LIBRE

associazione di idee
  • idee
  • LIBRE friends
  • LIBRE news
  • Recensioni
  • segnalazioni

Archivio del Tag ‘potere’

  • Golpe europeo contro la libertà del web, l’Italia si opponga

    Scritto il 25/6/18 • nella Categoria: segnalazioni • (10)

    Il diavolo non è poi brutto come lo si dipinge? In compenso, l’Unione Europea è peggio: come un monarca dispotico, ordina che sia imbavagliato il bambino che si è permesso di gridare che “il re è nudo”. Così, esercitando un arbitrio che ha la forza grottesca di un sopruso arcaico, Bruxelles prova a spegnere le antenne del popolo, quelle che i cittadini-elettori hanno ascoltato per poi decidere da chi farsi governare. E’ pensabile, una Brexit senza il web? E’ immaginabile una vittoria di Trump senza i social media? E una sconfitta di Renzi senza Facebook? Un governo “gialloverde” senza la Rete? No, appunto. Ed è per questo che il potere centrale del nuovo Sacro Romano Impero – con i suoi complici principali, i grandi media – sta preparando la spallata finale alla libertà di Internet: il divieto di far circolare idee, parole e immagini – tramite link, come finora si è fatto – sotto minaccia di violazione del copyright. Un bavaglio medievale, universale, bloccando alla fonte ogni notizia tramite filtri sulle piattaforme di distribuzione, cominciando da Google e Facebook. In pratica: la fine del web come l’abbiamo conosciuto, fondato sulla libera circolazione (immediata) di segnalazioni, opinioni, fatti e analisi, contenuti normalmente oscurati da giornali e televisioni.
    Un gesto orwelliano, da tirannide asiatica d’altri tempi: è il 2018, eppure l’Unione Europea è questa. Non riconosce cittadini, vuole soltanto sudditi. E ha una paura maledetta che i sudditi si ribellino, ridiventando cittadini. Il killer prescelto per l’operazione è ovviamente tedesco e risponde al nome di Günther Oettinger, il simpaticone che – all’indomani del voto italiano del 4 marzo – spiegò che sarebbero stati “i mercati”, o meglio i signori occulti dello spread, a insegnare agli italiani come votare nel modo giusto, evitando cioè di rinnovare la loro fiducia a gentaglia come Salvini e Di Maio. Come sempre, Bruxelles cerca di ammantarsi di una parvenza di legalità: la Commissione Europea, organismo non-eletto e forte di poteri paragonabili a quelli delle “giunte militari” di sudamericana memoria, stavolta utilizza la foglia di fico del Parlamento Europeo (eletto, ma senza potere) per ricevere l’ipotetica legittimità politica dell’abuso, che verrebbe incoraggiato con il voto di Strasburgo il 4 luglio. Da qui il conto alla rovescia della petizione lanciata da Claudio Messora su “ByoBlu” e ripresa da “Change.org”, che in pochi giorni ha raccolto quasi mezzo milione di firme, in Italia, per tentare di convincere gli europarlamentari a non votare il piano Oettinger, in base al quale non sarebbe più possibile far circolare, su blog e social, i testi, le idee e le immagini che in questi anni hanno fatto informazione.
    L’intento è evidente: “spegnere” le fonti che hanno sopperito al colpevole silenzio dei grandi media, sostituendo in modo prezioso la non-informazione di giornali e televisioni, canali mainstream reticenti e omertosi, largamente difettosi quando non direttamente mafiosi, docili strumenti nelle mani di editori collusi con il potere centrale che trama contro le democrazie per svuotarle e depredarle. Senza informazione non c’è democrazia, ed è normale quindi che l’oligarchia si premuri innanzitutto di imbavagliare la libertà di espressione. Prima hanno ridotto i giornali a carta straccia, e le televisioni a salotti tragicomicamente impermeabili a qualsiasi verità. E ora, dato che il pubblico ha aggirato i grandi media rivolgendosi al web – in Italia il 50% dei cittadini dichiara di informarsi ormai solo sulla Rete – ecco il supremo bavaglio a Internet, con l’espediente della tutela del copyright. Con l’alibi della (giusta) sanzione contro gli abusi, si mette il bavaglio alla prima fonte di notizie per 30 milioni di persone, nel nostro paese. Difficile credere che un simile attentato alla libertà possa essere accettato come costituzionale, in Italia.
    Beninteso: è più che legittima la tutela del copyright, ove si impedisca di eseguire dei pedestri copia-e-incolla non autorizzati. Ma il legislatore Ue va ben oltre: impedirà addirittura che, su blog e social, vengano caricate segnalazioni ipertestuali: in pratica, sarebbe la fine dei link, cioè dell’anima stessa di Internet. Vietato riportare frasi, estratti, dichiarazioni. Vietato certificare le fonti di provenienza. Vietato veicolare – mediante collegamento diretto – i contenuti più interessanti. In altre parole: la fine del web, la morte della libertà d’opinione. Il sovrano europeo pensa di fermare, letteralmente, l’orologio della storia: vuol far diventare lento e disfunzionale ciò che oggi è veloce, immediato. Una pazzia anacronistica, come quella di chi schierasse i carri armati nelle strade. L’essenza stessa del web è la rapidità, la circolazione di notizie in tempo reale: e il web è diventato il più potente vettore economico del nostro tempo. Ostacolarlo significa arrecare un danno di portata incalcolabile alla dinamica economica del terzo millennio, riportando l’Europa al medioevo anche sul piano civile, oltre che economico e politico.
    Non è strano che a organizzare il golpe sia l’Unione Europea, che i suoi carri armati (finanziari) li ha già spediti ovunque, a fare strage di democrazia. Resta da vedere come reagiranno le anime morte del Parlamento Europeo il 4 luglio, sotto la pressione dell’opinione pubblica. E soprattutto: c’è da capire come risponderà, al golpe, il governo italiano. Salvini “esiste” soprattutto su Twitter, i 5 Stelle sono nati dalla Rete. Il cielo stellato è stato inquadrato dal cannocchiale di Galileo, che adesso l’ultima reincarnazione del cardinale Bellarmino – il fantoccio Oettinger e i suoi mandanti – sta per fare a pezzi. Questa Ue si comporta come una dittatura di colonnelli: nasce morta e condannata dalla storia. E’ destinata alla sconfitta, ma a che prezzo? Quanto durerebbe, il blackout, prima del ripristrino della democrazia? Quanti altri danni produrrebbero, nel frattempo, i golpisti del web? Nessun aiuto, intanto, da giornali e televisioni: gli operatori ufficiali dell’informazione, ancora una volta, tacciono. Non una parola, da loro, sulla più importante notizia – la peggiore – che abbia investito il pubblico italiano. Tacciono, giornali e televisioni, sul golpe in atto. Sperano, probabilmente, che il colpo di Stato riesca. Si comportano come fossero complici dei golpisti. Se c’è un’occasione per dimostrare che il “governo del cambiamento” non è solo un modo di dire, è questa: se c’è un “no” che l’Italia deve pronunciare, forte e chiaro, è proprio questo, contro il golpe che vorrebbe spegnere il web.
    (Su Change.org la petizione contro il bavaglio al web che l’Ue vorrebbe imporre).

    Il diavolo non è poi brutto come lo si dipinge? In compenso, l’Unione Europea è peggio: come un monarca dispotico, ordina che sia imbavagliato il bambino che si è permesso di gridare che “il re è nudo”. Così, esercitando un arbitrio che ha la forza grottesca di un sopruso arcaico, Bruxelles prova a spegnere le antenne del popolo, quelle che i cittadini-elettori hanno ascoltato per poi decidere da chi farsi governare. E’ pensabile, una Brexit senza il web? E’ immaginabile una vittoria di Trump senza i social media? E una sconfitta di Renzi senza Facebook? Un governo “gialloverde” senza la Rete? No, appunto. Ed è per questo che il potere centrale del nuovo Sacro Romano Impero – con i suoi complici principali, i grandi media – sta preparando la spallata finale alla libertà di Internet: il divieto di far circolare idee, parole e immagini – tramite link, come finora si è fatto – sotto minaccia di violazione del copyright. Un bavaglio medievale, universale, bloccando alla fonte ogni notizia tramite filtri sulle piattaforme di distribuzione, cominciando da Google e Facebook. In pratica: la fine del web come l’abbiamo conosciuto, fondato sulla libera circolazione (immediata) di segnalazioni, opinioni, fatti e analisi, contenuti normalmente oscurati da giornali e televisioni.

  • Mazzucco: Salvini e Cucchi, l’eroe Saviano e l’osceno Macron

    Scritto il 25/6/18 • nella Categoria: idee • (7)

    «Come si dice, in francese, testa di cazzo?». Non trova altri termini, Massimo Mazzucco (men che meno diplomatici) per definire il villano, volgare bugiardo che oggi siede all’Eliseo, secondo cui in Italia non esiste una vera emergenza immigrazione. Se la consente, Mazzucco, questa informalità lessicale, per almeno due motivi: Emmanuel Macron è un triviale “vomitatore” di insulti, un anti-italiano coi fiocchi il cui sprezzante razzismo trasuda da ogni sua parola. E poi si può comunque usare un tono più che confidenziale data la platea del “Mazzucco Live”, la diretta web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Un pubblico decisamente informato, a cui non c’è bisogno di spiegare da quale pulpito provengano le odiose esternazioni xenofobe del ducetto francese, sciovinista quanto basta per farsi detestare da mezza Europa (e da più di mezza Francia, ormai) ma abbastanza ipocrita da dimenticare che a manganellare i migranti, respingendoli con inaudita ferocia, è stato innanzitutto il suo governo. Peggio: più che la Francia, Macron – che viene dalla finanza Rotchschild – rappresenta il peggio, in assoluto, di quanto si sia visto finora in Europa: la subdola dittatura del potere oligarchico, orchestrato dalla supermassoneria reazionaria in cui milita l’allievo presidenziale di Jacques Attali, grande architetto dell’euro-orrore a cui l’Italia sta cominciando a opporsi, in modo clamoroso.
    Il primo muro a crollare è proprio quello dell’ipocrisia, che arma la mano dei difensori del regime e dei loro pupazzi mediatici. Poi ovviamente si può scendere anche nel grottesco e nel genere comico, quando ad esempio l’ex eroe nazionale Roberto Saviano si erge ad avversario del feroce Salvini. Ma scusate, Saviano chi? Seriamente, si domanda Mazzucco: «Chi è Saviano? Ok, uno scrittore. Ha scritto qualche buon libro? Bene, ma non sarà certo l’unico. In realtà è al centro della scena, da anni, solo per via della scorta che lo protegge». Esibito come una Madonna Pellegrina, nell’ex Italia dei Renzi e dei Fabio Fazio, era diventato una specie di icona della lotta alla mafia? Ma mi faccia il piacere, protesta Mazzucco: «Se Saviano desse davvero fastidio alla mafia avrebbero già fatto saltare in aria in lui, la scorta e chi gliel’ha data». Una grande finzione, che ha fatto comodo a molti: al Saviano editoriale e televisivo, allo Stato che ha esibito la sua protezione e all’Ancien Régime finto-progressista a cui qualche eroe di cartone serviva a nascondere la propria sottomissiome totale ai superpoteri europeisti e privatizzatori, ai quali rispondere solo e sempre signorsì. La messa è finita, però: palla al centro. Tutto quello che sembrava vero, fino a ieri, ormai si rivela per quello che è: un bluff piuttosto mediocre.
    Se qualcuno ha le carte in regola per potersi qualificare come “scomodo”, è proprio Mazzucco: il suo documentario sulle cure alternative per il cancro ha superato su YouTube i 4 milioni di visualizzazioni. Sempre Mazzucco – tramesso anche da Canale 5 – è stato il primo, con “Inganno globale”, a smontare la versione ufficiale dell’11 Settembre. Saviano? Lasciamo perdere. Piuttosto, Mazzucco incalza lo stesso Salvini sul suo terreno d’elezione, l’ordine pubblico. Sul blog “Luogo Comune”, lo invita a sanzionare apertamente gli ufficiali che hanno inflitto un trasferimento punitivo al carabiniere Riccardo Casamassima, “colpevole” di aver denunciato i colleghi che nel 2009 massacrarono di botte Stefano Cucchi, causandone la morte. «Matteo Salvini – scrive Mazzucco – ha di fronte a sé la grande occasione per dimostrare che non è un fascistone manganellatore, come molti lo dipingono, ma che è invece uomo di grande integrità morale, che mette la legge e il diritto al di sopra ogni altra cosa». Il leader leghista ha sempre detto di stare “dalla parte delle forze dell’ordine”, precisando però che “se qualcuno sbaglia deve pagare fino in fondo”? Ecco: «In questo caso non hanno sbagliato solo i carabinieri che hanno pestato a morte Stefano Cucchi, ma hanno sbagliato anche coloro che hanno prima fatto pressioni per far tacere Casamassima, e che poi – come punizione per aver parlato – lo hanno demansionato con un trasferimento umiliante».
    Mazzucco si rivolge direttamente a quello che si sta rivelando l’uomo forte del governo Conte: «Salvini, fai sentire la tua voce», lo esorta Mazzucco. «Oggi sei il ministro degli interni, non sei solo il segretario della Lega. Facci sapere che sei una persona capace di far seguire in modo coerente alle parole i fatti, non solo sugli sbarchi dei migranti, ma su tutto quello che riguarda la società civile». Ancora silente sul caso Cucchi, in compenso Salvini si è espresso – a ruota libera – sull’obbligo vaccinale, imposto a milioni di famiglie da Beatrice Lorenzin e dal governo Renzi-Gentiloni dopo un anno di tam-tam mediatico basato sul falsi allarmi, come la ridicola emergenza-morbillo. Per l’ennesima volta, il capo della Lega ha scavalcato i 5 Stelle, spiazzando l’attuale ministro della sanità, la pentastellata Giulia Grillo, competente in materia. La Grillo si è mostrata prudente, sui vaccini. «Dato che ha sulle spalle l’incombenza dell’eventuale decreto per annullare le conseguenze della legge Lorenzin, ovvero l’esclusione da scuola per i bimbi non vaccinati – afferma Mazzucco – spero che il suo basso profilo sia una tattica, per poi raggiungere il risultato evitando che le si scateni addosso la bufera mediatica». Certo però che i 5 Stelle sembrano in affanno: Salvini ha messo in ombra sia Conte che Di Maio. «E’ ora che i 5 Stelle si sveglino – chiosa Mazzucco – e si sbrighino a riconquistare la visibilità corrispondente al 32,5% che hanno ottenuto alle elezioni».

