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Archivio del Tag ‘pensioni’

  • Femminicidio, prove tecniche di criminalizzazione di massa

    Scritto il 07/12/19 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Sabato scorso si è svolta a Roma una manifestazione contro la “violenza di genere”, cioè la violenza maschile contro le donne. I media hanno evocato a riguardo una sorta di emergenza “femminicidio” in Italia. L’anno più recente in cui la statistica sugli omicidi in Italia risulta pienamente aggiornata è il 2017. In base a questi dati, si registrerebbe in Italia un calo costante degli omicidi, che collocherebbe il nostro paese ai gradi più bassi della graduatoria europea per reati di sangue. Non solo in paesi comparabili al nostro, come Francia, Germania e Regno Unito, il tasso di omicidi risulta superiore all’Italia, ma persino in paesi considerati “modello”, come Svezia e Danimarca, da cui non te lo aspetteresti proprio. Meno violenti dell’Italia sono invece paesi come la Repubblica Ceca, il Portogallo e la Spagna, a smentita del luogo comune del “sangre caliente”. Il costante calo degli omicidi in Italia può essere in parte spiegato con l’invecchiamento medio della popolazione, dato che è difficile fare agguati quando si è afflitti da artrosi e prostatite. La maggioranza delle vittime di omicidi è ancora costituita da uomini. La diminuzione degli omicidi legati ad attività criminali fa statisticamente risaltare la quota degli omicidi in ambito familiare, nei quali è piuttosto consistente la quota di donne uccise.
    Mentre la criminalità comune sposta i reati in ambiti meno cruenti, da colletti bianchi, come le frodi informatiche e il riciclaggio, la famiglia rimane invece un luogo di violenza fisica e morale nei termini tradizionali. D’altra parte se vi fosse davvero una “violenza di genere”, questa dovrebbe proiettarsi ben oltre la famiglia, ma di ciò, almeno statisticamente, non c’è ancora nessuna traccia. Le oligarchie finanziarie e industriali sono rigorosamente costituite da maschi bianchi, in maggioranza di origine anglosassone o germanica, quindi in quel caso la criminalizzazione preventiva del genere maschile non attecchisce per niente. Funziona invece benissimo in altri ambiti, come la scuola. Secondo i dati Ocse, tende ovunque a diminuire la quota maschile di insegnanti, ma il fenomeno sembrerebbe molto più significativo in Italia, dove i maschi sono stati di fatto estromessi dalla scuola elementare. Visto che non siamo più ai tempi del Maestro di Vigevano, che lasciava la scuola per inseguire sogni di arricchimento nell’industria, la causa va probabilmente ricercata in un’opinione pubblica sempre più sospettosa e ostile alla presenza di maschi a contatto con bambini.
    D’altra parte, gli stessi metodi utilizzati per criminalizzare preventivamente il genere maschile potranno essere reimpiegati per criminalizzare anche il genere femminile; infatti l’Ocse presenta la femminilizzazione della scuola come un problema per il processo educativo. Nella scuola primaria e nella scuola dell’infanzia la criminalizzazione degli insegnanti maschi è servita per aprire la strada alla criminalizzazione della categoria degli insegnanti nel suo complesso. Siamo già alle condanne nei confronti di maestre per la generica accusa di aver “urlato”. L’Uomo Ragno diceva che ad un grande potere corrisponde una grande responsabilità. L’Uomo Ragno è una fiaba e infatti la realtà funziona nel modo esattamente opposto: maggiore è il potere che si esercita, maggiore è la capacità di deresponsabilizzarsi e di colpevolizzare invece i deboli per ogni cosa. Il moralismo è un linguaggio del potere che ritorce l’ansia di giustizia degli oppressi contro di loro. La criminalizzazione preventiva di chi non deteneva e non detiene i mezzi per nuocere, è quindi diventata una costante dell’attuale “governance”. Si può infatti riscontrare che non colpisce solo i generi ma anche le generazioni.
    Mentre le oligarchie mondialiste rimangono in gran parte felicemente gerontocratiche, in ambito sociale invece gli anziani sono additati dai media come nemici e parassiti delle giovani generazioni. Viene addebitato alla responsabilità della vecchia generazione sia il debito pubblico italiano, sia il riscaldamento globale. Non a caso la propaganda ha bollato anche un’inezia come la “Quota 100” nei termini di un furto ai danni dei giovani. A ciò si aggiunge la criminalizzazione preventiva delle categorie, in particolare i lavoratori del pubblico impiego, invariabilmente catalogati come “fannulloni” e “furbetti”. La ministra delle pubblica amministrazione del passato governo, Giulia Bongiorno, aveva introdotto un sistema di rilevamento biometrico delle impronte digitali dei dipendenti pubblici per evitare le presunte frodi dei cartellini scambiati. I ministri sono solo passacarte, perciò la Bongiorno non aveva fatto altro che adeguarsi al trend imposto dalle lobby che contano.
    L’attuale governo sembra aver abolito la norma, riconoscendo che aveva un carattere di criminalizzazione preventiva di un’intera categoria. La sensazione però è che il provvedimento firmato dalla Bongiorno sia stato solo rimandato poiché non sono ancora a disposizione della pubblica amministrazione le infrastrutture tecnologiche per attuarla. Di fatto il concetto era passato senza che vi fossero reazioni significative da parte di una pubblica opinione ormai addestrata all’odio di categoria. È banale e forse riduttivo evocare in questo caso il “divide et impera”, poiché c’è di peggio: si educa una società ad invocare catene dai suoi carnefici. Per i prossimi anni si apre quindi uno scenario in cui la crescente criminalizzazione di ogni settore sociale andrà a legittimare forme di controllo sempre più invasive. Si prepara una “biometrizzazione” di massa?
    (”Prove tecniche di criminalizzazione preventiva”, da “Comidad” del 28 novembre 2019).

    Sabato scorso si è svolta a Roma una manifestazione contro la “violenza di genere”, cioè la violenza maschile contro le donne. I media hanno evocato a riguardo una sorta di emergenza “femminicidio” in Italia. L’anno più recente in cui la statistica sugli omicidi in Italia risulta pienamente aggiornata è il 2017. In base a questi dati, si registrerebbe in Italia un calo costante degli omicidi, che collocherebbe il nostro paese ai gradi più bassi della graduatoria europea per reati di sangue. Non solo in paesi comparabili al nostro, come Francia, Germania e Regno Unito, il tasso di omicidi risulta superiore all’Italia, ma persino in paesi considerati “modello”, come Svezia e Danimarca, da cui non te lo aspetteresti proprio. Meno violenti dell’Italia sono invece paesi come la Repubblica Ceca, il Portogallo e la Spagna, a smentita del luogo comune del “sangre caliente”. Il costante calo degli omicidi in Italia può essere in parte spiegato con l’invecchiamento medio della popolazione, dato che è difficile fare agguati quando si è afflitti da artrosi e prostatite. La maggioranza delle vittime di omicidi è ancora costituita da uomini. La diminuzione degli omicidi legati ad attività criminali fa statisticamente risaltare la quota degli omicidi in ambito familiare, nei quali è piuttosto consistente la quota di donne uccise.

  • Rizzo: senza l’euro stavamo meglio, l’Ue opprime gli italiani

    Scritto il 06/12/19 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    «Quello che è successo in Europa dipende dall’aver anticipato la parte monetaria rispetto a quell’unificazione politica mai arrivata», dice qualcuno. In realtà non si è trattato di un errore, ma di un qualcosa di voluto e premeditato dai grandi poteri. La ricchezza di metà del pianeta è concentrata nelle mani di pochissimi, e questo si ripercuote nella vita di tutti noi. Quello che non funziona, dalla sanità al sociale, dipende da questo. Siamo obbligati ad avere il pareggio di bilancio in Costituzione, i padri costituenti si rivolteranno nella tomba. Sono dinamiche volute dalla grande economia e appoggiate da una politica supina prima, e supina oggi. Il Movimento 5 stelle e la Lega hanno raccolto i voti sulla critica serrata all’Ue e poi si sono rimangiati tutto. Sono andati lì per battere i pugni e sono tornati con le ginocchia sbucciate, perché a Bruxelles si sono inginocchiati. La Bce e il Fmi, Mario Draghi e Christine Lagarde, contano più del presidente del Consiglio italiano: ma li ha per caso eletti qualcuno? Queste organizzazioni sovranazionali contano più dei governi: siamo nel mondo della globalizzazione capitalista, dove un’impresa è più forte dello Stato. La Apple si è rifiutata di decriptare lo smartphone di un terrorista. Una cosa impensabile, alcuni decenni fa. La dittatura finanziaria ed economica è la peggior cosa che esista.
    Non può essere un singolo paese, da solo, a ribellarsi alla dittatura dei mercati. L’Italia non ha mai avuto una sovranità effettiva, e non appena le personalità importanti sono uscite dalla falsariga di ciò che era determinato per il paese, sono state fatte fuori (Mattei, Craxi per Sigonella, Berlusconi per le vicende di Gheddafi e Putin). In Italia abbiamo centinaia di bombe atomiche e non sappiamo dove sono, anche andando al governo non potremmo farci niente. Bisogna riunire i popoli. Non bisogna contrapporre gli italiani ai tedeschi o agli spagnoli, ma unificare la maggioranza dei popoli. Potremmo lavorare meno e lavorare tutti. La ricchezza potrebbe essere redistribuita, visto che il progresso tecnologico ci permetterebbe di vivere meglio. La moneta è un accordo tecnico. L’euro è stato costruito a tavolino: gli italiani l’hanno provato sulla loro pelle. Quello che costava mille lire costa un euro, ma gli stipendi non sono raddoppiati. Da quando c’è l’euro le cose vanno peggio, nel nostro paese. C’è chi dice: sarebbero andate ancora peggio, senza la moneta unica, ma non c’è la prova di questo. Quando un lavoratore prendeva due milioni di euro stava bene, oggi con mille euro è al palo.
    Arriveremo al 2030 dove l’1% della popolazione avrà la ricchezza dei due terzi del mondo: stiamo andando verso una società neomedievale. A New York si stanno costruendo dei grattacieli antimissile. Larga parte del pianeta sarà disastrato dal punto di vista ambientale e della sicurezza, ma allo stesso tempo ci saranno delle isole felici blindate. Già oggi ci sono appartamenti venduti a 100 milioni di dollari per 100 metri quadrati, cifre mostruose. Nel resto del mondo moriremo tutti di fame. Lo Stato è forte: ogni anno ha 850 miliardi da spendere. La crisi del governo gialloverde con l’Ue era relativa a circa 15 miliardi, tra “quota 100″ e reddito di cittadinanza (una piccola parte). Possiamo decidere cosa spendere. Serve un piano nazionale di messa a punto del nostro territorio. Potremmo assumere giovani geometri, ingegneri, architetti per evitare di pagare i danni da alluvioni e calamità naturali. Questa società è basata solo sul profitto, ma sulla salute non si può guadagnare. La sanità privata serve a chi la fa, non all’utenza. L’istruzione e i trasporti dovrebbero essere pubblici: hanno fatto apposta, a distruggerli, per favorire la loro privatizzazione. L’Europa dei popoli purtroppo oggi non esiste, esiste solo l’Europa dell’euro e delle grandi banche. Non dobbiamo essere dipendenti da Bruxelles, per fare una riforma. Bisogna uscire dall’Ue in un processo collettivo, rivoluzionario, che coinvolga i popoli. Quello italiano non è mai stato troppo avvezzo alle rivoluzioni, ma potrebbe anche imparare molto presto.
    (Marco Rizzo, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella video-intervista “Una rivoluzione dei popoli per uscire dall’euro”, pubblicata sul canale video di “Money.it” il 23 gennaio 2019).

