Archivio del Tag ‘povertà’
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“Sì, voglio essere vaccinato e spiato (dopo di voi, s’intende)”
Caro Premier e cari politici, io sono un complottista, ma sono diverso dagli altri. Non temo il controllo, i vaccini, il 5G, i droni quando vado a correre, in realtà non temo nulla. E voglio tutto questo, vaccini, 5G, controllo totale. Voglio essere controllato anche dai droni, non solo quando corro, ma anche quando dormo e anche quando trombo. Vi capisco. E’ per la nostra sicurezza. Ma ovviamente voglio pensare – perché è logico pensarlo – che questi droni saranno usati anche per andare a controllare le ville isolate in mezzo al nulla, quelle dove spesso i potenti fanno le loro riunioni; perché vede, non so se lei lo sa, ma ogni anno spariscono migliaia di bambini, in Europa, e fanno una fine terribile. E se si usassero questi droni per questi motivi forse molti non sparirebbero più. Pensi, Presidente, anche Trump ha capito che quella dei bambini scomparsi è una piaga per la nostra società, tanto da aver dichiarato il problema della pedofilia un problema di sicurezza nazionale. Nell’Ardèche, una provincia francese, scompaiono un numero di bambini impressionante, ad esempio; spero che il presidente francese usi i droni per andare a controllare minuto per minuto quello che succede in ogni istante in certe ville sperdute.Voglio essere controllato in ogni momento della mia vita, non solo dalla App Immuni, ma anche da altre. Voglio rendere conto di ogni minimo gesto che faccio, e anche quando sono in intimità. Lo trovo giustissimo, anche perché non credo che freghi molto a qualcuno se talvolta guardo Youporn o tradisco mia moglie con la vicina di casa. A questo punto, però, essendo possibile tracciare tutti i cittadini in questo modo, credo sia possibile tracciare anche i politici, in ogni momento. E, in nome di quel principio di imparzialità della PA che sta anche nella nostra Costituzione (articolo 97), e del principio di trasparenza che sta nella Legge 241/1990, vorrei poter sapere, in ogni momento, dove va lei, con chi si incontra, e che tipo di vita fa. Non dovrebbe essere difficile. Basterebbe mettere on line i profili di tutti i cittadini italiani, e far sì che chiunque, cliccando su un nome, possa sapere esattamente dove va e con chi sta il suo politico preferito. Perché, vede, se siete solo voi a controllare noi, e noi non possiamo fare altrettanto, allora scatta la nostra paranoia complottista e possiamo anche pensare che tale controllo possa servire ad altro.In questo modo, poi, ad esempio, potremmo sapere se il magistrato che giudica sull’affidamento di alcuni bambini ha o non ha compartecipazioni tramite i familiari proprio con quegli istituti in cui il bambino sarà rinchiuso. Va benissimo il provvedimento di un sindaco sardo, il quale ha dichiarato che se un minorenne viene trovato fuori casa possono scattare sanzioni anche a carico dei genitori e possa venir informata la procura per togliere i figli ai genitori. Legittimo. Legittimissimo. A questo punto vorrei essere però informato, tramite le app di tracciamento di cui sopra, di tutti gli spostamenti dei vari politici e delle relazioni che questi intrattengono con eventuali minori; perché, vede Presidente, l’inchiesta sul caso Marcinelle, in Belgio, portò a capire che i pedofili arrestati, Dutroux e la moglie, lavoravano per conto di altri personaggi più potenti. Vorrei sapere chi erano questi personaggi, e chi avevano incontrato. E vorrei anche sapere dove si trova adesso la moglie di Dutroux; le cronache avevano detto che era stata trasferita in Toscana, ma nessuno sa perché e dove. E ci piacerebbe saperlo. E con una app apposita io credo che chiunque abbia possibilità e diritto di saperlo.Va benissimo la vaccinazione obbligatoria. Pazienza se ci sono dubbi sulla continua mutazione del ceppo, e quindi molti illustri virologi dicono che non serve a una mazza, e pazienza se dicono che col caldo il virus muore. Tanto questa storia del vaccino è diventata come la fede. Si è pro o contro a prescindere. E allora facciamo finta che abbiate ragione voi. Mi sembra ovvio però che i primi a testarlo sarete voi e i vostri figli; ovverosia voi, Burioni, e la task force che lei ha nominato e tutti quelli che eventualmente approveranno la legge sulla vaccinazione obbligatoria. E’ semplicemente una questione di dare il buon esempio. Va benissimo anche installare il 5G ovunque. Ci mancherebbe. Il 5G sicuramente serve al progresso e aumenterà l’efficienza della nostra società. Ma ci sembrerebbe un’idea sana quella di sperimentarlo prima installandolo nel Parlamento, nei palazzi del potere, e vicino alle vostre abitazioni, giusto per vedere l’effetto che fa. Perché sa, tra noi complottisti gira la voce che sia dannoso, e uno dei primi effetti