perso quella relazione e va a ruota libera. Chesterton notava che il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma chi ha perso tutto tranne la ragione: ha perso il rapporto col mondo reale. Genio e sregolatezza, si dice. Ma debordare dalle regole è un effetto della genialità, non è la prova del genio. La pazzia è l’emisfero in ombra dell’umanità, il lato b che percorre come una trama a rovescio la storia della civiltà, dell’arte, del pensiero e dei rapporti umani. Il sogno, il gioco, la fiction sono le dosi giornaliere di pazzia dei “savi”; quando la mente va in libera uscita e danza a corpo libero. Osate esser pazzi, esortava Papini. Come in una pulp fiction filosofica, artistica e letteraria scorre la divina pazzia di cui scriveva Platone e le tragedie greche da Eschilo a Euripide; la pazzia vissuta, studiata o narrata di Torquato Tasso ed Erasmo da Rotterdam, Cervantes con don Chisciotte e Shakespeare con Enrico IV, Hölderlin e Nietzsche, van Gogh e Ligabue, Dino Campana ed Ezra Pound, Pirandello e Strindeberg, Bukovski e Pessoa, Jaspers e Foucault, Mario Tobino e Alda Merini.Per Thomas Beckett nasciamo tutti pazzi, alcuni poi lo restano. Il genio mette a frutto la pazzia, cavalca la follia senza esserne dominato. A volte finisce irretito nella sua follia, perché ne è congenitamente predisposto, è ipersensibile o ha preteso l’infinito, l’assoluto. Ma chi è il genio, cosa lo distingue dal resto degli uomini? Dal ’68 in poi serpeggia l’illusione di una genialità di massa, attraverso l’uso estroso della trasgressione: si ritiene che la sregolatezza decreti il genio. Creatività diffusa, fantasia, la vita come capriccio e stravaganza di massa sono i suoi indizi fino al paradosso di sentirsi tutti speciali, fuori dal comune. Si abusa dell’aggettivo geniale. In giro troppi geni estemporanei per autoacclamazione o per esagerazione di chi li ama (ogni scarrafone è genio a mamma sua). Per Arthur Schopenhauer, che visse con la frustrazione del genio incompreso, genio è colui che sa vedere l’assoluto nel particolare, sa andare oltre i fenomeni e trascende la soggettività in una visione più ampia.Il genio ha una conoscenza intuitiva; vede le cose collegate da una postazione più alta, vede il mondo alla luce del sole, non al lume della sua candela. La fantasia è un suo strumento indispensabile per trascendere il reale nel possibile. Vede il generale nel particolare, a differenza dell’uomo comune e delle donne, nota Schopenhauer. Coglie l’essenza delle cose e supera la natura che invece congiunge intelletto e volontà. Ciò porta il genio a somigliare alla follia: entrambi, notava Pessoa, sono disadattati. Il genio non è mai un moderato o un flemmatico, spiega Schopenhauer, ma è sempre un eccessivo, frutto di un’esaltazione anormale della sua vita neuro-cerebrale. Il genio si dedica all’inutile e i suoi frutti saranno colti nel futuro. Un’opera geniale non è mai utile; è il suo rango, la sua nobiltà, come la fioritura. Il genio non serve al suo tempo, ed eccedendo dalla norma è destinato ad essere incompreso. Le persone comuni possono apprezzare il talento o il tipo brillante, difficilmente il genio che vive in perenne discordanza col mondo esterno e col proprio tempo. Avvertenza d’obbligo: per un genio incompreso ci sono mille presunti incompresi che geni non sono.Il genio è per natura solitario. È troppo raro per poter incontrare suoi simili e troppo diverso dagli altri per poter stare in compagnia e pensare in comune. Perciò si apparta, è a disagio. Se il genio è misantropo anche qui non vale l’inverso, che la misantropia non è il segno certo di una superiorità. Il genio è malinconico, anche se si delizia quando dà sfogo alla sua vena. Lo diceva già Aristotele, lo ripeteva Cicerone, poi anche Goethe. Schopenhauer spiega che la sua mente è più capace di percepire la miseria della condizione umana. Dunque il genio non può che essere pessimista, come lo era lui. Ripeto la controtesi: se il genio è malinconico, non tutti i tristi e i depressi sono geniali. Infine il genio è come un bambino, ha uno sguardo puro e disinteressato sul mondo. Anzi, ogni bambino è in un certo senso un genio potenziale e ogni genio è in un certo senso un bambino (S. cita Mozart e Goethe, noi potremmo citare Dalì e Fellini).Nel fanciullo, nota S., l’intelletto prevale sulla volontà (ma i suoi capricci non prefigurano la volontà?). Al bambino come al genio manca l’arida serietà tipica degli uomini comuni; c’è una vena giocosa e grottesca. Qui si affaccia la sindrome di Peter Pan: ma l’infantilismo in sé non è sintomo di genialità. Per Schopenhauer la genialità originaria del bambino viene poi rubata dalla genitalità: la pulsione sessuale è il focolaio della volontà e dunque nemica della conoscenza. Come dire che il genio tende a restare sessualmente bambino. Il genio, insomma, è un bambino malinconico che trascura sé e si cura del mondo. Il suo soffitto è il cielo, la sua vista è la visione del mondo, che è la sua penetrazione. Schopenhauer fa notare che l’orangutan è intelligente da piccolo e diventa poi brutale da adulto, in un rapporto inverso tra età e intelligenza. Ma non mancano capolavori del genio in età senile. Se il genio è sregolatezza, anche l’età precoce non può essere una regola. Il genio è puer eternus, bambino perenne. Ma la sua ombra è il pazzo, che a volte lo accoppa.(Marcello Veneziani, “Rari geni, pochi pazzi, tanti imitatori”, da “La Verità” del 23 ottobre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Il genio e il folle sono fratelli, forse gemelli. In entrambi il possibile eccede sul reale, ma nel pazzo il possibile sconfina nell’impossibile. Il genio non si accontenta del rapporto tra la realtà e la sua mente; stabilisce nuovi, più arditi contatti. Il pazzo invece ha perso quella relazione e va a ruota libera. Chesterton notava che il pazzo non è colui che ha perso la ragione ma chi ha perso tutto tranne la ragione: ha perso il rapporto col mondo reale. Genio e sregolatezza, si dice. Ma debordare dalle regole è un effetto della genialità, non è la prova del genio. La pazzia è l’emisfero in ombra dell’umanità, il lato b che percorre come una trama a rovescio la storia della civiltà, dell’arte, del pensiero e dei rapporti umani. Il sogno, il gioco, la fiction sono le dosi giornaliere di pazzia dei “savi”; quando la mente va in libera uscita e danza a corpo libero. Osate esser pazzi, esortava Papini. Come in una pulp fiction filosofica, artistica e letteraria scorre la divina pazzia di cui scriveva Platone e le tragedie greche da Eschilo a Euripide; la pazzia vissuta, studiata o narrata di Torquato Tasso ed Erasmo da Rotterdam, Cervantes con don Chisciotte e Shakespeare con Enrico IV, Hölderlin e Nietzsche, van Gogh e Ligabue, Dino Campana ed Ezra Pound, Pirandello e Strindeberg, Bukovski e Pessoa, Jaspers e Foucault, Mario Tobino e Alda Merini.
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Davvero gli italiani accetteranno il Governo dei Prestanome?
Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso dai mercenari arruolati nel governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza degli cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, non resterà più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico pagliaccio Beppe Grillo, come uno dei maggiori traditori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo del Conte-bis perché non aveva alternative, se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla cricca di potere che porta il nome di Partito Democratico).Il governo dello spread, caro all’oligarchia che ha fatto carne di porco del Belpaese, sarà accolto nel modo più benevolo del regime euro-italico, di cui è al servizio, contro l’interesse nazionale. Una speciale plastica facciale proteggerà i suoi ministri-camerieri e i suoi servili mandanti, presto in passerella in tutte le televisioni, a reti unificate, a spiegare che l’orrore è bellissimo, che la sottomissione è nobile, e che prendere a calci in faccia gli elettori, derubandoli, è un’arte civilissima, antifascista e antirazzista, politicamente corretta. Resta da capire come lo accoglieranno, gli italiani, il Governo dei Mascalzoni. Tutte le dittature, quando sono alla canna del gas, si comportano allo stesso modo: prima di sparare sulla folla tentano un’ultima mossa, la manovra di palazzo fondata sulla frode. Il potenziale di fuoco di cui gode l’establishment italiano al servizio del potere straniero è tuttora molto rilevate, virtualmente schiacciante. Per ora ha disarmato la popolazione, sottraendole l’arma democratica a sua disposizione: il voto. E si prepara a punire l’elettorato con una lunghissima astinenza: gli italiani potranno tornare a votare solo dopo che il Governo dei Traditori avrà consegnato in mani anti-italiane i maggiori asset rimasti al paese, dall’Eni a Leonardo, e poi la presidenza della Repubblica.Il Governo dei Ladri di Democrazia cercherà in ogni modo di indorare la pillola, con l’aiuto dei suoi padroni europei: premierà il rating della finanza pubblica italiana, abbasserà il differenziale coi Bund, concederà l’elemosina di una piccola dose di flessibilità, in termini di bilancio e di deficit. Purché il cane continui a leccare la mano del padrone, anziché azzannarla. Purché gli italiani, soprattutto, continuino a non contare niente. E purché l’Italia, come nazione, arrivi rapidamente a contare meno di zero, integralmente svenduta, sottomessa, ridotta al silenzio e all’irrilevanza assoluta anche sul piano geopolitico, mediterraneo e africano. Ma loro, gli italiani? Sette su dieci volevano tornare alle urne. Il 70% del popolo italiano non accetta il Governo dei Cialtroni, e prova disgusto davanti alla sfrontata, ignobile disonestà dei burattini manovrati dal potere straniero, i 5 Stelle e gli zombie del Pd. Il Governo dei Buffoni lo stravince, il campionato mondiale dei fischi. E ogni giorno umilierà l’Italia, ne danneggerà l’immagine, distruggerà il residuo prestigio internazionale del paese: suggerirà l’idea che gli italiani sono dei poveri scemi, che si fanno mettere nel sacco da una congrega di imbroglioni disprezzati dal popolo. Può un paese democratico farsi rappresentare, seriamente, da una simile accozzaglia di miserabili?Riesce difficile immaginare che il popolo italiano possa accettare impunemente di essere tradito, calpestato e vilipeso da mercenari arruolati in un governo-vergogna messo insieme in modo disperato per umiliare con ogni mezzo gli elettori. E’ arduo credere che la stragrande maggioranza dei cittadini possa davvero farsi rappresentare, in Italia e nel mondo, dal professor-avvocato Giuseppe Conte, mai eletto da nessuno ma messosi prontamente a disposizione di Angela Merkel ed Emmanuel Macron. Di Luigi Di Maio c’è poco da dire: un morto che cammina, politicamente, così come l’intero Movimento 5 Stelle. Un grande abbaglio rivelatosi per quello che era fin dall’inizio: un grande imbroglio. Milioni di voti già in fuga: dei 5 Stelle, a breve, potrebbe non restare più nulla. In compenso passerà alla storia il tragico giullare Beppe Grillo, come uno dei maggiori turlupinatori della nazione. Poco da aggiungere anche su Matteo Renzi, cancellato dall’agenda politica italiana col voto democratico e rientrato nel palazzo dalla finestra, tramite sotterfugio, dopo aver spedito a Parigi il diletto Sandro Gozi, alla corte del nemico numero uno dell’Italia, il simpatico Macron. Velo pietoso su Nicola Zingaretti: ha ingoiato il rospo dell’ipotesi Conte-bis perché non aveva alternative; se non l’avesse fatto sarebbe stato triturato (lo sarà domani, insieme alla congrega di potere che porta il nome di Partito Democratico).
