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Amodeo, lettera a Saviano: non racconti la verità sul potere
Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato ed un altro e quindi tra un articolo ed un altro e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:18 ottobre 2004 omicidio Albino, 29 ottobre 2004 omicidio Secondigliano: scoppia la faida, 5 novembre 2004 carabinieri feriti a Secondigliano, 13 novembre 2004 omicidio Peluso in pizzeria, 21 novembre 2004 ragazza accoltellata a Santa Lucia, 22 novembre 2004 omicidio di piazza Ottocalli, 26 novembre 2004 omicidio a Secondigliano di Gelsomina Verde (in assoluto il più efferato di tutta la faida), 19 dicembre 2004 intervista esclusiva alla vittima dell’agguato. L’ultimo mio articolo apparso sulla prima pagina del “Roma” riguardava l’omicidio di Nunzio Giuliano dell’omonimo storico clan. Sono articoli pubblicati negli stessi anni e riguardanti le stesse faide di quelli che tu hai scopiazzato dai colleghi e ricopiato per intero nel tuo “Gomorra” e per i quali hai subito la sentenza di condanna per plagio. A me nel 2005 sono stati corrisposti per tutti gli articoli 2.117,70 euro, di cui netti 1.800 euro (allego prova documentale). Posso immaginare che più o meno siano queste le cifre che guadagnavano anche i giornalisti campani a cui hai copiato pezzi di articoli per pubblicarli nel tuo libro multimilionario.Ma andiamo avanti. Nel raccogliere materiale per gli articoli di cronaca puoi immaginare quante botte io abbia preso, quanti cellulari mi abbiano strappato da mano, quanti registratori distrutto e quante intimidazioni subite. Così decisi che era diventato troppo rischioso e passai alla cronaca politica. Un altro settore che ti interessa. Ho aperto un blog di inchiesta giornalistica e pubblicato video-inchieste sulle organizzazioni della finanza speculativa che nel 2011 aveva rovesciato il governo in diversi paesi europei tra cui l’Italia, analizzando i legami tra queste organizzazioni e i politici e tecnici arrivati al governo, dimostrando in maniera documentata che avevano fatto cartello contro i popoli e contro le democrazie con la complicità dei nostri media mainstream. Probabilmente sono proprio le organizzazioni a cui stai facendo appello tu in questi mesi esortandoli a rovesciare nuovamente un governo democraticamente eletto.Sono rimasto sorpreso della tua visita a Macron. La prima volta che io lo vidi ero nascosto fuori al Marriott Hotel di Copenaghen con un cecchino che seguiva dall’alto ogni mio passo (come dimostra il video postato in rete) e lui stava per fare il suo ingresso alla riunione del Bilderberg 2014. Ossia l’incontro a porte chiuse dei più importanti membri della finanza speculativa. Quelli che scrivono che “la democrazia non è sempre applicabile”; che dovremmo “stracciare le nostre Costituzioni”; che bisogna favorire le tecnocrazie non elette per superare gli “eccessi di democrazia”. In pratica quelli che disprezzano i popoli.Tutte le mie ricerche sui legami tra politici, media e cartello finanziario speculativo sono state pubblicate in due libri, l’ultimo dei quali, “La Matrix Europea”, è stato definito dal compianto Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Suprema Corte di Cassazione (giudice istruttore caso Moro) il miglior libro sull’argomento – citando le sue parole: «Il tuo libro è importante come strumento di verità e libertà ma è assediato da silenzio e omertà. Mi congratulo con te per la tua ricerca che è preziosa per tutti noi cittadini di una società in cui le ingiustizie e diseguaglianze sono enormi. Il tuo libro mi ha fatto capire molte cose, chiaro, preciso, documentato coraggioso, incisivo. Ma non è facile far capire agli altri la verità». Il presidente mi chiese poi pubblicamente di collaborare con lui per una ricerca sul tema, ma dovetti rifiutare perché non mi sentivo tutelato.Stai tranquillo Saviano, non sto facendo uno spot al mio lavoro, immagino che per deformazione professionale penseresti questo. A differenza dei tuoi libri, che ce li ritroviamo davanti anche in autogrill mentre prendiamo un caffè, il mio dopo una breve apparizione è sparito dai radar. Nonostante abbia un proprio codice Isbn se lo richiedi nelle librerie sembra che non sia mai esistito. Spero sia stato solo un errore dell’editore. Eppure i temi trattati nel libro sono stati oggetto di alcuni video su YouTube. Uno dei quali ormai punta ai 6 milioni di visualizzazioni (sì, hai capito bene, 5 milioni di visualizzazioni già superate con un video di 18 minuti, ossia un tempo assolutamente proibitivo per YouTube). E non è stato un caso. Ho superato ben 4 volte un milione di visualizzazioni anche quando ho dimostrato come vengono manipolate le interviste da parte di alcune note trasmissioni televisive del mainstream per punire chi prova a toccare argomenti che non dovrebbe toccare. Numeri enormi, mai raggiunti da nessuno in Italia e forse neanche in Europa per video che trattavano questo tipo di argomenti.Pensa che il video più visualizzato sul tuo “Gomorra Channel” ha raggiunto 477.000 visualizzazioni contro i miei 5 milioni. Per intenderci, sommando tutti i video caricati sul canale “Gomorra Channel” si raggiungono meno della metà delle visualizzazioni di un mio solo video. Nonostante “Gomorra” sia una serie televisiva, un film al cinema e tu, Saviano, sei inseguito da tutti gli editori, gli autori televisivi e sei presente in numerosi programmi in Tv. E allora cos’è che spinge tanta gente a guardare i video di uno sconosciuto? Sei d’accordo con me che i conti non tornano? Te lo spiego subito: tu sei stato molto bravo ad attaccare i criminali comuni, molti dei quali già in carcere con l’ergastolo, ma facendo sempre la massima attenzione a non attaccare il sistema dominante in politica (quello che la manovra) né il ruolo dei media, spesso usati come braccio armato da questi poteri forti. Sei diventato il cavallo di Troia che fa comodo ad un certo tipo di sistema per entrare nelle case degli italiani con una voce che possa fingersi amica, credibile, spostando l’attenzione sui criminali comuni senza mai toccare gli interessi del potere dominante né dei media che lo coprono.Ecco di chi sei diventato voce. Ecco perché ti celebrano. Ecco perché sei in tutte le Tv. Una volta ci sono andato anche io in Tv alla trasmissione “In Onda” di Luca Telese su La7 ma è stata la prima e l’ultima volta, perché tirai in ballo giornalisti, media e politici che partecipavano alle riunioni di organizzazioni del cartello finanziario speculativo che hanno interessi diametralmente opposti a quelli dei popoli. Sai come intitolarono la trasmissione? “La web guerra dei blogger antisistema”. Quando dici certe verità non sei un eroe, sei un “anti”. Eppure ti assicuro che la crisi economica – che io dimostravo essere stata indotta dai membri del cartello finanziario speculativo di cui facevo nomi e cognomi – ha fatto, indirettamente, molti più morti tra imprenditori e lavoratori che si sono suicidati di quanti ne abbia fatti, tra i criminali, la più sanguinosa delle faide di camorra. Ha fatto chiudere molte più aziende lo Stato per eseguire i diktat del capitale che i camorristi con il racket. Ma questo il pensiero unico dominante tra i media non ce lo fa sapere. E tu sei diventato l’icona di questo pensiero unico. Tu che parli di solidarietà verso i migranti, di accoglienza tout court pur sapendo bene che la maggior parte di quelli che arrivano dall’Africa sono in realtà i nuovi schiavi deportati dal capitalismo per abbassare il costo del lavoro e annichilire i diritti sociali nei paesi dove vengono accolti.Gente disposta a tutto, come li definisce un noto filosofo: «Merce umana nell’economia globale per le nuove pratiche dello sfruttamento neofeudale», pronta ad essere sostituita ai lavoratori europei che invece richiederebbero diritti sociali e rivendicazioni salariali. Tu conosci questa pratica infame. Ma la copri, la appoggi. Per questo meriti programmi in Tv. Poi ti vedo attaccare Salvini indossando la maschera del paladino dei più poveri, e mentre con una mano reggi quella maschera, con l’altra tiri acqua al mulino di quella sinistra che ha svenduto i lavoratori e i loro diritti al cartello finanziario europeo e che è passata “dalla lotta per i lavoratori contro il capitale alla lotta per il capitale contro i lavoratori”, che ha sacrificato volontariamente sull’altare dei globalizzatori i lavoratori italiani per gli interessi di una Europa che si è dimostrata il baluardo del capitalismo speculativo contro le classi lavoratrici ed i popoli europei. Perché queste cose non le racconti? Anzi, perché le neghi?Taci, perché preferisci essere esaltato dai media per interessi commerciali e contribuire al loro asfissiante, martellante, fuorviante lavoro di propaganda a favore del pensiero unico di chi intende dirigere le sorti dei nostri governi.Oltre “Gomorra”, che ha soltanto fini commerciali, tu sei considerato un “intellettuale” amico dei popoli. E come può un intellettuale del genere, con il tuo seguito, preoccuparsi dei rimborsi trattenuti dalla Lega, senza mai menzionare i miliardi e miliardi di euro che ogni anno finiscono nelle mani di azionisti privati che si sono autonominati creatori e gestori della moneta del popolo? Tu questi argomenti non li toccherai mai. Io, invece, ho dovuto subire intimidazioni, ritorsioni, agguati mediatici, censure. Ed è per questo, che in seguito ad altri episodi che hanno coinvolto me ed i miei colleghi, ho deciso 3 anni fa di chiudere il blog, smettere di scrivere. Ma il mio è solo un esempio di quello che accade a centinaia di ragazzi che hanno provato a fare questo mestiere senza volersi allineare al pensiero unico dominante. Per concludere: io non sono un politico, non sono un ministro, non sono un capopartito; non puoi trovare altri interessi nella mie parole se non la voglia di ristabilire la verità. Te lo dico da ex giornalista. Da ex scrittore. Per farti capire che parliamo la stessa lingua. E te lo dico nel mio dialetto perché anche quello ci accomuna. “Robè, vir e fa l’ommmm”.(Francesco Amodeo, lettera aperta a Roberto Saviano pubblicata su “Scenari Economici” il 27 novembre 2018 – “Lettera di un ex giornalista di cronache di camorra a Saviano: perché non racconti la verità?”).Gentile Saviano, vogliamo raccontare perché ci sono giornalisti che si occupano di inchieste rischiando sulla propria pelle per pochi spiccioli e nel totale anonimato e poi ci sono quelli celebrati dai media, dalla politica, dal mainstream, per capire una volta per tutte cos’è che fa realmente la differenza. Mi presento: sono Francesco Amodeo e sono un giornalista pubblicista; blogger e autore di 3 libri di inchiesta. Campano come te. Da qualche anno non più praticante (mio malgrado). Dopo una laurea in scienze della comunicazione e stage negli uffici stampa di Londra e Madrid per imparare entrambe le lingue. Torno nella mia Campania e dal 2002 comincio ad occuparmi di cronache di camorra prima per “Dossier Magazine”, poi per il famoso quotidiano campano il “Roma” e il “Giornale di Napoli”. Dal 2004 al 2005 con lo scoppio delle più cruente faide di camorra vengono pubblicati a mia firma oltre 200 articoli in meno di un anno. Alcuni finiti in prima pagina sia sul “Roma” che sul “Giornale di Napoli”. Te ne elenco solo alcuni tra questi, guardando le date capirai gli intervalli di tempo tra un agguato e un altro, e quindi tra un articolo e un altro, e i ritmi e i rischi a cui eravamo esposti noi che facevamo questo lavoro:
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Violenta e totalitaria: la dittatura della religione monoteista
Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità, invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).Ovviamente, aggiunge Della Luna, per realizzare il loro progetto – l’uomo nuovo, il nuovo ordine mondiale – le regioni devono eliminare rapidamente il vecchio, vincendone le resistenze «con la violenza, che è sempre risultata indispensabile», perché il “vecchio”, il tradizionale, «è storicamente consolidato nell’animo della gente, nella sua sensibilità e nei mores come “fisiologia” del funzionamento culturale, sociale, politico, economico, spirituale». Che siano monoteiste (c’è un solo Dio), enoetistiche o monolatriche (gli dèi sono tanti, ma solo uno è prevalente), secondo Della Luna le religioni hanno la stessa impostazione delle ideologie politiche totalitarie: fascismo, nazismo, comunismo, maoismo. «Infatti sono tutte “species” di quella fallacia illuministica, costruttivistica, che con Karl Popper possiamo chiamare “utopismo”, ingegneria sociale “olistica”». Vale a dire: il convincimento che, in base a una nuova teoria o scoperta o rivelazione, sia possibile e doveroso ristrutturare l’uomo e la società come si ristruttura una casa – basta un buon progetto, molta buona volontà, la giusta forza e fermezza, e tutto funzionerà per il meglio: si realizzerà un ordine perfetto che durerà fino alla fine dei tempi.Puntualmente, invece, ogni tentativo di quel genere «manca la meta prefissa e causa immense sofferenze, immense stragi e persecuzioni, immensi danni civili e materiali, prima di cadere o di trasformarsi in qualcos’altro», dal momento che «un corpo sociale non è una casa, non è un corpo inerte che si possa modificare a piacimento, ma un corpo vivente, e vivente secondo un ordine, una fisiologia, sviluppatisi lentamente nel corso della sua storia, cioè di secoli». Mentre le religiosità politeistiche «esprimono e sostengono questi equilibri organici e assettati, rispettosi perlopiù delle varie componenti etniche, culturali, cultuali e censuarie del corpo sociale», essendo quindi «religiosità mature, includenti», al contrario, le religioni monoteiste – sempre per Della Luna – sorgono tutte, storicamente, «come progetti monomaniacali, rivoluzionari, escludenti, olistici e utopistici nel predetto senso, aggravati dal fatto di essere prescritti da un dio (o da una ‘scienza’ sentita come verbo divino, come è il caso del mercatismo), quindi dall’essere indiscutibili». Per questo, inevitabilmente, «generano violenza, così come le ideologie totalitarie», non solo perché «devono eliminare la religione già esistente per sostituire ad essa il loro modello», ma anche perché «promettono la soluzione rapida dei problemi esistenziali – la morte, il senso della vita, la giustizia».La religione usa la violenza per affermarsi, dice Della Luna, ma poi continua a usare la violenza anche per nascondere il fatto di non essere riuscita a mantenere le sue promesse: «Recentemente si è visto il fallimento pratico del governo dei Fratelli Musulmani in Egitto». I devoti sono scossi da onde di frustrazione: non potendo le religioni riconoscere il loro fallimento, questa frustrazione «deve essere scaricata all’esterno, affinché non crei lacerazione interna o dubbi – deve essere scaricata, cioè, su un capro espiatorio, che può essere interno (gli eretici) oppure esterno (gli infedeli, chi non si converte alla nuova religione): tutti questi capri espiatori vanno uccisi per volere di Dio». I primi cristiani, come si legge nel Nuovo Testamento, si aspettavano «il ritorno in gloria e potenza del Redentore entro pochi anni», letteralmente: prima che l’ultimo dei viventi al tempo di Gesù fosse morto. La tempistica è stata allungata e infine «proiettata su un orizzonte indefinito, solo poiché questa predizione non si avverava». Similmente, aggiunge Della Luna, i Testimoni di Geova «predicevano il Giudizio per il 1914, ma poi ovviamente hanno dovuto cambiare le loro pubblicazioni».L’islamismo è propriamente monoteista, annota Della Luna, perché afferma l’esistenza di un unico essere di natura divina – onnipotente, onnisciente, eterno, creatore di tutti gli altri esseri. «Le altre religioni non sono monoteiste». L’atonismo era monolatrico, ossia «tributava culto a un unico dio, pur ammettendo l’esistenza di altri dei». Il mazdeismo crede in due dei: Ahura Mazda, il bene, e Arei Manyu (Ahriman), il Male. Anche il giudaismo, dice Della Luna – presentando il libro di Nicola Bizzi “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina” (Aurora Boreale, 2018) – riconosce una pluralità di Elohim (parola di origine ignota, che noi traduciamo impropriamente come “dei”), di cui Jahvè è uno (gli altri sono Milkom, Kamosh, Baal Peor, El Elion). Inoltre, aggiunge Della Luna, nella Bibbia questi Elohim vengono descritti come esseri tangibili, materiali, simili agli dei greci e romani, mentre nella cultura ebraica antica «non esistono nemmeno i concetti di ente immateriale, di eternità, di onnipotenza, di creazione dal nulla – concetti tipicamente greci». Quindi anche il giudaismo – che adora l’Elohim Jahvè in mezzo a tanti altri Elohim – potrebbe essere classificato come «monolotria politeistica».E il cristianesimo? «Parte come monoteismo, mai in seguito, col Concilio di Nicea, viene ad affermare esplicitamente l’unità della sostanza divina e la pluralità (trinità) delle persone di Dio. Poi, nei secoli, assorbe – soprattutto nella sua confessione cattolica – il vissuto devozionale della pluralità dell’esperienza e della manifestazione divina attraverso la creazione di un esercito di figure intermedie, dagli angeli ai santi alla Madre divina». Oggi fa notizia il radicalismo islamico jihadista coltivato dall’imperialismo occidentale per frantumare la regione petrolifera, mentre il giudaismo – che si impose con la violenza (la tribù di Gioacobbe che stermina i consenguinei, tutti discendenti di Abramo) si riberbera nell’Israele armato fino ai denti, in guerra perenne coi vicini. Lo stesso Nicola Bizzi afferma che il cristianesimo, dopo essersi imposto con la massima ferocia, in tempi recenti si è “civilizzato”, prendendo le distanze da quella stessa violenza che aveva praticato per 17 secoli. Il cristianesimo moderno, secolarizzato e non più politicamente al potere, è stato «ridimensionato dalla critica epistemologica, storica, filologica». La frustrazione per la sua mancata promessa «è stemperata dallo stesso stemperarsi, assieme al senso del divino, dell’aspettativa di quella soluzione». Quel che ne resta si scarica perlopiù all’interno: il credente viene educato a imputare a se stesso – peccatore – la causa del malandare delle cose. «Quindi è ora facile per questa religione far dimenticare, presso le masse non istruite, il suo prevalente passato», cioè un millennio e mezzo di potere violento e totalitario.(Il libro: Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Aurola Boreale, 162 pagine, 15 euro).Tutti i monoteismi religiosi, come i totalitarismi ideologici, storicamente sono stati processi rivoluzionari, intolleranti e illiberali, che mediante violenze, persecuzioni e propaganda hanno cercato di cancellare la cultura, i valori e i “mores” delle civiltà in cui prendevano il potere. Lo sostiene Marco Della Luna, avvocato e saggista, autore di analisi acute sul rapporto tra dominanti e dominati, anche nell’Europa di oggi. Sul suo blog, esplorando le forme di dominio dell’umanità sulla scorta dell’ultimo libro di Nicola Bizzi, “Ipazia di Alessandria e l’enigma di Santa Caterina”, Della Luna invita a considerare la storia oggettiva delle varie religioni monoteiste, ma anche enoteiste o monolatriche: atonismo (il culto solare di Amenhotep IV alias Ekhnaton), giudaismo, mazdeismo, cristianesimo e islamismo. «Se guardiamo in particolare a ciò che esse hanno fatto ogniqualvolta hanno scalato e preso il potere – scrive Della Luna – troviamo che ciascuna di esse non solo crede, monomaniacalmente, di essere l’unica detentrice della verità, ma anche ha cercato di realizzare un nuovo uomo, una nuova società, un nuovo ordinamento giuridico». Hanno cioè proceduto «cancellando il preesistente» (demonizzando, perseguitando, travisando) e «imponendo un pensiero e una verità unica, un unico modo di esperienza spirituale». Identica la promessa: il nuovo “verbo” risolverà tutti i mali, essendo la religione l’unica detentrice del bene (e chi la contesta, ovviamente, è un eretico).