    «Quello che è successo in Europa dipende dall’aver anticipato la parte monetaria rispetto a quell’unificazione politica mai arrivata», dice qualcuno. In realtà non si è trattato di un errore, ma di un qualcosa di voluto e premeditato dai grandi poteri. La ricchezza di metà del pianeta è concentrata nelle mani di pochissimi, e questo si ripercuote nella vita di tutti noi. Quello che non funziona, dalla sanità al sociale, dipende da questo. Siamo obbligati ad avere il pareggio di bilancio in Costituzione, i padri costituenti si rivolteranno nella tomba. Sono dinamiche volute dalla grande economia e appoggiate da una politica supina prima, e supina oggi. Il Movimento 5 stelle e la Lega hanno raccolto i voti sulla critica serrata all’Ue e poi si sono rimangiati tutto. Sono andati lì per battere i pugni e sono tornati con le ginocchia sbucciate, perché a Bruxelles si sono inginocchiati. La Bce e il Fmi, Mario Draghi e Christine Lagarde, contano più del presidente del Consiglio italiano: ma li ha per caso eletti qualcuno? Queste organizzazioni sovranazionali contano più dei governi: siamo nel mondo della globalizzazione capitalista, dove un’impresa è più forte dello Stato. La Apple si è rifiutata di decriptare lo smartphone di un terrorista. Una cosa impensabile, alcuni decenni fa. La dittatura finanziaria ed economica è la peggior cosa che esista.

  • Giovani servi contro i senior, in ufficio: guerra alla memoria

    Scritto il 05/12/19 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Leggo con malcelato fastidio e un senso di ribrezzo il post di una persona che si autodefinisce “owner trading room”. Così secondo lui la colpa di tutto questo è dovuta alla scarsa produttività di una popolazione che diventa sempre più anziana, come se il calo della produttività non fosse dovuto proprio alle politiche economiche di aziende con scarsa propensione all’innovazione, alla scarsa organizzazione ed efficienza produttiva, alla mediocrità del management, a dottrine economiche neoliberiste sbagliate, tassi d’interesse, difficoltà di finanziamento. No, le cause sono principalmente di una popolazione che non riesce a lavorare ai ritmi sempre più forsennati che una società malata impone. L’esperienza di una persona anziana, la capacità di problem solving che la maturità gli dà non viene minimamente presa in considerazione; conta, come nella migliore tradizione schiavistica dell’America confederata, la “forza produttiva” massima che la macchina “bestia umana” può produrre. L’uomo diventa lo strumento al servizio del moloc produttore, schiacciato da esso, non il contrario. L’anziano che non riesce (o non vuole, grazie alla sua esperienza e intelligenza che quest’ultima gli dà) assimilarsi i diktat deve venir eliminato, come il calciatore che non riesce a correre più come una volta: il 10% in meno di velocità non è ammissibile, come nelle migliori “tradizioni” di una Amazon…
    Così osserviamo la schizofrenia in base a cui da una parte si ritarda sempre più il pensionamento, dall’altra si tende a eliminare la persona “anziana” che non regge alla supposta produttività imposta. Quindi cosa facciamo di tutta questa massa di persone, “non più in grado” di reggere ai ritmi produttivi? La eliminiamo? E dopo, come già proposto da “eminenti soloni”, gli togliamo il diritto di voto? Nel più bel e illuminato esempio di uguaglianza, libertà, democrazia? Una società sana si avvale proprio di un equilibrato rapporto tra l’esperienza e la memoria storica di una parte anziana, e la freschezza e la capacità di portare nuove idee di una parte giovane. Ma è proprio la “memoria storica”, l’esperienza, a dare fastidio, perché questa tende a scoprire e sfatare abbastanza facilmente le cazzate fatte anche per inesperienza, pressapochismo e scarso buon senso, quindi l’inadeguatezza di chi dirige e non è facilmente manipolabile e indirizzabile come i giovani senza esperienza. Tra l’altro l’età anagrafica spesso abbaglia: ci sono anziani che sono più freschi, innovativi e “giovani mentalmente” di chi ha trent’anni meno di loro, e certi giovani che sono “vecchi” già a trent’anni.
    E non è vero che la persona più anziana pensa meno al futuro di una più giovane; forse invece di più, perché ha a cuore l’avvenire dei propri figli, dei propri nipoti, altrimenti non si sacrificherebbe per farli studiare, cosa che spesso non avviene in senso contrario. Il futuro per un giovane è cosa lontana nel tempo, con la prospettiva di una lunga vita da trascorrere; per un anziano il futuro è già domani, anche se non lo vedrà, ma sa che i suoi figli lo vedranno. Il modello più vicino che mi viene in mente è Pol Pot, (ma forse il giovane virgulto non l’ha mai sentito nominare), la Cambogia dove gli anziani, le persone con gli occhiali (intellettuali, quindi persone pensanti) venivano eliminate per selezionare una popolazione giovanissima, senza esperienza del passato per non far paragoni, e facilmente manipolabile e soggetta a lavaggio di cervello. Di contro mi viene in mente un bel film di fantascienza, “La fuga di Logan”, in cui in una società distopica venivano eliminati tutti i maggiori di trent’anni. Cosa si vuole quindi proporre? Quella società distopica? Certi film precorrono i tempi….
    Due esempi assolutamente reali: in una media azienda del Nord-Est il proprietario decide che l’Ebitda deve aumentare, così come la produttività. Cosa fa? Chiama un consulente della scuola bocconiana. Cosa fa il consulente? Quello che tutti noi sapremmo fare. Prende un foglio Excel con gli stipendi dei dipendenti e taglia il 20% delle persone con gli stipendi più alti – cioè, vista l’anzianità e l’abilità, quelle appunto più vecchie. Facile, no? Peccato che la produttività diminuisce con oggetti in cui sono sbagliati i progetti e macchinari che si fermano per non adeguata manutenzione, o per inadeguate tecniche di produzione magari di progetti sulla carta perfetti, senza contare il calo di motivazione e di senso di appartenenza all’azienda di tutto il personale rimanente. Secondo episodio, una grande azienda chiede a una piccola di produrre maniglie per mezzi di trasporto. La piccola azienda si accorge subito che i pezzi che le vengono commissionati potrebbero avere problemi di compatibilità con il progetto complessivo, e lo fa presente. Risposta: lasciate perdere, fate così; tutti gli ingegneri anziani e con esperienza sono stati prepensionati o mandati via, quelli rimasti non hanno esperienza e non sanno progettare bene nemmeno le cose più semplici. Quella azienda oramai non è più italiana, è stata venduta, appunto perché sempre meno produttiva.
    Nei tempi antichi erano gli anziani a governare (forse troppo, in effetti) perché erano dei “superstiti” che erano arrivati a quel punto perché avevano appreso dai propri errori, ne avevano fatto tesoro, avevano visto gli errori fatali altrui e insegnavano alle nuove generazioni a non ripeterli. Non è forse un caso che la Storia con la S maiuscola venga insegnata sempre meno (ed era stata tolta dagli esami di maturità). Una società senza storia è una società senza anima. Ma una cosa si può dire, a certi giovani virgulti: ricordatevi che voi siete gli anziani di domani, che è poco saggio avviare guerre generazionali al servizio di chi vi vuol blandire – meglio, inculcare – e asservirvi alla loro visione (che di solito sono a loro volta persone molto anziane ma anche molto potenti e facoltose). Non avete ancora la percezione che il tempo passa per tutti, avete dentro di voi un senso di immortalità (come l’avevo io) ma farete esattamente la stessa fine, espulsi dalle filiere produttive perché non riuscirete a sostenere ritmi ancor più forsennati. Negli occhi anziani che adesso accusate di essere la causa della scarsa produttività, potete scorgere i vostri futuri occhi e la vostra futura fine.
    (Roberto Hechich, “Giovani servi contro gli anziani, sul lavoro: guerra alla memoria”, dalla pagina Facebook del gruppo ufficiale del Movimento Roosevelt, 2 dicembre 2019).

    Leggo con malcelato fastidio e un senso di ribrezzo il post di una persona che si autodefinisce “owner trading room”. Così secondo lui la colpa di tutto questo è dovuta alla scarsa produttività di una popolazione che diventa sempre più anziana, come se il calo della produttività non fosse dovuto proprio alle politiche economiche di aziende con scarsa propensione all’innovazione, alla scarsa organizzazione ed efficienza produttiva, alla mediocrità del management, a dottrine economiche neoliberiste sbagliate, tassi d’interesse, difficoltà di finanziamento. No, le cause sono principalmente di una popolazione che non riesce a lavorare ai ritmi sempre più forsennati che una società malata impone. L’esperienza di una persona anziana, la capacità di problem solving che la maturità gli dà non viene minimamente presa in considerazione; conta, come nella migliore tradizione schiavistica dell’America confederata, la “forza produttiva” massima che la macchina “bestia umana” può produrre. L’uomo diventa lo strumento al servizio del moloc produttore, schiacciato da esso, non il contrario. L’anziano che non riesce (o non vuole, grazie alla sua esperienza e intelligenza che quest’ultima gli dà) assimilarsi i diktat deve venir eliminato, come il calciatore che non riesce a correre più come una volta: il 10% in meno di velocità non è ammissibile, come nelle migliori “tradizioni” di una Amazon…

