Archivio del Tag ‘Osservatorio Tav’
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Fake-Tav, Airola: tutto inventato, dai fondi Ue alle penali
Eccoci a parlare di Tav: finalmente una discussione, visto che quando abbiamo votato la verifica degli accordi con la Francia nel 2017 i tempi degli interventi erano stati contingentati incostituzionalmente – giusto per chiarirlo a chi si lamentava che si parlasse poco di quest’opera, nell’aula. Parliamone. Questa storia del Tav è intrisa di anomalie gravissime e regole calpestate, a cominciare dalla repressione violenta attuata dai governi precedenti a danno dei cittadini della val Susa. C’è da domandarsi come mai un popolo si compatti in questo modo, trasversalmente – giovani e anziani, dal vigile al sindaco – contro un’opera che voi definite fondamentale; un popolo che da vent’anni non si arrende, ma continua a lottare. Avete mai ascoltato le loro ragioni? No, non l’avete mai fatto: forse per paura della loro competenza, o perché sapete bene che le argomentazioni pro-Tav, SìTav, come minimo sono spesso delle “fake news”, sono delle menzogne: primo, perché l’accordo di base tra Italia e Francia nel 2001 prevedeva (all’articolo 1) che i lavori partissero a saturazione della linea esistente, che attualmente è utilizzata per meno del 15% della sua capacità di trasporto.Quindi dove stanno questi enormi flussi di merci tra noi e Lione? Le proiezioni di aumento del traffico (fatte vent’anni fa) sono miseramente crollate, come confermato recentemente dallo stesso Osservatorio della Torino-Lione. Inutile, quindi, far andare un treno merci – non passeggeri – in una galleria da 57 chilometri alla velocità di 160 all’ora, guadagnando una manciata di minuti, rispetto all’attuale linea. Secondo: perché non è mai partita, l’opera? Non c’è un centimetro – dico, un centimetro – di tunnel di base realizzato. Quest’opera non ha un centimetro di “buco”: sono state realizzate solo attività di riconoscimento geologico, comprese quelle in Francia. Perché più volte anche la Francia ha fatto un passo indietro: la Corte dei Conti francese, molto chiaramente, ha detto che l’opera è troppo cara, e quindi consiglia di ammodernare la linea esistente. In più ha ricordato che anche altri paesi, come Slovenia e Ungheria, hanno preferito migliorare l’esistente, piuttosto che imbarcarsi in opere costosissime e inutili. Più volte la stessa Europa ha scartato progetti, modificando la destinazione dei fondi. Inoltre, il Portogallo ha rinunciato all’opera senza pagare un centesimo di penale, pur avendo già ricevuto parte dei finanziamenti.Quindi, per favore, non parlateci più della grande linea Kiev-Lisbona, perché vi fareste ridere dietro: quella è roba da Ottocento, da Michele Strogoff. Oggi il traffico di merci viaggia prevalentemente sulla direttrice nord-sud, non su quella est-ovest. Assodato che non ci sono flussi di merci che giustifichino quest’opera, sappiate che la linea attuale può tranquillamente trasportare Tir e container: ma pochissimi la usano. Anche la storia dell’inquinamento si può risolvere con una tassa sul trasporto su gomma, come fanno gli svizzeri. E allora parliamo dello spauracchio sventolato continuamente: le penali. Vi voglio svelare un segreto: non ci sono penali da pagare. In riferimento agli appalti attribuiti, non sussiste alcun diritto a richiedere penali, come recita l’articolo 2, comma 2 e 3, lettera C, della legge 191 del 2009 (era la finanziaria 2010). La norma stabilisce che il contraente o l’affidatario dei lavori deve assumere l’impegno di rinunciare a qualsiasi pretesa risarcitoria in relazione alle opere individuate: deve rinunciare a qualunque pretesa, anche futura, connessa al mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera e di lotti successivi.Viene ribadito, questo, anche all’articolo 3 della legge di ratifica del 5 gennaio 2017, quella precedentemente citata; identica previsione è contenuta nella delibera Cipe numero 67 del 2017, nel combinato disposto degli articoli 1 e 6 del deliberato. Io parlo di cose vere, scritte nero su bianco. Penali nei rapporti internazionali? Si tratta di decisioni rimesse agli Stati sovrani, come ricorda anche l’avvocatura dello Stato nella sua relazione giuridica, che deve essere solidamente ancorata alla sostenibilità socio-economica e finanziaria dell’intera opera secondo le stesse norme europee. Non si vede come possano imputarsi responsabilità gravi in capo agli Stati, quando questi presupposti mancano (cioè quando mancano i soldi). Esiste infine un precedente: quello del Portogallo, che nel 2012 cancellò la propria tratta ad alta velocità da Lisbona a Madrid. E non ci fu alcuna richiesta di indennizzo, o altra compensazione, da parte della Commissione Europea e della Spagna. Quindi nessuna penale, tranne le inutili minacce di Telt e il diktat dell’Unione Europea.Parliamo dei costi. La Torino-Lione è una linea che dovrebbe costare 9,6 miliardi di euro (attualizzati al 31 dicembre 2017) più 1,4 miliardi già spesi tra studi preliminari, indagini e gallerie geognostiche. Arriviamo a oltre 11 miliardi, considerato che per adesso – da parte dell’Unione Europea – c’è un solo impegno verbale per l’incremento del suo contributo dal 40 al 50%. Quindi potremmo anche non riceverlo. Il finanziamento del tunnel è di fatto rinviato all’approvazione del bilancio pluriennale dell’Unione Europea del 2021. I fondi già stanziati nel Grant Agreement non potranno essere utilizzati a causa dei ritardi, ma