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Firenze, la Primavera di Botticelli “svela” i delitti del Mostro
Nel libro di Gabriella Carlizzi “Il mostro a Firenze” c’era una pagina che mi colpì. Il testo riporta, nei primi quattro volumi, una serie di articoli di giornale dell’epoca. E, prima di una serie di delitti del Mostro, era riprodotta la notizia della riapertura al pubblico del dipinto del Botticelli “La Primavera”. Conoscendo Gabriella, e dato il tenore del libro, ho capito che la notizia era importante e collegata con i delitti. Si capiva poi che, in qualche modo, l’apertura della mostra dava l’apertura agli omicidi successivi. Non capivo però come si collegava la Primavera del Botticelli con i delitti di Firenze. Tra l’altro anche Ruggero Perugini, il commissario che partecipò alle indagini, mise la figura della Primavera del Botticelli in copertina del suo libro “Un uomo abbastanza normale”. E una citazione della Primavera (che collega il delitto di Carmela De Nuccio alla figura sulla destra del quadro, quella con la corona di fiori in bocca) compare anche nel libro di Thomas Harris “Hannibal”. L’opera del Botticelli, quindi, assume un’importanza fondamentale nella ricostruzione delle vicende fiorentine. Ma in che modo?Lo studio di una persona che qui non nomino, a cui si deve la seguente analisi, ha risolto l’enigma. Confrontando i delitti commessi a Firenze con l’immagine del quadro si notano immediatamente delle coincidenze sorprendenti. 1) Ad una delle vittime (Carmela De Nuccio) venne messa in bocca una collana; una delle figure del quadro del Botticelli ha, per l’appunto, una collana di fiori in bocca. 2) Solo una delle vittime fu pugnalata alla schiena (Susanna Cambi). E solo una delle figure del quadro ha la schiena scoperta. 3) Solo ad una delle vittime fu asportato un seno. Si tratta di Pia Rontini. Pia = pietosa, ma anche virtuosa. E’ infatti la Grazia della Bellezza (virtù). Delle tre Grazie è quella col seno sinistro scoperto e infatti viene mutilata proprio al seno sinistro. La Grazia in questione ha una collana con pendente a forma di croce. E a Pia viene strappata la collanina e rubato il pendente, guardacaso a forma di croce. 4) Solo una vittima non venne mutilata, o accoltellata, ma le vennero solo sparati alcuni colpi di pistola; è Antonella Migliorini, e nel quadro infatti una sola figura, delle tre Grazie, è completamente vestita, non lasciando scoperto nulla.5) Nadine Mouriot è Venere. La Venere della Primavera è in questo quadro un po’ anomala in quanto è coperta, vestita… ma la Venere iconografica classica, in tutti i dipinti o sculture (es: Nascita di Venere del Botticelli), è solitamente rappresentata nuda mentre con una mano si copre il pube e il seno destro, quasi indicando e lasciando in vista quello sinistro. Infatti a Nadine il seno sinistro viene escisso e inviato in procura; e le viene escisso anche il pube. Insomma le due parti corporee che la Venere solitamente si indica e tocca nei dipinti di iconografia classica, vengono poi mutilate a Nadine. 6) Stefania Pettini. Stefania = corona, ghirlanda. Corona, come la prima Sephirah della Cabala, infatti è anche quella che apre la serie dei delitti. Nel dipinto Stefania è la Dea Flora, la seconda sulla destra, ha una corona di fiori in testa e una ghirlanda al collo; è la Dea della Primavera e degli alberi da frutto, compresi i vigneti. Infatti le viene infilato un tralcio di vite nella vagina, per rimarcare che è la dea della natura, appunto Flora, protettrice dei vigneti, la primavera.7) Uno degli omicidi (quello dei tedeschi) fu compiuto a danno di due uomini; la versione ufficiale è che, avendo i capelli lunghi, il gruppo di assassini li scambiò per una coppia, e li colpì per sbaglio. Ma questa versione non quadra con il fatto che le altre vittime erano state scelte invece accuratamente da giorni o mesi prima. Osservando il quadro si nota che l’ultima figura sulla sinistra è un uomo coi capelli lunghi. Ecco quindi la ragione per la quale si scelgono due uomini per uno dei duplici omicidi. Le coppie infatti erano scelte, sì, nel momento prima che si accoppiassero, per ragioni esoteriche (e perchè in alto, nel quadro, è raffigurato Cupido). Ma questa volta doveva essere colpito un uomo. Anche la serie di delitti è possibile raggrupparla come sono raggruppate le figure. La sequenza temporale dei delitti di Firenze infatti vede un primo delitto isolato dagli altri, nel 1974, poi un intervallo di tempo, seguito da due delitti, e poi quattro delitti in successione.Abbiamo infatti due gruppi di figure, uno da quattro e uno da due. Quindi abbiamo, dopo anni di silenzio, due delitti nel 1981, poi quattro delitti, uno dopo l’altro, ’82, ’83, ’84, ’85.Nei delitti commessi dal gruppo di persone che erano dietro alla vicenda, i sette duplici omicidi riproducono quindi simbolicamente le sette figure del quadro del Botticelli. L’operarappresenta, secondo alcuni studiosi, il canto 28 del Purgatorio, della “Divina Commedia” di Dante Alighieri. Il titolo, La Primavera, si deve al fatto che in quel canto Dante arriva in un giardino incantato, l’Eden, da cui poi si accederà al Paradiso. E in questo giardino, come dice Dante al verso 143, è sempre primavera: “Qui fu innocente umana radice, qui primavera sempre”. Analizzando poi la posizione delle mani delle varie figure, è riprodotta una data, il 14 marzo 1319. Secondo alcuni studiosi questa data si deve al fatto che in quel giorno ricorreva l’equinozio di primavera; la spiegazione è ovviamente demenziale, perché non ci sarebbe stato motivo di riprodurre in forma criptata una data così innocua. Tale data invece è quella in cui vennero ricostituiti i Templari, ad opera della bolla “Ad ea ex quibus” da parte di Giovanni XXII.La Primavera del Botticelli, quindi, si chiama così anche perché la primavera è collegata con la rinascita, e quella data segna la rinascita dei Templari, una sorta di “primavera templare”. Il fatto che venga riprodotto il quadro spiega anche un’altra cosa su cui mi sono scervellato per parecchio tempo. Mi sono domandato perché nella fiction di Fox “Il mostro di Firenze” la sigla di apertura riproducesse parte di una canzone delle Orme (Gioco di bimba) che faceva: “Dondola, dondola, il vento la spinge…”. Il film è zeppo di riferimenti e simbologia, e quindi era ovvio che la canzone non fosse scelta a caso. Mi domandai quindi che c’entrava il vento con i delitti del Mostro. E la spiegazione la troviamo nel fatto che la figura in alto a sinistra, quella che regge la prima figura a destra, ovverosia, simbolicamente, Carmela De Nuccio, è Zefiro, il Vento. Uccidendo le vittime, quindi, la Rosa Rossa ha riprodotto simbolicamente il quadro del Botticelli. Perché?Perché, come detto in un altri articoli, tali delitti dovevano consacrare col sangue Firenze alla Rosa Rossa, propiziandosi gli anni a venire e rendendo la città toscana la culla ideale dell’organizzazione. Si consacrava, cioè, il territorio fiorentino. Firenze – non lo scordiamo – è la città di Dante, la cui opera contiene in forma simbolica e criptata buona parte delle conoscenze rosacrociane, e a cui si ispira l’organizzazione per i delitti da essa commessa. Non a caso nel film “Il nome della Rosa”, il libro segreto (che non è la commedia di Aristotele, ma la “Commedia” di Dante) è definito “il libro per cui si uccide e con cui si uccide”. Tali delitti, cioè, preparano a Firenze una specie di Eden; vengono commessi, dal punto di vista esoterico, per poter accedere poi al Paradiso. Preparano una specie di paradiso in terra per la Rosa Rossa, rendendo Firenze la loro città ideale.Anche le altre vittime, quelle maschili, non sono state scelte a caso. Capire la simbologia dei nomi, e il loro significato esoterico, non è cosa semplice, perché occorre rifarsi al significato ebraico della lettere e delle parole; salta però agli occhi che il nome della prima vittima è Pasquale Gentilcore. Ora, l’incipit della “Vita Nova” di Dante è proprio “A ciascun alma presa e gentil core”: e non a caso, nel romanzo “Hannibal”, il protagonista fa dono proprio di questo libro alla moglie del commissario Pazzi. Il primo omicidio è quindi quello di Stefania Pettini e di Pasquale Genticore, ed entrambi i nomi indicano che quello è l’inizio delle serie: l’inizio di una “Vita Nova” per Firenze e per la Rosa Rossa. Infatti, non a caso, Firenze, come scrive il giornalista Mario Spezi in un suo libro, è una delle città con il maggior numero di delitti inspiegabili e inspiegati, che non trovano mai un colpevole. Un paradiso, insomma, per la Rosa Rossa.(Paolo Franceschetti, “La Primavera del Botticelli e i delitti del Mostro di Firenze”, dal blog di Franceschetti del 7 marzo 2011, ripreso nel 2018 sul blog “Petali di Loto”, dello stesso Franceschetti, che per approfondire l’interpretazione simbologica del capolavoro botticelliano segnala anche che il blog “Astroarte” e il lavoro dello studioso Lino Lista. Avvocato e già difensore delle Bestie di Satana, Franceschetti attribuisce i delitti rituali di Firenze alla Rosa Rossa, che descrive come potente associazione occultistica di origine iniziatico-esoterica, ispirata al rosacrocianesimo “deviato” della Golden Dawn e dell’Oto, Ordo Templi Orientis, fondato dal celebre “mago nero” Aleister Crowley, teorico del potere propiziatorio degli omicidi rituali, veri e propri sacrifici umani. Un’elusiva matrice criminale, che Franceschetti individua in diversi casi irrisolti della cronaca nera italiana, tutti caratterizzati dal medesimo copione: non si trova mai l’arma del delitto e manca un movente ordinario, mentre la comparsa di un capro espiatorio poco credibile, sempre di bassa estrazione sociale, finisce per proteggere i mandanti occulti e i veri esecutori).Nel libro di Gabriella Carlizzi “Il mostro a Firenze” c’era una pagina che mi colpì. Il testo riporta, nei primi quattro volumi, una serie di articoli di giornale dell’epoca. E, prima di una serie di delitti del Mostro, era riprodotta la notizia della riapertura al pubblico del dipinto del Botticelli “La Primavera”. Conoscendo Gabriella, e dato il tenore del libro, ho capito che la notizia era importante e collegata con i delitti. Si capiva poi che, in qualche modo, l’apertura della mostra dava l’apertura agli omicidi successivi. Non capivo però come si collegava la Primavera del Botticelli con i delitti di Firenze. Tra l’altro anche Ruggero Perugini, il commissario che partecipò alle indagini, mise la figura della Primavera del Botticelli in copertina del suo libro “Un uomo abbastanza normale”. E una citazione della Primavera (che collega il delitto di Carmela De Nuccio alla figura sulla destra del quadro, quella con la corona di fiori in bocca) compare anche nel libro di Thomas Harris “Hannibal”. L’opera del Botticelli, quindi, assume un’importanza fondamentale nella ricostruzione delle vicende fiorentine. Ma in che modo?
