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La Cia, il boia Suleiman e la spazzatura della storia
Quattro morti e 1.500 feriti, museo egizio in fiamme, giornalisti picchiati a sangue: a far precipitare nel caos la protesta rivoluzionaria del Cairo, la comparsa di miliziani pro-Mubarak ora condannata da Obama, che si affretta a chiedere una «transizione immediata» fra il regime assediato – che non si rassegna a cedere il potere – e la vasta ondata popolare che ha portato in piazza milioni di persone, in nome della svolta democratica promossa dalle opposizioni coordinate da Mohammed El Baradei. Una situazione esplosiva, che sembra fatta apposta per esasperare la folla e rianimare così il fantasma dell’estremismo islamico, finora assente dalla contesa egiziana. E mentre Washington getta l’ex alleato Mubarak nella spazzatura della storia, la stampa americana riscopre – in ritardo – il “passato nero” di Omar Suleiman, formidabile aguzzino per conto della Cia durante l’era Bush.
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Rivoluzione Maghreb, un respiro del mondo
Chi si aspettava una rivolta popolare in Tunisia, in Algeria, in Egitto? Nessuno. Non la Francia, persuasa di detenere idealmente il controllo su un paese che era stato sua colonia e ha fatto una gaffe clamorosa proponendo a un Ben Ali, già in fuga, di mandargli a sostegno le sue forze più esperte in tema di repressione. Non gli Stati Uniti, che avevano nel vacillante Hosni Mubarak il più forte alleato in Medioriente, l’Egitto essendo uno dei due paesi ad aver riconosciuto formalmente lo stato di Israele e speciale nel dare un colpo al cerchio e uno alla botte nel conflitto fra Israele e Palestina.
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L’Egitto dopo Mubarak: la svolta nelle mani dell’esercito
Dopo 150 morti, una settimana di scontri e tre notti di manifestazioni in aperta violazione del coprifuoco, coi carri armati nelle strade, il presidente Hosni Mubarak è prossimo alla resa: secondo il “Sunday Times” gliel’avrebbero intimata direttamente i militari, dopo che i soldati – invitati in piazza a sostituirsi alla polizia, responsabile della sanguinosa repressione – hanno fraternizzato coi dimostranti, decisi a protestare a oltranza fino alla caduta del “faraone”. A trattare ormai direttamente con l’esercito, unico potere rimasto in piedi in Egitto, sono il leader dell’opposizione democratica Mohammed El Baradei e l’uomo forte del regime di Mubarak, il generale Omar Suleiman, nominato vicepresidente. La stessa Casa Bianca chiede una transizione rapida, “scaricando” di fatto l’anziano dittatore sostenuto per decenni.
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El Baradei: Usa-Israele, nuova era per il Medio Oriente
«È ora che anche il mondo arabo entri nel XXI secolo e l’Occidente deve aiutarci a farlo. Non è possibile continuare a controllare la regione con la violenza, la negazione dei diritti e la fame». Così Mohammed El Baradei, l’ex direttore dell’Aiea, Premio Nobel per la Pace e candidato democratico alla guida del futuro dell’Egitto. La clamorosa rivolta di Tunisi contro Ben Alì e quella tuttora in corso al Cairo contro Mubarak sono l’inizio di una nuova era per il Medio Oriente. L’insurrezione popolare? «È un fenomeno straordinario e spontaneo, che rappresenta davvero tutta la società egiziana». Il fantasma del fondamentalismo islamico? Solo un alibi, per puntellare la repressione del regime. Che ora però ha i giorni contati, nonostante il cambio di governo imposto dal “raìs”.
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Pane e Internet, Davos: aspettiamoci altre 100 rivolte
Da dove ci piomberà addosso il prossimo cigno nero? No, questo “Black Swan” non è il thriller con Natalie Portman nella parte della ballerina, candidata all’Oscar. Il cigno nero è una metafora statistica entrata nel gergo della finanza, si definisce come “un evento ad alto impatto, bassa probabilità, bassissima prevedibilità”. Esempio classico: la crisi dei mutui subprime del 2007. L’interrogativo sui cigni neri appassiona davvero il World Economic Forum. Chi riuscisse a prevedere il prossimo choc planetario, che si tratti di un leader politico o di un grande capitalista, avrà un vantaggio su tutti. Potrà usarlo bene – predisporre antidoti, limitare i danni – o semplicemente arricchirsi speculando nella direzione giusta.
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Padrone debole, vassalli morti: l’Impero sta franando
L’Egitto è in fiamme e il regime di Mubarak è alle corde. È la terza rivolta popolare che scuote le rive del Mediterraneo in poche settimane. Tunisia, Albania, Egitto. Più in là Algeri. A prima vista non c’è connessione tra le tre situazioni. A prima vista Berisha, Ben Alì e Mubarak sono tre problemi del tutto sconnessi tra di loro. Ma certe “serie” difficilmente sono del tutto casuali. L’impressione è che una stessa onda – al tempo stesso di inquietudine e di speranza – stia volando sull’intera area. Questa impressione potrebbe avere un’origine non immediatamente visibile, ma unica: stiamo assistendo al manifestarsi di una grande crepa nell’un tempo solida muraglia egemonica dell’Impero.
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Nucleare inutile, 64 miliardi buttati: cara Emma, perché?