  • Ti addormenti Sardina e ti risvegli Fornero: è già successo

    Scritto il 27/11/19 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Ti addormenti Sardina, e ti risvegli Fornero. Succede, è già successo. Lo afferma “Contropiano”, che si definisce “giornale comunista online”. In un editoriale di Sergio Cararo, sviluppa la seguente tesi: se riempi le piazze ma non il cervello (politico), il solito potere si approfitterà di te, anche sei meno ingenuo di quanto sembri e forse riuscirai a cogliere l’obiettivo immediato a portata di mano, cioè dare fastidio a Salvini. Prima domanda: la paura immobilizza o mobilita? Indubbiamente, scrive Cararo, le piazze riempite dalle Sardine «nascono dalla paura che la Lega vinca o stravinca anche in regioni e città dove la destra non aveva mai governato, e che usi queste vittorie elettorali come una clava per insediarsi stabilmente alla guida del governo nazionale». E’ una paura palpabile, «in qualche misura anche superiore agli psicodrammi vissuti quando le elezioni le vinceva Berlusconi». Anche in quel caso, ricorda Cararo, la risposta fu affidata a movimenti simili, i cosiddetti Girotondi. «Ovvio, ma non inutile, rammentare che quei movimenti di resistenza civile hanno poi prodotto “mostri” come i governi di centro-sinistra o, peggio ancora, il governo di Monti e Fornero».
    In buona sostanza, continua “Contropiano”, «si opponevano al “buio” producendo però il tramonto delle conquiste e dei diritti sociali, in nome della “modernizzazione”, dei conti in ordine nella trimestrale di cassa o del “ce lo chiede l’Europa”». Ricordate, Sardine? Ora, a quanto pare, ci risiamo.Seconda domanda: quale natura, obiettivi e “testa” hanno le mobilitazioni che in questi anni riempiono le piazze? Si tratta dei giovani studenti di Friday For Future, delle donne di Non Una di Meno ed ora delle Sardine. C’è altro? «Al momento non si vede», osserva Carario, se non – con numeri assai inferiori – su questioni serie ma acquisite da settori ancora minoritari: la lotta contro i decreti sicurezza e la solidarietà con i curdi, «mentre latita quella verso i palestinesi o con i popoli in rivolta in America Latina». Premessa: i movimenti ecologisti, femministi, pacifisti e antirazzisti non hanno mai immaginato di uscire dal capitalismo. Per dirla con “Contropiano”: spesso sono «movimenti mobilitati su questioni vere, ma che in qualche misura “devono” tenere alla larga la contraddizione di classe».
    Questa visione dei movimenti che possono portare al cambiamento, scrive sempre Cararo, nasce negli anni ‘80, quando ancora «c’erano margini di spesa per la redistribuzione e il compromesso sociale europeo». Oggi invece quei margini non esistono più: «Al contrario, c’è una polarizzazione sociale spesso brutale, che ha visto peggiorare le condizioni di vita e le aspettative generali di milioni di persone, anche tra quei ceti medi oggi impoveriti, ma che in passato assicuravano il consenso all’ipotesi social – e liberal – democratica». Inutile aggiungere che «tra i settori popolari il livello di recriminazione, rabbia e frustrazione sociale è ancora più profondo, e molto incattivito, perché il peggioramento è arrivato anche dalle forze che ne avevano a lungo sostenuto gli interessi materiali». Sbagliato liquidare le buone ragioni delle Sardine, solo perché il movimento non denuncia la “contraddizione di classe” che sta facendo esplodere la società. I movimenti odierni «non hanno più a disposizione una sintesi politica», sostiene Cararo, «proprio perché i margini redistributivi e la dimensione democratico-rappresentativa oggi sono scomparsi, o si sono assottigliati in modo impressionante».
    Si agitano, le Sardine, «senza individuare un disegno complessivo che dia la fisionomia necessaria per diventare soggetto di cambiamento». Secondo “Contropiano”, la loro attuale esperienza sta dentro questa contraddizione. «E’ evidente come al momento la sola sintesi politica sia la paura di Salvini e la discutibilissima “barriera” rappresentata dal Pd. I quattro ideatori delle Sardine nascono nel vivaio piddino, probabilmente quello più estraneo al fetore “renziano”. Ma sono questo, non altro». E dunque, si domanda Cararo: i veri movimenti antagonisti, cioè «i comunisti con o senza icone, gli attivisti sociali e antifascisti più coerenti», come devono agire? Ovvero: «In queste piazze mobilitate dalla paura devono starci dentro o denunciarne le contraddizioni, la pelosità dell’egemonia, la strumentalità elettorale filo Pd?». “Contropiano” diffida dello snobismo anti-Sardine: perché non unirsi a loro, provando a farle diventare una cosa seria? Nella sua acuta analisi, però, Cararo – per ora, almeno – non si sofferma sull’origine delle Sardine. Un anno fa, il 29 dicembre 2018, ancora nel pieno della stagione “populista-sovranista” dominata da Lega e 5 Stelle, Fausto Carotenuto (già analista politico dell’intelligence) lanciò la seguente profezia: «Dai “poteri oscuri”, nel 2019 avremo altre finte rivoluzioni».

    Ti addormenti Sardina, e ti risvegli Fornero. Succede, è già successo. Lo afferma “Contropiano“, che si definisce “giornale comunista online”. In un editoriale di Sergio Cararo, sviluppa la seguente tesi: se riempi le piazze ma non il cervello (politico), il solito potere si approfitterà di te, anche se sei meno ingenuo di quanto sembri e forse riuscirai a cogliere l’obiettivo immediato a portata di mano, cioè dare fastidio a Salvini. Prima domanda: la paura immobilizza o mobilita? Indubbiamente, scrive Cararo, le piazze riempite dalle Sardine «nascono dalla paura che la Lega vinca o stravinca anche in regioni e città dove la destra non aveva mai governato, e che usi queste vittorie elettorali come una clava per insediarsi stabilmente alla guida del governo nazionale». E’ una paura palpabile, «in qualche misura anche superiore agli psicodrammi vissuti quando le elezioni le vinceva Berlusconi». Anche in quel caso, ricorda Cararo, la risposta fu affidata a movimenti simili, i cosiddetti Girotondi. «Ovvio, ma non inutile, rammentare che quei movimenti di resistenza civile hanno poi prodotto “mostri” come i governi di centro-sinistra o, peggio ancora, il governo di Monti e Fornero».

  • Sardine contro Uomo Nero, così i ladri festeggiano in eterno

    Scritto il 25/11/19 • nella Categoria: idee • (1)

    Le Sardine ce l’hanno con Salvini, non con il cancro che ha sfigurato l’Italia mettendola in ginocchio. Ce l’hanno con Salvini, non con Prodi che ha smembrato l’Iri, facendo finire all’asta tutto quello che faceva funzionare il paese, dalla Montedison ad aziende come l’Ilva. Non ce l’hanno con Monti, che ha deturpato la Costituzione “più bella del mondo” piegandola al pareggio di bilancio, cioè all’obbligo di cessare di sostenere l’economia italiana. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non con Bersani, che – pur di sfrattare Berlusconi da Palazzo Chigi – accettò di lesionare il tessuto sociale ed economico sostenendo il governo Monti, la legge Fornero, il Fiscal Compact. Ce l’hanno con Salvini, non con Ciampi che tolse al paese il supporto finanziario della banca centrale, prima ancora di togliergli tutto il resto, vincolandolo alla tagliola di Maastricht che, da allora, ci ha fatto sprofondare nella crisi eterna: la fuga delle aziende e dei cervelli, le super-tasse, la catastrofe della disoccupazione e i tagli sanguinosi al welfare, fino alle buche nelle strade che oggi regalano all’Italia europea un aspetto sinistramente balcanico, con infrastrutture fatiscenti e viadotti che crollano seminando strage.
    Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non con D’Alema e compagni che hanno regalato a piene mani le autostrade, i trasporti, l’industria, la telefonia e tutto il resto, nella foga di obbedire al potere internazionale che imponeva loro di liberarsi di quel che faceva dell’Italia la quarta potenza industriale del mondo, invidiata e temuta: un paese da cui non scappava nessuno, e dove l’avvenire dei figli era migliore di quello dei genitori. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, non con la Fiat che ora lascia l’Italia senza più un’industria nazionale dell’auto, dopo aver campato per decenni grazie ai cospicui contributi dello Stato. Ce l’hanno con Salvini, non con il sordomuto Zingaretti e il furbetto Renzi, il misterioso Conte che (non votato da nessuno) discute amabilmente con la Germania la revisione del Mes, il virtuale Fondo Monetario Europeo che domani potrebbe accollare ai contribuenti il debito dello Stato, radendo al suolo banche e risparmi. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non con Draghi, che della spremitura di carne umana negli ultimi decenni ha fatto una ragione di vita, una sorta di oscura religione, coadiuvato in Italia dall’ineffabile Giorgio Napolitano.
    Ce l’hanno con Salvini e non con Grillo e Di Maio, che in pochi mesi hanno tradito ogni promessa fatta agli elettori, cedendo su tutta la linea, dal gasdotto Tap all’obbligo vaccinale, dalle trivelle in Adriatico al Muos di Niscemi, dagli F-35 al Tav in valle di Susa. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non coi prestanome che in Parlamento obbediscono a Big Pharma nell’imporre vaccinazioni in batteria: in Puglia il 40% dei vaccinati è alle prese con reazioni avverse, e per la prima volta nella storia italiana 130.000 bambini sono stati esclusi dalle scuole materne. Ce l’hanno con Salvini, il Cazzaro Verde mirabilmente rappresentato dal formidabile “Fatto Quotidiano”, e non con l’omertà degli scaldasedie, reticenti e inerti di fronte alle preoccupazioni di cittadini e sindaci per l’avvento del wireless 5G. Ce l’hanno con Salvini, che attraverso Armando Siri (prontamente squalificato, con un avviso di garanzia) aveva studiato un piano per abbattere drasticamente le tasse, restituendo ossigeno alle aziende. Ce l’hanno con Salvini, non col governo-ombra che si prepara a eliminare il contante, nel tentativo di attribuire all’idraulico Rossi, quell’infame, l’origine dei mali atavici della nazione.
    L’Italia è a pezzi, sbocconcellata da Francia e Germania, ma le Sardine ce l’hanno con Salvini, il controverso nocchiero dell’unico partito italiano non integralmente compromesso con lo sport nazionale del tradimento della patria, del popolo un tempo sovrano. Coltivano livore, le Sardine, scagliandosi contro un politico oggi apprezzato da una robusta maggioranza di elettori, dandogli del pericoloso buffone, anche se è l’unico – grazie ad economisti come Borghi, Bagnai e Rinaldi – ad aver almeno provato a dare un nome alla malattia che da decenni corrode e devasta famiglie e imprese. Sanno, le Sardine, che il bieco Nemico dell’Umanità fa il pieno di voti grazie allo sfacelo in cui siamo finiti, ma non si domandano chi l’ha provocato, lo sfacelo, negli anni in cui l’Uomo Nero andava ancora all’asilo. Più in là del naso non sembrano arrivare, le Sardine: a loro basta vederlo cadere, l’Uomo Nero, magari appeso a testa in giù come a piazzale Loreto, dopo esser stato preso, letteralmente, “a sprangate sui denti”. Può dormire sonni tranquilli, chi ormai fa dell’Italia quello che vuole: da oggi, sul futuro del paese vigileranno le Sardine democratiche e antifasciste. Si sprecano i brindisi, lassù: dopo i Calenda e le Boschi, i Grillo e le Raggi, siamo alle Sardine. Branco, ovviamente, visto che il film (la caccia al mostro) è di gran lunga il più adatto per distrarre gli spettatori, mentre si svaligia la loro casa.
    (Giorgio Cattaneo, Libreidee, 25 novembre 2019).

    Le Sardine ce l’hanno con Salvini, non con il cancro che ha sfigurato l’Italia mettendola in ginocchio. Ce l’hanno con Salvini, non con Prodi che ha smembrato l’Iri, facendo finire all’asta tutto quello che faceva funzionare il paese, dalla Montedison ad aziende come l’Ilva. Non ce l’hanno con Monti, che ha deturpato la Costituzione “più bella del mondo” piegandola al pareggio di bilancio, cioè all’obbligo di cessare di sostenere l’economia italiana. Ce l’hanno con Salvini, le Sardine, e non con Bersani, che – pur di sfrattare Berlusconi da Palazzo Chigi – accettò di lesionare il tessuto sociale ed economico sostenendo il governo Monti, la legge Fornero, il Fiscal Compact. Ce l’hanno con Salvini, non con Ciampi che tolse al paese il supporto finanziario della banca centrale, prima ancora di togliergli tutto il resto, vincolandolo alla tagliola di Maastricht che, da allora, ci ha fatto sprofondare nella crisi eterna: la fuga delle aziende e dei cervelli, le super-tasse, la catastrofe della disoccupazione e i tagli sanguinosi al welfare, fino alle buche nelle strade che oggi regalano all’Italia europea un aspetto sinistramente balcanico, con infrastrutture fatiscenti e viadotti che crollano seminando strage.