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Strinati: caro Giacomelli, unico giudice ucciso in pensione
Un delitto “senza”: senza clamore e senza assassini (mai trovati), senza movente per lungo tempo, senza lapidi e celebrazioni per ricordare l’uomo e il magistrato. Un delitto senza niente e senza tutto, quello del giudice trapanese Alberto Giacomelli, freddato dai killer il 14 settembre 1988: il primo a morire già in pensione, dopo aver osato (di nuovo: per primo) applicare in Sicilia la legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei patrimoni mafiosi. «Un giudice dimenticato un attimo dopo la sua morte violenta», lo ricorda Attilio Bolzoni nella sua prefazione della biografia “Un uomo per bene” (Edb, 2018) scritta da Salvo Ognibene. Giacomelli? «Inghiottito da maldicenze e depistaggi, dall’omertà, dall’ignoranza. Inghiottito da una Sicilia che appena qualche giorno dopo stava piangendo il presidente della Corte d’assise Antonino Saetta e qualche giorno dopo ancora il giornalista Mauro Rostagno». Proprio ad Alberto Giacomelli, su Libridee, Fabio Strinati dedica un’intensa rievocazione poetica.Si saprà solo dopo molti anni – quando ne parleranno i pentiti di Cosa Nostra – che Alberto Giacomelli aveva “pagato” per avere confiscato con un provvedimento un “bene di famiglia”, una proprietà di Gaetano Riina, il fratello dello “zio Totò”, il capo dei capi, in quel 1988 latitante già da quasi vent’anni. Giacomelli, scrive ancora Bolzoni, era presidente della sezione Misure di prevenzione del Tribunale di Trapani: un uomo defilato, silenzioso, sobrio. Dietro il sipario, decideva i destini economici di quei “galantuomini”. E aveva «messo la sua firma su un patrimonio che per sua volontà e in nome del popolo italiano non apparteneva più al mafioso di Corleone», il feroce padreterno che in Sicilia «decideva chi doveva vivere e chi doveva morire». Così è uscito di scena, in punta di piedi, «un coraggiosissimo magistrato siciliano che non aveva mai avuto le attenzioni dei cronisti o le luci degli studi televisivi». Così è morto in solitudine Alberto Giacomelli, classe 1919, in magistratura dal ‘45, congedato nell’87 e assassinato appena un anno dopo, con un proiettile in testa.Il fatale provvedimento l’aveva firmato quattro anni prima. Pentiti di mafia e collaboratori di giustizia confermarono che fu proprio quella decisione a costargli la vita. Per la prima volta, Cosa Nostra decise di colpire un magistrato giudicante. E quello di Giacomelli resta l’unico caso di omicidio, nella storia d’Italia, di un magistrato in pensione. Ancora Bolzoni inquadra l’omicidio nella luce sinistra del biennio ‘88-89, che preparò le stragi di Capaci e via d’Amelio. «Corvi, talpe, sciacalli, candelotti di dinamite, “menti raffinatissime”, misteri che hanno fatto tremare l’isola e anche l’Italia». Inquietante il diario dell’ex sindaco palermitano Giuseppe Insalaco, che proprio nel 1988 indicò i “buoni” (Piersanti Mattarella, Carlo Alberto Dalla Chiesa, Cesare Terranova e Pio La Torre, tutti assassinati), additando fra i “cattivi” Salvo Lima e Andreotti, il procuratore capo Vincenzo Pajno e l’esattore mafioso Ignazio Salvo. «E in mezzo, una Palermo sprofondata nella paura», in balìa dei sicari di Riina.Il maxi-processo si era concluso un anno prima, con le prime e decisive condanne per la Cupola. «L’impianto accusatorio del pool antimafia aveva retto alla prova della Corte d’Assise, ma in tanti speravano nell’appello per disintegrare quel capolavoro di ingegneria giudiziaria che aveva inventato Giovanni Falcone». Era già arrivata la stagione del disincanto, scrive Bolzoni. Fu in quella primavera, aggiunge, che a Roma «decisero di scavare la fossa istituzionale a Falcone». Al posto di Antonino Caponnetto, il consigliere istruttore che aveva sostituito Rocco Chinnici (saltato in aria nell’83), il Csm nominò «un vecchio magistrato che non sapeva nulla di questioni mafiose e che in poche settimane disintegrò a colpi di penna “l’unicità” di Cosa Nostra, sparpagliando in mille rivoli tutte le indagini che il pool aveva centralizzato». Per Bolzoni, era la fine di un metodo di lavoro e di investigazione che aveva dato per la prima volta straordinari risultati. «Un segnale per Giovanni Falcone, dentro e fuori Palermo, dentro e fuori lo Stato». Paolo Borsellino denunciò «la fine della lotta alla mafia».L’estate siciliana del 1988, aggiunge Bolzoni, se ne andò con un titolo in prima pagina – ogni giorno – su tutti i quotidiani italiani. Era esploso il “caso Palermo”, con il suo tribunale ormai chiamato il Palazzo dei Veleni, le infuocate polemiche sulla mancata nomina di Falcone a consigliere istruttore, il cambio improvviso dei vertici della polizia palermitana, i timori degli ambienti politici romani, le speranze dei siciliani. «Un’estate inquieta, che non era ancora finita. E il 14 settembre, di mattina, nel silenzio più cupo uccisero Alberto Giacomelli, giudice figlio di un giudice, che da poco più di un anno aveva lasciato la toga». Delle indagini, ricorda oggi la Rai, si occupò lo stesso Borsellino, poi ucciso in via d’Amelio, in collaborazione con Paolo Germanà, scampato ai killer a Mazara del Vallo quattro anni dopo. Una storia esemplare ma coperta dal silenzio, quella di Giacomelli, in un paese – scrive Ognibene – che ha il difetto di dimenticare in fretta. Anche per questo assume un particolare valore la tensione emotiva della poesia di Strinati, commosso omaggio a un uomo mite e giusto come Giacomelli.AD ALBERTO GIACOMELLIHanno contaminato il tuo addomeavvelenato il tuo dabbene sguardosottratto la tua anima alla vitausando il megafono della violenzail microfono dell’arroganza,il sotterfugio putrido vile dell’ignoranza;hanno calpestato il tuo onorepestato il tuo cognome da galantuomoscucito al mondo il tuo sorrisodelicato che sapeva come corteggiare la speranza;hanno usato la peggior vergognaper ammorbare il tuo esile corpoattraverso un colorante colmo, strapieno di sangue…e ti hanno tolto l’esistenzaperché figli di un frutto acerbodi un albero avverso nutrito dal morbofradicio della menzognala più cattiva rogna che sembra uno sciame,intinto, in un volume abnorme di peccato.(Fabio Strinati)Fabio Strinati (Esanatoglia, 1983) è poeta, artista visivo, compositore e fotografo. È presente in diverse riviste e antologie letterarie. Da ricordare “Il Segnale”, rivista letteraria fondata a Milano dal poeta Lelio Scanavini, la rivista Fabio Strinati“Sìlarus” fondata da Italo Rocco, e “Osservatorio Letterario – Ferrara e L’Altrove”. È stato inserito da Margherita Laura Volante nel volume “Ti sogno, Terra”, viaggio alla scoperta di Arte Bellezza Scienza e Civiltà, inserito nei “Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche”. Sue poesie sono state tradotte in romeno e in spagnolo. È inoltre il direttore della collana poesia per “Il Foglio Letterario” e cura una rubrica poetica dal nome “Retroscena”, proprio sulla Rivista trimestrale del “Foglio Letterario”. Pubblicazioni: “Pensieri nello scrigno. Nelle spighe di grano è il ritmo” (2014); “Un’allodola ai bordi del pozzo” (2015); “Dal proprio nido alla vita” (2016); “Al di sopra di un uomo” e “Periodo di transizione” (2017), “Aforismi scelti Vol.2” e “L’esigenza del silenzio” (2018).Un delitto “senza”: senza clamore e senza assassini (mai trovati), senza movente per lungo tempo, senza lapidi e celebrazioni per ricordare l’uomo e il magistrato. Un delitto senza niente e senza tutto, quello del giudice trapanese Alberto Giacomelli, freddato dai killer il 14 settembre 1988: il primo a morire già in pensione, dopo aver osato (di nuovo: per primo) applicare in Sicilia la legge Rognoni-La Torre sulla confisca dei patrimoni mafiosi. «Un giudice dimenticato un attimo dopo la sua morte violenta», lo ricorda Attilio Bolzoni nella sua prefazione della biografia “Un uomo per bene” (Edb, 2018) scritta da Salvo Ognibene. Giacomelli? «Inghiottito da maldicenze e depistaggi, dall’omertà, dall’ignoranza. Inghiottito da una Sicilia che appena qualche giorno dopo stava piangendo il presidente della Corte d’assise Antonino Saetta e qualche giorno dopo ancora il giornalista Mauro Rostagno». Proprio ad Alberto Giacomelli, su Libridee, Fabio Strinati dedica un’intensa rievocazione poetica.
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Livigni: ci governa la cupola che liquidò Kennedy e Mattei
Vorrei tornare su Enrico Mattei, di cui sono stato uno strettissimo collaboratore, per dire che in Italia è avvenuto qualcosa di orrendo, di sporco. Era stata fatta una inchiesta, quando l’aereo precipitò a Bascapè: un’inchiesta vergognosa, fatta da depistaggi e coperture della verità. Un’altra mezza inchiesta era stata subito chiusa. Nel 1994 ho pubblicato un libro con la Mondatori che si chiama “La grande sfida”, e sono riuscito avere documentazioni top secret dagli archivi della Jfk Library di Boston, dall’Eisenhower Library e, con mia sorpresa, ho scoperto che tra Mattei e Kennedy c’era una corrispondenza molto stretta. Dopo la crisi di Suez, quando Inghilterra e Francia erano state invitate dagli Stati Uniti a ritirarsi durante la Guerra di Suez, perché gli Usa temevano uno shock petrolifero, l’Italia avanzò la proposta di coprire un ruolo di nazione strategica, sul Mediterraneo, in sostituzione di Francia e Inghilterra. Kennedy era d’accordo, però bisognava dare stabilità politica al governo italiano, che cambiava ogni due mesi (c’era stata la crisi del governo Tambroni, che durò un mese e mezzo). Per dare stabilità politica bisognava scegliere un uomo e fare riforme. Kennedy esaminò tutti i possibili interlocutori italiani, e li scartò subito: via Fanfani, via Gronchi. E arrivò a Mattei: di lui, Kennedy era affascinato. E iniziarono delle trattative.Una prima trattativa avvenne all’Hotel Excelsior di Roma, in grandissimo segreto. Mattei non si fece assistere da nessuno. Kennedy chiese alle grandi compagnie americane di mettere Mattei in condizioni di fare affari, di offrirgli contratti migliori di quelli che aveva con l’Unione Sovietica. Dopo lunghe trattative, venne fatto un contratto tra l’Eni e la Esso per la fornitura di 12 milioni di tonnellate l’anno di greggio a condizioni veramente migliori di quelle che Mattei aveva con l’Urss. Dopo l’accordo commerciale, segretissimo, si passò alla trattativa politica. Parteciparono il responsabile della politica estera di Kennedy e il futuro capo della Cia in Italia. Mattei doveva andare a dicembre 1962 a incontrare Kennedy. Non ne parlò con nessuno, neanche con me. Era abbastanza teso, in quei giorni: aveva ricevuto minacce. La cosa che mi colpì è che era stato in Sicilia, il 18 ottobre 1962. C’era stato un incontro a Gela, un Cda della Agip Mineraria. Lui transitò da Palermo, mi chiamò e mi disse: «Ti voglio vedere subito in aeroporto». Arrivò con l’aereo aziendale, mi diede indicazioni su fatti che stavamo svolgendo e io gli dissi: «Presidente, venga entro l’anno, perché abbiamo fatto una realizzazione, a Gela, che voleva lei: un grande deposito costiero per importare dalla raffineria di Gela i prodotti sul mercato». Lui disse: «Non posso venire, ho parecchi impegni, ci vediamo il prossimo anno».Dopo sette giorni ricevo una sua telefonata. Io mi trovo a Palermo, avevo un incarico di “scout man”, l’uomo dei servizi segreti nel petrolio che cerca di sapere cosa fanno le altre compagnie. Mi disse: «Sto partendo per Gela». «Presidente, ma… come mai?». «Poi glielo dico». Arrivai a Gela prima di lui, andai al Motel Agip e mi dissero: «Non atterra qui». L’Agip aveva un aeroporto privato, l’aeroporto di Ponte Olivo, con una pista molto sorvegliata. Ma la sera prima avevano messo una carica di tritolo e rotto la pista per non farlo atterrare, per farlo venire con l’elicottero. E lui dovette atterrare a Catania, arrivò intorno alle 13. Abbiamo parlato di problemi in corso che riguardavano l’Iraq. Nessun libro, dei 300 e rotti pubblicati nel mondo su Mattei, ha mai parlato dell’Iraq. Sapevo che c’era una questione in Iran: non si era riusciti a entrare nel consorzio dopo la caduta di Mossadeq, fatto cadere dagli angloamericani perché aveva nazionalizzato il petrolio (fatto cadere con l’uso dei sicari dell’economia). Mossadeq fu denunziato come se fosse un pazzo, e invece era molto saggio: era presidente del Consiglio del primo governo democratico iraniano, un governo eletto dal popolo.Gli americani tornarono con gli inglesi e riaprirono le compagnie angloamericane, fecero un consorzio e noi siamo stati rifiutati. E Mattei disse: «Andiamoci a prendere il petrolio in Iraq». Che cosa era successo? Io ho conosciuto a Taormina Dino Grandi, ex ministro degli esteri del governo Mussolini, che mi ha informato che nel 1934 l’Agip, fondata nel 1926, era riuscita a ottenere in Iraq il più grande giacimento nell’area di Kirkuk, nell’area curda. Era riuscita per l’abilità di Grandi che venne a patti con gli inglesi, che avevano l’85% del territorio iracheno. Una concessione enorme, con una sessantina di concessioni. L’Iraq è un’invenzione di Churchill, che aveva capito che – tirando una linea, un rettangolo, e unificando sciiti, curdi, sunniti e turcomanni – avrebbe creato un paese in eterno confitto, facilmente governabile e dominabile da un punto di vista coloniale. Dino Grandi diede appoggio all’Inghilterra, perché scadeva il protettorato inglese nel 1934, presso la Società delle Nazioni, la futura Onu. In contropartita, l’Inghilterra accettò che l’Agip rilevasse una piccola società petrolifera, e poi accettò che questa si ingrandisse fino a diventare una concessione importante, che si chiama Mossul Oil Field.E però avvenne che nel 1935 le truppe italiane invadono l’Etiopia, gli inglesi ricattano la Agip, dicono: «Se vuoi che noi interveniamo alla Società delle Nazioni per non fare sanzioni e un embargo petrolifero, ci devi cedere la Mossul Oil Field». Grandi trattò, e alla fine trovarono una soluzione: sarebbe andato a inglesi e americani il 51%, però l’Agip avrebbe mantenuto il 39% e una presenza strategica nella “golden share” della società, cioè avrebbe partecipato alle politiche e alle strategie. Quando Grandi tornò a Roma, Mussolini ebbe paura e disse: «No, cediamo la società, perché gli inglesi poi mi possono giocare un brutto scherzo, e io non posso fermare in Etiopia le truppe con un embargo». Mattei sapeva tutto questo, e dopo che fummo rifiutati dal consorzio iraniano disse: «Andiamoci a prendere il petrolio in Iraq». Si formò un gruppo molto ristretto. Io lavorai con l’équipe che andò in Iraq quando Khassem, nel 1958, abbatté la monarchia irachena di Re Faysal. Khassem venne contattato nel mese di agosto, in una caserma, mentre fuori si sparava. Gli fu portata una credenziale di Mattei, in cui diceva: «Vogliamo fare con voi un contratto paritetico, un partenariato, non un contratto in cui vi vede paese esattore di tasse o di royalty. Facciamolo insieme, facciamo una società paritetica che si occuperà anche di altre cose connesse al petrolio». Lui accettò e disse: «Voglio però prima cacciare via l’Iraq Petroleum