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Il finto sovranismo della “serva Italia” e l’inganno di Grillo
Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.L’euro e le sue regole sono uno strumento essenziale a questo fine (vedi i miei “Euroschiavi”, “Tecnoschiavi”, “Cimiteuro”, “Traditori al Governo”, “Oligarchia per popoli superflui”). L’Italia neanche se unita e neanche se guidata da autentici statisti – quali oggi non esistono né in Italia né altrove in Occidente – potrebbe battere il liberal-capitalismo finanziario imperante, e affrancarsi da tale programma: gli strumenti finanziari, monetari, mediatici e giudiziari in mano agli interessi dominanti sono troppo forti; prima bisognerebbe che il loro apparato di potenza fosse abbattuto da un rivolgimento perlomeno continentale. Soprattutto sotto leader modesti come Salvini, Di Maio, Renzi, con certezza non si raggiunge la libertà. I tentativi di affrancamento, come quello, vago e timido, del governo gialloverde, non possono che fallire e ricadere in danno agli italiani. Dai tempi dell’occupazione longobarda, e poi franca, normanna, francese, spagnola, austriaca, la gran parte dei politici italiani aspira a collaborare coi padroni stranieri aiutandoli a sfruttare l’Italia, perché aiutandoli si eleva verso di essi e sopra i comuni italiani. E’ un tratto culturale storicamente consolidato. In Italia, fare il Quisling non è un titolo di demerito, ma all’opposto di nobiltà; questo va ricordato a coloro che hanno dato del Quisling al Quirinale: non è un vilipendio, è un encomio.Da tutto quanto sopra consegue che agli italiani conviene un governo non ribelle agli interessi stranieri, specificamente franco-tedeschi, piuttosto che uno ribellista ma impotente, che attira ritorsioni su di loro. Un governo sottomesso ma dialogante, che attenui la violenza del processo di spolpamento, espropriazione ed invasione afroislamica, e lo diluisca nel tempo, dando modo alla popolazione generale di vivere decentemente qualche anno in più, e alla parte più valida di essa di emigrare e trasferire aziende e patrimonio all’estero. Agli intellettuali antisistema non conviene farsi partito politico, sia perché non vi è spazio per l’azione politica, sia perché verrebbero attaccatati dai magistrati politici e dall’apparato mediatico. L’azione antisistema, di critica e controproposta al regime tecnofinanziario, sebbene impossibile sul piano governativo, potrebbe invece parallelamente continuare sul piano culturale e informativo: la critica intelligente e competente potrebbe costituire un’associazione internazionale di ricerca scientifica socio-economica, geostrategica e storica, meglio se con sede all’estero (fuori della portata della giustizia nostrana), indipendente da ogni ente pubblico e dal capitale privato, avente lo scopo di mettere in luce la verità, gli inganni e i meccanismi monetari-finanziari che essi nascondono.Ora qualche nota sulla crisi di governo in atto. Salvini l’ha aperta in un momento scelto razionalmente, forse non il migliore, ma verosimilmente l’ultimo possibile (non voglio pensare l’abbia aperta confidando nelle assicurazioni di Zingaretti, che non si sarebbe alleato coi grillini ma avrebbe spinto per le elezioni: se Salvini si fosse fidato di tali dichiarazioni, ignorerebbe l’abc della politica, ossia che menzogna e dissimulazione sono parte essenziale del metodo politico). Poi l’ha gestita male, con tentennamenti, incertezze, contraddizioni e scarse analisi economico-giuridiche. Al Senato non si è difeso efficacemente dalle stroncature di Conte: ha replicato usando argomenti deboli mentre ne aveva a disposizione di ben più forti; non ha ribattuto sul piano giuridico-costituzionale; è apparso in pallone, impacciato, patetico nei suoi appelli alla Madonna e nel suo offrirsi come bersaglio.La sua difesa è stata fatta molto meglio dalla senatrice Bernini di Forza Italia, che ha smascherato l’ipocrisia e le contraddizioni di Conte. Salvini è un buon comunicatore, ha un buon fiuto, non è stupido, è ben sopra la media dei politici nostrani, ma adesso tutti hanno potuto vedere che non ha la saldezza né la preparazione culturale dello statista. E’ o è stato un leader carismatico, e i leader carismatici perdono il carisma allorché appaiono perdenti. Però Salvini può ancora rinquartarsi e recuperare, specialmente se la Lega va all’opposizione e fa opposizione dura e aggressiva nelle piazze, o anche se ricuce con il partito della Casaleggio & Associati, perlomeno al fine di proteggersi dagli attacchi giudiziari stando al governo. Però in ogni caso dovrebbe colmare le sue lacune in diritto costituzionale ed economia internazionale. Ad ogni modo, la carica sovranista e antisistema dei capi grillini e leghisti era da tempo andata scemando e riducendosi a poche banalità pressoché inoffensive e a denunce sterili.Ben diversamente, Grillo era partito, prima che fosse fondato il M5S, da una vera critica antisistema, che metteva in luce il fattore centrale del potere e dell’iniquità, che spoglia della loro sovranità i popoli: la privatizzazione della sovranità monetaria, il monopolio privato della produzione e allocazione della moneta e del credito. Poi, divenendo capo di una formazione partitica assieme alla Casaleggio e Associati, aveva smesso di parlare di queste cose, troppo autenticamente disturbanti per il sistema, e si era giustificato, ad usum imbecillium, asserendo che si tratterebbe di cose che la gente non capisce. Era passato alla dottrina del vaffa, più alla portata della classe cui si rivolgeva, e ben tollerabile per il sistema. Tuttavia, ancora nei due anni precedenti le elezioni politiche del 2018, alcuni esponenti grillini, segnatamente Villarosa (attuale sottosegretario alle finanze), Pesco e Sibilia, si erano interessati e avevano approfondito con impegno la materia monetaria e bancaria, richiedendo e ricevendo la collaborazione mia e di altri studiosi di questo campo, organizzando eventi pubblici e promettendo iniziative concrete una volta al governo. Ma, al contrario, una volta accomodatisi sulle poltrone governative, i predetti non solo non hanno preso alcuna concreta e visibile iniziativa, ma hanno addirittura rifiutato ulteriori contatti con noi.Evidentemente avevano ricevuto ordini di scuderia e calcolato la loro convenienza. Si sono allineati al sistema, con tutto il Movimento, il quale si è rivelato e confermato uno strumento per raccogliere il dissenso antisistema e poi neutralizzarlo, anzi portarlo al sistema convertendolo in consenso ad esso, a braccetto col partito dei finanzieri detto Pd, e con la risibile mascheratura di contentini demagogici, rumorosi e dannosi come il cosiddetto reddito di cittadinanza, il salario minimo, una riforma giacobina e incompetente del processo penale. E dopo hanno votato Ursula von der Leyen, falco finanziario germano-rigorista, gettando completamente la maschera: servono interessi opposti a quelli dichiarati. Ancor prima, Movimento e Lega erano entrambi passati da posizioni critiche verso l’euro, spavaldamente contemplanti la possibilità di uscirne senza danno (Borghi, Bagnai) in caso di rifiuto di opportune e strutturali riforme dell’apparato europeo, a posizioni di definitiva accettazione dell’euro e di arrendevolezza a Bruxelles. Ma ciò non è bastato ad evitare l’isolamento e la marginalizzazione dell’Italia in sede europea, né a ottenere più margini di spesa pubblica. Insomma, come governo antisistema il governo gialloverde era fallito prima di cadere, o più precisamente prima di nascere. Non abbiamo perso molto. Anzi, abbiamo guadagnato in chiarezza.(Marco Della Luna, “Il soranismo della serva Italia”, dal blog di Della Luna del 22 agosto 2019).Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.
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Pedofilia al governo? La morte di Epstein fa comodo a tanti
Una morte stranissima e soprattutto provvidenziale, quella di Jeffrey Epstein, arrestato il 6 luglio con l’accusa di sfruttamento della prostituzione su minori e violenza carnale su oltre 30 ragazze minorenni, almeno dal 2002 al 20045, nella sua residenza di New York e nella sua tenuta in Florida. Già dieci anni fa era stato condannato per gli stessi reati, ma ora a tremare erano i pezzi da novanta dell’establishment, americano e non solo: da Trump a Clinton, dall’ex premier israeliano Ehud Barak al principe Andrea d’Inghilterra. Strana morte, scrive Zara Muradyan su “Sputnik News”, in una nota tradotta da “Come Don Chisciotte”: l’improvvisa fine di Epstein arriva poche settimane dopo «le affermazioni secondo cui il finanziere americano il 23 luglio era stato trovato ferito e inconscio sul pavimento della sua cella a Manhattan», nel Metropolitan Correctional Center. All’epoca, diversi media avevano suggerito che avrebbe potuto tentare il suicidio. Eppure, «la dinamica degli eventi non è stata chiarita». Epstein era stato trovato privo di sensi e «con segni sul collo che, apparentemente, sembravano autoinflitti». Da allora, «era stato messo sotto sorveglianza speciale anti-suicidio». Risultato: si sarebbe suicidato lo stesso, il 10 agosto. Una storia che puzza da lontano: Wayne Madsen, già dirigente della Nsa, accusa esplicitamente il Mossad israeliano.
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Europeisti vampiri e populisti licantropi. Per loro, siamo cibo
L’attuale contrapposizione fra europeisti e populisti ci viene raccontata come una versione semplificata della saga di Underworld, con gli europeisti nel ruolo dei vampiri, e i populisti in quello dei lycan, i licantropi. La similitudine è calzante: i vampiri sono aristocratici crudeli e corrotti, i lycan, a lungo asserviti ai vampiri e sfruttati come cani da guardia, hanno ragione di ribellarsi, ma sono comunque lupi, belve, che pure nella loro forma umanoide continuano a seguire le brutali e ferine logiche del branco. Nella realtà però, e nella stessa saga di “Underworld”, le cose sono più complicate, ci sono ibridi vamp-lycan, doppiogiochisti e voltagabbana d’ogni specie. Inoltre, nel mondo reale il vero capobranco dei populisti mannari è indubbiamente un vampiro, Vladimir Putin, che li adopera come truppe di terra contro la rivale casata vampira di Aquisgrana, presieduta da Merkel e Macron, che però ha comunque vinto 4 a zero la partita delle nomine europee anche con la complicità del governo Grilloverde, che in cambio ha temporaneamente evitato la procedura d’infrazione. Perché i populisti mannari nostrani hanno tutto dei canidi, tranne la fedeltà.Rispetto alla saga, nel nostro mondo non ci sono nobili ribelli alla Selene, né tanto meno eroi messianici alla Lucian, ma i doppiogiochisti abbondano sempre più aggrovigliati negli inciuci come un Laocoonte, non di marmo, ma di merda. C’è però una verità semplice e lineare che la saga e la realtà condividono in pieno: per entrambe le specie di predatori bipedi, gli umani come noi sono soltanto cibo. Invece di dividersi nella scelta fra le due, una dicotomia falsa quanto la democrazia che sostiene, tutti gli umani dovrebbero organizzarsi per combatterli entrambi. Non sono certo invincibili come vogliono sembrare. I vampiri sono accecati dalla superbia, i licantropi dalla fame. Il vantaggio evolutivo della specie umana, anche sui predatori più feroci, è sempre stato l’intelligenza. Adoperiamola, prima che sia troppo tardi.(Alessandra Daniele, “Underworld”, da “Carmilla” del 7 luglio 2019. “Carmilla” è un supplemento di “Progetto Memoria”, diretto dallo scrittore Valerio Evangelisti. Sul blog “Schegge Taglienti”, l’autrice si presenta con queste parole: «Mi chiamo Alessandra Daniele, e dal 2006 sono fra i redattori di Carmilla, per la quale ho scritto più di 650 fra articoli, corsivi, recensioni, e racconti brevi. Ho collaborato a quattro antologie cartacee: due progetti collettivi Creative Commons che ho contribuito a ideare, “Sorci Verdi” (Alegre, 2011) “Scorrete lacrime, disse lo sceriffo” (Crash, 2008) l’antologia urban horror “Sinistre Presenze” (Bietti, 2013) e “Immaginari Alterati” (Mimesis, 2018)». Ha pubblicato due diverse raccolte dei suoi testi carmilliani: “Schegge Taglienti” (Agenzia X, 2014) e l’ebook gratuito “L’Era del Cazzaro” (Carmilla, 2016). C’è un suo racconto anche nella raccolta fotografica “Banditi dell’alta felicità”, edita dal movimento NoTav. Alessandra Daniele tiene a precisare di non essere presente né su Facebook né su Twitter).L’attuale contrapposizione fra europeisti e populisti ci viene raccontata come una versione semplificata della saga di Underworld, con gli europeisti nel ruolo dei vampiri, e i populisti in quello dei lycan, i licantropi. La similitudine è calzante: i vampiri sono aristocratici crudeli e corrotti, i lycan, a lungo asserviti ai vampiri e sfruttati come cani da guardia, hanno ragione di ribellarsi, ma sono comunque lupi, belve, che pure nella loro forma umanoide continuano a seguire le brutali e ferine logiche del branco. Nella realtà però, e nella stessa saga di “Underworld”, le cose sono più complicate, ci sono ibridi vamp-lycan, doppiogiochisti e voltagabbana d’ogni specie. Inoltre, nel mondo reale il vero capobranco dei populisti mannari è indubbiamente un vampiro, Vladimir Putin, che li adopera come truppe di terra contro la rivale casata vampira di Aquisgrana, presieduta da Merkel e Macron, che però ha comunque vinto 4 a zero la partita delle nomine europee anche con la complicità del governo Grilloverde, che in cambio ha temporaneamente evitato la procedura d’infrazione. Perché i populisti mannari nostrani hanno tutto dei canidi, tranne la fedeltà.