soprattutto perché l’articolo 16 dell’accordo del 2012 impone a Italia e Francia la disponibilità certa del finanziamento di tutta l’opera, compreso l’importo del 40%: quindi quei soldi non arriveranno. Contributo solo promesso, dunque, ma non ancora approvato dall’Unione Europea, quale requisito indispensabile per avviare la costruzione del tunnel di base: quindi il tunnel non può partire. Questa disponibilità di fondi non esiste: la Francia non ha stanziato un solo euro, per il tunnel di base.Ricapitolando: arriviamo a un costo superiore ai 13 miliardi, di cui più di 11 ancora da spendere. Inoltre, la tratta francese (che costava 7,7 miliardi nel 2011) oggi costerebbe circa 9 miliardi. Voilà: superati i 20 miliardi. Tutto ciò non servirebbe, ripeterlo, perché c’è scritto nero su bianco nell’analisi costi-benefici che l’opera non conviene: non è una fake news, la commissione ha impiegato tanto tempo, proprio per approfondire adeguatamente la materia. Non dimentichiamo che, per di più, c’è una ripartizione asimmetrica dei costi: oggi è indispensabile che la ripartizione sia riiscussa, tra Italia e Francia, alla luce del fatto che i due paesi non vogliono più fare le linee di accesso al tunnel: decisione che modifica questa partizione asimmetrica. Cioè: un chilometro italiano costerebbe 280 milioni, un chilometro francese 60. Quindi, chi insiste su quest’opera non ha a cuore l’interesse del popolo, ma quello di multinazionali ed euro-mafie che non aspettano altro che aggiudicarsi ricchi appalti. Peraltro, essendo giuridicamente territorio francese (anche il cantiere italiano sarebbe in territorio francese) gli appalti se li aggiudicherebbero senza leggi antimafia. Dovranno però aspettare un po’, perché sull’intera fattibilità la Francia deciderà soltanto nel 2038. Capito?Ma come potete pensare di spendere miliardi per un’opera inutile che, se tutto procede come desiderato dei promotori, potrebbe essere terminata fra trent’anni? E oggi mi dovete spiegare come andrete a Matera, “città della cultura” 2019. Questo paese è stanco di veder sprecare i soldi. Questo paese vuole strutture adeguate a muoversi, a viaggiare su strade locali e non andare a lavorare stipati come sardine in carri bestiame; vorrebbe poter farsi una gita senza dover prendere due bus e un taxi. Telt non ha alcun titolo o via libera, ancorché silenzio-assenso, al lancio delle gare Tav. Qualora Telt procedesse in tal senso, questo comporterebbe una grave e diretta violazione degli accordi Italia-Francia, che sono legge vigente dello Stato italiano. Il governo è direttamente responsabile dell’operato di Telt. E i residui fondi dell’Unione Europea attualmente a disposizione sono già persi, anche in presenza di proroga del Grant Agreement al 2020. Le attività finanziate sono in grave ritardo danni a causa di comprovate inefficienze di Telt. La Commissione Europea e l’Inea sono perfettamente a conoscenza di ciò. A prescindere dal lancio delle gare Telt, la Commissione Europea vorrebbe decurtare oltre 300 milioni di sovvenzioni assegnate (ma la stessa Commissione non può imporre un calendario).Tale situazione è l’esatta replica di quanto già visto il 2013 col governo Monti. Il grave ritardo a cui assistiamo è diretta responsabilità chi doveva agire per tempo e non ha agito, a cominciare dai commissari dei governi passati. Ma qui non ci sono in gioco solo miliardi sottratti a scuola, ospedali e ferrovie utili. C’è una questione di ordine etico e morale. Lo Stato ha spianato la volontà popolare con la violenza. Lo Stato non ha ascoltato i cittadini. Lo Stato si è comportato da dittatore, calpestando tutto e tutti per il Tav. Ed è scoccata l’ora di dare giustizia al popolo valsusino, e di riconoscere – dopo quasi 30 anni – che avevano ragione loro, i valsusini. Non solo vogliamo mantenere una promessa fatta tanto tempo fa da Beppe Grillo e da tutti noi, ma li ringrazieremo per quello che hanno fatto per il paese, e soprattutto per l’esempio che ci hanno dato. La sovranità appartiene al popolo. E quando il popolo è unito, nessuno può batterlo.(Alberto Airola, intervento al Senato il 7 marzo 2019. Senatore piemontese del Movimento 5 Stelle, Airola è un severo oppositore del progetto Tav Torino-Lione, fondato essenzialmente su dati gonfiati e proiezioni illusorie).Eccoci a parlare di Tav: finalmente una discussione, visto che quando abbiamo votato la verifica degli accordi con la Francia nel 2017 i tempi degli interventi erano stati contingentati incostituzionalmente – giusto per chiarirlo a chi si lamentava che si parlasse poco di quest’opera, nell’aula. Parliamone. Questa storia del Tav è intrisa di anomalie gravissime e regole calpestate, a cominciare dalla repressione violenta attuata dai governi precedenti a danno dei cittadini della val Susa. C’è da domandarsi come mai un popolo si compatti in questo modo, trasversalmente – giovani e anziani, dal vigile al sindaco – contro un’opera che voi definite fondamentale; un popolo che da vent’anni non si arrende, ma continua a lottare. Avete mai ascoltato le loro ragioni? No, non l’avete mai fatto: forse per paura della loro competenza, o perché sapete bene che le argomentazioni pro-Tav, SìTav, come minimo sono spesso delle “fake news”, sono delle menzogne: primo, perché l’accordo di base tra Italia e Francia nel 2001 prevedeva (all’articolo 1) che i lavori partissero a saturazione della linea esistente, che attualmente è utilizzata per meno del 15% della sua capacità di trasporto.