Company».E così si iniziò a dare assistenza legale a Khassem esaminando, concessione per concessione, l’Iraq Petroleum Company, per vedere dove questa società aveva mancato. Su 60 e rotti concessioni, la società ne aveva sfruttato solo tre, con un atteggiamento di scorrettezza enorme: si era mantenuta come riserva le altre risorse, privando il popolo iracheno di quelle royalty, ancorché irrisorie. Nel 1962 Khassem revocò le concessioni, queste 57 concessioni, all’Iraq Petroleum Company. Era una bomba! Una delle più grandi compagnie del mondo veniva buttata fuori, perché Khassem avrebbe fatto entrare l’Eni. Seguii da vicino la faccenda, ma non eravamo sicuri di essere sfuggiti ai servizi segreti americani e inglesi, perché in Italia c’era parecchia gente che voleva la fine di Mattei – parecchia. Lui aveva rotto con Fanfani: mandò all’opposizione i fanfaniani siciliani, che non erano gente troppo facile – erano Gioia, Lima. Avevano indirizzato i finanziamenti alla Dc, a Fanfani, a Moro. Era rottura totale, e Fanfani era presidente del Consiglio. Poi c’è la questione Cefis: Mattei lo aveva cacciato fuori, il vicepresidente, che era un uomo dei servizi inglesi.Mattei era isolato, e durante la trattativa ho scoperto, con i documenti avuti, che c’erano stati interventi pesantissimi dell’ambasciata americana e inglese a Roma su Fanfani, per fermare Mattei, e Fanfani ha risposto: «Io Mattei non lo posso fermare, non ho il potere». È una cosa gravissima: «Fermare a ogni costo». Khassem fece una società nazionale per creare poi una società paritetica con noi, fece sapere che voleva dare un annunzio al giornalismo internazionale di questo progetto della costizione della compagnia nazionale: non c’era più influenza esterna. Noi abbiamo detto: «Prendi tempo!». Era il 16 settembre del 1962. E Khassem, per la smania di dimostrare al popolo che stava lavorando per il bene dell’Iraq, rilasciò un’intervista che ci fece gelare. Disse: «Io ho revocato le concessioni all’Iraq Petroleum company e sto realizzando una società paritetica con l’Eni». Ci siamo sentiti persi: era grave, gravissimo. Abbiamo detto a Mattei di stare attento, di non viaggiare più in aereo. E quindi arrivò in Sicilia il giorno 26 ottobre. Eravamo terrorizzati. Io ho detto: «Presidente, non riparta questa sera per Milano. Venga con me, andiamo in campagna, mia moglie ha campagne vicino Palermo. Si riposi, non chiami neanche sua moglie. Un amico andrà a Roma e avviserà sua moglie, ma lo farà in modo privato: per un mese, “faccia finta di…”». Lui disse: «No, devo andare. Devo incontrarmi a Milano con l’onorevole Tremelloni questa sera e poi devo partire, devo fare il contratto con l’Algeria».Era un altro contratto molto osteggiato dagli angloamericani, ma soprattutto da Fanfani perché non voleva che Mattei portasse avanti una politica di rottura nei confronti delle Sette Sorelle (fu Mattei a definirle così, in verità all’inizio voleva dire “sorellastre” ma poi i giornalisti l’hanno modificato). E’ voluto partire lo stesso, Mattei. E quella sera l’aereo è caduto. In Italia abbiamo avuto una porcheria degna di nessun paese al mondo. Quando pubblicai “La grande sfida”, il procuratore Vincenzo Calia di Pavia, zona dove l’aereo è caduto, riaprì l’inchiesta perché la novità era il rapporto Mattei-Kennedy. Indagò con molta serietà, Calia. Ho avuto l’onore di collaborare da vicino con l’avanzamento inchiesta, e si accertò l’avvenuto sabotaggio. Si sono riesumati i corpi di Mattei e Bertuzzi, il pilota, e si sono trovate tracce di esplosivo: Compound 200, un esplosivo molto potente. Si è accertato che l’esplosivo era stato messo sotto i comandi del carrello, e si può fare attraverso il ruotino: si infila la carica con una calamita. La notte tra il 25 e il 26, l’aereo era stato portato dentro l’hangar militare della Nato (quello che vi dico è nell’inchiesta), ed è stato sabotato dai servizi: l’ho scritto. L’aereo, quando il pilota azionò la cloche per scendere, è andato in aria, è esploso.Ebbene, quest’inchiesta, che stava arrivando ai mandanti, già individuati (il magistrato stava acquisendo ulteriori elementi per le prove) è stata archiviata nel 2003. Dicono che Mattei non si sa perché è morto, alcuni dicono in un incidente: è una vergogna che una verità sia stata occultata. Se ammazzano un uomo non succede niente: un paese indegno. (Io ci ho perduto la moglie, nel luglio 2007: una macchina ci ha speronato e mia moglie è morta. Ebbene, chi ci ha speronato – che era ubriaco e drogato – sta passeggiando tranquillo, si diverte, va alle feste. Denunziato per omicidio colposo, ma non succederà niente!). Ritorniamo a Mattei. Archiviata l’inchiesta, io ho fatto un libro in 25 giorni, lavorando notte e giorno, che si chiama “Caso Mattei, un giallo Italiano”. Perché giallo italiano? Perché alla fine è stata gestito da italiani, da uomini per cui l’escalation di Mattei nella politica avrebbe dichiarato la fine politica o manageriale. E poi ho messo in evidenza, da una serie di documenti, un rapporto tra l’assassinio di Kennedy e quello di Mattei. A Catania c’era, quel giorno, Carlos Marcello, che è stato implicato nell’assassinio di Kennedy. Il tutto converge sull’oligarchia britannica – sulla Permidex, controspionaggio inglese.Siamo sempre lì: il centro del mondo nella finanza è Londra, e quindi Mattei ha messo in difficoltà gli inglesi. Kennedy lo stesso, perché ha rotto i rapporti con l’oligarchia britannica della politica a fini finanziari, e ha posto fine alla guerra in Corea senza interpellare gli inglesi. Non ci sono prove, ma c’è un legame comune. Quindi Mattei è stato ucciso, anche se tutti quelli che hanno scritto libri, come Bruno Vespa, dicono è caduto per un incidente aereo. Negli anni ‘90 è accaduto qualcosa di grave, ma i giornali italiani non hanno parlato di nulla perché fanno solo propaganda, poi alla fine le verità vengono negate. E’ successo questo: cade il Muro di Berlino, e il ministro Scotti avverte il capo del governo che manovre strane stavano avvenendo da parte di importanti banche d’affari contro l’economia italiana. Poi ribadisce: me lo ha detto Parisi. Mi ha detto pure che potrebbero avvenire stragi o uccisioni. Nel ‘92 avvenne la strage di Capaci, dove la mafia ha avuto solo un ruolo di supporto militare. Invece è una strage con gruppi di potere più o meno occulto, che prepararono una svolta economica e politica: «Vogliamo sedere in Parlamento, vogliamo governare». Allora l’Italia avvia la svendita dell’economia pubblica.Voglio parlare dell’Eni. Quando finì la guerra si avviò un dibattito tra i cattolici sociali e la sinistra italiana, guidata dai comunisti. Dovevano decidere quale struttura economica si doveva dare lo Stato italiano dopo il fascismo. I cattolici sociali hanno rifiutato il liberismo con una grande intuizione, perché il liberalismo penalizza le classi più deboli e spesso anche la vita della gente. Si creò un compromesso con lo Stato imprenditore che opera con le leggi del mercato in concorrenza, indirizzando in aree depresse anche l’economia privata. Viene privatizzato l’Eni, nel 1994 viene privatizzato l’Iri, altre aziende dello Stato nel campo delle telecomunicazioni. Alla fine di questo scempio, di questa carneficina, si sono divisi tutto. E nessuno ha mai parlato. Un pezzo alla sinistra, un pezzo alla destra: un’operazione scellerata di abbrutimento. L’unica denunzia viene fatta dal movimento civile americano di Lyndon LaRouche, ma Ciampi diventò presidente e tutto fu insabbiato. Tutto il patrimonio immobiliare dell’Eni, stimato in 100.000 miliardi, viene svenduto a un fondo Goldman Sachs. Stranamente, l’uomo che ha condotto questa operazione è stato Mario Draghi, che poi è diventato vicepresidente della Goldman. Non si può accettare, si tratta della logica più miserabile. Io l’ho denunziato, ma non è successo niente.Vorrei tornare su Enrico Mattei, di cui sono stato uno strettissimo collaboratore, per dire che in Italia è avvenuto qualcosa di orrendo, di sporco. Era stata fatta una inchiesta, quando l’aereo precipitò a Bascapè: un’inchiesta vergognosa, fatta da depistaggi e coperture della verità. Un’altra mezza inchiesta era stata subito chiusa. Nel 1994 ho pubblicato un libro con la Mondatori che si chiama “La grande sfida”, e sono riuscito avere documentazioni top secret dagli archivi della Jfk Library di Boston, dall’Eisenhower Library e, con mia sorpresa, ho scoperto che tra Mattei e Kennedy c’era una corrispondenza molto stretta. Dopo la crisi di Suez, quando Inghilterra e Francia erano state invitate dagli Stati Uniti a ritirarsi durante la Guerra di Suez, perché gli Usa temevano uno shock petrolifero, l’Italia avanzò la proposta di coprire un ruolo di nazione strategica, sul Mediterraneo, in sostituzione di Francia e Inghilterra. Kennedy era d’accordo, però bisognava dare stabilità politica al governo italiano, che cambiava ogni due mesi (c’era stata la crisi del governo Tambroni, che durò un mese e mezzo). Per dare stabilità politica bisognava scegliere un uomo e fare riforme. Kennedy esaminò tutti i possibili interlocutori italiani, e li scartò subito: via Fanfani, via Gronchi. E arrivò a Mattei: di lui, Kennedy era affascinato. E iniziarono delle trattative.
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Gelli, Andreotti, Cia: a Pistoia il fucile che uccise Kennedy?
Il fucile messo nelle mani di Lee Oswald il 22 novembre del 1963 è un Carcano, arma fabbricata in Italia. Carcano era il cognome del tecnico che, presso le fonderie belliche di Terni, prese un progetto di successo austriaco e, fatta qualche modifica per mascherare l’avvenuto copia-incolla, propose una sorta di sottomarca di un modello particolarmente venduto. Come qualunque fucile o pistola, anche il Carcano di Dallas ha un numero di serie, il suo è C2766. Attraverso tale sigla, si è potuta ricostruire la sua storia, fino a risalire ad un nome, quello di Samuel Cummings. Costui era, a metà del secolo scorso, un membro dell’Adam Consolidated Industries Inc., società con doppia sede, a New York e a Roma, dedita al commercio d’armi. Samuel Cummings aveva un uomo di fiducia in Italia: Enrico Frittoli. Sodale di Licio Gelli, Frittoli era titolare di una società di import-export a Montecarlo. Un rapporto del Sisde (il servizio segreto civile) del 1982 informava che ai vertici della Loggia di Montecarlo, insieme a Gelli, vi era Enrico Frittoli. E il sospetto era che proprio attraverso Frittoli, Gelli potesse agilmente commerciare in armi.Lo stesso Frittoli è attualmente (almeno fino al 20 agosto 2018) il responsabile per il Principato di Monaco del Coordinamento Europa del Popolo delle Libertà, il polo politico di Silvio Berlusconi. Il 6 marzo del 2006, su segnalazione della Segreteria di Stato vaticana, è stato insignito, da Papa Benedetto XVI, del titolo di Commendatore dell’Ordine di San Gregorio Magno. Il Carcano riguardò direttamente anche il Sifar, il servizio segreto militare italiano, e Giulio Andreotti. J. Edgard Hoover, il capo dell’Fbi, spedì a Roma il 10 giugno del 1964 un cablogramma nel quale faceva esplicito riferimento a un rapporto del nostro servizio militare contenente informazioni dettagliate sulla celebre carabina. Un dispaccio inviato dal capo-stazione Cia a Roma, datato 31 dicembre 1963, aveva avvertito l’Fbi che quel rapporto era stato confezionato su richiesta di Andreotti. Il Carcano, infatti, faceva parte di una partita di residuati bellici della Seconda Guerra Mondiale dell’esercito fascista, finita in uno stock d’armi ricondizionate e che, grazie a un appalto indetto dal nostro ministero della difesa, nel 1960 finisce proprio alla Adam’s Consolidated Industries Inc., di Samuel Cummings. Nell’anno 1960 il titolare del dicastero della difesa era Giulio Andreotti.Ma non è finita qui, perché lo scorso anno, 2017, ritorna alla ribalta proprio il nostro Carcano, a Pistoia. Il fucile con cui Lee Oswald sparò al presidente degli Stati Uniti è ufficialmente custodito negli Usa, ma un fucile analogo fu trovato un anno fa in un capannone della ex fabbrica di munizioni Smi (Società Metallurgica Italiana) di Campo Tizzoro. L’arma, disattivata e arrugginita, era avvolta in una busta Smi con un cartellino con scritto “C.Warren”, il nome della prima commissione che indagò sul delitto Kennedy, insieme ad alcuni documenti. Tutto era in un armadio metallico, acquistato (come il resto del materiale dell’archivio difesa della Smi) all’asta 5 anni fa per 5.000 euro, dopo che il relativo ramo dell’azienda era stato ceduto al pubblico. La scoperta si deve a Gianluca Iori, architetto e direttore dell’Istituto di ricerche storiche e archeologiche di Pistoia. Iori considera «eccezionali» i documenti rinvenuti, «ora custoditi in cassaforte». Di questi documenti non si è saputo più nulla.Quanto al fucile, Gianluca Iori azzardò più ipotesi: da quella che fosse finito nell’armadio per caso, che potesse essere il secondo fucile che aveva sparato a Kennedy, o che fosse l’arma lasciata a Campo Tizzoro dalla commissione Warren per prove balistiche. Nel 1966, effettivamente arrivarono a Campo Tizzoro investigatori della Cia per alcune verifiche, in quanto due delle tre pallottole esplose da Oswald, oltre a un caricatore, erano state prodotte presso la Smi, che all’epoca «era la principale ditta di munizioni in ambito Nato». Durante la Seconda Guerra Mondiale la Smi produsse per l’esercito tedesco, attestatosi lungo la Linea Gotica proprio sull’Appennino Pistoiese, e fu risparmiata dai bombardamenti alleati grazie ad accordi segreti presi tra la proprietà e l’intelligence britannica. Dal 2006 il grande stabilimento è stato definitivamente chiuso e la produzione è stata trasferita a Fornaci di Barga, vicino al paese di Pinocchio.(Lara Pavanetto, “Come dal fucile Carcano di Oswald, si arriva a Andreotti, Gelli e Berlusconi per finire nel 2017 a Pistoia”, dal blog della Pavanetto del 20 agosto 2018).Il fucile messo nelle mani di Lee Oswald il 22 novembre del 1963 è un Carcano, arma fabbricata in Italia. Carcano era il cognome del tecnico che, presso le fonderie belliche di Terni, prese un progetto di successo austriaco e, fatta qualche modifica per mascherare l’avvenuto copia-incolla, propose una sorta di sottomarca di un modello particolarmente venduto. Come qualunque fucile o pistola, anche il Carcano di Dallas ha un numero di serie, il suo è C2766. Attraverso tale sigla, si è potuta ricostruire la sua storia, fino a risalire ad un nome, quello di Samuel Cummings. Costui era, a metà del secolo scorso, un membro dell’Adam Consolidated Industries Inc., società con doppia sede, a New York e a Roma, dedita al commercio d’armi. Samuel Cummings aveva un uomo di fiducia in Italia: Enrico Frittoli. Sodale di Licio Gelli, Frittoli era titolare di una società di import-export a Montecarlo. Un rapporto del Sisde (il servizio segreto civile) del 1982 informava che ai vertici della Loggia di Montecarlo, insieme a Gelli, vi era Enrico Frittoli. E il sospetto era che proprio attraverso Frittoli, Gelli potesse agilmente commerciare in armi.
