Archivio del Tag ‘persuasione’
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Soluzione finale: le agenzie di morte che ci condannano
L’Italia mediterranea e cattolica è una fettina di terra e di civiltà minacciata dal fanatismo neo-islamico che viene dal sud e dal nichilismo libertario che viene dal nord. Entrambi nel loro estremo gradino tendono a uno stesso fine, anzi a una stessa fine, la soluzione finale. La morte nel nome di Dio e della sua Legge o nel nome della nostra assoluta libertà e totale autodeterminazione. A volte le due insidie non provengono da direzioni opposte, cioè dai flussi migratori che premono sulle nostre coste meridionali e dai modelli culturali che discendono dai paesi di provenienza protestante e calvinista. Ma provengono ambedue dall’Europa del nord, dai giovani neo-islamici di seconda o di terza generazione, nati e cresciuti in Francia, nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Germania. E dai ragazzi che vivono nelle società più avanzate del nord Europa, sul piano dei diritti umani: vale a dire l’Olanda, il Belgio, i paesi scandinavi, la stessa Svizzera. Quel che colpisce in entrambi i casi è la persuasione di morte che accompagna le loro esperienze più estreme, più radicali.Gli uni uccidono per purificare il mondo e onorare il loro Dio, tener fede alla loro religione e punire gli infedeli e alla fine si dispongono a morire nel nome di Allah. E gli altri prevedono che una vera libertà, un vero diritto alla piena sovranità della propria vita, preveda che in caso di depressione, di rifiuto di vivere, di sofferenza si possa esser liberi di togliersi la vita. Insomma l’atto supremo della fede degli uni e della libertà degli altri è lo stesso: la soluzione finale. Libertà per la morte. L’abissale differenza, va detto, è che i primi coinvolgono gli altri, anzi danno la morte agli altri e in secondo tempo a se stessi, mentre i secondi danno la morte a se stessi e la garantiscono agli altri che lo decidano in autonomia. Lo spirito di morte e di distruzione è il segno che lasciano sulla terra la devozione cieca ad Allah e la volontà soggettiva degli uomini autonomi. La parabola che conduce a quest’ultima decisione/recisione suprema nasce dal primato della coscienza individuale che fu il grido di rivolta del luteranesimo e poi del calvinismo rispetto alla fides cattolica e alla religio precristiana. Quando lungo la strada perdi la fede in Dio, il senso morale del dovere di vivere, ti resta il libero arbitrio, la solitudine assoluta al cospetto del destino, e dunque il diritto alla vita e alla morte.Non si tratta più, come ben capite, di eutanasia, o di evitare l’accanimento terapeutico tenendo in vita artificialmente vite umane ridotte ormai dalla malattia allo stato semi-vegetativo. Ma si tratta di suicidi assistiti, anche se la parola suicidio va subito rimossa per non turbare i sonni dell’ipocrisia libertaria; e come l’aborto diventò un’interruzione di gravidanza, quasi per una specie di black-out della corrente elettrica, così il suicidio assistito viene ingentilito e incipriato dal più tenue lasciar andare e dalla finzione di dire che è la ragazza a spegnersi lentamente non bevendo e non mangiando. Ma la società civile, lo Stato, la sanità che glielo consente e l’agevola nel nome della predetta libertà assoluta, viene totalmente rimossa dagli orizzonti. Anzi, arcigno, autoritario, dispotico è chiunque si frapponga alla decisione di farla finita e cerchi di impedirla in tutti i modi.Non entro nel merito della vicenda Noa che ha scosso l’Europa e nemmeno nella casistica importante delle centinaia di persone, ragazzi minorenni inclusi, che prendono quella strada e molti media plaudono a questo nuovo ius aeuropeum, lo vedono un segno di modernità, di rispetto, di “più Europa”. E non entro nemmeno nel merito della campagna sentimentale-filosofica che l’accompagna, vale a dire che amare significhi “lasciar andare”, mentre la natura, la cultura, l’anima della nostra civiltà ci hanno sempre suggerito l’inverso, che amare vuol dire prendersi cura, vuol dire a chi ami – come diceva il filosofo Cristiano Gabriel Marcel – “tu non morirai”. Ma mi soffermo sul disagio di vivere in una società in cui viene reputato un segno estremo di libertà ciò che permette auto-distruzione: la droga, l’aborto, il suicidio assistito, il rigetto della natalità, la libertà di andarsene se si è depressi… Vedo in tutto questo il venir meno del senso religioso della vita, in base al quale nessuno è assoluto padrone della sua vita; non fummo noi a darci la vita, non saremo noi a darci la morte, si risponde sempre a qualcuno, comunità è condividere un destino, ogni vita è collegata alle altre e al mondo.Il senso religioso della vita dice che vivere è un diritto ma è anche un dovere, un compito. E non solo: si esce dalla disperazione e dalla depressione più acuta solo se si ha il coraggio di proiettarsi fuori da sé: di sporgersi nel mondo, nella vita, assumersi compiti, vivere anche per qualcuno, per qualcosa; amare qualcun altro fuor di noi stessi, fare un figlio e prendersi cura di lui, formare una famiglia, o tornare alla famiglia da cui si è originati; lavorare, impegnarsi in un’attività e in un’impresa, ritrovarsi in una fede… Insomma proiettarsi oltre se stessi, oltre la propria vita. Facile a dirsi, avete ragione di obiettare; ma è assurdo che una società, una famiglia, una scuola, non debbano avere questo compito primario nei confronti dei ragazzi, ancora acerbi, che decidono di togliersi la vita. Bisogna educare e se è il caso frenare, fermare. Non si può permettere a un minorenne di decidere che la sua vita non meriti di essere vissuta senza neanche provarci, è presto per tirare le somme. Rinunciare a questo compito è arrendersi nel nome della libertà alla soluzione finale. Reputo questa resa come bestiale, disumana, incivile. Difendiamo la nostra civiltà, la nostra umanità da queste agenzie di morte.(Marcello Veneziani, “Soluzione finale per l’Europa”, da “La Verità” del 9 giugno 2019; articolo ripreso dal blog di Veneziani).L’Italia mediterranea e cattolica è una fettina di terra e di civiltà minacciata dal fanatismo neo-islamico che viene dal sud e dal nichilismo libertario che viene dal nord. Entrambi nel loro estremo gradino tendono a uno stesso fine, anzi a una stessa fine, la soluzione finale. La morte nel nome di Dio e della sua Legge o nel nome della nostra assoluta libertà e totale autodeterminazione. A volte le due insidie non provengono da direzioni opposte, cioè dai flussi migratori che premono sulle nostre coste meridionali e dai modelli culturali che discendono dai paesi di provenienza protestante e calvinista. Ma provengono ambedue dall’Europa del nord, dai giovani neo-islamici di seconda o di terza generazione, nati e cresciuti in Francia, nei Paesi Bassi, in Inghilterra e in Germania. E dai ragazzi che vivono nelle società più avanzate del nord Europa, sul piano dei diritti umani: vale a dire l’Olanda, il Belgio, i paesi scandinavi, la stessa Svizzera. Quel che colpisce in entrambi i casi è la persuasione di morte che accompagna le loro esperienze più estreme, più radicali.
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Polvere di Stelle: ko l’ambigua Scientology dei Casaleggio
Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.Facile cascare nel delirio collettivo provocato dalla genialità dell’esperimento di Gianroberto Casaleggio, però il M5S non è una forza politica nata dal basso, ma una semplice riproduzione della prima società di Casaleggio, la Webegg, gruppo per la consulenza delle aziende in Rete, controllata da I.T. Telecom Spa. Esperimento cui Casaleggio ha lavorato alla fine degli anni Novanta, quando da amministratore delegato cominciò a testare nei forum intranet dell’azienda i meccanismi di formazione e produzione del consenso attraverso la propaganda virale. Testi e regia dei Vday infatti, gli eventi antecedenti alla nascita del Movimento, erano in pratica decisi dalla Casaleggio. Grillo è stato l’uomo immagine, il frontman del consenso elettorale che poteva raccogliere e rilanciare la rabbia che saliva da più parti della società civile e incrementare il sentimento d’indignazione contro il sistema. In questa prima fase il MoV sosteneva alcune istanze che poi smentirà tutte: l’uscita dalla Nato, il rifiuto assoluto di comparire sulle tv, la decrescita felice, il plauso ad uno stile di vita francescano, un deciso sovranismo, una forte critica all’euro e all’Unione Europea.Gianroberto Casaleggio ha progettato attentamente la sua scalata al potere, tutelando con cura paranoica la fuga di notizie sulla sua storia professionale, anche se ai più attenti molte cose non erano sfuggite. Lo stesso Gianroberto teorizzava spesso sul potere degli ‘influencers’, i piazzisti di prodotti sul mercato, o fake persuaders, coloro che orientano il consenso degli utenti, creando e dirottando correnti di pensiero per finalità di marketing, anche politico. La persuasione funziona perfettamente quando è invisibile, e il marketing più efficace è quello che s’insinua subdolamente nella nostra coscienza, attraverso un processo di propagazione virale riprodotta sui social, simulando magnificamente l’autonomia delle nostre opinioni, che in realtà sono di altri. Il guru del web riuscì ad incastrare Grillo nell’avventura politica che si stava aprendo nel 2005, e con l’apertura del blog di Grillo cominciò la traversata nel deserto del nuovo partito populista. Tutta la comunicazione veniva studiata sistematicamente da Casaleggio, e Grillo serviva da amplificatore seducente e accattivante dei depistaggi ideologici, veri o presunti, della nuova creatura politica.Il blog fu subito ispiratore di liste civiche e di meetup territoriali, cui le persone partecipavano con grande entusiasmo, sentendosi protagonisti, esponenti preziosi del MoV, in realtà venivano spesso ignorati dai vertici, a meno che rispondessero ai canoni elettorali che facevano loro comodo, giovani, fotogenici, malleabili, succubi e dotati molto più di soft skills che di hard skills, più attitudini che competenze. Una volta eletti, una ‘squadra di esperti’ li avrebbero guidati nelle proposte e nei dibattiti politici. L’ipnosi collettiva scatenò effetti immediati, eliminò la sensazione d’impotenza, perché era taumaturgico gridare un “vaffa” verso i decrepiti e corrotti politici della casta, e illuse sulla possibilità di un riscatto, che poteva trovarsi finalmente a portata di mano. Il sogno si sa è sempre più forte del realismo, ed è la carica emozionale indispensabile per muovere le coscienze attraverso “parole guerriere”. Ma il riscatto non può arrivare, perché il MoV è una controrivoluzione, l’anarchismo interno in realtà è guidato dalla diarchia Casaleggio (oggi unico proprietario del simbolo e della società srl) e Di Maio, tutti gli altri stanno sotto.La selezione della classe dirigente è uno dei problemi seri, perché in Parlamento sono arrivate persone che non hanno mai letto la Costituzione, oppure diretti dipendenti, comprati a suon di promesse e di pretese. «Descrivere il potere dei Casaleggio è come comporre un puzzle», dicono due ex collaboratori del MoV, Nicola Biondo e Marco Canestrari nel loro ultimo libro di recente pubblicazione “Il sistema Casaleggio”. «Ci sono migliaia di pezzettini: associazioni aperte e chiuse, avvocati, notai, relazioni, contatti, incontri, cene, convegni, partiti politici, aziende pubbliche e private. Frammenti di racconto che presi da soli non hanno un grande significato. Bisogna ricostruire e collegare i tasselli con pazienza, per capire come ciascuno sia parte di uno schema coerente. Il paravento dietro cui si nasconde questo inganno è l’asserita volontà di costruire un nuovo modello di democrazia, la “democrazia diretta”, governata da un’applicazione web di pessima qualità chiamata Rousseau». Peraltro, secondo Davide Casaleggio, Rousseau dovrebbe sostituire i processi democratici esistenti oggi in Occidente: «Il Parlamento diventerà superfluo», ha profetizzato in un’intervista del luglio 2018.La scalata ai vertici del partito è avvenuta al momento della scomparsa di Gianroberto, quando il figlio Davide si è assicurato un ruolo assolutamente anomalo: non ha una carica politica eppure gestisce l’attività del MoV, come presidente dell’Associazione Rousseau, tesoriere e amministratore unico. Ma mentre Casaleggio ha il potere di governare i dati degli iscritti, le procedure di votazione dei candidati, le proposte da presentare in Parlamento, i soldi versati dai donatori e dai parlamentari (300 euro al mese, 6 milioni in 5 anni di legislatura, quindi soldi pubblici che vanno ad un’associazione privata), al contrario il movimento non può indicare i vertici, non può influenzare le decisioni, non può modificare le regole interne. Il nuovo statuto del partito, datato 30 dicembre 2017 e scritto dall’avvocato Luca Lanzalone (ora in carcere), blinda l’accordo tra l’Associazione e il partito. Gli strumenti informatici del MoVimento saranno forniti da Rousseau, per sempre, e il regolamento per le candidature quantifica la cifra di 300 euro al mese.Ora da un po’ di tempo si parla di una segreteria politica, di una rete territoriale, ma nulla lascia prevedere che il MoV possa trasformarsi in qualcosa di diverso rispetto ad uno strumento attraverso il quale i Casaleggio hanno concentrato nelle loro mani influenza e potere. Dopo il voto sulla Diciotti poi si è capito che gli iscritti sono pronti a ratificare qualsiasi proposta, se pilotati nel modo giusto da video orientati al lavaggio di cervello. Anche oggi, nel dopo tracollo alle europee, a decidere è solo un piccolo direttorio di poche persone, Casaleggio, Di Maio, Bugani. Il MoV si è presentato all’opinione pubblica italiana attraverso tre messaggi chiari: noi siamo il movimento della trasparenza, della legalità, della democrazia diretta. In realtà in questo non-partito, un soggetto non eletto da nessuno, attraverso un’associazione privata di nome Rousseau, controlla la gestione e le attività di un MoV, in maniera unidirezionale.Il conflitto di interessi, ambiguo e opaco, meriterebbe di essere messo a fuoco in modo netto: a quale titolo il capo di una srl impone a dei parlamentari eletti senza vincolo di mandato l’obbligo di essere sudditi di un’associazione privata? E comunque spiega perfettamente il crollo del MoV alle europee, perché se il partito del “né destra né sinistra” ha potuto raccattare moltissimi voti alle ultime politiche, proprio grazie all’ambiguità del proprio messaggio poliedrico e multilaterale, poi però di fronte alle sfide di governo non riesce più a gestire il consenso. Del MoV delle origini è rimasto solo un brand elettorale, svuotato di ogni energia progettuale di ampio respiro, adagiatosi costantemente su toni da political newsjacking perpetua, ostinatamente regolata su spot propagandistici di grande effetto, semplici, immediati, capaci di colpire l’immaginario collettivo. Ma la rappresentanza politica di istanze democratiche dovrebbe essere un’altra cosa…(Rosanna Spadini, “Polvere di Stelle”, da “Come Don Chisciotte” del 29 maggio 2019).Dopo la solenne mazzolata alle europee, grida d’allarme e pianti isterici si sono levati sui social, per l’emorragia colossale di consensi fuoriuscita dal M5S, mentre opinionisti di ogni genere sono subito corsi ad analizzare motivi e cause di una tale clamorosa débacle. Probabilmente, dato lo scarso coinvolgimento suscitato in genere dalle elezioni europee, una parte dell’elettorato potrebbe tornare alle politiche, comunque la leadership pentastellata non si è certo distinta per coerenza e rispetto delle fantomatiche promesse elettorali. Inoltre la vera causa della batosta consiste soprattutto nel fatto che il partito del né né non ha alcuna identità politica seria, nessuna ‘rivoluzione più o meno gentile’, ma una sola identità, quella del partito azienda. Dentro il corso della modernità liquida del terzo millennio il M5S si è adattato perfettamente, con prepotente vitalità, ancorandosi alla storia politica italiana, come fa il camaleonte con il ramo con cui si mimetizza, invadendo il panorama politico con promesse mirabolanti, irrompendo sulle piattaforme social con slogan propagandistici sempre più ossessivi e circondandosi di una folla di followers guidati più da un fanatismo morboso che da un serio giudizio critico sull’operato concreto del loro partito di riferimento, osannato oltre ogni possibile dubbio, secondo pratiche fideistiche che ricordano più una sorta di scientology italiana, che un movimento democratico.