    «Come si dice, in francese, testa di cazzo?». Non trova altri termini, Massimo Mazzucco (men che meno diplomatici) per definire il villano, volgare bugiardo che oggi siede all’Eliseo, secondo cui in Italia non esiste una vera emergenza immigrazione. Se la consente, Mazzucco, questa informalità lessicale, per almeno due motivi: Emmanuel Macron è un triviale “vomitatore” di insulti, un anti-italiano coi fiocchi il cui sprezzante razzismo trasuda da ogni sua parola. E poi si può comunque usare un tono più che confidenziale data la platea del “Mazzucco Live”, la diretta web-streaming con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Un pubblico decisamente informato, a cui non c’è bisogno di spiegare da quale pulpito provengano le odiose esternazioni xenofobe del ducetto francese, sciovinista quanto basta per farsi detestare da mezza Europa (e da più di mezza Francia, ormai) ma abbastanza ipocrita da dimenticare che a manganellare i migranti, respingendoli con inaudita ferocia, è stato innanzitutto il suo governo. Peggio: più che la Francia, Macron – che viene dalla finanza Rotchschild – rappresenta il peggio, in assoluto, di quanto si sia visto finora in Europa: la subdola dittatura del potere oligarchico, orchestrato dalla supermassoneria reazionaria in cui milita l’allievo presidenziale di Jacques Attali, grande architetto dell’euro-orrore a cui l’Italia sta cominciando a opporsi, in modo clamoroso.

  • Magaldi: guerra ai massoni che hanno ucciso la democrazia

    Scritto il 23/6/18 • nella Categoria: idee • (25)

    «Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».
    C’è stato un tempo, invece, in cui uomini decisivi come Mohandas Karamchand Gandhi, Enrico Mattei, John Fitzgerald e Robert Kennedy, Martin Luther King e Salvador Allende, insieme ad Aldo Moro, Olof Palme, Thomas Sankara, Yithzak Rabin ed altri «poterono essere assassinati senza ritegno, vergogna e giusta vendetta per i loro aguzzini», scrive Magaldi sul blog del Movimento Roosevelt, mettendo in fila i maggiori omicidi politici del ‘900 (più quello di Rabin) per accusare la regia “controiniziatica” di quelle uccisioni, orchestrate da elementi della supermassoneria reazionaria ai vertici del potere. «Ora è giunto il tempo della memoria celebrativa per questi eroi della massoneria progressista brutalmente eliminati e sottratti all’affetto di chi li amava, ammirava e seguiva», scrive Magaldi, rivelando in tal modo la cifra massonica dei leader citati. «Ora – aggiunge – è arrivato il tempo di una condanna storica e morale severissima per quegli assassini controiniziati che violarono tanto i propri giuramenti massonici quanto ogni legge ed etica umana». A partire dalla lettura di “Massoni”, cui seguirà il secondo volume – in uscita nella primavera 2019 – l’autore ha fornito «nomi e cognomi di certi personaggi e spiegazioni esaurienti e circostanziate dei loro misfatti», portando il caso all’attenzione della pubblica opinione.
    Nel libro, Magaldi ha descritto chiaramente «le gesta eroiche di quelle avanguardie massoniche progressiste che hanno rivoluzionato il mondo sin dal XVIII secolo e dato vita a società libere, aperte, democratiche, laiche, tolleranti, ecumeniche, parlamentarizzate, costituzionali e fondate sullo Stato di diritto, sull’uguaglianza delle opportunità, sulla giustizia e mobilità sociale». Avverte Magaldi: «Adesso e in futuro, comunque, nessuno potrà più perpetrare crimini come quelli segnalati sopra, per miriadi di ragioni». E’ in corso, spiega, una «guerra globale (e anti-convenzionale) infra-massonica». Una lotta che si annuncia «dura e titanica», ma in cui «tutti saranno costretti a “giocare” in modo relativamente “pulito” e con il giusto fair-play». Soprattutto, conclude Magaldi, «questa guerra contro l’incubo neoaristocratico e neoliberista la vincerà l’alleanza tra massoni progressisti e popolo», ovvero «cittadini comuni consapevoli, oltre che fieri, del proprio diritto-dovere alla sovranità». In altre parole: il tempo del ritorno della democrazia sostanziale è giunto, assicura Magaldi, impegnato – a partire dall’Italia – a contrastare la “teologia” neoliberista che ha impoverito i popoli, svuotando gradualmente la democrazia.

    «Oggi non è più possibile assassinare massoni progressisti di peso o loro “protetti” senza innescare una spirale micidiale di boomerang e contrappasso distruttivo e devastante per quei massoni controiniziati, reazionari e neoaristocratici che, un tempo, hanno utilizzato l’omicidio politico-massonico come chiave di volta della loro lotta per il potere». Lo afferma Gioele Magaldi, che nel besteller “Massoni”, edito da Chiarelettere con prefazione di Laura Maragnani, ha puntato l’indice contro le oscure trame del massimo potere, il cui back-office è dominato da 36 Ur-Lodges, superlogge sovranazionali in cui, negli ultimi decenni, hanno preso il sopravvento le correnti reazionarie che hanno forgiato la globalizzazione neoliberista basata sulla privatizzazione universale. Ma il vento è cambiato, avverte Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente del circuito massonico progressista: «Oggi, in molti casi, i massoni neoaristocratici controiniziati neanche riescono ad avvicinarsi alle loro potenziali “vittime” o a concepirne l’eliminazione, senza essere prima dissuasi dalla pericolosità estrema della faccenda e dal suo carattere “anti-economico” e controproducente». Aggiunge Magaldi: «Oggi, “angeli e demoni” formidabili vegliano sulla sicurezza e l’incolumità dei più ragguardevoli liberi muratori impegnati nella ricostruzione/rigenerazione delle reti sovranazionali progressiste».

  • La lebbra europea: quella del vomitevole, xenofobo Macron

    Scritto il 22/6/18 • nella Categoria: idee • (14)

    La brutta notizia è che c’è ancora una parte di Italia (e di Francia) disposta a farsi prendere per i fondelli da un sinistro teatrante come Emmanuel Macron, ultimo erede di una famiglia di serial killer politici travestiti da statisti, pronti a indossare la maschera dell’orco (Van Rompuy, Schaeuble) o quella del pagliaccio finto-buono (Juncker, Prodi). L’Ogm Macron è una via di mezzo, un ibrido perfetto tra eleganza formale e trivialità sostanziale. Chiama i poveri “sdentati”, definisce l’attuale politica italiana “vomitevole”. E arriva a classificare “lebbra d’Europa” i movimenti democratici anti-establishment, dopo che Salvini e Di Maio hanno ridotto a carta straccia l’ultimo piano anti-Italia approntato per i migranti insieme ad Angela Merkel, altro fossile vivente di un’Europa orrenda e mascalzona, che in vent’anni non ha prodotto altro che crisi e paura, terrorismo, diffidenza e risentimenti fra nazioni che avrebbero dovuto essere “sorelle”. L’Italia ancora dormiente – ormai minoranza, a quanto pare, arroccata attorno al patetico mainstream cartaceo e radiotelevisivo – non ha ancora capito chi è il fantoccio Macron, chi ne muove i fili, da quale curriculum proviene l’ombra nera che si aggira per l’Eliseo, attorno al presidente che insulta e minaccia – né più né meno come un monarca, indispettito dalle sconcertanti pretese del popolo. Chi si credono di essere, questi pezzenti italiani?
    Parole che ricordano quelle del mentore di Macron, il tristemente celebre Jacques Attali: ma cosa crede, la plebaglia europea, che l’euro l’abbiamo creato per la loro felicità? Un grande economista francese, Alain Parguez, invitato a Rimini da Paolo Barnard per il primo, storico summit sulla sovranità monetaria, lavorò all’Eliseo – insieme ad Attali – con il presidente socialista Mitterrand, ai tempi in cui la Francia era ancora la Francia, e non un mero ingranaggio dell’euro-imbroglio. Insigne accademico, Parguez racconta dello smottamento “reazionario” dello stesso Mitterrand, fortemente propiziato dal potente gruppo di pressione incarnato proprio da Attali, che Parguez definisce «un monarchico, travestito da socialista». Avvertimenti: dopo l’omicidio del leader socialdemocratico Olof Palme in Svezia, Mitterrand deve aver intuito quale trattamento sarebbe stato riservato ai “ribelli”, ai leader contrari al nuovo ordine neoliberista in fase di insediamento, in Europa. Dopo la parentesi di Jacques Chirac, che tenne la Francia fuori dalla Guerra del Golfo, il potere “nero” conquistò direttamente l’Eliso, non più restando dietro le quinte ma piazzando il suo uomo – Nicolas Sarkozy – sulla poltrona presidenziale. Risultati tangibili: orrore e violenza, il Medio Oriente in fiamme, la nascita dell’Isis, la macelleria della Libia.
    Da Sarkozy – ora finalmente nei guai con la giustizia francese – lo stesso linguaggio da saloon esibito da Macron: «Ne avete abbastanza di questa feccia», disse, agli abitanti “bianchi” delle banlieues parigine “infestate” di migranti. «Ora ci penseremo noi a toglierli di mezzo». Poi venne il tempo del socialista incolore François Hollande, fotocopia (molto sbiadita) del repubblicano Chirac. Hollande, ha svelato Gioele Magaldi nel suo saggio “Massoni”, militava nella superloggia progressista “Fraternitè Verte”, a cui aveva promesso la fine del rigore socio-economico. Ma il suo governo è stato letteralmente travolto dall’emergenza terrorismo, dalla strage di Charlie Hebdo a quella del Bataclan, fino al massacro di Nizza. Sotto ricatto, con servizi segreti “colabrodo” e ministri sempre più “di destra” (fino all’esordiente Macron), Hollande ha tradito ogni promessa elettorale, imponendo ai lavoratori francesi l’harakiri della Loi Travail, il Jobs Act transalpino, destinato a favorire le aziende penalizzando i dipendenti. Contro l’ectoplasmatico Hollande, ennesimo politico di sinistra passato armi e bagagli al neoliberismo dell’ultra-destra economica, in Francia si è levata la protesta sovranista di Marine Le Pen, votata però alla sconfitta per via delle tare xenofobe del suo Front National. A quel punto, l’élite “nera” ben rappresentata da personaggi come Attali ha fatto la sua mossa, lanciando l’erede di Sarkozy: Emmanuel Macron.
    Un enfant prodige venuto dal nulla, lo presentarono i giornali, per i quali “il nulla” può essere, eventualmente, anche la filiale bancaria francese della famiglia Rothschild. Corressero il tiro: Macron, scrissero, almeno sul piano politico è un self-made assoluto. Falso, anche questo: il suo maestro Attali è stato (ed è) uno degli uomini di potere più influenti d’Europa. Milita saldamente ai vertici della massoneria sovranazionale di stampo oligarchico, abilissima nell’infiltrare la sinistra europea traviandone i leader, dall’anziano Mitterrand all’allora giovane D’Alema. Banche e multinazionali, con un’unica cabina di regia per le grandi operazioni politiche: una su tutte, l’Unione Europea senza democrazia e la moneta europea senza sovranità. Da quella scuola – la più pericolosa, per l’Europa – proviene Emmanuel Macron: è l’ennesimo avatar del potere nero, insinuatosi nelle istituzioni per svuotarle ulteriormente di democrazia, sulla rotta della privatizzazione universale. Una teologia funesta e spacciata per verità di fede, insieme al dogma dell’austerity – tagliare la spesa pubblica per impoverire la classe media, moltiplicando i profitti stellari dell’élite anche grazie al dumping salariale garantito dai migranti, a loro volta costretti a fuggire dai paesi d’origine, saccheggiati sempre dalla medesima oligarchia.
    Sarebbe un errore madornale equiparare Macron alla Francia o, peggio ancora, ai francesi come popolo: il piccolo monarca per conto terzi, insediato all’Eliseo dalla peggior risma di parassiti in circolazione in Europa, ha ormai contro la maggioranza dei suoi connazionali. Lo contestano i sindacati, la sinistra di Mélenchon, il Fronte Nazionale della Le Pen. L’elettore medio – operaio, impiegato, agricoltore, imprenditore – ha capito che Emmanuel Macron non è l’uomo che sembrava essere: non sta dalla parte dei francesi, è manovrato da padroni potenti che non amano nessuno e detestano tutti – i francesi, gli italiani, i greci e ogni altra “plebaglia europea”, per citare l’ineffabile Attali. E’ questa, fin fondo, la buona notizia: i popoli stanno cominciando a capire con chi hanno davvero a che fare. E in questa spettacolare procedura di sofferta autocoscienza ha un ruolo di primissimo piano proprio il neonato governo italiano, antropologicamente diversissimo dai predecessori: per i padroni occulti di Macron dev’essere un film dell’orrore, l’inaudito spettacolo dei ministeri italiani occupati da grillini e leghisti. Ringhia, Macron, perché è il cane da guardia di un palazzo oscuro che adesso comincia ad avere paura del popolo. Insulta e minaccia, Macron, perché – come i suoi padroni – sa che i popoli di tutta Europa (cominciando da quello francese) guardano l’Italia che sfida Bruxelles, e prendono nota. Il tempo dei Macron potrebbe finire prima del previsto.
    La prima a capirlo è stata Angela Merkel, sveltissima a indossare i panni improbabilissimi dell’amicona dell’Italia, paese che il suo governo ha letteralmente azzoppato a colpi di rigore: la sola operazione Monti, decisa tra Berlino e Francoforte nei santuari supermassonici frequentati da ex italiani come Mario Draghi, è costata al nostro paese la perdita di 400 miliardi di Pil e del 25% del potenziale industriale del “made in Italy”. Rideva, Angela Merkel – insieme al suo compagno di merende Sarkozy – quando i media italiani colonizzati dallo straniero bombardavano a tappeto il lebbroso di turno, l’inguardabile Berlusconi. Oggi alla Merkel (e al suo nuovo sodale, Macron) è passata di colpo la voglia di ridere: finalmente, l’Italia li preoccupa. «L’Italia traccia le strade», disse il l’esoterista rosacrociano Rudolf Steiner, pensando al Rinascimento: una quasi-profezia ben nota ai massoni reazionari del massimo potere, quali Sarkozy, Merkel, Macron e compagnia complottante.
    La loro paura è che la strada tracciabile oggi dall’Italia gialloverde, vera e propria incognita politica, sia quella di un’Europa da rivoltare da cima a fondo, sfrattando dai loro troni gli usurpatori regnanti, i piccoli boss del nuovo, deprimente Sacro Romano Impero costruito con l’imbroglio, la frode finanziaria, la menzogna economistica, il crimine sociale dell’ordoliberismo mercantilista post-capitalistico e parassitario. Un regime occulto, a cui i governi fanno da paravento istituzionale. Un sistema autoritario e privatistico, sleale, scorretto e bugiardo, governato nell’ombra da élite che detestano il popolo, la democrazia e la plebaglia europea nel suo insieme, mezzo miliardo di straccioni e lebbrosi, a cui oggi l’Italia potrebbe tracciare una nuova strada, meno lorda di sangue greco e africano, di strazio italiano inferto dai tagli – senza anestesia – su lavoro e pensioni, sanità e scuola. Il consenso democratico di cui oggi godono Salvini e Di Maio, almeno il 60% degli elettori, l’ometto Macron se lo può solo sognare. Infatti gracchia, stizzito come un qualsiasi dittatore pericolante, i suoi insulti razzisti e xenofobi – un regalo illuminante, per chi ancora non aveva capito chi fosse, davvero, il micro-napoleonico Emmanuel Macron.