  • Autopsia degli italiani: il nostro sistema-paese sta sparendo

    Scritto il 16/11/19 • nella Categoria: idee • (6)

    Cos’hanno in comune le coppie che non vogliono avere figli, i ragazzi che se ne vanno all’estero, i pensionati che prendono la cittadinanza in paesi dove il costo della vita e delle tasse è più basso; oppure quanti rigettano i simboli viventi della vita italiana, dal crocifisso al presepe, quelli che chiedono di abbattere le frontiere e di lasciar entrare chiunque decida di vivere da noi e i censori che condannano chiunque voglia tutelare la nostra identità nazionale? Concorrono tutti, spesso a loro insaputa, al suicidio degli italiani o se preferite alla loro eutanasia. Corale, anche se spesso individuale. Molti di loro hanno buone ragioni personali, concrete e contingenti per le loro scelte e le loro rinunce. Non fanno figli perché si sentono precari, non hanno lavoro stabile né casa adeguata né sostegni di alcun tipo per metterli al mondo. Oppure vanno via dall’Italia perché qui non trovano lavoro, non vedono riconosciuti i loro studi, i loro meriti, la loro capacità. O ancora, abbandonano il paese perché sono tartassati e qui non ce la fanno a mantenere uno standard di vita adeguato, non si sentono garantiti come pensionati, temono la criminalità e sono disamorati del loro paese.
    Altri considerano l’Italia un corridoio umanitario, un luogo di transito e di approdo per chiunque voglia; reputano sacrosanto accogliere tutti, anche se sbarcati clandestinamente, perché sono umanitari, si mettono nei panni di chi parte, di chi arriva e sempre meno nei panni di chi fu, è o sarà italiano. O ancora: vogliono aprirsi al mondo e dar posto ad altri modi e modelli di vita, sono xenofili, desiderano le storie d’altri, sono stanchi delle proprie. Ragioni diverse tra loro, assolutamente non accorpabili e diseguali anche sul piano etico, diversamente rispettabili, ma il risultato è uno solo: si pongono mentalmente o fisicamente fuori dal loro paese, contribuiscono alla fine degli italiani, a cominciare da se stessi. Ciascuno a suo modo, spesso in buona fede e con le migliori intenzioni, stacca la spina all’Italia, concorre alla scomparsa degli italiani, si dimette da italiani o non ne garantisce la prosecuzione; accelera la cessazione della nazione e dell’identità collettiva. Per non dire dell’autodenigrazione nazionale e del diffuso vizio di rappresentare il mondo sempre a rovescio: i buoni sono quelli che vengono da fuori, i cattivi sono quelli di dentro.
    E tralascio la cornice di un paese in via di dismissione, marchi distintivi che vanno all’estero, aziende che chiudono, l’Italia che perde l’auto, il burro e l’acciaio, l’auto. Si cambia paese come si cambia gestore telefonico perché è più vantaggioso. Il dispatrio diventa solo una voltura. Sopravvivono come individui, come cittadini del mondo, come nomadi, utenti e consumatori, come esuli o profughi dal nostro paese, ma si cancellano come italiani, come famiglie, come abitati di una terra, di una città, scelgono l’evacuazione, la desertificazione, alimentano la sostituzione di popolo. Non riusciamo più a vedere le cose dal punto di vista sociale, comunitario, nazionale e tantomeno con lo sguardo storico e connesso al rapporto tra le generazioni; le vediamo solo dal punto di vista individuale, soggettivo, utilitario e contingente. O peggio, ideologico. Non riusciamo più a capire il senso storico di quel che stiamo vivendo e facendo, ci occupiamo solo dell’occasione del momento, siamo interamente immersi nella situazione, non siamo in grado di proiettare le scelte immediate nel futuro, di capirne gli effetti e di rapportarli al mondo circostante.
    Eppure sta avvenendo un processo storico importante e letale. È l’eutanasia di un popolo, di una nazione, di una civiltà. Ma se lo dici rischi pure di essere perseguitato a norma di legge come se la preoccupazione per la vita del tuo paese e del tuo popolo, fosse una forma di odio, di razzismo e di disprezzo nei confronti degli altri. È chiaro che l’italianità non si misura dal colore della pelle, e nemmeno da altri indicatori superficiali. Anzi, chi si affida solo a quelli già è estraneo allo spirito di una nazione, non capisce l’importanza di un’identità, di una cultura, di una tradizione nazionale. Ci sono bianchissimi e purissimi italiani che sono meno italiani nella testa e nel cuore di tanti altri, oriundi o sopraggiunti. Come si fronteggia il suicidio degli italiani? Innanzitutto assumendone coscienza, diventando consapevoli di quel che sta accadendo; poi cercando con realismo, senza velleità, possibili rimedi e possibili alternative ai percorsi ritenuti obbligati della deitalianizzazione in automatico; infine studiando, sollecitando e promuovendo iniziative, programmi, politiche, per rispondere al fenomeno e incoraggiarne la ripresa, a ogni livello.
    Invece non vedo niente di tutto questo, se non qualche scaramuccia di basso livello su qualche minchiata secondaria, come il caso Balotelli o poco altro. In particolare trovo sconfortante un’area politica che pure è maggioritaria nel paese ma si lascia dettare l’agenda dalla dittatura del politically correct e si limita a saltare o a non saltare al comando dei circensi. L’ultimo è stato il caso Segre, con la relativa commissione anti-odio, così prefabbricato. Prendete voi iniziative in senso inverso piuttosto che limitarvi a discutere se acconsentire, astenervi o respingere le iniziative altrui, nate al puro scopo di mettervi in difficoltà, spaccarvi e mantenere il bastone del comando, imponendo il loro canone. Anche perché nel caso in questione, non è in gioco una parte politica o una spicciola convenienza elettorale. È in gioco un popolo, una storia, una patria; il loro passato e il loro futuro.
    (Marcello Veneziani, “Il suicidio degli italiani”, da “La Verità” del 7 novembre 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).

    Cos’hanno in comune le coppie che non vogliono avere figli, i ragazzi che se ne vanno all’estero, i pensionati che prendono la cittadinanza in paesi dove il costo della vita e delle tasse è più basso; oppure quanti rigettano i simboli viventi della vita italiana, dal crocifisso al presepe, quelli che chiedono di abbattere le frontiere e di lasciar entrare chiunque decida di vivere da noi e i censori che condannano chiunque voglia tutelare la nostra identità nazionale? Concorrono tutti, spesso a loro insaputa, al suicidio degli italiani o se preferite alla loro eutanasia. Corale, anche se spesso individuale. Molti di loro hanno buone ragioni personali, concrete e contingenti per le loro scelte e le loro rinunce. Non fanno figli perché si sentono precari, non hanno lavoro stabile né casa adeguata né sostegni di alcun tipo per metterli al mondo. Oppure vanno via dall’Italia perché qui non trovano lavoro, non vedono riconosciuti i loro studi, i loro meriti, la loro capacità. O ancora, abbandonano il paese perché sono tartassati e qui non ce la fanno a mantenere uno standard di vita adeguato, non si sentono garantiti come pensionati, temono la criminalità e sono disamorati del loro paese.

  • E bravo Draghi, ha ridotto l’Europa a un nano economico

    Scritto il 14/11/19 • nella Categoria: segnalazioni • (31)

    Mario Draghi alla scadenza del suo mandato è stato celebrato come il salvatore della Ue e dell’euro, e non c’è dubbio che abbia fatto di tutto per evitare il collasso della moneta unica e che ci sia riuscito. Ma per l’economia reale – ecco il rovescio della medaglia – questo non ha portato ad alcun giovamento. Nei dieci anni successivi alla crisi, dal 2007 al 2017, secondo i dati della World Bank, il Pil globale nel mondo è aumentato del 22%. Tutto merito della Cina e l’India? Per la verità gli Usa sono cresciuti del 29%. E l’Europa della Ue e dell’euro? Il dato clamoroso è che l’Europa dell’euro in dieci anni è cresciuta, come Pil, dell’1,7%. Questo è incredibile. L’Europa ha a disposizione scienza e tecnologia quanto l’America e l’Asia e si lavora in media otto ore al giorno anche qui. Americani, giapponesi e cinesi prendono un po’ meno vacanze e hanno meno mesi in maternità, vanno in pensione qualche anno più tardi. Ma la differenza non è poi così grande come si pensa. Una differenza così abissale della crescita economica su dieci anni non la si spiega con le ore lavorate, che sono in Eurozona solo un 10 o 15% di meno complessivamente.E in ogni caso questa differenza esisteva anche vent’anni fa, quando invece la crescita europea era paragonabile a quella del resto dei paesi Ocse.
    Questo enorme divario di crescita si spiega soprattutto con le politiche molto espansive del credito e dei deficit pubblici, che il resto del mondo ha fatto e noi nella Ue no. In Usa, il Pil è aumentato da 15.000 a 19.300 miliardi, mentre il deficit pubblico aumentava da 10.000 a 21.000 miliardi, più che raddoppiato in dieci anni (e tuttora l’America mantiene un deficit pubblico di 1.000 miliardi l’anno). In Cina il totale del debito (incluso quello di imprese e famiglie) era meno di 10.000 miliardi, e in dieci anni è esploso a oltre 40.000 miliardi. In Italia invece il credito totale a famiglie e imprese è calato, negli ultimi dieci anni, perché quello alle imprese è stato tagliato moltissimo (da 940 a 650 miliardi) e quello alle famiglie è salito solo leggermente. E la politica di Draghi alla Bce, che ha espanso il bilancio della Bce di quasi 3.000 miliardi? Questi miliardi sono andati a comprare debito pubblico, sia direttamente che indirettamente (dandoli alle banche che poi compravano ad esempio Btp). Sarebbe stato utile all’economia se si fossero aumentati i deficit tagliando le tasse, ma “le regole Ue” lo hanno impedito. E allora a cosa sono serviti i 3.000 miliardi di Draghi? Solo a far scendere a zero (o sottozero) il rendimenti di tutti i titoli di Stato, persino quell greci.
    Questo danneggia i risparmiatori, che infatti oggi in Italia hanno abbandonato i titoli di Stato comprando polizze, fondi e prodotti del risparmio gestito, e poi mettendo 300 miliardi nei conti correnti, che sono saliti a 1.400 miliardi. Se schiacci a zero i rendimenti dei titoli, chi vuole risparmiare deve spendere un poco di meno per compensare il reddito che non riceve più sui suoi soldi messi da parte. In compenso, a questi tassi artificialmente bassi diventa più facile indebitarsi per chi opera speculativamente sui mercati. Buona fortuna. Nel resto del mondo si è reagito alla crisi con politiche aggressive di aumento dei deficit e del credito per far circolare più soldi con ogni mezzo anche tra famiglie e imprese. Si sono tagliate le tasse e si è aumentata la spesa, e le banche sono state spinte ad aumentare il credito. Le statistiche mondiali del debito privato e pubblico mostrano un enorme aumento del debito delle imprese specie in Usa e Cina. Oggi il debito equivale in pratica alla moneta che circola, e se si vuole aumentarla bisogna aumentare il debito. Nessuno lo ha capito meglio dei giapponesi e dei cinesi. Il Giappone infatti come si sa ha un debito pubblico doppio del nostro, e la Cina ha trascinato l’economia globale negli ultimi dieci anni aumentando il debito privato di 30.000 miliardi!
    Se invece non si aumenta il deficit e non si stimolano le banche a prestare alle imprese, stampare moneta come ha fatto Draghi fa solo scendere i tassi sui titoli di Stato a zero o sottozero. Una cosa irrazionale, mai successa in 4.000 anni di storia, e che accade più che altro in Eurozona. Draghi ha pompato liquidità solo per comprare e far comprare alla banche titoli sui mercati. Poco o niente è andato all’economia reale. Questi dati sull’enorme divario tra il resto del mondo che cresce del 22% e l’Eurozona che cresce dell’1% indicano che siamo diventati una eccezione nel mondo; siamo l’area della crescita demografica zero o negativa, come in Italia, perché siamo prigionieri di una gabbia finanziaria che soffoca l’economia e riduce l’occupazione. L’Eurozona sacrifica le prospettive dei suoi figli, che non riproduce più, per rispettare “vincoli finanziari e di bilancio” di cui il resto del mondo se ne frega.
    C’è chi usa più che altro il debito privato, come i cinesi (ma le loro banche sono pubbliche), chi usa sia quello pubblco come Usa e Uk, e chi usa il debito pubblico, come i giapponesi: sì anche i giapponesi, i quali hanno goduto di un incremento del reddito pro capite dal 2008 di circa il 7% contro un calo dell’8% dell’Italia, nonostante il loro debito pubblico sia il doppio del nostro. La politica della Bce di Draghi è servita solo a impedire che la zona euro si sfaldasse; ma occorre – in Europa, e in Italia prima di ogni altro paese – uno “shock monetario”, una espansione dell’ordine dei 100 miliardi di euro, sotto forma soprattutto di riduzioni di tasse, per rilanciare gli investimenti. L’attuale legge di bilancio mette il paese in coma farmacologico, ma il prossimo anno ci saranno elezioni politiche anticipate e Salvini andrà a Palazzo Chigi; sarà meglio preparere sin d’ora un valido programma per rianimare l’Italia.
    (Paolo Becchi e Giovanni Zibordi, “I disastri dell’Euro: l’Ue è cresciuta un decimo rispetto al mondo”, da “Libero” del 3 novembre 2019; articolo ripreso sul blog di Becchi).