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Travaglio: Sì Tav, le ridicole frottole della Banda del Buco
Dopo aver sorseggiato i fiumi d’inchiostro versati dai “giornaloni” sull’oceanica manifestazione Sì Tav del 3 novembre a Torino, «che ha visto sfilare nientepopodimenoché un torinese su 35 o un piemontese su 177», una domanda sorge spontanea: cosa sapeva tutta questa brava gente del Tav Torino-Lione? «Si spera vivamente che ne sapesse un po’ di più di una delle sette “madamine” organizzatrici dell’evento, Patrizia Ghiazza, cacciatrice di teste all’evidenza sfortunata», che l’altra sera esibiva tutta la sua competenza a “Otto e mezzo”, ammettendo: «Né io né le altre organizzatrici siamo competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera». Sul serio? «Non male – scrive Marco Travaglio – per una manifestazione apolitica e apartitica, ma soltanto tecnica, sul merito del treno merci ad alta velocità (anzi, a bassa, perché le merci di solito viaggiano a non più di 100-120 km l’ ora)». Essendosi “informati” sui giornaloni che hanno sponsorizzato la Lunga Marcia, aggiunge Travaglio sul “Fatto Quotidiano”, «era prevedibile che organizzatori e partecipanti ne sapessero pochino, e che quel pochino fosse falso». Infatti «sventolavano cartelli “Sì alla Tav”, ignorando che è l’acronimo di Treno Alta Velocità, dunque è maschile, con buona pace di “Stampubblica” che ha spacciato l’iniziativa per una “rivolta delle donne” contro non si sa bene cosa, anche se in piazza sfilavano soprattutto maschietti di una certa età».L’acronimo, fra l’altro, è una patacca (femminile), perché per le merci l’espressione giusta è Treno ad Alta Capacità (Tac). «I marciatori, e Salvini a ruota, ripetevano che l’opera va assolutamente “completata”: ma un’opera – sottolinea Travaglio – si completa quando è già iniziata, e qui non è stato costruito nemmeno un millimetro di ferrovia». Il cantiere che tutti vedono da 7 anni è quello del tunnel esplorativo di Chiomonte, che «nulla a che vedere con l’opera vera e propria, il “tunnel di base”, cioè il mega-buco dovrebbe attraversare 57 chilometri di montagna e che fortunatamente non esiste: le gare d’appalto non sono state neppure bandite». Dunque, insiste Travaglio, non c’è nulla da completare. Qualcuno sogna di salire un giorno a bordo del mirabolante supertreno? Escludendo che i Sì Tav si considerino merci, resteranno mestamente a terra anche se l’opera venisse realizzata. «Chi volesse invece raggiungere ad alta velocità Parigi o Lione da Milano o da Torino, può montare sul comodo Tgv, che dalla notte dei tempi percorre rapidamente quella tratta». Ma i nostri eroi «strillano contro “l’isolamento dell’Italia” e per il “collegamento con l’Europa”, evidentemente ignari dell’esistenza del Tgv da e per la Francia, dei treni veloci da e per la Svizzera e così via».Forse, aggiunge Travagalio, pensano che per affacciarsi oltre la cinta daziaria sia necessario scalare le Alpi a piedi? “Monsù e madamine” saranno tutti interessati al trasporto merci? «Benissimo, allora possono stare tranquilli: le loro merci da trasportare ad altissima velocità da Torino a Lione possono depositarle in uno a caso dei container (perlopiù vuoti) che ogni giorno viaggiano sui treni della tratta Torino-Modane-Chambéry-Culoz, che dal 1871 attraversa il Frejus, ci è appena costata 400 milioni per lavori di ammodernamento ed è inutilizzata all’80-90%». Alla marcia torinese c’era pure Paolo Foietta, commissario dell’Osservatorio Tav: qualcuno avrebbe potuto domandargli con che faccia sostenga ancora l’utilità dell’opera, dopo avere scritto un anno fa al governo Gentiloni che «molte previsioni fatte 10 anni fa, anche appoggiandosi a previsioni ufficiali della Ue, sono state smentite dai fatti». E chissà se quanti invocano “lavoro” sanno che «attualmente nel cantiere lavorano appena 800 persone, che salirebbero a non più di 3-4mila per il tunnel di base, con un costo stratosferico per ogni occupato». La delibera 67 emanata dal Cipe nel 2017 stima il costo complessivo del solo tunnel di base in 9,6 miliardi: il 57,9% lo paga l’Italia e solo il 42,1 la Francia (anche se il tunnel insiste per l’80% in territorio francese e solo per il 20 in territorio italiano: perché?). E chissà se chi si riempie la bocca di paroloni come “futuro”, “sviluppo”, “modernità” è stato informato che, in 17 anni di studi e carotaggi, «abbiamo già buttato 1,6 miliardi, oltre a tenere la val di Susa in stato d’assedio permanente».Ora, continua Travaglio, servono sulla carta un’altra quindicina di miliardi, che poi nella realtà salirebbero a 20-25, dato che «le grandi opere in Italia lievitano in media del 45%». È questa la “decrescita infelice” che ci attenderebbe, per colpa del Tav, e non «quella di chi si oppone a un’opera ad altissima voracità e a bassissima occupazione». E chi vaneggia di “penali da pagare” o di “fondi europei da restituire” o “da non perdere”, secondo Travaglio «ignora che la parola “penale” non compare in alcun contratto o accordo con la Francia, con l’Ue o con ditte private». L’Italia, sul suo tracciato, può fare ciò che vuole. Recita la legge 191 del 2009: “Il contraente o l’affidatario dei lavori deve assumere l’impegno di rinunciare a qualunque pretesa risarcitoria eventualmente