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Archivio del Tag ‘politica’

  • Fioramonti, guru 5 Stelle, tra Rothschild, Soros e Rockefeller

    Scritto il 06/2/18 • nella Categoria: segnalazioni • (24)

    Caro Di Maio, sei sicuro di sapere con chi te ne vai a spasso, a Londra? E voi, grillini militanti e simpatizzati, avete idea di chi sia, davvero, il vostro nuovo guru in materia di economia? Sembra di leggere “Alice nel paese delle meraviglie”, e invece è la pagina Facebook di Nicolas Micheletti, economista sovranista con ufficio in Svizzera, oggi tra i sostenitori della “Lista del Popolo” di Ingroia & Chiesa. Fioramonti, chi è costui? I veri uomini del grande potere, secondo Paolo Barnard, sbucano sempre dal nulla: o meglio, hanno alle spalle anni di carriera in istituzioni finanziarie di vertice, ma restano a lungo nell’ombra, al riparo dai riflettori. Da lì lavorano sodo, in modo formidabile e spesso con un unico obiettivo: mettere in ginocchio gli Stati, imponendo il rigore neoliberista che impoverisce il 99% arricchendo solo l’élite. Come? Con il solito sistema: tagliare la spesa pubblica e alzare le tasse. Ne è un esempio l’Italia uscita con le ossa rotte dalla “cura” Monti, secondo la dottrina dell’avanzo di bilancio: lo Stato che incamera più soldi, dai contribuenti, di quanti ne spenda per i cittadini (sotto forma di deficit postivo). E in piena crisi, col paese allo stremo proprio a causa dell’austerity, chi vanno a pescare i 5 Stelle? Lorenzo Fioramonti, autorevole esponente della scuola più dogmatica, quella del super-rigore.
    «Ho cercato per giorni di capire da dove cavolo fosse spuntato fuori il punto programmatico del M5S di tagliare il rapporto debito/Pil del 40% in 10 anni», scrive Micheletti sulla sua pagina Facebook: «Ho chiesto in giro, ovunque». Amputare la spesa pubblica del 4% ogni anno? Secondo gli economisti keynesiani è l’autostrada per l’inferno, spacciata per “comportamento virtuoso”: da una parte lo Stato con “i conti in ordine”, dall’altra aziende che licenziano e chiudono, e famiglie alla canna del gas dopo aver bruciato i risparmi di una vita. Uno schema monotono: il teorema “teologico” neoliberista. «I grillini dicono sempre che il programma è tutto scelto dagli attivisti, ma io non ho trovato da nessuna parte alcuna prova (e so cercare bene le info)», scrive Micheletti. «Non sembra essere esistita alcuna votazione al riguardo di questo punto del programma: è chiaramente un punto preso e messo lì dall’alto», quindi «non molto nello stile democratico di cui parlano tanto». Poi, la scoperta: l’obiettivo del massimo rigore ammazza-Italia «l’ha messo lì Fioramonti». Ebbene sì: «Tra tutti gli economisti italiani che il Movimento 5 Stelle poteva scegliere, ha scelto proprio lui». Ma chi è, il professor Fioramonti? Micheletti lo definisce «un simpatico personaggio con un passato molto interessante», in una geografia punteggiata da nomi che tutti conoscono, dalla casata Rothschild a George Soros.
    Ordinario di economia politica a Pretoria, Sudafrica, Fioramonti insegna «in una università il cui capo è Wiseman Nkuhlu, chairman dei Rothschild» (e il cognome Nkulu, ironizza Micheletti, «è pertinente alla nostra situazione politica»). Noto per gli studi sull’innovazione della governance e per la critica al Pil, da sostituire con altri indicatori di salute, Fioramonti è presidente, nonché unico professore, del progetto Jean Monnet, con specializzazione in studi sull’Ue, in Africa (brutto nome, Monnet: sinonimo di rigore europeo imposto ideologicamente dai padrini storici dell’attuale oligarchia, nemica della democrazia sociale e del benessere diffuso). Non solo: la prefazione dei libri di Fioramonti, continua Micheletti, è a cura di Enrico Giovannini, esponente del Club di Roma e dell’Aspen Institute, due santuari dell’élite finanziaria mondialista. Libri, peraltro, «recensiti dalla London School (Evelyn Rothschild)». In più, aggiunge ancora Micheletti, Fioramonti scrive articoli per la “Open Democracy” di Soros. «E per far felici anche gli immigrazionisti, ha una cattedra in “Integrazione regionale, Migrazione e libera circolazione delle persone”». Chi manca? Rockefeller. «Per chiudere in bellezza», chiosa Micheletti, il buon Fioramonti «ha lavorato anche per la Fondazione Rockefeller. Insomma, un personaggio libero e indipendente da ogni vincolo e intrallazzo con il potere».

    Caro Di Maio, sei sicuro di sapere con chi te ne vai a spasso, a Londra? E voi, grillini militanti e simpatizzati, avete idea di chi sia, davvero, il vostro nuovo guru in materia di economia? Sembra di leggere “Alice nel paese delle meraviglie”, e invece è la pagina Facebook di Nicolas Micheletti, attivista sovranista vicino a Paolo Barnard. Fioramonti, chi è costui? I veri uomini del grande potere, secondo Barnard, sbucano sempre dal nulla: o meglio, hanno alle spalle anni di carriera in istituzioni finanziarie di vertice, ma restano a lungo nell’ombra, al riparo dai riflettori. Da lì lavorano sodo, in modo formidabile e spesso con un unico obiettivo: mettere in ginocchio gli Stati, imponendo il rigore neoliberista che impoverisce il 99% arricchendo solo l’élite. Come? Con il solito sistema: tagliare la spesa pubblica e alzare le tasse. Ne è un esempio l’Italia uscita con le ossa rotte dalla “cura” Monti, secondo la dottrina dell’avanzo di bilancio: lo Stato che incamera più soldi, dai contribuenti, di quanti ne spenda per i cittadini (sotto forma di deficit postivo). E in piena crisi, col paese allo stremo proprio a causa dell’austerity, chi vanno a pescare i 5 Stelle? Lorenzo Fioramonti, autorevole esponente della scuola più dogmatica, quella del super-rigore.

  • Verso l’inciucio per blindare i segreti Mps, cioè il Pd e Draghi

    Scritto il 05/2/18 • nella Categoria: segnalazioni • (11)