    Mario Draghi alla scadenza del suo mandato è stato celebrato come il salvatore della Ue e dell’euro, e non c’è dubbio che abbia fatto di tutto per evitare il collasso della moneta unica e che ci sia riuscito. Ma per l’economia reale – ecco il rovescio della medaglia – questo non ha portato ad alcun giovamento. Nei dieci anni successivi alla crisi, dal 2007 al 2017, secondo i dati della World Bank, il Pil globale nel mondo è aumentato del 22%. Tutto merito della Cina e l’India? Per la verità gli Usa sono cresciuti del 29%. E l’Europa della Ue e dell’euro? Il dato clamoroso è che l’Europa dell’euro in dieci anni è cresciuta, come Pil, dell’1,7%. Questo è incredibile. L’Europa ha a disposizione scienza e tecnologia quanto l’America e l’Asia e si lavora in media otto ore al giorno anche qui. Americani, giapponesi e cinesi prendono un po’ meno vacanze e hanno meno mesi in maternità, vanno in pensione qualche anno più tardi. Ma la differenza non è poi così grande come si pensa. Una differenza così abissale della crescita economica su dieci anni non la si spiega con le ore lavorate, che sono in Eurozona solo un 10 o 15% di meno complessivamente.E in ogni caso questa differenza esisteva anche vent’anni fa, quando invece la crescita europea era paragonabile a quella del resto dei paesi Ocse.

  • Ilva, la tomba neoliberista: se tagli lo Stato uccidi il paese

    Scritto il 14/11/19 • nella Categoria: idee • (12)

    Ilva e Alitalia, Fca in fuga insieme a Whirlpool ed Embraco. E poi altri mille “tavoli di crisi” che disegnano il tramonto del sistema industriale italiano. Chi si concentra solo sulle notizie del giorno (è colpa di chi ha messo in discussione lo “scudo legale”, non si cambiano le regole in corso d’opera, Arcelor Mittal voleva 5.000 esuberi e ha giocato sporco) è destinato a non capire cosa sta davvero succedendo, afferma Dante Barontini su “Contropiano”: «C’è un paese che sta affondando nella de-industrializzazione, senza peraltro avere mai costruito un modello di sviluppo alternativo». Le colpe, secondo il “giornale comunista online”, vanno equamente divise «tra una classe imprenditoriale di inqualificabile viltà e una classe politica, se si può, anche peggiore». Entrambe, infatti, «davanti alla costruzione europea che toglieva sovranità alle scelte economiche, hanno reagito fuggendo», ciascuno a modo suo: gli imprenditori «girando i loro profitti nella finanza speculativa», e i politici (nessuno escluso, da Berlusconi a Salvini) di fatto «accettando i diktat europei, spogliandosi di qualsiasi responsabilità e rifugiandosi nella bolla della “comunicazione”, ossia nella menzogna professionale».
    Da quasi trent’anni, dal Trattato di Maastricht in poi – ricorda Barontini – la “politica industriale” di tutti i governi è consistita in privatizzazioni e soldi a pioggia alle imprese. In sostanza: “regali industriali” – da Telecom a Italsider, ad Autostrade – accompagnati da generose “dazioni” liquide (sotto forma di decontribuzione, finanziamenti a fondo perduto, taglio del cuneo fiscale), «oltre che da politiche criminali sul lavoro», ovvero «precarietà contrattuale legalizzata, allungamento dell’età lavorativa, eliminazione delle tutele dei lavoratori, deflazione salariale», con la piena “complicità” di Cgil, Cisl e Uil. E tutto questo, «accettando sempre la tagliola del “divieto agli aiuti di Stato” imposta dall’Unione Europea». Di fatto, aggiunge Barontini, «sono state consegnate alle imprese le chiavi dello sviluppo o della morte del paese». Le imprese ovviamente hanno pensato ai loro affari, in una situazione di cortissimo respiro: «I “mercati” valutano le relazioni trimestrali, mica le prospettive strategiche». Rimosso a monte l’obiettivo sistemico (lo sviluppo del paese, il benessere diffuso, posti di lavoro e salari accettabili) non resta che il calcolo costi-benefici «tra costo del lavoro, incentivi a pioggia, efficienza delle infrastrutture, politiche fiscali nazionali».
    Inevitabile, secondo Barontini, che le imprese «decidessero per la morte, ponendo ogni volta il ricatto con modalità mafiose: o ci date mano libera o ce ne andiamo da un’altra parte». Amarezza: «C’erano una volta i lavoratori che si trasferivano là dove c’erano le industrie, con la valigia di cartone legata con lo spago. Oggi sono le imprese multinazionali a viaggiare, spostando linee di montaggio e casseforti gonfie di soldi». Globalizzazione selvaggia, delocalizzazioni facili: «Da questa condizione storica non si esce con misure una tantum, con un finanziamento in più e neanche con una “partecipazione pubblica” nei casi più disperati», sostiene “Contropiano”, segnalando che «dopo anni, è arrivato a chiederla – per la sola Ilva – persino il segretario della Cgil». Di fronte alla dimensione del disastro economico e sociale, per Barontini c’è bisogno di una visione e di una programmazione di lungo periodo: «C’è bisogno di decidere che cosa produrre e come farlo». Soprattutto: «C’è bisogno di investire in barba a qualsiasi “patto di stabilità europeo”, perché un paese di 60 milioni di persone non può accettare di finire nel baratro della storia solo per rispettare “regole” scritte per favorire altri sistemi industriali, altri paesi e altre multinazionali». Giusto nazionalizzare, ma non basta più: serve «una diversa visione del mondo e della produzione». In altre parole, «si tratta di prendere atto che il capitalismo neoliberista non funziona più e va superato prima che esploda», seminando (come sempre nella storia) «morte e distruzione».

    Ilva e Alitalia, Fca in fuga insieme a Whirlpool ed Embraco. E poi altri mille “tavoli di crisi” che disegnano il tramonto del sistema industriale italiano. Chi si concentra solo sulle notizie del giorno (è colpa di chi ha messo in discussione lo “scudo legale”, non si cambiano le regole in corso d’opera, Arcelor Mittal voleva 5.000 esuberi e ha giocato sporco) è destinato a non capire cosa sta davvero succedendo, afferma Dante Barontini su “Contropiano“: «C’è un paese che sta affondando nella de-industrializzazione, senza peraltro avere mai costruito un modello di sviluppo alternativo». Le colpe, secondo il “giornale comunista online”, vanno equamente divise «tra una classe imprenditoriale di inqualificabile viltà e una classe politica, se si può, anche peggiore». Entrambe, infatti, «davanti alla costruzione europea che toglieva sovranità alle scelte economiche, hanno reagito fuggendo», ciascuno a modo suo: gli imprenditori «girando i loro profitti nella finanza speculativa», e i politici (nessuno escluso, da Berlusconi a Salvini) di fatto «accettando i diktat europei, spogliandosi di qualsiasi responsabilità e rifugiandosi nella bolla della “comunicazione”, ossia nella menzogna professionale».

  • Grillo-horror: via il voto agli anziani. Anche a Mattarella?