che si vedono è che muoiono insetti e uccelli che si avvicinano troppo alle centraline.Allora direi che se prima lo provate voi per qualche anno, e poi ci rassicurate che state bene, dopo esservi pure vaccinati, poi potremmo stare più tranquilli anche noi. Ovviamente, confido che i primi che lo proveranno saranno gli Ad delle compagnie telefoniche, i sindaci che ne magnificano le doti, ecc., i quali si renderanno disponibili per impiantare i primi tralicci proprio davanti a casa loro. Va benissimo che distruggete le piccole aziende riducendole in povertà per proteggerci dall’influenza. So che lo fate per noi, e non dia retta a quei paranoici complottisti che pensano che tutto questo sia stato fatto per distruggere l’economia e ridisegnare la socio-economia mondiale, rendendo alcuni ricchi ancora più ricchi e i poveri ancora più poveri. Ma in nome di quel controllo da voi auspicato per proteggerci dall’influenza, vogliamo sperare che ci proteggiate anche da manovre speculative di aziende e gruppi economici italiani e stranieri, rendendo pubblici i bilanci e le proprietà di tutte le aziende che operano sul territorio nazionale.Faccio un esempio: siccome la App Immuni pare sia di un’azienda che ha come partecipanti la famiglia Berlusconi, i Benetton, un gruppo cinese, vari gruppi ricollegati a banche e finanziarie, ecc., tanto che la cosa ha allarmato pure i nostri servizi segreti e il Copasir vuol approfondire la questione, mi pare sensato che tutte queste informazioni possano essere rese pubbliche su un grande portale ministeriale in cui il cittadino possa essere sempre informato di ciò che succede e dei vari collegamenti societari. Anche perché io non credo, come dicono moti paranoici complottisti, che tutto questo sia un vero colpo di Stato e che sia soppressa la democrazia. No. Credo che tutti questi controlli rendano più efficace la democrazia. La democrazia, per essere reale, presuppone però che il cittadino sia informato di ciò che avviene nelle stanze del potere, e sia in grado di capire chi agisce, perché, e con che strumenti. Cioè la democrazia, per essere tale, ha bisogno che voi ci controlliate, ma che anche noi possiamo controllare voi.Ps. Ah dimenticavo… negli anni della nostra Repubblica abbiamo avuto circa una cinquantina di stragi. Tutte rimaste impunite, senza mai trovare i colpevoli. Questo perché ancora non c’erano strumenti di indagine sofisticati come oggi. Auspichiamo che con questo controllo globale di tutti a vicenda, non ci saranno più stragi, gli omicidi verranno risolti in pochissimo tempo, e la mafia scomparirà. E nessun minore sparirà più nel nulla. Neanche quelli che sono ospitati presso centri appositi, che si “allontanano” a decine, ogni anno, sparendo nel nulla e che non vengono neanche conteggiati nel numero degli scomparsi, perché la voce “allontanato” è diversa. Sarebbe una bella società, quella dove tutti sanno tutto di tutti, in trasparenza. Rinuncio volentieri alla mia privacy, di cui non me frega nulla, e che per me è un concetto che dovrebbe essere abolito, se in cambio non vedrò più bambini scomparire, se potrò sempre sapere se la ditta da cui compro è collegata o meno con grandi gruppi finanziari di cui non approvo la politica, e se potrò sapere i nomi dei 300 esperti inseriti nella sua task force, per poter controllare che interessi hanno in varie società, il loro curriculum, ecc. Perché questa cosa della mancanza di privacy deve valere anche per voi.(Paolo Franceschetti, “Caro premier, voglio essere controllato e vaccinato”, dal blog “Petali di Loto” del 25 aprile 2020).Caro Premier e cari politici, io sono un complottista, ma sono diverso dagli altri. Non temo il controllo, i vaccini, il 5G, i droni quando vado a correre, in realtà non temo nulla. E voglio tutto questo, vaccini, 5G, controllo totale. Voglio essere controllato anche dai droni, non solo quando corro, ma anche quando dormo e anche quando trombo. Vi capisco. E’ per la nostra sicurezza. Ma ovviamente voglio pensare – perché è logico pensarlo – che questi droni saranno usati anche per andare a controllare le ville isolate in mezzo al nulla, quelle dove spesso i potenti fanno le loro riunioni; perché vede, non so se lei lo sa, ma ogni anno spariscono migliaia di bambini, in Europa, e fanno una fine terribile. E se si usassero questi droni per questi motivi forse molti non sparirebbero più. Pensi, Presidente, anche Trump ha capito che quella dei bambini scomparsi è una piaga per la nostra società, tanto da aver dichiarato il problema della pedofilia un problema di sicurezza nazionale. Nell’Ardèche, una provincia francese, scompaiono un numero di bambini impressionante, ad esempio; spero che il presidente francese usi i droni per andare a controllare minuto per minuto quello che succede in ogni istante in certe ville sperdute.