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Akakor, Amazzonia: l’impero segreto dei Figli delle Stelle
Nel 13.000 avanti Cristo, «brillanti navi dorate» raggiunsero le foreste lussureggianti del Sudamerica. Ne scesero «maestosi stranieri con la carnagione bianca, il volto contornato dalla barba, folta chioma nera con riflessi blu». Avevano anche «sei dita alle mani e ai piedi», proprio come i Nephilim (giganti) di cui parla la Bibbia, il cui ultimo discendente, Golia, secondo il racconto biblico fu abbattuto dal mitico Davide. I personaggi comparsi in Amazzonia «dissero di provenire da Schwerta, una costellazione lontanissima con innumerevoli pianeti, che incrocia la Terra ogni 6.000 anni». Sconosciuta la tecnologia in loro possesso: «Pietre “magiche” per guardare ovunque nel mondo, arnesi che scagliano fulmini e incidono le rocce, la capacità di aprire il corpo dei malati senza toccarlo». Fiabe? Chissà. In ogni caso, si tratta di storie pericolose: spesso sono costate la vita ai ricercatori che tentarono di approfondirle, capirle, svelarle (compreso un vescovo cattolico, monsignor Giocondo Grotti). E’ un vero e proprio cimitero – sconosciuto ai più – quello dei “cercatori” dell’altro Eldorado, l’ipotetica civiltà dei Figli delle Stelle che, in Amazzonia, avrebbero fondato imponenti città-Stato (sotterrannee) tra piramidi sepolte nella giungla, rivelando all’umanità la sua vera origine. Prima vittima di questa leggendaria scoperta: un giornalista tedesco, Karl Brugger, stabilitosi nel dopoguerra a Manaus.La sua avventura inizia nel 1972, nell’ex capitale del caucciù alla confluenza tra l’Amazonas e il Rio Negro. Dopo tante esplorazioni tra gli indios, Brugger fa l’incontro che gli cambierà la vita: entra in contatto con Tatunca Nara, che si considera l’ultimo capo degli Ugha Mongulala, misteriosa Tribù degli Alleati Eletti. Da lui proviene un racconto straordinario, tratto direttamente dai “libri sacri” che costituiscono la cronistoria di un regno scomparso, Akakor. La “Cronaca di Akakor” racconta Dino Vitagliano sul blog “Acam”, ripreso da “La Crepa nel Muro”, si compone di vari testi: “Il Libro del Giaguaro”, “Il Libro dell’Aquila”, “Il Libro della Formica” e “Il Libro del Serpente d’Acqua”. C’è scritto che gli Alleati Eletti, provenienti dal cielo, «con infinito amore donarono agli indios il lume della civiltà e gettarono le basi di un impero vastissimo». Il reame comprendeva «Akakor, l’imprendibile fortezza di pietra nella vallata sui monti al confine tra Perù e Brasile», ma anche «Akanis in Messico e Akahim in Venezuela», senza contare «le grandiose città di Humbaya e Patite in Bolivia, Cadira, Emin sul Grande Fiume e maestosi luoghi sacri: Salazare, Tiahuanaco e Manoa sull’altopiano a sud». L’antropologo Samir Osmanagich, scopritore delle Piramidi di Visoko in Bosnia datate 28.000 anni, avverte: l’Amazzonia e l’America Centrale ospitano migliaia di antichissime piramidi, sepolte dalla vegetazione: costruite da chi?La disposizione delle piramidi, incluse quelle egizie – aggiunge Osmanagich – riproduce sempre il sistema stellare di qualche precisa costellazione. E’ il caso delle 13 “città invisibili” di Akakor, costruite nel sottosuolo per sfuggire alla vista degli intrusi: «La loro pianta riproduce fedelmente Schwerta, la dimora cosmica degli Antichi Padri». Secondo il racconto della “Cronaca di Akakor”, di sapore mitologico, «una luce innaturale» illumina le città dall’interno, mentre un ingegnoso complesso di canalizzazioni assicura l’afflusso di aria e acqua anche in profondità. Nella narrazione poi compaiono numeri precisi, per raccontare l’improvvisa scomparsa dei “padri celesti”: «Il potente dominio, che contava sotto di sé 362 milioni di individui, durò 3.000 anni». Poi, nell’Ora Zero – identificata nel 10.481 avanti Cristo – gli Antichi Padri «ripresero la via del cielo», sia pure «con la promessa di ritornare». Un viavai astronautico, che ricorda quello che Mauro Biglino ricava direttamente dalla rilettura letterale, in ebraico, dell’Antico Testamento (solitamente tradotto con un’infedeltà clamorosa, capace di trasformare in “gloria” l’inesplicabile “Khavod” con cui, si legge, l’Eohim chiamato Yahvè era solito volare, come su un’astronave capace di varcare le “porte del cielo” che conducono “le olàm”, nello spazio sconosciuto).La partenza dei Figli delle Stelle dall’Amazzonia, prosegue la sintesi offerta da Vitagliano, fu decisamente traumatica: «La Terra parve piangere la loro scomparsa e, 13 anni dopo, un’immane catastrofe si abbattè sul pianeta e sconvolse il suo aspetto, seminando ovunque morte e desolazione». Sapevano, gli “dei” precipitosamente partiti, che cosa sarebbe successo al nostro pianeta? Al che, gli uomini «persero la fede» in quelli che avevano cominciato a considerare “dèi”. La società umana degenerò, e gli individui presero a commettere «azioni crudeli», pessima abitudine protrattasi «nei millenni a venire». Ma non è tutto: «Seguì un seconda catastrofe: una stella gigantesca dalla coda rossa impattò la Terra, provocando un immane diluvio», altro “topos” narrativo citato in tutte le letterature antiche. Secondo le parole di quelli che, nel frattempo, erano diventati sacerdoti, «quando la disperazione avesse raggiunto il culmine, i Primi Maestri sarebbero tornati». Circa 6.000 anni dopo, infatti – nel 3.166 avanti Cristo – ricomparvero le “navi d’oro”. Un nuovo ciclo di regalità “illuminata”: «Lhasa, il Sublime, regnò ad Akakor». E attenzione: «Suo fratello Samon volò sul Nilo per fondare un secondo impero». In più, il nuovo potere egizio «approdava regolarmente in terra sudamericana», sempre «a bordo di immense navi».A che punto era, nel resto del mondo, la civiltà umana attorno al 3000 avanti Cristo? A Creta stava per nascere la cultura minoica, sulla sponda orientale del Mediterraneo sorgeva il villaggio da cui sarebbe nata Troia, mentre sul Nilo regnava la primissima dinastia di faraoni. Più avanzata la civiltà dei Sumeri in Mesopotamia, con importanti città come Ur e Uruk, mentre in Siria si stagliavano le mura di Aleppo. Grandi movimenti da oriente verso occidente: la Cina già molto sviluppata, i contatti con l’Iran, i primi stanziamenti indoeuropei in Ucraina e l’agricoltura che si affaccia sul Baltico, mentre in Inghilterra sorgono le prime tracce di Stonehenge. Legami con l’Amazzonia? Reperti di varia natura scoperti dagli archeologi confermano la presenza egiziana in Sudamerica, come la Roccia delle Scritture che l’antropologo statunitense George Hunt Williamson rinvenne sulle Ande nel 1957, istoriata da geroglifici simili a quelli egizi, venerata dai nativi e collegata alla discesa di antenati spaziali che dimoravano nel “Gran Paititi”. Fili non proprio invisibili, che collegano continenti lontani, fino al mitico impero delle Amazzoni.«Il principe di Akakor – prosegue la “Cronaca” del regno amazzonico – governò con saggezza riorganizzando l’impero distrutto ed eresse nuove città come Manu, Samoa e Kin in Bolivia, e Machu Picchu in Perù. Trecento anni rimase sulla Terra, finchè un giorno si diresse sulla Montagna della Luna, sopra le Ande, e disparve nel cielo in un fuoco». Partenza che riecheggia quella di Quetzalcoatl, misterioso personaggio messicano poi venerato come “divinità”. Millenni di guerre contro le tribù nemiche – aggiunge Vitagliano – videro Akakor cadere e risorgere più volte, stringendo anche alleanze con «stirpi straniere giunte da lontano». Attenzione: le tradizioni degli Ugha Mongulala parlano di «popolazioni bianche, come i Goti che visitarono le loro terre». Nientemeno: sarebbero gli antenati degli stessi Goti che, con Alarico, avrebbero tentato di ripristinare la perduta “regalità iniziatica” resuscitando quel che restava dell’Impero Romano.Ancora una volta, sottolineano i blog “Acam” e “La Crepa nel Muro”, questa citazione si rivela una notevole conferma delle antiche cronache medievali, nelle quali «navi vichinghe partite all’esplorazione di mondi lontani, dopo un naufragio, approdarono sulle coste del Sudamerica». Nella Sierra di Yvytyruzu, in Paraguay, l’archeologo franco-argentino Jacques de Mahieu negli anni ‘70 scoprì un masso istoriato di caratteri runici e disegni dei Drakkar, le navi nordiche, con anche un uomo barbuto protetto da un’armatura. «Le attuali popolazioni di quei territori possiedono la pelle bianca, un torace sviluppato e la barba». Ma un evento ancor più strano, «preconizzato nelle antiche scritture degli Antenati Divini», è l’arrivo ad Akakor di 2.000 soldati tedeschi: militari del Terzo Reich, che aiutarono gli indios ad armarsi contro i “barbari bianchi” (ma senza successo, perché la Germania stava ormai perdendo la Seconda Guerra Mondiale). «I nativi ricordano lo stemma cucito sulla giacche delle truppe, identico ai covoni di grano in foggia di svastica, che rotolavano dalle colline durante cerimonie sacre nel solstizio d’estate».Lo stesso Hitler era ossessionato a tal punto dalle tradizioni esoteriche da abbracciare le idee della società segreta Thule, che prendeva il nome di un vasto territorio esteso dal Mar del Gobi al Polo Nord, abitato dalla “civiltà degli Iperborei”, considerata custode di antiche conoscenze perdute. L’esistenza di una “razza antichissima” che viveva in cavità sotterranee in Amazzonia stimolò la sua curiosità, spingendo il capo del nazismo a inviare numerose spedizioni in tutto il globo per accertare la veridicità dei suoi studi occulti. In questo caso il contingente tedesco “atteso” dagli indios salpò da Marsiglia, a bordo di un sommergibile, per una missione segretissima: tentare di prendere contatto con la mitica Tribù degli Alleati Eletti, quella che – decenni dopo – Karl Brugger avrebbe intercettato, incontrando Tatunca Nara (cioè la fonte principale della leggendaria “Cronaca di Akakor”). Sempre secondo Dino Vitagliano, non fu casuale la scelta, da parte dei nazisti, di partire dal porto mediterraneo: «Un resoconto di viaggio del navigatore greco Pitea di Massalia, nel IV sec a.C., il “De Oceano”, narra la partenza da Massalia, l’antica Marsiglia, per giungere alla mitica Thule ubicata nei ghiacci remoti nel lontano Nord. Molto probabilmente la città francese custodisce segreti esoterici noti ai nazisti da lungo tempo».Sempre secondo la “Cronaca”, il Tempio del Sole di Akakor, vigilato da guardie armate, custodisce mappe segrete, vergate dagli Antichi Padri: mostrano il cosmo com’era millenni prima, con altre Lune, un’isola perduta ad Ovest e una terra in mezzo all’Oceano, «inghiottite dai flutti nel corso di un’epica battaglia stellare», combattuta tra due progenie di “dèi”, le cui conseguenze «investirono persino i pianeti Marte e Venere». A un certo punto, in questa favolosa cosmogonia, compare l’umanità: «I Signori del Cielo portarono l’uomo da un pianeta all’altro, fino a giungere sulla Terra». Già l’austriaco Hanns Hoerbiger, teorico nazista, aveva postulato l’esistenza di varie Lune nelle ère perdute della Terra. Poi c’è un’allusione diretta ai Vimana, le “astronavi” dei Deva (i paleo-astronauti indiani di cui si parla nei Veda, poi trasformati in “divinità” con la nascita dell’Induismo): le mappe di Akakor, citate da Brugger, si ricollegano alla carta astronomica del 4.000 avanti Cristo, appartenuta al compianto ricercatore britannico David Davenport sulle rotte dei Vimana verso il nostro pianeta, provenienti da sistemi stellari lontanissimi. Amazzonia, India, Palestina: è come se venisse raccontata sempre la stessa storia, sia pure in lingue diverse. Qualcuno sarebbe giunto sulla Terra dallo spazio profondo, dando origine all’uomo.Nella foresta pluviale amazzonica, questa “conoscenza” sarebbe stata preservata secondo precise modalità: «Fedeli ai desideri dei Primi Maestri, i sacerdoti raccolsero tutto il sapere e la storia della Tribù Eletta in libri custoditi in una sala scolpita nella roccia all’interno delle dimore sotterranee. Nello stesso luogo gli enigmatici disegni dei Padri Divini sono incisi in verde e azzurro su di un materiale sconosciuto. Disegni che né l’acqua né il fuoco riescono a distruggere». Sempre nel Tempio del Sole, «nei sotterranei giacciono anche armi simili a quelle dei tedeschi appartenute agli “dèi”, l’astronave di Lhasa, un cilindro di metallo ignoto che volava senz’ali, e un veicolo anfibio che attraversava le montagne». Tatunca Nara raccontò a Karl Brugger di aver visto con i suoi occhi «una sala rischiarata da una luminosità azzurrina che mostrava in animazione sospesa quattro persone, tra cui una donna, con sei dita alle mani e ai piedi, entro contenitori di cristallo pieni di liquido». Fervida fantasia fantascientifica – decisamente fuori luogo, in un indio amazzonico degli anni ‘70 – o testimonianza semplicemente sconcertante, così come l’intera storia del regno sotterraneo di Akakor fondato dai Padri Celesti?Il ricercatore italiano Antonio Filangieri verificò le credenziali di Karl Brugger tramite il fratello, Benno, incontrato a Monaco. Benno Brugger rivelò a Filangieri che, dopo l’improvvisa morte di Karl, «colpito in circostanze misteriose da una pallottola nel 1984», il consolato tedesco aveva perquisito l’appartamento di Karl a Rio de Janeiro, confiscando tutta la documentazione relativa alla spedizione di Akakor. «In seguito, le casse con gli incartamenti furono oggetto di diversi tentativi di furto». Di punto in bianco, il console tedesco di Rio venne trasferito in Costa d’Avorio, con i documenti al seguito. Parte del materiale, infine, scomparve non appena giunse in Germania, dov’era arrivato su richiesta di Benno Brugger. Ma non tutto era perduto: «Quando Tatunca Nara avviò delle trattative con alti ufficiali bianchi per fermare lo sterminio indiscriminato degli indios, che prosegue tuttora indisturbato da parte delle autorità, ebbe modo di affidare alcuni scritti degli “dèi” a un vescovo cattolico». Si tratta di monsignor Giocondo Grotti. Dopo aver spedito i documenti in Vaticano, il prelato morì in uno strano incidente aereo, il 28 settembre 1971, durante il decollo dalla pista amazzonica di Sena Madureira, nello Stato dell’Acre, alla frontiera brasiliana con il Perù. Disgustato dai “barbari” bianchi, Tatunca Nara si dichiara orgoglioso delle sue origini: «Noi siamo uomini liberi, del Sole e della Luce. Non vogliamo gravare il nostro cuore del peso della loro fede errata e bugiarda».Con pazienza, conclude Vitagliano, il vecchio Tatunca Nara attende il ritorno degli “dèi”. O forse le “divinità”, tuttora nascoste negli impenetrabili recessi di Akakor, «attendono con pazienza che gli uomini tornino a loro stessi». In ogni caso, aggiunge il ricercatore su “Acam”, il Terzo Reich non fu il solo a interessarsi al mitico regno amazzonico. L’antica civiltà scomparsa, le cui colossali rovine sarebbero sepolte sotto le foreste del Sudamerica, è stato il sogno di numerosi avventurieri nel corso delle varie epoche. Già nel 1530 l’ufficiale di Pizarro, Francisco Orellana, favoleggiava di un reame pieno d’oro tra il Rio delle Amazzoni e il fiume Orinoco. La Chiesa ne sa qualcosa: «I gesuiti sono in possesso di antichi scritti di viaggio relativi a un’antica popolazione che dimora in una città maestosa nella giungla brasiliana». Un gruppo di sette uomini, guidato dal geografo americano Hamilton Rice, nel 1925 si spinse nella Sierra Parima, tra Venezuela e Brasile, alla scoperta di Ma-Noa, la capitale del leggendario El Dorado. Curiosamente, annota Vitagliano, il nome ricorda Manu, una delle 13 città costruite da Lhasa, detto il Sublime, che avrebbe regnato su Akakor 3.000 anni prima di Cristo.La documentazione più importante riguardo l’esistenza di scomparse civilizzazioni antecedenti a quelle conosciute – aggiunge sempre Vitagliano – proviene del colonnello britannico Percy Harrison Fawcett, cartografo della National Geographic Society. «In Sudamerica si dedicò alla