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Lo Stato non è una famiglia: se risparmia, siamo rovinati
L’esposizione ripetuta a un’immagine o a un contenuto fa sì che l’individuo modifichi la propria percezione della realtà e interiorizzi il messaggio veicolato. E’ quello che gli psicologi chiamano “effetto priming”, e che pubblicitari ed esperti della comunicazione conoscono molto bene. Quanto più un messaggio viene ripetuto ed enfatizzato, magari attraverso la forma dello spot, tanto più esso risulterà familiare. Così può accadere che un concetto privo di veridicità, ma ripetuto con insistenza e in modo convincente, acquisisca il rango di verità. E’ quanto accaduto con la fake news economica del momento, tanto assurda quanto apparentemente efficace: il bilancio dello Stato sarebbe come quello di una famiglia. La ripetono all’unisono giornalisti, conduttori televisivi, economisti e qualunquisti. Così la gente comune, digiuna di economia e soprattutto in buona fede, ha interiorizzato un pensiero del tutto fuorviante. Secondo questa logica, quando un paese presenta un debito pubblico – dunque la normalità in un’economia moderna – dovrebbe assumere il comportamento di una brava e accorta casalinga: stringere la cinghia e tagliare le spese familiari. Così, come una donna morigerata risparmierà sul cibo, sul vestiario e, in condizioni di estrema ratio, alle cure sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, così lo Stato dovrebbe seguire il suo virtuoso esempio.Dunque, poiché la “famiglia” dello Stato è lo Stato stesso, ossia l’insieme dei cittadini che lo abitano, il suo territorio e le sue istituzioni, i tagli si ripercuoteranno sull’intera collettività. Per risparmiare occorre innanzitutto che contravvenga a quello che in un sistema socio-economico civile dovrebbe essere la sua funzione principale: tutelare chi non ha tutela, chi per nascita o per eventi sopravvenuti o condizioni particolari si trova in una situazione di evidente svantaggio. E qui gli esempi potrebbero essere infiniti, dal disoccupato all’invalido, alle vittime di disastri naturali. Potrebbe poi, in un’ottica di far quadrare il bilancio, ristrutturare la sanità pubblica in un’ottica mercatistica orientata al profitto, trasformando il paziente in un cliente. Continuare poi in un’opera di privatizzazione dei servizi pubblici e delle infrastrutture, facendoli gestire al mercato – considerato per antonomasia efficiente. A parte qualche piccola eccezione come successo a Genova. Così si potrebbe abbracciare un modello di scuola privata, in cui i genitori offriranno ai loro figli un livello di istruzione strettamente legato al proprio reddito. Ci sarebbe solo il piccolo inconveniente di bloccare l’ascensore sociale e rinstaurare il censo.Siccome non amo la retorica, mi fermo qui, ma gli esempi pratici per smontare l’assurda comparazione tra bilancio pubblico e familiare potrebbero andare avanti ancora a lungo. Lo Stato non è una famiglia perché esso ha come obiettivo il benessere e la tutela di tutti cittadini, non solo dei suoi figli come la famiglia, e opera su un orizzonte temporale di lungo periodo. Deve inoltre garantire il funzionamento delle istituzioni a garanzia del diritto e della democrazia. Infine, come dicono gli inglesi last but not least, da un punto di vista economico e contabile adottare la condotta della brava casalinga, che per uno Stato significa adottare l’austerity, vuol dire licenziare, rendere i servizi pubblici essenziali sempre più costosi, aumentare il livello di povertà, di disuguaglianza e disoccupazione. Così potrebbe accadere che la stessa virtuosa casalinga a causa dell’austerity debba rinunciare a curarsi o, addirittura, che suo marito perda il lavoro. Esiste infatti una relazione diretta, alquanto intuitiva, tra tagli dello Stato e diminuzione della ricchezza privata perché, per dirla con le parole del premio Nobel Krugman, «la tua spesa è il mio reddito». Potremmo dunque a ragion veduta ribaltare lo spot e affermare: «Il bilancio dello Stato è il contrario di quello della famiglia». Ma i pregiudizi si sa, una volta sedimentati sono difficili da scardinare.(Ilaria Bifarini, “Lo Stato è il contrario di una famiglia”, dal blog della Bifarini del 28 settembre 2018).L’esposizione ripetuta a un’immagine o a un contenuto fa sì che l’individuo modifichi la propria percezione della realtà e interiorizzi il messaggio veicolato. E’ quello che gli psicologi chiamano “effetto priming”, e che pubblicitari ed esperti della comunicazione conoscono molto bene. Quanto più un messaggio viene ripetuto ed enfatizzato, magari attraverso la forma dello spot, tanto più esso risulterà familiare. Così può accadere che un concetto privo di veridicità, ma ripetuto con insistenza e in modo convincente, acquisisca il rango di verità. E’ quanto accaduto con la fake news economica del momento, tanto assurda quanto apparentemente efficace: il bilancio dello Stato sarebbe come quello di una famiglia. La ripetono all’unisono giornalisti, conduttori televisivi, economisti e qualunquisti. Così la gente comune, digiuna di economia e soprattutto in buona fede, ha interiorizzato un pensiero del tutto fuorviante. Secondo questa logica, quando un paese presenta un debito pubblico – dunque la normalità in un’economia moderna – dovrebbe assumere il comportamento di una brava e accorta casalinga: stringere la cinghia e tagliare le spese familiari. Così, come una donna morigerata risparmierà sul cibo, sul vestiario e, in condizioni di estrema ratio, alle cure sanitarie per sé, per il coniuge e per i figli, così lo Stato dovrebbe seguire il suo virtuoso esempio.
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Salvini con Bannon e Orban? Big Business resusciterà il Pd
Il capitalismo che abbiamo sempre conosciuto, quello che viveva su un’umanità composta da un 20% di benestanti consumatori e da un 80% di schiavi che producono per loro, non esiste quasi più. E non solo. Quell’80% di schiavi si sono evoluti, e hanno cambiato nome: da poveracci neri, marron, o gialli, adesso si chiamano mercati emergenti. E non solo. Mentre prima le loro economie, al netto delle loro materie prime, valevano solo il prezzo delle loro schiene rotte dal lavoro, oggi valgono cifre inimmaginabili. Ecco un quadro. Solamente Cina e India producono insieme 33.000 miliardi di dollari di beni e servizi, contro la rallentata Ue con 21.000 miliardi e gli Usa con 19.500. I sette mercati emergenti principali, cioè Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia, hanno quasi raddoppiato il loro potere economico, mentre al contrario i paesi del G7 stanno calando vistosamente nelle percentuali di Pil globale. Secondo uno studio della nota consultancy PwC Uk, nelle prime 32 economie dei prossimi quindici anni ben 20 saranno mercati emergenti, con Cina e India che sorpassano gli Usa, e l’Italia fanalino di coda umiliata persino da Vietnam, Filippine, Corea del Sud, Iran e Pakistan.Oltretutto, è già stato ampiamente previsto che proprio l’odierna crisi degli “emergenti” già cova in sé l’usuale rimbalzo sia speculativo che in termini di produzione, con profitti cosmici per gli investitori. Il punto: gli uomini con le scarpe da 5.000 dollari che stanno a Manhattan, Hong Kong, Davos o a Francoforte sanno fare i loro conti coi soldi, e oggi, al contrario di solo pochi anni fa, non si possono più permettere di ‘offendere’ quelli neri, marron o gialli. L’accusa, o anche solamente il sospetto, di simpatie o contiguità con la parola razzismo è fra le ultime cose che vogliono al mondo. Basta un titolo sul “Wall Street Journal” che insinui quella vicinanza e loro ci smenano miliardi in pochi minuti. No, non deve succedere. L’implacabile sobillare del padano nella direzione dell’ipertrofico allarme migranti ha appiccicato a questo governo una colossale etichetta di razzismo-xenofobia populista agli occhi di tutto il mondo, e ora non ce la leva più nessuno. Unite i puntini e starete capendo cosa accadrà.L’Italia è un paese ancora ricco, con un notevolissimo bottino in assets privati, che ispira grandi appetiti fra gli investitori internazionali. Si pensi solo che Assogestioni, che ha il polso del risparmio delle famiglie italiane, ha registrato a metà 2016 il suo record storico di patrimonio con 1.857 miliardi, più dell’intero Pil nazionale. E’ quindi ovvio che i mercati non rinunceranno a operare in Italia. Ma fosse stato solo per gli sbraiti nazionali a tinteggiature razziste populiste di Matteo Salvini, e delle sue folle nelle piazze o sui social, è anche possibile pensare che gli investitori internazionali avrebbero solo esercitato prudenza, con Roma. In altre parole: far affari, ma con un basso profilo. Invece, come detto, tutto è cambiato per il peggio e senza rimedio dopo che Salvini si è associato inequivocabilmente, platealmente e sbracando del tutto con Steve Bannon e Viktor Orban. Un atto politico irresponsabile per il paese.I mercati pianificano il loro futuro in politica non a 8 stupidi mesi (le europee) come fa l’esaltato fan-club leghista, ma a 10 o 30 anni. Ora gli investitori internazionali, dopo l’irrimediabile svolta di cui sopra e, ricordo ancora, con ¾ di occhio puntato a tenersi buoni i mercati emergenti dei ‘neri, marron e gialli’, stanno scegliendo l’unico loro possibile interlocutore rimastogli in Italia, quello che non rischia di finire sul “Wall Steet Journal” o su “Bloomberg” come razzista populista: il centrosinistra, che peraltro fu sempre il loro favorito. Il Movimento 5 Stelle è per il momento fuori dai loro radar, perché incatenato (e sottomesso risibilmente) alla Lega. A cosa credete che stiano lavorando in quest’epoca i Romano Prodi, Mario Monti, Corrado Passera o i Giovanni Bazoli, e naturalmente Mattarella e Draghi con la loro enorme rete di contatti in finanza e nelle Powerhouse del mondo? Per essere ancor più chiari: Big Business non potrà sposarsi con un trionfo a breve termine (2019) dei razzisti Bannon, Orban, Salvini e codazzo in Ue. Starà calmo in superficie, mentre finanzierà sia la rapida caduta dei populisti che il ritorno dei soliti noti. Ancora dettagli.La storia delle spinte ai partiti da parte della lobbistica e dei mercati, con finanziamenti, appoggi trasversali, lavori di persuasione mediatica, scolastica, accademica, e in particolare di terrorismo economico sugli elettori, l’ho lungamente descritta nella parte storica de “Il Più Grande Crimine”. Ne sarà beneficiario nei prossimi 5-10 anni il centrosinistra, e tornerà a vincere. Basterebbero a questo fine anche solo le aste dei titoli con cui si finanzia il nostro Tesoro, perché sono loro a decidere chi governa o meno, e dunque se tu avrai una vita decente o invece una lunga miseria di fatiche. Quelle aste, di nuovo, le hanno totalmente in mano gli investitori internazionali di cui sopra, perché l’Italia, anche con Salvini e i suoi economisti in malafede, è incastonata nell’Eurozona senza che nessuno seriamente intenda togliervela. E’ desolante nella sua stupidità l’elettorato gradasso tinto di verde nella sua convinzione che nessuno più fermerà il populismo. Balle, loro stessi (e per primi) si squaglieranno al sole quando gli stolti populismi europei mancheranno miseramente di ‘consegnargli il concreto’ nei portafogli.Avete presente i proverbiali topi che saltano dalla nave? Saranno nulla in confronto. Sappiamo bene di cosa è capace l’italiano medio nel suo genio supremo, il trasformismo. Ho descritto quella che sarà una catastrofe a tutto tondo, e per essa dovrete solo ringraziare Matteo Salvini nella sua smisurata e miope ambizione a divenire leader dei populismi dell’Ue assieme a due appestati di fama mondiale, in quella che sarà una slabbrata avventuretta europea di pochi anni destinata agli sberleffi della storia. Ma non è tutto. Ci sono i Faang. Sono ahimè pochissimi gli italiani che assieme a me si stanno rendendo conto che qualcosa di ancor più inaudito sta avvenendo alle spalle delle già epocali manovre post-capitalismo sopra descritte. Please welcome i Faang, cioè la dilagante conquista di ogni frammento di globo da parte delle tecnologie di Facebook (F), Apple (A), Amazon (A), Netflix (N), e Google (G) – ma non ci si dimentichi di Alibaba, Tencent, Huawei, dall’altra parte del pianeta, e di migliaia di altri simili al seguito in ogni dove.Come ho già scritto in due anni di lavoro, i colossi “tech” vanno man mano acquisendo niente meno che le chiavi private della vita sul pianeta in ogni campo, dalla finanza alla medicina alle comunicazioni; dai trasporti civili e commerciali all’energia alle materie prime; dagli alloggi alla difesa al cibo stesso, e si potrebbe continuare all’infinito. Possono farlo perché sono loro, e non più il vecchio capitalismo industriale, a brevettare quasi tutto ciò che di nuovo nasce sulla Terra da almeno 20 anni a questa parte. Ma di più: il loro strapotere è balzato oltre l’atmosfera con il dilagare della loro Artificial Intelligence (Machine Learning in particolare), perché, come epicamente detto dal fondatore di Google-DeepMind Demis Hassabis, «noi vogliamo padroneggiare l’intelligenza, e poi risolvere tutto il resto». Questo fu geniale, perché davvero è solo l’intelligenza il motore dell’umanità, e chi la controllerà con le “tech” controllerà il mondo. Ma anche senza esplorare nei dettagli l’inimmaginabile nuovo potere dei Faang e soci, chiunque oggi non viva nelle catacombe vede ogni giorno come la società e l’economia di ogni centimetro quadrato della Terra stiano vestendosi sempre più di Faang.E rieccoci al punto: per motivi che ho per primo divulgato al pubblico, i nuovi padroni “tech” del pianeta stanno correndo forsennatamente verso posizioni etiche sempre più avanzate, che piazzano in primo piano in ogni loro pubblica mossa, ricerca di laboratorio e prodotto. Fa parte del Dna della loro strategia di vendita globale. Occorrerebbe un saggio enorme per dare conto con esempi di questo, ma dovrebbe essere evidente a chiunque segua anche solo distrattamente il dibattito sulle “tech”. Dunque se la parola “Ethics” è spalmata dappertutto fra i padroni del futuro, le parole “Racism” e la consociata “Populism” sono per essi letteralmente virus di peste bubbonica, e anche solo sfiorassero l’immagine aziendale di questi colossi gli farebbero perdere tali volumi d’affari da impietrire i loro Ad. Riapplicate su Faang e soci quanto già detto sopra nel caso degli investitori internazionali, e ci risiamo: con un Salvini al governo che ora puzza internazionalmente del razzismo populista di Bannon-Orban, i padroni delle chiavi orivate della vita sul pianeta in ogni campo sterzeranno molto alla larga dalla Roma gialloverde, e indovinate su chi punteranno? Vi rendete conto di che razza di spinta politica si tratta? Più che spinta, è una certezza.Concludo riprendendo il testimone da qui: il populismo italiano, prima di Salvini e dei suoi inguardabili compari, aveva il potenziale di svilupparsi in una nuova frontiera della difesa dei nostri diritti costituzionali macellati dalla Ue, alla luce del disgustoso tradimento della sinistra politically correct. Ora è un’etichetta marcia, inavvicinabile e senza futuro. La colpa è ben ferma sulle spalle di Matteo Salvini, “nella sua smisurata ambizione a divenire leader dei populismi dell’Ue assieme a due appestati di fama mondiale, in quella che sarà una slabbrata avventuretta europea di pochi anni destinata agli sberleffi della storia”. Mercati e Faang sono ora costretti a riportarci il Peggior (P) Destino (D) possibile, nella camera a gas chiamata Eurozona. Agli esagitati stupidi che “il trionfo sarà fra 8 mesi” (le europee), ricordo ancora che oggi il loro futuro è pianificato a 10 o 30 anni a partire da questo minuto da chi gli finanzia il 100% dell’ossigeno di cui vivono. E con quest’arma in mano, quelli difficilmente perdono. Che il volere del popolo sia infermabile è la più sonora balla mai raccontata ai popoli. Da chi? Dai populisti alla Salvini.(Paolo Barnard, estratto dal post “Salvini ha sbracato e ci riporterà il Pd, ecco come”, pubblicato sul blog di Barnard il 26 settembre 2018).Il capitalismo che abbiamo sempre conosciuto, quello che viveva su un’umanità composta da un 20% di benestanti consumatori e da un 80% di schiavi che producono per loro, non esiste quasi più. E non solo. Quell’80% di schiavi si sono evoluti, e hanno cambiato nome: da poveracci neri, marron, o gialli, adesso si chiamano mercati emergenti. E non solo. Mentre prima le loro economie, al netto delle loro materie prime, valevano solo il prezzo delle loro schiene rotte dal lavoro, oggi valgono cifre inimmaginabili. Ecco un quadro. Solamente Cina e India producono insieme 33.000 miliardi di dollari di beni e servizi, contro la rallentata Ue con 21.000 miliardi e gli Usa con 19.500. I sette mercati emergenti principali, cioè Brasile, Cina, India, Indonesia, Messico, Russia e Turchia, hanno quasi raddoppiato il loro potere economico, mentre al contrario i paesi del G7 stanno calando vistosamente nelle percentuali di Pil globale. Secondo uno studio della nota consultancy PwC Uk, nelle prime 32 economie dei prossimi quindici anni ben 20 saranno mercati emergenti, con Cina e India che sorpassano gli Usa, e l’Italia fanalino di coda umiliata persino da Vietnam, Filippine, Corea del Sud, Iran e Pakistan.