Gentile Presidente, mi permetto di scriverle, come imprenditore e come associato al sistema confindustriale, in relazione alle decisioni strategiche che il nostro Paese e la nostra associazione stanno prendendo in merito allo sviluppo del nucleare in Italia. Per altro, oltre ad essere direttamente coinvolto nei temi energetici in quanto la mia società opera nel settore della produzione di energia termica ed elettrica, Le scrivo in rappresentanza di uno specifico “Think tank” che annovera ad oggi circa 1.100 iscritti e che opera attraverso un dominio su Facebook. Il quotidiano “Il Sole 24 Ore” ha riportato, in data 16 dicembre, alcune Sue dichiarazioni rilasciate durante il Supply Chain Day, evento durante il quale lei avrebbe dichiarato che «il Nucleare rappresenta per le imprese italiane una grande opportunità, ma ora basta ritardi e bizantinismi».
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Noi, la speranza dell’Egitto contro la violenza di Mubarak
Mi chiamo Rania Aala, ho trent’anni, e da quando sono nata ho sempre visto Mubarak al governo, sempre. E’ frustrante per la mia generazione. Il partito al governo, l’Npd, pensa che siccome ci sono quaranta milioni di poveri in questo Paese, allora siamo tutti ignoranti, politicamente incompetenti, senza leadership. Anche i capi della cosiddetta ‘opposizione’ si sono comportati come se noi non esistessimo. Ci hanno lasciato fuori dall’equazione e sono diventati tristi, ridicolmente oppressivi. Il picco della nostra frustrazione si è verificato in occasione di due fatti: le dichiarazioni di Gamal Mubarak, che vuol correre per la presidenza dopo il padre, uccidendo così tutte le nostre speranze
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Blindato a Davos il governo-ombra del mondo
Cinquemila soldati armati di fucili di precisione, sci e motoslitte in pattuglia tra i boschi innevati, radar militari che spuntano tra le cime imbiancate degli abeti, lunghi rotoli di filo spinato distesi nella neve, elicotteri che sorvegliano dall’alto con telecamere e rivelatori termici. Cartelli con sagome di soldati con su scritto “Stop. State entrando in una zona sorvegliata militarmente. Fermarsi all’alt e seguire gli ordini della truppa, che dispone di poteri di polizia e in caso estremo aprirà il fuoco”. In questi giorni la località sciistica di Davos, in Svizzera, sembra una zona di guerra. O il set cinematografico di uno di quei film di 007 in cui James Bond affronta tra i boschi alpini l’agguerrito esercito privato dispiegato dalla malvagia Spectre a protezione del suo bunker segreto.
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Caso Cucchi, sotto processo sanitari e polizia penitenziaria
Tre agenti della polizia penitenziaria, un dirigente dell’amministratore carceraria e nove sanitari, tra medici e infermieri, in forza all’ospedale giudiziario Pertini di Roma: per la morte di Stefano Cucchi 12 rinvii a giudizio e una condanna con rito abbreviato. Le imputazioni: lesioni, falso, abuso d’ufficio e abbandono di incapace. Queste le decisioni prese dal gup Rosalba Liso a conclusione dell’udienza preliminare il 25 gennaio per l’atroce morte del giovane romano, avvenuta il 22 ottobre del 2009 al Pertini, sei giorni dopo l’arresto per droga da parte dei carabinieri. Il processo prenderà il via il 24 marzo davanti alla terza corte d’assise di Roma. «Il gup la pensa come noi: e cioè che Stefano è morto per le botte», commenta a caldo la sorela di Stefano, Ilaria Cucchi.
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Cancro e uranio impoverito: colpo di spugna sulla strage?
Da anni è il primo sospettato della strage silenziosa che colpisce i soldati in missione, ma ora si vorrebbe semplicemente cancellarlo dalle carte, con un colpo di spugna. E’ l’uranio impoverito, il temibile metallo radioattivo usato per proiettili e corazzature: bruciando, sprigiona nell’aria le micidiali nano-particelle che provocano tumori, leucemie e linfomi. E’ la cosiddetta “sindrome dei Balcani”: il bilancio, tra le sole forze armate italiane, ammonta a 45 morti e 500 soldati malati. Le stesse “polveri di guerra” avrebbero contaminato anche Quirra, il poligono sardo dove si sta accertando il proliferare del cancro nelle campagne circostanti. Eppure, il governo si appresta a non riconoscere l’agente-killer. Il cancro tra i soldati? Colpa dei tatuaggi, del fumo e degli zampironi anti-zanzara.
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Tassare i ricchi, per disarmare il regime dei padroni
Mentre Berlusconi è invischiato nei suoi scandali finanziari e sessuali, Marchionne sta conducendo un attacco che è anche più brutale di quello di Berlusconi ai diritti sociali e ai diritti dei lavoratori. Diciamo che c’è una specie di passaggio di testimone: Berlusconi può essere nei guai ma Marchionne continua una politica che è anche più aggressiva che portò qualche anno fa all’attacco articolo 18 dello statuto dei lavoratori. In fondo Marchionne che cosa dice? O mangiate questa minestra o saltate dalla finestra. O rinunciate al contratto nazionale, al diritto di sciopero, alle libertà sindacali, al diritto di scegliere il sindacato che volete – quindi, o rinunciate a tutto, oppure io vado da un’altra parte.