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Carpeoro: ma con questi politici, l’Italia resterà sottomessa
Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.Bisogna avere il coraggio di dire, agli italiani: “Io sono a lungo termine; se pretendete da me gli 80 euro il mese prossimo, rivolgetevi a qualcun altro”. Se poi gli italiani preferiscono così… Ma in questo modo il “qualcun altro” dura solo un giro, come Renzi. Nel frattempo restiamo sottomessi ai diktat del regime politico-finanziario europeo? L’Italia non deve contestare l’Europa, deve contestare il modo in cui è stata rappresentata la sua situazione economica. Il nostro paese ha il patrimonio artistico più grande del mondo, che non viene minimamente valutato. Gli altri, nei bilanci mettono finanche le noccioline; e noi non possiamo mettere a bilancio il nostro patrimonio artistico? Non è un bene? Non è un valore? Non è un patrimonio? Se io a casa ho un Renoir, nella dichiarazione dei redditi lo devo indicare. Invece lo Stato, nella “dichiarazione dei redditi” che fa per l’Europa, non ci può mettere il Colosseo. Se noi ottenessimo la revisione dei parametri economici – per un discorso di verità, non di bugia – possono garantire che il debito pubblico verrebbe azzerato. Gli stessi trattati europei non escludono neppure che, nel proprio patrimonio, si possano indicare dei beni di cui effettivamente si dispone. Non si tratta di rivedere le leggi, ma solo di dire la verità: di fare cioè delle dichiarazioni patrimoniali veritiere.Non osiamo farci valere: dipende dalla scarsa personalità dei nostri politici? Sono ricattabili, i politici italiani: tutti. Quindi, nel momento in cui alzano la voce, qualcuno gli telefona e gli dice: attenti, che in archivio ho un dossier, su di voi. Chi ha i dossier? I vari Attali, i vari Ledeen. Quali interessi difendono? I loro. Sono interessi anche personali: secondo voi questi personaggi chiedono la carità all’angolo della chiesa? Lavorano per banche, fondazioni finanziarie: tutte cose che hanno creato loro, che gestiscono loro, che manipolano loro. Le banche e gli organismi finanziari sono cose neutre, astratte: tutto dipende da chi li governa, da come li gestisce. E’ quello che intendo, quando parlo di “sovragestione”. Sarebbe un danno, per loro, se l’Italia potesse riscattarsi? No, non sarebbe un danno. Hanno semplicemente interesse a speculare sulle disgrazie: e quelle dell’Italia sono ottime, per specularci. Ma è solo una questione di guadagno: non hanno niente, contro l’Italia. Vorrei confortare tutti quanti: non c’è un odio verso il nostro paese. E’ come con la Grecia: nel momento in cui c’è la disgrazia, ci si specula sopra. Così funzionano, i pescecani. E la nostra disgrazia consiste nel fatto che, a suo tempo, non abbiamo rivendicato il nostro reale assetto economico e patrimoniale. Responsabilità di chi sedette al tavolo delle trattative per conto dell’Italia: è chiaro che la partita la perdi, se non cali i tuoi assi.Per contro, a quel tavolo non potevamo non sederci. Se fossimo rimasti fuori dal club europeo avrebbero strangolato la lira in modo inimmaginabile – come infatti stava già accadendo prima ancora dell’euro: don lo Sme e con la grande speculazione, la lira si sarebbe trasformata in una moneta ridicola. Mi si fa notare che un paese come la Corea del Sud è rimasto felicemente indipendente? Certo, ma in quel caso non hanno fatto l’Unione Asiatica: lì non c’è quel tipo di connessione finanziaria e di sovragestione che c’è da noi. Nel nostro caso, la sovragestione finanziaria esisteva già – prima ancora della creazione dell’Unione Europea. La grande speculazione c’era, eccome. La sterlina non è stata affatto strangolata? Certo, perché ha un impero suo: si chiama Commonwealth. Ha risorse, mercati e vie d’uscita enormi. Per questo la Gran Bretagna è stata costretta a uscire, dall’Ue: stava perdendo il Commonwealth. Ci sarà il boom del Brexit Party? Ormai in Inghilterra non si capisce più niente. Comunque il Regno Unito può andare dove vuole, tanto non va da nessuna parte, oggi. Se l’Europa fosse un organismo intelligente, darebbe all’Inghilterra una moratoria di 10 anni. Le direbbe: “Fa’ quello che vuoi. Esci, resta”. Invece di strangolarla, le dovrebbe dire: “Hai dieci anni di tempo, per decidere quello che vuoi fare”. Ma l’Europa non è un organismo intelligente.Ora si contestano anche le radici cristiane dell’Europa. Ma qualcuno può negare che il Cristianesimo faccia parte della storia europea? Fino al 100 dopo Cristo era un soggetto estraneo, limitato a una tradizione mediorientale. Poi ha fatto irruzione in Occidente – come anche il mitraismo e il sincretismo alessandrino, che univa le religioni greca, egizia e mitraica. C’erano tante influenze, perché ormai l’Impero Romano era una entità internazionale: c’era stata una specie di globalizzazione, e quindi è arrivato anche il Cristianesimo. Il problema? Aveva successo. Nei primi tre secoli del primo millennio era diventato, nell’Impero Romano, la religione maggioritaria. Al punto che Costantino fiutò la possibilità di farne una base solida del proprio potere imperiale, e così lo dichiarò religione di Stato. E dire che i cristiani erano stati perseguitati anche sanguinosamente, da imperatori come Traiano. Il guaio è che, una volta diventato religione di Stato, il Cristianesimo ha preso tutti i vizi del potere. Nella sua dimensione strutturale (che prima non aveva) si è plasmato proprio sul potere imperiale. E questa crescita – compresa questa sorta di tara – si è poi trasferita, pari pari, da impero a impero: dall’Impero Romano, poi sgretolato dalle invasioni, al risorgente Sacro Romano Impero.Il Sacro Romano Impero si fondava sul Cristianesimo: era il suo pilastro, tant’è vero che tutti gli imperatori venivano incoronati dal Papa (salvo momenti di frizione e conflitto per il potere materiale). Proprio il Sacro Romano Impero ci ha accompagnato direttamente fino alle porte dell’umanesimo e del Rinascimento. E cosa ha trasferito, fino ai giorni nostri? La trazione franco-germanica: comandavano francesi e tedeschi, esattamente come oggi. Questa è la vera radice europea. La storia ha una grande forza: esiste anche per chi non la riconosce. Contestare le radici cristiane dell’Europa (che non sono le uniche) è sbagliato. E’ un passaggio retorico, ma comunque irrilevante: perché alla fine la verità è che, oggi come allora, comandano i francesi e i tedeschi (a prescindere dalle istituzioni formali europee). Certo, la ricostruzione della storia non è facile, e spesso non è così veritiera. Abbiamo esempi anche recenti: una certa retorica vuole che l’Italia sia stata liberata dai partigiani, ma – se non fossero sbarcati gli americani – qui si girerebbe ancora con l’orbace.I partigiani sono stati il simbolo della reazione di una parte nobile del popolo, ma in pratica – piaccia o meno – l’Italia è stata liberata dagli americani. Si può discutere anche sul concetto di “liberazione”, certo. Ma resta il fatto che l’Italia, da sola, non si sarebbe liberata del fascismo. Americani o russi, non importa: qualcuno, da fuori, doveva intervenire. Liberata e rioccupata? Normale: la penisola è sempre stata occupata. E’ come il cesso della stazione, l’Italia: non lo trovi mai libero. Ma siamo noi che ci facciamo occupare. Non l’abbiamo difeso in niente, il nostro paese. Non abbiamo il senso dello Stato, ci manca il senso della nazione. Seguiamo poco persino la nazionale di calcio, perché non è divisiva: preferiamo le squadre di club, perché siamo campanilisti. Qualcuno si domanda perché Napoleone spogliò l’Italia di tanta arte: era il prezzo da pagare per il supporto dei francesi contro l’Impero Austro-Ungarico? Ma tutti quelli che sono venuti in Italia hanno spogliato il nostro paese. Ben prima di Napoleone, il Re di Francia (Francesco I) si portò via Leonardo: non si prese soltanto l’arte, ma pure l’artista.Alla vigilia delle elezioni europee hanno azionato una tenaglia attorno a Salvini. Esempio: la nave Sea Watch. Salvini non voleva che entrasse nel porto, invece c’è entrata. Come? Grazie alla magistratura, che l’ha sequestrata. Quindi l’ha fatta attraccare e ha fatto esattamente quello che Salvini non voleva: ha fatto sbarcare i migranti. Poi vedrete che l’inchiesta verrà archiviata, ma intanto Salvini è stato beffato. E faranno sbarcare tutti i migranti in questo modo: ormai hanno capito come fare. Ogni volta che Salvini dirà “questa nave non entra”, la magistratura la sequestrerà e farà sbarcare i migranti. Ormai hanno trovato il trucco. Ma vi pare che le cose si possano fare così? D’altro canto, Salvini ha commesso i suoi errori. Questi politici hanno tutti lo stesso difetto: mettono le ambizioni al di sopra del progetto. Salvini pensa di prendere i voti solo con il culto della personalità. E questo in Italia funziona, ma solo a breve termine. Funziona per chi vuole vincerne una sola, di elezione. Chi vuole vincerne tante, invece, deve fare operazioni a lungo termine. Peraltro, in Italia, nell’immediato non si può fare più niente. Siamo talmente “imbalsamati” che gli obiettivi immediati ce li dobbiamo scordare. Dobbiamo capire tutti che ci tocca versare lacrime e sangue: fare fatica, facendo le cose giuste, però – perché adesso abbiamo lacrime, sangue e fatica ma facendo le cose sbagliate.