    Se, dopo i dati desolanti e fuori norma di Mps pubblicati questa settimana, la vigilanza della Banca Centrale Europea non attaccherà la banca senese, forse è perché attaccandola esporrebbe il suo presidente Mario Draghi, il quale, da governatore della Banca d’Italia, impose all’organo di vigilanza di questa, contro l’originario parere del medesimo, di autorizzare Mussari (allora Ad di Mps) alla rovinosa acquisizione (senza “due diligence”) di Antonveneta, atto che avrà reso disinteressatamente felice qualcuno, ma che è stato la causa fondamentale del disastro di quella banca, di molti risparmiatori e lavoratori. I dati pubblicati ieri dal Monte pongono seri dubbi sulla possibilità di un piano industriale ragionevole e credibile e dall’altro lato confermano l’ipotesi formulata nel mio precedente articolo “Il Monte degli Inganni”, ovvero che la recente emissione di una grossa obbligazione subordinata da parte del Monte sia una operazione di raccolta emergenziale di liquidi con cui costituire coperture per le perdite ultimamente affiorate sui crediti, onde far fronte al severo esame della vigilanza della Banca Centrale Europea previsto per febbraio.
    Draghi, ora, data la montante crisi da sofferenze di Mps e stanti le sue predette responsabilità nella acquisizione di Antonveneta, si trova esposto a ricatti del partito del Quarto Reich nella Banca Centrale Europea, quindi è debole, condizionabile. Al contempo, la maggioranza di governo a guida piddina ha un forte bisogno che non scoppi proprio adesso una nuova crisi del Monte dei Paschi di Siena, affinché non venga alla luce l’azione partitico-clientelare con-causa (assieme alla conclamata manchevolezza degli organi di vigilanza) della crisi della detta banca – azione che, se venisse resa nota all’opinione pubblica, porterebbe a un disastro elettorale per la maggioranza. E vanificherebbe lo sforzo per tenerla coperta fatto dalla commissione parlamentare di inchiesta sulla crisi delle 7 banche. Che cosa non si fa per tacitare le acque ed acquisire (forse) consensi toscani? Si manda Padoan a Siena e gli si fa proclamare l’ennesima bufala pre-elettorale, ovvero che lo Stato presto uscirà dal Monte: un ottimo affare per le tasche dei cittadini.
    Su scala nazionale – dicono i farneticanti della dietrologia più screditata – avviene invece che il modo più rapido per arricchirsi con le banche, consistente nel prendersi direttamente i soldi dei depositanti lasciando le casse vuote a carico dei risparmiatori e dei contribuenti, è stato sdoganato dalla politica dei partiti e delle istituzioni, e viene trasversalmente tutelato come diritto della casta sulla società civile. Lo confermerebbe – dicono quegli inattendibili malpensanti – il fatto che la reticente relazione della commissione d’inchiesta, che è stata redatta dalla maggioranza di governo e che sottace le gesta bancarie di qualche Boschi, gli atti trasmessi dai Pm e altre cose pericolose per il Pd, è stata approvata grazie alla provvidenziale assenza di 4 deputati berlusconiani. Una ulteriore indicazione, agli occhi dei paranoici complottisti, che Berlusconi si prepara a un governo di irresponsabilità nazionale e solidarietà partitocratica con Renzi (o Gentiloni/Prodi/Casini/Amato + Boschi) e Associati. Si noti che ieri, a “Radio Radicale”, Brunetta, su domanda se entrerebbe mai in un governo col Pd, ha risposto «con Renzi mai», ma non «col Pd mai».
    (Marco Della Luna, “Mons Nazarenus, preallarme inciucio sulla miniera bancaria”, dal blog di Della Luna del 2 febbraio 2018).

    Se, dopo i dati desolanti e fuori norma di Mps pubblicati questa settimana, la vigilanza della Banca Centrale Europea non attaccherà la banca senese, forse è perché attaccandola esporrebbe il suo presidente Mario Draghi, il quale, da governatore della Banca d’Italia, impose all’organo di vigilanza di questa, contro l’originario parere del medesimo, di autorizzare Mussari (allora Ad di Mps) alla rovinosa acquisizione (senza “due diligence”) di Antonveneta, atto che avrà reso disinteressatamente felice qualcuno, ma che è stato la causa fondamentale del disastro di quella banca, di molti risparmiatori e lavoratori. I dati pubblicati ieri dal Monte pongono seri dubbi sulla possibilità di un piano industriale ragionevole e credibile e dall’altro lato confermano l’ipotesi formulata nel mio precedente articolo “Il Monte degli Inganni”, ovvero che la recente emissione di una grossa obbligazione subordinata da parte del Monte sia una operazione di raccolta emergenziale di liquidi con cui costituire coperture per le perdite ultimamente affiorate sui crediti, onde far fronte al severo esame della vigilanza della Banca Centrale Europea previsto per febbraio.

  • Centrodestra e Pd, lo squadrone dei candidati impresentabili

    Scritto il 04/2/18 • nella Categoria: segnalazioni • (15)

    Chiuse le liste delle convocazioni dei partiti, dopo notti di lotte all’arma bianca nelle segrete stanze di Arcore e del Nazareno, in attesa di conoscere l’allenatore, ecco la formazione titolare con cui il centrodestra si schiera in campo. Con la fascia di capitano, candidato capolista al Senato in Campania, Luigi Cesaro, detto “Giggino a’ purpetta”, indagato per voto di scambio in riferimento alle ultime elezioni regionali e per minacce a pubblico ufficiale aggravato dalla finalità mafiosa: avrebbe fatto pressioni su una funzionaria del Comune di Marano, che si occupava dei controlli su opere costruite dall’impresa di Aniello e Raffaele Cesaro, suoi fratelli. Antonio Angelucci, premiato per la sua assidua presenza in Parlamento (99.59% di assenze) e per i risultati sul fronte giudiziario con una condanna in primo grado a un anno e 4 mesi per falso e tentata truffa per i contributi pubblici percepiti tra il 2006 e il 2007 per i quotidiani “Libero” e “Il Riformista”; oltre un indagine in corso in merito a un’inchiesta sugli appalti nella sanità della procura di Roma. Per lui il posto di capolista alla Camera nel Lazio.
    Ugo Cappellacci, capolista in Sardegna, ex governatore, per lui chiesta condanna per abuso d’ufficio nel processo scaturito nell’inchiesta sulla cosiddetta P3; condannato in secondo grado a restituire alla Regione Sardegna circa 220 mila euro. Condannato a due anni e mezzo di reclusione per il crac milionario della Sept Italia, società fallita nel 2010. Fresco di sentenza Michele Iorio, candidato al Senato in Molise, è stato condannato qualche giorno fa dalla corte d’appello di Campobasso a 6 mesi di reclusione per abuso d’ufficio e a un anno di interdizione dai pubblici uffici. In Puglia rispunta una vecchia conoscenza: Domenico Scilipoti. E’ stato condannato a versare 200 mila euro più spese legali per un vecchio debito non pagato. Ma è noto ai più per il suo triplo salto carpiato da Idv all’allora maggioranza, per salvare il governo Berlusconi nel 2010, dando addirittura vita a un neologismo: “scilipotismo”. In Sicilia continua la “dinastia Genovese”. Stavolta tocca a una donna di fiducia dell’ex deputato condannato Francantonio Genovese, Mariella Gullo. Anche lei raggiungerà quota 20mila come toccò prima al cognato e poi al nipote Luigi Genovese alle scorse regionali? Con lei, Urania Papatheu, candidata nel Catanese, con una condanna in primo grado per gli sperperi dell’ex Ente fiera di Messina.
    La nuove generazione delle Lega marca la sua presenza con Edoardo Rixi, assessore regionale in Liguria e imputato per le spese pazze in Regione Liguria: si sarebbe fatto rimborsare spese private con soldi pubblici. Facce nuove ma vecchi vizi. La Lega infatti candida anche tale Umberto Bossi, condannato a 2 anni e 3 mesi per aver usato i soldi del partito, quindi “provenienti dalle casse dello Stato” a fini privati. Sulla stessa onda, troviamo il redivivo Roberto Formigoni, condannato per corruzione a sei anni e imputato in altri processi: è candidato al Senato come capolista nella formazione del centrodestra ‘Noi con l’Italia’ in Lombardia. Nella stessa formazione, Raffaele Fitto alla Camera in Puglia, la Cassazione ha disposto che sarà un giudice civile a stabilire se, da presidente della Regione Puglia, Raffaele Fitto ha generato danno d’immagine all’ente, dopo che la corte d’appello di Bari l’aveva dichiarato prescritto ma lo condannava al risarcimento nei confronti della Regione.
    Il Pd, allenato da Renzi con Gentiloni pronto a sostituirlo a seconda dello scenario che si prospetterà, schiera invece in campo. Maria Elena Boschi, il capitano. Aveva promesso di lasciare la politica in caso di sconfitta al referendum e non l’ha fatto. Da ministro per le Riforme si è interessata della sorte di Banca Etruria, l’istituto bancario del padre. Ha sostenuto di averlo fatto per il territorio, infatti si candida a Bolzano nell’uninominale ed è stata piazzata in altri cinque collegi-paracadute: Cremona-Mantova, Lazio 3, Sicilia 1-02, Sicilia 2-03 e Sicilia 2-01. Tutto pur di non farle mollare la poltrona. In Campania c’è Piero De Luca, figlio del governatore della Campania, Vincenzo, capolista alla Camera ovviamente in Campania e candidato all’uninominale di Salerno, il “feudo” del padre. È imputato di bancarotta fraudolenta per il crac della società immobiliare “Ifil”, società satellite degli appalti del ‘sistema Salerno’ quando il padre era sindaco della città. Ma De Luca raddoppia, con la candidatura del suo ex capo staff, Franco Alfieri. Il “signore delle fritture” elogiato dal governatore campano perché sa fare le “clientele come Cristo comanda”, già condannato in appello a restituire 40.000 euro al Comune di Agropoli e imputato per omissione in atti d’ufficio e sottrazione di beni alla loro destinazione: avrebbe lasciato dei beni sequestrati alla camorra, e destinati al Comune di Agropoli, nella disponibilità dei vecchi proprietari. Per i pm non per dimenticanza, ma per ingraziarsi il “clan degli zingari”.
    In Campania c’è anche Umberto Del Basso De Caro, già sottosegretario ai Trasporti del governo Gentiloni, è indagato per tentata concussione e voto di scambio. In alcune conversazioni intercettate si evincerebbero, per l’accusa, le sue pressioni al dirigente generale di un ospedale per la rimozione o il trasferimento di alcuni funzionari “non graditi” alla moglie, dirigente amministrativo nello stesso nosocomio. In Abruzzo corre Luciano D’Alfonso, governatore in carica, indagato dalla procura de L’Aquila per corruzione, abuso d’ufficio e turbata libertà degli incanti per interventi di manutenzione di case popolari a Pescara e Penne. E’ stato scelto per meriti sul campo da Renzi come capolista del listino al Senato in Abruzzo. Nel Lazio schierati Claudio Mancini e Bruno Astorre, premiati per il rinvio a giudizio nell’inchiesta sui rimborsi e le spese di rappresentanza del gruppo Pd alla Pisana fra il 2010 e il 2012.
    Stesso criterio usato per le candidature nelle Marche, con Francesco Comi e Paolo Petrini, coinvolti nello scandalo sulle spese pazze in Regione, procedimento ancora aperto dopo che la Cassazione ha annullato il non luogo a procedere disposto dal gup. Anche in Calabria premiati Ferdinando Aiello, Brunello Censore e Antonio Scalzo per il processo disposto a loro carico nell’ambito dell’inchiesta “Rimborsopoli”. Scalzo, in più, ha visto di recente arrestato il suo capostruttura nell’operazione contro la ‘ndrangheta denominata “Stige”, in quanto accusato di concorso esterno alla potente cosca dei Farao-Marincola. Punta di diamante della formazione renziana, Luca Lotti, attuale ministro dello Sport, è indagato nella vicenda Consip, insieme a Renzi Senior e a gran parte del “giglio magico”, per favoreggiamento e rivelazione di segreto. E’ candidato in Toscana, nel collegio di Empoli 8.
    (“Lo squadrone di candidati impresentabili del centrodestra” e “Figli di e fritture di, gli impresentabili del Pd”, dal “Blog delle Stelle” del 3 febbraio 2018).