    La brutta notizia è che c’è ancora una parte di Italia, insieme a una parte di Francia, disposta a farsi prendere per i fondelli da un sinistro teatrante come Emmanuel Macron, ultimo erede di una famiglia di serial killer politici travestiti da statisti, pronti a indossare la maschera dell’orco (Van Rompuy, Schaeuble) o quella del pagliaccio finto-buono (Juncker, Prodi). L’Ogm Macron è una via di mezzo, un ibrido perfetto tra eleganza formale e trivialità sostanziale. Chiama i poveri “sdentati”, definisce l’attuale politica italiana “vomitevole”. E arriva a classificare “lebbra d’Europa” i movimenti democratici anti-establishment, dopo che Salvini e Di Maio hanno ridotto a carta straccia l’ultimo piano contro l’Italia approntato per i migranti insieme ad Angela Merkel, altro fossile vivente di un’Europa mascalzona, che in vent’anni non ha prodotto altro che crisi e paura, insicurezza sociale, terrorismo, diffidenza e risentimenti fra nazioni che avrebbero dovuto essere “sorelle”. L’Italia ancora dormiente – ormai minoranza, a quanto pare, arroccata attorno al patetico mainstream cartaceo e radiotelevisivo – non ha ancora capito chi è il fantoccio Macron, chi ne muove i fili, da quale curriculum proviene l’ombra nera che si aggira per l’Eliseo, attorno al presidente che insulta e minaccia – né più né meno come un monarca, indispettito dalle sconcertanti pretese del popolo. Chi si credono di essere, questi pezzenti italiani?

  • Massoni al governo e corruzione a Roma, Di Maio dov’era?

    Scritto il 20/6/18 • nella Categoria: idee • (18)

    Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è rimpito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».
    Nel bestseller “Massoni”, il presidente del Movimento Roosevelt ha rivelato l’identità supermassonica del vero potere, nell’Europa di oggi dominata da figure oligarchiche. Di fede liberalsocialista, Magaldi non rinnega il suo giudizio favorevole sui 5 Stelle: pur acerbi, hanno avuto il merito di rompere la recita italiana della finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, coalizioni di fatto sottomesse (entrambe) ai diktat dell’élite finanziaria neoliberista. Nettamente lusinghiere anche le parole che Magaldi spende per il governo Conte: è alle prese con una missione epocale, “cambiare verso” all’Europa partendo dalla cruciale trincea italiana. Ma ad una condizione: che i pentastellati la facciano finita, una volta per tutte, con la loro narrativa – inutilmente retorica – che scambia “l’onestà” per la buona politica. Salvo, appunto, inciampare nel caso imbarazzante di Lanzalone, finito nell’inchiesta sul nuovo stadio: «Non possiamo far finta di non vedere che quel signore, che oggi tutti individuano come un capro espiatorio, è stato catalpultato dall’Acea al Comune di Roma proprio da quel Di Maio che oggi propone di riformarla, l’autorità nazionale anti-corruzione». Catapultato, fra l’altro, negli uffici dell’innocente Raggi, «innocente nel senso antico con cui si parlava dei bambini: sembra infatti una bambina che gestisce una cosa più grande di lei, a cui i “grandi” del Movimento spediscono questo e quello».
    Attenzione: «E’ stata legittima la vittoria di Raggi, dopo il cattivo governo di centrodestra e centrosinistra, così come è giusto oggi dare una chance alla possibilità epocale di governare il paese, da parte della Lega e dei 5 Stelle». E il super-consulente grillino? «Uno risponde politicamente, non giuridicamente (e forse nemmeno moralmente) delle proprie scelte sbagliate. E la capacità di un politico – dice Magaldi, pensando a Di Maio – è anche nello scegliere persone giuste. Ma le persone scelte per Roma sono tra le più sbagliate». Magaldi vorrebbe un dibattito serio, tra i pentastellati alla guida della capitale: hanno bocciato le Olimpiadi perché sarebbero state “sentina di corruzione”, poi hanno voluto ridimensionare lo stadio della Roma perché bisognava stare attenti alle tangenti. «Poi invece si scopre che il più pulito ha la rogna, nell’amministrazione Raggi». Un consiglio? «Di Maio si liberi delle sue ipocrisie, perché rischiano di compromettere le belle possibilità di rendere un servizio a questo paese e alle amministrazioni locali governate dai 5 Stelle». Basta, davvero, con la retorica demagogica: «La corruzione e l’onestà sono categorie che appartengono al dominio giuridico della magistratura». Fanno anche parte di un ethos privato, «mentre in politica non basta essere onesti e gridare “onestà” per saper amministrare e saper scegliere i collaboratori».
    Il guaio del caso Roma? L’immobilismo, per la paura di finire in mezzo a una Tangentopoli. «Non si può mettere al primo posto la falsa preservazione dalla corruzione – insiste Magaldi – perché la corruzione si introduce comunque, nelle piccole come nelle grandi cose. Forse, se avessimo fatto le Olimpiadi a Roma – aggiunge – la corruzione sarebbe stata tale e quale, ma almeno avremmo avuto un’occasione di rigenerare tante strutture sportive obsolete». Niente sconti, al Campidoglio: «A me pare che tra buche, radici che spuntano ovunque e strutture fatiscenti, Roma stia morendo, nonostante le retoriche pentastellate. E’ una città tra le più belle al mondo, e avrebbe bisogno di un altro spirito, solare e gioviale». Di Maio? «Faccia un mea culpa, anche solo davanti a uno specchio, dicendo: forse la devo smettere di fare l’ipocrita sulla massoneria, di fare l’ipocrita sul tema della corruzione, e di scaricare sugli altri responsabilità che sono anche mie. E lo invito a lavorare sempre meglio, come ministro dello sviluppo economico, dicastero dove peraltro – aggiunge Magaldi – sono arrivati sottosegretari di tutto rispetto». Per esempio Michele Geraci, che ha insegnato economia in Cina: era uno dei famosi “cervelli in fuga”, ma è tornato. «Sa meglio di altri come sviluppare rapporti con quel mondo complesso che è la Cina. E ha senpre sostenuto la piena compatibilità tra reddito di cittadinanza e Flat Tax, quasi precostituendo l’incontro politico tra Lega e 5 Stelle».
    Geraci, ma non solo: «Qui si prendono sottosegretari come Armando Siri, come Luciano Barra Caracciolo. Si prenderanno fior di tecnici nei gabinetti e nelle direzioni generali ministeriali, tecnici anche di area “rooseveltiana”: checché ne dica la pletora degli sconfitti (dalla storia e dal popolo italiano) il governo Conte è dotato di ottime competenze». E attenzione: molti dei suoi esponenti sono massoni progressisti, o comunque «dialogano proficuamente con i circuiti massonici progressisti». E’ un fatto, assicura Magaldi: «Questo è un governo ad alta densità massonica progressista». Di più: se c’è un esecutivo vicino alla massoneria democratica, è proprio questo. «Guardando agli ultimi governi italiani, forse nessuno ha avuto una così alta densità massonica», insiste Magaldi: «Ed è un governo di prim’ordine, che ha delle competenze straordinarie. Quindi, Di Maio e gli altri ne siano all’altezza, mettendo da parte ipocrisie e superficialità nello scegliere i collaboratori, magari in base all’appartenenza alla “famiglia” politica intesa come clan». E’ chirurgico, Magaldi, nella critica ai 5 Stelle: «Temo molto questa ipocrisia, e spero che la loro maturazione politica elimini proprio questo aspetto, che forse è il più insidioso e anche il più autodistruttivo. E’ bene che il Movimento 5 Stelle impari a essere laico. C’è la magistratura, ci sono degli indagati – e non è detto che, se uno viene arrestato, sia colpevole».
    Il costruttore Parnasi, accostato a Salvini? «Non ho nessuna simpatia per lui», premette Magaldi: «Ho notizia di gente che ha dovuto citarlo a giudizio perché non ha pagato professionisti che avevano lavorato per lui. Rincorso in tribunale, ha dovuto poi contrattare risarcimenti». Ma, di nuovo, è meglio evitare di essere ipocriti: «Tutti qui paiono cadere dalla Luna, ma chiunque conosca la realtà romana sa che Parnasi non se la passava benissimo», dice Magaldi. «E’ un signore che ha fatto cose dubbie, perché non pagare i collaboratori è sgradevole. Però è anche vero che questo “poveraccio”, come tanti altri imprenditori, si trova di fronte a una macchina burocratica elefantiaca». Succede spesso, in Italia: «Magari ti impegni in un progetto per anni, e prima di essere pagato dal committente pubblico devi anticipare denari, ottenere fidi, passare per le forche caudine della burocrazia – e questo è valso anche per Parnasi». Bisognerà vedere, alla fine, se  quella che magari è definita corruzione poi non sia «il tentativo di ottenere, in modo privilegiato, quello che un imprenditore dovrebbe ottenere più facilmente per via ordinaria».
    E comunque, laicamente, Magaldi preferisce sempre attendere che qualcuno venga giudicato «non in primo, ma in terzo grado». Queste, continua Magaldi, sono vere e proprie lezioni: per i 5 Stelle, con il loro mito della “purezza”, ma anche per la Lega, «che con Salvini è cambiata, d’accordo», ma nel suo Dna e nella sua storia conserva pur sempre «il famoso cappio, agitato in Parlamento», eloquente simbolo di «atteggiamenti forcaioli tuttora presenti in alcuni segmenti della base». Lo Stato di diritto tutela tutti: «Parnasi è innocente fino a prova contraria, al di là degli arresti: spesso la gente in Italia è stata arrestata indebitamente, e nessuno l’ha risarcita in modo adeguato». Parnasi e Lanzalone, dunque, «meritano il beneficio del dubbio, come i loro stessi referenti politici». Prudenza: «Bisogna attendere, perché spesso la macchina della giustizia si muove con una sincronia strana, e il fango che si getta addosso a delle persone per presunti reati e crimini poi si scopre essere inconsistente sul piano giuridico». Magaldi confida nell’esperienza di Conte, come giurista, per arrivare a una robusta sburocratizzazione complessiva del sistema-Italia: «Abbiamo bisogno che gli imprenditori non siano mai indotti a corrompere per poter fare normalmente il proprio lavoro».
    Al tempo stesso – aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt, rivolto ai 5 Stelle – abbiamo bisogno che i funzionari pubblici siano pagati adeguatamente: «Se cadessero nella rete della corruzione, a quel punto, sarebbero ancora più spregevoli. Ma è impossibile approvare il pauperismo al ribasso promosso dai pentastellati, in base al quale si vorrebbero abbassare gli emolumenti: perché mai costringere a uno stipendio da fame una persona onesta che affronti gli incerti della politica, magari dopo aver abbandonato la sua professione?». Meglio osservare con realismo la situazione italiana: «Proprio per la remunerazione irrisoria delle cariche, molte persone capaci non vanno a fare l’amministratore pubblico, con tutti i rischi che questo comporta, rispetto alle immense responsabilità dell’ufficio». Ne prenda atto un grillino come Alessandro Di Battista, oggi più moderato nei toni, dopo esser stato per anni tra i più accaniti sostenitori della moralità pubblica esibita come bandiera. Tagli degli stipendi e abolizione dei vitalizi? Errore ottico, dice Magaldi: chi ha tagliato lo Stato, mortificando la politica, l’ha fatto per costruire l’attuale sistema basato sulla privatizzazione universale.
    «La visione neoliberista, di cui noi tutti siamo vittime in questi decenni – spiega Magaldi – vuole che i dirigenti pubblici abbiano dei tetti sempre più al ribasso, nella remunerazione, anche se hanno responsabilità pesantissime e il rischio di essere indagati per un nonnulla, vista anche la complessità elefantiaca delle burocrazie e degli atti giuridici che devono compiere». Tutti addosso al politico che sbaglia, fingendo di non vedere cosa accade nel cosiddetto “mercato”, dove non ci sono più regole che tengano. «Ormai il settore privato è il regno della giungla», sottolinea Magadi: «Si è divaricata la forbice tra il salario dell’operaio o lo stipendio dell’impiegato e la paga del grande manager, che magari fa parte di una cricca di briganti che si spartiscono le poltrone delle grandi società transnazionali, come nel famigerato caso dei manager che hanno spolpato Telecom». L’antidoto? Evitare di cadere nella trappola retorica sapientemente costruita dalla manipolazione del massimo potere. Meglio dunque ribaltare «la teologia dogmatica neoliberista, in base alla quale nel privato tutto è possibile, mentre il pubblico dev’essere controllato, vessato, aggredito e delegittimato».