consultazione del Manoscritto dei Bandeirantes, della prima metà del 1700», ora custodito al Museo dell’Indio a Rio de Janeiro. Il testo descrive l’esplorazione delle foreste amazzoniche da parte di un gruppo di venti uomini, e la loro clamorosa scoperta: una metropoli di pietra, ormai deserta, protetta da mura ciclopiche. Organizzata una spedizione del 1925 in Mato Grosso, Fawcett «si inoltrò con il figlio Jack lungo il Rio Araguaia, entrando in contatto con varie tribù di indios che conservavano nelle loro tradizioni il ricordo di una provenienza stellare». Proprio quando sembrava aver raggiunto «le vestigia di remote città illuminate da luci fredde», il cartografo inglese «scomparve misteriosamente, in estate, nell’alto Rio Xingu». Nel 1946 è la volta del connazionale Leonard Clark, che in un resoconto di viaggio (“I fiumi scendevano a Oriente”, edito nel 2000 da Tea), narra il ritrovamento di sei delle sette città dell’El Dorado nelle Ande Peruviane.Undici anni dopo, stimolato dai racconti del colonnello Fawcett, Antonio Filangieri ricalcò lo stesso itinerario e constatatò che molti luoghi collimavano. «Partì per un secondo viaggio, in modo da verificarne le scoperte archeologiche e raccogliere informazioni sulla sua scomparsa». Viaggio da cui però dovette desistere, come egli stesso riferisce, «per drammatici eventi sopraggiunti». Poco dopo, nel 1975, l’archeologo brasiliano Roldao Pires Brandao individuò una montagna tra il Brasile e il Venezuela, il Pico De La Neblina, attorno a cui – quattro anni dopo – scoprì tre piramidi di 150 metri, accanto a un complesso urbano nascosto dalla foresta. Ma la ricerca non è finita, aggiunge Vitagliano: ai giorni nostri, il ricercatore Marco Zagni si è assunto il compito di svelare l’esistenza di scomparse civiltà pre-incaiche. Zagni ha organizzato una spedizione in Perù, nelle zone di Pantiacolla, del fiume Pini Pini e di Pusharo, basandosi sulle testimonianze di una spedizione francese smarritasi nel 1979: in quella regione esisterebbero «indios di due metri», che vivono in mezzo a «strane formazioni piramidali, fotografate dal satellite LandSat», in un’area attraversata da una fitta rete di cavità sotterraneee, chiamate Soccabones. Ultime tracce del mitico Akakor?Anche gli archeologi, conclude Vitagliano, ormai sono propensi a riconoscere che – tra il 6.000 e il 4.000 avanti Cristo – sia fiorita una civiltà amazzonica, quella dei Mogulalas, formata da numerose città-Stato. Un dominio estremamente vasto, che si estendeva dal Venezuela alle Ande Peruviane. «Una conferma esoterica giunge anche dal libro di Leo e Viola Goldman, “I Misteri del Tempio” (Edizioni Synthesis, 1998)», che descrive «il cammino iniziatico di una donna nella città nascosta di Ibez, all’interno della montagna sacra del Roncador in Mato Grosso». Una montagna popolata da Maestri Divini che, «scampati alla distruzione di Atlantide con i Vimana», cioè le loro potenti astronavi, crearono le civiltà degli Inca, dei Maya e degli Atzechi. Una storia affascinante, ma costellata da troppe strane morti: non porta fortuna, a quanto pare, inoltrarsi in Amazzonia alla ricerca degli Splendenti, i Padri Celesti come Lhasa il Sublime. Chi erano, dunque, gli esseri “superiori” che, secondo Tatunca Nara (e il suo interlocutore tedesco, Karl Brugger, ucciso misteriosamente) avrebbero addirittura “importato” la vita sul pianeta Terra, trasportandola sin qui da pianeti sconosciuti, fino a dare origine alla stessa presenza dell’uomo?Nel 13.000 avanti Cristo, «brillanti navi dorate» raggiunsero le foreste lussureggianti del Sudamerica. Ne scesero «maestosi stranieri con la carnagione bianca, il volto contornato dalla barba, folta chioma nera con riflessi blu». Avevano anche «sei dita alle mani e ai piedi», proprio come i Nephilim (giganti) di cui parla la Bibbia, il cui ultimo discendente, Golia, secondo il racconto biblico fu abbattuto dal mitico Davide. I personaggi comparsi in Amazzonia «dissero di provenire da Schwerta, una costellazione lontanissima con innumerevoli pianeti, che incrocia la Terra ogni 6.000 anni». Sconosciuta la tecnologia in loro possesso: «Pietre “magiche” per guardare ovunque nel mondo, arnesi che scagliano fulmini e incidono le rocce, la capacità di aprire il corpo dei malati senza toccarlo». Fiabe? Chissà. In ogni caso, si tratta di storie pericolose: spesso sono costate la vita ai ricercatori che tentarono di approfondirle, capirle, svelarle (compreso un vescovo cattolico, monsignor Giocondo Grotti). E’ un vero e proprio cimitero – sconosciuto ai più – quello dei “cercatori” dell’altro Eldorado, l’ipotetica civiltà dei Figli delle Stelle che, in Amazzonia, avrebbero fondato imponenti città-Stato (sotterrannee) tra piramidi sepolte nella giungla, rivelando all’umanità la sua vera origine. Prima vittima di questa leggendaria scoperta: un giornalista tedesco, Karl Brugger, stabilitosi nel dopoguerra a Manaus.
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Orrore indicibile: la polizia ritrova 123 bambini scomparsi
Rapiti e poi “parcheggiati”, in attesa di essere massacrati. La polizia di Detroit li ha ritrovati tutti insieme: 123 bambini. Erano «in un grave stato di denutrizione e di sofferenza psicologica», scrive l’“Huffington Post”. Tuttavia, «dagli accertamenti svolti non sembrerebbe che siano stati vittime di violenze sessuali». Gli agenti hanno impiegato molte ore per rintracciare le loro famiglie e riconsegnare i piccoli, sequestrati nei giorni precedenti. Secondo il “New York Post”, gli inquitenti stavano indagando «su una rete di rapimenti di minori che poi venivano coinvolti in traffici sessuali». Quello che sorprende, di queste notizie – osserva Paolo Franceschetti – è che vengono date di sfuggita: «Poche righe, liquidate come se si trattasse di una notizia del tipo “Belen ha un nuovo fidanzato”. Il sindaco di Riace, reo di aver favorito (non si sa poi se vero o no) l’immigrazione clandestina, ce lo rifilano su tutti i giornali e in tutte le salse». E i bambini scomparsi, invece? E i nomi delle persone arrestate o coinvolte nella vicenda? In America, aggiunge Franceschetti, scompare un numero incredibile di minori. «Le pareti di autogrill e supermercati sono spesso tappezzate dalle foto e di persone scomparse nel nulla, da un momento all’altro, come se niente fosse».I piccoli appena ritrovati a Detroit? «Destinati ad essere impiegati nel mercato del sesso, ma anche degli organi e dei riti satanici». Se da noi scompaiono ogni anno senza essere ritrovati centinaia di minori, in altri paesi europei la situazione è ancora peggiore: solo in Francia, quest’anno, i bambini spariti sono 1.238. Che fine fanno? Sul blog “Petali di Loto”, Franceschetti – avvocato, indagatore dei misteri italiani come quello del Mostro di Firenze – punta il dito contro il satanismo e le potentissime organizzazioni pedofile: nel mondo di calcola che ogni anno scompaiano circa 100.000 bambini. Un caso particolarmente doloroso riguarda i bambini figli di extracomunitari non registrati ufficialmente, e quelli che vengono “comprati” già da prima della nascita: «Si paga una coppia in difficoltà affinché faccia nascere un bambino e lo consegni all’organizzazione che lo richiede; è il modo più sicuro; non lascia alcuna traccia del delitto commesso e il bimbo scompare nel nulla e mai comparirà neanche nelle statistiche». Il loro destino? «Molti finiscono nel traffico di organi». Alcuni vengono utilizzati per i “giochi di morte” filmati negli abominevoli “snuff movies”, altri ancora diventeranno super-soldati, psicologicamente “riprogrammati”.Ma il posto d’onore, nella strage silenziosa dei piccoli, è occupato proprio dalle reti pedofile: «Sono organizzate a livello internazionale e coperte da capi di Stato», sostiene Franceschetti: in alcuni casi, a tirare le fila di questa realtà sono proprio i soggetti istituzionali che dovrebbero invece tutelare la sicurezza dei bambini. Franceschetti allude a magistrati, autorità di polizia, funzionari dell’Onu. «Molte delle organizzazioni antipedofilia e dei centri che accolgono i bambini abbandonati, poi, non sono altro che trappole ben congegnate per accalappiare i malcapitati che cercano aiuto». Le prove? «Ce ne sono a bizzeffe, ma il quadro – sostiene Franceschetti – va ricostruito come un immenso puzzle». Fece epoca il caso del serial killer belga Marc Dutroux, ribattezzato “il mostro di Marcinelle”. Una storia dell’orrore, rievocata nel libro “Tutti manipolati”, pubblicato da “Stampa Alternativa” e scritto da un coraggioso gendarme belga, Marc Toussaint, che aveva partecipato alle indagini per poi esserne estromesso perché “troppo ligio al dovere”. Tentarono anche di farlo fuori, provocandogli un incidente in moto. Il libro, documentato e basato sugli atti dell’inchiesta, racconta di come nel caso Dutroux furono coinvolti cardinali, ministri, e addirittura il Re del Belgio, Alberto II.Nel 1996 scomparve una bambina belga, Laetitia. Le indagini individuarono il rapitore: Dutroux. Il pedofilo aveva ucciso almeno sei bambine, ma ci vollero otto anni prima di giungere al processo. Nel frattempo, due bambine erano state rinchiuse in casa Dutroux, «ma i depistaggi della gendarmeria e della magistratura fecero sì che le bambine non venissero trovate durante le perquisizioni». La scoperta avvenne fuori tempo massimo: le piccole erano già morte. L’inchiesta, ricorda Franceschetti, portò ad individuare come mandanti personaggi di altissimo livello, che arrivavano fino al coinvolgimento personale del sovrano belga. L’organizzazione era dedita a “snuff movies” e ad attività come «il gioco del gatto e del topo, che a quanto pare è una costante di queste organizzazioni». Ma giornalisti e inquirenti che seguivano il caso persero la vita: «Incidenti e suicidi, ovviamente». E così, «tutto venne messo a tacere dalla magistratura e dalla gendermeria».Dall’Europa agli Usa: un ex agente segreto ha salvato dagli abusi e dal controllo mentale una delle vittime di queste organizzazioni, Cathy O’Brien. Dopo essere sfuggiti più volte alla morte, lo 007 e la ragazza sono riusciti a scrivere due libri: “Accesso negato alla verità” (Macro edizioni) e “Trance-formation of America”. In quest’ultimo, spiega Franceschetti, si narra di come l’organizzazione che abusava la donna facesse capo addirittura al presidente degli Stati Uniti, George W. Bush. «Si narra dei legami di Bush e Clinton con i signori della droga, si narra dei legami con le organizzazioni pedofile e con quelle sataniche». In particolare si evidenziano i legami di Bush e Clinton con il “Tempio di Seth”, che è «la più potente organizzazione satanista ramificata a livello internazionale». La fondò Michael Aquino, un ex ufficiale dell’esercito statunitense molto amico di Bush. «Stupri, omicidi, pedofilia, droga, satanismo… tutto narrato nero su bianco, con nomi e cognomi».Stati Uniti, Europa e anche Africa: tempo fa, aggiunge Franceschetti, in Ciad vennero arrestate per pedofilia e commercio di esseri umani alcune persone – appartenenenti all’organizzazione “L’Arca di Zoe” – che stavano portando in Francia 103 bambini. «Che fine dovessero fare quei bambini non si sa», ma l’allora presidente Sarkozy andò personalmente a trattare la liberazione degli arrestati per riportarli in patria. Gli operatori fermati avevano dichiarato che i bambini erano orfani provenienti dal Darfur. «Poi si è scoperto che erano figli di famiglie del Ciad, e i genitori erano ancora viventi». Da notare che “L’Arca di Zoe” «era sotto inchiesta anche in Francia, sospettata di trafficare in bambini per scopi tutt’altro che leciti». Non che da noi non esistano, retroscena analoghi: anzi, «in Italia inchieste così eclatanti non sono neanche mai iniziate». O meglio: quelle avviate «non sono state divulgate», sostiene Franceschetti: «Nel 2006 venne arrestato un avvocato romano, Alberto Gallo, per pedofilia. I giornali riporteranno la notizia come se si trattasse di un pedofilo isolato, ma in realtà faceva parte di un’organizzazione internazionale». Lo stesso Dutroux, in Belgio, era solo una pedina di queste potenti reti senza frontiere.Nel suo romanzo “La Loggia degli Innocenti”, il commisario Michele Giuttari – fermato a un passo dall’aver risolto il giallo del Mostro di Firenze – descrive un’organizzazione pedofila che fa capo al procuratore fiorentino, a cui (nella fiction) dà un nome non casuale: Alberto Gallo. «In altre parole, Giuttari lega chiaramente l’ex procuratore di Firenze Piero Luigi Vigna alla rete pedofila che era sotto inchiesta in quel periodo». E il nome della “loggia” allude chiaramente all’Ospedale degli Innocenti, «storico palazzo fiorentino dove da secoli è ospitato un centro che tutela i minori abbandonati». Un puzzle infinito, che coinvolgerebbe capi di Stato e ministri, teste coronate, ma anche «militari, magistratura e forze dell’ordine», senza contare i cardinali che negli Usa sono oggi al centro di un clamoroso scandalo, con migliaia di minori abusati. Il guaio, dice Franceschetti, è che il fenomeno “pedofilia internazionale” (con la variante del satanismo) è costantemente negato da quelli che sono «i massimi garanti del sistema in cui viviamo», alcuni dei quali poi finiscono in televisione, consultati come “esperti”. Franceschetti ricorda le parole che gli rivolse il figlio di un boss della ’ndrangheta: «Da noi c’è più legalità e giustizia. In Calabria e in Sicilia i bambini non si toccano; da voi al Nord, invece sì».Quella che può sembrare una follia oggi può assumere un terribile significato. La gente comune, dice Franceschetti, non si stupisce più di tanto se scopre che i vertici della politica hanno contatti organici con la mafia, ma non potrebbe tollerare lo spettacolo dell’altro orrore – quello perpetrato ai danni dei minori scomparsi. «Siamo disposti ad accettare che si scatenino guerre da milioni di morti in Iraq, Afghanistan, in Africa. In fondo, quelli sono negri. Che ce ne importa? Basta che non ci tolgano la partita di calcio della domenica. Ma probabilmente – aggiunge Franceschetti – se si venisse a sapere la verità sui bambini scomparsi, nessuno potrebbe reggere ad un simile shock. E allora sì, forse qualcuno comincerebbe a capire che il mondo in cui viviamo non funziona esattamente come i giornali e i mass media in genere ce lo descrivono». Ecco perché, probabilmente, quella realtà resta avvolta in tanta, misteriosa segretezza. E se la polizia ritrova 123 bambini in un colpo solo, i media archiviano la notizia “en passant”, senza scavare per capire cosa si nasconde dietro quell’enormità.Rapiti e poi “parcheggiati”, in attesa di essere massacrati. La polizia di Detroit li ha ritrovati tutti insieme: 123 bambini. Erano «in un grave stato di denutrizione e di sofferenza psicologica», scrive l’“Huffington Post”. Tuttavia, «dagli accertamenti svolti non sembrerebbe che siano stati vittime di violenze sessuali». Gli agenti hanno impiegato molte ore per rintracciare le loro famiglie e riconsegnare i piccoli, sequestrati nei giorni precedenti. Secondo il “New York Post”, gli inquirenti stavano indagando «su una rete di rapimenti di minori che poi venivano coinvolti in traffici sessuali». Quello che sorprende, di queste notizie – osserva Paolo Franceschetti – è che vengono date di sfuggita: «Poche righe, liquidate come se si trattasse di una notizia del tipo “Belen ha un nuovo fidanzato”. Il sindaco di Riace, reo di aver favorito (non si sa poi se vero o no) l’immigrazione clandestina, ce lo rifilano su tutti i giornali e in tutte le salse». E i bambini scomparsi, invece? E i nomi delle persone arrestate o coinvolte nella vicenda? In America, aggiunge Franceschetti, scompare un numero incredibile di minori. «Le pareti di autogrill e supermercati sono spesso tappezzate dalle foto e di persone scomparse nel nulla, da un momento all’altro, come se niente fosse».