    Chiuse le liste delle convocazioni dei partiti, dopo notti di lotte all’arma bianca nelle segrete stanze di Arcore e del Nazareno, in attesa di conoscere l’allenatore, ecco la formazione titolare con cui il centrodestra si schiera in campo. Con la fascia di capitano, candidato capolista al Senato in Campania, Luigi Cesaro, detto “Giggino a’ purpetta”, indagato per voto di scambio in riferimento alle ultime elezioni regionali e per minacce a pubblico ufficiale aggravato dalla finalità mafiosa: avrebbe fatto pressioni su una funzionaria del Comune di Marano, che si occupava dei controlli su opere costruite dall’impresa di Aniello e Raffaele Cesaro, suoi fratelli. Antonio Angelucci, premiato per la sua assidua presenza in Parlamento (99.59% di assenze) e per i risultati sul fronte giudiziario con una condanna in primo grado a un anno e 4 mesi per falso e tentata truffa per i contributi pubblici percepiti tra il 2006 e il 2007 per i quotidiani “Libero” e “Il Riformista”; oltre un indagine in corso in merito a un’inchiesta sugli appalti nella sanità della procura di Roma. Per lui il posto di capolista alla Camera nel Lazio.

  • Di Maio: bei giornalisti, prima mi attaccano poi si candidano

    Scritto il 03/2/18 • nella Categoria: idee • (11)

    Si vede che la campagna elettorale è entrata nel vivo. Basta leggere i giornali di oggi per capire il livello degli attacchi che stanno cominciando ad intensificarsi contro il MoVimento 5 Stelle e contro di me. Naturalmente ciò che è stato scritto non mi impensierisce, ma alcune riflessioni lasciatemele fare. Cominciamo da “Panorama”, che oggi mi dedica una copertina ridicola. Ci sarebbe da ridere se non fosse che colui che fino a una settimana fa era il direttore di questo settimanale, Giorgio Mulè, oggi è candidato con Forza Italia alla Camera. Ma questo non vale solo per Panorama: Tommaso Cerno, il condirettore di “Repubblica”, il giornale di Carlo De Benedetti, si è dimesso per candidarsi con il Pd. Allora “Panorama”, per tutta la campagna elettorale, dovrebbe scrivere sotto il nome della testata che “il direttore si è dimesso per candidarsi con Forza Italia”, stessa cosa dovrebbe fare “Repubblica” scrivendo «il condirettore Tommaso Cerno si è dimesso per candidarsi con il Pd a Milano». Così riusciremmo a dare un po’ di coordinate a chi legge i giornali.
    L’altro caso del giorno riguarda la mia missione a Londra con il professor Lorenzo Fioramonti, dove abbiamo incontrato gli investitori internazionali, ai quali ho spiegato cosa faremo la sera delle elezioni. A loro ho detto che il M5S può arrivare ad avere la maggioranza, ma se così non fosse, faremo un appello pubblico a tutte le forze politiche chiedendo di convergere non sui ministeri e le poltrone, ma sui temi. La cosa assurda è che è uscita un’agenzia della “Reuters” che dice che io vorrei fare un governo di larghe intese con Fi, Pd e Lega, e questo governo di larghe intese è finito su tutte le pagine dei giornali di oggi, che scrivono di un giallo o di un presunto malinteso che non c’è mai stato. E ne scrivono soprattutto “Stampa” e “Repubblica”, i giornali di Carlo De Benedetti, che si è fatto 600mila euro grazie alla telefonata di Matteo Renzi che gli annunciava il decreto sulle popolari.
    Nei collegi uninominali abbiamo presentato una super squadra di competenti che vengono dal mondo della ricerca, dell’università, della medicina, dello sport, delle forze armate, persone che si sono messe a disposizione del paese. I giornali si sono guardati bene dal raccontare di questa squadra e tutti invece parlano di candidati “riciclati”, solo perché c’è una persona che dieci anni fa si è candidata con una coalizione di centrodestra alle amministrative e un’altra che dice di aver fatto otto anni fa la coordinatrice del Pd a livello comunale. Ma queste sono persone che hanno lavorato sul territorio e che hanno abbandonato gli altri partiti anni fa dopo averli conosciuti e che ora mettono la propria faccia nei collegi in cui si candidano.
    Nel frattempo il Pd a Bologna candida Casini, a Modena la Lorenzin e il figlio di De Luca in Campania; Berlusconi in Campania sta candidando l’autista di Raffaele Cutolo, fondatore della nuova camorra organizzata; a Salerno è candidato Alfieri, quello delle fritture di pesce, mente noi candidiamo Alessia D’Alessandro, giovane economista che lavora in Germania e parla cinque lingue. Però i nostri candidati vengono demonizzati, mentre degli impresentabili candidati dagli altri non se ne parla. Dovete aiutarci a combattere la disinformazione che fa male al paese. I prossimi trenta giorni valgono come dieci anni, perché tra 30 giorni potremmo svegliarci e avere un governo 5 Stelle. Chiedo anche a voi, in questi trenta giorni, di mettere il massimo delle vostre energie.
    (Luigi Di Maio, “Gli attacchi dei media ci rendono più forti, è il momento di dare il massimo”, dal “Blog delle Stelle” del 3 febbraio 2018).