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Sdoganare la pedofilia: vogliono far cadere l’ultimo tabù
La pedofilia è l’ultimo grande tabù della civiltà occidentale: orientamento sessuale innato per alcuni, perversione immorale e criminale da punire duramente con il carcere per altri, o ancora una malattia mentale da curare. È necessario discutere oggi di pedofilia, perché il suo sdoganamento – con conseguente legalizzazione e decriminalizzazione sociale – con molta probabilità avverrà nel prossimo futuro; e non si tratta di complottismo spicciolo, ma di una presa di coscienza basata sulla lettura degli eventi attuali. Prima di parlare di cosa stia succedendo a livello propagandistico e pubblico in tema di pedofilia, occorre ripercorrere le origini di un movimento ben definito, organizzato e diffuso capillarmente in tutto l’Occidente, che ambisce a normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minori, nel nome della libertà di scelta e di un presunto diritto dei bambini ad amare. I movimenti per la legalizzazione della pedofilia sorgono nel contesto della rivoluzione controculturale sessantottina che dilagò nei paesi occidentali fra gli anni ’60 e ’70, simultaneamente e nell’alveo delle lotte di liberazione femministe e omosessuali.I più grandi ideologi e pensatori della rivoluzione sessuale scoppiata nell’epoca della grande contestazione sono stati anche degli strenui sostenitori della caduta degli ultimi tabù sessuali, come incesto e pedofilia, ritenuti dei lasciti dell’eteronormatività fallocentrica e patriarcale: Jacques Derrida, il coniatore del termine fallocentrismo, Michael Warner, colui che ha popolarizzato il concetto di eteronormatività, Jack Halberstam, autore prolifico sulle identità di genere e sulla mascolinità tossica, e in generale i maggiori esponenti del postmodernismo francese come Michel Foucault, Guy Hocquenghem, Jean Danet, Françoise Dolto, e la controversa coppia Simone de Beauvior-Jean Paul Sartre. Nel 1977 i capofila della critica esistenzialista e del postmodernismo francesi, tra i quali Foucault, Derrida, de Beauvior, Sartre, Gilles Deleuze e Louis Althusser, inviarono una petizione al Parlamento per chiedere l’abolizione dell’età del consenso e la depenalizzazione di ogni rapporto sessuale consenziente tra adulti e minori di 15 anni. Foucault, inoltre, infervorò il dibattito pubblico intervenendo insieme a Hocquenghem nel programma “Dialogue” dell’emittente radiofonica “France Culture”, spiegando le ragioni del suo sostegno alla causa pedofila.Contemporaneamente a Londra fu fondato il Paedophile Information Exchange da Michael Manson, un piccolo gruppo pro-pedofilia dipendente dall’Outright Scotland, una delle più grandi e longeve sigle presenti nella galassia lgbt britannica. Sebbene numericamente esiguo e ufficialmente isolato dalle maggiori organizzazioni omosessuali, il Pie riuscì a trasformare in un dibattito nazionale l’abolizione dell’età del consenso e curò la pubblicazione di un proprio periodico, “Understanding Paedophilia”, riuscendo ad ottenere finanziamenti pubblici per circa 70 mila sterline dall’Home Office (secondo una recente inchiesta del “Daily Mirror”) e ad ottenere l’affiliazione al National Council for Civil Liberties, oggi noto semplicemente come Liberty, una delle più importanti organizzazioni per i diritti civili e umani presenti in Inghilterra. Nello stesso periodo, negli Stati Uniti, David Thorstad, ex troskista poi divenuto il più importante attivista pro-pedofilia della storia occidentale recente, fonda la North American Man/Boy Love Association (Nambla), il più grande ed influente gruppo di pressione attivo nell’abolizione dell’età del consenso e nella promozione delle relazioni sessuali tra adulti e minori.Le posizioni estremiste della Nambla hanno causato la sua scomunica dall’International Lesbian and Gay Association nel 1994, a seguito di una controversia giunta in sede di Nazioni Unite, e nonostante le numerose inchieste federali e gli scandali sessuali che hanno coinvolto diversi membri, non è mai stata sciolta dalla giustizia statunitense. La Nambla ha avuto il merito di realizzare contatti con le principali sigle della galassia pro-pedofilia, riuscendo nell’obiettivo di trasformare l’International Pedophile and Child Emancipation in una vera e propria internazionale della pedofilia, composta da più di 80 fra organizzazioni e partiti politici di Canada, Stati Uniti ed Europa occidentale. La situazione organizzativa e associativa dei movimenti pro-pedofilia in Europa occidentale è comparabile a quella statunitense, sebbene il dibattito sia meno acceso per via del minore spazio garantito dai grandi media a questa ala estrema della più vasta galassia Lgbt. La Germania è il paese europeo con più organizzazioni pro-pedofilia del Vecchio Continente, oltre 15, e ha ospitato fra gli anni ’70 e ’90 un dibattito politico molto serio inerente l’abolizione dell’età del consenso, la depenalizzazione dei rapporti tra adulti e minori e la decriminalizzazione sociale della pedofilia, che ha coinvolto anche attori politici di spessore come il partito dei Verdi, e vanta una triste, quanto sconosciuta, storia di esperimenti sociali miranti a capire gli effetti dei rapporti pedofili sulla psiche degli adolescenti.Negli anni ’70 il dipartimento di sociologia dell’università di Hannover guidò una serie di ricerche sotto l’egida del professore Helmut Kentler, luminare noto nell’ambiente accademico nazionale per le sue innovative idee di ingegneria sociale. Il programma di Kentler prevedeva l’affidamento di adolescenti senzatetto o senza famiglia con problemi comportamentali, di tossicodipendenza o di alcolismo, presso pedofili noti, ossia con precedenti penali per abusi su minori o segnalati alle autorità, con il duplice obiettivo di fornire alle cavie una figura genitoriale e ai pedofili una possibilità di trasformarsi in modelli comportamentali positivi. Il programma fu finanziato con fondi pubblici e fu scoperto soltanto alla morte di Kentler avvenuta nel 2008. La giustizia tedesca non è stata capace di appurare il numero di giovani tedeschi, soprattutto berlinesi, affidati a pedofili come parte del cosiddetto esperimento Kentler, sebbene le indagini abbiano concluso possano essere stati più di mille.I Paesi Bassi hanno ospitato le attività dell’organizzazione Vereniging Martijn e del partito politico Carità, Libertà e Diversità, impegnati nella revisione dell’età del consenso, nell’inserimento della pedofilia tra i temi affrontati dall’educazione sessuale nelle scuole, e nella depenalizzazione della pedopornografia. Sebbene questi due movimenti siano stati dissolti dalla giustizia olandese, anche per via dei crimini sessuali che hanno visti coinvolti i loro membri, il contesto intellettuale nel quale sono sorti, ossia la Società Olandese per la Riforma Sessuale, è ancora in fermento e continua a propagandare la normalizzazione di ogni perversione sessuale, dalla pedofilia alla zoofilia. Il dibattito pubblico e accademico sulla pedofilia nei Paesi Bassi inizia nell’immediato secondo dopoguerra con la fondazione dell’Enclave Kring, il primo movimento pro-pedofilia del mondo, da parte dell’eminente psicologo e attivista omosessuale Frits Bernard.Bernard sfruttò la sua notorietà per tentare di sdoganare questo tabù, portando la sua battaglia anche nel vicino mondo omosessuale, in quanto collaboratore del Coc, la più longeva organizzazione per i diritti omosessuali del mondo. Il movimento pro-pedofilia nazionale riuscì a riscuotere ulteriore visibilità tra gli anni ’50 e ’80 per via dell’intenso attivismo di Edward Brongersma, senatore appartenente al Partito del Lavoro poi convertitosi in un prolifico autore di opere sulla sessualità infantile e sui rapporti adulto-bambino. Brongersma lottò durante la sua intera carriera politica per revisionare l’età del consenso e sdoganare la pedofilia, dando vita ad una fondazione avente il suo nome con l’obiettivo di realizzare i suoi progetti politici in tema di sessualità. Coerentemente con il suo credo anticattolico e progressista, nel 1998 decise di porre fine alla sua esistenza tramite eutanasia volontaria.La pedofilia, intesa come rapporto sessuale consenziente tra adulti e bambini, gode quindi di un supporto ideologico e di una rete organizzativa molto più vaste di quanto si creda comunamente e la lotta per il suo sdoganamento sarà un importantissimo terreno di scontro della guerra culturale tra le forze tradizionaliste-conservatrici e progressiste-liberali d’Occidente. Attingendo dalle principali teorie sulla costruzione del consenso e sul condizionamento delle opinioni e del comportamento è facile capire in che modo i tabù vengono normalizzati e i loro detrattori accusati di oscurantismo e retrogradezza: il sociologo Joseph Overton, il teorico della Finestra di Overton, ha illustrato quanto sia semplice trasformare un’idea impensabile o radicale in una diffusa e legalizzata attraverso un processo di accettazione e razionalizzazione, la Scuola di Francoforte ha illustrato il potere persuasivo dei grandi media sugli spettatori attraverso le teorie della spirale del silenzio, dell’agenda setting o del falso consenso.I grandi media anglofoni, come il “The Telegraph”, il “The Independent”, la “Bbc”, la “Cnn” o il “New York Times”, producono periodicamente degli approfondimenti pro-pedofilia, da titoli accattivanti come “We Have Met the Pedophiles and They Are Us”, “Pedophilia: A Disorder, Not a Crime”, “Paedophilia is natural and normal”, “Paedophilia a sexual orientation – like being straight or gay”, dando voce ad accademici, politici, opinionisti ed intellettuali che attraverso discutibili presentazioni basate sul disconoscimento delle conseguenze, sul ridimensionamento, sul giustificazionismo morale, o sull’idea del progresso, tentano di aprire un dibattito pubblico su questo tabù. Negli ultimi anni Ted, l’internazionale delle conferenze sulle società del futuro, finanziata tra gli altri dalla famiglia Clinton, da Bill Gates, da Jimmy Wales e da Google, ha organizzato diversi eventi sul tema della pedofilia, della sessualità contemporanea e delle questioni di genere. Il 5 maggio 2018 nell’ambito di un convegno all’università di Würzburg, l’intervento di Mirjam Heine intitolato “Why our perception on pedophilia must change: pedophilia is a natural sexual orientation”, registrato e pubblicato su YouTube, ha avuto una eco mediatica globale e attirato forti critiche verso gli organizzatori.Negli Stati Uniti il dibattito sulla pedofilia è tornato in auge con l’affermazione della cosiddetta “alt-right”, alimentato da personaggi pubblici come Milo Yiannopoulos e Nathan Larson, mentre nel resto del mondo occidentale proliferano le partecipazioni delle sigle pro-pedofilia ai gay pride, dopo un ventennio di damnatio memoriae, assume sempre più importanza il 25 aprile, la data scelta annualmente per celebrare l’Alice Day, ossia la giornata dell’orgoglio pedofilo, e dei bambini come Desmond Napoles o Nemis Quinn, sono diventati dei giovanissimi drag queen ed icone culturali idolatrate dalla comunità gay occidentale, dai media e dall’establishment dello spettacolo. L’insieme di questi accadimenti lascia supporre che la guerra culturale per l’accettazione della pedofilia sia molto viva ed intensa e ben lontana dal finire. La costruzione dell’Occidente del futuro passerà anche da questo: dal rendere socialmente accettabile la perversa convinzione che anche i bambini abbiano il diritto a sperimentare la sessualità, meglio se con adulto, e che in un mondo ruotante attorno al sesso, alla concupiscenza edonistica e al soddisfacimento di ogni desiderio secondo una visione distopica huxleyana non ci sia nulla di sbagliato nell’educare i fanciulli alla normalità della pedofilia.(Emanuel Pietrobon, “Guerra all’ultimo tabù”, da “L’intellettuale dissidente” del 19 agosto 2018).La pedofilia è l’ultimo grande tabù della civiltà occidentale: orientamento sessuale innato per alcuni, perversione immorale e criminale da punire duramente con il carcere per altri, o ancora una malattia mentale da curare. È necessario discutere oggi di pedofilia, perché il suo sdoganamento – con conseguente legalizzazione e decriminalizzazione sociale – con molta probabilità avverrà nel prossimo futuro; e non si tratta di complottismo spicciolo, ma di una presa di coscienza basata sulla lettura degli eventi attuali. Prima di parlare di cosa stia succedendo a livello propagandistico e pubblico in tema di pedofilia, occorre ripercorrere le origini di un movimento ben definito, organizzato e diffuso capillarmente in tutto l’Occidente, che ambisce a normalizzare le relazioni sessuali tra adulti e minori, nel nome della libertà di scelta e di un presunto diritto dei bambini ad amare. I movimenti per la legalizzazione della pedofilia sorgono nel contesto della rivoluzione controculturale sessantottina che dilagò nei paesi occidentali fra gli anni ’60 e ’70, simultaneamente e nell’alveo delle lotte di liberazione femministe e omosessuali.