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Franceschetti: sono gli ‘amici del popolo’ a tradire il popolo
Vuoi vedere che, alla fine, saranno proprio gli “amici del popolo” a varare le leggi peggiori, inguaiando gli italiani? «Non me ne stupirei, se andasse a finire proprio così», dice Paolo Franceschetti, noto per aver indagato – come avvocato e poi come ricercatore indipendente – su alcuni dei più atroci delitti irrisolti della storia italiana, a partire da quelli del Mostro di Firenze. La sua tesi: omicidi rituali, commessi da personaggi insospettabili e altolocati. Stragi utili, in ogni caso, alla “sovragestione” occulta del potere: il killer imprendibile è perfetto per tenere in ansia la popolazione, salvo poi presentare all’opinione pubblica un capro espiatorio invariabilmente modesto, senza cultura, proveniente dai ceti popolari. Come dire: è giusto che il popolo patisca ingiustizie, dato che i suoi esponenti (quelli che finiscono in prima pagina) sono rozzi e brutali. Una lettura psico-politica che ha reso Franceschetti estremamente diffidente, rispetto all’offerta elettorale italiana: paradossalmente, proprio la fiducia che Lega e 5 Stelle riscuotono presso gli elettori rendono questi due partiti il vettore ideale, per chi volesse manipolarli, spingendoli a tradire, ancora una volta, le aspettattive di una società messa alla frusta dal rigore imposto dai poteri che sovrastano l’Unione Europea.«Riconosco che Lega e 5 Stelle sono portatori di un rinnovamento valido, sulla carta, e quindi spero sinceramente di sbagliarmi – premette Franceschetti, ai microfoni di “Border Nights” – nel momento in cui esprimo il timore che anche questo governo possa rivelarsi un sostanziale inganno». Le paure di Franceschetti sono storicamente motivate: «Ho sempre votato a sinistra, ma poi ho scoperto che proprio la sinistra, di cui il popolo di fidava, è stata incaricata di attuare le leggi più impopolari». E’ storia: la progressiva contrazione dei diritti del lavoro, la flessibilità universale presentata come inevitabile, le grandi privatizzazioni che hanno sabotato l’economia nazionale italiana. «Dove poi la sinistra non è bastata sono arrivati i cosiddetti “tecnici” a finire il lavoro». Eclatante il caso Monti: pareggio di bilancio in Costituzione, Fiscal Compact, legge Fornero sulle pensioni. Tracollo del Pil, crollo del potenziale industriale, svendita generale del paese. Da qui la protesta recente sotto la bandiera del “sovranismo” leghista, alleatosi con il movimentismo dei pentastellati, fino all’inedito esito del governo “gialloverde”, che – sulla carta – sta provando a sfidare il potere europeo, nonostante l’assedio ostile cui è sottoposto da parte dei grandi media.Campanello d’allarme, l’ultima dichiarazione di Paolo Savona: se tracima lo spread, saremo costretti a rivedere il Def, piegando la testa. Si delinea un bivio: possibili elezioni anticipate, con “chiamata alle armi” per mobilitare gli elettori contro Bruxelles, in alternativa alla più mesta delle ritirate (la rinuncia al 2,4% di deficit per finanziare reddito di cittadinanza, Flat Tax e pensioni più dignitose). «Vorrei tanto potermi fidare dei “gialloverdi” – dice Franceschetti – ma sono costretto a prendere nota, ad esempio, di quanto sta avvenendo sul fronte dei vaccini: lungi dall’abrogare la legge Lorenzin sull’obbligo vaccinale, si sta elaborando una nuova proposta di legge che prevederebbe vaccinazioni obbligatorie anche per gli adulti». Se così fosse – aggiunge Franceschetti – il governo Conte farebbe persino peggio dell’esecutivo Gentiloni. Il che è paradossale, ma non così inconsueto: sarebbe uno spettacolo al quale il pubblico italiano è stato abituato. E cioè: niente di meglio che gli “amici del popolo”, per rifilare al popolo le peggiori leggi, dettate dal vero potere. «Teniamo presente che a comandare sono poteri economici e finanziari: l’Europa dipende dalla Bce, che non è sottoposta ad alcun controllo democratico». Come credere che due partiti, Lega e 5 Stelle, possano (e vogliano davvero) rovesciare un dominio così schiacciante?Vuoi vedere che, alla fine, saranno proprio gli “amici del popolo” a varare le leggi peggiori, inguaiando gli italiani? «Non me ne stupirei, se andasse a finire proprio così», dice Paolo Franceschetti, noto per aver indagato – come avvocato e poi come ricercatore indipendente – su alcuni dei più atroci delitti irrisolti della storia italiana, a partire da quelli del Mostro di Firenze. La sua tesi: omicidi rituali, commessi da personaggi insospettabili e altolocati. Stragi utili, in ogni caso, alla “sovragestione” occulta del potere: il killer imprendibile è perfetto per tenere in ansia la popolazione, salvo poi presentare all’opinione pubblica un capro espiatorio invariabilmente modesto, senza cultura, proveniente dai ceti popolari. Come dire: è giusto che il popolo patisca ingiustizie, dato che i suoi esponenti (quelli che finiscono in prima pagina) sono rozzi e brutali. Una lettura psico-politica che ha reso Franceschetti estremamente diffidente, rispetto all’offerta elettorale italiana: paradossalmente, proprio la fiducia che Lega e 5 Stelle riscuotono presso gli elettori fa di questi due partiti il vettore ideale, per chi volesse manipolarli, spingendoli a tradire, ancora una volta, le aspettative di una società messa alla frusta dal rigore imposto dai poteri che sovrastano l’Unione Europea.
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“Riace è un modello solo per Saviano e gli italiani cretini”
Si può essere «cretini» come Roberto Saviano, che finge di non sapere che Riace era un paesino deserto, e quindi adatto ad essere ripopolato con migranti? «Capirei se l’Italia fosse abitata da un milione di persone», dice il video-reporter Massimo Mazzucco. «Sfortunatamente gli italiani sono 60 milioni: Saviano non lo sa? Non capisce che inserire migranti in aree sovraffollate non è come domiciliare immigrati in un villaggio fantasma, abbandonato dagli abitanti originari?». A fare notizia, in realtà – sostiene Mazzucco nel “live” settimanale in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” – non è neppure l’imbarazzante, scontato propagandismo anti-Salvini dell’autore di “Gomorra”, quanto la levata di scudi suscitata dall’arresto del sindaco di Riace, Domenico Lucano, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E’ comunque eccessivo, in casi come questo, il ricorso alla carcerazione preventiva? Spesso, dichiara sempre a Frabetti l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, l’arresto è «un indice di frustrazione, da parte di una magistratura che in questo modo anticipa la pena», temendo che poi il processo potrebbe naufragare. «Molto più efficace il “processo” mediatico», la “gogna” innescata dalle manette. Segno, ribadisce Carpeoro, «che in Italia la giustizia non riesce proprio a funzionare».Sul caso Riace si è in ogni caso abbattuta l’ennesima tempesta. In difesa del sindaco Lucano si schierano scrittori, giornalisti, opinionisti a tempo pieno. La filosofa Maura Gancitano parla di “regime”, quando in realtà di amministratori locali arrestati se ne contano a bizzeffe. Perché proprio questa volta ci si scandalizza così tanto? «Ci si scandalizza – dice Mazzucco – perché quel sindaco è diventato una specie di simbolo, una bandiera (positiva o negativa, a seconda di come la guardi). Era stato addirittura inserito da “Fortune” tra le 50 persone più influenti del mondo: e senza un vasto movimento di supporto, da parte di una certa sinistra, non sarebbe mai potuto finire su “Fortune”. Il giornale non se ne sarebbe neppure accorto, dell’esistenza del paesino di Riace». E proprio perché Domenico Lucano è stato trasformato nella bandiera dell’accoglienza “senza se e senza ma”, «Matteo Salvini (giustamente, dal suo punto di vista) ha detto la sua, e quindi ha creato il caso: che infatti nasce perché questo sindaco è diventato un simbolo, non per quello che ha fatto a Riace». Il guaio, sottolinea Mazzucco, sta nel voler generalizzare in modo così miope, prendendendo che il ripopolamento “meticcio” di un paesetto disabitato rappresenti un modello, applicabile anche a periferie degradate anche dalla presenza di migranti senza occupazione.Quanto al caso giudiziario, è indispensabile chiarire: «Se il sindaco ha fatto qualcosa di sbagliato, legalmente – sostiene Mazzucco – non è che glielo puoi condonare solo perché è stato “bravo” ad accogliere i migranti: secondo questa logica, a uno ancora più “bravo” potrebbe anche essere perdonato un omicidio?». Siamo seri, insiste Mazzucco: «Non puoi mescolare il livello politico con quello della legalità». Quindi non si scappa: «Le contestazioni giudiziarie devono essere risolte a livello legale». Rispetto invece all’aspetto sociale? «Bravissimo, quel sindaco. Ma sono capace anch’io di riempire un paesino vuoto. A Riace non c’era altro da fare: dare ai migranti le chiavi delle case. Il problema è che l’Italia non è affatto vuota. E’ piena, già così». E non solo di migranti, sulla cui “importazione” lucrano grandi reti, protette dall’ipocrisia dominante che si nasconde dietro il dovere umanitario dell’aiuto. L’Italia purtroppo è piena anche di “cretini”, per dirla con Mazzucco, che scambiano lo sperduto villaggio di Riace per un modello esportabile ovunque, anche nelle metropoli, dove proprio la non-gestione dell’immigrazione (e i ricchi affari ad essa collegata) hanno fatto volare il consenso di un politico come Salvini.Si può essere «cretini» come Roberto Saviano, che finge di non sapere che Riace era un paesino deserto, e quindi adatto ad essere ripopolato con migranti? «Capirei se l’Italia fosse abitata da un milione di persone», dice il video-reporter Massimo Mazzucco. «Sfortunatamente gli italiani sono 60 milioni: Saviano non lo sa? Non capisce che inserire migranti in aree sovraffollate non è come domiciliare immigrati in un villaggio fantasma, abbandonato dagli abitanti originari?». A fare notizia, in realtà – sostiene Mazzucco nel “live” settimanale in web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights” – non è neppure l’imbarazzante, scontato propagandismo anti-Salvini dell’autore di “Gomorra”, quanto la levata di scudi suscitata dall’arresto del sindaco di Riace, Domenico Lucano, accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E’ comunque eccessivo, in casi come questo, il ricorso alla carcerazione preventiva? Spesso, dichiara sempre a Frabetti l’avvocato Gianfranco Pecoraro, alias Carpeoro, l’arresto è «un indice di frustrazione, da parte di una magistratura che in questo modo anticipa la pena», temendo che poi il processo potrebbe naufragare. «Molto più efficace il “processo” mediatico», la “gogna” innescata dalle manette. Segno, ribadisce Carpeoro, «che in Italia la giustizia non riesce proprio a funzionare».