sorta in relazione alle opere individuate… nonché ad alcuna pretesa, anche futura, connessa al mancato o ritardato finanziamento dell’intera opera o di lotti successivi”. Quanto all’Ue, assicura Travaglio, «finanzia solo lavori ultimati: se il Tav non si fa più, l’Italia non deve restituire un euro». Ora però le nostre disinformate “madamine” si sono montate la testa: «Chiedono udienza al Quirinale, danno ordini alla sindaca Appendino e al governo Conte», come se 25.000 persone in piazza contassero più dei quasi 11 milioni di italiani che hanno votato per i 5 Stelle (NoTav) nel 2018 e degli oltre 202.000 torinesi che nel 2016 hanno eletto la sindaca NoTav Chiara Appendino contro il Sì Tav Piero Fassino. «Invece i NoTav, che negli anni hanno portato in piazza ora 40 ora 50.000 persone, non se li è mai filati nessuno. A parte, si capisce, i manganelli della polizia».Dopo aver sorseggiato i fiumi d’inchiostro versati dai “giornaloni” sull’oceanica manifestazione Sì Tav del 3 novembre a Torino, «che ha visto sfilare nientepopodimenoché un torinese su 35 o un piemontese su 177», una domanda sorge spontanea: cosa sapeva tutta questa brava gente del Tav Torino-Lione? «Si spera vivamente che ne sapesse un po’ di più di una delle sette “madamine” organizzatrici dell’evento, Patrizia Ghiazza, cacciatrice di teste all’evidenza sfortunata», che l’altra sera esibiva tutta la sua competenza a “Otto e mezzo”, ammettendo: «Né io né le altre organizzatrici siamo competenti per poter entrare nel merito degli aspetti tecnici e ambientali dell’opera». Sul serio? «Non male – scrive Marco Travaglio – per una manifestazione apolitica e apartitica, ma soltanto tecnica, sul merito del treno merci ad alta velocità (anzi, a bassa, perché le merci di solito viaggiano a non più di 100-120 km l’ora)». Essendosi “informati” sui giornaloni che hanno sponsorizzato la Lunga Marcia, aggiunge Travaglio sul “Fatto Quotidiano”, «era prevedibile che organizzatori e partecipanti ne sapessero pochino, e che quel pochino fosse falso». Infatti «sventolavano cartelli “Sì alla Tav”, ignorando che è l’acronimo di Treno Alta Velocità, dunque è maschile, con buona pace di “Stampubblica” che ha spacciato l’iniziativa per una “rivolta delle donne” contro non si sa bene cosa, anche se in piazza sfilavano soprattutto maschietti di una certa età».
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Torino-Lione, ogni lavoratore Tav ci costa 1 milione di euro
Il road show di Telt si è conquistato i titoli e gli articoli dei giornali con facilità come purtroppo avviene solitamente. Eppure se il sistema dell’informazione verificasse le informazioni e i numeri dati dai comunicati stampa inviati nella propria email, si scoprirebbe che più che informazioni ci troviamo quasi sempre ad avere a anche fare con propaganda! Noi lo abbiamo fatto e al di là della retorica e della propaganda i numeri (veri!) sono impietosi: ogni singolo posto di lavoro che sarebbe creato dalla costruzione del Tav Torino Lione costerebbe alla collettività oltre un milione di euro, e sarebbe un posto di lavoro a termine, durerebbe i 10 anni della costruzione dell’opera. Prendiamo in esame le ricadute occupazionali previste dai proponenti e il costo a carico delle casse pubbliche italiane. Nel progetto definitivo della sezione compresa tra Bussoleno e il confine di Stato troviamo la stima della forza lavoro: nei primi due anni di anticipazione sono previsti circa 200 lavoratori; nell’ultimo anno e mezzo una cinquantina; negli otto anni e mezzo centrali di lavoro la media è di circa 900 lavoratori.Consideriamo anche i posti di lavoro indiretti, i proponenti affermano che sono due per ogni posto diretto. Diciamo quindi 800 posti diretti più 1600 indiretti. I costi a carico dell’Italia dell’intera sezione transfrontaliera li troviamo nella delibera Cipe 19 del 2015: se l’Europa erogasse il massimo contributo possibile l’opera graverebbe sulle finanze italiane per 3 miliardi di euro; da questa cifra si sale fino a 5 miliardi se il contributo Europeo venisse cancellato o ridotto. I conti sono presto fatti: considerando il massimo contributo europeo, per ogni posto di lavoro diretto il contribuente italiano pagherebbe oltre 3 milioni di euro, 30 posti di lavoro costerebbero alle casse pubbliche 100 milioni di euro! E… se consideriamo anche i posti di lavoro indiretti, ogni singolo posto di lavoro creato dal Tav costerebbe un milione e 250.000 euro, di soldi pubblici. Ciò significherebbe: 1 posto di lavoro = 1 milione e 250.000 euro (pagati con soldi pubblici); 8 posti di lavoro = 10 milioni di euro (pagati con soldi pubblici).Se però l’Europa dovesse tagliare – come già accaduto in passato – il suo contributo, si potrebbe arrivare all’incredibile rapporto di oltre due milioni di euro di investimento dalle casse pubbliche italiane per posto di lavoro creato lato Italia. Quindi: 1 lavoratore = 2 milioni di euro (pagati con soldi pubblici). Dato che questi non sono soldi di Virano o di Foietta ma soldi pubblici, soldi di tutti, non vengano a raccontarci la favola dei posti di lavoro. Le ricadute occupazionali di una simile opera sono minime rispetto all’investimento. La manutenzione delle opere esistenti, la cura del territorio: queste sono opere puntuali capaci di creare molto più posti di lavoro sicuri e duraturi, senza contare che a differenza della Torino-Lione sarebbero anche utili per tutti. Come è evidente, a differenza di quanto dice Foietta, che taccia il movimento notav di appartenere al passato, e di essere capace solo ad odiare, siamo noi NoTav a pensare al futuro del paese, con responsabilità e lungimiranza.