    Si vede che la campagna elettorale è entrata nel vivo. Basta leggere i giornali di oggi per capire il livello degli attacchi che stanno cominciando ad intensificarsi contro il MoVimento 5 Stelle e contro di me. Naturalmente ciò che è stato scritto non mi impensierisce, ma alcune riflessioni lasciatemele fare. Cominciamo da “Panorama”, che oggi mi dedica una copertina ridicola. Ci sarebbe da ridere se non fosse che colui che fino a una settimana fa era il direttore di questo settimanale, Giorgio Mulè, oggi è candidato con Forza Italia alla Camera. Ma questo non vale solo per “Panorama”: Tommaso Cerno, il condirettore di “Repubblica”, il giornale di Carlo De Benedetti, si è dimesso per candidarsi con il Pd. Allora “Panorama”, per tutta la campagna elettorale, dovrebbe scrivere sotto il nome della testata che “il direttore si è dimesso per candidarsi con Forza Italia”, stessa cosa dovrebbe fare “Repubblica” scrivendo «il condirettore Tommaso Cerno si è dimesso per candidarsi con il Pd a Milano». Così riusciremmo a dare un po’ di coordinate a chi legge i giornali.

  • “Repubblica” in declino? Però ha vinto: ha spento la sinistra

    Scritto il 03/2/18 • nella Categoria: segnalazioni • (2)

    Volano stracci tra Eugenio Scalfari e Carlo De Benedetti, che forse vorrebbe liberarsi del giornale-partito nato nel 1976 «per traghettare la sinistra dall’ideologia sovietico-marxista a quella atlantico-liberale». Non è strano che saltino i nervi, scrive Federico Dezzani nella sua “breve storia, non ortodossa”, del secondo quotidiano italiano: “Repubblica” è scesa a poco più di 200.000 copie, contro le oltre 400.000 di appena sette anni fa, quando Ezio Mauro la schierò frontalmente nella battaglia contro Berlusconi. «Il crepuscolo della Seconda Repubblica avanza minaccioso e non è certo casuale che sia accompagnato dalla crisi del quotidiano che, senza dubbio, ha dominato questo periodo della storia italiana», scrive Dezzani nel suo blog. Nato «per affiancare “L’Unità”», quotidiano del Pci, «e sensibilizzare Botteghe Oscure sulle tematiche “liberali”», il giornale «cavalca nei primi anni ‘80 il caso P2, poi assiste l’assalto giudiziario che nel 1992-93 demolisce la Prima Repubblica», quindi «assume la funzione di mentore della sinistra post-comunista, traghettandola nella metamorfosi Pci-Pds-Ds-Pd», e infine «detta l’agenda al governo se la sinistra vince le elezioni», oppure «guida l’opposizione antiberlusconiana, se la sinistra le perde».

  • E bravo Di Maio, l’aspirante massone che spara sui massoni

    Scritto il 02/2/18 • nella Categoria: segnalazioni • (11)

    Bella faccia di bronzo, Luigi Di Maio: spara contro la massoneria dopo aver bussato, ripetutamente, alle porte più esclusive dei peggiori club supermassonici internazionali, quelli reazionari dell’ultra-destra finanziaria. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia segreta del super-potere massonico mondiale. La frase “incriminata”, di Di Maio l’ha pronunciata in televisione, davanti alle telecamere de “La7”: «Chi urla odio razziale, chi usa espressioni omofobe, chi è iscritto alla massoneria, chi nella propria vita ha portato azioni indecenti non si può candidare col Movimento 5 Stelle». Immediata la replica di Stefano Bisi, leader del Grande Oriente d’Italia: «Mi sono chiesto innanzitutto come un politico che aspira a diventare il futuro presidente del Consiglio, e quindi a rappresentare democraticamente tutti gli italiani senza barriere precostituite, possa usare in maniera irresponsabile e violenta certe affermazioni gratuite». Disse Voltaire: «Disapprovo ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo». L’esatto contrario della “dottrina Di Maio”, che ricorda le infauste leggi fasciste che nel 1925 portarono alla persecuzione dei massoni. Ma peggio: magari Di Maio fosse solo fuori strada. E’ anche clamorosamente ipocrita, dice Magaldi, perché il primo a voler entrare in massoneria è proprio lui.
    «L’ipocrisia e la doppiezza di Luigi Di Maio si fanno addirittura iperboliche, perché il giovanotto ha bussato al gotha delle aristocrazie massoniche neoaristocratiche, non di quelle progressiste», scrive Magaldi su “Grande Oriente Democratico”. Il leader grillino «per poco non è stato preso a pernacchie», in quei salotti di Londra e di Washington, «ma la vicenda ha un carattere tristemente esemplare, perché illustra efficacemente il modus operandi del personaggio in questione e di certa massonofobia militante la quale, privatamente, anela proprio a ciò che in pubblico demonizza e discrimina». E poi c’è un diffuso meccanismo, aggiunge Magaldi, che «induce determinati soggetti politici a scagliarsi contro i massoni che si presentino ufficialmente come tali, senza paludamenti», per poi invece «accogliere a braccia aperte chi conservi un profilo massonico accuratamente segretato». Attenzione: la sortita anti-massonica di Di Maio non è stata casale, ma premeditata: «In quelle parole del candidato premier pentastellato c’è molta ambiguità e ambivalenza». Ovvero: «C’è un messaggio polivalente, rivolto a diversi interlocutori nazionali e internazionali». Un intervento «odioso e ipocrita, apparentemente massonofobico», rivolto – in codice – a soggetti ai quali Di Maio di sta probabilmente ancora rivolgendo. Morale: «Il Movimento 5 Stelle merita un leader migliore».
    «Una volta che sarà stato celebrato l’ingannevole rito elettorale del 4 marzo, Luigi Di Maio non solo non avrà vinto le elezioni, ma avrà dimostrato di essere stato la peggiore scelta possibile, come “frontman”», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt. Il giorno dopo le elezioni, quindi, «sarà bene che l’intero Movimento 5 Stelle – garante e padre fondatore Beppe Grillo in testa – ripensi alcune modalità comunicative e strutturali dell’avventura pentastellata», anche perché «chi si candida a governare una grande nazione democratica e repubblicana come l’Italia non può permettersi il lusso di discriminare pregiudizialmente la partecipazione politica al proprio movimento di categorie di persone – i massoni – tra le fila dei quali si annoverano peraltro i maggiori eroi del Risorgimento e i più autorevoli padri della Costituzione del 1948». Più in generale, l’asserita interdizione ai liberi muratori («evidentemente a quelli che non fanno mistero di essere tali») di partecipare alla vita politica del M5S e/o di essere candidati tra le sua fila, «non solo viola il testo costituzionale italiano e la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ma favorisce semmai l’infiltrazione tra i pentastellati di massoni segreti e coperti, cui nessuno potrà contestare l’appartenenza latomistica ed escluderli da liste elettorali, proprio in quanto segreti e coperti».
    Perciò, conclude Magaldi, «lunga vita e in bocca al lupo ai tanti ottimi candidati sinceramente democratici e progressisti delle liste M5S (in primis a Pino Cabras, giornalista e intellettuale di grande pregio e spessore), ma qualcuno si prenda la briga di sottoporre Luigi Di Maio a un corso accelerato di etica costituzionale e di principi democratici, liberali e libertari, sottraendolo alle pessime figure e alla sicura débâcle cui lo condurrà la sua insipiente, pretestuosa e insincera massonofobia». Dalle parole di Di Maio, secondo Magaldi, emerge «un abisso di ipocrisia». Intanto, sparando contro “i massoni” come categoria, attenta ai diritti costituzionali degli aderenti alla massoneria. «E sarebbe lo stesso se costui avesse usato parole discriminatorie e liberticide contro altre categorie socio-antropologiche: cattolici, ebrei, musulmani, simpatizzanti di tale o talaltra dottrina filosofica, religiosa o sapienziale, inquadrati o meno in associazioni, come la massoneria, perfettamente legali, legittime e costituzionali, e anzi all’origine della nascita stessa delle Costituzioni democratiche moderne e contemporanee». Ma, appunto, il leader grillino non è neppure sincero: «Non si può trascurare il fatto che Luigi Di Maio (al pari di Matteo Renzi, che lo ha preceduto in termini quasi identici), da mesi, stia cercando di trovare a Londra e a Washington qualcuno che gli apra le porte di templi massonici prestigiosi».