    Giù la maschera, caro Di Maio: quello presieduto da Giuseppe Conte è «un governo ad alta densità massonica», sia pure «di segno progressista». Ma il “contratto” di governo non si impegnava a tener fuori i “grembiulini” dai ministeri? «Se non si sbrigano a rimuovere quella norma ipocrita e incostituzionale – avverte Gioele Magaldi, gran maestro del Grande Oriente Democratico – perderemo la pazienza e saremo noi a fare i nomi dei tanti “fratelli” presenti nel governo Conte, peraltro davvero eccellente nella qualità delle competenze che esprime, ad ogni livello: altro che populismo e dilettantismo, questo è decisamente il miglior esecutivo a disposizione del paese, da tanti anni a questa parte». E’ un fiume in piena, Magaldi, nella diretta radiofonica “Massoneria On Air” del 18 giugno su “Colors Radio”. Nel mirino, «la grande ipocrisia dei 5 Stelle», reticenti sui massoni e in evidente imbarazzo sul caso giudiziario dello stadio romano di Tor di Valle, con l’arresto del costruttore Luca Parnasi e la bufera che colpisce anche Luca Lanzalone, super-consulente piazzato proprio da Di Maio alla corte di Virginia Raggi. L’ipotesi di accusa parla di un sistema tangentizio esteso e ramificato, che coinvolgerebbe tutti i partiti. «Sembra una pena del contrappasso – dice Magaldi – per chi si è riempito la bocca per anni con slogan come “onestà”, arrivando a impedire la candidatura di persone nemmeno condannate, ma semplicemente indiziate».

  • Lilli e i suoi fratelli, la guerra dei media contro il popolo bue

    Scritto il 20/6/18 • nella Categoria: segnalazioni • (6)

    Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, come di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.
    A Salvini, in prima serata, “Lady Bilderberg” ha riservato tutte le domande tenute nel cassetto per anni, mai poste a nessuno in precedenza: ma più che le risposte del neo-ministro, a fare notizia era l’evidente dispetto dipinto sul volto dell’dell’ex anchorman del Tg2 craxiano, poi eletta europarlamentare dell’Ulivo prima di tornare, come se niente fosse, a fare “informazione”. Dietlinde Gruber, detta Lilli, di fronte al capo leghista ha sfoderato un piglio bellicoso da Watergate – ma Bob Woodward e Carl Bernstein, vincitori del Pulitzer, mai avrebbero accettato (per dignità professionale) di farsi arruolare ufficialmente tra le fila degli avversari politici di Nixon. E se proprio fossero stati invitati al Bilderberg, avrebbero messo in messo in piazza qualche notizia, intercettata tra quelle segrete stanze. La giornalista de La7 invece partecipa ai “caminetti” a porte chiuse, di cui non riferisce nulla ai suoi telespettatori, e poi – come se niente fosse – carica Salvini a testa bassa, ricordandogli che George Soros è in realtà un grand’uomo, un vero filantropo, essendo la sua Open Society dedita essenzialmente a opere di bene. Lui, Soros: il più celebre speculatore della storia, il più noto supermassone di potere, profeta delle rivoluzioni colorate e ispiratore di “home jobs” insanguinati come il golpe in Ucraina, coi cecchini sui tetti a sparare sulla polizia di Yanukovich per poi far ricadere la colpa sul governo, da abbattere con mezzi criminali.
    Dopo aver terremotato l’Africa, l’élite francese neoliberista e neocoloniale gioca allo scaricabarile e prova a colpire direttamente l’Italia, anche per distrarre un’opinione pubblica che, oltralpe, ha già perso la fiducia che aveva nell’oscuro, opaco Macron, sodale occulto dei peggiori Soros in circolazione? Niente paura: a reti unificate, le testate italiane – giornali che più nessuno legge – si schierano compatte col francese e contro l’italiano, scelgono il paese che sta cercando di sfrattare l’Italia dalla Libia e si avventano contro il ministro che ha avuto l’ardire di rimettere in discussione l’ipocrisia europea. Salvini fa politica: per la prima volta, un italiano riesce a spaccare in due la Germania e a dividere Berlino da Parigi. Ragione in più per trattarlo da nemico pubblico, in Italia. A malmenarlo, con inaudita violenza, è proprio la Gruber, che utilizza una scheda televisiva per dimostrare che la Francia ha accolto più rifugiati, rispetto all’Italia. Salvini però la smentisce all’istante: i dati esibiti a “Otto e mezzo” sono vecchi, risalgono al 2015. La verità, oggi, è ribaltata: l’Italia accoglie, la Francia non più. Dati ufficiali, del Viminale: una notizia, in teoria – ma non per Lilli Gruber e soci: a loro, le notizie sono l’ultima cosa che interessano, impegnati come sono nella loro rabbiosa crociata contro il popolo italiano e i mascalzoni che ha osato mandare al governo.

    Va bene tutto, tranne la verità: come quando cade un regime, e gli organi del vecchio potere annaspano, manifestando rabbia e paura, nemmeno fossero di fronte a orde di rivoluzionari scatenati. E’ livido il bombardamento quotidiano, il grottesco fuoco di sbarramento che il mainstream – a prescindere – riversa contro il neonato governo gialloverde. Editorialisti e giornalisti da salotto, esperti sostanzialmente nell’arte del baciamano, oggi sembrano rivoltosi sulle barricate: a Elsa Fornero perdonavano tutto, inclusi gli spargimenti di sangue, mentre sui 5 Stelle e sulla Lega si avventano come mastini. Imperdonabile, il voto degli italiani il 4 marzo: e, visto che il popolo bue ha evidentemente sbagliato a votare, gli addetti alla verità stanno facendo gli straordinari per dimostrare agli elettori grillini e leghisti che non l’avranno vinta: loro, gli euro-cantori dell’establishment, in ogni caso non si arrenderanno alla storia; resisteranno – come gli ultimi giapponesi sull’isoletta – alla marea furibonda del “popolo degli abissi”, espressione che Giulio Sapelli mutua da Jack London. Provare per credere: da manuale di boxe il trattamento che Lilli Gruber ha riservato al cattivone Matteo Salvini, reo di aver osato costringere l’Unione Europea a meditare sulla politica per i migranti, fermando una nave e facendo imbestialire il nemico numero uno dell’Italia, il supermassone reazionario Emmanuel Macron, di scuola Rothschild.

  • Tav, binario morto: fine della Torino-Lione voluta dall’élite?