(“Il Tav toglie lavoro: due calcoli sulle cifre sparate a caso da Telt”, dal blog “NoTav.info” del 23 maggio 2017, a cura del movimento NoTav che si oppone alla linea Tav Torino-Lione in valle di Susa. Telt è la società “Tunnel Euralpin Lyon Turin”, incaricata di realizzare il contestatissimo traforo ferroviario italo-francese, consisderato un inutile e costosissimo doppione dell’attuale Traforo del Fréjus, che già collega Italia e Francia in valle di Susa. I citati Mario Virano e Paolo Foietta operano nell’ambito dell’Osservatorio Tav creato per tentare di imbastire un dialogo col territorio, al quale però la valle di Susa e la stessa città di Torino si sono sottratte, ritenendo la Torino-Lione una grande opera “non negoziabile” in quanto faronica, costosissima, devastante per l’ambiente e, soprattutto, assolutamente inutile).Il road show di Telt si è conquistato i titoli e gli articoli dei giornali con facilità come purtroppo avviene solitamente. Eppure se il sistema dell’informazione verificasse le informazioni e i numeri dati dai comunicati stampa inviati nella propria email, si scoprirebbe che più che informazioni ci troviamo quasi sempre ad avere a anche fare con propaganda! Noi lo abbiamo fatto e al di là della retorica e della propaganda i numeri (veri!) sono impietosi: ogni singolo posto di lavoro che sarebbe creato dalla costruzione del Tav Torino Lione costerebbe alla collettività oltre un milione di euro, e sarebbe un posto di lavoro a termine, durerebbe i 10 anni della costruzione dell’opera. Prendiamo in esame le ricadute occupazionali previste dai proponenti e il costo a carico delle casse pubbliche italiane. Nel progetto definitivo della sezione compresa tra Bussoleno e il confine di Stato troviamo la stima della forza lavoro: nei primi due anni di anticipazione sono previsti circa 200 lavoratori; nell’ultimo anno e mezzo una cinquantina; negli otto anni e mezzo centrali di lavoro la media è di circa 900 lavoratori.
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Bastardi senza gloria, Tarantino e i valorosi cavalieri del Tav
“Bastardi senza gloria”, un film truculento. Niente a che vedere col cinema di Tarantino lo spettacolo del Parlamento italiano che – inclusi Lega Nord e Fratelli d’Italia – dà il via libera all’ennesimo, “storico” accordo sul Tav Torino-Lione, la grande opera più inutile della storia del pianeta Terra, eccetto che per un dettaglio: è l’unica che riesce a mettere d’accordo Mario Monti e Matteo Salvini, Matteo Renzi e Pierluigi Bersani, Giorgia Meloni e Maria Elena Boschi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. E’ vano chiedersi il perché, così come è perfettamente illusorio sperare che, un giorno, venga finalmente svelato il Mistero del Tav, il super-treno transalpino che tutti (loro) vogliono, senza però saperne mai dimostrare l’utilità. Qualsiasi argomentazione pro-Tav, crolla, da decenni, di fronte alla conta elementare costi-benefici. Servono opere, per rilanciare l’economia? Appunto: cantieri utili, però. Quello invece è notoriamente un binario morto, per merci estinte. Sul quale tuttavia insistono tenacemente la banca, la mafia, la politica.Non sarà mai un set di Tarantino, il Parlamento. Lo conferma il tenore dei commenti dei lettori del “Fatto Quotidiano” all’indomani del voto, a cui si sono inutilmente opposti i 5 Stelle, agitando in aula i fazzoletti NoTav. Il clima è quello che è logico attendersi dopo il referendum del 4 dicembre e il bluff di Pinocchio-Renzi sul suo addio alla politica. Scrive “Così è se vi pare”: «Scusate, ma dopo le dimissioni di Renzi, l’unica priorità della nazione non era la legge elettorale e poi tutti al voto?». E Mara: «Fra 20 anni saranno tutti lì a condannare la schifosa mangianza politica su un’opera già inutile in partenza. Tanto paghiamo noi. E il Pd, al solito, fa la parte del pescecane». La cosa più divertente, scrive Francesco, «è che la Francia non ritiene prioritaria l’opera, non ha nemmeno fissato una data di avvio lavori (ad oggi sono partiti solo i lavori esplorativi) e a quanto pare li avvieranno solo in vista della saturazione della linea attuale…. Cioè, probabilmente, mai». Scherza Mario Poillucci: «Non siate così drastici e intransigenti nei vs commenti!! Bisogna capirli! Le mafie hanno fame! Senza il banchetto luculliano delle olimpiadi cosa resta?».