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Carpeoro: Palme fu ucciso perché voleva abolire la povertà
Il 28 febbraio del 1986 io ero in piazza Duomo 19 a Milano, nell’ufficio di Bettino Craxi, quando arrivò la notizia dell’uccisione di Palme. Non ero da solo. C’era la deliziosa Alma Cappiello, avvocato e parlamentare socialista. C’era Luciano Belipaci, che era il presidente del Circolo Rosselli (da cui quel giorno nacque il Circolo Olof Palme). C’era Enzo Saponara, che era il segretario dei giovani socialisti. C’erano tante persone. Noi lo sapevamo bene, chi era Olof Palme, ma in Italia non è che lo sapessero benissimo. Era il leader dei socialisti europei, e non perché qualcuno l’avesse eletto. Ci sono due modi di essere leader: per autorità e per autorevolezza. Tanti preferiscono il primo, pochi arrivano al secondo. Tutti i socialisti d’Europa pendevano dalle labbra di Olof Palme, perché aveva realizzato la rivoluzione copernicana del socialismo. Aveva scritto, detto e insegnato – in tutte le salse – che il socialismo doveva superare Marx e il classismo. Il socialismo si era sclerotizzato nella cosiddetta lotta di classe. Anzi: aveva figliato il comunismo, sulla base della lotta di classe. Immaginava le classi come le placche dell’arteriosclerosi nel sangue di una persona invecchiata precocemente. Una situazione sclerotica, schematica, intoccabile, con classi sociali ciascuna con le sue colpe e le sue caratteristiche, mentre una sola aveva dei meriti.Si immaginava una nobiltà anti-rivoluzionaria e una borghesia rivoluzionaria solo nel Settecento, mentre l’unico vero corpo rivoluzionario era il proletariato. Questa è una teoria esoterica: si sfiorava la religione. Olof Palme non accettò questa teoria. Rifiutò il concetto di classe. Disse: se proprio vogliamo enfatizzare la parola classe, possiamo dire che una classe (che cambia, di tempo in tempo) è la categoria di persone che ha gli stessi bisogni, le stesse necessità – non gli stessi interessi. Perché, secondo lui, un socialista non doveva occuparsi degli interessi, ma delle necessità. Questa era la sua visione, condivisibile o meno. Ma è una visione veramente rivoluzionaria, perché scardinava la base del marxismo – una base esoterica, ideologica, mistica. La scardinava: la toglieva dai cardini e lasciava la porta aperta. Quando Claudio Martelli iniziò a utilizzare il termine “area laica e socialista”, lo fece perché quel termine l’aveva inventato Olof Palme. E lo aveva anticipato in un pranzo, in occasione di un convegno in Germania, nel quale aveva detto: noi dobbiamo creare l’area laica e socialista. Significava allargare il concetto di socialismo: non nei confronti di tutte le speculazioni classiste e pseudo-rivoluzionarie che lo avevano quasi completamente ammorbato, nonostante il distacco dal comunismo. Significava che la vera mediazione doveva avvenire nei confronti della cultura illuministica. Cioè: il socialismo si doveva riconciliare con l’umanesimo illuminista.In Italia, umanesimo illuminista voleva dire per esempio repubblicani, liberali, radicali, reduci del Partito d’Azione: tutti eredi, come i socialisti, della Rivoluzione Francese. Pochi anni dopo la Rivoluzione, infatti, a Parigi c’erano i socialisti: c’era Saint-Simon, c’era Proudhon, c’era Blanqui, c’era Blanc (il cosiddetto socialismo utopistico). Sapete, quando uno ti vuole delegittimare – senza offrire argomentazioni – ti dice che sei un utopista. Ma è una cosa bellissima, l’utopia: è un non-luogo (“ou-topos”). Significa che tutto quello che avviene in un non-luogo è utopistico; ma non significa che non esista, e non significa neanche che non possa essere degno di attenzione. Il problema è che Palme l’aveva fatta, questa rivoluzione – era colpevole di farla fatta – e in un contesto che non era molto favorevole (quello di adesso lo è ancora meno, perlatro), dove comunque gli altri leader socialisti europei erano in difficoltà. Craxi cominciava a perdere la salute, e il diabete galoppante gli provocava anche scatti caratteriali imprevedibili; Mitterrand era in pieno bonapartismo, per cui non è che fosse proprio affidabile; e Schmidt è la persona più piatta che si sia conosciuta nella storia del socialismo europeo. Capirete che non erano proprio passeggiate di salute. Eppure, Palme era stato capace di gettare le basi del socialismo europeo.Tanto era stato fondamentale, Palme, per il socialismo europeo, che poco prima di venir ucciso era candidato – dato per vincente – a diventare segretario generale dell’Onu. Poteva essere un modo comodo per toglierlo dalla guida del governo svedese, e per allontanarlo dalla gestazione di questa Europa che abbiamo visto nascere? Per come uno conosce Olof Palme, in realtà, l’elezione alle Nazioni Unite poteva essere un’arma a doppio taglio. Rimane il fatto che questo personaggio, che nel 1968 era a Praga a manifestare contro i carri armati sovietici, che nei primi anni ‘70 promosse una mozione dell’Onu contro la guerra in Vietnam, e che nel 1974 andò in Sudafrica a manifestare per la scarcerazione di Nelson Mandela, non si era fatto molti amici: era stato capace di contestare chiunque. Ma aveva un solo riferimento: la vera guida di Olof Palme era la libertà, intesa nell’accezione iniziatica del termine. Libertà non è fare ciò che che vuoi, è sapere quello che si vuole. La libertà è, prima di tutto, una consapevolezza della nostra mente: è uno stato mentale, la libertà, prima di essere uno stato fisico. Io ho fatto l’avvocato: in galera ho conosciuto persone libere, e ho conosciuto persone che erano “in galera” da libere. Perché prima di essere una condizione sociale, politica, giudiziaria – la libertà è uno stato mentale. Io ho conosciuto menti sempre libere, dovunque fossero, qualunque cosa facessero, così come ho conosciuto menti prigioniere (dovunque fossero, e qualunque cosa facessero).Olof Palme era una mente libera, e questa sua mente libera gli ha fatto superare il socialismo adottando un economista – Rudolf Meidner – che è l’uomo che ha inventato il cosiddetto “progetto economico svedese”. Un progetto rivoluzionario: realizzato con la creazione di fondi di comproprietà delle aziende a favore dei sindacati (in quota, certo: non si mise a nazionalizzare); con la previsione di un tipo di contribuzione assistenziale, previdenziale e sanitaria rivoluzionaria. E’ vero, all’epoca usò una leva fiscale piuttosto consistente, ma non so se oggi farebbe la stessa cosa, perché già nel suo secondo mandato attenuò il prelievo fiscale. Evidentemente, si regolò sul contesto economico contingente. Ma la sua regola ispirativa era questa: la politica e lo Stato devono rispondere alle necessità dei cittadini, e il compito di una forza politica è quello di stabilire quali sono le priorità, rispetto a queste necessità. Due elementi fondamentali, dei quali nessun altro politico, all’epoca sua, tenne conto. Dopo Palme ci ritrovammo Blair, Hollande. Pensate che, attualmente, nel direttivo del Partito Socialista Europeo il nostro rappresentante è la Mogherini. Lei fa l’anestesista: nel senso che tu non senti nulla (né dolore, ma neanche piacere).La chiamo “eutanasia del socialismo”: il socialismo si è ucciso da solo, dopo la morte di Palme, perché è mancato un tipo di guida a dei personaggi che non erano in grado di fare, da soli, la “nuova era” socialista. Nemmeno Craxi lo era: grande politico e grande statista, ma non era Palme. Così il socialismo si è suicidato. In che modo? Ha svenduto il suo marchio, senza chiedere garanzie sui contenuti – così come si svende tutto, nel sistema di potere contemporaneo. Il potere oggi si impossessa di marchi, cancella quello che c’è sotto (e quello che c’è stato prima) e poi lo utilizza. E’ successo parzialmente anche con la massoneria, con le religioni. Sapete, una cosa illuminante su cui farsi domande è questa: perché non c’è nessuna religione che dichiari che la povertà è illegittima? Tutte le religioni chiedono di aiutare i poveri. La povertà la danno come inevitabile, inesorabile. Era anche uno degli argomenti di Palme, impegnato in quel suo assistenzialismo così avanzato. Queste cosiddette dottrine spirituali ci vengono a dire: aiutate i poveri. Non ci dicono: facciamo in modo che non esistano più, i poveri. Vi siete mai chiesti perché?(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate al convegno “Nel segno di Carlo Rosselli, Olof Palme e Thomas Sankara, contro la crisi della democrazia”, promosso il 3 maggio 2019 a Milano dal Movimento Roosevelt. A margine dei lavori, Carpeoro – avvocato e saggista, a lungo collaboratore di Craxi – ha aggiunto che Palme fu ucciso da agenti di un servizio segreto, probabilmente bulgaro, su ordine della P2 di Gelli, per conto della massoneria reazionaria internazionale. Nel saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, uscito nel 2016 per Revoluzione, Carporo ricorda che – alla vigilia del premier socialdemocratico scandinavo – Licio Gelli telegrafò al senatore statunitense Philip Guarino il seguente messaggio: “La palma svedese sta per cadere”. Carpeoro spiega che Guarino era il braccio destro di Michael Ledeen, influente storico e politologo statunitense di origine ebraica, membro del B’nai B’rith – esclusiva massoneria del Mossad – nonché del Jewish Institute. Sempre secondo Carpeoro, dopo aver danneggiato lo stesso Craxi (provocando la crisi di Sigonella, traducendo in modo fuorviante le parole di Reagan durante una conversazione telefonica tra il presidente Usa e il premier italiano), Ledeen avrebbe “sovragestito” Antonio Di Pietro, quindi Matteo Renzi e contemporanamente Luigi Di Maio).Il 28 febbraio del 1986 io ero in piazza Duomo 19 a Milano, nell’ufficio di Bettino Craxi, quando arrivò la notizia dell’uccisione di Palme. Non ero da solo. C’era la deliziosa Alma Cappiello, avvocato e parlamentare socialista. C’era Luciano Belipaci, che era il presidente del Circolo Rosselli (da cui quel giorno nacque il Circolo Olof Palme). C’era Enzo Saponara, che era il segretario dei giovani socialisti. C’erano tante persone. Noi lo sapevamo bene, chi era Olof Palme, ma in Italia non è che lo sapessero benissimo. Era il leader dei socialisti europei, e non perché qualcuno l’avesse eletto. Ci sono due modi di essere leader: per autorità e per autorevolezza. Tanti preferiscono il primo, pochi arrivano al secondo. Tutti i socialisti d’Europa pendevano dalle labbra di Olof Palme, perché aveva realizzato la rivoluzione copernicana del socialismo. Aveva scritto, detto e insegnato – in tutte le salse – che il socialismo doveva superare Marx e il classismo. Il socialismo si era sclerotizzato nella cosiddetta lotta di classe. Anzi: aveva figliato il comunismo, sulla base della lotta di classe. Immaginava le classi come le placche dell’arteriosclerosi nel sangue di una persona invecchiata precocemente. Una situazione sclerotica, schematica, intoccabile, con classi sociali ciascuna con le sue colpe e le sue caratteristiche, mentre una sola aveva dei meriti.