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Curarci costa: meglio rinchiuderci e sorvegliarci con la app
La tutela della privacy è solo uno degli aspetti legati al problema dell’app governativa “immuni”. E neanche il più importante. La questione principale infatti è quella relativa all’uso della tecnologia con funzione chiaramente sostitutiva della responsabilità politica dello Stato. È questa la sintesi di un articolo di assoluto interesse apparso sul “Guardian” la scorsa settimana. Detto in altre parole (e calato dentro il nostro contesto). Siccome lo Stato liberista non ha le risorse per adottare tutte le misure necessarie a risolvere un dato problema (nel nostro caso la pandemia), allora si pensa di mitigarne gli effetti limitando la libertà personale dei cittadini. È più pratico e più veloce. E soprattutto costa infinitamente meno rispetto a un piano miliardario di investimenti pubblici. Pensateci, perché mai un governo dovrebbe investire montagne di denaro per risolvere problemi strutturali della società liberista se può imporre l’uso di strumenti informatici?Il trasporto pubblico fa schifo? Anziché comprare nuovi mezzi faccio la app che “efficienta” l’uso dei bus da parte dei cittadini. Non ho le risorse sufficienti per fare milioni di tamponi, aumentare la disponibilità di posti letto in ospedale, comprare macchinari e assumere medici e poliziotti? Chiudo i cittadini in casa e quando oramai sono sull’orlo dell’esasperazione (e della povertà) li obbligo ad uscire di casa solo con l’app. Risparmio un sacco di soldi e limito il problema. E chi se ne frega delle libertà costituzionali. Ecco perché alla radice di questo modus operandi non c’è (solamente) il pericolo per la privacy. Ma quello, oggi più concreto che mai, che le nostre “democrazie” si trasformino in Stati ad elevata sorveglianza attiva al fine di sopperire alle gigantesche falle del sistema pubblico di organizzazione e funzionamento della società. Che cioè si ricorra sempre di più ai big data per affrontare i problemi strutturali del nostro presente, compresi il modello di produzione e le disuguaglianze da esso derivanti.Che quindi si faccia strada un nuovo pensiero politico che ritiene molto più conveniente influenzare pesantemente il comportamento dei singoli anziché affrontare alla radice i problemi di un dato modello di sviluppo, nel nostro caso la società capitalista. Ancora una volta quindi la nostra Costituzione si erge a baluardo non tanto di un singolo diritto (la libertà individuale) quanto piuttosto di una complessiva idea di Stato e del suo ruolo pubblico come del principale attore e risolutore dei problemi della società. Cedere su “immuni” quindi non significa transigere solo su uno strumento temporaneo e di “pubblico interesse”. Significa accettare, ancora una volta, che lo Stato abdichi al suo ruolo principale: prendersi cura dei suoi cittadini. Con l’aggravante del creare un pericolosissimo precedente dal quale sarà molto difficile tornare indietro.(Antonio Di Siena, “‘Immuni’, perché l’attacco alla privacy non è il problema più importante che pone”, da “L’Antidiplomatico” del 21 aprile 2020).La tutela della privacy è solo uno degli aspetti legati al problema dell’app governativa “immuni”. E neanche il più importante. La questione principale infatti è quella relativa all’uso della tecnologia con funzione chiaramente sostitutiva della responsabilità politica dello Stato. È questa la sintesi di un articolo di assoluto interesse apparso sul “Guardian” la scorsa settimana. Detto in altre parole (e calato dentro il nostro contesto). Siccome lo Stato liberista non ha le risorse per adottare tutte le misure necessarie a risolvere un dato problema (nel nostro caso la pandemia), allora si pensa di mitigarne gli effetti limitando la libertà personale dei cittadini. È più pratico e più veloce. E soprattutto costa infinitamente meno rispetto a un piano miliardario di investimenti pubblici. Pensateci, perché mai un governo dovrebbe investire montagne di denaro per risolvere problemi strutturali della società liberista se può imporre l’uso di strumenti informatici?