«Vergognosi», sentenzia “Viva Sankara”. «Poi fomentano casi come quello di Roma cercando di mettere in cattiva luce la Raggi e il M5S. Quelli di “sinistra” sono ormai il trastullo delle mafie più patetiche. Ma la colpa di tutto ciò è della base Pd che non si ribella». E, intanto, come andiamo dalle parti di Amatrice? «Ai terremotati quanti soldi?», domanda “Luca Z”. E Andrea Magnaghi, sul traforo in valle di Susa: «Solo 8 miliardi? Se ne spendiamo 15 siamo fortunati». Dunque, fa eco “Zio68”, «tipo il Mose che doveva costare 1 e siamo a 6?». Risponde “Bquadro”: «Costi stimati: 8,3 miliardi. A fine lavori saranno 25!». Ribadisce “Giftzwerg”: «La Tav non serve, l’Italia non lavora, non c´è piú niente da esportare. Hanno esportatto le aziende». E Luca: «Vediamo il lato positivo. I piddins potrebbero prendere questo treno per andarsene a fare danni in un altro paese una volta perse le prossime elezioni». Chiosa Riccardo Revilant: «Questa è l’Italia, un paese con le pezze al culo che non disdegna di spendere miliardi in opere “assolutamente irrinunciabili” ma casualmente con sistematiche infiltrazioni mafiose, costi esorbitanti mai pianificati a dovere e sempre lievitati, studi “contro” che dimostrano l’assurdità dell’opera che verrà comunque fatta».“Bastardi senza gloria”, un film truculento. Niente a che vedere col cinema di Tarantino lo spettacolo del Parlamento italiano che – inclusi Lega Nord e Fratelli d’Italia – dà il via libera all’ennesimo, “storico” accordo sul Tav Torino-Lione, la grande opera più inutile del pianeta Terra, eccetto che per un dettaglio: è l’unica che riesce a mettere d’accordo Mario Monti e Matteo Salvini, Matteo Renzi e Pierluigi Bersani, Giorgia Meloni e Maria Elena Boschi, Silvio Berlusconi e Giorgio Napolitano. E’ vano chiedersi il perché, così come è perfettamente illusorio sperare che, un giorno, venga finalmente svelato il Mistero del Tav, il super-treno transalpino che tutti (loro) vogliono, senza però saperne mai dimostrare l’utilità. Qualsiasi argomentazione pro-Tav, crolla, da decenni, di fronte alla conta elementare costi-benefici. Servono opere, per rilanciare l’economia? Appunto: cantieri utili, però. Quello invece è notoriamente un binario morto, per merci estinte. Sul quale tuttavia insistono tenacemente la banca, la mafia, la politica.
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Giorno: Napolitano riceva sindaci e parlamentari No-Tav
«Odio le cattive massime più delle cattive azioni» (Jean-Jacques Rousseau). Giorgio Napolitano ha scritto al direttore de “La Stampa” Mario Calabresi perché Massimo Numa ha ricevuto una pacchetto anonimo con all’interno un guscio di hard disk con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità diretta o indiretta («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene il movimento NoTav all’origine della spedizione (ha addirittura pubblicato ampi stralci di due mail di solidarietà provenienti da attiviste). Dunque l’accostamento è come minimo prematuro, arbitrario o – più subdolamente – strumentale, in un periodo in cui sembra che sia necessario come mai prima distogliere l’attenzione da “altre” indagini di magistratura, che hanno fatto emergere collegamenti diretti e inequivocabili di una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone con alte cariche istituzionali, esponenti di primo piano dei partiti, “grand commis” dello Stato che dalle poltrone di comando di imprese pubbliche graziosamente trasformate in SpA usano i beni e i denari comuni come fossero propri.Il presidente della Repubblica, trascinato letteralmente nel suo secondo settennato da una faida senza precedenti del suo partito che stava “suicidando” uno dopo l’altro tutti i candidati a succedergli, richiama i cittadini della valle di Susa che si ostinano a non accettare il colpo definitivo alla residua abitabilità della loro terra «al superamento di ogni tolleranza e ambiguità nei confronti di violenze di stampo ormai terroristico». Molti dei cittadini cui è stato rivolto il suo vibrante monito hanno l’età che aveva lui quando aderì alla Gioventù Universitaria Fascista, ma sono tra i più giovani e attivi iscritti alle locali sezioni dell’Anpi. Altri hanno l’età di quando lui – nel 1957, come ha ammesso di recente in una apprezzabile autocritica scritta a due mani con un altro grande vecchio che si atteggia a papa laico – Eugenio Scalfari – plaudeva all’ingresso in Budapest dei carri armati sovietici, i cui cingoli grondavano del sangue di coloro che avevano osato sperare che nel paradiso stalinista potesse essere garantito il diritto all’autogoverno democratico del paese.Ma la maggior parte di coloro che hanno dato vita – un quarto di secolo fa – a un «profilo di pacifico dissenso e movimento di opinione» appartiene a fasce di età che arrivano fino a quella dello stesso presidente, e qualcuno di loro non si limita ad avere la tessera dell’associazione dei partigiani, ma ha partecipato in prima persona alla lotta di Liberazione. Averli avuti e averli tuttora accanto ci da un conforto che nessuna “scomunica” può appannare. Chi tra loro ha ancora recentemente parlato ai più giovani della loro esperienza di Resistenza lo ha fatto in modo autorevole, equilibrato, responsabile: lo ha ricordato anche Erri De Luca ieri sera a Susa in uno dei suoi passaggi più applauditi: c’è un abisso tra l’oppressione di un popolo da parte di un regime dittatoriale ed esterno e il tentativo di imporre (anche attraverso l’uso della forza) un uso del territorio che chi vi risiede non vuole dover subire.Ma ci sono anche delle analogie che autorizzano a richiamarsi a quel diritto-dovere di opporsi a decisioni che possono anche scaturire da percorsi di democrazia formale ma che hanno violato la democrazia sostanziale. Decisioni che comportano (qui come a Taranto, oggi, o nel Vajont ieri) il venir