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Miliardi dal traffico di esseri umani: manette alla Ong greca
Il 28 di agosto trenta membri della Ong greca “Centro Internazionale di Risposta alle Emergenze” (Erci) sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nella rete del traffico di esseri umani che opera nell’isola di Lesbo fin dal 2015. Secondo una dichiarazione rilasciata dalla polizia greca, in seguito alle indagini che hanno portato agli arresti, «le attività di una rete criminale organizzata che facilitava sistematicamente l’ingresso illegale di stranieri, sono state portate totalmente alla luce». Tra le attività scoperte ci sono la falsificazione, lo spionaggio e il monitoraggio illegale sia della Guardia Costiera greca sia dell’agenzia di confine Ue, Frontex, allo scopo di ottenere informazioni confidenziali sui flussi di immigrati turchi. Le indagini hanno inoltre portato alla scoperta di altri sei cittadini greci e 24 cittadini stranieri implicati nei reati. L’Erci si autodescrive come «un’organizzazione greca senza scopo di lucro che fornisce risposte alle emergenze e aiuti umanitari in tempo di crisi». La filosofia di Erci è di «identificare le lacune negli aiuti umanitari e colmarle, per fornire assistenza nella maniera più efficiente e impattante». Al momento «Erci ha 4 programmi attivi con i rifugiati in Grecia, nell’area di ricerca e salvataggio, medica, nell’istruzione e nel coordinamento dei campi di rifugiati».Tuttavia, a dispetto della sua missione dichiarata e del suo profilo senza scopo di lucro, la Erci – secondo le autorità greche – ha guadagnato una quantità di denaro considerevole grazie al fatto di essersi messa a disposizione come collegamento al servizio di attività illegali. L’Erci a quanto pare ha ricevuto 2.000 euro per ogni migrante illegale che ha aiutato ad entrare in Grecia. Inoltre, i suoi membri hanno creato un business per “l’integrazione dei rifugiati” nella società greca, assicurandosi 5.000 euro all’anno per ogni immigrato da diversi programmi governativi (nell’istruzione, nell’alloggio e nel sostentamento). L’Erci avrebbe favorito l’ingresso illegale in Grecia di 70.000 immigrati a partire dal 2015, facendo incassare all’organizzazione “no-profit” mezzo miliardo di euro all’anno. Tuttavia questa scoperta non rivela che una piccola parte dell’estensione delle attività illecite che gravitano intorno all’ingresso di immigrati in Grecia. Nel 2017, per esempio, le autorità greche hanno arrestato 1.399 trafficanti di esseri umani, alcuni dei quali si celavano dietro operazioni “umanitarie”; e durante i primi quattro mesi del 2018, le autorità hanno arrestato 25.594 immigrati illegali.Ancora più preoccupante del prezzo decisamente salato pagato ai trafficanti di persone dagli immigrati stessi – o dal governo greco sotto forma di sussidi per l’integrazione – è il pesante tributo che questa situazione sta imponendo a tutta la società greca. Secondo le statistiche della polizia greca, ci sono state 75.707 rapine e furti nel 2017. Di questi casi, solo 15.048 sono stati risolti, e 4.207 sono stati commessi da stranieri. Inoltre, la polizia stima che più del 40% dei crimini gravi sono commessi da immigrati illegali (in Grecia gli immigrati – legali e illegali – rappresentano il 10-15% della popolazione totale). Nel 2016, le prigioni greche contenevano 4.246 greci e 5.221 stranieri condannati per crimini gravi: 336 per omicidio, 101 per tentato omicidio, 77 per stupro e 635 per rapina. Inoltre, migliaia di casi erano in attesa di giudizio. In un recente e drammatico caso, il 15 agosto, uno studente di college di 25 anni di Atene – mentre era in visita a casa dagli studi all’università di Scozia – è stato ucciso da tre immigrati illegali mentre era in giro a visitare la città con una sua amica portoghese.I tre colpevoli, due pakistani e un iracheno di età compresa tra i 17 e i 28 anni, hanno detto alla polizia di aver inizialmente assalito la giovane donna, rubandole denaro, carte di credito, un passaporto e un telefono cellulare dalla borsetta, ma quando hanno visto che il suo cellulare era “vecchio” hanno puntato al cellulare del ragazzo, minacciandolo con un coltello. Quando questi ha cercato di difendersi, hanno dichiarato nella confessione, lo hanno spinto e lui è caduto da una rupe, incontrando la morte. Dopo l’interrogatorio, è emerso che i tre assassini erano già ricercati per 10 altre rapine nella stessa zona. In una lettera di protesta indirizzata al primo ministro greco Alexis Tsipras, ai membri del Parlamento e al sindaco di Atene, la madre della vittima ha accusato Tsipras di “negligenza criminale” e di “complicità” nell’uccisione di suo figlio. «Invece di dare il benvenuto e fornire “terra e acqua” a ogni criminale o individuo pericoloso dagli istinti selvaggi», ha scritto, «lo Stato non dovrebbe forse pensare prima alla sicurezza dei suoi stessi cittadini, a cui succhia il sangue tutti i giorni [economicamente]? [Lo Stato dovrebbe forse] abbandonare [i cittadini] a bande fameliche, per le quali la vita umana vale meno di un telefono cellulare o una catenina d’oro?». Anche se queste sono le parole di una madre in lutto, questi sentimenti sono diffusi e si manifestano in tutta la Grecia, dove incidenti simili sono sempre più comuni.Il 29 agosto, due settimane dopo l’omicidio, nel nord della Grecia sei immigrati hanno assalito verbalmente un uomo di 52 anni in strada, apparentemente senza motivo. Quando questi ha continuato a camminare ignorandoli, uno di loro lo ha pugnalato alla scapola con un coltello da 24 centimetri, mandandolo all’ospedale. Due giorni prima, il 27 agosto, circa 100 immigrati, che protestavano per le condizioni di vita nel loro campo a Malakasa, hanno bloccato l’autostrada statale per più di tre ore. I guidatori bloccati sulla strada hanno detto che alcuni manifestanti si sono infuriati, bersagliando le auto a colpi di bastone. A peggiorare la situazione, la polizia intervenuta sulla scena ha detto di non aver ricevuto istruzioni dal ministero della protezione civile di sgomberare l’autostrada o proteggere le vittime. Dopo ulteriori indagini, “Gatestone” ha scoperto che non c’è stata alcuna dichiarazione da parte della polizia o del ministero, solo le dichiarazioni dei cittadini. Mentre a quanto pare il governo greco non ha la più pallida idea di come gestire la crisi migratoria e salvaguardare la sicurezza dei suoi cittadini, è particolarmente sconcertante scoprire che le principali Ong, il cui mandato è dare aiuti umanitari agli immigrati, approfittano invece della situazione per trarre profitto da questo traffico illegale. Il recente arresto dei membri dell’Erci evidenzia la necessità di mettere sotto esame tutte le organizzazioni di questo tipo.(Maria Polizoidou, “La Ong greca che guadagna miliardi dal traffico illegale di esseri umani”, post apparso su “Zero Hedge” e ripreso da “Voci dall’Estero” il 15 settembre 2018. Maria Polizoidou, reporter, è una giornalista radiofonica e consulente per gli affari internazionali ed esteri, residente in Grecia. Ha un master in “Geopolitica e problemi di sicurezza nel complesso islamico di Turchia e Medio Oriente” presso l’università di Atene).Il 28 di agosto trenta membri della Ong greca “Centro Internazionale di Risposta alle Emergenze” (Erci) sono stati arrestati per il loro coinvolgimento nella rete del traffico di esseri umani che opera nell’isola di Lesbo fin dal 2015. Secondo una dichiarazione rilasciata dalla polizia greca, in seguito alle indagini che hanno portato agli arresti, «le attività di una rete criminale organizzata che facilitava sistematicamente l’ingresso illegale di stranieri, sono state portate totalmente alla luce». Tra le attività scoperte ci sono la falsificazione, lo spionaggio e il monitoraggio illegale sia della Guardia Costiera greca sia dell’agenzia di confine Ue, Frontex, allo scopo di ottenere informazioni confidenziali sui flussi di immigrati turchi. Le indagini hanno inoltre portato alla scoperta di altri sei cittadini greci e 24 cittadini stranieri implicati nei reati. L’Erci si autodescrive come «un’organizzazione greca senza scopo di lucro che fornisce risposte alle emergenze e aiuti umanitari in tempo di crisi». La filosofia di Erci è di «identificare le lacune negli aiuti umanitari e colmarle, per fornire assistenza nella maniera più efficiente e impattante». Al momento «Erci ha 4 programmi attivi con i rifugiati in Grecia, nell’area di ricerca e salvataggio, medica, nell’istruzione e nel coordinamento dei campi di rifugiati».
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Se Foa viene eletto, Vietnam in Rai. Ma i 5 Stelle lo votano?
Nel caso venga eletto presidente della Rai, Marcello Foa dovrà affrontare una guerriglia interna permanente, un vero e proprio Vietnam. Parola di Gianfranco Carpeoro, protagonista all’inizio di agosto di una clamorosa rivelazione: il giornalista, candidato da Salvini, fu stoppato da Berlusconi, che pure aveva già dato il suo ok al leader della Lega. Cos’era accaduto? Un giro di telefonate, innescate da Parigi: il supermassone reazionario Jacques Attali, vicinissimo a Macron, aveva interpellato nientemeno che Giorgio Napolitano, il quale avrebbe consigliato ad Attali – per bloccare l’elezione di Foa – di chiamare il massone Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo e in grado di premere sul Cavaliere, poi chiamato direttamente dallo stesso Attali. Sia Attali che Napolitano, secondo Gioele Magaldi, militano nella stessa potentissima Ur-Lodge, la “Three Eyes”, a lungo dominata da oligarchi come Kissinger, Brzezinski e Rockefeller. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro – avvocato, nonché autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” – aveva sparato la “bomba” in tono semiserio, attribuendo la notizia a “un sogno”, provocato da una “peperonata indigesta”. «Mi risulta che l’effetto l’abbia avuto, quel “sogno”», dice ora Carpeoro, visto che si riparla di Foa come presidente della Rai.La vera fonte del “sogno”? La prestigiosa loggia rosacrociana “Tre Globi” di Berlino, alla quale Carpeoro – a sua volta massone, già a capo del Rito Scozzese italiano – è rimasto legato. La sconcertante esternazione d’inizio estate, osserva Frabetti, è stata taciuta dai media mainstream (con la sola eccezione del quotidiano “La Verità” diretto da Maurizio Belpietro), ma non è certo passata inosservata ai piani alti del potere. Ex caporedattore del “Giornale” e allievo di Indro Montanelli, Marcello Foa è l’autore del dirompente saggio “Gli stregoni della notizia”, che mette alla berlina il sistema-media, accusato di fabbricare “fake news”. Ora Foa potrebbe dunque salire finalmente sul gradino più alto della nomenklatura Rai? Nel caso, dice Carpeoro sempre in streaming web con Frabetti, non avrà vita facile: se la “Three Eyes”, foss’anche per colpa dell’imbarazzante “sogno della peperonata”, si vedesse costretta a non ostacolare più l’ascesa di Foa, il neo-presidente sarebbe comunque “assediato”, da subito, dall’ostilità accanita dello stesso establishment che sta “braccando” Salvini, tallonato da vasti settori della magistratura. Ma non è detto che Foa riesca davvero a diventare presidente: tecnicamente, secondo Carpeoro, potrebbe addirittura sbattere contro l’ipotetico veto dei 5 Stelle, in sede di commissione parlamentare di vigilanza.«Chi ha ritenuto che il mio non fosse un sogno ma la verità – dice oggi Carpeoro – può aver pensato che forse, in quel momento, qualcuno lo stesse “sputtanando”». Insomma, la trama della “Three Eyes” era ormai venuta allo scoperto. « Bisogna capire però se l’effetto-sputtanamento è stato solo un modo per guadagnare tempo, per poi vedere di “vendere” in un altro modo il siluramento di Foa, o se invece abbiano proprio deciso di “mollare il colpo”, per poi gestire la faccenda diversamente». Oggi, aggiunge Carperoro, «l’unico modo per silurare ugualmente Foa è premere sui 5 Stelle affinché siano loro a farlo fuori: e quel tipo di potere, questa possibilità ce l’ha». Gli unici che possono affondare la candidatura di Foa, insiste Carpeoro, sono proprio i pentastellati: «Non può più farlo Forza Italia, perché sarebbe una conferma della “peperonata”. Non può farlo Salvini, perché sarebbe una sconfitta troppo grossa, per lui. E non hanno la forza di farlo i vari residui di opposizione». I 5 Stelle, dunque? «Sono gli unici che hanno la possibilità di silurare Foa, ma non so se ne abbiamo la motivazione». Tuttavia potrebbero piegarsi «di fronte a una coercizione grande, da parte di un soggetto come una Ur-Lodge».Attenzione, precisa Carpeoro: «Non dico che lo vogliano fare o che lo faranno, dico solo che – ex ante – gli unici che hanno questa possibilità sono loro: una possibilità concreta, politica, non necessariamente una volontà o un’inclinazione». Morale, il destino di Foa sembra a un bivio: «O viene silurato dai 5 Stelle adesso, o viene eletto. Ma ovviamente, un secondo dopo l’eventuale elezione, entrerebbe in una specie di Vietnam, di Cambogia, dove qualcuno punterà la clessidra e preparerà un conto alla rovescia». Quanto all’affidabilità dei 5 Stelle, non da oggi lo stesso Carpeoro esprime perplessità – soprattutto sul conto di Luigi Di Maio, che considera esser stato ampiamente “sovragestito” proprio da quel genere di poteri forti evocati dal famoso “sogno della peperonata”. Prima ancora delle elezioni, Carpeoro dichiarò ripetutamente che Di Maio entrava e usciva dall’ambasciata Usa di via Veneto a Roma, e che ad accompagnarlo a Washington nei santuari delle Ur-Lodges neo-aristocratiche fosse il politologo Michael Ledeen. Esponente di vertice della supermassoneria sionista, Ledeen è citato da Carpeoro nel suo saggio sui legami fra massoneria e terrorismo islamico targato Isis: lo mette addirittura in relazione all’omicidio del premier svedese Olof Palme, nell’ambito di un opaco circuito di cui facevano parte Licio Gelli e l’allora parlamentare statunitense Philip Guarino.A evocare nuovamente l’ombra delle Ur-Lodges è anche Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, di cui lo stesso Carpeoro è un autorevole esponente. Magaldi ha attaccato direttamente il ministro dell’economia, Giovanni Tria: «Un massone non dichiarato ma presentatosi come progressista, eppure oggi allineato al rigore europeo promosso dal supermassone Draghi, che infatti lo ha apertamente elogiato». Carpeoro invita a fare un passo indietro: «I 5 Stelle – ricorda – hanno subito il siluramento del precedente candidato al ministero dell’economia». Si tratta di Paolo Savona, bloccato dal “niet” di Mattarella. «Quindi – prosegue Carpeoro – Tria è la conseguenza di una scelta di campo che i 5 Stelle hanno condiviso, o sbaglio?». In altre parole: l’accettazione di una linea più morbida con Bruxelles, imposta tramite il Quirinale. «A questo punto – conclude Carpeoro – o cambiano idea, o si tengono Tria. Bisogna capire perché dovrebbero cambiare idea (perché si potrebbero tenere Tria, invece, lo sappiamo già)». Quello di Tria è ovviamente un ruolo di garante: tramite minacce, come l’impennarsi dello spread, «il potere che “sovragestisce” l’Europa ha fatto sapere ai 5 Stelle che, senza la presenza di un suo garante, sarebbe cominciata una specie di guerra totale, contro l’Italia, e quindi è passato Tria». Ora, bisogna vedere se è cambiata la situazione: «I 5 Stelle rivendicheranno una maggiore indipendenza? Io ne dubito». Sarebbe quindi possibile mettere sotto pressione Di Maio e soci, al punto da indurli a boicottare Foa?Nel caso venga eletto presidente della Rai, Marcello Foa dovrà affrontare una guerriglia interna permanente, un vero e proprio Vietnam. Parola di Gianfranco Carpeoro, protagonista all’inizio di agosto di una clamorosa rivelazione: il giornalista, candidato da Salvini, fu stoppato da Berlusconi, che pure aveva già dato il suo ok al leader della Lega. Cos’era accaduto? Un giro di telefonate, innescate da Parigi: il supermassone reazionario Jacques Attali, vicinissimo a Macron, aveva interpellato nientemeno che Giorgio Napolitano, il quale avrebbe consigliato ad Attali – per bloccare l’elezione di Foa – di chiamare il massone Antonio Tajani, presidente del Parlamento Europeo e in grado di premere sul Cavaliere, poi chiamato direttamente dallo stesso Attali. Sia Attali che Napolitano, secondo Gioele Magaldi, militano nella stessa potentissima Ur-Lodge, la “Three Eyes”, a lungo dominata da oligarchi come Kissinger, Brzezinski e Rockefeller. In web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Carpeoro – avvocato, nonché autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo” – aveva sparato la “bomba” in tono semiserio, attribuendo la notizia a “un sogno”, provocato da una “peperonata indigesta”. «Mi risulta che l’effetto l’abbia avuto, quel “sogno”», dice ora Carpeoro, visto che si riparla di Foa come presidente della Rai.