    Scritto il 19/6/18 • nella Categoria: segnalazioni • (4)

    Sindaco di Torino dal 2001 al 2011, Chiamparino esprime al meglio la storica conversione neoliberista dell’ex sinistra piemontese, passata dalla lotta operaia sotto le bandiere del Pci alle platee del Lingotto all’ombra del Pd veltroniano e renziano. Dopo aver gestito le Olimpiadi Invernali 2006 che hanno ridato fiato all’economia torinese prostrata dal declino della Fiat, Chiamparino è passato – in modo disinvolto – dalla guida della città alla presidenza della Compagnia di San Paolo, potentissima fondazione bancaria del primo istituto di credito italiano, per poi tornare tranquillamente alla politica: oggi è presidente della Regione Piemonte. “Siete praticamente finiti”, disse cordialmente ai NoTav nel 2010, festeggiando quella che immaginava fosse la fine della resistenza popolare della valle di Susa contro la maxi-opera. “Siete rimasti in quattro gatti”, disse ai militanti, che risposero con una marcia di 40.000 persone. Da allora, la battaglia NoTav si è letteralmente incendiata, anche con pesanti strascichi giudiziari. E nel frattempo è cambiata la percezione nazionale del fenomeno: decine di personaggi pubblici – scrittori, cantanti, attori, registi – si sono schierati dalla parte dei valligiani, bocciando la Torino-Lione come una inutile, pericolosa devastazione.
    La novità è che, dopo le elezioni del 4 marzo, questo pensiero è diventato maggioranza, nel paese: il governo gialloverde frena, sui cantieri valsusini. I penstastellati dovranno “passare sul corpo di Chiamparino” se vogliono cestinare la Torino-Lione? Si tranquillizzi, gli risponde il ministro grillino Danilo Toninelli: in valle di Susa potrebbe non passare nessun treno. Al che, Chiamparino rilancia e “convoca” a Torino l’esecutivo, che però risponde picche. Un affronto, per il presidente della Regione: «L’esempio che arriva dal governo non è di rispetto istituzionale», dice Chiamparino, irritato anche con Salvini, “colpevole” di avergli ricordato che «il contratto di governo prevede, per tutte le grandi opere, una nuova analisi costi-benefici». Chiamparino attacca il neo-ministro dell’interno, definendolo «un primo ministro ombra, in campagna elettorale permanente, che non mostra alcun rispetto istituzionale». Davvero? «Se pensava di farsi da solo il monologo sulla Torino-Lione e altre opere che invece dovranno passare da una seria analisi costi-benefici previste nel contratto di governo, strumentalizzando ai fini politici la sua carica istituzionale, è stato servito», replicano i parlamentari piemontesi del Movimento 5 Stelle, chiudendo il caso della mancata partecipazione del governo al summit torinese.
    Ancora più dura la risposta leghista: «Se un governatore fantasma, sparito da Torino e dal Piemonte, si ricorda di esistere solo per attaccare Salvini e la Lega, significa che l’incontro sulle infrastrutture era solo un pretesto», dice Riccardo Molinari, capogruppo della Lega alla Camera e segretario regionale del Piemonte. «Chiamparino sa bene che il mio ministero sta lavorando alacremente per una “project review” di certe importanti opere della sua regione», precisa lo stesso Toninelli: «Quando sarà il momento, saremo noi a convocare un tavolo istituzionale con tutte le parti in causa». E aggiunge: «Il governo è cambiato: forse il presidente Chiamparino ha difficoltà a farsene una ragione». L’esecutivo è cambiato perché gli italiani hanno votato, democraticamente. E hanno scelto Lega e 5 Stelle: di questo, proprio, l’establishment sembra non riuscire a capacitarsi. E tra le macerie dell’ex centrosinistra, tutto quello che riesce a pigolare il Pd è la paura che venga cancellato il maxi-appalto del secolo, per il super-treno che nessuno vuole – a parte Chiamparino e la potente lobby dell’alta velocità valsusina, che in trent’anni non ha mai trovato modo di spiegare, al popolo, a cosa (e a chi) servirebbe davvero, quel maledetto treno, destinato a restare in eterno – secondo tutti gli esperti – nient’altro che un patetico, miliardario binario morto.

    «Dovranno passare sul mio corpo», avverte Sergio Chiamparino, ultimo guardiano politico della linea Tav Torino-Lione. Clinicamente morto, come progetto strategico, il Tav della valle di Susa resta il supremo totem del super-potere oligarchicoche ha fatto carne di porco della democrazia europea, criminalizzando ogni voce di dissenso. Banche, partiti, mafia e maxi-opere: per 25 anni le grandi lobby hanno dettato legge, affidando interi tratti della rete ferroviaria superveloce direttamente alla criminalità organizzata, come denunciato da Ferdinando Imposimato. Nel suo “Libro nero dell’alta velocità”, un analista come Ivan Cicconi vede “il futuro di Tangentopoli”, tra «scelte note e occulte, bugie consapevoli e inconsapevoli», come il “finto” finanziamento privato. Il giallista Massimo Carlotto spiega che le grandi opere sono notoriamente «una lavanderia per riciclare denaro sporco». Rischi sistemici inevitabili? Inconvenienti in agguato in ogni maxi-appalto? Ma nel caso della valle di Susa è peggio: perché l’ipotetica linea-doppione, fotocopia dell’attuale Torino-Modane che già collega Italia e Francia via traforo del Fréjus, è completamente inutile. Lo dicono 360 esperti dell’università italiana e lo conferma la stessa autorità elvetica incaricata dall’Ue di monitorare i trasporti transalpini. L’utilità della Torino-Lione? Una leggenda metropolitana. Ma non per Sergio Chiamparino e il gruppo di potere che rappresenta.

  • Magaldi: l’ottimo Salvini e gli ipocriti che uccisero Sankara

    Scritto il 19/6/18 • nella Categoria: idee • (14)

    Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.
    Sembrano storie lontane, ma sono vicinissime: probabilmente non sarebbe mai neppure esistita, una nave Aquarius carica di profughi, se il leader rivoluzionario del Burkina Faso non fosse stato assassinato nel 1987, dopo aver chiesto ad alta voce la cancellazione del debito per l’Africa e, al tempo stesso, la fine degli “aiuti” della Banca Mondiale e del Fmi. «I vostri prestiti diventano la nostra schiavitù», ripeteva. «L’Africa ha tutto, per farcela benissimo da sola; basta che ci lasciate in pace, liberi di svilupparci senza più il peso del debito, e delle multinazionali che portano via le nostre risorse». Il prestigio di Sankara stava infiammando paesi decisivi come il Senegal e la Costa d’Avorio, il Kenya, il Camerun. Che Africa avremmo, oggi, se in quei paesi fosse cresciuta una generazione di politici come Sankara? Certo non se lo domandano i buonisti della domenica stile Roberto Saviano, prontissimi ad aprire il fuoco contro i partiti del governo gialloverde, a cui la ex sinistra italiana (insieme ai media mainstream) non perdona di aver vinto le elezioni, il 4 marzo. Ragione in più per smascherare l’impostura dei finti amici dei migranti, che utilizzano la disperazione dei profughi solo per gettare fango sul neonato esecutivo.
    Finalmente abbiamo un governo all’altezza della situazione, dichiara Magaldi a “Colors Radio”, «dopo tanti anni di premier imbelli e ministri imbelli, figure veramente mediocri che si sono succedute sulle poltrone ministeriali». Per il presidente del Movimento Roosevelt, «Salvini ha mostrato il minimo sindacale di carattere e di fermezza – e con lui Conte, che è un signore dai modi aristocratici ma che ha avuto posizioni ferme. E anche nel Movimento 5 Stelle c’è stata perfetta solidarietà rispetto alle posizioni di Salvini». Tra parentesi: gli italiani apprezzano. Sondaggi alla mano, in 7 su 10 approvano senza riserve l’operato del leader leghista. Certo, si registra anche l’inevitabile strascico polemico di apparati politici ormai alla deriva, completamente spiazzati dalla svolta italiana: «Rimangono ovviamente i latrati di alcune testate giornalistiche e di alcuni ambienti politici che giocano a mistificare la questione gridando al razzismo, al fascismo, alla xenofobia», dice Magaldi. «Peccato che poi scopriamo (con piacere) che anche in casa Pd e in alcuni ambienti della cosiddetta sinistra qualcuno ha detto: intanto Salvini ha fatto quello che Minniti avrebbe voluto fare e non ha potuto fare per via di quel baciapile un po’ ipocrita di Del Rio, che all’epoca – come ministro delle infrastrutture – impedì cose analoghe».
    Perfettamente allineato a Salvini, invece, il neo-ministro Danilo Toninelli, che ha competenza sui porti e sulla Guardia Costiera. In sintesi: «Il governo Conte e il ministro Salvini hanno agito benissimo», scandisce Magaldi. «Hanno messo un freno a quella che è una modalità inaccettabile di gestione del problema immigrazione nel Mediterraneo». Attenzione: è un problema italiano, ma anche europeo e globale: «Dovrebbe farsene carico la Nato e magari anche l’Onu, se esistesse ancora e avesse una capacità di intervento». Già, appunto: dove sono, le Nazioni Unite? Non fanno altro che «promuovere le proprie agenzie – accusa Magaldi – ingrassando funzionari che spesso di tutto si occupano, tranne che di diffondere i principi di quella dichiarazione universale dei diritti umani che proprio all’Onu era stata approvata settant’anni fa». Brutto spettacolo: «Una struttura super-burocratica, l’Onu, che al pari dell’Europa è molto al di sotto delle sue potenzialità e anche delle sue retoriche». L’Aquarius? Siamo seri: «Non era una zattera alla deriva, ma una nave perfettamente funzionante. Ed è stata accompagnata, scortata, assistita con opportuni soccorsi sanitari». Parliamoci chiaro: «Ci sono Ong che lucrano sulla tratta di migranti, spesso poi utilizzati anche da associazioni criminali».
    Molti, una volta sbarcati, vivono “fuorilegge”, non avendo titolo per essere accolti come rifiugiati. Beninteso: «Hanno titolo, giustamente, per sognare una vita migliore in un nuovo paese: ma allora dovrebbero essere inquadrati in un progetto», sostiene Magaldi, che si dichiara «a favore dell’accoglienza a prescindere, e anche della libertà di emigrare». Ma qui non si tratta di scelte libere: è un esodo di disperati in fuga, di fronte al quale trionfa l’ipocrisia. «Nessuno si fa carico di andare a risanare i paesi di provienienza dei migranti, in mano a dittature sanguinose, con popolazioni tenute in condizioni di vita non dignitose. Si preferisce invece farsi carico di trasportare questi poveretti nelle nostre società, dove già sono compressi i diritti, non c’è un clima di socio-economico espansione. E così si fomenta una guerra al ribasso: perché i poveri migranti lavorano spesso in nero, peggiorando ulteriormente le condizioni dei lavoratori italiani: diventano una concorrenza semi-schiavile al ribasso rispetto ai ceti meno abbienti occidentali». E poi, sinceramente: «Quanti di loro sono utilizzati dalla criminalità organizzata?». E ancora: «Che senso ha che vi siano addirittura navi che, per mestiere e per lucro, vanno a prendere i migranti e li scaricano in Italia, anziché in Spagna o in Francia?».
    Quindi, ribadisce Magaldi, quella di Salvini è stata «un’ottima mossa», che infatti «ha indotto subito a più miti consigli quelli che in Europa avevano sempre ignorato le nostre richieste, reiterate ma velleitarie, da parte di altri governi, di guardare in modo collegiale al problema migrazioni». Nessuno – a Parigi o Madrid – può dare lezioni all’Italia. Al contrario, è ora che Bruxelles prenda nota: la pacchia è finita, per gli eurocrati che giocano allo scaricabarile, travestiti da crocerossine. E anche qui, buone notizie: «In molti hanno riveduto e corretto il giudizio sull’azione di Salvini, dopo aver visto le reazioni scomposte, ipocrite e pretestuose di alcuni governi europei, decisi a non accogliere i migranti a casa loro ma desiderosi di vedere l’Italia nel caos, lasciata sola di fronte a questo problema». La storia è feroce, quando diventa farsa: gli sponsor delle Ong sono gli stessi oligarchi che hanno distrutto il lavoro in Europa e fatto esplodere la fame in Africa. Ecco perché diventa emblematico, oggi, il nome del compianto presidente del Burkina Faso, marxista e massone, protagonista di una rivoluzione esemplare e nonviolenta in nome del popolo sovrano: l’ex Alto Volta come modello per un’Africa dignitosa e prospera, libera e decolonizzata. L’Africa per la quale Thomas Sankara perse la vita: un’Africa che, se oggi esistesse, di certo non esporterebbe disperazione.
    Oggi, sottolinea Malaldi, proprio Sankara «potrebbe diventare il vessillo di un ripensamento delle politiche sull’Africa», aprendo la strada all’idea – formulata da Craxi nel 1990 – di andare finalmente ad “aiutare a casa loro” quei poveretti derubati dall’Occidente, in fuga da un continente abbandonato alla dittatura delle multinazionali e privo di investimenti in strutture politiche, economiche e sociali. «Proprio l’aver ucciso personaggi come Sankara – insiste Magaldi – è stato un modo, da parte di coloro che negli anni ‘80 stavano costruendo questa cattiva globalizzazione, per arrestare uno sviluppo autonomo e dignitoso dell’Africa. Un modo per continuare a depredarla, per poi determinare questi esodi biblici di disperati». Mano tesa all’Africa dei Sankara di domani? Se l’Italia è il primo paese europeo a fermare la tratta degli schiavi, potrebbe essere – nel prossimo futuro – anche il primo a rilanciare una nuova politica euro-mediterranea, come quella già perseguita dai vari Mattei e Moro?  «Come annunciato, oggi l’Italia è finalmente al centro di una guerra tra democrazia e oligarchia: e se si vince la battaglia in Italia – dice Magaldi – forse si può cambiare molto, a livello globale».