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L’ignaro Jovanotti, entusiasta dei “nemici” che denunciava
Oggi, non so come mai, mi è tornata in mente la favola dell’Ignaro Jovanotti. La conoscete? L’Ignaro Jovanotti era quello che a Sanremo 2000 cantava “Cancella il debito” in riferimento ai debiti insostenibili dei paesi africani. Successivamente, nel 2005, cantava in concerto a Roma insieme a Piero Pelù e a Ligabue il pezzo pacifista “Il mio nome è mai più” in riferimento alla guerra in Iraq e alla crudeltà delle guerre in generale. Uno dei passaggi faceva più o meno “Io non le lancio più, le vostre sante bombe”. Poi però, nel suo bel girovagare pallido e assorto tra Tv, radio e giornali, un giorno l’Ignaro Jovanotti fu invitato ad un incontro annuale tra i potenti economici del mondo, che si svolge praticamente a porte chiuse, e dove i giornalisti che possono entrare devono firmare delle liberatorie su quello che possono dire e quello che non possono dire. L’Ignaro Jovanotti dopo qualche settimana viene intervistato sull’accaduto. E racconta di aver incontrato «perFone per bene, perFone che non sono mantenute, capisci?». E continua: «Queste sono perFone che il lavoro lo creano, non aspettano mica la manna dal cielo…».In pratica l’Ignaro Jovanotti si è trovato davanti gli stessi che detengono il debito dell’Africa, contro i quali cantava nel 2000, e gli stessi mandanti delle bombe in Iraq e in tante altre guerre, contro cui cantava nel 2005. E non li ha mica riconosciuti! Del resto saranno stati così eleganti, profumati, puliti e cordiali! PerFone per bene!!! Ecco, questo è un tipico esempio di come – ignorando la visione d’insieme – una “perFona per bene”, mossa da ideali nobili e ammirevoli, possa venire strumentalizzata e presa per il culo diventando complice del suo nemico. E a sinistra ce ne sono parecchi così. Come il nostro amabile, pacifico e dolce, ma Ignaro, Jovanotti.(Domenico Rondoni, testo apparso su Facebook e ripreso sul blog “Micidial” il 4 aprile 2019 da Massimo Bordin, che scrive: «Questa riflessione di Domenico Rondoni su Facebook ha ottentuo 50 condivisioni. Pochissime, se rapportate alla qualità dell’intervento. Con ironia il post di Rondoni sintetizza i danni psicologici che affliggono l’intellighenzia italiana, la maggior parte degli artisti e dei radical chic del Belpaese». Bordin ha scelto di riportarlo integralmente perché, sostiene, «merita di essere letto e poi scolpito nella pietra»).Oggi, non so come mai, mi è tornata in mente la favola dell’Ignaro Jovanotti. La conoscete? L’Ignaro Jovanotti era quello che a Sanremo 2000 cantava “Cancella il debito” in riferimento ai debiti insostenibili dei paesi africani. Successivamente, nel 2005, cantava in concerto a Roma insieme a Piero Pelù e a Ligabue il pezzo pacifista “Il mio nome è mai più” in riferimento alla guerra in Iraq e alla crudeltà delle guerre in generale. Uno dei passaggi faceva più o meno “Io non le lancio più, le vostre sante bombe”. Poi però, nel suo bel girovagare pallido e assorto tra Tv, radio e giornali, un giorno l’Ignaro Jovanotti fu invitato ad un incontro annuale tra i potenti economici del mondo, che si svolge praticamente a porte chiuse, e dove i giornalisti che possono entrare devono firmare delle liberatorie su quello che possono dire e quello che non possono dire. L’Ignaro Jovanotti dopo qualche settimana viene intervistato sull’accaduto. E racconta di aver incontrato «perFone per bene, perFone che non sono mantenute, capisci?». E continua: «Queste sono perFone che il lavoro lo creano, non aspettano mica la manna dal cielo…».
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Cavalli spara sull’orco Salvini? Così la sinistra si estinguerà
«E se Salvini fosse niente?». O meglio: «Niente mischiato con niente», nemmeno con la malta incolore del post-ideologico? Forse è solo «il formidabile intercettatore di ciò che la gente si vuol far sentire dire, disponibile ad abbracciare qualsiasi ideologia e poi contraddirla seguendo l’algoritmo della pancia degli italiani, come ha appena fatto per la cittadinanza di Ramy», che in poche ore – da “parente di pregiudicati” è diventato addirittura “un figlio”, avendo capito, il leader leghista, «che la maggioranza degli italiani non voleva sentir parlare di burocrazia per il ragazzino eroe». A sparare su Salvini, dalle pagine web de “Linkiesta”, stavolta è l’attore e scrittore Giulio Cavalli, già minacciato dalla mafia e impegnato in Lombardia prima col rozzo giustizialista Antonio Di Pietro (Italia dei Valori) e poi con il post-comunista Nichi Vendola (Sinistra Ecologia e Libertà). La furia iconoclastica di Cavalli si abbatte sul vicepremier gialloverde, dipinto come un mostro di cinismo e spregiudicatezza, capace di essere «tutto e il contrario di tutto». Ovvero: «Da anti-napoletano a patriota amico del Sud». Voltafaccia? Sbagliando, Cavalli imputa a Salvini anche una retromarcia sulla Torino-Lione, dimenticando che la Lega non è stata mai NoTav, ma sempre favorevole alla “grande opera inutile” della valle di Susa.Per Cavalli, Salvini ha cambiato casacca anche in politica estera: da anti-Usa sarebbe diventato pro-Trump, «facendo anche arrabbiare l’amichetto Putin». Anche qui: ai tempi di Bossi, la Lega Nord si schierò con Milosevic e contro i bombardamenti su Belgrado ordinati da Clinton, ma restò alleata del Berlusconi “amico” di Bush, il più che ambiguo presidente del G8 di Genova e poi soprattutto dell’11 Settembre. Quando Salvini ereditò un partito ridotto al 4%, alla Casa Bianca c’era Obama: è per frenare il neo-imperialismo bellicista dei “democrat” che Salvini si avvicinò a Putin, tifando però apertamente per Trump, prima ancora che venisse eletto. Secondo Cavalli, invece, il demone Salvini rivela «la spregiudicatezza di chi è pronto a vivere una contraddizione» pur di «racimolare più voti, accontentare più stomaci, infiammare la claque». Debolezza ideologica: «Salvini non ha un’ideologia perché non ha un’idea sua», sostiene Cavalli. Il capo della Lega, di cui evidentemente non si tollera il successo elettorale, «vive ascoltando il pensiero comune e lo trasforma in promessa politica». Come per «una digestione veloce che non si preoccupa del sapore dei cibi», il boss leghista sarebbe addirittura «pronto a infornare merda», testualmente, per poi «rivenderla come cioccolata, se è il popolo a chiederlo».Visto così, l’orco Salvini sembra un’inammissibile anomalia dentro uno zoo che, senza di lui, sarebbe perfetto. Fuori di polemica: come “voltafaccista” Salvini è un dilettante, rispetto ai 5 Stelle (vaccini, F-35, Tap). E quale nobile impianto idologico rileva, Cavalli, nell’encefalogramma politicamente piatto di Berlusconi e Tajani? Quale segno di vita rintraccia nell’altro zombie, il Pd, che ancora non sa trovare il coraggio autocritico di denunciare l’impostura tecnocratica dell’austerity, che poi è esattamente la fonte della crisi che ha gonfiato le vele degli insopportabili gialloverdi? Vola basso, Cavalli: «Qui siamo oltre la fluidità di Renzi, che riusciva a dire impunemente cose di destra fingendo una posa di sinistra». Lessico da età della pietra: dov’era, la “sinistra”, quando l’Italia veniva immolata sull’altare della falsa Europa? Fischiava il perfido Berlusconi, senza accorgersi che proprio agli eredi della tradizione social-comunista – D’Alema, Prodi e compagnia – il vero potere oligarchico, finanziario e plutocratico affidava il compito strategico di smantellare l’Italia, deindustrializzarla e privatizzarla, senza che nessuno – elettorato, sindacati – muovesse un dito per denunciare lo smottamento anti-nazionale che avrebbe provocato il disastro (di cui oggi raccolgono i cocci, in termini elettorali, proprio la Lega e i 5 Stelle).Per Cavalli, invece, Salvini è «perfino oltre la post-ideologia di Di Maio, che altro non è che un vuoto rimbombante». Ma vogliamo parlare della post-ideologia di Veltroni? O di quella di Carlo Calenda, secondo cui «potremmo pure fare più deficit, ma poi nessuno ci comprerebbe il nostro debito?». Post-ideologia, appunto: ai tempi della “sinistra”, il debito era ancora pubblico. A “privatizzarlo” di fatto fu l’eroe Ciampi, che costrinse l’Italia a rivolgersi al mercato finanziario dei cosiddetti investitori, quelli che per Calenda sono e restano l’unico interlocutore possibile. Non c’è alternativa: lo diceva la Thatcher, e da allora “la sinistra” (anche italiana) si è semplicemente adeguata. Anche perché a dare gli Stati in pasto a Wall Street era stata un’altra “sinistra”, quella statunitense: fu proprio Clinton ad abolire il Glass-Stegall Act, la separazione tra banche d’affari e credito alle imprese, scatenando gli appetiti smisurati della speculazione. Per i fondi d’investimento, da allora, divenne un vero business acquisire titoli del debito, da Stati costretti a mettersi all’asta. E in tutto questo “che c’azzecca”, come avrebbe detto Di Pietro, il Salvini che aveva 8 anni al tempo dello sciagurato divorzio fra Tesoro e Bankitalia, e poco più di 20 quando Clinton regalò il mondo ai finanzieri?Connessioni elementari, che però Giulio Cavalli sembra non voler cogliere, nella sua invettiva semplicistica contro l’estetica discutibile e spesso indigesta del salvinismo. L’eco della storia affiora solo a fette grosse, scomodando paroloni, nel classico ricorso all’armamentario dell’antifascismo convenzionale: Salvini, scrive Cavalli, «fa il fascista quando l’anima fascista del paese spinge per chiedere un gesto», ma poi riesce a irritare “Primato Nazionale”, cioè CasaPound, «per il suo diventare improvvisamente europeista». Europeista Salvini? Socio di Macron, Merkel e Juncker? Urgono spiegazioni, ma Cavalli sorvola. Preferisce scrivere che Salvini «lecca Bannon, lecca Trump, lecca Putin, lecca tutto ciò che i suoi algoritmi gli chiedono di leccare». Sta anche “ingoiando” gli elettori grillini, «affascinati dalla sua capacità di intercettare gli umori». Il che è «il massimo, per un elettorato che intende la politica come filiale di un fast food». Bei tempi, invece, quando un principe della politica come il post-comunista D’Alema si vantava di aver trasformato Palazzo Chigi in una merchant bank, realizzando il record europeo delle privatizzazioni. Cavalli – bontà sua – sa già che Salvini è «tutto e il contrario di tutto: fondamentalmente, niente». E sa già che «alla fine, si inchinerà ai poteri e ai potenti». Quando odiava Berlusconi, la sinistra di potere aveva appena svenduto l’Italia. Ora che odia Salvini, si candida a scomparire anche dal Parlamento. A meno che non sorga qualcosa che finalmente assomigli a un pensiero politico, che sostituisca le facili pernacchie con cui denunciare il presunto non-pensiero dell’avversario, squalificato – come sempre – innnanzitutto per la sua pretesa inferiorità morale.«E se Salvini fosse niente?». O meglio: «Niente mischiato con niente», nemmeno con la malta incolore del post-ideologico? Forse è solo «il formidabile intercettatore di ciò che la gente si vuol far sentire dire, disponibile ad abbracciare qualsiasi ideologia e poi contraddirla seguendo l’algoritmo della pancia degli italiani, come ha appena fatto per la cittadinanza di Ramy», che in poche ore – da “parente di pregiudicati” è diventato addirittura “un figlio”, avendo capito, il leader leghista, «che la maggioranza degli italiani non voleva sentir parlare di burocrazia per il ragazzino eroe». A sparare su Salvini, dalle pagine web de “Linkiesta”, stavolta è l’attore e scrittore Giulio Cavalli, già minacciato dalla mafia e impegnato in Lombardia prima col rozzo giustizialista Antonio Di Pietro (Italia dei Valori) e poi con il post-comunista Nichi Vendola (Sinistra Ecologia e Libertà). La furia iconoclastica di Cavalli si abbatte sul vicepremier gialloverde, dipinto come un mostro di cinismo e spregiudicatezza, capace di essere «tutto e il contrario di tutto». Ovvero: «Da anti-napoletano a patriota amico del Sud». Voltafaccia? Sbagliando, Cavalli imputa a Salvini anche una retromarcia sulla Torino-Lione, dimenticando che la Lega non è stata mai NoTav, ma sempre favorevole alla “grande opera inutile” della valle di Susa.