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Foa su Wikipedia: come distruggere un giornalista scomodo
È così che si distrugge la reputazione di un giornalista scomodo: il 28 luglio alle 16:37 (cioè soltanto sabato, “casualmente” nel pieno della discussione per la sua nomina alla presidenza Rai!) è stata modificata la pagina Wikipedia di Marcello Foa, aggiungendo la sezione “Controversie” (prima inesistente, basta controllare la cronologia che riporto qui sotto) in cui viene denigrato come un “complottista” per aver sostenuto l’esistenza di “false flag” e per aver parlato della teoria gender (che viene liquidata come una “teoria del complotto nata nell’ambito ecclesiastico negli anni ’90”). Ho la fortuna di conoscere personalmente Foa da qualche anno. Ci siamo incontrati a una riunione per il Wac (Web Activists Community) a Roma nello studio di Giulietto Chiesa quando scesi in rappresentanza della Uno Editori per discutere del progetto. Ovviamente lo conoscevo già di fama, lo avevo spesso citato nelle mie opere, a partire dal mio libro-inchiesta su Renzi. Lo avevo sentito telefonicamente ma non lo avevo mai incontrato di persona. Mi sono trovata davanti un uomo gentilissimo, tanto umile quando disponibile, dotato di carisma e di ironia (dote rara), mentalmente elastico e al contempo metodico. Da quel momento ho potuto soltanto rafforzare la stima che ho di lui.
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Sos Disruption: entro 15 anni sparirà un mestiere su due
Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».Le nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence stanno cambiando davvero tutto: sarà la fine del mondo, così come l’abbiamo conosciuto. E nessuno, a quanto pare, se ne sta accorgendo. Parlano i numeri, già drammatici secondo tutte le proiezioni ufficiali: a livello globale, da 1 a 2 miliardi di lavoratori perderanno il posto entro il 2030, la maggioranza in Occidente. A farne le spese saranno impiegati contabili e amministrativi, aziende manifatturiere e manodopera produttiva, insieme a costruzioni ed estrazioni minerarie, ma anche avvocatura e giudici, lavori di installazione e manutenzione, operatori di gru e trattoristi, meccanici e riparatori. Spariranno posti di lavoro nelle arti e nel design, nell’intrattenimento, nello sport e nei media, insieme a molte mansioni nel settore turistico. In compenso, dalla rivoluzione tecnologica usciranno rafforzati business e finanza, manager, informatica e matematica, architettura e ingegneria, ma anche rappresentanti, camerieri, specialisti in istruzione e formazione, pensatori creativi e manager per la Disruption – nonché farmacisti, infermieri e operatori socio-sanitari.«Entro il 2030 si stima che fino a 375 milioni di posti di lavoro, globalmente, dovranno essere “reskilled”, cioè riqualificati», scrive Barnard nel suo blog. Ad esempio: nel settore manifatturiero, dicono gli esperti, cadranno mansioni nelle mani dell’Artificial Intelligence e della robotica, ma il lavoratore potrà essere re-impiegato in fasi diverse del lavoro, aumentando la produttività: gli servirà però un “reskilling”. Alibaba, colosso cinese dell’e-commerce, ha calcolato che i suoi robot da magazzino risparmiano a ogni magazziniere almeno 50.000 mosse fisiche al giorno, riducendone molto lo stress fisico ma soprattutto liberandogli tempo per aumentarne la produttività ma senza prolungare l’orario di lavoro. Naturalmente, scrive Barnard, Alibaba i suoi dipendenti li ha “reskilled”. Quindi, «l’impresa del “reskilling” di milioni di italiani non è un optional, è l’aria da respirare, e ogni singolo analista al mondo oggi lo dice chiaro: i governi giocano qui il ruolo principale con un intervento generoso nei bilanci». Ma una nazione con vincoli di budget «al limite del sadismo sociale», per citare l’economista Giulio Sapelli, come diavolo farà a riqualificare sul lavoro due o tre milioni di persone?Oltretutto, il “reskilling” è ormai un ordine di scuderia a tappe forzate: «Lasciar languire nella terra di nessuno i lavoratori in transito significa perderli per strada, con danni economici enormi». Si domanda Barnard: «Come farà l’Italia, soffocata nei bilanci dall’Eurozona, quando tutti gli esperti mondiali invocano chiaramente interventi di governo?». Già ora la Disruption, nelle parole di 20.000 imprenditori europei di tutti i settori, «sta imponendo un aumento vertiginoso nella richiesta di alcune professioni, che si prestano per assorbire sia una quota di futuri licenziati (“reskilled”), che i giovani post-laurea». La rivoluzione in arrivo, dice Barnard, avrà bisogno di nuovissime figure professionali, come i rappresentanti di ultima generazione: «Occorrono disperatamente venditori che siano formati prima di tutto a spiegare quei prodotti, poi a venderli a privati e governi, ma anche per raggiungere nuove fasce di clienti». Poi gli analisti dei dati: «Non occorre un dottorato per questa mansione, ma di certo un buon “reskilling” anche in assenza di laurea». Le aziende, aggiunge Barnard, oggi sanno che Big Data è la scoperta “nucleare” del commercio di prodotti e servizi: bisogna quindi «saper analizzare e trarre conclusioni intelligenti dall’immane massa di dati che la Disruption mette a disposizione».«Il successo si gioca qui, nel terzo millennio: la richiesta di analisti dei dati è destinata a esplodere fra pochissimi anni». Per i laureati brillanti «c’è già ora spazio per ricoprire un ruolo dirigente richiestissimo nei maggiori settori di commercio e servizi, cioè il Manager della Disruption: è colui che si specializza nel guidare l’azienda (piccola, media, grande) ma anche il settore pubblico, nella tempesta di cambiamenti che l’era digitale porta ogni minuto». In generale, proprio grazie alla Disruption, entro il 2030 sono previste globalmente 130 milioni di nuove assunzioni in sanità generale e assistenza agli anziani, nonché 50 milioni nelle tecnologie e altri 20 milioni nel settore energetico. Le professioni del tutto nuove che si prevede nascano grazie alla Disruption, spiega Barnard, sono «gli specialisti intra-umani, cioè intelligenza emotiva, capacità di persuasione, gestori delle emozioni umane nel sociale, e i creatori di motivazione; i pensatori creativi in ogni settore, sia scientifico che industriale che amministrativo, poiché essere super-specializzati ma ottuse ‘scatole di dati’ non innova nulla in azienda». E ancora: serviranno «gli ottimizzatori delle energie rinnovabili e gli operatori nella lotta al cambiamento climatico».Ogni singolo esperto in “occupazione & Disruption”, aggiunge Barnard, “grida” sempre la medesima cosa, che la Consultancy McKinsey & Co. ha espresso nel dicembre 2017 con una frase lapidaria: «La moltiplicazione dei lavori potrebbe più che compensare le perdite a causa dell’automazione. Ma nulla accadrà per magia – richiederà che i governi e il business sappiano creare le opportunità». E qui esplode il problema-Italia: chi si farà carico della formazione permanente imposta dalla Disruption, dati gli attuali limiti drammatici imposti alla spesa pubblica? La scuola, scrive Barnard, deve avere una conoscenza avanzatissima della Disruption in continuo aggiornamento, perché è molto probabile che una parte delle competenze insegnate oggi saranno obsolete per il mondo del lavoro nel giro di 5-8 anni, in media. Con un ritardo di questo genere, nelle scuole e università, cosa farà l’Italia? Ha qualche idea in proposito, il governo gialloverde? Il Miur, ministero dell’istruzione, università e ricerca, ammette di essere in emergenza: i dati Ocse dicono che ogni quindicenne italiano usa il computer in classe molto al di sotto della media europea (molto meno dei greci, e quasi un terzo del tempo di un australiano).Sempre per l’Ocse, i docenti italiani sono in assoluto i meno preparati, in Europa, all’era digitale. Ancora: nel Digital Economy Index, l’Italia languisce al 25mo posto su 28 paesi, ha lacune dappertutto. E nella velocità di connessione alla Rete è in fondo alla classifica europea con un umiliante 9.2 Mbps, davanti solo a Grecia e Cipro. Nelle aule si soffre moltissimo, di questo:«Il processo di diffusione della scuola digitale negli ultimi anni è stato piuttosto lento», confessa il Miur, che denuncia «azioni spesso non incisive e non complessive». Aggiunge Barnard: «Sapere è lavoro, ma un buon lavoro – oggi, nella Disruption – significa sapere molto. E con una situazione del genere c’è da mettersi le mani nei capelli». Nessuna area italiana è inclusa tra gli “Innovator leaders” europei. Solo il Piemonte figura tra gli “Strong innovators”, mentre il resto della penisola è in terza posizione, tra i “Moderate innovators”, mentre la Sardegna è relegata tra i “Modest innovators” come Croazia, l’Estremadura, l’Est Europa più povero e arretrato. Una mappa impetosa: «L’Italia non solo sprofonda nell’economia tradizionale (a causa soprattutto dell’Eurozona), ma colpevolmente i suoi governi degli ultimi 15 anni l’hanno tenuta fuori dalla realtà, cioè dalla Disruption, e infatti siamo “gialli”, cioè quasi ultimi nell’innovazione, e dunque fra gli ultimi nelle prospettive di lavoro dei nostri figli».Generalmente, aggiunge Barnard, un paese moderno ospita oltre 900 mestieri. E dato che «una buona parte delle nuove tecnologie della Disruption stanno sbocciando in queste ore o sbocceranno appena domani», è impossibile essere precisi. Ma una cosa è più che evidente: a dettare legge sarà la tecnologia dell’intelligenza artificiale di Machine Learning, «perfetta per sostituire i lavori ripetitivi d’ufficio, per far funzionare la logistica aziendale, per far “pensare” i robot nelle industrie, ma anche per sostituirsi all’umano in compiti complessi all’interno di molti mestieri sofisticati». Giusto per dare al pubblico un’idea del grado di penetrazione del Machine Learning, cioè del fatto che davvero saranno pochissimi i lavori di domani che non avranno almeno in qualche segmento un’intelligenza artificiale a sostituire qualcosa o qualcuno, la Mit Initiative sull’economia digitale «afferma che il mestiere in assoluto più “blidato” contro la Disruption è il… massaggiatore». All’altro estremo, invece, figurano «le mansioni che sembrano davvero destinate a essere falcidiate», ovvero «gli impiegati, i contabili, gli amministrativi in generale».Se è scontato che fra i “colletti blu” (diplomati, ma senza laurea) tanto dovrà cambiare, «molti genitori e studenti ancora non comprendono purtroppo cosa accadrà alle professioni dei “colletti bianchi”, degli specializzati, che siano medici, avvocati, commercialisti, o persino ingegneri informatici (esempio estremo, ma anche fra loro cadranno teste con l’Artrificial Intelligence)». Parla da solo il caso americano: nei primi 15 anni di digitalizzazione dell’economia Usa, ricorda Barnard, le disparità di redditi fra “colletti blu” (licenza liceale) e “colletti bianchi” (lauree) schizzò in alto, perché i secondi – grazie alla formazione digitale universitaria – poterono approfittare dei nuovi lavori ben pagati, gli altri no e subirono in pieno l’impatto devastante del crash bancario del 2008. Addirittura, il fenomeno ha raggiunto un tale livello di gravità che fra i “colletti blu” in America c’è un’epidemia di suicidi per disperazione, descritti in uno studio del 2014 firmato da Anne Case insieme ad Angus Deaton, Premio Nobel per l’Economia. «Vero è che gli Stati Uniti sono un incubo d’abbandono sociale dei deboli, dove il welfare quasi non esiste», ammette Barnard. In compenso, l’Europa si sta auto-sabotando con i tagli sanguinosi al suo welfare.