    Prima rapinano l’Africa, poi uccidono chi vuole salvarla. Quindi costringono gli africani a emigrare in massa, esponendo i lavoratori europei (già in crisi) a una concorrenza sleale, al ribasso. Ma naturalmente è tutta colpa di Salvini, il Signor No della nave Aquarius. Hanno avuto il coraggio di attaccarlo gli spagnoli, che hanno sparato sui migranti provenienti dal Marocco, e naturalmente i francesi, che hanno respinto in modo infame i profughi alla frontiera di Ventimiglia, senza alcuna pietà per donne e bambini. Quello che sta crollando – proprio grazie a Salvini – è un muro vergognoso di ipocrisia: per Gioele Magaldi, l’affare migranti non è che un capitolo della grande guerra in corso, a partire proprio dall’Italia, tra democrazia e oligarchia. Se l’Italia vincerà la sua battaglia contro i sepolcri imbiancati di Parigi, Berlino e Bruxelles, allora sarà un’ottima notizia per tutta l’Europa, dice il presidente del Movimento Roosevelt, che si prepara a celebrare – in autunno, a Milano – un convegno su Olof Palme, leader socialista svedese assassinato alla vigilia della svolta autoritaria da cui è nata l’attuale Unione Europea. Ma, accanto a Palme (e a Carlo Rosselli, martire antifascista e teorico del socialismo liberale) il convegno milanese accenderà i riflettori anche sull’ultimo grande eroe africano, Thomas Sankara, trucidato dal potere globalista per impedirgli di attuare la sua politica di riscatto per l’Africa, basata sulla sovranità economica del continente nero.

  • Arrangiatevi: così la scuola neoliberista tradisce i ragazzi

    Scritto il 16/6/18 • nella Categoria: idee • (4)

    Come trasformare un bambino in un “asset”: un individuo solo al mondo, in lotta contro tutti. E’ l’orrore del neoliberismo, sintetizzato da Margaret Thatcher nel 1980: «L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima». Si comincia presto, dai banchi di scuola: e il risultato è ormai sotto i nostri occhi, avverte Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt ed esperta del mondo scolastico. Nata in circoli accademici ristretti, «lautamente foraggiati per contrastare il mainstream economico keynesiano», la teoria economica neoliberista finisce con il diventare in pochi anni, fra gli anni ‘70 e ‘80, la visione dominante dell’economia, grazie agli economisti della Scuola di Chicago come Milton Friedman e Friederich von Heyek. Applicazioni immediate: il Cile di Augusto Pinochet, la Gran Bretagna della “Strega del Nord”, gli Usa di Reagan. Il neoliberismo? «Fondato su una visione assiomatica (ovvero indimostrabile) del mondo». Un mondo economico “ideale”, come «una realtà perfettamente ordinata e regolata da leggi “naturali”, al di fuori di ogni intervento regolatore dello Stato». Homo homini lupus: estremizzando la teoria della “mano invisibile” di Adam Smith, il neoliberismo «postula la spontanea diffusione della ricchezza e del benessere come conseguenza “naturale” dell’assenza di ogni vincolo economico, giuridico, ambientale, politico e sociale all’egoistico perseguimento del profitto».
    Si tratta di un dogma che non ammette smentite, scrive Patrizia Scanu sul blog del Movimento Roosevelt: l’idea della capacità dei mercati di autoregolarsi viene assunta come principale e indiscutibile legge dell’economia. Pura teologia: «Qualunque fatto che la contraddica – la disoccupazione, l’aumento dell’inflazione, l’arresto della crescita – viene attribuito esclusivamente all’insufficiente libertà del mercato». Per autoconvalida, quindi, «la ricetta è sempre “meno Stato, più mercato” (salvo quando, in modo contraddittorio, si chiede che lo Stato intervenga ad attuare politiche pro-cicliche di austerity o a proteggere il mercato interno dalla concorrenza estera, per esempio)». In questo senso, la teoria accademica – una volta nelle mani dei politici e dei potentati economici internazionali – diventa una ideologia totale, cioè «una produzione intellettuale sostanzialmente falsa e inautentica». Mira a dare ordine alla società e ad orientarne l’evoluzione storica, «che è incorreggibile e pretende di essere universale e globale». In altre parole, il neoliberismo vorrebbe «dire tutto l’essenziale sull’uomo, sotto qualunque cielo e in qualunque circostanza».
    In economia, continua Patrizia Scanu, le ricette neoliberiste sono principalmente tre: deregulation (ovvero assenza di regole che limitino l’acquisizione di profitti e la circolazione dei capitali), privatizzazioni (sulla base dell’assioma che il privato è più efficiente del pubblico) e riduzione della spesa sociale, per evitare “l’inquinamento” dello Stato nel mondo “perfetto” dei mercati. Una visione «discutibile e astratta dell’economia, strumentale allo spostamento di ricchezza dai poveri ai ricchi». Una concezione che è anche «responsabile dell’aggravarsi della diseguaglianza, della miseria e della disperazione, laddove essa è stata applicata in modo inflessibile (come spiega molto bene il premio Nobel Joseph Stiglitz nel saggio “La globalizzazione e i suoi oppositori”)». Nella realtà storica del processo di globalizzazione, a questa deformazione si accompagna anche e soprattutto «una visione distorta dell’uomo e della vita». Si tratta di «una vera e propria perversione antropologica, che si insinua nelle coscienze, nelle famiglie, nelle comunità e che distrugge in profondità la spontanea propensione umana alla cooperazione, all’altruismo e all’empatia». Infatti, «in questa visione esiste solo il singolo, che persegue avidamente e in modo aggressivo il suo utile egoistico; la vita è una lotta per la sopravvivenza nella quale emerge chi vince nell’incessante competizione per l’accaparramento di beni finiti».
    L’altro essere umano non è che «una minaccia costante al proprio benessere». Conseguenza: «Il valore di ogni relazione ed esperienza umana si misura con il denaro ed è quantificabile in termini economici». Peggio: «Non esistono limiti etici al diritto di trarre profitto dalle proprie attività, visto che per sgocciolamento (“trickle down”) la ricchezza accumulata dai vincenti porterà comunque benessere a tutti». Lo Stato che spende per i servizi sociali? «E’ vizioso, e il debito pubblico è una sorta di peccato originale che richiede un’espiazione collettiva». I mercati? «Sono l’unico Dio a cui essere sottomessi, senza remissione». Una degradazione infernale della dimensione umana: «La propria felicità si persegue a danno della felicità altrui: mors tua, vita mea, in un eterno gioco a somma zero, in cui la miseria e la sofferenza prodotte sono un male necessario per consentire la crescita indefinita, unico fine dell’attività economica». Una deriva ideologica, ben riassunta dalla famigerata Thatcher: «Non esiste una cosa chiamata società, ci sono solo individui e famiglie». Tradotto: le idee di vita associata, di solidarietà sociale e di beni comuni e inalienabili sono estranee a questa visione del mondo. «Tutto è quantificabile, alienabile e privatizzabile; tutto è subordinato al perseguimento dell’interesse privato e lo Stato non ha alcun ruolo nel mediare fra interessi contrapposti, anche quando i costi umani sono altissimi».
    Più che nella sommaria tecnicalità economistica, il neoliberismo si esprime – in termini di devastazione sociale – attraverso il modello umano che sottende, e che guida l’azione politica. «Stiamo parlando cioè di un fenomeno di egemonia culturale, nel senso descritto da Antonio Gramsci, ovvero di un pensiero che diventa dominante in un momento storico e consente ai gruppi al potere di esercitare una forma di controllo sulle persone, grazie al fatto che esso viene assunto nelle pratiche sociali, diffuso costantemente e interiorizzato». Questo pensiero egemonico, aggiunge Patrizia Scanu, di fatto «sostituisce una visione del mondo ad un’altra e colonizza le menti, rendendo difficile uscire dal “frame”, dallo schema interpretativo imposto». Per averne un saggio, basti leggere una riflessione di Gary Becker, l’allievo di Friedman che coniò l’espressione “capitale umano”. Testualmente: «Per la maggior parte dei genitori, i figli sono una fonte di reddito psicologico, o di soddisfazione. Pertanto, nella terminologia economica, essi si possono considerare un bene di consumo», scrive Becker. «I figli possono anche fornire reddito, ed in qualche caso sono anche un bene produttivo». Ancora: «Questa caratteristica fa dei figli un bene durevole, sia produttivo che di consumo».
    «Può sembrare eccessivo, artificiale, forse anche immorale classificare i figli alla stregua di automobili, case o macchinari», ammette Becker, ma aggiunge: le soddisfazioni garantite dai figli sono paragonabili a quelle di altri “beni durevoli”. I figli visti come beni di consumo o, peggio ancora, come bene produttivo? «Rappresentano adeguatamente il livello di stravolgimento assiologico di questo discorso», sottolinea Patrizia Scanu: «Invece di essere funzionale alla vita, l’economia la fagocita e ne inscatola con cinica indifferenza l’infinita ricchezza in una serie di anonimi contenitori tutti uguali e misurabili, che si chiamano “beni di consumo” o “beni produttivi”». Attenzione: «In questo delirio di onnipotenza, i legami familiari, i sentimenti, le aspirazioni, i destini di individui e popoli diventano la variabile dipendente delle leggi “naturali” del mercato, concepite come fisse e immodificabili, come un Fato di fronte al quale si può solo chinare la testa, con pia rassegnazione». E il guaio è che «non ci rendiamo sempre conto di quanto abbiamo finito per considerare normale questa maligna distorsione della realtà “sub specie oeconomica”, che rende pensabile l’impensabile, attraverso l’apparente neutralità del linguaggio scientifico».
    E’ vero: «Finiamo con l’abituarci al fatto che in molte aree del mondo esistano bambini-schiavi, bambini-soldato, bambini-oggetto sessuale (che sono senz’altro “beni produttivi”) o al fatto che le famiglie possano essere disgregate senza riserve, perché prima vengono le esigenze produttive, quando i genitori devono accettare un posto di lavoro sempre più precario in luoghi diversi e lontani fra loro, quando devono lavorare oltre l’orario per non perdere il posto, quando l’azienda delocalizza l’attività». Oppure, ci diventa familiare «il fatto che i bambini, sempre più soli, vengano tenuti buoni lasciandoli incollati molte ore al giorno ai loro costosi schermi digitali, che li rendono dipendenti e rubano loro esperienze ben più vitali». O ancora, «riusciamo a trovare accettabili le ricette neoliberiste per la scuola, espresse in una “neolingua” economica dalla quale vengono espulsi la vita, la bellezza, la conoscenza, la relazione profonda e la crescita umana». E’ diventato tragicamente normale parlare di “dirigenti” scolastici (come in azienda) anziché di presidi, di “debiti e crediti” formativi, di “offerta” formativa, di “successo” formativo, di “piani e pianificazione”, di “innovazione e imprenditorialità”, di “competenze” intese non nel senso etimologico di un sapere a cui si aspira condividendo esperienza, ma come strumenti per competere alla pari sul mercato, da “certificare” (altra parola della “neolingua”) e da misurare con “test” oggettivi e standardizzati.
    Patrizia Scanu ricorda il “Portfolio delle competenze” della ministra Moratti, «fulgido esempio di lessico aziendalista». La Buona Scuola di Renzi? «E’ un concentrato di ideologia neoliberista, in cui tutto è finalizzato a trasformare la scuola in un’azienda, i docenti in passivi impiegati privi di autonomia professionale e costantemente sotto ricatto economico e psicologico, gli studenti in docili schiavi da addestrare per le esigenze del mondo del lavoro, ma privi di creatività e di senso critico». E’ una dimensione in cui il tempo-scuola – sempre più ridotto dal 2008 in poi, fino alla trovata dei licei quadriennali – è un tempo «infarcito di attività accattivanti, ma prive di sostanza culturale, come il Clil (ovvero l’insegnamento di una materia in lingua straniera con didattica smart) o la didattica multimediale». Ormai il mondo del lavoro «entra di prepotenza nella didattica, diventandone lo scopo». E arriva, con il nuovo esame di Stato, «a valutare l’alunno, al posto del docente, per una parte cospicua del voto finale». E gli enti certificatori esterni, come l’Invalsi (che entrerà anch’esso nella valutazione finale dello studente) sottraggono una bella fetta di autonomia didattica al docente, «costringendolo all’aberrazione del “teaching to test”, cioè a sacrificare ulteriormente la filosofia, la matematica, la storia o la letteratura alla preparazione al test standardizzato».
    La verità, sintetizza Patrizia Scanu, è che «nell’orizzonte ideologico neoliberista non esistono né l’uomo né il cittadino, ma solo il lavoratore e il consumatore». E la standardizzazione «livella ogni differenza di personalità e di profili attitudinali individuali». Da quest’anno, poi, nella valutazione finale in uscita dalla scuola primaria (a 10 anni!) entra una qualità comportamentale che si chiama “Spirito di iniziativa ed imprenditorialità”, «tanto per chiarire subito qual è il fine». Obiettivamente, un bambino che cresce “intossicato” da questa visione del mondo «è pronto ad accettare qualunque lesione ai propri diritti, a considerare normale l’egoismo e naturale competere con gli altri, a dare per scontata la “durezza del vivere” che è il prezzo della crescita». Ed è pronto a considerare il lavoro una specie di condanna, «anziché la propria emancipazione personale e civile come scopo dello studio». Il bambino si abitua a non fare mai domande, «poiché tutto è già pianificato, predisposto e certificato: ogni conoscenza è misurabile e quantificabile, e ciò che esula dalla misura standardizzata (il pensiero critico, il gusto estetico, la creatività) non ha più posto nella sua formazione e nel suo portfolio delle competenze».
    In questo modello di scuola, aggiunge Patrizia Scanu, scompare anche l’autonomia didattica del docente, «compressa dalla pressione ministeriale a conformarsi ai metodi via via imposti dall’alto come innovativi», fino all’alternanza scuola-lavoro (che sottrae tempo alla didattica) e all’influenza dei datori di lavoro che valutano gli studenti. Ci sono i vincoli dell’Invalsi, la valutazione meritocratica (economicistica), i risultati quantificabili con il “successo formativo” degli allievi. E ancora: l’ingerenza dei privati nel finanziamento e nella gestione degli istituti. Secondo il piano renziano, «le risorse pubbliche non saranno mai sufficienti a colmare le esigenze di investimenti nella nostra scuola». Per questo intervengono le risorse private, che «possono contribuire a trasformare la scuola in un vero investimento collettivo». La scuola è una frontiera mobile, si legge nel documento: «Se pensiamo alle sfide della competizione globale, al dinamismo di una società sempre più multiculturale, alla rapidità del cambiamento tecnologico, capiamo subito le esigenze di una continua sperimentazione educativa. Vale per la scuola quanto è ormai ovvio per moltissimi altri ambiti, a partire dalla ricerca: sommare risorse pubbliche a interventi dei privati è l’unico modo per tornare a competere».
    Via libera ai fondi privati, visto che lo Stato chiude i rubinetti: ben vengano fondazioni e altri enti per la gestione di risorse provenienti dall’esterno, privi di “appesantimenti burocratici”. Tanto per essere chiari, osserva Patrizia Scanu: la scuola deve attrezzarsi alla competizione globale «data come indiscutibile», dev’essere in continua sperimentazione «come se fosse sempre in funzione di esigenze esterne a sé e priva di riferimenti culturali», deve accogliere senza controllo finanziamenti privati «con le relative pressioni esterne», e deve diventare “un investimento collettivo”, trasformandosi in una fondazione. «Ma i soggetti di questo “noi” non sono precisati e sono facilmente individuabili nei capitali privati. Eccolo lì, il punto-chiave, quello su cui pochissimo si è detto ai cittadini: la scuola-fondazione non è la scuola pubblica della Costituzione: non forma uomini e cittadini, ma lavoratori già pronti a entrare velocemente e senza diritti nel mondo del lavoro». Quella scuola, scrive Patrizia Scanu, «non colma le disuguaglianze sociali, ma le accentua, rendendole territoriali». Peggio: «Non rilascia titoli con valore legale, ma certificazioni di competenze, abbandonando i singoli alla leggi spietate del mercato. E non educa, ma si limita ad istruire secondo la volontà di chi la finanzia».
    Siamo all’applicazione scolastica dell’ingegneria sociale promossa dagli “stregoni” della Scuola di Chicago: «Ritroviamo qui per intero il Verbo neoliberista: deregolamentare, privatizzare e tagliare servizi pubblici con la scusa del debito pubblico e della carenza di fondi, unica realtà immodificabile». La stessa autonomia scolastica, nata per superare il centralismo burocratico della scuola statale, attraverso questa pericolosa “mutazione genetica” diventa «la solitudine darwiniana della scuola, che deve mantenersi a galla nella lotta per la sopravvivenza escogitando sempre nuovi modi per attrarre finanziamenti, perdendo ogni reale autonomia e diventando, nella sostanza, privata». Questo, conclude Patrizia Scanu, è un crimine politico: «E’ un tradimento del compito educativo della scuola ed è un violento assalto ai valori sui quali si fonda la scuola della Costituzione». Una deriva in apparenza inarrestabile, alla quale – oggi più che mai – è necessario opporre contromisure strategiche.