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Magaldi: senza paura, ecco il “partito che serve all’Italia”
Toh, se n’è accorta anche la televisione: il “partito che serve all’Italia” è entrato nel piccolo schermo grazie a “Coffee Break”, il talkshow mattutino condotto su La7 da Andrea Pancani. Ottima notizia, prende nota Gioele Magaldi, finora tenuto a debita distanza dalle dirette televisive. “Colpa” delle rivelazioni contenute nel suo bestseller, “Massoni”, che mette in piazza l’identità supermassonica di tanti player del massimo potere. Fatto sta che la prima riunione operativa verso il futuro partito, il 22 dicembre, è salita agli onori della cronaca nonostante fosse un incontro informale, neppure annunciato da comunicati stampa. Oltre a Magaldi, all’assise romana c’era Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, nonché Claudio Quaranta, da mesi al lavoro per far convergere su una piattaforma unitaria le tante voci dell’altra Italia, quella che non riesce a vedersi rappresentata politicamente. Con loro c’era l’economista Antonio Maria Rinaldi di “Scenari Economici”, reduce da una visita al ministro Paolo Savona. E c’era Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” e ormai volto televisivo, spesso chiamata – come Rinaldi – a fare da contraltare al pensiero unico neoliberista, quello del rigore santificato da Bruxelles come una sorta di teologia dogmatica imposta da invisibili divinità tecnocratiche. Ma nel caso la nuova formazione politica dovesse davvero sorgere, nei prossimi mesi, l’Italia sarebbe pronta a ricevere l’offerta del “partito che serve all’Italia”?Tutto può succedere, confida Magaldi a Fabio Frabetti di “Border Nights”, in una diretta web-streaming prenatalizia su YouTube. Esponente del circuito massonico progressista internazionale, il presidente del Movimento Roosevelt ha sostenuto a lungo il governo gialloverde: per mesi è stato l’unico, in Europa, a tentare di rompere l’incantesimo dell’austerity. Poi, la prima delusione: troppo timido, il 2,4% di deficit inizialmente previsto per il Def 2019. E ora, la Caporetto del governo Conte: se già il 2,4 era troppo poco per rianimare l’economia, figurarsi il 2,04 cui l’Ue ha costretto l’esecutivo italiano, che alla fine si è piegato al diktat. Sta tutta qui, probabilmente, la tempistica del rilancio del “partito che serve all’Italia”: davanti ai signori di Bruxelles non si può piegare la testa in questo modo. Anche perché – come Magaldi si incarica spesso di spiegare – dietro alla “disciplina di bilancio” non c’è un disegno orientato al benessere europeo, ma solo il piano delle oligarchie finanziarie supermassoniche di segno reazionario, che manovrano i burattini della Commissione Europea. Il vero senso della “punizione” inflitta ai gialloverdi? Dimostrare, davanti a tutti, che nell’Ue non ci si può ribellare all’autocrazia “aliena” di una nuova “aristocrazia del denaro” ben poco nobile, quella degli eurocrati non-eletti, longa manus del potere economico che ha sottomesso la politica.E’ il momento di essere eretici: non sta scritto da nessun parte che il deficit affossi l’economia. Al contrario: di contrazione della spesa si muore. Meno disavanzo vuol dire più tasse, meno consumi, meno lavoro. Come spiega il post-keynesiano Galloni, un investimento oculato in termini di spesa pubblica può “rendere” tre o quattro volte tanto, a partire dall’anno seguente, a patto però che non sia esiguo. Tradotto: già nella prossima primavera l’Italia avrebbe visto effetti benefici, sull’economia, se avesse avuto il coraggio di alzare il deficit almeno al 4%. Al governo Conte, ora che si è sostanzialmente arreso, vengono avanzate «critiche pretestuose e strumentali da parte delle pseudo-opposizioni», dalla Bonino al Pd, fino a Forza Italia. «Il governo Conte suscita simpatia – ammette Magaldi – se addirittura Monti lo rimprovera di essersi fatto scrivere la legge di bilancio dalla Commissione Europea». Aggiunge: «Con malafede e con ipocrisia plateale si contesta al governo Conte quello che hanno fatto tutti i governi della Seconda Repubblica, e in particolare quelli che si sono succeduti da Monti in poi». Governi che, naturalmente, «non facevano la manfrina che ha fatto il governo gialloverde». Non ci provavano neppure, a inscenare la rivolta contro il mortale rigore (ideologico) imposto da Bruxelles.Monti e Letta, Renzi e Gentiloni: nessuno di loro «osava dire che si sarebbe preoccupato di fare l’interesse del popolo italiano, anche scontrandosi coi vertici della tecnocrazia europea». Non hanno mai neppure finto di «fare la voce grossa e assumere atteggiamenti muscolari, per poi calarsi le braghe: se le erano già calate prima». Quindi, aggiunge Magaldi, non hanno titolo, oggi, per contestare il governo Conte. «Questi cialtroni, poi, in Parlamento lamentano presunte mancanze: Emma Bonino ha parlato di esautoramento antidemocratico delle funzioni dell’Aula». Magaldi si dice sbalordito dalla leader di “+Europa”, data la stima nella “vita precedente” dell’ex dirigente radicale: «Sono esterrefatto da questa deriva risibile e ipocrita». La Emma nazionale «è tra quelli che inneggiano a un sistema in cui il Parlamento Europeo non ha i poteri che in un qualunque contesto democratico dovrebbe avere». E, inutile negarlo, «ha fatto il cane da guardia di questa Europa». Tanti sedicenti europeisti, sostiene Magaldi, in realtà sono anti-europeisti: «Nessuno di loro, la Bonino in primis, ha mosso un dito per contestare l’attuale forma di Disunione Europea, antidemocratica o post-democratica che dir si voglia».E ora, «adusi ai meccanismi post-democratici delle istituzioni europee», i nostri finto-europeisti «vengono a fare il pianto greco, in Italia, dove il Parlamento ha comunque una sua sovranità garantita dalla Costituzione», nonostante la camicia di forza dell’Ue. Tutto ciò premesso, ribadisce Magaldi, «è chiaro che il governo Conte se le è calate, le braghe». Salvini dà segnali di malumore e fa trapelare di non essere contento? Lui e Di Maio «lanciano il sasso e nascondono la mano». Hanno preso parzialmente le distanze dallo stesso Conte: «E questo, francamente, è un modo poco dignitoso di agire», sottolinea Magaldi, «visto che Conte non era a Bruxelles per conto proprio, ma in quanto portavoce di una maggioranza parlamentare di cui Salvini e Di Maio sono i leader». Salvini diceva: «Non mi preoccupano i numeri, contano le cose che facciamo». Non è così, purtroppo: «I numeri sono le cose che fai o non fai, perché proprio da quei numeri discende la possibilità di avere risorse per fare le cose che hai promesso».Per Magaldi, questa manovra è «gravemente insufficiente». Non produrrà l’auspicato aumento del Pil, in relazione al deficit e al debito. Non ridarà dinamismo all’economia italiana, né conforto «a tutti quelli che vorrebbero una drastica riduzione delle tasse e un massiccio piano di investimenti pubblici, tale da garantire l’assorbimento della disoccupazione». E la mancanza di lavoro «è una delle cose più gravi che una generazione può subire: siamo pieni di giovani disoccupati, male occupati o rassegnati a un impiego precario». Quindi, intile nasconderselo, «questa manovra è davvero il classico topolino partorito dalla montagna: non c’è proprio di che essere contenti, e non si può certo dire di aver corrisposto alle promesse elettorali». Voltare pagina? Senz’altro: con il “partito che serve all’Italia”. Non per rinnegare gli sforzi comunque prodotti dai gialloverdi, ma per dare risposte più chiare. Imperativo categorico: muoversi a testa alta, senza più piegarsi ai diktat dei soliti noti. Brutto spettacolo, infatti, quello degli elettori delusi. Sondaggi impietosi: Lega in calo, dopo il cedimento a Bruxelles.Tutto cambia velocemente, ormai: Salvini aveva portato il partito al 36%, dopo averlo resuscitato partendo dal 4%. L’importante, dice Magaldi, è che i media non facciano finta di non saperlo: è un errore dare spazio solo a chi oggi ha più voti. «Più che sui numeri, sempre fluttuanti, i media dovrebbero basarsi sulle idee in campo, permettendo al pubblico di ascoltarle tutte. Cosa che invece – segnala Magaldi – continua a non avvenire, ad esempio riguardo ai contenuti di strettissima attualità da me portati all’attenzione del pubblico con il libro “Massoni”, uscito a fine 2014». Una specie di scandalo nazionale: un bestseller “silenziato”, che dopo quattro anni è ancora in testa alla classifica Ibs tra i saggi di argomento politico. «Eppure non c’è stato un cane che ne abbia parlato, in televisione», aggiunge l’autore. Sul piccolo schermo è invitata «gente che scrive libretti e libracci, peraltro poco letti». Sul suo libro, invece, «evidentemente c’è una circolare per tutte le televisioni del regno, in cui si dice: non invitate l’autore e non parlate del libro». Perché fa tanta paura, “Massoni”? Perché fa nomi e cognomi, ma senza scadere nel complottismo: offre un filo rosso, storico, per rileggere il Novecento tenendo conto dell’aspetto meno visibile del potere, quello incarnato dalle 36 superlogge sovranazionali che, di fatto, decidono i destini del pianeta. E oggi più che mai cercano di condizionare anche quello dell’Italia, nello scontro con l’Ue.«Sappiamo che quel libro l’hanno letto in tantissimi: tutti gli addetti al lavori». Perché Magaldi non viene invitato a parlarne nei principali talkshow? «La risposta temo sia questa: anche solo pochi minuti miei, in una qualunque trasmissione di punta, avrebbero conseguenze non digeribili dal sistema. Per cui vengono invitate persone che, anche quando dissonanti, fanno meno paura». Eppure, le idee dell’area attorno al Movimento Roosevelt non passano inosservate, se è vero che La7 ha segnalato l’assemblea del 22 dicembre a Roma: i fatti, annota Magaldi, «sembrano dare ragione al conduttore David Gramiccioli, secondo cui i media mainstream – anche senza citare la fonte – affrontavano spesso i temi toccati il lunedì, con me, nella sua trasmissione radiofonica “Massoneria On Air”». Ora, però, “Coffee Break” sembra aver sdoganato, giornalisticamente, l’ambiente politico nel quale è impegnato Magaldi. Che commenta: «Accolgo con sorpresa e compiacimento questa attenzione, non richiesta, da parte de La7: forse si stanno aprendo le maglie di un certo muro di omertà? Forse qualche giornalista televisivo ritiene di poter avere la libertà di parlare anche di progetti politici legati al sottoscritto?».Magaldi si mostra ottimista: si stanno muovendo «élite al servizio della democrazia» ma anche «molti cittadini, che dal basso vogliono rivendicare la loro sovranità». Anche i media mainstream potrebbero quindi decidersi a smettere di censurare tutto il pensiero sgradito ai padroni del vapore? Innanzitutto servono spiegazioni: se il Movimento Roosevelt è aperto a esponenti di qualsiasi partito, il “partito che serve all’Italia” vuol essere un soggetto plurale, senza protagonismi narcisistici. «Posto