meno di quel principio di precauzione che dovrebbe presiedere a qualunque scelta progettuale, prima ancora di una analisi costi-benefici che però – come sappiamo – è negativa persino circa la desiderabilità di quest’opera per l’intera comunità nazionale (senza contare le perplessità riscontrate in ambito europeo verso un intero programma di grandi opere che sembrano avvantaggiare soltanto il circuito finanziario, che vi individua redditività e garanzie che solo un uso scellerato del denaro pubblico può assicurare ad istituzioni peraltro privatizzate in modo assai discutibile).Annotiamo infine che – stando a quanto scrive “La Stampa” – il presidente Napolitano avrebbe un filo diretto con l’architetto Mario Virano, che in val di Susa ha svolto (su nomina di un gruppo d’impresa coinvolto nella realizzazione e gestione di grandi opere infrastrutturali) l’ad dell’autostrada del Fréjus prima di diventare, per nomina governativa, presidente dell’Osservatorio che doveva stabilire l’utilità dell’opera, e poi commissario per la sua realizzazione. Si tratta di un personaggio certamente informato, ma non per questo in grado di fornire una descrizione obiettiva delle dinamiche in atto, non fosse altro perché la deriva da lui stesso denunciata certifica il fallimento del suo ruolo.Ne discenderebbe il diritto per i cittadini e il dovere per il Capo dello Stato di ascoltare almeno anche le nostre ragioni e “il nostro racconto” della situazione, direttamente o attraverso i nostri sindaci democraticamente eletti. Ma visto che lo stesso presidente oggi in carica si è più volte rifiutato di farlo (e quando non c’erano neanche le avvisaglie di un possibile inasprimento del confronto e quindi nessun “alibi”) potrebbe almeno “sforzarsi” di ricevere i parlamentari eletti nel nostro collegio, che sono motivatamente contrari all’opera. In fin dei conti, dovrebbe essere garante della loro agibilità politica almeno al pari di quella di chi rappresenta le forze di governo.(Claudio Giorno, “Immodesto e non deferente giudizio su un Presidente e le sue iniziative”, 7 ottobre 2013. Ambientalista valsusino già candidato al Parlamento, Giorno è un esponente del movimento No-Tav).«Odio le cattive massime più delle cattive azioni» (Jean-Jacques Rousseau). Giorgio Napolitano ha scritto al direttore de “La Stampa” Mario Calabresi perché Massimo Numa ha ricevuto una pacchetto anonimo con all’interno un guscio di hard disk con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità diretta o indiretta («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene il movimento NoTav all’origine della spedizione (ha addirittura pubblicato ampi stralci di due mail di solidarietà provenienti da attiviste). Dunque l’accostamento è come minimo prematuro, arbitrario o – più subdolamente – strumentale, in un periodo in cui sembra che sia necessario come mai prima distogliere l’attenzione da “altre” indagini di magistratura, che hanno fatto emergere collegamenti diretti e inequivocabili di una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone
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No-Tav, Giunti: e se Napolitano ascoltasse i valsusini?
Montaigne ci ha insegnato a distinguere tra gli uomini politici e le cariche che temporaneamente ricoprono. E’ quindi con il massimo rispetto per la Presidenza della Repubblica italiana che la lettera spedita ieri al direttore de “La Stampa” merita qualche riflessione, amara ma deferente. Giorgio Napolitano ha scritto perché Massimo Numa ha ricevuto una busta anonima con polvere esplosiva. Le indagini sono in corso, nessuno ha rivendicato l’azione, il movimento ha rigettato ogni responsabilità («pallottole e bombe non ci appartengono») e lo stesso giornalista non ritiene i NoTav autori della spedizione. Dunque l’accostamento è come minimo prematuro o arbitrario. Altri poteri dello Stato, come la magistratura e la Corte dei Conti, hanno investigato sulle imprese e sui bilanci che ruotano attorno al sistema Av italiano. Alcune sentenze hanno stabilito responsabilità rilevanti, tutte a carico di funzionari e politici, privati e pubblici. E’ giusto attendere gli esiti di inchieste appena iniziate, come a Firenze, ma le notizie disponibili descrivono una cricca ignobile volta ai propri interessi e alle proprie poltrone.
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Pepino: resistere è un dovere, il Tav umilia la democrazia
Eversivi non sono i No-Tav, ma i politici che vogliono imporre una grande opera calpestando la Costituzione. «Fino a ieri dicevano che il problema non era il movimento No Tav ma le sue frange estremiste e violente. Fino a ieri. Oggi la maschera è caduta. Con la criminalizzazione politica e mediatica finanche di Stefano Rodotà, con la riesumazione dei reati di opinione, con la perquisizione domiciliare nei confronti di Alberto Perino (leader storico del movimento) tutto è diventato più chiaro». Così parla Livio Pepino, già membro del Csm e magistrato della Corte di Cassazione, schierandosi in difesa della causa No-Tav, bersaglio di una autentica “crociata” da parte dei media e dei partiti, e ora al centro dell’azione repressiva della Procura di Torino. Il nemico da battere, evidentemente, «è il movimento di opposizione all’alta velocità in val Susa».