    Scritto il 21/10/19 • nella Categoria: idee • (17)

    Tagliare, escludere, eliminare. In una parola: togliere. Password: “meno”. A Beppe Grillo, le parole “diritti” e “voto” procurano l’orticaria? Se si aggiunge il terzo vacabolo, “anziani”, si ottiene questo titolo: “Se togliessimo il diritto di voto agli anziani?”. Levàteje er fiasco, si potrebbe commentare, bonariamente, in romanesco. Film consigliato: “La ballata di Narayama”, di Shōhei Imamura, Palma d’Oro a Cannes nell’83. Trama: in un villaggio, al settantesimo compleanno gli anziani vengono esiliati su una montagna, dove attenderanno la morte. Si può concepire qualcosa di più mostruoso? Forse sì: nei ghetti della Polonia, per esempio, gli ebrei non vivevano giorni allegri, in attesa della deportazione che li avrebbe trasformati in cenere. Prendersela con gli anziani nel 2019 in un paese come l’Italia, poi, aggiunge alla demenzialità una vena di perfidia vagamente totalitaria. E’ una minaccia disgustosa, ma sembra anche una vendetta: contro le generazioni che hanno fatto dell’Italia la quarta potenza industriale del pianeta, pur in un paese insidiato da mali endemici come l’evasione fiscale da record, l’elevato tasso di corruzione politica e la pervasività delle mafie. Per buon peso, l’Italia appena uscita dal boom del dopoguerra dovette vedersela anche col terrorismo. Ma tenne duro ugualmente, grazie a quei cittadini – ora anziani – che il signor Giuseppe Piero Grillo propone di privare del diritto di voto.
    «Ci sono semplicemente troppi elettori anziani e il loro numero sta crescendo. Il voto non dovrebbe essere un privilegio perpetuo, ma una partecipazione al continuo destino della comunità politica, sia nei suoi benefici che nei suoi rischi». A di là della citazione cosmetica (Douglas J. Stewart) queste parole sarebbero state perfette per un tipetto come Joseph Goebbels: a chi altri poteva venire in mente l’espressione “troppi elettori”, per giunta “anziani”? Una proposta, scrive Grillo, «già ampiamente discussa dal filosofo ed economista belga Philippe Van Parijs», pensatore contemporaneo «tra i più grandi sostenitori del reddito universale» (che infatti trovò abusiva l’espressione “reddito di cittadinanza” coniata dai grillini per mascherare la ridicola elemosina elargita col contagocce da Luigi Di Maio). Il voto sarebbe un “privilegio perpetuo”? E certo: che belli, i tempi in cui il voto non esisteva proprio, e il Re poteva tagliare la testa a chi voleva, senza nemmeno un processo. Ma non era diventato un diritto, nel mondo contemporaneo, il suffragio universale? Non è stato introdotto, come conquista storica, da quel pezzo di carta chiamato Costituzione? Perché allora qualcuno pensa che sia così affascinante, tornare di colpo all’età della pietra? Fiato sprecato, se questo qualcuno è il privato cittadino che, occasionalmente, emana diktat cui deve allinearsi il partito-gregge più rappresentato nell’attuale Parlamento italiano.
    Il signor Grillo – non eletto, mai votato da nessuno eppure padrone feudale del marchio 5 Stelle – è la stessa persona che esortava gli ignari valsusini, con parole incendiarie, a lottare contro il Tav Torino-Lione (demonizzato come un Moloch del terzo millennio), salvo poi liquidarli, alla stregua di un branco di ottusi montanari, non appena gli fu chiaro che la recita era durata abbastanza, dato che era tempo di cambiare aria, spartito e compagnia di giro. Stessa storia in Puglia (Ilva, Tap) e in Sicilia (Muos di Niscemi). Armiamoci e partite, ma per finta: le trivelle in Adriatico, gli F-35. E vogliamo parlare di obbligo vaccinale? Milioni di voti, nel 2018, mietuti anche con la promessa free-vax della libertà di scelta. Meno di un anno dopo, la firma (con l’amico Renzi) dell’aberrante “Patto per la Scienza” scarabocchiato dal propagandista pro-vax Claudio Burioni. Dulcis in fundo, il taglio dei parlamentari: irrilevante sul piano finanziario ma gravido di minaccia sotto l’aspetto politico, contro la libertà di deputati e senatori. “Troppi”, anche loro, come gli anziani: gli uni da trasformare definitivamente in marionette abilitate solo a pigiare tasti secondo ordini prestabiliti, gli altri da esiliare – alla loro veneranda età – tra il ciarpame umano, ormai inutile. Per dire: il capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha compiuto 78 anni lo scorso 23 luglio. Che facciamo, togliamo il diritto di voto anche a lui?
    Il presidente più amato dagli italiani, Sandro Pertini, aveva quasi novant’anni alla scandenza del mandato. E di anni ne aveva 80 Stefano Rodotà, quando i grillini volevano che diventasse presidente dopo Napolitano, altro “giovanotto” della Repubblica (classe 1925). E che dire dei vegliardi richiamati in servizio honoris causa, come senatori a vita? Nomi da niente: Toscanini e Sturzo, Ferruccio Parri, Meuccio Ruini, Pietro Nenni. E poi Eugenio Montale, Eduardo De Filippo. E Norberto Bobbio, Rita Levi Montalcini, Renzo Piano, Carlo Rubbia. Vecchie ciabatte, da gettare nel cassonetto? Ma sarebbe un errore opporre il lume della ragione al delirio, sempre piuttosto sinistro e tendenzioso, del signor Beppe: «L’idea», la chiama. Grande idea, non c’è che dire. «Nasce dal presupposto che una volta raggiunta una certa età, i cittadini saranno meno preoccupati del futuro sociale, politico ed economico, rispetto alle generazioni più giovani». Ma saranno fatti loro, no? Macché: «I loro voti – scrive il blogger più pericoloso d’Italia – dovrebbero essere eliminati del tutto, per garantire che il futuro sia modellato da coloro che hanno un reale interesse nel vedere realizzato il proprio disegno sociale». Attenzione: gli anziani, quei ribaldi, «saranno molto meno propensi a sopportare le conseguenze a lungo termine delle decisioni politiche». Quindi imbracceranno le armi e daranno l’assalto al Palazzo d’Inverno, creando il Soviet dei Novantenni per abbattere la democrazia?
    Argomenta il feldmaresciallo Grillo: «Se un 15enne non può prendere una decisione per il proprio futuro, perchè può farlo chi questo futuro non lo vedrà?». Magistrale coerenza: anziché abilitare il 15enne, meglio disabilitare anche il nonno. Oltretutto, costa meno: è la filosofia-canaglia dell’élite che ha promosso l’austerity altrui. Un piano – ora se ne sono accorti tutti – a cui il Movimento 5 Stelle ha fatto da stampella, traghettando verso l’area del vecchio potere i voti in libera uscita, ingannati dallo slogan “uno vale uno” prima di scoprire che, nella caserma pentastellata, “uno vale zero”. E non è finita: varrà meno di zero il singolo parlamentare: sfoltita la scolaresca, ci sarà posto solo per i fedelissimi delle segreterie. Se poi venisse imposto anche il vincolo di mandato, cadrebbe anche l’ultimo frammento di dignità parlamentare. Tanto varrebbe chiuderlo del tutto, il Parlamento, privatizzando anche il voto, magari con il ricorso a tragiche barzellette come la piattaforma Rousseau. A 71 anni suonati, lo stesso Grillo non cessa di disorientare sapientemente i seguaci con le sue supercazzole, tanto per sembrare brillante, magari stravagante ma libero, senza burattinai alle sue spalle. Sicuri? Ha smontato il governo gialloverde restituendo i voti degli incauti elettori agli antichi dominatori, i privatizzatori del Britannia, che non hanno mai perdonato al nostro paese la sua irriducibile capacità economica.
    Per pura combinazione, infatti, l’armata Brancaleone ora insediata a Palazzo Chigi s’è messa ad agitare, con la bava alla bocca, i vessilli dell’ultima crociata nazionale: quella contro gli scontrini della porta accanto. Guerra al bieco evasore: il barista, l’idraulico, l’elettricista. Perfidi untori, subdoli affossatori del Belpaese. Dal palco, già risuona il tinninnio delle manette evocate dal giulivo Travaglio, giornalista incapace – in tutti questi anni – di formulare una sola parola di analisi sull’euro-crisi italiana. Tutto questo, mentre il governicchio di “Giuseppi” s’inchina ai signori di Bruxelles che tollerano i paradisi fiscali dell’Unione Europea (Olanda, Lussemburgo) che drenano miliardi all’Italia, ogni anno, con il loro scandaloso dumping. Ma discutere con l’Ue non è roba per l’asceta Grillo: è vero, ai tempi belli si divertiva a straparlare di referendum sull’euro, ma poi ha tentato di traslocare il gruppo europarlamentare direttamente tra i banchi di Mario Monti. Il Beppe ormai preferisce bersagli più alla buona: quei gaglioffi dei parlamentari italiani, quel mascalzone del gelataio che non emette sempre lo scontrino. E ora pure i nonni, finiti nella “bad list” del teologo ligure.
    Del resto, perché mai aver cura dei pensionati, quando c’è in ballo il futuro dei giovani? Meglio ancora: c’è da pensare addirittura ai nascituri. «Le generazioni non nate – aggiunge infatti il messia genovese – sono, sfortunatamente, incapaci di influenzare le decisioni che prendiamo qui ed ora. Tuttavia, possiamo migliorare il loro destino spostando il potere decisionale verso chi tra noi dovrà interagire con loro». E pazienza se i pensionati, maltrattati dall’Inps e pieni di acciacchi, costretti a trascinarsi tra corsie ospedaliere in attesa di referti clinici che non arrivano mai, ora dovranno anche imparare a usare le carte di credito pure per le medicine, rinunciando a quell’orribile robaccia del contante. Fino a sei mesi fa, si parlava di moneta parallela per ovviare alla scarsità artificiosa di liquidità imposta dalla Bce. Ora siamo all’eliminazione delle banconote: sottrarre, ridurre. Sempre meno, questa è la legge. E già che ci siamo, perché non togliere agli anziani anche il diritto di voto? L’unica buona notizia, probabilmente, è che “le generazioni non nate” non avranno la fortuna di ascoltare, in diretta, le memorabili esternazioni del signor Grillo, il profeta beffardo ma in realtà servizievole, amico del potere che sta preparando, anche per loro, un mondo meraviglioso in cui i vecchi saranno gentilmente invitati a sbrigarsi a crepare. E possibilmente senza disturbare: magari spediti in esilio su una montagna giapponese, come nel film di Imamura.
    (Giorgio Cattaneo, “Grillo-horror: via il voto agli anziani. Anche a Mattarella?”, dal blog del Movimento Roosevelt del 19 ottobre 2019).

    Tagliare, escludere, eliminare. In una parola: togliere. Password: “meno”. A Beppe Grillo, le parole “diritti” e “voto” procurano l’orticaria? Se si aggiunge il terzo vacabolo, “anziani”, si ottiene questo titolo: “Se togliessimo il diritto di voto agli anziani?”. Levàteje er fiasco, si potrebbe commentare, bonariamente, in romanesco. Film consigliato: “La ballata di Narayama”, di Shōhei Imamura, Palma d’Oro a Cannes nell’83. Trama: in un villaggio, al settantesimo compleanno gli anziani vengono esiliati su una montagna, dove attenderanno la morte. Si può concepire qualcosa di più mostruoso? Forse sì: nei ghetti della Polonia, per esempio, gli ebrei non vivevano giorni allegri, in attesa della deportazione che li avrebbe trasformati in cenere. Prendersela con gli anziani nel 2019 in un paese come l’Italia, poi, aggiunge alla demenzialità una vena di perfidia vagamente totalitaria. E’ una minaccia disgustosa, ma sembra anche una vendetta: contro le generazioni che hanno fatto dell’Italia la quarta potenza industriale del pianeta, pur in un paese insidiato da mali endemici come l’evasione fiscale da record, l’elevato tasso di corruzione politica e la pervasività delle mafie. Per buon peso, l’Italia appena uscita dal boom del dopoguerra dovette vedersela anche col terrorismo. Ma tenne duro ugualmente, grazie a quei cittadini – ora anziani – che il signor Giuseppe Piero Grillo propone di privare del diritto di voto.