che in Italia c’è una crisi dei partiti e dei movimenti, ormai da tantissimi anni, e che anche Lega e 5 Stelle non appaiono più tanto convincenti, ci siamo detti che forse è il caso di perseguire anche la strada della costruzione di un partito». Ma attenzione, avverte Magaldi: non esiste ancora neppure un soggetto giuridico, c’è solo la proposta di iscriversi a una futura assemblea costituente del “partito che serve all’Italia” (nome provvisorio, in attesa che il nuovo soggetto venga poi battezzato dai suoi stessi costituenti). «In questa iniziativa sono coinvolte tante persone di pregio». Per sé, Magaldi non prenota alcun ruolo preminente: «Vogliamo contribuire a una casa comune di cittadini e rappresentati di associazioni, partiti e movimenti preesistenti, che vogliono fondersi in un nuovo progetto unitario».Quella del 22 dicembre è stata un’ottima partenza, assicura Magaldi: molti entusiasmi e parecchia concretezza. Prossima tappa, il 10 febbraio: un altro passo verso l’assemblea costituente del futuro partito. «Sarà una riunione ancora più allargata, dove verrà messa a punto un’agenda più definita». C’è anche chi annuncia l’imminente comparsa di Gilet Gialli all’italiana: «Ottima cosa, specie se tutto fosse fatto con razionalità e sapienza, cioè senza quel caos che in passato ha caratterizzato movimenti come quello dei Forconi». In altre parole: a stimolare il governo potrebbe anche servire «una protesta pacifica, forte e ferma, ma mai violenta», proprio in nome di quella democrazia che si rivendica, lungi dalle convulsioni che, in passato, sono state cavalcate dalla strategia della tensione al servizio di poteri oscuri. Eventuali Gilet Gialli a parte, secondo Magaldi «questa Italia a cavallo tra 2018 e 2019 promette bene: credo si stiano aprendo nuovi margini di manovra, e mi fa piacere che il “partito che serve all’Italia” si vada arricchendo di entusiasmi e di sguardi incuriositi, anche da parte del mainstream». Forse, nell’attuale caos politico, le maglie si diradano.In ogni caso, sul cambio di passo necessario, Magaldi ha le idee chiare: «Io credo che il riscatto democratico – per l’Italia, per l’Europa, per il mondo – nasce se gente la smette di rimproverare semplicemente gli altri, gli oligarchi, i cattivoni, i buratttinai che gestiscono male la globalizzazione e l’Europa, insieme alla casta politica che ammorba l’Italia, e così i ladroni e i corrotti, i banchieri». Lo stesso Magaldi ricorda che la sovranità democratica «è stata costruita, attraverso lotte sanguinose, da avanguardie massoniche alleate di fasce popolari più coraggiose e consapevoli». E dunque «è qualcosa che va sempre mantenuto, difeso, consolidato». Insiste: «Invece di lamentarsi del potere degli altri, forse sarebbe il caso di rendersi conto che la propria impotenza è figlia della propria inconsapevolezza». Ovvero: «Il popolo è molto più forte e temibile di qualunque potere oligarchico. E’ che questo popolo, appunto, “se la fa raccontare”, si illude». Quanto cambierebbe, la situazione, se si acquisisse – a livello di massa – la conoscenza dei temi trattati in libri come quello di Magaldi? «Se milioni di persone si rendessero conto di certe cose, magari acquisirebbero quell’orgoglio che permetterebbe loro di rivendicare la propria sovranità. E invece di piangere sul potere altrui eserciterebbero un potere in proprio. E’ il potere pacifico della democrazia: quello che ti fa capire cosa devi fare tutti i giorni, come singolo cittadino, per indurre chi ti rappresenta nelle istituzioni a fare di più e meglio».Toh, se n’è accorta anche la televisione: il “partito che serve all’Italia” è entrato nel piccolo schermo grazie a “Coffee Break”, il talkshow mattutino condotto su La7 da Andrea Pancani. Ottima notizia, prende nota Gioele Magaldi, finora tenuto a debita distanza dalle dirette televisive. “Colpa” delle rivelazioni contenute nel suo bestseller, “Massoni”, che mette in piazza l’identità supermassonica di tanti player del massimo potere. Fatto sta che la prima riunione operativa verso il futuro partito, il 22 dicembre, è salita agli onori della cronaca nonostante fosse un incontro informale, neppure annunciato da comunicati stampa. Oltre a Magaldi, all’assise romana c’era Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt, nonché Claudio Quaranta, da mesi al lavoro per far convergere su una piattaforma unitaria le tante voci dell’altra Italia, quella che non riesce a vedersi rappresentata politicamente. Con loro c’era l’economista Antonio Maria Rinaldi di “Scenari Economici”, reduce da una visita al ministro Paolo Savona. E c’era Ilaria Bifarini, “bocconiana redenta” e ormai volto televisivo, spesso chiamata – come Rinaldi – a fare da contraltare al pensiero unico neoliberista, quello del rigore santificato da Bruxelles come una sorta di teologia dogmatica imposta da invisibili divinità tecnocratiche. Ma nel caso la nuova formazione politica dovesse davvero sorgere, nei prossimi mesi, l’Italia sarebbe pronta a ricevere l’offerta del “partito che serve all’Italia”?
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Krishna, Horus, Mithra: era già Natale, ben prima di Cristo
L’etimologia del termine “Natale”, come sostantivo maschile, deriva dal latino “Natalis (nascita); “dies Natalis” significa “il giorno della nascita”. Il termine “nascere” proviene dal latino “noscere”, che significa “cominciare a conoscere” e ha le sue radici in altre lingue; è un termine collegato ai termini: notizia, nobile, celebre, konig, king. Il significato etimologico di Natale è quindi legato sia alla nascita, sia alla conoscenza. Per i Popoli del Nord, le notti dal 25 dicembre al 6 gennaio erano particolarmente sacre. Nei paesi scandinavi venivano celebrati i natali di Frey, figlio di Wodan (Wuotan: Odino), dio della natura, e di Berchta (Frigga: Holda) sua sposa, con la festa scandinava di Yule. Riservati al culto solare erano in epoca megalitica il monumento di Stonehenge (Inghilterra) e i Menhir di Carnac (Bretagna), orientati verso Est (il Sole levante). Fra i popoli celti si accendevano e si accendono tutt’ora il 25 dicembre dei sacri fuochi al dio Lug (luminoso) detto Griamainech (Viso del Sole), corrispondente al greco Hermes e al latino Mercurius. Questi fuochi sono ancor oggi conosciuti fra gli irlandesi e i montanari della Scozia, e vengono accesi in onore di Cristo.La festa del solstizio d’inverno è sempre stata associata alla celebrazione della Rinascita della Luce e dell’attesa di un “parto” miracoloso della “Vergine celeste”, “Regina del Mondo”, con la nascita del suo divino “Infante”. Il Rito della Natività del Sole, celebrato in Siria e in Egitto, era molto solenne. Al solstizio d’inverno i celebranti si riunivano in particolari santuari sotterranei (hipógei), da cui uscivano a mezzanotte esultando: «La Vergine ha partorito! La Luce cresce!». Gli antichi egiziani rappresentavano il Sole appena nato, Horus, con una “Imagine” di un Infante in cera o argilla, che mostravano ai fedeli di Iside e Osiride. La figura di Iside col bimbo Horo somiglia talmente alla Madonna col Bambin Gesù che a volte ricevette l’adorazione inconsapevole dei primi cristiani (dal “Libro dei Morti” egiziano). Iside d’Egitto, come Maria di Nazareth era la Nostra Signora Immacolata, la Stella del Mare (Stella Maris), la Regina del Cielo e Madre di Dio, ed era rappresentata in piedi sulla falce della Luna e coronata di stelle. La figura della “Vergine” dello zodiaco (Virgo) nelle antiche immagini appare come una donna che allatta un bambino, archètipo di tutte le future madonne col divino fanciullo.In India, l’antichissima religione dei primi Brahmani vedici, nei più antichi inni del “Rig-Veda”, chiama Sûrya (il Sole) e Aghni (il Fuoco) il Regolatore dell’Universo, Signore degli Uomini e il Re Saggio,e la Madre Devakî è similmente raffigurata col divino Krishna tra le braccia. Per i babilonesi, la Madre Mylitta o Istar di Babilonia era raffigurata con la consueta corona di stelle e con il divino figlio Tammuz, la cui nascita veniva commemorata nelle rituali Sacee babilonesi, feste della nascita analoghe al nostro Natale. Il periodo del solstizio al 25 dicembre ricorre anche per la nascita verginale del principe Siddharta, che fu adombrato da Buddha (l’Illuminato) allo stesso modo in cui Gesù fu adombrato da Cristo. Per la storia dell’antica Cina, Buddha nasce dalla vergine Mâyâdevi. Per i persiani, al solstizio d’inverno nacque Mithra, divinità solare di origine indo-iranica, anch’egli “nato” in una grotta, da una vergine. Fra i suoi sacerdoti si ricordano i Magi citati nel Vangelo di Matteo, sapienti astrologi e discepoli di Zarathustra-Zoroastro, che attendevano da tempo il ritorno di Mithra-Maitreia, secondo antiche profezie.Per i nabatei, popolazione araba che nel I secolo a.C. dominò la Giordania Orientale, la divinità Dusares era unita al Sole, portava l’attributo di “invincibile”, congiunto a Mithra, e il suo giorno natalizio cadeva sempre il 25 dicembre. Nel 274 d.C. Aureliano fece erigere a Roma un sontuoso tempio in onore di Mithra, e numerosi “mithrei” sorsero e si conservano tutt’ora in altre zone d’Italia, noti sotto il nome di “Hipógei”. Nell’antica Grecia veniva celebrata la festa della “Ghenesìa” (il giorno del Natalizio). Il mito di Hermes (Mercurio) presenta particolari analogie con la figura di Gesù. Nato in una grotta, figlio di Zeus (Iuppiter: Giove-Padre) e da Maia (la maggiore delle Pleiadi), Hermes è spesso rappresentato con un agnello sulle spalle, da cui deriva il suo nome di Crioforo (portatore dell’agnello). E’ anche ricordato come Guida delle Anime nella dimora dei morti (Ade-inferno). Da tale funzione deriva il nome di Ermes-Psicopompo, “accompagnatore delle anime”, e in tali vesti servì di immagine ai primi cristiani per figurare il Buon Pastore, al punto che queste identificazioni si fusero con la figura del Christo.La data del solstizio d’inverno fu ripresa dal cristianesimo per il Natale di Gesù, in coincidenza con altre feste confluite a Roma, come il “dies Natalis Solis Invicti” il Natale del Sole Invitto (il sole invincibile), il Natale di Mithra, la Nascita di Horus in Egitto e quella di Tammuz a Babilonia. Storicamente la più antica fonte conosciuta, che fissa al 25 dicembre la nascita di Gesù, è di Ippolito di Roma (170 circa- 235) che già nel 204 riferiva della celebrazione del Natale, nell’Urbe, proprio in quella data; e soprattutto Sesto Giulio Africano (211 d.C.) nella sua “Cronografia” del mondo. Inoltre ci sono anche le prove, indirette ma evidenti, contenute nei Rotoli di Qumran (“Cronaca dei Giubilei”) che confermano la tradizione apostolica secondo la quale vi erano la festività dell’Annuncio a Zaccaria il 23 settembre, la festa dell’Annuncio a Maria sei mesi dopo (25 marzo) e la nascita di Gesù nove mesi dopo (25 dicembre).Ufficialmente la festa del Natale cristiano fu fissata nel 335 d.C. dall’imperatore