«I criminosi limiti di spesa pubblica che l’Ue impone agli Stati membri – dice Barnard – escludono in via categorica che i vari schemi di Reddito di Cittadinanza abbiano un potere di fuoco sufficiente a evitare al nostro paese un’apartheid fra inclusi ed esclusi nella Disruption». In altre parole: «Finché Eurozona sarà – insiste il giornalista, rivolto ai lettori – il realismo mi costringe a dirvi che l’unica arma che rimane ai vostri figli per difendersi dal destino denunciato da Angus Deaton e Anne Case è una formazione solidissima ai nuovi lavori della Disruption (che non sono solo tecnologia)». Dunque il messaggio per genitori e ragazzi è chiarissimo: «La seconda ondata di digitalizzazione in corso oggi con la Disruption porta soprattutto con sé il pericolo di un enorme divario nei redditi, oltre a una sostanziale dose di lavori perduti». Per mettere al riparo i nostri figli, e i giovani già oggi al lavoro, secondo Barnard c’è una sola arma concreta: per i giovanissimi una formazione scolastica e universitaria più aggiornata possibile, che li presenti al mondo del lavoro come appetibili, e per i già impiegati l’impegno di Stato e aziende nella riqualificazione “a vita”. Il rischio fatale, per l’Italia del lavoro, è di rimanere tragicamente indietro: «Significherebbe un prossimo secolo di arretratezza e bassa economia per tutti i nostri giovani e per i loro figli». Nel 2016 il World Economic Forum lo disse senza mezzi termini: «Chi non si prepara affronterà costi sociali ed economici enormi».Attenzione: qualcosa di analogo a quanto sta per accadere (e di cui nessuno parla) è già avvenuto, nella storia. Per dare un’idea della dimensione planetaria del problema, Barnard cita lo scozzese James Watt: «Nel 1775 diede vita alla più dirompente Disruption della storia con l’invenzione della macchina a vapore». Fece morire di colpo i vecchi mestieri, ma al tempo stesso fece esplodere lo sviluppo sociale umano, il che significa benessere e quindi possibilità democratiche. Per 9.700 anni filati, scrive Barnard, le condizioni di vita del popolo comune «rimasero sostanzialmente identiche, a un livello abominevole, spesso peggio degli animali selvatici». Poi arrivò la Disruption di Watt – e delle scienze post-Galileo con l’elettromagnetismo di Faraday e di Maxwell – e in Occidente tutto cambiò di colpo, perché cambiò il lavoro, aumentarono i redditi e con essi la rivendicazione dei diritti. «E’ vero che la Disruption di allora si portò dietro una buona dose di lacrime e sangue prima di darci la modernità del benessere, che tuttavia furono nulla in confronto a 9.700 anni di standard di vita abietti oltre l’immaginabile. Ma l’altra faccia, gloriosa, di quell’esplosione tecnologica fu di fornire alle lotte sociali mezzi tecnologici di diffusione, e quindi di successo, impensabili prima, fino appunto alla moderna civiltà».Oggi, sottolinea Barnard, la Disruption delle nuove tecnologie digitali potenziate dall’Artificial Intelligence «sta scatenando un’altra storica impennata dell’umanità, che è però di molto superiore a quella di Watt per l’enorme potere tecnologico odierno. E di nuovo, tutto si gioca su come cambierà il lavoro: non chissà quando, ma entro il 2030». Demis Hassabis, Ceo di Google DeepMind (azienda che sta al centro della galassia “Ai”), ha detto: «Il nostro goal è di conquistare l’intelligenza, poi di usarla per risolvere tutti gli altri problemi». Macchine intelligenti, al posto di esseri umani. Ed enorme disparità tra chi resterà al passo e chi sarà tagliato fuori. Lo confermano gli studi delle maggiori “Consultancies” del mondo: Pwc Uk, Deloitte, McKinsey, Accenture. Tutti d’accordo, insieme agli accademici: almeno nella prima fase, la Disruption fondata sull’intelligenza artificiale (robotica, nuove tecnologie), falcerà milioni di posti di lavoro. Ma la stessa Disruption, spiega Barnard, offre possibilità di recupero nella riqualificazione, nell’aumento di richiesta per certe professioni e nel fatto che nasceranno lavori che oggi non esistono.Tutto dipende da due fattori decisivi: la velocità dei governi nel legiferare misure per cavalcare la Disruption, favorendo la nascita dei nuovi lavori, e l’intelligenza dei datori di lavoro «nel capire che l’epoca dell’egoismo del profitto è morta, gli porterà solo fallimenti certi». Il futuro digitale «impone intelligenza», il che significa «coordinamento fra aziende, e fra di esse e lo Stato». Di fatto, avverte Barnard, con la Disruption «oggi saltano le politiche di creazione di lavoro, in Occidente, che i nostri padri e noi abbiamo conosciuto finora». Problema: «I contemporanei di un fenomeno epocale di cambiamento faticano sempre a svegliarsi di fronte al nuovo, e questo si traduce in drammi». Per dire: «Quanti italiani oggi leggono i giornali al mattino cercando ansiosamente notizie sulle politiche del lavoro del ministro Di Maio per la Disruption? Nessuno. Eppure la leadership mondiale non ha più dubbi sul fatto che essa ribalterà, come mai prima nella storia, proprio l’occupazione di numeri impressionanti nel globo». Certo, i politici «hanno il vincolo del breve mandato e l’ossessione cieca del voto-subito entro il mandato, per cui non s’impegneranno mai in politiche e dibattiti che all’italiano medio sembrano fantascienza». Idem per i media: «Sanno che la Disruption è una news che oggi si può vendere agli italiani solo al 300esimo posto dopo la casta, la corruzione, il politici-ladri, gli immigrati, le polemiche Tv, e trattano il tema principalmente come folklore da futuristi. Risultato: non un singolo organo di stampa italiano sta davvero informando su come sarà stravolta l’economia, la politica e la fabbrica sociale di ogni paese moderno per mano della Disruption».E così si compie un circolo vizioso devastante per l’Italia, destinata ad arrancare come fanalino di coda «mentre Francia, Germania, Svezia, Svizzera, Gran Bretagna, Russia, Cina, Sud-Est Asiatico e ovviamente gli Usa si saranno già spartiti l’immensa torta del lavoro e del Pil da Disruption». Risultato: «I giovani italiani nel precariato, in preda alla disoccupazione e ancora disperatamente dipendenti da quel rivolo che gli rimane del risparmio di nonni e genitori degli anni 70’-90’», prigionieri di un paese sempre più confinato tra i “Pigs” con Portogallo, Grecia e Spagna – non più Piigs, annota Barnard, «perché invece l’Irlanda sta capendo e cavalcando la Disruption, è ha già preso il volo da quell’acronimo infame». Ma non è destino degli dèi che debba davvero andare così, aggiunge il giornalista: a sta a noi capire la Disruption per sapere come inciderà sul Pil e sull’occupazione. Ma non c’è tempo da perdere: «La velocità di sviluppo delle nuove tecnologie per il lavoro è talmente forsennata che è già stato calcolato che diversi “skills” – così si chiamano le competenze centrali per la Disruption – che vengono insegnati agli studenti oggi, tempo che gli studenti si presenteranno ai colloqui di lavoro in aziende saranno già obsoleti».In parole semplici: «Mentre tu studi intensamente un’applicazione di Machine Learning per l’edilizia, Machine Learning ne ha scovata una migliore, tu ti presenti al colloquio di lavoro e il datore se ne fa poco, di te». Scrive il Mit di Boston: le tecnologie cambiano i modelli di business e molto spesso questi si traducono in uno sconvolgimento simultaneo del set di “skills” che le aziende richiedono, e questo già oggi crea difficoltà nell’assumere personale. Velocità: «Sarà un problema enorme proprio sul mercato del lavoro dei giovani, e altrettanto enorme per eventuali programmi di apprendistato, che rischiano di diventare degli autogoal con sprechi di finanziamenti enormi», osserva Barnard. Attenzione, però: le stesse tecnologie di Big Data possono dare al governo «un inimmaginabile potere di efficiente governanace». La stessa “cloud” potrà essere usata da tutto il sistema produttivo italiano di beni e servizi in un dialogo diretto, in tempo reale, col ministero dell’istruzione. Pubblico e privato potrebbero scambiarsi informazioni istantanee su «come sta cambiando la natura degli “skills” dentro le aziende, gli ospedali e le varie istituzioni». Lo stesso Miur, come sollecitano gli esperti internazionali, «dovrà avere l’elasticità e la prontezza di riflessi di trasmettere immediatamente a scuola e università il messaggio dei datori di lavoro», per armonizzare domanda e offerta in base ai nuovi parametri in costante evoluzione.Fantascienza? Non ci sono alternative, par di capire. «Questo è il tipo di ambizioso progetto che un paese oggi deve essere in grado d’intraprendere se davvero è serio sulla difesa del lavoro», sostiene Barnard, auspucando «un salto innovativo, in linea con gli attori vincenti nella Disruption». Scrive McKinsey Global: «I governi devono totalmente riconsiderare i modelli scolastici odierni. La questione è urgente, e devono mostrare una leadership di grande coraggio nel riscrivere i curricula. E’ un’elasticità che da decenni il mondo del lavoro attende». Oggi, infatti, il “reskilling” è sulla bocca di tutti gli operatori economici. Per Barnard, a salvare il sistema-Italia sarà un “reskilling” (o “upskilling”) dei lavoratori, da condurre a vita, per ogni settore del Pil italiano. «Dovrà essere intelligente, il che significa innanzi tutto che va fatto in partnership con il settore privato dell’Italia, il quale deve saper dimostrare una “vision” ben oltre la sua tradizionale e provinciale parcellizzazione». Soprattutto, le tecnologie di Big Data «dovranno essere usate da governo e datori di lavoro per “better forecasting data and planning metrics”, cioè saper prevedere le svolte e pianificare con largo anticipo la richiesta dei talenti, su cui poi appunto lanciare in tutto il paese programmi di “reskilling” (o di “upskilling”) con chirurgica precisione».Dunque, secondo Barnard, l’Italia è alla storica sfida dell’occupazione nell’era della Disruption. «Il potere globale di quest’ultima è senza limiti, ma gli Stati possono governarla per tutelare l’impiego nella colossale tempesta dei cambiamenti». In questo sforzo, aggiunge, il governo deve comprendere un aspetto cruciale che distingue le tecnologie della Disruption: si dividono infatti in due rami, quelle di tipo Enabling e quelle di tipo Replacing. «La Disruption porterà sia una richiesta di lavori già esistenti riformulati in nuove versioni, che nuove professioni che oggi non esistono». In questo caso, nella versione Enabling, aprirà vasti bacini di posti di lavoro ma, al tempo stesso, spazzerà via schiere di mestieri perché le macchine “pensanti” li rimpiazzeranno (Replacing, appunto). Ne consegue una scelta politica di orizzonte: «E’ totalmente futile ed economicamente distruttivo continuare a spendere sia fondi pubblici che fondi privati (delle famiglie) per formare giovani, o per incoraggiare lavori, destinati alla categoria dove le tecnologie saranno di tipo Replacing, poiché significa destinare esseri umani a un suicidio lavorativo certo».Per Barnard, l’Italia dovrà quindi «investire massicciamente nell’adozione del maggior numero di tecnologie Enabling per ovvi motivi di creazione di lavoro», ma dovrà anche «essere scaltra nell’incoraggiare quelle che si adattano meglio alla struttura sociale, alla conformazione territoriale e produttiva del nostro paese». Un esempio concreto? «Siamo uno dei popoli più longevi del mondo, perciò la cura extra-ospedaliera dei nostri anziani arricchita dalle nuove tecnologie Enabling del settore è garanzia di creazione d’innumerevoli mansioni a ogni livello di complessità (settore del Personal Care). Sono mansioni che saranno utili a nuovi impieghi sia per i cittadini meno “skilled” che per gli specialisti. La medesima strategia va applicata alla nostra struttura architettonica, geografica, energetica, sempre per generare ampio impiego». Al problema della Disruption, in questi mesi, Barnard ha dedicato il massimo impegno, lavorando in solitudine, convinto che l’umanità sia ormai di fronte «al più dirompente cambiamento occupazionale dal 1775 a oggi», dai tempi della macchina a vapore. «Continuo a ripeterlo: le soluzioni a problemi sistemici devono essere sistemiche, il resto sono truffe vendute da politici cinici a un pubblico stupido, i cui figli poi piangeranno per generazioni».Il lavoro di oggi? Sparirà. E quello di domani sarà diverso, gestito in tandem con le macchine. Sta cambiando tutto alla velocità della luce, ma nessuno ce lo sta dicendo: né la politica, né i media, né tantomeno la scuola. Lo afferma Paolo Barnard, il reporter che – per primo, nel saggio “Il più grande crimine” – ricostruì la genesi dell’Ue e dell’Eurozona in termini di criminalità politica da parte dell’élite finanziaria neo-feudale, orientata al “genocidio economico” nel quale si dibatte l’Europa, Italia in primis. Riletto oggi, alla luce della rivoluzione copernicana già in atto nel mondo del lavoro, persino un abominio “golpista” come l’imposizione dell’euro fa quasi sorridere. Motivo: il futuro ci sta venendo addosso con una rapidità inimmaginabile. Più della metà dei mestieri attualmente svolti in Occidente diverranno obsoleti perché antieconomici: al posto di operai, funzionari e ingegneri ci saranno robot evolutissimi, macchine auto-apprendenti forgiate dal Machine Learning garantito da computer “quantistici”. Si chiama Tecnological Disruption, e secondo Barnard è un cambiamento «così potente da trasformare in breve tempo la vita umana sul pianeta Terra». Precedenti nella storia: «La scoperta del fuoco e quella dell’agricoltura, la matematica, la stampa, le macchine a vapore, l’elettricità».