    Bella faccia di bronzo, Luigi Di Maio: spara contro la massoneria dopo aver bussato, ripetutamente, alle porte più esclusive dei peggiori club supermassonici internazionali, quelli reazionari dell’ultra-destra finanziaria. Lo afferma Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere) che svela la geografia segreta del super-potere massonico mondiale. La frase “incriminata”, Di Maio l’ha pronunciata in televisione, davanti alle telecamere de “La7”: «Chi urla odio razziale, chi usa espressioni omofobe, chi è iscritto alla massoneria, chi nella propria vita ha portato azioni indecenti non si può candidare col Movimento 5 Stelle». Immediata la replica di Stefano Bisi, leader del Grande Oriente d’Italia: «Mi sono chiesto innanzitutto come un politico che aspira a diventare il futuro presidente del Consiglio, e quindi a rappresentare democraticamente tutti gli italiani senza barriere precostituite, possa usare in maniera irresponsabile e violenta certe affermazioni gratuite». Disse Voltaire: «Disapprovo ciò che dici, ma difenderò sino alla morte il tuo diritto di dirlo». L’esatto contrario della “dottrina Di Maio”, che ricorda le infauste leggi fasciste che nel 1925 portarono alla persecuzione dei massoni. Ma peggio: magari Di Maio fosse solo fuori strada. E’ anche clamorosamente ipocrita, dice Magaldi, perché il primo a voler entrare nei grandi circuiti delle superlogge è proprio lui.

  • Non conta chi vince: il sistema politico italiano è morto

    Scritto il 02/2/18 • nella Categoria: idee • (4)

    Strane elezioni: la posta in palio non è il risultato. Ovvero: più che il governo che ne verrà fuori, a essere in gioco è il sistema politico italiano nel suo complesso. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese, attento osservatore della scena italiana. Niente sarà più come prima, a prescindere dal risultato del 4 marzo. Le elezioni? Non servono solo a determinare chi governerà, ma anche a rappresentare in Parlamento gli interessi e le posizioni culturali presenti nella società. «La cultura rozzamente “governista” di questo trentennio scorso ha ridotto tutto alla scelta di chi governerà», scrive Giannuli nel suo blog. «Questa volta, però, si tratta di un gioco un po’ diverso, nel quale la determinazione del governo diventa l’obiettivo secondario, mentre in primo piano c’è l’assetto costituzionale del paese». Non la Costituzione formale, che almeno per ora non sembra più in discussione, «dopo la tranvata presa dal Pd il 4 dicembre 2016», ma la Costituzione “materiale”, «cioè il concreto assetto dei rapporti di forza durevoli». Prima domanda: resisterà, questo modello tripartito, oppure uno dei tre contendenti si avvierà ad uscire di scena, ripristinando una qualche forma di bipartitismo? O ancora: affiorerà un sistema quadripolare o pentapolare che ripristinerà le dinamiche dei governi di coalizione, grazie anche al futuro superamento dell’attuale, deludente legge elettorale?
    All’interno di questo quadro generale, sostiene Giannuli, occorrerà vedere come si articoleranno i rapporti di forza fra le attuali formazioni. Ad esempio: «E’ possibile che il centrodestra possa vincere, conquistando la maggioranza assoluta dei seggi, ma non è affatto irrilevante sapere quale sarà lo stacco fra Lega e Forza Italia». E, se i rapporti di forza non cambiassero, quindi con una sostanziale parità tra forzisti e leghisti, «è probabile che il governo durerebbe poco». Quanto ai 5 Stelle: è ben diverso se il partito di Grillo e Di Maio raggiungesse il 35, il 30 o il 25% dei suffragi. Il 35%, dice Giannuli, significherebbe che l’obiettivo di conquistare la maggioranza assoluta dei seggi da solo resterebbe praticabile. Se invece il M5S si attestasse attorno al 30% significherebbe che «ha toccato il suo tetto e dovrebbe aprire la discussione sulle alleanze possibili, a meno di voler restare in eterno all’opposizione». Ma se scendesse tra il 20 e il 25% «è probabile che questo possa avere un contraccolpo psicologico molto pesante, che aprirebbe un regolamento di conti al suo interno e forse porrebbe le premesse per un suo ulteriore arretramento, seppellendo l’idea di un possibile governo a trazione 5 Stelle».
    Quanto al Pd, «se superasse il 25 % potrebbe anche pensare di restare in gara fra i partiti di serie A», mentre se scendesse verso il 20% «vedrebbe profilarsi la serie B: un ruolo di comprimario da cespuglio (d’accordo, un grosso cespuglio, ma pur sempre un cespuglio)». Attenzione: se il partito di Renzi precipitasse sotto il 20% darebbe il via a «una reazione a catena di scissioni e riunificazioni che significherebbe la fine del Pd in quanto tale». Dunque, insiste Giannuli, «non si tratta solo del governo di questa legislatura, forse brevissima, ma dell’inizio di un processo di ristrutturazione del sistema politico, nel quale quello che conta è la direzione di marcia che prendono gli avvenimenti». Ovviamente, «la partita non si deciderà solo in questa tornata elettorale, ma occorrerà vedere che succede nelle europee del prossimo anno», per capire se le linee di tendenza si confermano, si invertono o si mescolano con altre ancora. «E poi bisognerà vedere le amministrative del 2020, sempre che nel frattempo non ci siano altre elezioni politiche». Giannuli lo ripete dal 2016: «Si è aperta la crisi del sistema politico e si profila un periodo di turbolenze come fu il 1992-1996 quando votammo per tre elezioni politiche in 5 anni. Quel che colpisce è l’inadeguatezza di tutte le forze politiche alla situazione della quale non hanno affatto la percezione».

    Strane elezioni: la posta in palio non è il risultato. Ovvero: più che il governo che ne verrà fuori, a essere in gioco è il sistema politico italiano nel suo complesso. Lo sostiene Aldo Giannuli, politologo dell’ateneo milanese, attento osservatore della scena italiana. Niente sarà più come prima, a prescindere dal risultato del 4 marzo. Le elezioni? Non servono solo a determinare chi governerà, ma anche a rappresentare in Parlamento gli interessi e le posizioni culturali presenti nella società. «La cultura rozzamente “governista” di questo trentennio scorso ha ridotto tutto alla scelta di chi governerà», scrive Giannuli nel suo blog. «Questa volta, però, si tratta di un gioco un po’ diverso, nel quale la determinazione del governo diventa l’obiettivo secondario, mentre in primo piano c’è l’assetto costituzionale del paese». Non la Costituzione formale, che almeno per ora non sembra più in discussione, «dopo la tranvata presa dal Pd il 4 dicembre 2016», ma la Costituzione “materiale”, «cioè il concreto assetto dei rapporti di forza durevoli». Prima domanda: resisterà, questo modello tripartito, oppure uno dei tre contendenti si avvierà ad uscire di scena, ripristinando una qualche forma di bipartitismo? O ancora: affiorerà un sistema quadripolare o pentapolare che ripristinerà le dinamiche dei governi di coalizione, grazie anche al futuro superamento dell’attuale, deludente legge elettorale?

  • Cresce il Pil? Male: il 90% della popolazione ci rimette soldi

    Scritto il 02/2/18 • nella Categoria: segnalazioni • (8)