  • Conte-bis: manovra da incubo ma semiseria, salvo intese

    Scritto il 18/10/19 • nella Categoria: segnalazioni • (5)

    «Più che una sensazione, l’aumento delle tasse è una certezza: al netto della sterilizzazione dell’Iva, ci sono 12,5 miliardi in più di tasse compensati da 3 miliardi mal contati di cuneo fiscale e da qualcosa sul super-ticket sanitario». Per Alessandro Sallusti, direttore del “Giornale”, «aumentano le tasse di un paese che ha già un’imposizione fiscale tra le più alte d’Europa», e la caotica manovra finanziaria dell’imbarazzante Conte-bis «mette tutto in carico alle partita Iva e al ceto medio: sarà un caso che oggi nessuno esulta? Nessuna categoria, nessun gruppo sociale». La cosa meno seria di tutte, sottolinea Sergio Luciano sul “Sussidiario”, è che il documento destinato all’esame di Bruxelles è stato licenziato “salvo intese”, testualmente. «Mai era accaduto – scrive – che neanche dopo sei ore di confronto il documento che l’Italia è obbligata a inviare alla Commissione Europea fosse approvato senza un’intesa stabile tra le forze politiche che appoggiano l’esecutivo». Tutto, quindi, è ancora reversibile, tra ministri e partiti, prima che in Parlamento se ne possa discutere formalmente, tra «le infinite tensioni e negoziazioni che intercorrono tra Cinquestelle, Pd e renziani, con patetica partecipazione di Leu».
    «La manovra è espansiva, dobbiamo ritenerci soddisfatti», ha detto Conte, «quel buontempone», rivendicando lo scampato pericolo sull’aumento dell’Iva. Ma non c’è da fidarsi, prosegue Luciano, proprio per quel “salvo intese”. Torna in mente nientemeno che Mario Monti, che il 23 marzo 2012 aveva emesso un comunicato che iniziava così: «Il Consiglio dei Ministri ha approvato oggi, salvo intese, il disegno di legge di riforma del mercato del lavoro». Cioè, ieri come oggi – scrive Luciano – il governo si riservava di modificare il disegno di legge prima di sottoporlo al Parlamento: dunque «un atto politico del governo contro se stesso». Un modo, da parte del premier e dei ministri per dire: “Noi non bastiamo a noi stessi”, decidendo di non decidere. Dunque siamo solo ai “probabili contenuti”, da prendersi con beneficio d’inventario. «Il giudizio che sorge spontaneo su questa procedura non richiede circonlocuzioni: è uno schifo. Ma così è», scrive Luciano. E i contenuti (amcora ipotetici) della manovra? Scongiurato il rincaro dell’Iva (23 miliardi per il 2020), resiste “Quota 100”, a dispetto di Renzi che voleva abolirla. «Per le famiglie si destina poco e nulla, 600 milioni, che il ministro dell’economia Gualtieri ha sintetizzato come “una serie di misure a partire dalla gratuità degli asili nido per gran parte della popolazione e un piano per la costruzione di nuovi asili nido”. Si cancellerà il superticket e dovrebbe aumentare il sostegno alla disabilità».
    La riduzione del cuneo fiscale ci sarà sin dall’anno prossimo ma di soli 3 miliardi, forse destinati a salire a 5 nel 2021 (sempre “salvo intese”, anzi “intese sulle intese”), a premiare i redditi fino a 35.000 euro: soldi che verrano dati ai lavoratori, ma non alle imprese, scontetando Confindustria. «Il tetto al contante scenderà dai 3.000 euro attuali a 2.000 l’anno venturo e a 1.000 nel 2022, e anche su questo Renzi medita sfracelli», continua Sergio Luciano. «La lotta al contante si direbbe l’unica mossa di qualche rilievo nel pomposo ma vacuo capitolo della lotta all’evasione, che pure contiene numerose regolette seminuove, come il contrasto alle elusioni delle cooperative e l’inasprimento delle pene per i grandi evasori (fino a otto anni per falsa dichiarazione)». Venendo alle misure per l’industria, «lo strombazzato “green new deal” di Conte si limiterà ad un non meglio precisato fondo per la promozione degli investimenti sostenibili». Si prosegue con gli incentivi del programma “Industria 4.0” per sostenere gli investimenti privati e favorire il rinnovo dei sistemi produttivi. Confermate le detrazioni per la riqualificazione energetica e le ristrutturazioni, per l’acquisto dei mobili e degli elettrodomestici “verdi”, e arriva un bonus per i condomini che restaurano la facciata. «E le coperture? I 7 miliardi attesi dall’evasione dimagriscono a 3. E forse, non a caso – chiosa Luciano – il carcere agli evasori resta tra le misure non precisate».

    «Più che una sensazione, l’aumento delle tasse è una certezza: al netto della sterilizzazione dell’Iva, ci sono 12,5 miliardi in più di tasse compensati da 3 miliardi mal contati di cuneo fiscale e da qualcosa sul super-ticket sanitario». Per Alessandro Sallusti, direttore del “Giornale”, «aumentano le tasse di un paese che ha già un’imposizione fiscale tra le più alte d’Europa», e la caotica manovra finanziaria dell’imbarazzante Conte-bis «mette tutto in carico alle partita Iva e al ceto medio: sarà un caso che oggi nessuno esulta? Nessuna categoria, nessun gruppo sociale». La cosa meno seria di tutte, sottolinea Sergio Luciano sul “Sussidiario”, è che il documento destinato all’esame di Bruxelles è stato licenziato “salvo intese”, testualmente. «Mai era accaduto – scrive – che neanche dopo sei ore di confronto il documento che l’Italia è obbligata a inviare alla Commissione Europea fosse approvato senza un’intesa stabile tra le forze politiche che appoggiano l’esecutivo». Tutto, quindi, è ancora reversibile, tra ministri e partiti, prima che in Parlamento se ne possa discutere formalmente, tra «le infinite tensioni e negoziazioni che intercorrono tra Cinquestelle, Pd e renziani, con patetica partecipazione di Leu».

  • La Gruber a Salvini: chi è intelligente la verità non la dice

    Scritto il 02/10/19 • nella Categoria: segnalazioni • (13)

    «Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.
    Salvini è l’unico politico che abbia sfidato Bruxelles, almeno a parole: sui migranti, le tasse, le pensioni. Un vero contestatore del rigore Ue. Andava espulso a tutti i costi dal governo, con la manovra di palazzo del Conte-bis varata dai due azionisti del nuovo carrozzone italiano, l’ex comico genovese e l’ex rottamatore fiorentino. La verità è sotto gli occhi di tutti, anche se Gruber e soci evitano di ricordarla: a Salvini, che è riuscito a pensionare 200.000 anziani con “Quota 100”, aggirando i vincoli-capestro dell’odiosa legge Fornero, l’establishment non ha perdonato l’intransigenza contro gli sbarchi facili, l’ostilità verso l’austerity di Bruxelles (deficit negato all’Italia) e soprattutto il progetto di riforma fiscale (Flat Tax) per abbattere la tassazione, far respirare le aziende e creare lavoro, risollevando il Pil. L’oscuro Giovanni Tria, piazzato al ministero dell’economia al posto di Paolo Savona, ha sistematicamente frenato Salvini, d’intesa con Conte. Il leader della Lega ha staccato la spina dal governo gialloverde quando ha capito che Conte e Tria l’avrebbero costretto a presentare agli elettori un risultato deludente, con la manovra d’autunno ancora una volta risicata e inefficace, attorcigliata sui bizantinismi dell’Iva e di altre pietose gabelle più o meno occulte. E allora vedetevela voi, ha concluso Salvini togliendo il disturbo (chiamatelo scemo).
    Ma non l’aveva capito, nei mesi precedenti, con che razza di imbroglioni s’era messo, il capo della Lega? «Mi fidavo di Di Maio e di Conte», ha detto alla Gruber. Apriti cielo: «Lei allora non sa valutare le persone che ha di fronte», le ha risposto – ruggendo – la conduttrice di “Otto e mezzo”. Più che giornalismo, pugilato. Puro linciaggio, in cui vale tutto: persino l’irrisione della festa leghista del Papeete. Per ragioni «di forma e stile», un ministro dell’interno non dovrebbe mostrarsi tra gli ombrelloni, per giunta in costume. «Mi scusi – si stupisce Salvini – ma lei come ci va, in spiaggia?». Lilli: «In costume, ma non quando sono ministro». Accipicchia. «Guardi», ribatte Salvini: «Quando tornerò ministro, e accadrà presto, le garantisco che tornerò in spiaggia in costume: si rassegni». Finita? Nemmeno per idea. La Gruber, scatenata, estrae dal cilindro la bassezza più clamorosa: «Comunque, dato che è finita l’estate, è contento che non dovrà più girare in mutande per le strade? Magari senza pancia… sa, per gli occhi delle donne». Salvini, sbigottito, se la ride: cos’altro replicare? E’ semmai la Gruber a restare senza parole, di fronte all’analisi tattica di Salvini. Aveva sottovalutato Conte? Certo, sì: «Ho sottovalutato la vanagloria, la voglia di poltrona di Conte. Quante volte aveva detto che, se il governo fosse finito, sarebbe tornato a fare l’avvocato?». Il governo è finito, ma lui è ancora lì: ha solo cambiato programma e compagni di viaggio.
    Velenosamente, la conduttrice è riuscita a dire a Salvini: «E’ stato lei a chiedere di essere ospitato, stasera». Vendetta legittima: mesi fa, in un comizio, il leghista s’era divertito a recitare il ruolo del martire, fingendo sofferenza per la serata che lo attendeva nello studio di “Otto e mezzo” («mi tocca andare dalla Gruber: simpatia, portami via»). Perché Salvini insiste per tornare da Lilli, dopo due mesi di assenza? Numeri: la signora del centrosinistra televisivo è la regina incontrastanata del “prime time”, con oltre 2 milioni di telespettatori a sera (e uno “share” che supera l’8%). E’ al pubblico della Gruber, che Salvini vuole continuare a parlare, specie ora che è passato dall’onnipresenza mediatica al limbo punitivo riservato a chi sta all’opposizione. Un ostracismo tanto più necessario, per tentare di proteggere il governo-fantasma del debolissimo professor-avvocato Conte, sostenuto da Renzi e Grillo, puntellato da Bruxelles (Gualteri, Gentiloni, Sassoli) e guardato a vista da Mattarella e da Bankitalia. Quando a far paura erano i grillini, toccò a loro l’esilio televisivo (peraltro, da essi stessi voluto e rivendicato per anni). Ma quando poi Di Maio e Di Battista divennero ospiti fissi di Lilli Gruber, tutti capirono che qualcosa era cambiato: almeno una parte dell’establishment puntava sui 5 Stelle come specchietti per allodole, nella speranza (come poi è stato) che “riportassero a casa” il bottino elettorale populista, accettando di diventare establishment a loro volta, o almeno docili esecutori.
    Con Salvini è diverso, sembrerebbe, a giudicare dal livore – non esattamente “british” – dell’anomala conduttrice di “Otto e mezzo”, cavallo di razza del post-giornalismo italiano che alle notizie preferisce lo spettacolo, il derby, la rissa. Specialità in cui Salvini resta un fuoriclasse, con una differenza: non fa il giornalista, ma il politico. Come in tribunale l’avvocato, rappresenta (legittimamente) una parte, la sua. Eppure – almeno, il 1° ottobre 2019, dalla Gruber – rivendica la sincerità come valore, dichiarando di essere pronto a perdonarsi eventualmente anche l’ingenuità – meglio essere onesti, piuttosto che bugiardi. «Io almeno sono fatto così», dice Salvini. E la cosa manda in bestia la sua antagonista, che in teoria (essendo una giornalista) dovrebbe avere a cuore proprio la verità. Per Lilli Gruber, invece, a quanto pare la sincerità politica è inammissibile: è indice di dabbenaggine, addirittura di imbecillità. Ma davvero? Ve lo vedete, Gandhi, negare di voler sfrattare gli inglesi dall’India? E Yitzhak Rabin si sarebbe mai espresso contro il diritto dei palestinesi di avere un proprio Stato? Ve lo figurate Nelson Mandela che giudica con indulgenza l’apartheid? Al netto dei tatticismi di prammatica, nei momenti che contano vince sempre la chiarezza. Certo non è il caso di scomodare grandi nomi, se in Italia il menù di giornata propone il match “Gruber contro Salvini”. Ma, sia pure in piccolo, il tema è centrale. Sicuri che il mitico italiano medio non la apprezzi, un po’ di sincerità, dopo tante frottole dispensate a reti unificate? Non sarebbe un bel passo in avanti se, a parte i politici, fossero almeno i giornalisti, ogni tanto, a dire almeno un po’ di verità?