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Il Grande Fratello sa tutto di noi, soprattutto grazie a noi
Facebook avrebbe “passato” a Cambridge Analytica 51 milioni di profili. Destinazione, la campagna pro-Brexit e quella pro-Trump, consentendo ai persuasori di mirare con precisione, fino a centrare in modo selettivo il target desiderato: appelli politici per convincere utenti già “schedati” dal social network, presentati (a loro insaputa) come “clienti” teoricamente disponibili, in base alle loro preferenze: idee espresse nei commenti, tipologia dei consumi dichiarati. Da qui la mappatura virtuale del “cliente”: se so cosa ti piace oggi, il mio sistema deduce al volo ciò che ti piacerà domani. Si grida allo scandalo: Steve Bannon, l’ex guru di Trump, è uno stregone della manipolazione. «Non lo faremo più», promette Zuckerberg. Scandalo? Bannon fa il suo mestiere: portare voti ai politici per cui lavora. Anche Zuckerberg fa il suo mestiere: vendere al marketing i profili degli utenti, che sono ormai 2 miliardi di persone, in tutto il mondo. Rivelazioni: il potente algoritmo messo in campo da Cambridge Analytica permette di “scannerizzare” all’istante, incrociando dati, anche le intenzioni degli ignari utenti, scoprendo in anticipo chi voterà per chi. Ma né Bannon né Zuckerberg hanno mai estorto alcunché: la fornitura dei dati-chiave è volontaria, da parte degli utenti.Gli utenti di Facebook, poi, sanno benissimo (o dovrebbero sapere) che non sono proprietari dei contenuti delle loro “pagine”: dal punto di vista legale, in base al diritto editoriale, tutto ciò che viene pubblicato – parole e pensieri, immagini e video – non appartiene in nessun caso a loro, ma solo a Facebook. In quanto editore unico e senza vincoli, il social network è liberissimo di rimovere i contenuti quando vuole, senza neppure l’obbligo di lasciarne una copia, privata, a disposizione dell’utente. Quasi un terzo dell’umanità ormai utilizza Facebook, affidando alla piattaforma social la rappresentazione pubblica – più o meno realistica – della propria identità personale. Facebook offre una vasta gamma di servizi – a costo zero per l’utente, ma remunerati in altro modo: è ovvio che faccia gola, al marketing, la più grande banca dati del pianeta. Perché stupirsene? Se si fa una qualsiasi richiesta a Google, il motore di ricerca la registra, classificando subito l’utente e proponendogli – sotto forma di proposta pubblicitaria – merce analoga a quella già cercata. Anche Google “sa” chi siamo e cosa ci piace. Anche Google svolge un servizio gratuito per l’utente. Un servizio prezioso, ormai imprescindibile, e remunerato altrimenti, cioè mettendo il profilo psicologico del potenziale cliente a disposizione del mercato.Con l’avvento degli smartphone, oggi il sistema sa anche – sempre – dove siamo. Attraverso i social, le chat, le email, il sistema sa cosa pensiamo, dove andiamo, chi incontriamo. Anni fa, fece scalpore la rivelazione – esternata dal solo Marcello Foa – del capo dei servizi segreti svizzeri: spiegò che ogni parola in uscita dai nostri computer finisce in due immensi archivi, dislocati a Londra e a Washington. Il Grande Fratello è in ascolto, certo: ma qualcuno può davvero stupirsene? Smentendo il vittimismo complottistico, un osservatore atipico come Paolo Franceschetti (avvocato, autore si studi scomodi sui misteri italiani) offre la seguente riflessione: perché ci illudiamo che in passato la situazione del “popolo” fosse migliore? Fino a ieri non ci voleva molto per rischiare il carcere, bastava mancare di rispetto al sovrano (e l’altro ieri peggio ancora, si finiva sul rogo per il solo fatto di aver manifestato idee difformi dal dogma vigente). Oggi, al contrario, si assiste a una diffusione di opinioni quale mai s’era vista, in migliaia di anni. Circolazione istantanea di idee, libera e planetaria. Osservata e spiata? Vietato meravigliarsene.Quanto a Facebook, parla da sola la sua data di nascita. Serviva un sistema per raccogliere dati e schedare milioni di persone, in modo da trarre d’impaccio l’intelligence Usa, in enorme imbarazzo dopo la storica débacle dell’11 Settembre. Zuckerberg ha offerto la soluzione più brillante, a costo zero per lo Stato: sarebbero stati direttamente i cittadini a raccontare tutto di sé – chi sono, dove vivono, in cosa credono, che amici hanno. Facebook ha raccolto milioni di confidenze, che oggi sono diventate miliardi. Ma non le ha carpite: gli sono state offerte spontaneamente. Il sistema ha solo creato uno spazio (pubblico) per esprimerle e condividerle. Uno spazio che prima non esisteva, e di cui gli Zuckerberg del pianeta avevano intuito il bisogno, la necessità percepita. Parlare, raccontarsi: prima dell’avvento dell’email (non secoli fa: si parla della vigilia del Duemila) le persone avevano smesso di scriversi lettere. Hanno ricominciato a scrivere proprio grazie alla posta elettronica. Milioni di persone hanno ristabilito contatti epistolari frequenti, recuperando anche il gusto della scrittura. Facebook e gli altri social media completano l’offerta, realizzando un diario digitale personale ma condivisibile, arricchito da segnalazioni e link, veicolando in questo modo l’altra grande fonte recente di idee e informazioni: i blog.Nella sua ricostruzione della storia del Cristianesimo, formulata da un punto di vista ruvidamente anticlericale, un’autrice come Laura Fezia sostiene che il “format” cristiano sia stato inoculato come un virus nell’imperialismo romano, per corroderlo dall’interno fino a farlo crollare. Tradotto: se non riesci a battere il nemico in campo aperto, ti conviene infiltrarlo. E’ nemico, oggi, il web? E’ sicuramente padrone: compra, vende, orienta, controlla, manipola. Non è un amico disinteressato: se l’ha fatto credere, bluffava. Ma spesso (quasi sempre) è un alleato di cui non si può fare a meno. E’ un orizzonte sistemico, nel quale vivere, e in cui – come in ogni altra cosa – convivono due modi di intendere e volere. Il bene e il male? Dipende sempre dal punto di vista: il male della gazzella coincide con il bene dei cuccioli della leonessa. Sarà anche una savana, il web, ma non è senza padroni: è anzi un giardino zoologico severamente protetto e custodito dai grandi proprietari dell’infrastruttura strategica, da cui ormai dipende il pianeta, che è diventato infinitamente e istantaneamente manipolabile. Sono infatti tramontate le fiabe ingenue sull’innocenza della Rete, utilizzate anche in Italia a fini politici. Ma la Rete resta, e – con i suoi limiti – è ancora disposizione: per ospitare idee, magari, oltre che immagini delle vacanze e piatti “stellati”, fotografati al ristorante.Facebook avrebbe “passato” a Cambridge Analytica 51 milioni di profili. Destinazione, la campagna pro-Brexit e quella pro-Trump, consentendo ai persuasori di mirare con precisione, fino a centrare in modo selettivo il target desiderato: appelli politici per convincere utenti già “schedati” dal social network, presentati (a loro insaputa) come “clienti” teoricamente disponibili, in base alle loro preferenze: idee espresse nei commenti, tipologia dei consumi dichiarati. Da qui la mappatura virtuale del “cliente”: se so cosa ti piace oggi, il mio sistema deduce al volo ciò che ti piacerà domani. Si grida allo scandalo: Steve Bannon, l’ex guru di Trump, è uno stregone della manipolazione. «Non lo faremo più», promette Zuckerberg. Scandalo? Bannon fa il suo mestiere: portare voti ai politici per cui lavora. Anche Zuckerberg fa il suo mestiere: vendere al marketing i profili degli utenti, che sono ormai 2 miliardi di persone, in tutto il mondo. Rivelazioni: il potente algoritmo messo in campo da Cambridge Analytica permette di “scannerizzare” all’istante, incrociando dati, anche le intenzioni degli ignari utenti, scoprendo in anticipo chi voterà per chi. Ma né Bannon né Zuckerberg hanno mai estorto alcunché: la fornitura dei dati-chiave è volontaria, da parte degli utenti.
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Hai un’opinione? Errore: ti è stata venduta, a tua insaputa
La colazione “egg and bacon”: una tradizione americana? No: fu una creazione a tavolino, inventata dai produttori di pancetta. Idem il fumo esteso alle donne: non una conquista femminista, ma solo l’ennesima operazione pianificata, in questo caso pagata dai produttori di tabacco. Grazie a chi? Al padre della propaganda moderna, Edward Bernays. Piaccia o no, i nostri pensieri sono quasi sempre condizionati, come le nostre azioni, da una manipolazione incessante, di cui non ci accorgiamo. La propaganda non è qualcosa di vago e indefinito, ma una vera e propria scienza, con leggi e regole precise: un manuale di istruzioni, che subiamo alla lettera. E Bernays, l’autore di quel manuale che oggi viene scientificamente applicato in modo sistematico, è considerato uno dei 100 uomini più influenti del XX secolo. Pochissimi lo conoscono? Ovvio: ogni scienziato della manipolaziome ama la penombra e scansa i riflettori. A maggior ragione se, come in questo caso, è il nipotino di Sigmund Freud, padre della psicanalisi e indagatore dei segreti più profondi del nostro inconscio. Lo zio li ha studiati, mentre il nipote è andato oltre: ha pensato a come sfruttarle, le nostre debolezze, per venderle al mercato e comprare noi, a milioni, come polli d’allevamento.Di origine ebraica, emigrato a New York verso la fine del 1800, Bernays fu amico di Franklin Delano Roosevelt e della First Lady, Eleanor Roosevelt, nonostante Felix Frankfurter, giudice della Corte Suprema – anch’egli di origine austro-ebraica – lo accusasse di essere «un avvelenatore professionista dei cervelli della gente», ricorda Federico Povoleri in una ricostruzione proposta dal blog “La Crepa nel Muro”. Consulente dell’ufficio propaganda durante la Prima Guerra Mondiale, Bernays ha dominato a lungo la scena della comunicazione in America. Un maestro, nel manipolare l’opinione pubblica anche nei periodi di crisi come la Grande Depressione del ‘29. Definito «il patriarca della persuasione occulta», aveva compreso «l’importanza dell’uso massiccio e spregiudicato dei media, che utilizzava per lanciare un prodotto, un candidato politico o una causa sociale». Nel 1933, Joseph Goebbels rivelò a un giornalista americano che il libro “Crystallizing Public Opinion”, pubblicato da Bernays nel 1923, fu utilizzato dai nazisti per le loro campagne. Una Bibbia per ogni politico, da Hitler a George Bush, fino a Obama. Primo comandamento: “Controlla le masse senza che esse lo sappiano”.Inizialmente, continua Povoleri, Bernays studiò l’opera di Gustav Le Bon, “Psicologia delle folle”, pubblicata nel 1895. Opera di riferimento per molti uomini politici, fu meticolosamnete studiata anche da Lenin, Stalin, Hitler, e Mussolini. Quest’ultimo commentò: «Ho letto tutta l’opera di Le Bon e non so quante volte abbia riletto la sua “Psicologia delle Folle”. E’ un’opera capitale, alla quale ancora oggi spesso ritorno». Migliaia di individui separati, spiega Le Bon, «in un dato momento, sotto l’influenza di violente emozioni – un grande avvenimento nazionale, per esempio – possono acquistare i caratteri di una folla psicologica». Un qualunque caso che li riunisca «basterà allora perché la loro condotta subito rivesta la forma particolare agli atti delle folle». Infatti, «in certe ore della storia, una mezza dozzina di uomini possono costituire una folla psicologica», cosa che invece non riuscirà a «centinaia di individui riuniti accidentalmente». Per le folle, secondo Le Bon, «l’illusione risulta essere più importante della realtà». E’ decisiva l’apparenza: «Le folle non si lasciano influenzare dai ragionamenti», scrive Le Bon. «Sono colpite soprattutto da ciò che vi è di meraviglioso nelle cose. Esse pensano per immagini, e queste immagini si succedono senza alcun legame».Per la folla, l’inverosimile non esiste: preferisce nutrirsi di suggestioni. E la prima suggestione formulata «s’impone, per contagio, a tutti i cervelli», stabilendo subito l’orientamento generale. Secondo Le Bon, non c’è differenza tra un celebre matematico e l’ultimo calzolaio: «Può esserci un abisso in termini intellettuali, ma quando essi facciano parte di una folla (una folla può essere composta anche da cinque persone, non è il numero che conta), agiranno nello stesso modo e reagiranno emotivamente e non più con la ragione». Si verifica cioè un appiattimento verso il basso, «perché la ragione e il raziocinio vengono totalmente eliminati». Bernays mise insieme le idee di Le Bon (e di altri studiosi come Wilfred Trotter) con le teorie sulla psicologia elaborate dal celebre zio Freud, «intuendo che la gente sarebbe stata sensibile a una manipolazione inconscia, basata sia sull’emotività, sia sull’uso massiccio di immagini simboliche».Bernays intuì con grande anticipo la potenza delle nuove tecnologie della comunicazione di massa, aggiunge Povoleri. E concluse che una manipolazione consapevole e intelligente delle opinioni e delle abitudini delle masse potesse svolgere un ruolo importante in una società democratica. Chi fosse stato in grado di padroneggiare questo dispositivo sociale – pensava Bernays – avrebbe costituito un potere invisibile capace di dirigere una nazione: «Quelli che manipolano il meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile che è il vero potere che controlla», scrive Bernays nel libro “Propaganda”, uscito nel ‘29. «Noi siamo governati, le nostre menti vengono plasmate, i nostri gusti vengono formati, le nostre idee sono quasi totalmente influenzate da uomini di cui non abbiamo mai nemmeno sentito parlare». E’ indispensabile, sostiene, per gestire un regime sociale democratico, una società politicamente “tranquilla”. «In quasi tutte le azioni della nostra vita, sia in ambito politico o negli affari o nella nostra condotta sociale o nel nostro pensiero morale – agiunge – siamo dominati da un relativamente piccolo numero di persone che comprendono i processi mentali e i modelli di comportamento delle masse. Sono loro che tirano i fili che controllano la mente delle persone. Coloro che hanno in mano questo meccanismo, costituiscono il vero potere esecutivo del paese».Bernays applicò con implacabile successo le sue leggi. Inventore delle relazioni pubbliche, diede anche origine alla figura professionale dello spin-doctor: le regole da lui scritte vengono oggi applicate in ogni ambito sociale e di comunicazione mediatica, dalla politica alla pubblicità. Sua l’invenzione – sempre nel 1929 – delle “brigate della libertà”, fiaccolata di donne con sigaretta tra le labbra. Un atto di sfida e di indipendenza, in una società che non riconosceva alla donna la parità dei diritti? Forse, ma non solo: «Ben poche femministe sanno che quella del “diritto al fumo”, fino ad allora riservato ai soli uomini, non fu affatto una ribellione spontanea delle donne, ma il risultato di un’operazione mediatica su larga scala, concepita orchestrata da Edward Bernays, che aveva ricevuto l’incarico dalla “American Tobacco Company”», ricorda Povoleri. Va da sé che la “brigata della libertà” conquistò le prime pagine, facendo esplodere il fatturato del tabacco. «Migliaia di donne iniziarono a emulare le ragazze newyorchesi della sfilata; il messaggio era stato recepito chiaramente: chi era anticonformista e indipendente non poteva non fumare». In pochi mesi, annota Povoleri, la Chesterfield triplicò le vendite. «E molti anni dopo la Philip Morris, memore di quell’evento, sfruttò lo stesso concetto inventando il cowboy della Marlboro per pubblicizzare le sue sigarette».Anche nel nuovo millennio, nei paesi in via di sviluppo, la sigaretta continua ad essere l’emblema dell’emancipazione femminile. Ma Bernays non si fermò qui: collaborò con l’Ama (Associazione Medici Americani) per produrre ricerche scientifiche che dimostrassero che il fumo “fa bene alla salute”. «Da allora – scrive Povoleri – è diventata prassi, per le multinazionali, finanziare ricerche scientifiche al fine di confermare la bontà dei prodotti che progettano di vendere». E l’ineffabile Bernays «suggeriva che vi fosse sempre una terza parte, indipendente, che garantisse la credibilità del prodotto o dell’immagine da promuovere». Esempio: chi mai crederebbe alla General Motors se fosse lei a a dire che il riscaldamento globale è “una bufala inventata dagli ambientalisti”? Ben altro impatto avrebbe, invece, un istituto di ricerca indipendente, chiamato ad esempio “Alleanza per il clima globale”. «Ecco perché Bernays mise