    Ogni tanto trapela qualche dato reale sullo stato di salute del paese, tra le varie notizie di propaganda che dipingono un’Italia irreale, in cui vengono spacciati per “crescita” un aumento quasi impercettibile del Pil, peraltro solo stimato, e una diminuzione lievissima del tasso di disoccupazione, che è attualmente alle stelle, perlopiù legata a fattori stagionali. Come già l’Ocse, segnala l’economista Ilaria Bifarini, autrice del “Diario di una bocconiana redenta”, è ora l’Istat a puntare il dito contro il livello di disuguaglianza crescente all’interno della società italiana: «Mentre una fascia ristretta della popolazione diventa sempre più ricca, la schiacciante maggioranza si impoverisce. In un solo anno, dal 2015 al 2016,  la percentuale di italiani a rischio povertà o esclusione sociale è passata dal 28,7% al 30%». Il trend non è solo nazionale: «Rispecchia una tendenza globale in atto già da decenni ed è strettamente collegato alla modello “di sviluppo” neoliberista e alla finanziarizzazione dell’economia ad esso connessa». Infatti, se osserviamo i valori relativi al reddito medio del 99% della popolazione più povera e dell’1% più ricco, «osserviamo come i primi siano cresciuti fortemente a partire dal dopoguerra fino agli anni ‘70, contro un ritmo più moderato del secondo gruppo. Improvvisamente il trend si inverte, inizia il rallentamento della ricchezza del 99% più povero (cioè la stragrande maggioranza della popolazione del mondo, cioè noi) a fronte di un’impennata del reddito dell’1% più ricco».
    Cosa accade in questi anni? Di certo, scrive Bifarini nel suo blog, non è casuale che proprio il 1973, anno della crisi petrolifera e della conseguente stagnazione, segni la data di morte del keynesismo e il trionfo indiscusso della dottrina neoliberista. «L’economia reale lascia il passo alla finanza, che diventa sempre più predatoria e totalizzante», mentre l’apertura al commercio mondiale globalizzato «diventa sempre più completa e priva di protezioni statali». Infine, «l’inflazione e il debito pubblico diventano i nemici giurati, mentre l’austerity il nuovo culto». L’indice di Gini, che misura il livello di disuguaglianza all’interno di una popolazione, «cresce su scala globale, come riflesso di un modello economico fallimentare e infondato applicato a livello universale». In uno studio effettuato sul caso degli Stati Uniti, addirittura, «è stato stimato che una crescita del 2% del Pil comporta una decrescita del reddito del 90% della popolazione». Per Ilaria Bifarini, «siamo dunque di fronte a un modello economico di crescita antisociale, in cui all’aumento del reddito globale corrisponde un impoverimento della quasi totalità della popolazione, ad eccezione di una ristretta fascia di élite che si fa sempre più esclusiva». Basti pensare che nel 2012 «metà della ricchezza mondiale era concentrata in soli 64 individui». E oggi «la stessa ricchezza è detenuta da un manipolo limitatissimo di otto persone».
    D’altronde, sottolinea l’analista, le proiezioni dell’Ocse sul lungo periodo parlano chiaro: «Saremo sempre più poveri e più diseguali, tanto che da qui a una quarantina d’anni il tasso di disuguaglianza aumenterà del 40%». La correlazione con il modello economico neoliberista, e in particolare con il “mantra” dell’austerity, «è talmente evidente che persino il Fondo Monetario Internazionale, l’istituzione icona delle politiche neoliberiste, in un suo studio (“Neoliberalism Oversold”, del 2016) ha dovuto riconoscere la fallacia di questa politica». È stato calcolato che, in media, «un consolidamento del debito pari all’1% del Pil aumenta dello 0,6% il livello di disoccupazione di lungo termine e fa crescere dell’1,5% in cinque anni il tasso di disuguaglianza». Secondo gli economisti del Fondo Monetario, infatti, «le politiche di austerity non solo comportano costi per il welfare, ma danneggiano anche la domanda, aggravando così il problema della disoccupazione, in un circolo vizioso che aumenta la disuguaglianza, nonché la corruzione a essa correlata». Per cui, «non è difficile comprendere come l’élite di privilegiati eserciti un potere sempre maggiore su una fascia sempre più alta della popolazione a rischio povertà, disposta ad accettare le logiche clientelari per sopravvivere». Eppure, nonostante l’evidenza, «gli organismi economici sovranazionali che governano il mondo continuano ad applicare le stesse rovinose politiche economiche, che risultano altamente efficaci e redditizie per quell’1% della popolazione».

    Ogni tanto trapela qualche dato reale sullo stato di salute del paese, tra le varie notizie di propaganda che dipingono un’Italia irreale, in cui vengono spacciati per “crescita” un aumento quasi impercettibile del Pil, peraltro solo stimato, e una diminuzione lievissima del tasso di disoccupazione, che è attualmente alle stelle, perlopiù legata a fattori stagionali. Come già l’Ocse, segnala l’economista Ilaria Bifarini, autrice del “Diario di una bocconiana redenta”, è ora l’Istat a puntare il dito contro il livello di disuguaglianza crescente all’interno della società italiana: «Mentre una fascia ristretta della popolazione diventa sempre più ricca, la schiacciante maggioranza si impoverisce. In un solo anno, dal 2015 al 2016,  la percentuale di italiani a rischio povertà o esclusione sociale è passata dal 28,7% al 30%». Il trend non è solo nazionale: «Rispecchia una tendenza globale in atto già da decenni ed è strettamente collegato alla modello “di sviluppo” neoliberista e alla finanziarizzazione dell’economia ad esso connessa». Infatti, se osserviamo i valori relativi al reddito medio del 99% della popolazione più povera e dell’1% più ricco, «osserviamo come i primi siano cresciuti fortemente a partire dal dopoguerra fino agli anni ‘70, contro un ritmo più moderato del secondo gruppo. Improvvisamente il trend si inverte, inizia il rallentamento della ricchezza del 99% più povero (cioè la stragrande maggioranza della popolazione del mondo, cioè noi) a fronte di un’impennata del reddito dell’1% più ricco».

  • C’era una volta Bagnai: farà l’acchiappa-dissenso, pro Silvio

    Scritto il 02/2/18 • nella Categoria: idee • (27)

    La Lega, vivendo all’ombra e sotto il cappello di Berlusconi – uomo Nato, piduista, miliardario e ancora utile alla sovrastruttura atlantista – essendo un partito liberista con ricette economiche padronali, è servito, nella sua prima fase costituente, a destrutturare il concetto di Stato sociale, di sovranità nazionale e di statalismo. E il suo finto separatismo d’accatto, in passato, è stato uno strumento utile allo schema di potere. Poi, nella “fase due”, la Lega è stata partito di governo, senza produrre nulla di utile e cambiando idea su tutti i fronti, a seconda delle esigenze elettorali. Quello è stato anche il periodo dei grandi scandali, della bancarotta, dei diamanti in Tanzania (della serie “aiutiamoli a casa loro, ma senza i loro diamanti”). Infine, arriviamo ai giorni nostri, dove la Lega svolge – per conto terzi – la “fase tre”, ovvero quella di contenitore del dissenso populista, e soprattutto quella di metabolizzatore della rabbia popolare. Il tutto alle dipendenze del centrodestra, parte politica che in passato ha votato euro, Trattato di Lisbona, Jobs Act, Fornero e guerre insieme al Pd, dopo aver sponsorizzato Renzi come finto antagonista. I contenitori di dissenso sono importanti, nello schema del potere, quando il Re è troppo svestito, e va spostato un bersaglio troppo visibile ai sudditi.
    Prima fu il Movimento 5 Stelle, che oggi pare abbia iniziato ad esaurire la sua spinta propulsiva originale: dopo l’abbandono di Grillo il partito – come previsto anni fa – inizerà a spappolarsi in diversi fronti, avendo esaurito il compito per il quale i suoi mentori occulti l’avevano plasmato, all’ombra del comico, nonostante oggi abbia candidato così tante persone, dalla cosiddetta società civile. Ma oggi è il turno della Lega, che (con Salvini) ha avviato il corso nazionalista sovranista: lui, l’ultimo araldo e baluardo per infinocchiare ancora una volta l’elettorato, dirigendolo verso bersagli comodi, lontano dai veri obiettivi, puntando come sempre sulla guerra tra poveri e alzando il tiro, rispetto ai più moderati pentastellati. Sono entrambi contenitori politici che servono a comprimere e metabolizzare il dissenso, ai quali il servo delega le proprie istanze e speranze, nel solco della tipica tradizione mariana italiana. Arriviamo al capolavoro di Salvini e soci: quello di aver sedotto definitivamente l’economista Bagnai, persona che stimo molto per le sue battaglie e competenze tecniche, e che domani si candiderà (come indipendente) in un partito che lo ha strumentalmente e fortemente voluto. Bagnai porterà voti dissidenti e, andando nell’alleanza con Berlusconi, annullerà – volente o nolente – proprio quel paradigma rivoluzionario che lo contraddistingueva.
    La Lega l’ha voluto per due motivi fondamentali: uno, attirare voti sovranisti; due, annullare i sovranisti in un contenutore “forno alchemico”, trasformandoli da oro in merda. Mossa intelligente, quella di Salvini: come un esperto giocatore di poker ha fatto bene i suoi calcoli, e ha previsto in anticipo le mosse. Bravo Salvini. Forza Lega – anzi: Forza Italia. Bagnai usa le colpe della sinistra come scusante per la sua, di colpa. L’essere passato a destra è, di fatto, un tradimento politico: se era la lotta di classe, che gli stava a cuore, scoprirà che – come non la fa la sinistra – non la fa neppure la destra. In lui hanno prevalso aspetti legittimamente più egoici, dopo tanti rifiuti dalla sinistra, che ancora una volta presenta un conto salato ai suoi (forse, domani) ex elettori. Per la proprietà transitiva, Bagnai diventa di proprietà di Silvio – ergo, delle forze piduiste e atlantiste che l’hanno “piazzato”, e che anche se qualcuno pensava fosse sotto attacco (ma quando mai?!) ancora ne usufruiranno, per scopi diametralmente opposti a quelli per i quali Bagnai ha deciso di scendere in campo. La Lega, avendo candidato proprio i dissidenti sovranisti, li ha – per così dire – metabolizzati, annullandone l’impatto rivoluzionario e dirompente di contrapposizione al sistema. Aprite gli occhi.
    (“Lega e Salvini, finti antagonisti e nuovi contenitori del dissenso”, nota firmata da “Maestro di Dietrologia” nella puntata 259 di “Border Nights”, 30 gennaio 2018).