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Avviso ai genitori No-Tav: i vostri ragazzi teneteli in casa
Finisce in Parlamento il caso delle tre famiglie No-Tav della val Susa, convocate – su richiesta della Procura – nell’ufficio degli assistenti sociali. Il “problema”: aver permesso ai loro figli minorenni di partecipare a manifestazioni contro l’alta velocità. Immediata la protesta della deputata radicale Elisabetta Zamparutti, che ha presentato un’interrogazione ai ministri della Giustizia e degli Interni: «Emerge uno Stato di polizia – afferma – di cui il governo, se non interviene, rischia di divenire complice». E’ evidente, commenta sul suo blog Claudio Giorno, ambientalista e militante No-Tav della prima ora, che l’onorevole Zamparutti «ha capito lucidamente che qui non si tratta più solo di stabilire se il Tav è utile o inutile, accettabilmente o inaccettabilmente dannoso al territorio attraversato e agli umani che lo abitano: qui e ora si tratta di stabilire quali siano i margini di dissenso lasciati ai cittadini».
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Val Susa, Italia: Pd e Pdl insieme, per conquistare Avigliana
A prima vista, sembra una qualsiasi campagna elettorale locale, di rango comunale. Non lo è, se è vero che scomoda nientemeno che Nichi Vendola, accanto all’altro leader nazionale impegnato nella contesa, Beppe Grillo. Due pesi massimi, in difesa di una cittadina di nemmeno quindicimila abitanti? Ebbene sì: perché il Comune in questione è Avigliana, dinamico capoluogo produttivo della valle di Susa “ribelle”, a metà strada fra Torino e le Alpi. Vent’anni fa, quando l’epopea No-Tav era alle primissime battute, ancora lontana dall’attuale dimensione popolare, Avigliana punì il “partito trasversale degli affari” premiando una lista di outsider, dal nome inequivocabile: Piazza Pulita. Da allora, la “dinastia” della trasparenza ha sfornato sindaci-contro. Ultimo esponente Carla Mattioli, nel 2005 in prima linea sulle barricate della storica rivolta pacifica che costrinse il governo a sospendere il progetto Torino-Lione, rivelando all’Italia la profetica “resistenza” della valle di Susa, avamposto della Grande Crisi.
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Tav, lezione francese: trasparenza d’obbligo, per legge
Un’opera «strategica per la crescita», che impedirebbe di «lasciar scivolare la nostra penisola verso il Mediterraneo senza un solido ancoraggio all’Europa»: così parla il premier Mario Monti, l’uomo che finge che l’Italia sia isolata dal resto d’Europa e intanto continua a rifiutare di dare spiegazioni ai 360 tecnici e docenti dell’università italiana che gli chiedono di farla finita con gli slogan e accettare una buona volta un confronto serio sulla “follia” della Torino-Lione. Ancora più irridente e “antico” il ministro dell’ambiente, Corrado Clini: «Si tratta di scegliere se si vuole vivere nel futuro o nel passato», dice, sfrecciando a bordo del super-treno cinese Pechino-Tianjin. La Tav nostrana? Un’opera che «forse non è stata sufficientemente spiegata», ammette soavemente lo stesso Monti, sorvolando sul fatto che – al di là delle Alpi, in quell’Europa così comoda da citare a sproposito – la discussione sulle grandi opere è addirittura obbligatoria, per legge.
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Luca Mercalli al premier: Tav, il silenzio degli arroganti
Caro presidente Monti, l’8 gennaio a “Che tempo che fa” le ho donato una copia del mio libro “Prepariamoci” e Lei, squisitamente, mi ha stretto la mano e detto: «Ne abbiamo bisogno». Un mese dopo, assieme ad alcune centinaia di docenti di atenei italiani, ricercatori e professionisti (inclusi Vincenzo Balzani, Luciano Gallino, Alberto Magnaghi, Salvatore Settis) firmavo un appello per sollecitare una Sua riconsiderazione delle argomentazioni tecnico-economiche a supporto della linea ad alta capacità Torino-Lione, che da anni risultano non convincenti. A tutt’oggi non solo non è giunto un Suo cenno di considerazione, quanto piuttosto la perentoria affermazione che i dati sono definitivi e invarianti, le decisioni sono assunte, il progetto deve andare avanti anche manu militari. Non mi aspettavo una tale chiusura, ora fonte di una profonda spaccatura in una parte del mondo intellettuale e scientifico italiano.
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Scontro di civiltà: minacciati dalla violenza del sistema-Tav
Quello in atto in valle di Susa è un autentico “scontro di civiltà”: la manifestazione di due modi contrapposti e paradigmatici di concepire e di vivere i rapporti sociali, le relazioni con il territorio, l’attività economica, la cultura, il diritto, la politica. Per questo esso suscita tanta violenza da parte dello Stato – inaudita, per un contesto che ufficialmente non è in guerra – e tanta determinazione – inattesa, per chi non ne comprende la dinamica – da parte di un’intera comunità. Quale che sia l’esito, a breve e sul lungo periodo, di questo confronto impari, è bene che tutte le persone di buona volontà si rendano conto della posta in gioco: può essere di grande aiuto per gli abitanti della valle di Susa; ma soprattutto di grande aiuto per le battaglie di tutti noi.