Costantino, che sostituì la festa natalizia di Mithra-Sole del 25 dicembre con il Natale di Cristo, chiamato dal profeta Malachia “Sole di Giustizia” e da Giovanni Evangelista “Luce del Mondo”. Da Roma la nuova festa del Natale cristiano si diffuse rapidamente in Oriente (seppure con qualche resistenza), come attestato da San Giovanni Crisostomo nell’omelia pronunciata nel 386, in cui asseriva che la festa era stata introdotta ad Antiochia una decina d’anni prima (circa nel 375) mentre non era in uso né a Gerusalemme, né ad Alessandria, né in Armenia, dove invece nelle chiese locali osservavano già la festa della “Manifestazione” al 6 gennaio, cioè la triplice epifania del Salvatore: la nascita di Gesù, l’adorazione dei Magi, il battesimo nel Giordano (Christòs). Risulta quindi che verso la fine del IV secolo s’era esteso a tutta la Chiesa l’uso di celebrare l’anniversario della nascita di Gesù-Cristo, in Oriente al 6 gennaio e in Occidente al 25 dicembre.La Novena di Natale è strettamente legata al culto ufficiale, ma va precisato che il Natale fa parte di un ciclo di dodici giorni, conosciuto col nome di “Calende”, di origine molto antica. Infatti il Natale segnava l’inizio del nuovo anno. Nelle case dei nostri antichi avi si accendeva a Natale un ceppo di quercia, dai poteri propiziatori, che doveva bruciare per 12 giorni consecutivi, e dal modo in cui bruciava si intuivano i presagi sul nuovo anno in arrivo. Il ceppo doveva essere preferibilmente di quercia, perché il suo legno simboleggia forza e solidità. Simbolicamente si bruciava il passato e si coglievano i segni del prossimo futuro; infatti le scintille che salivano nella cappa simboleggiavano il ritorno dei giorni lunghi, la cenere veniva raccolta e sparsa nei campi per sperare in abbondanti raccolti. Si tratta di un’usanza le cui radici risalgono alle popolazioni del Nord Europa. Abbiamo la testimonianza di Lucano, nel “Bellum civile” (III, 400) in cui ha descritto come gli alberi assumessero un ruolo fondamentale nel culto delle popolazioni celtiche che i romani si trovarono a fronteggiare: un culto in cui simbolismo e ritualità si fondevano in modo straordinariamente armonico.In particolare i Teutoni, nei giorni più bui dell’anno, piantavano davanti alle case un abete ornato di ghirlande e bruciavano un enorme ceppo nel camino. Questi simboli sono sopravvissuti nell’albero di Natale, che rimane verde tutto l’anno e non perde le foglie durante l’inverno come fanno gli altri alberi. L’albero rappresenta anche il simbolo del corpo umano e più precisamente il suo sistema nervoso compreso il cervello, nel quale deve brillare la luce, ovvero la conoscenza che viene dal “cielo” del pensiero e dalla coscienza universale, simboleggiata dalla stella di Natale, che indica l’illuminazione, la conoscenza e la consapevolezza dell’amore che mantiene vivente il creato. Quest’usanza si è oggi trasformata nelle luci che addobbano gli alberi, le case e le strade nel periodo natalizio. A tale tradizione si collega la celebrazione del Natale per indicare l’avvento della Luce del Mondo, che giunge a squarciare le pericolosità del Buio. È il Bambino, che venendo al mondo, inaugura una nuova vita, e porta la Luce a tutti gli uomini. Infatti le case e le abitazioni sono il simbolo della personalità che deve illuminarsi; per questo motivo in questo periodo le case e le città si riempiono di luci, perchè devono portare la conoscenza di sé stessi, l’amore e la giustizia tra gli uomini.E’ documentato che in Romagna, l’antica Romandìola, l’usanza di iniziare l’anno partendo dal 25 dicembre di ogni anno, durò fino ai tempi di Dante, come si riscontra dal “Codice di Lottieri della Tosa” – n. 217 – pubblicato a Faenza nel 1979 a cura di don Giovanni Lucchesi. Ogni anno al solstizio d’inverno accade qualcosa di magico e straordinario: nel giorno più corto dell’anno, il sole tocca a mezzogiorno il punto più basso dell’orizzonte, ovvero simbolicamente “muore”, per rinascere successivamente, dodici giorni dopo, al perigeo, quando il sole riprende il suo moto, perpetuando e rinnovando il ciclo infinito della vita. Per questo il solstizio d’inverno è considerato il giorno più sacro dell’anno e del bene che regna sul mondo. A partire dal solstizio d’inverno il nostro pianeta è permeato dalle potenti radiazioni della “Luce Cristica”, che continua a manifestarsi con forza fino all’Epifania.(Andrea Fontana, “Il Natale nella storia”, estratto da “Il presepio rivelato”, intervento pubblicato su “Scienze Astratte” il 25 dicembre 2011).L’etimologia del termine “Natale”, come sostantivo maschile, deriva dal latino “Natalis (nascita); “dies Natalis” significa “il giorno della nascita”. Il termine “nascere” proviene dal latino “noscere”, che significa “cominciare a conoscere” e ha le sue radici in altre lingue; è un termine collegato ai termini: notizia, nobile, celebre, konig, king. Il significato etimologico di Natale è quindi legato sia alla nascita, sia alla conoscenza. Per i Popoli del Nord, le notti dal 25 dicembre al 6 gennaio erano particolarmente sacre. Nei paesi scandinavi venivano celebrati i natali di Frey, figlio di Wodan (Wuotan: Odino), dio della natura, e di Berchta (Frigga: Holda) sua sposa, con la festa scandinava di Yule. Riservati al culto solare erano in epoca megalitica il monumento di Stonehenge (Inghilterra) e i Menhir di Carnac (Bretagna), orientati verso Est (il Sole levante). Fra i popoli celti si accendevano e si accendono tutt’ora il 25 dicembre dei sacri fuochi al dio Lug (luminoso) detto Griamainech (Viso del Sole), corrispondente al greco Hermes e al latino Mercurius. Questi fuochi sono ancor oggi conosciuti fra gli irlandesi e i montanari della Scozia, e vengono accesi in onore di Cristo.
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La lotteria dell’universo e i numeri sbagliati del pianeta
La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.Il messia. Alla mia destra, aveva detto, e alla mia sinistra. Sedevano a tavola, semplicemente. Avevano sprecato un sacco di tempo in chiacchiere inconcludenti, e lo sapevano. Con colpevole ritardo, dopo inenarrabili vicissitudini dai risvolti turpemente malavitosi, si erano infine rimessi al nuovo sire, l’inviato dall’alto. Familiarmente, tra loro, lo chiamavano messia, essendo certi che avrebbe fatto miracoli e rimesso le cose al loro posto, ma non osavano consentirsi confidenze di sorta: ne avevano un timoroso rispetto. Quell’uomo incuteva soggezione, designato com’era dal massimo potere superiore. Non restava che ascoltarlo, in composto silenzio, assecondandolo in tutto e sopportandone la postura da tartufo. La sua grottesca affettazione si trasformava inevitabilmente, per i servi, in squisita eleganza. Gareggiavano, i sudditi, in arte adulatoria. Stili retorici differenti, a tratti, permettevano ancora di distinguere i servitori seduti a destra da quelli accomodati a sinistra.Tungsteno. L’isoletta era prospera e felice, o almeno così piaceva ripetere al governatore, sempre un po’ duro d’orecchi con chi osava avanzare pretese impudenti, specie in materia di politica economica, magari predicando la necessità di sani investimenti in campo agricolo. Il popolo si sentì magnificare le virtù del nuovo super-caccia al tungsteno, ideale per la difesa aerea. Ma noi non abbiamo nemici, protestarono. Errore: potremmo sempre scoprirne. Il dibattito si trascinò per mesi. I contadini volevano reti irrigue, agronomi, serre sperimentali, esperti universitari in grado di rimediare alle periodiche siccità. Una mattina il cielo si annuvolò e i coloni esultarono. Pioverà, concluse il governatore, firmando un pezzo di carta che indebitava l’isola per trent’anni, giusto il prezzo di un’intera squadriglia di super-caccia al tungsteno.Stiamo pensando. Stiamo pensando alla situazione nella sua inevitabile complessità, alle sue cause, alle incidenze coincidenti ma nient’affatto scontate. Stiamo pensando a come affrontare una volta per tutte la grana del famosissimo debito pubblico, voi capite, il debito pubblico che è come la mafia, la camorra, l’evasione fiscale, l’Ebola, gli striscioni razzisti negli stadi, la rissa sui dividendi della grande fabbrica scappata oltremare, l’abrogazione di tutto l’abrogabile. Perché abbiamo perso? Stiamo pensando a come non perdere sempre, a come non farvi perdere sempre. Stiamo pensando, compagni. E, in confidenza, di tutte queste problematiche così immense, così universali, così globalmente complicate, be’, diciamocelo: non ne veniamo mai a capo. Il fatto è che non capiamo, compagni. Non capiamo mai niente. Ma, questa è la novità, ci siamo finalmente ragionando su. Stiamo pensando. Una friggitoria di meningi – non lo sentite, l’odore?Unni. Scrosciarono elezioni, ma il personale di controllo era scadente e il grande mago cominciò a preoccuparsi, dato che i replicanti selezionati non erano esattamente del modello previsto. Lo confermavano a reti unificate gli strilli dei telegiornali, allarmati anche loro dall’invasione degli Unni. Non si capiva quanto fossero sinceri i loro slogan, quanto pericolosi. Provò il dominus ad armeggiare con i soliti tasti, deformando gli indici borsistici, ma non era più nemmeno certo che il trucco funzionasse per l’eternità. Vide un codazzo di Bentley avvicinarsi alla reggia e si sentì come Stalin accerchiato dai suoi fidi, nei giorni in cui i carri di Hitler minacciavano Mosca. Ripensò ai tempi d’oro, quando gli asini volavano e persino gli arcangeli facevano la fila, senza protestare, per l’ultimissimo iPhone.(Estratto da “La lotteria dell’universo”, di Giorgio Cattaneo. “Siamo in guerra, anche se non si sentono spari. Nessuno sa più quello che sta succedendo, ma tutti credono ancora di saperlo: e vivono come in tempo di pace, limitandosi a scavalcare macerie. Fotogrammi: 144 pillole narrative descrivono quello che ha l’aria di essere l’inesorabile disfacimento di una civiltà”. Il libro: Giorgio Cattaneo, “La lotteria dell’universo”, Youcanprint, 148 pagine, 12 euro).La verità. La verità è che siamo fuori di qualche trilione. Lo so, ammise il supremo contabile; ma il problema, come sempre, è politico. Occorre ben altro che il pallottoliere: servono narrazioni, e il guaio è che i narratori ormai scarseggiano. Il Supremo aveva superato i sessant’anni ed era cresciuto al riparo dei migliori istituti, poi l’avevano messo alla prova per vedere se sarebbe stato capace di premere il pulsante. Intuì che premere il pulsante era l’unico modo per restare a bordo, e lo premette. Quando poi vide la reale dimensione del dramma, ormai era tardi: c’erano altri pulsanti, da far premere ad altri esordienti. Si fece portare un caffè lungo, senza zucchero, e provò il desiderio selvaggio di tornare bambino. Rivide un prato senza fine, gremito di sorrisi e volti amici, tutte persone innocue. Devo proprio aver sbagliato mondo, concluse, tornando alla sua contabilità infernale.