    Come trasformare un bambino in un “asset”: un individuo solo al mondo, in lotta contro tutti. E’ l’orrore del neoliberismo, sintetizzato da Margaret Thatcher nel 1980: «L’economia è il mezzo, l’obiettivo è quello di cambiare il cuore e l’anima». Si comincia presto, dai banchi di scuola: e il risultato è ormai sotto i nostri occhi, avverte Patrizia Scanu, dirigente del Movimento Roosevelt ed esperta del mondo scolastico. Nata in circoli accademici ristretti, «lautamente foraggiati per contrastare il mainstream economico keynesiano», la teoria economica neoliberista finisce con il diventare in pochi anni, fra gli anni ‘70 e ‘80, la visione dominante dell’economia, grazie agli economisti della Scuola di Chicago come Milton Friedman e Friederich von Heyek. Applicazioni immediate: il Cile di Augusto Pinochet, la Gran Bretagna della “Strega del Nord”, gli Usa di Reagan. Il neoliberismo? «Fondato su una visione assiomatica (ovvero indimostrabile) del mondo». Un mondo economico “ideale”, come «una realtà perfettamente ordinata e regolata da leggi “naturali”, al di fuori di ogni intervento regolatore dello Stato». Homo homini lupus: estremizzando la teoria della “mano invisibile” di Adam Smith, il neoliberismo «postula la spontanea diffusione della ricchezza e del benessere come conseguenza “naturale” dell’assenza di ogni vincolo economico, giuridico, ambientale, politico e sociale all’egoistico perseguimento del profitto».

  • Macché migranti: via l’Italia dalla Libia, il vero piano Macron

    Scritto il 15/6/18 • nella Categoria: idee • (17)

    Altro che migranti. Dietro lo scontro Francia-Italia c’è il piano di Macron per mettere l’Italia fuori dalla Libia, a partire dal summit di Vienna di fine giugno. Lo sostiene un analista geopolitico come Giulio Sapelli, sul “Sussidiario”, all’indomani dello scontro fra Roma e Parigi sulla nave Aquarius carica di migranti, da cui l’aggettivo “vomitevole” utilizzato sal partito di Macron per definire la nuova politica italiana incarnata da Matteo Salvini. «La politica estera è un gioco di specchi», premette Sapelli: è fatta di miraggi, «dove ciò che appare non è ciò che è», tanto più «laddove lo spazio di potenza è stretto, ossia non si svolge tra cieli e terre immense, l’uno dall’altra lontano». Questo, sostiene Sapelli, «spiega la differenza tra la politica estera e la relazione di potenza tra gli Usa e la Russia, o tra gli Usa e la Cina: si solcano oceani, si parla attraverso cavi sottomarini e satelliti, senza vedersi l’un l’altro se non con le tecnologie». Tutto è diverso, invece, quando lo spazio della politica di potenza è stretto, ossia tra nazioni confinanti, tra mari condivisi, dove ci si può vedere e parlare a viva voce, o con un viaggio che dura una manciata di ore. Faccia a faccia, come sono Italia e Francia, «tutti i fondamenti della potenza si presentano insieme: dal potere politico al potere economico, in un intreccio fortissimo ma che spesso non appare così evidente».

  • Della Luna: ci tocca smascherare l’Ue e attaccare per primi

    Scritto il 15/6/18 • nella Categoria: idee • (16)

    «Il governo Salvini-Di Maio rischia di essere mitragliato, se resta a metà del guado». Gli interessi economici che stanno dietro Ue e Bce – scrive Marco Della Luna – già si muovono per denigrare, delegittimare e sgambettare il nuovo governo, nato dalla resistenza al loro potere e alle loro pratiche. «Cercheranno di coglierlo in fallo, di tendergli agguati, di dividerlo comprandone parti, e di farlo cadere, così da completare la sottrazione dell’autonomia politica e delle risorse economiche delle nazioni, iniziando con quelle più vulnerabili e incravattabili, come l’Italia». Perciò questo governo «può vincere la partita solo se attaccherà per primo», ovvero: se, dopo la fase di insediamento, «metterà a nudo e delegittimerà quegli stessi interessi prima i essere fatto fuori da essi, rovesciando il loro tavolo». Quindi, secondo Della Luna, deve «smettere di fare l’europeista benpensante, sostituire i corpi estranei al suo interno e cantar chiara la verità a quella gente che dovrà sostenere il contrattacco dei “mercati” (della Bce, dell’Eurogruppo, del rating)». Il governo gialloverde «dovrà anche lavorare – assieme agli altri governi “populisti” e agli Usa – non a riformare un ordinamento eurocratico (Ue, euro) che non è riformabile perché è nato proprio per quello che sta facendo, e neppure a prepararsi per uscire da esso unilateralmente – cosa che sarebbe devastante – ma invece a farlo crollare così da liberarsene tutti, per ritrovare la libertà politica, il diritto dei cittadini a un voto effettivo, e usarla per costruire un’Europa diversa (se possibile), cioè per le nazioni e non per gli usurai e per gli autocrati irresponsabili».
    Secondo Della Luna, è necessario che il governo Conte si ritiri anche dal Trattato di Velsen, «per prevenire che, in caso di caduta del governo e di sommosse popolari più o meno spontanee, ci arrivi la polizia militare antisommossa Eurogendfor a reprimere e a instaurare la dittatura degli usurai stranieri». Se Lega e 5 Stelle indugeranno invece a metà del guado, senza spiegare chiaramente ciò che è l’Unione Europea, che interessi serve e che scopo ha, fingendo che essa sia rinegoziabile e riformabile, che possa diventare “democratica” anziché autocratica, allora – insiste Della Luna – quei medesimi interessi «li faranno fuori con attacchi mediatici, giudiziari e finanziari – come hanno fatto fuori tutti coloro che cercarono di portare avanti una politica di interesse nazionale italiano: Mattei, Moro, Craxi». La chance dei gialloverdi – ripete l’avvocato Della Luna, autore di saggi assai critici sull’euro-sistema – sta in questo: «Delegittimare, prima di essere delegittimati e poi rottamati». In sintesi: «Se continueranno a lungo a fare i moderati per farsi accettare, sono fritti. O attaccano l’Ue e l’euro, e fanno la storia; oppure si allineano per le poltrone». Scoprire i giochi – aggiunge Della Luna – significa iniziare a spiegare all’opinione pubblica quello a cui l’Europa è servita – ad esempio raccontando, come ha fatto D’Alema, che la Bce prestava i soldi allo  0,75% ai banchieri francesi e tedeschi, i quali a loro volta usavano quel denaro per comprare i titoli del debito pubblico greco che pagavano il 15% di interesse «e corrompevano i governanti greci affinché facessero debito pubblico anche per comprare prodotti tedeschi come le navi da guerra».
    La storia è tristemente nota: quando la Grecia non ce l’ha più fatta a pagare gli interessi usurari, «l’Unione Europea ha imposto all’Italia e ad altri paesi di prestare soldi alla Grecia a un tasso inferiore a quello a cui li prendevano prestito – non per aiutare la Grecia, ma per far realizzare ai predetti banchieri i loro incassi usurari, anziché arrestarli (modelli analoghi sono stati applicati a Spagna, Portogallo, Irlanda)». Questo, aggiunge Della Luna, è quello che ha fatto innanzitutto Monti, tassando i beni immobili e facendone crollare il valore di circa un terzo, cioè di circa 2.000 miliardi, «che sono stati distrutti come patrimonio nazionale; e per far questo egli era stato messo a Palazzo Chigi e nominato senatore a vita». Ergo, «bisogna far capire alla gente che l’Ue è una costruzione progettata e realizzata dagli usurai per realizzare una usura radicale fino al totale svuotamento dei risparmi e degli assets dei paesi sottomessi». Per questo, secondo l’avvocato, il potere di Bruxelles «non è riformabile». Negoziare? Serve solo a «far emergere più visibilmente la sua non-riformabilità». Discorsi ieri impossibili da proporre, ma oggi non più: «Credo che gli ultimi avvenimenti abbiano predisposto l’opinione pubblica a capire», sostiene Della Luna, citando il caso di Mattarella: bocciando l’euroscettico Savona sotto pressione dell’Ue e della Bce, il Quirinale «ha fatto percepire come, riforma dopo riforma, senza che fosse dichiarato, il paese è stato portato a una degradata condizione di dipendenza e sottomissione a interessi esterni, tale da impedirgli di uscire dalla rotta prestabilita e da vanificare quindi la volontà del suo elettorato».
    Giuseppe Conte è in precario equilibrio tra “rassicuratori” euro-allineati e fautori dello strappo con l’Ue? Finora non ha chiarito quali misure adotterà in concreto, qualora i partner europei egemoni rifiutassero di rinegoziare i trattati, a cominciare da quelli sull’euro e sui migranti. «Se si va a trattative senza prospettare contromisure in caso di indisponibilità della controparte, non si ottiene un fico secco», taglia corto Della Luna. «Lega e 5 Stelle non hanno per il momento spiegato agli italiani che la situazione di sudditanza e squilibrio a danno dell’Italia, che essi vogliono cambiare rinegoziando i trattati comunitari, non si è creata per errore o per accidente». E’ stata invece «creata deliberatamente e programmaticamente, da precisi interessi, secondo un itinerario prestabilito molto tempo fa». Sicché, per cambiare le regole serve una forza superiore a quella che sostiene gli interessi contrari all’Italia. Dov’è questa forza? «Può venire solo da un’operazione di smascheramento del progetto eurocratico, che si colleghi a una ribellione concertata col gruppo di Visegrad, con l’Austria, con gli Usa». Un’operazione «diretta ad abbattere l’Ue e l’euro», bonificando il sistema da «speculatori e nuovi kapò franco-tedeschi».
    Secondo Della Luna, la nuova maggioranza «sta lasciando inespressa, non comunicata e non proposta al dibattito pubblico, la dinamica di fondo, in cui si colloca anche l’insieme delle caratteristiche nocive della costruzione comunitaria». La coalizione gialloverde «non ha ancora detto alla gente che, semplicemente, le cose che non vanno bene non sono venute in essere perché le hanno volute i tedeschi oppure una lobby di banchieri internazionali oppure di tecnocrati a Bruxelles». Salvini e Di Maio non hanno ancora detto a chiare lettere che queste regole-capestro «servono e corrispondono all’interesse del capitale finanziario internazionale che guida i processi di riforma». Per massimizzare il proprio potere e per conformare il mondo e le società e ai propri interessi, il neoliberismo ha bisogno precisamente di questo, «ossia di creare una dipendenza unilaterale della politica, delle nazioni e delle singole persone (togliendo loro le scelte politiche e lasciando esistere un simulacro di democrazia solo finché rimane nei binari voluti dal capitale) dal cartello bancario privato che produce e concede moneta e credito». Risultato raggiunto «togliendo agli Stati la sovranità monetaria e sottoponendoli alla pressione irresistibile del rating del loro debito pubblico». La ricetta di Della Luna? Denunciare il mostro, e attaccare per primi.