    La Lega, vivendo all’ombra e sotto il cappello di Berlusconi – uomo Nato, piduista, miliardario e ancora utile alla sovrastruttura atlantista – essendo un partito liberista con ricette economiche padronali, è servito, nella sua prima fase costituente, a destrutturare il concetto di Stato sociale, di sovranità nazionale e di statalismo. E il suo finto separatismo d’accatto, in passato, è stato uno strumento utile allo schema di potere. Poi, nella “fase due”, la Lega è stata partito di governo, senza produrre nulla di utile e cambiando idea su tutti i fronti, a seconda delle esigenze elettorali. Quello è stato anche il periodo dei grandi scandali, della bancarotta, dei diamanti in Tanzania (della serie “aiutiamoli a casa loro, ma senza i loro diamanti”). Infine, arriviamo ai giorni nostri, dove la Lega svolge – per conto terzi – la “fase tre”, ovvero quella di contenitore del dissenso populista, e soprattutto quella di metabolizzatore della rabbia popolare. Il tutto alle dipendenze del centrodestra, parte politica che in passato ha votato euro, Trattato di Lisbona, Jobs Act, Fornero e guerre insieme al Pd, dopo aver sponsorizzato Renzi come finto antagonista. I contenitori di dissenso sono importanti, nello schema del potere, quando il Re è troppo svestito, e va spostato un bersaglio troppo visibile ai sudditi.

  • Bin Laden massone, Kevin Spacey silurato dal Bohemian

    Scritto il 01/2/18 • nella Categoria: segnalazioni • (12)

    Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».
    E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria on Air” ai microfoni di “Colors Radio” il 29 gennaio. «Scusi, ma lei come fa a dire che Bin Laden era massone?», lo incalza un ascoltatore. «Lo seppi direttamente da chi lo iniziò», risponde Magaldi: «Fu Brzezinski a rivelarmelo», mostrandogli anche la documentazione comprovante l’affiliazione di Bin Laden alla “Three Eyes”, superloggia neo-conservatrice alla quale, secondo Magaldi, appartengono eminenti figure dell’attuale panorama istituzionale – fra gli italiani, Mario Draghi e Giorgio Napolitano, insieme a Marta Dassù (Finmeccanica) e Gianfelice Rocca (Techint e Assolombarda), fino all’ex ministra renziana Federica Guidi. Un peso massimo, la “Three Eyes” (leader storico, Henry Kissinger) nell’ispirazione delle politiche neo-feudali e neoliberiste, fedelmente “eseguite” da personaggi come la francese Christine Lagarde (Fmi), l’americana Condoleezza Rice, il portoghese Pedro Passos Coelho, l’ex premier greco Antonis Samaras, l’olandese Mark Rutte. Ma Bin Laden? «Fu “reclutato” da Brzezinski per essere impiegato in Afghanistan in chiave anti-sovietica», poi però lo stesso Bin Laden lasciò la “Three Eyes”, spiazzando Brzezinski, per approdare alla “Hathor Pentalpha” fondata dai Bush.
    La “Hathor” è la “loggia del sangue della vendetta” sospettata di aver orchestrato il maxi-attentato dell’11 Settembre. Secondo Magaldi vi fanno parte l’inglese Blair, il francese Sarkozy, il turco Erdogan e lo stesso Abu Bakr Al-Bahdadi, il fantomatico capo dell’Isis, cioè l’ultima incarnazione della “strategia della tensione internazionale” che ha suscitato sconcerto persino tra i falchi della destra economica super-massonica. «Posso provare ogni mia affermazione, esibendo 6.000 pagine di documenti», assicura Magaldi. Qualcuno gliene ha fatto richiesta? Nessuno, mai. Silenzio assoluto, anche sui giornali, di fronte a notizie teoricamente esplosive, perché consentono di mappare il vero potere e smascherare molta ipocrisia ufficiale. Ma il mainstream, semplicemente, tace. Preferisce frugare tra le lenzuola di Woody Allen, fingendo di ignorare l’ipotesi più ovvia, «e cioè che Mia Farrow, moglie abbandonata, gli abbia “messo contro” i figli adottivi per metterlo in cattiva luce». Addirittura sinistro il caso di Spacey, anche lui accusato di molestie, dopo che “House of Cards” ha lasciato intravedere il ruolo del Bohemian Club, «nota associazione paramassonica mondialista che è lo schermo di alcune potentissime Ur-Lodges neo-aristocratiche».
    Per Magaldi, questo «nuovo maccartismo, di strano segno» non ha giustificazioni: «Le “bufale” esistono, per carità, ma – se costituiscono diffamazione – sono perseguibili per legge. Altra cosa, invece, è questo clima infame, da caccia alle streghe, degno dei regimi polizieschi di sovietica memoria: un metodo “perfetto”, per far fuori chiunque sia scomodo, prendendo per buone le accuse di qualcuno che ce l’ha con te e, per distruggerti, riesuma episodi vecchi di trent’anni. Hai voglia a difenderti in tribunale: finisci alla berlina all’istante, emarginato». Sta accadendo a Woody Allen, ormai in difficoltà con la distribuzione del suo ultimo film, anche per colpa di «attori anche mediocri, o magari vincitori di un Oscar proprio grazie a lui, che oggi lo scaricano in una gara di zelo verminoso, come fosse un appestato da mettere al bando». Il guaio? «Questo meccanismo, fondato sulla delazione indiscriminata e senza controllo, rende tutti più vulnerabili». Un sospetto: «Penso che alcune “manine” americane abbiano soffiato sul fuoco, per creare un clima adatto a eliminare personaggi non graditi al potere». “Manine” americane, fino agli esecutori italiani: «Da noi, grazie all’ineffabile Minniti, sarà la polizia – non la magistratura – a stabilire se una notizia web è vera o no. Siamo al Ministero della Verità di Orwell, sembra di tornare ai tempi dell’Inquisizione». E nel frattempo, silenzio di tomba sulle notizie più indigeste. Bin Laden? Ma certo, il fanatico islamico: il capo dei cattivi.

    Tutti a gonfiare il coro istituzionale contro le cosiddette “fake news” provenienti dal web, ma tutti zitti se la valanga del gossip al veleno travolge un monumento del cinema come Woody Allen. O magari un altro big di Hollywood del calibro di Kevin Spacey, messo fuori gioco – combinazione – dopo che la seguitissima serie di cui era protagonista, “House of Cards”, un successo platenario, aveva appena evocato l’ombra del super-potere massonico dietro alla Casa Bianca. “Fake news”? Maneggiare con cura, specie se a bandire l’attuale crociata è questo mainstream reticente e asservito, negazionista e tendenzioso: stampa e network televisivi sono sempre stranamente “distratti” di fronte alle verità più imbarazzanti. Una delle peggiori? Osama Bin Laden socio dei Bush: non solo per affari di petrolio, ma anche di terrorismo. Possibile? «Eccome. Così com’è assolutamente pacifico il fatto che Bin Laden fosse massone». Lo afferma Gioele Magaldi, autore del besteller “Massoni” pubblicato da Chiarelettere a fine 2014. Il capo di Al-Qaeda in grembiulino? «Senz’altro. Fu iniziato alla Ur-Lodge “Three Eyes” da quel grande stratega americano che fu Zbigniew Brzezinski, “mente” geopolitica dell’amministrazione Carter, poi “king maker” per l’elezione di Wojtyla al soglio pontificio e infine ispiratore della candidatura Obama».