in piedi una quantità impressionante di istituti e fondazioni, finanziati in segreto dalle stesse industrie i cui prodotti dovevano venirne valutati, per garantirne la qualità. Fu così che questi istituti sfornarono una moltitudine di rapporti scientifici, che poi la stampa rendeva pubblici, aiutando a creare l’immagine positiva del prodotto da lanciare».Lasciando un segno permanente, continua Povoleri, Bernays stupì il mondo degli affari statunitense per la sua capacità di controllare l’opinione pubblica su larga scala quando, assieme a Walter Lippman e su commissione del presidente Woodrow Wilson, fece una campagna tesa a spingere l’opinione pubblica ad accettare l’entrata nella Prima Guerra Mondiale, a fianco della Gran Bretagna, in un momento in cui la stragrande maggioranza del popolo americano era pacifista e isolazionista. «In soli sei mesi Bernays sovvertì completamente l’idea avversa della gente verso l’entrata in guerra, provocando una mastodontica ondata di isteria anti-tedesca, che impressionò profondamente (tra gli altri) anche Adolf Hitler, che sarebbe diventato un profondo conoscitore della sua opera». Nel ‘28, tra le pagine del saggio “L’ingegneria del consenso”, aveva scritto: «Se capisci i meccanismi e le logiche che regolano il comportamento di un gruppo, puoi controllare e irreggimentare le masse a tuo piacimento e a loro insaputa». Le idee di Bernays cambiarono il vecchio concetto che prevedeva che i bisogni venissero soddisfatti da politica, industria e finanza. Capovolse la gerarchia: prima di tutto, la creazione dei bisogni attraverso la manipolazione dell’opinione pubblica. Politica, industria e finanza non servono più a soddisfare bisogni, ma a controllare la società.Nascono così i luoghi comuni creati dalla persuasione occulta operata dalla rivoluzione di Bernays. Per lo scrittore americano Russ Kick, la lista è infinita. Esempio: i medicinali ridanno la salute, i vaccini rendono immuni. Gli americani scoppiano di salute, sono quellio che stanno meglio al mondo. Il virsu Hiv è la causa dell’Aids, il fluoro nell’acqua potabile protegge i nostri denti, la vaccinazione anti-influenzale previene l’influenza. Ancora: i dolori cronici sono una naturale conseguenza dell’età. La soia? E’ la più salutare fonte di proteine. «Per costruire queste illusioni sono stati spesi miliardi di dollari, grazie ai quali oggi milioni e milioni di persone la pensano allo stesso modo», sottolinea Povoleri. In “Trust Us, We’re Experts” i sociologi John Stauber e Sheldon Rampton hanno raccolto una serie di dati che descrivono la scienza della creazione dell’opinione pubblica in America. Sono assiomi, scaturiti dalla nuova scienza delle “pierre”. Tipo: la tecnologia è in se stessa una religione. Oppure: se la gente è incapace di formulare un pensiero razionale, la vera democrazia è pericolosa. Quindi: le decisioni importanti dovrebbero essere lasciate agli esperti. Consigli per il manipolatore: stai lontano dalla sostanza, limitati a creare delle immagini. E non affermare mai chiaramente un bugia dimostrabile.«Le parole stesse vengono selezionate in base al loro impatto emozionale: nelle nuove scienze delle pubbliche relazioni sono entrate prepotentemente le tecniche di controllo mentale, che sfruttano le basi della psicologia e le linee guida di Bernays con le tecniche dell’illusionismo». Immagine, simbologia, parole e perfino musica e suoni. «Cinema e televisione hanno un potere enorme (esteso ora a tutta l’industria dell’intrattenimento, compreso i moderni videogiochi) in quanto hanno la capacità di ricombinare tra loro tutti questi elementi», agiunge Povoleri. «Sono molti gli esempi di uso politico del potere della musica, utilizzata come strumento psicologico di persuasione di massa. Non è un caso che durante la Seconda Guerra Mondiale la “Bbc” proibisse la messa in onda della musica di Wagner, utilizzata invece in modo mirato e massiccio dal nazismo, o che la sigla di apertura della nota emittente fossero le note basse che richiamavano la celebre apertura della Quinta di Beethoven». Secondo il filosofo Theodor Adorno, la musica crea “riflessi condizionati” che riguardano l’inconscio. Lo ricorda il consulente psicologico Matteo Rampin nel saggio “Tecniche di controllo mentale”. Nel suo filone tedesco, la musica da camera (legata alla “Sonata”, «tipica creazione della società normativa aristocratica e poi borghese») ha una componente “agonistica” che «deriva dalla struttura concorrenziale della società borghese». E così, chi ascolta quella musica «assimila inconsciamente queste strutture fondanti».Per Rampin, «si codifica un modo di ascoltare musica classica disciplinato, senza battere i piedi, in silenzio assoluto, che è parte di una educazione alla “staticità”». Se la musica produce un’educazione alla postura dei corpi, c’è da chiedersi «quali effetti avrà nel tempo l’abitudine contemporanea di ascoltare la musica in maniera autistica, mentre si lavora, si cammina, si studia, attraverso cuffie individuali e dispositivi portatili». Sempre Rampin sottolinea come l’utilizzo del sistema “Sensorround” nel film “Terremoto” (di Mark Robson, 1974) abbia proposto frequenze inferiori a quelle percepibili dall’orecchio umano (16 Hertz), in modo da traumatizzare profondamente molti spettatori, senza che questi ne sapessero il motivo. «Una delle tecniche più utilizzate nella guerra psicologica e nel lavaggio del cervello era arrivata in aiuto al filone dei film catastrofici», spiega David Annan nel saggio “Catastrophe, The end of the cinema”, del ‘75. Fu Eisenstein a sostenere che gli elementi di una singola ripresa possono essere pensati in modo matematico, al fine di produrre uno shock emozionale: il cinema ha trasformato la cultura, la percezione e forse anche la struttura mentale di miliardi di individui. Poi è arrivata la televisione, il trionfo definitivo del non-pensiero di Bernays: «Non ci sintonizziamo per scoprire cosa succede (perché in generale succedono sempre le stesse cose) ma per passare del tempo in compagnia dei personaggi». Non si cerca un programma specifico: si accende il televisore. La tv distrugge il tempo, rimpiazza la famiglia. «Per molti di noi, vive al nostro posto».La colazione “egg and bacon”: una tradizione americana? No: fu una creazione a tavolino, inventata dai produttori di pancetta. Idem il fumo esteso alle donne: non una conquista femminista, ma solo l’ennesima operazione pianificata, in questo caso pagata dai produttori di tabacco. Grazie a chi? Al padre della propaganda moderna, Edward Bernays. Piaccia o no, i nostri pensieri sono quasi sempre condizionati, come le nostre azioni, da una manipolazione incessante, di cui non ci accorgiamo. La propaganda non è qualcosa di vago e indefinito, ma una vera e propria scienza, con leggi e regole precise: un manuale di istruzioni, che subiamo alla lettera. E Bernays, l’autore di quel manuale che oggi viene scientificamente applicato in modo sistematico, è considerato uno dei 100 uomini più influenti del XX secolo. Pochissimi lo conoscono? Ovvio: ogni scienziato della manipolaziome ama la penombra e scansa i riflettori. A maggior ragione se, come in questo caso, è il nipotino di Sigmund Freud, padre della psicanalisi e indagatore dei segreti più profondi del nostro inconscio. Lo zio li ha studiati, mentre il nipote è andato oltre: ha pensato a come sfruttarle, le nostre debolezze, per venderle al mercato e comprare noi, a milioni, come polli d’allevamento.
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Bernays: vi guideremo come pecore, sarete ai nostri ordini
Annoverato dall’autorevole rivista americana “Life” tra i 100 uomini più potenti del XX Secolo, acclamato unanimemente come il creatore dell’ingegneria del consenso, Edward Louis Bernays è un nome poco familiare al pubblico europeo. Conosciuto forse a qualche curioso per la sua parentela con il padre della psicoanalisi, dello zio Freud il giovane Louis assimila velocemente e rielabora brillantemente la teoria di rivoluzionaria conoscenza dell’inconscio. Di estrazione ebraica e borghese si trasferisce giovanissimo nella New York dei primi del Novecento dove, abbandonata la strada prestabilita della prosecuzione dell’attività paterna, muove i primi passi nel mondo del giornalismo, per affermarsi in una veste di comunicatore del tutto inedita per i tempi. Dopo i fasti registrati dall’industria manifatturiera a servizio della produzione bellica della Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si trovano a dover affrontare il più spaventoso degli spettri del mercato: il rischio di sovrapproduzione. Il “brain storming” di illustri banchieri e influenti imprenditori porta a centrare la soluzione in modo deciso e inequivocabile: occorre traghettare il cittadino americano dalla cultura dei bisogni a quella dei desideri, rendendo le persone bramose di soddisfare necessità sempre nuove, gravose come impellenti bisogni.La logica economica, dopo aver asservito l’industria bellica per accrescere la propria produzione, si avvicina così alla neonata scienza della psicoanalisi. Ma come fare a convincere i cittadini a consumare nuovi prodotti non avendo esaurito i vecchi acquistati? Per Bernays, la risposta è semplice: basta «inquadrare l’opinione pubblica così come un esercito inquadra i suoi soldati». Lo zio Sigmund aveva dato luce alla parte oscura che muove il desiderio spinto dall’inconscio: attraverso il meccanismo di compensazione dei desideri, l’individuo sposta l’orizzonte del suo desiderio represso e non ammissibile verso la sfera esterna della materialità per poterlo soddisfare. Appresa la lezione, Bernays offre la sua preziosa consulenza nella campagna della American Tobacco Company per abbattere il tabù dell’America del primo dopoguerra verso la pratica del fumo da parte delle donne. Nel 1929 inscena la parata delle “fiaccole della libertà”: ingaggia una decina di suffragette che, nel pieno di una manifestazione pasquale, accendono in modo teatrale l’oggetto del desiderio manifesto allora proibito, le sigarette, che nell’inconscio femminile rappresentavano il pene. La notizia fa il giro del mondo, veicolata come gesto di libertà e emancipazione femminile, intaccando fortemente il tabù puritano.L’individuo, dunque, è disposto ad assumere comportamenti irrazionali, orientati al consumo di prodotti non solo inutili per la sua vita, ma addirittura dannosi, pur di sentir soddisfatti alcuni sui aneliti inconfessabili e inappagati, pur di veicolare all’esterno un’immagine che lo gratifichi e lo faccia sentire apprezzato dagli altri. E proprio perché in preda a forze inconsce gli essere umani vanno controllati, «come un gregge di pecore va guidato». Alle minoranze più intelligenti spetta il compito di fare proselitismo e indirizzare le masse indisciplinate e irrazionali. Una sorta di compito morale degli eletti: «Solo così si può coniugare l’interesse individuale con quello collettivo per favorire lo sviluppo e il benessere dell’America» (“Propaganda”, 1928). L’elenco dei clienti di Bernays è un pullulare di nomi del gotha economico e politico americano: Procter & Gamble, l’American General Electric, la General Motors, il presidente Usa Eisenhower sono solo alcuni dei nomi presenti nello sterminato portfolio di Bernays, capace di camuffare da colpo di Stato il golpe guatemalteco del 1953 per favorire, al fianco della Cia, gli interessi della United Fruit Company. La sua fama arriverà oltreoceano, conquistando con le sue teorie il ministro della propaganda nazista Goebbels, suo dichiarato fan. E’ a lui che devono la paternità tutte le attuali figure “professionali”, come gli spin doctor, che hanno fatto della propaganda l’arma del consenso sociale.(Ilaria Bifarini, “Il padre della propaganda: Edward Bernays”, da “Scenari Economici” del 21 settembre 2017. Economista, la Bifarini è autrice del saggio “Neoliberismo e manipolazione di massa, storia di una bocconiana redenta”).Annoverato dall’autorevole rivista americana “Life” tra i 100 uomini più potenti del XX Secolo, acclamato unanimemente come il creatore dell’ingegneria del consenso, Edward Louis Bernays è un nome poco familiare al pubblico europeo. Conosciuto forse a qualche curioso per la sua parentela con il padre della psicoanalisi, dello zio Freud il giovane Louis assimila velocemente e rielabora brillantemente la teoria di rivoluzionaria conoscenza dell’inconscio. Di estrazione ebraica e borghese si trasferisce giovanissimo nella New York dei primi del Novecento dove, abbandonata la strada prestabilita della prosecuzione dell’attività paterna, muove i primi passi nel mondo del giornalismo, per affermarsi in una veste di comunicatore del tutto inedita per i tempi. Dopo i fasti registrati dall’industria manifatturiera a servizio della produzione bellica della Prima Guerra Mondiale, gli Stati Uniti si trovano a dover affrontare il più spaventoso degli spettri del mercato: il rischio di sovrapproduzione. Il “brain storming” di illustri banchieri e influenti imprenditori porta a centrare la soluzione in modo deciso e inequivocabile: occorre traghettare il cittadino americano dalla cultura dei bisogni a quella dei desideri, rendendo le persone bramose di soddisfare necessità sempre nuove, gravose come impellenti bisogni.
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“Élite satanista, mi han coinvolto nel ’sacrificio’ di bambini”
Sacrifici umani – vittime, i bambini – per poi ricattare a vita i partecipanti, membri della super-élite finanziaria internazionale. E’ il contenuto della scioccante video-intervista realizzata dalla giornalista olandese Irma Schiffers per il network indipendente “De Vrije Media Tv”. Nel filmato, pubblicato su YouTube, a vuotare il sacco è un uomo dall’aspetto giovanile, il connazionale Ronald Bernard, esperto in “psicologia della finanza”, settore che si occupa della “persuasione del cliente”. Decisamente scosso, Bernard, quando rievoca l’esperienza che sostiene di aver vissuto: si sarebbe rifiutato, all’ultimo istante, di abusare di minori, durante riti “satanici” organizzati da esponenti, insospettabili, del massimo potere. Gli occhi gli si riempiono di lacrime. «Bambini…», dice, a mezza voce. Sembra sconvolto, al ricordo. «Ti è stato chiesto di farlo?», gli domanda l’intervistatrice. «Sì, ma io non ho potuto». S’interrompe, non riesce quasi più a parlare. Poi si riprende: la sua coscienza, dice, si è come «scongelata», e allora ha detto di no. «Quando si entra così profondamente in queste cerchie – racconta – ti fanno firmare un contratto a vita: non devi divulgare i nomi delle imprese, delle organizzazioni o delle persone. Penso sia per questo che sono ancora in vita», sostiene Bernard, che infatti si guarda bene dal fare nomi.La sua lunghissima intervista, sottotitolata in francese e tradotta in italiano sul blog di Maurizo Blondet, illumina retroscena allucinanti come quelli esplorati dal romanzo “Nel nome di Ishmael”, per il quale l’autore – Giuseppe Genna – ricevette complimenti da Francesco Cossiga, che al telefono gli disse: «Bravo, Genna. Vedo che ha capito come funziona, quel sistema». La trama del romanzo “svela” un’organizzazione segreta, Ishmael, dietro cui si celano i vertici del potere planetario: economia, finanza, politica, militari, servizi segreti. Il loro “metodo”? Assassinare leader scomodi, facendo precedere l’attentato dal sistematico ritrovamento del cadavere di un bambino, a volte anche neonato, orribilmente abusato e “sacrificato”. «La maggior parte di quelle persone – dice oggi l’olandese Bernard – aderisce a una religione speciale», che lui chiama “luciferina”. Nel 2016, fece scalpore – in Svizzera – la sconcertante performance “artistica”, musicale e multimediale, messa in scena per l’inaugurazione del traforo ferroviario del Gottardo: una coreografia spettacolare, con decine di figuranti dall’aspetto sub-umano, ridotti a schiavi, in adorazione di un dio-caprone. Il tutto, sotto lo sguardo impassibile delle massime autorità europee.