    «Nessun politico intelligente direbbe mai quello che pensa davvero: sarebbe un’ingenuità imperdonabile». A dirlo non è Giulio Andreotti, ma Lilli Gruber, che rinfaccia a Matteo Salvini la sua sincerità. Lo scontro va in onda a “Otto e mezzo”, su La7. Bersaglio, il capo della Lega. In studio, Massimo Franco del “Corriere della Sera” concede all’ex ministro dell’interno l’onore delle armi: almeno, ha costretto l’Europa ad affrontare in modo collegiale il problema dei migranti che sbarcano in Italia. La conduttrice – Dietlinde Gruber (Bolzano, classe 1957) – usa invece la clava: se rivendica la sincerità come virtù, Salvini è politicamente un cretino. La Lilli nazionale lo dice dall’alto della sua carriera: mezzobusto del Tg2 craxiano, poi parlamentare europea nel 2004 con l’Ulivo di Prodi, quindi mattatrice dell’intrattenimento giornalistico di Urbano Cairo e ospite fissa del Gruppo Bilderberg. Machiavelli docet: “golpe e lione”, ha da essere il principe – non allocco. E se invece il presunto ingenuo piacesse, nel 2019? Salvini ereditò la Lega di Bossi al 4%. In sei anni, l’ha portata al 34%: primo partito italiano alle europee, con consensi – stando ai sondaggi – che tendono al 40%. Questo, semmai, è veramente imperdonabile, per i fan del governicchio-horror abborracciato da Grillo e Renzi per evitare le elezioni anticipate e restituire l’Italia ai padroncini franco-tedeschi dell’Unione Europea.

  • Greta recita: sta minacciando personalmente ognuno di noi

    Scritto il 28/9/19 • nella Categoria: idee • (5)

    Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena cambiato il frigo e osato concedervi una vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Una viperetta tracotante, livida: ne saranno felcissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è suprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.
    Il grande artefice del disgelo, Mikhail Gorbaciov, sognava un mondo senza più guerre. Sfrattato dal Cremlino, ha visto l’Urss smembrata e la Russia brutalmente privatizzata e saccheggiata. Ma il colpo da maestro degli strateghi del globalismo a mano armata è stato permettere alla Cina di entrare nel gioco planetario con merci prodotte sottocosto, grazie anche a condizioni schiavistiche di lavoro, senza le tutele sindacali di Europa e Usa. In pochi anni il mondo è esploso, insieme al suo fatturato, in una sorta di festa truccata: l’europeo e l’americano medio hanno perso terreno, hanno smesso di crescere in termini di benessere, hanno cominciato a intaccare i risparmi familiari e a dover mantenere i figli senza lavoro, costretti a non sposarsi o a emigrare all’estero. Devastante il fenomeno delle delocalizzazioni, la fuga delle industrie nei paesi asiatici dove l’operaio costava un dollaro al giorno. In Europa – vero laboratorio mondiale del suicidio tecnocratico della democrazia – la truffa neoliberale ha indossato la maschera austera e perbenista dell’ordoliberismo autoritario, l’ipocrita moralismo del guru austriaco Friedrich von Hayek: l’illuminato economista concepiva il welfare (ridotto a poche briciole, s’intende) solo come misura estrema e preventiva per cautelarsi dalla rivolta delle masse impoverite.
    Agli italiani, personaggi come Ciampi e Prodi avevano presentato l’Ue e l’Eurozona come il paradiso, il regno dell’età dell’oro. Dopo meno di vent’anni non restano che macerie, nazioni che si guardano in cagnesco e che si fanno le scarpe appena possono, mentre il Belpaese (depredato, secondo i piani) ha perso il 25% del suo potenziale industriale. L’Europa intera ha assistito senza muovere un dito alla macellazione senza anestesia del popolo greco: cos’avrebbe da dire, Greta Thunberg, ai sopravvissuti della Grecia che si sono visti scippare il Pireo e gli aeroporti, chiudere i bancomat, tagliare i salari, ridurre le pensioni fino alla soglia della fame? Cicale irresponsabili, quelle che hanno assistito alla morte dei neonati, nei loro ospedali, per mancanza di medicine? Spendaccioni scellerati, i greci, che oggi devono vedersela con piaghe che si credevano sepolte dalla storia, come la malnutrizione infantile? E’ sconcertante la consonanza fra le parole di Greta e quelle degli oligarchi europei che hanno messo la Grecia in ginocchio, accusandola di aver abusato del debito pubblico. La canzone – vagamente nazista – è sempre la stessa: la colpa è vostra, peggio per voi.
    La Thunberg, si sa, è una pedina importantissima della grande manipolazione mediatica sul “climate change”, ovvero la teoria – non suffragata scientificamente – secondo cui il surriscaldamento globale (peraltro appena contestato all’Onu da 500 scienziati) sarebbe di origine antropica. Sommessamente, qualche anno fa, il fisico Carlo Rubbia, Premio Nobel, ricordava che, ai tempi dell’Impero Romano, le temperature medie erano superiori a quelle di oggi. Nel solo medioevo, come gli storici sanno, si è passati dalla mini-glaciazione (che d’inverno congelava il Tamigi e la Senna, attraversabili camminando) al grande caldo del periodo basso-medievale, con colture mediterranee come l’ulivo diffuse ovunque nel Nord Italia. Ancora nom c’era neppure la macchina a vapore, figurarsi le emissioni velenose delle odierne megalopoli. L’inquinamento è tangibile e pericoloso, quello sì: negli oceani galleggiano isole di plastica vaste quanto continenti. Come è possibile che non si impieghi la tecnologia necessaria a bonificare la Terra e riconvertire ecologicamente l’industria? E soprattutto: perché – in primis – i padroni dell’universo che muovono i fili della marionetta Greta vogliono, a tutti i costi, colpevolizzare noi per quanto sta accadendo, raccontandoci addirittura che il degrado della biosfera altera il clima del pianeta?
    E’ tutto talmente surreale da sembrare comico, se non fosse per il caos sanguinoso che sfiora o assedia miliardi di esseri umani. Il cielo è vistosamente coperto dalle emissioni aeree della geoingegneria (guai a chiamarle scie chimiche), mentre l’aviazione Usa ammette, di colpo, che i piloti dei jet sono frastornati dai continui avvistamenti di Ufo. Il Medio Oriente non fa più notizia, eppure dovrebbe: non si è ancora spenta l’eco del terrore scatenato dal sedicente Stato Islamico, protetto e armatissimo da precisi settori dell’intelligence atlantica prima dell’elezione di Trump alla Casa Bianca. Gli stregoni della finanza oggi hanno paura: temono un crollo catastrofico dell’economia fittizia gonfiata dalla speculazione. Mario Draghi smentisce integralmente la sua vicenda professionale e arriva a evocare addirittura la Modern Money Theory, cioè la restituzione della sovranità monetaria agli Stati, mentre Christine Lagarde, in uscita dal Fmi e diretta alla Bce, parla apertamente degli eurobond che metterebbero fine all’incubo dello spread, consentendo all’economia europea di tornare a investire e produrre lavoro. Sono voci frammentarie di élite potentissime che oggi appaiono divise e lacerate da faglie profonde, come quella che oppone il governo Usa al cartello Rothschild, ora schierato con Silicon Valley e con la Cina, pronto a sostituire il dollaro con un’altra possibile valuta internazionale, come propone la Bank of England.
    I segnali non sono rassicuranti, c’è chi teme un collasso che potrebbe spalancare scenari di guerra. Nell’Italia che assiste alla strage indiscriminata di alberi d’alto fusto, tagliati per fare spazio al misterioso 5G (vera incognita, per la salute), i genitori si rassegnano a sottoporre i bambini a vaccinazioni improvvisamente obbligatorie, somministrate in batteria – oggi ai neonati e forse domani anche agli adulti, pena la pedita del passaporto e della patente di guida come in Argentina? Ma non importa, evidentemente, se in tanti battono le mani alla piccola strega Greta Thunberg, che recita a soggetto davanti alle Nazioni Unite puntando il dito contro tutti noi. Un’intimidazione ad personam, minacciosa e sinistra: guai a voi, branco di incoscienti. Come osate continuare a sperare di migliorare la vostra vita? Musica, per le orecchie dei tagliatori di bilanci. Nulla che possa impensierire le major, gli oligarchi, le multinazionali. Greta ce l’ha con noi, con ognuno di noi: punta a far crescere il nostro senso di colpa, quello del giovane che sogna l’auto nuova, del pensionato che fatica ad arrivare alla fine del mese. Grazie a Greta, i cialtroni dell’austerity – da Palazzo Chigi alla Commissione Ue – potranno accanirsi sul popolo bue con meno scrupoli, specie se l’economia mondiale volgerà al peggio. Nuovi sacrifici in vista? Niente paura, in soccorso ai lestofanti arriva la lezione della piccola attrice svedese: soffrire è giusto, ce lo meritiamo.

    Dovete consumare di meno (voialtri, non loro lassù). E dunque: rassegnatevi alla precarietà, all’esclusione sociale. E sentitevi in colpa, se avete appena comprato lo smartphone ultimo modello e avete osato concedervi una bella vacanza. Dovete smettere, punto e basta. A chi parla, Greta Thunberg? A noi, le vittime dei suoi burattinai. Fino a ieri, la giovanissima attrice svedese si limitava a mormorare, dispensando saggezza dall’alto dei suoi 16 anni. Oggi ha cambiato passo: intima, minaccia, insolentisce. Le hanno messo a disposizione addirittura la platea della Nazioni Unite, per esibirsi nel suo nuovo spettacolo. Sembra una viperetta tracotante, livida: ne saranno felicissimi, gli azionisti del suo business. In primis, a brindare è la filiera industriale delle energie rinnovabili, con la potente macchina di propaganda ben oliata dall’oligarca Al Gore, ex vice di Clinton, l’uomo che ha scatenato la finanza-canaglia globalizzata. Ma in generale, nel mirino della piccola fiammiferaia svedese (ovvero, dei suoi sceneggiatori) c’è soprattutto il famoso 99% dell’umanità, o meglio ancora dell’Occidente, il “primo mondo” che era benestante e che si è improvvisamente impoverito proprio mentre l’economia mondializzata ha moltiplicato in modo esponenziale il Pil finanziario dei decenni precedenti la caduta del Muro di Berlino.

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