  • L’Italia è malata di cancro, per colpa della vera mafia: l’Ue

    Scritto il 01/2/18 • nella Categoria: idee • (22)

    «Non mi ero scordato della profezia Montanelli sull’Italia che avrebbe dovuto immunizzarsi da Berlusconi», dice Paolo Barnard, che oggi propone di “immunizzarsi” dai 5 Stelle (votandoli) che il giornalista considera un’autentità calamità nazionale per inadeguatezza e impreparazione, inaudita suddistanza al padre-padrone Grillo e al vertice del “partito-azienda” incarnato dalla struttura dei Casaleggio. L’anziano Montanelli, irritato per la “discesa in campo” del Cavaliere nel ‘94? «L’impianto teorico dell’immunizzazione era giustissimo», ma il direttore del “Giornale” sbagliò bersaglio: «Il motivo per cui l’Italia non s’immunizzò da Berlusconi fu che Berlusconi è stato, delle due, una cura per l’Italia. Montanelli – che fu socialmente miope come una talpa incappucciata quando credette che l’Italia ‘bene’ l’avrebbe seguito fuori dal “Giornale” – fu trascinato dalla bestiale ondata Travaglio-Vajont la cui narrativa era che il Cavaliere rappresentava la porno-Nutella della mafia a Palazzo Chigi, cioè il peggio mai conosciuto dall’Italia di Calamandrei». Per Barnard, il tragico errore di quel postulato montanelliano «fu nella sua totale incomprensione di cosa sia una vera mafia e di cosa sarebbe stato il peggio mai conosciuto dall’Italia».
    «La vera mafia, cioè una cupola non eletta e mirante a spolpare vivo senza pietà il popolo italiano, non stava affatto a Palermo, ma a Bruxelles», scrive Barnard nel suo blog. «La mafia di Palermo, dai tempi di Garibaldi in poi, mai ebbe (e mai avrà) il potere di ridurre quello che era il settimo più ricco paese del pianeta a un maiale (Piigs) d’Europa». Un “maiale” «ridicolizzato dal mondo, bastonato e rapinato dalla Germania, e tutto ciò in meno di 11 anni». Insiste, Barnard: «Bruxelles con la sua vera mafia c’è riuscita, ha avuto questo potere». Quanto alla politica italiana, «chi era di casa a Palermo era Berlusconi», mentre «chi era di casa a Bruxelles erano Amato, Ciampi, Padoa Schioppa, Visco, D’Alema», fino ai “salvifici” tecnocrati come Vittorio Grilli e Pier Carlo Padoan. «E guardatevi intorno come ci hanno ridotti. Goldman Sachs nel suo Global Outlook 2017 boccia nell’imbarazzo una sola nazione europea: l’Italia delle riforme dei sopraccitati criminali collusi, oggi ultima in Ue sotto la Spagna e la Grecia come proiezioni di crescita». Il peggio mai conosciuto dall’Italia? «Fu di fatto, e per 16 anni filati, contrastato (almeno un minimo) solo da Silvio Berlusconi, «che per questo fu deposto nel golpe finanziario del novembre 2011 (Trichet-Monti-Napolitano)», che Barnard per primo denunciò «con grafici e prove» in televisione, a “Matrix” (“Canale 5”) e poi a “L’Ultima Parola” e “La Gabbia” (La7).
    Una «criminale opera di distrazione di massa, divenuta distruzione», secondo Barnard è stata condotta da «speculatori come Travaglio, Luttazzi, Biagi, Santoro, la Guzzanti, Gomez e il codazzo poi nato, anche con Mediobanca e De Benedetti», Quella violenta propaganda contro Berlusconi impedì (e oggi impedisce) a tre quarti del paese di pervenire all’orribile verità. Montanelli? «Ci chiese d’immunizzarci dal sudore, cosa inutile e impossibile, mentre un melanoma micidiale stava invadendo la pelle di tutta l’Italia col Trattato di Maastricht». Giunti a questo punto, cioè alla farsa conclamata delle elezioni 2018 (promesse-fotocopia e nessun accenno alle vere cause Ue della crisi), Barnard ribadisce che voterà proprio per i detestati grillini, che a suo dire «rappresentano una tripla voragine». Ovvero: «L’allucinante speculazione della CasaleggioForProfit su 60 milioni di noi», nonché «la più intimidatoria cultura dell’omertà-terrore in un partito, dal fascismo a oggi», e infine «la mortale impreparazione di chiunque lì dentro a governare un paese quasi morto fra Usa, Cina ed Emergenti». Il Movimento 5 Stelle? «Davvero è come la peste», scrive Barnard. Per cui, conclude, «dobbiamo “ammalarci di loro”, e sperare nella immunizzazione per sempre dal peggior partito italiano dai giorni di Calamandrei».

    «Non mi ero scordato della profezia Montanelli sull’Italia che avrebbe dovuto immunizzarsi da Berlusconi», dice Paolo Barnard, che oggi propone di “immunizzarsi” dai 5 Stelle (votandoli) che il giornalista considera un’autentità calamità nazionale per inadeguatezza e impreparazione, inaudita sudditanza al padre-padrone Grillo e al vertice del “partito-azienda” incarnato dalla struttura dei Casaleggio. L’anziano Montanelli, irritato per la “discesa in campo” del Cavaliere nel ‘94? «L’impianto teorico dell’immunizzazione era giustissimo», ma il direttore del “Giornale” sbagliò bersaglio: «Il motivo per cui l’Italia non s’immunizzò da Berlusconi fu che Berlusconi è stato, delle due, una cura per l’Italia. Montanelli – che fu socialmente miope come una talpa incappucciata quando credette che l’Italia ‘bene’ l’avrebbe seguito fuori dal “Giornale” – fu trascinato dalla bestiale ondata Travaglio-Vajont la cui narrativa era che il Cavaliere rappresentava la porno-Nutella della mafia a Palazzo Chigi, cioè il peggio mai conosciuto dall’Italia di Calamandrei». Per Barnard, il tragico errore di quel postulato montanelliano «fu nella sua totale incomprensione di cosa sia una vera mafia e di cosa sarebbe stato il peggio mai conosciuto dall’Italia».

  • La Grecia in saldo al 5%, lo Stato non esiste più. E l’Italia?

    Scritto il 31/1/18 • nella Categoria: segnalazioni • (53)

    La Grecia è in saldo, sul web: nel 2018 l’esproprio della ricchezza pubblica e privata diventerà molto più veloce, e aggredirà i rimasugli di patrimonio restanti. «Gli immobili vengono messi all’asta e i compratori stranieri – banche, privati e perfino istituzioni – possono prendersi un’isola, un appartamento, una spiaggia, un’opera antica: qualsiasi cosa». Il tutto quasi gratis, «a meno del 5% del loro valore». Finiscono all’asta su Internet «perfino le prime case, se superano una determinata superficie». La Grecia di Alexis Tsipras, scrive Maurizio Pagliassotti su “Diario del Web”, è entrata nella “fase laboratorio”: «Vedere cosa succede a un paese lasciato nelle mani dei creditori». Disse Milton Friedman, padre del neoliberismo: «Lo shock serve a far diventare politicamente inevitabile quello che socialmente è inaccettabile». Il trauma della Grecia risale all’estate del 2015: con la giacca gettata sul tavolo al grido di «prendetevi anche questa», il primo ministro Alexis Tsipras «firmò la resa senza condizioni della sua nazione sconfitta: umiliato di fronte al proprio paese e al mondo da Angela Merkel, volutamente».

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