    «Il governo Salvini-Di Maio rischia di essere mitragliato, se resta a metà del guado». Gli interessi economici che stanno dietro Ue e Bce – scrive Marco Della Luna – già si muovono per denigrare, delegittimare e sgambettare il nuovo governo, nato dalla resistenza al loro potere e alle loro pratiche. «Cercheranno di coglierlo in fallo, di tendergli agguati, di dividerlo comprandone parti, e di farlo cadere, così da completare la sottrazione dell’autonomia politica e delle risorse economiche delle nazioni, iniziando con quelle più vulnerabili e incravattabili, come l’Italia». Perciò questo governo «può vincere la partita solo se attaccherà per primo», ovvero: se, dopo la fase di insediamento, «metterà a nudo e delegittimerà quegli stessi interessi prima i essere fatto fuori da essi, rovesciando il loro tavolo». Quindi, secondo Della Luna, deve «smettere di fare l’europeista benpensante, sostituire i corpi estranei al suo interno e cantar chiara la verità a quella gente che dovrà sostenere il contrattacco dei “mercati” (della Bce, dell’Eurogruppo, del rating)». Il governo gialloverde «dovrà anche lavorare – assieme agli altri governi “populisti” e agli Usa – non a riformare un ordinamento eurocratico (Ue, euro) che non è riformabile perché è nato proprio per quello che sta facendo, e neppure a prepararsi per uscire da esso unilateralmente – cosa che sarebbe devastante – ma invece a farlo crollare così da liberarsene tutti, per ritrovare la libertà politica, il diritto dei cittadini a un voto effettivo, e usarla per costruire un’Europa diversa (se possibile), cioè per le nazioni e non per gli usurai e per gli autocrati irresponsabili».

  • Piramide schiavista: gli “amici” dei migranti sono i loro killer

    Scritto il 13/6/18 • nella Categoria: idee • (12)

    Si dice spesso che quello dell’immigrazione sia “un problema complesso”, e che non lo si possa quindi risolvere con una semplice formula di due righe. Questo è verissimo, ma quando poi si cerca di analizzare questa complessità ci si trova davanti ad un garbuglio intricato di concetti che tendono a mescolarsi continuamente fra di loro. Forse un piccolo grafico può aiutare, se non altro a separare fra di loro i vari livelli del problema. Al livello più basso ci sono sicuramente i migranti stessi. Ovvero la carne umana, l’oggetto del contendere, la cristallizzazione fisica del problema reale. Centinaia di migliaia di disperati che lasciano le loro terre vuote di promesse alla ricerca di un futuro migliore. Queste masse si spingono istintivamente verso nord, attratte dal miraggio del benessere europeo. Ma fra loro e questo miraggio si frappone un problema: il viaggio. I paesi europei infatti non accettano un’immigrazione libera, da qualunque parte del mondo. E’ quindi necessario arrivare in Europa con metodi illegali. E qui subentrano gli schiavisti, che si approfittano del desiderio di queste persone di raggiungere l’Europa, e ne traggono un notevole vantaggio economico.
    I migranti vengono raccolti in veri e propri lager sulle coste africane, e vengono spediti con mezzi di fortuna attraverso il mare, dopo essere stati torturati, schiavizzati e sfruttati, e dopo che a loro è stato spremuto dalle tasche fino all’ultimo soldo che possedevano. In mezzo al mare ci sono ad attenderli le navi delle Ong, che rappresentano il “lato buono” dello schiavismo. Mentre i negrieri africani sfruttano apertamente i migranti prima di mandarli in mezzo al mare, coloro che li raccolgono lo fanno – almeno ufficialmente – per motivi umanitari. Chi paghi il costo di queste navi, chi paghi lo stipendio ai suoi marinai, chi paghi le tonnellate di viveri che trasportano non è mai stato molto chiaro, perché a quanto pare queste Ong non sono obbligate ad una particolare trasparenza finanziaria. Ma diciamo, almeno per adesso, che siano tutti motivati da puro spirito umanitario, e andiamo avanti. Una volta che le navi hanno raccolto in mare i naufraghi li rifocillano, li curano se ne hanno bisogno, e li scaricano in qualche porto europeo, quasi sempre italiano (o almeno fino a ieri le cose funzionavano così).
    A questo punto entrano in scena i popoli europei, ovvero coloro che si vedono riversare queste masse di migranti nelle loro strade e nelle loro piazze, e che non sono quasi mai contenti di assistere a questo spettacolo. Un po’ perché la presenza di questi migranti crea un senso di insicurezza fisica nelle popolazioni, un po’ perché si teme una lenta ma irreversibile “colonizzazione” del nostro sistema culturale (curioso, vero? I colonizzatori di una volta temono oggi di essere colonizzati). I popoli europei lamentano la loro insoddisfazione per questa “invasione” di popoli africani, e quindi si rivolgono alla politica perché metta un freno a questo fenomeno. E così i politici, che traggono la loro linfa vitale dallo stesso consenso popolare, cercano di agire in modo da ottenere un ampliamento del loro supporto elettorale. Ma c’è anche un altro aspetto della faccenda, che impedisce ai politici di viaggiare tutti nella stessa direzione: i migranti infatti creano problemi, ma rendono anche dei soldi. Molti soldi. Per ogni migrante presente sul suolo nazionale, lo Stato eroga 35 euro a testa al giorno. E di questi 35 euro soltanto due vanno direttamente nelle tasche dei migranti. Tutti gli altri vengono dati alle cooperative che li gestiscono, e che – teoricamente – dovrebbero mantenerli in modo dignitoso.
    Ma tutti sappiamo che buona parte di quei soldi rimangono invece nelle tasche delle cooperative stesse. Il guadagno è proprio lì, nel non dover rendere conto allo stato di come vengono spesi i soldi ricevuti. E a questo punto sarebbe stupido pensare che queste cooperative non abbiano un legame, diretto o indiretto, proprio con quella politica che determina da una parte i flussi migratori, e dall’altra i flussi di denaro verso di loro. La famosa frase di Buzzi, «c’è più da guadagnare con i migranti che con la droga», sintetizza il problema in maniera esemplare. Abbiamo quindi, da una parte, una classe politica che vorrebbe soddisfare le necessità di sicurezza e tranquillità della propria popolazione, ma dall’altra una classe politica che è anche inevitabilmente tentata di fare affari con l’immigrazione stessa. Nascono così i due partiti: quello del “tutti a casa”, e quello dell’“accogliamoli a braccia aperte, siamo tutti fratelli su questo pianeta”. Ovvero, il cosiddetto “razzismo xenofobo” da una parte, e il cosiddetto “buonismo universale” dall’altra. Ma, fra i politici che incarnano queste diverse posizioni e la popolazione che tende a polarizzarsi su di esse, esiste una categoria intermedia, che è quella dei giornalisti. Sono loro infatti a rimestare nel calderone, e a fare continuamente leva – nei loro infiniti talk-show – sulle varie emozioni della popolazione. A volte calcano in modo quasi terroristico sul senso di insicurezza diffuso, altre volte promuovono in modo disgustoso il buonismo a 360°.
    E fin qui abbiamo descritto solo quella che può essere la parte visibile del problema, e cioè la catena di interessi concorrenti che ci ha portato allo scontro sociale a cui siamo assistendo in questi giorni. Poi però c’è il lato nascosto del problema, ovvero le élites finanziarie. “Quelli che hanno i soldi”, tanto per capirci, ovvero quelli che detengono il vero potere nel mondo di oggi. Sono infatti le stesse élites finanziarie, nella forma di inappuntabili corporations, che hanno invaso e depauperato il continente africano nell’ultimo secolo, e che non esitano a causare guerre e genocidi pur di trarre un vantaggio economico per i propri azionisti. E’ quindi lo sfruttamento macro-economico dei grandi capitali che sta alla base dell’impulso migratorio dall’Africa verso l’Europa. E nel cedere a questo impulso, gli stessi africani vengono ad alimentare, nel micro, tutta una catena di sub-economie che rendono denaro a schiavisti, mafiosi e forse alle stesse organizzazioni “umanitarie” che gestiscono il fenomeno migratorio. Pensate che bello: a generare il problema all’ultimo livello sono quelli del primo livello. E in mezzo ci sono tutti gli altri – ci siamo noi, e ci sono loro – a scannarci gli uni contro gli altri per un tozzo di pane dal mattino alla sera.
    (Massimo Mazzucco, “La piramide del fenomeno migratorio”, dal blog “Luogo Comune” del 13 giugno 2018).

    Si dice spesso che quello dell’immigrazione sia “un problema complesso”, e che non lo si possa quindi risolvere con una semplice formula di due righe. Questo è verissimo, ma quando poi si cerca di analizzare questa complessità ci si trova davanti ad un garbuglio intricato di concetti che tendono a mescolarsi continuamente fra di loro. Forse un piccolo grafico può aiutare, se non altro a separare fra di loro i vari livelli del problema. Al livello più basso ci sono sicuramente i migranti stessi. Ovvero la carne umana, l’oggetto del contendere, la cristallizzazione fisica del problema reale. Centinaia di migliaia di disperati che lasciano le loro terre vuote di promesse alla ricerca di un futuro migliore. Queste masse si spingono istintivamente verso nord, attratte dal miraggio del benessere europeo. Ma fra loro e questo miraggio si frappone un problema: il viaggio. I paesi europei infatti non accettano un’immigrazione libera, da qualunque parte del mondo. E’ quindi necessario arrivare in Europa con metodi illegali. E qui subentrano gli schiavisti, che si approfittano del desiderio di queste persone di raggiungere l’Europa, e ne traggono un notevole vantaggio economico.

  • Page 86 of 241
  • <
  • 1
  • ...
  • 81
  • 82
  • 83
  • 84
  • 85
  • 86
  • 87
  • 88
  • 89
  • 90
  • ...
  • 241
  • >

Libri

UNA VALLE IN FONDO AL VENTO

Pagine

  • Libreidee, redazione
  • Pubblicità su Libreidee.org

Archivi

Link

  • Border Nights
  • ByoBlu
  • Casa del Sole Tv
  • ControTv
  • Edizioni Aurora Boreale
  • Forme d'Onda
  • Luogocomune
  • Mazzoni News
  • Visione Tv

Tag Cloud

politica Europa finanza crisi potere storia democrazia Unione Europea media disinformazione Ue Germania Francia élite diritti elezioni mainstream banche rigore sovranità libertà lavoro tagli euro welfare Italia sistema Pd Gran Bretagna oligarchia debito pubblico Bce terrorismo tasse giustizia paura Russia neoliberismo industria Occidente pericolo Cina umanità globalizzazione disoccupazione sinistra movimento 5 stelle futuro verità diktat sicurezza cultura Stato popolo Costituzione televisione Bruxelles sanità austerity mondo