«Io ero in contatto con questi circoli, queste reti», racconta Bernard alla Schiffers. «Per me non erano che clienti», spiega. «Quindi ho frequentato dei posti chiamati “Chiesa di Satana”», ma solo «come visitatore: un invitato, lasciato in disparte». E quelli? «Facevano le loro “sante messe” con donne nude e alcolici». All’epoca, continua l’olandese, «tutto questo semplicemente mi ha divertito». Niente di serio, insomma. Ma poi, un giorno, Bernard racconta di esser stato «invitato, all’estero, a partecipare a dei sacrifici». E qui l’uomo comincia a crollare: parla di bambini, dichiara di esserne rimasto sconvolto. Fra interruzioni, imbarazzi e commozione, lascia capire di essersi rifiutato di partecipare a qualcosa di abominevole. «Dopo questo, ho cominciato lentamente a crollare». Eppure, dice, quello era il mondo nel quale si era trovato: «Così ho iniziato a rifiutare incarichi professionali: non potevo più eseguirli». Il suo rifiuto, dice, l’ha messo in pericolo: «Questo ha fatto di me una minaccia – per loro, ovviamente. Non riuscivo più a funzionare in modo ottimale, vacillavo, rifiutavo alcuni compiti. Non avevo partecipato…».Lo scopo di quei riti tenebrosi? «E’ di tenere tutti in pugno, col ricatto. Devi poter essere soggetto al ricatto. E lo fanno attraverso i bambini. Questo mi ha sconvolto», scandisce Ronald Bernard, tra le lacrime. «Purtroppo – aggiunge – la verità è che ciò avviene nel mondo intero, e da migliaia di anni». Il finanziere olandese cita la Bibbia e parla di Satana, aggiungendo di aver studiato teologia «per dare un senso a tutto questo», dopo esser stato un “numero uno” in tutt’altro campo, quello della “psicologia delle masse” applicata al business: «Ero capace di manipolare le situazioni a mio vantaggio». L’intervistatrice evoca il Tavistock Institute, il controllo mentale, progetti Cia come l’Mk-Ultra. Bernard annuisce: «Sì, esattamente, ma questo fa parte del mio lavoro». E spiega: «Quando fate transazioni, dovete anche manipolare i media; dovete manipolare molte cose, perché niente può essere lasciato al caso. Tutto è falsato. Ci si abitua a vedere la gente come un gregge di pecore. Usate qualche cane da pastore per mandarle dove volete voi. E francamente, vedo che questo continua dappertutto. La gente non capisce di essere manipolata, è completamente assorbita in un meccanismo di sopravvivenza – e questo è programmato. E scoprite com’è facile, manipolare le masse in una direzione, quando a tirare i fili siete voi».Puro cinismo, nel super-vertice evocato dal “pentito” Bernard: in quei circoli esclusivi, dice, «noi le persone le mastichiamo: sono solo un prodotto, spazzatura». E così tutto il resto: «La natura, il pianeta, tutto può bruciare, tutto per noi può essere distrutto: sono solo parassiti inutili. Servono solo a farci crescere, a farci raggiungere i nostri obiettivi». I super-malvagi, secondo Bernard, agiscono per odio puro, in purezza ascetica e fanatica: odio per il genere umano, la natura, la “creazione”. Devastazioni orrende, a ogni livello – dal “sacrificio” di minori a quello, economico, di interi popoli – compiute come fossero “offerte votive” per la contro-divinità a cui questa oligarchia sarebbe devota. «Sono pochi quelli che non sottovalutano la gravità di tutto questo», insiste Bernard. «Perché questa è una forza annientatrice, che odia l’umanità. Odia la creazione, odia la vita. E farà di tutto per distruggerci completamente. E il loro modo per farlo è dividere l’umanità: “divide et impera” è la loro verità». Bernard denuncia il largo impiego dei servizi segreti, per produrre terrorismo e guerre allo scopo di «creare una quantità di sofferenza e miseria in questo mondo».Traffico di droga, di armi e anche di esseri umani: sono metodi, dice ancora Bernard, attraverso i quali si implementano i fondi neri delle strutture di intelligence incaricate di organizzare “l’inferno in Terra”. Dice: «L’intero mondo che crediamo di conoscere è una illusione». Quello che «ci vien fatto credere», aggiunge, è integralmente falso. Lui sostiene di averlo scoperto grazie al tiopo di lavoro che ha svolto. «Tutto è finanziato», insiste, alludendo per esempio all’Isis. «C’è tutto un mondo invisibile», dice Bernard, che ammette di aver da poco “scoperto” i Protocolli dei Savi di Sion, storico falso documentale, fabbricato per alimentare l’antisemitismo. Un capolavoro di manipolazione, fabbricato in Russia dall’Okhrana, la polizia segreta zarista, e pubblicato nel 1903. Dopo oltre un secolo, Ronald Bernard lo trova interessante: «Se lo studi e lo capisci, è come leggere il giornale della vita quotidiana». Ma, a parte le anticaglie del razzismo europeo pre-hitleriano, il finanziere olandese che denuncia i “riti satanici” dell’élite, col “sacrificio dei bambini”, appare sinceramente scosso e allarmato: «La gente non si difende, non si oppone. Non capisce cos’è davvero la realtà». Ancora, cita il Satana della Bibbia, ormai demistificato dall’esegesi: nell’Antico Testamento, il “satàn” era un ruolo sociale, quello dell’oppositore giudiziale, nel caso di controversie. Questo però non toglie che, ai piani alti del potere, si possa credere che esista davvero, il “principe del male”: cui magari “sacrificare” innocenti?Sacrifici umani – vittime, i bambini – per poi ricattare a vita i partecipanti, membri della super-élite finanziaria internazionale. E’ il contenuto della scioccante video-intervista realizzata dalla giornalista olandese Irma Schiffers per il network indipendente “De Vrije Media Tv”. Nel filmato, pubblicato su YouTube, a vuotare il sacco è un uomo dall’aspetto giovanile, il connazionale Ronald Bernard, esperto in “psicologia della finanza”, settore che si occupa della “persuasione del cliente”. Decisamente scosso, Bernard, quando rievoca l’esperienza che sostiene di aver vissuto: si sarebbe rifiutato, all’ultimo istante, di abusare di minori, durante riti “satanici” organizzati da esponenti, insospettabili, del massimo potere. Gli occhi gli si riempiono di lacrime. «Bambini…», dice, a mezza voce. Sembra sconvolto, al ricordo. «Ti è stato chiesto di farlo?», gli domanda l’intervistatrice. «Sì, ma io non ho potuto». S’interrompe, non riesce quasi più a parlare. Poi si riprende: la sua coscienza, dice, si è come «scongelata», e allora ha detto di no. «Quando si entra così profondamente in queste cerchie – racconta – ti fanno firmare un contratto a vita: non devi divulgare i nomi delle imprese, delle organizzazioni o delle persone. Penso sia per questo che sono ancora in vita», sostiene Bernard, che infatti si guarda bene dal fare nomi.
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Hayek, il profeta dell’élite che ha rottamato la democrazia
Le origini dell’ascesa di Trump, ovvero: come una rete spietata di ideologi super-ricchi ha ucciso il potere di scelta e distrutto la fede della gente nella politica. «L’uomo che ha affondato la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza non è stato Donald Trump. È stato suo marito», Bill Clinton. Lo afferma l’analista inglese George Monbiot, secondo cui Clinton è stato l’ultimo epigono dell’aberrante visione del mondo proposta dal pensatore austriaco neo-aristocratico Frederick von Hayek, sinistro profeta della dittatura dell’élite finanziaria in nome di presunti valori. «La serie di eventi che ha portato all’elezione di Donald Trump è iniziata in Inghilterra nel 1975», sostiene Monbiot. Durante un incontro pochi mesi dopo che Margaret Thatcher era diventata leader del partito conservatore, uno dei suoi colleghi stava esponendo quelli che secondo lui erano i valori fondanti del conservativismo, o almeno questo è ciò che si dice. Lei aprì di scatto la sua borsetta, tirò fuori un libro consumato, e lo sbatté sul tavolo. «Questo è ciò che noi crediamo», disse. «Era appena iniziata una rivoluzione politica che sarebbe dilagata in tutto il mondo. Il libro era “The Constitution of Liberty” di Frederick Hayek».La sua pubblicazione nel 1960 segnò la transizione da una filosofia rispettabile, anche se estrema, ad un caos totale, scrive Monbiot, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Quella filosofia era chiamata neoliberalismo. «Considerava la competizione come la caratteristica distintiva delle relazioni umane. Il mercato avrebbe trovato la sua naturale gerarchia di vincitori e perdenti, e ne sarebbe risultato un sistema più efficiente di quanto sarebbe stato possibile attraverso la programmazione o la progettazione». Attenzione: «Qualsiasi cosa impedisse tale processo, come tasse sostanziose, regole, attività sindacali o incentivi statali, era controproducente. L’imprenditorialità senza restrizioni avrebbe prodotto una ricchezza con effetti positivi a cascata su tutti». Quando Hayek iniziò a scrivere “The Constitution of Liberty”, «la rete di lobbisti e pensatori che aveva creato stava ricevendo generosi finanziamenti da parte di multi-milionari che vedevano questa dottrina come un modo per difendere se stessi dalla democrazia». Hayek inizia il libro suggerendo la concezione più semplice possibile di libertà: l’assenza di coercizione. Rifiuta nozioni come libertà politica, diritti universali, uguaglianza degli esseri umani e distribuzione equa della ricchezza.Tutti concetti che, limitando il campo d’azione di ricchi e potenti, si interpongono tra loro e l’assoluta libertà dai vincoli a cui ambiscono. La democrazia, al contrario, «non è un valore supremo o gradito a tutti». Infatti, la libertà consiste nell’impedire che la maggioranza abbia potere decisionale sulla direzione che la politica e la società decidono di prendere. Hayek «giustifica questa visione delineando una narrativa epica di estrema prosperità», e identifica l’élite economica «con un gruppo di pionieri della filosofia e della scienza che spenderanno il loro denaro in modi nuovi». Così come il filosofo politico dovrebbe essere libero di “pensare l’impensabile”, allo stesso modo «chi è molto ricco dovrebbe essere libero di tentare l’infattibile, senza vincoli posti dall’interesse collettivo o dall’opinione pubblica». E allora i super-ricchi diventano «esploratori» che «sperimentano nuovi stili di vita», tracciando la strada che il resto della società seguirà. Il progresso della società «dipende dalla libertà di questi “indipendenti” di guadagnare tutto il denaro che vogliono e di spenderlo come meglio credono. Tutto ciò che è buono e utile, quindi, deriva dall’ineguaglianza». Non ci dovrebbe essere connessione tra merito e ricompensa, nessuna distinzione tra guadagni giusti e immeritati e alcun limite agli affitti che possono far pagare.Inoltre, la ricchezza ereditata è socialmente più utile di quella guadagnata: «Il ricco indolente», che non deve lavorare per denaro, può dedicarsi a influenzare «aree di pensiero e opinione, gusti e idee». Anche quando sembra che spenda soldi solo per uno «sfoggio senza senso», sta in realtà agendo da avanguardia della società. Tutto ciò che il ricco fa è, per definizione, positivo. Hayek ammorbidì l’opposizione ai monopoli e irrigidì quella verso i sindacati. Criticò la tassazione progressiva e ogni tentativo da parte dello Stato di elevare il benessere generale dei cittadini. Insistette che ci fossero «argomentazioni schiaccianti contro la sanità pubblica gratuita per tutti» e respinse l’idea della salvaguardia delle risorse naturali (non stupisce che abbiano dato il Nobel per l’economia). Sicché, «quando la signora Thatcher sbatté il suo libro sul tavolo, si era già formata su entrambe le rive dell’Atlantico una vivace rete di think tank, lobbisti e accademici che promuovevano la dottrina di Hayek, abbondantemente finanziata da alcune delle persone e compagnie più ricche del pianeta, compresi DuPont, General Electric, la società di birrificazione Coors, Charles Koch, Richard Mellon Scaife, Lawrence Fertig, il William Volcker Fund e la Earhart Foundation».Usando in modo geniale la psicologia e la linguistica, continua Monbiot, i pensatori sponsorizzati da queste persone trovarono le parole e le argomentazioni necessarie per trasformare l’inno all’élite di Hayek in un programma politico plausibile. Il Thatcherismo e il Reaganismo? Due facce del medesimo neoliberismo: «L’imponente taglio alle tasse per i ricchi, l’attacco ai sindacati, la riduzione degli alloggi popolari, la liberalizzazione, privatizzazione, delocalizzazione e la concorrenza nei servizi pubblici erano già stati teorizzati da Hayek e dai suoi discepoli». Ma il vero trionfo di questo network, sottolinea Monbiot, non fu la sua “innovativa” concezione del diritto, bensì «la conquista di partiti che un tempo erano schierati a favore di tutto ciò che Hayek detestava», cioè le formazioni politiche “di sinistra”, che furono completamente “colonizzate”. Bill Clinton e Tony Blair «estrapolarono alcuni elementi di ciò che un tempo i loro partiti avevano creduto, lo combinarono con idee prese in prestito dai loro oppositori, e da questa improbabile combinazione diedero vita alla “terza via”. Era inevitabile che lo sfavillante e rivoluzionario entusiasmo del neoliberalismo avrebbe esercitato una forza di attrazione più potente della stella morente della democrazia sociale».Dovunque, allora, si poteva assistere al trionfo di Hayek: dall’ampliamento della Private Finance Initiative di Blair alla revoca da parte di Clinton del Glass-Steagal Act, che regolava il settore finanziario. «Nonostante le sue lodevoli intenzioni, nemmeno Barack Obama aveva una narrativa politica ben definita (eccetto la “speranza”), e lentamente è stato cooptato da coloro che detenevano migliori mezzi di persuasione». Il risultato di tutto ciò è stato «prima l’indebolimento del potere e poi la privazione dei diritti civili». Se l’ideologia dominante consiglia ai governi di non garantire più la giustizia sociale, «essi non possono più rispondere ai bisogni dell’elettorato», e così «la politica diventa irrilevante per le vite dei cittadini». Al che, il cittadino defraudato dei propri diritti «si rivolge verso un’astiosa anti-politica, dove fatti e ragionamenti vengono sostituiti da slogan». Il risultato di oggi è paradossale, dice Monbiot: proprio la sollevazione popolare contro la “dittatura” del neoliberismo «ha portato al successo proprio quel tipo di uomo che Hayek mitizzava», cioè Donald Trump, ovvero un uomo «che non ha una visione politica coerente, non è un neoliberale classico, ma è la perfetta rappresentazione dell’“indipendente” di Hayek: è il beneficiario di una fortuna ereditata, non assoggettato ai comuni limiti della moralità, le cui rozze inclinazioni aprono nuove strade che altri potrebbero seguire».I pensatori neoliberali adesso «brulicano intorno a questo uomo vacuo, a questo vaso vuoto che aspetta di essere riempito da coloro che sanno bene cosa vogliono». Il probabile risultato «sarà la demolizione di tutto ciò che ancora ci fa onore, a cominciare dall’accordo sulla limitazione del riscaldamento globale». Conclude Monbiot: «Coloro che raccontano storie governano il mondo. La politica è fallita a causa della mancanza di narrative valide. La sfida principale adesso è raccontare una storia nuova, quella di cosa significhi “umanità” nel ventunesimo secolo». Un nuovo “racconto”, dunque, che «deve essere tanto seducente per coloro che hanno votato Trump e lo Ukip, quanto per i sostenitori di Hillary Clinton, Bernie Sanders o Jeremy Corbyn». La psicologia e le neuroscienze riconoscono che gli esseri umani, rispetto ad altri animali, sono al tempo stesso fortemente sociali e fortemente egoisti? Certo, e «l’atomizzazione e il comportamento cinico che il neoliberalismo promuove va contro quasi tutto ciò che caratterizza la natura umana. Hayek ci ha detto chi siamo, e si sbagliava. Il primo passo da compiere è riappropriarci della nostra umanità».Le origini dell’ascesa di Trump, ovvero: come una rete spietata di ideologi super-ricchi ha ucciso il potere di scelta e distrutto la fede della gente nella politica. «L’uomo che ha affondato la candidatura di Hillary Clinton alla presidenza non è stato Donald Trump. È stato suo marito», Bill Clinton. Lo afferma l’analista inglese George Monbiot, secondo cui Clinton è stato l’ultimo epigono dell’aberrante visione del mondo proposta dal pensatore austriaco neo-aristocratico Frederick von Hayek, sinistro profeta della dittatura dell’élite finanziaria in nome di presunti valori. «La serie di eventi che ha portato all’elezione di Donald Trump è iniziata in Inghilterra nel 1975», sostiene Monbiot. Durante un incontro pochi mesi dopo che Margaret Thatcher era diventata leader del partito conservatore, uno dei suoi colleghi stava esponendo quelli che secondo lui erano i valori fondanti del conservativismo, o almeno questo è ciò che si dice. Lei aprì di scatto la sua borsetta, tirò fuori un libro consumato, e lo sbatté sul tavolo. «Questo è ciò che noi crediamo», disse. «Era appena iniziata una rivoluzione politica che sarebbe dilagata in tutto il mondo. Il libro era “The Constitution of Liberty” di Frederick Hayek».