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Garavelli, primario: la quarantena uccide l’Italia, non il virus
Quanto può durare, un paese bloccato in una quarantena? Colleghi psichiatri mi dicono che la gente comincia a soffrire. Forse, Covid farà più morti per le patologie psichiatriche (omicidi, litigi in famiglia e tra vicini) e per la crisi sociale e la fame che indurrà, che di per se stesso. Dobbiamo affrontare il toro per le corna: se le misure quarantenarie non dimostrano di funzionare, e se il virus non finisce la sua corsa per ragioni climatiche, allora bisogna pensare a qualcos’altro. Non bisogna bloccare il paese: abbiamo strumenti di chemioterapia e di chemioprofilassi analoghi a quelli a disposizione dell’India per contrastare la malaria. Abbiamo un farmaco come il Plaquenil (l’idrossiclorochina) che si sta dimostrando assolutamente efficace, e non solo per il trattamento delle forme acute in fase iniziale, determinando nella maggior parte dei casi lo sfebbramento in terza giornata e soprattutto riducendo il Covid e quindi la pressione sugli ospedali. Soprattutto: essendo un farmaco di lunga durata (22 giorni), che si concentra nelle cellule dell’alveo respiratorio, e che ha una larga tradizione d’impiego nella profilassi della malaria, con il Plaquenil potremmo anche fare una politica “coloniale”, come quella inaugurata in India dagli inglesi nei confronti della malaria. Abbiamo il coraggio di fare queste scelte?
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Crimi al posto di Conte, da Trump un ribaltone salva-Italia?
L’Italia è conosciuta e temuta nel mondo anche per la mafia. Oggi la mafia tace, non è più la stagione delle stragi. Ma è molto forte, e finora è stata zitta. Le mafie, che si basano su grandi traffici internazionali come quello della droga, controllano una parte della politica. Sappiamo tutti della “trattativa”, di cosa è stato insabbiato: lo possiamo immaginare. Deputati e senatori sarebbero a repentaglio, se qualcuno parlasse troppo? A mio parere, si sta scatenato una situazione di rivolte, nel Sud. Sicuramente sono innescate dal problema sociale: molte famiglie non riescono più a pagare bollette e affitto, né a comprare da mangiare. Molti video che stanno girando i questi giorni, però (assalti alle vetrine delle banche) sembrano costruiti: c’è qualcosa che sta creando un clima di rivolta. Secondo me, sono segnali indirizzati alla politica. Come a dire: «Siamo scontenti, perché non ci lasciate “lavorare”», (visto che la mafia si regge sul lavoro nero e sui traffici). «E allora noi cominciamo a parlare. Parleremo tanto, e vediamo se salta il coperchio della pentola». Questa è una mia interpretazione personale. Ma è uno dei fattori che, secondo me, potrebbero portare a un repertino cambio di governo – che ritengo molto probabile, anche per il quadro internazionale, che sta rapidamente cambiando.Noi non sappiamo cosa sta succedendo. Non sappiamo quali siano i veri accordi fra Trump e Putin. Non sappiamo quanto l’Unione Europea stia realmente collassando (i segnali ci sono). Sappiamo che Macron ormai è con le spalle al muro: probabilmente, come presidente, ha le ore contate. Quindi ci sarà un cambio drastico, in Francia. E abbiamo visto cosa sta succedendo in Inghilterra. Gli americani non riunceranno mai, all’Italia: è strategica, nel Mediterraneo. Però, nello scenario di un accordo collaborativo fra Trump e Putin, è molto probabile che per l’Italia si pensi a un cambio di governo, a fini di concessione di liquidità. Ed è evidente che Conte – un uomo dei gesuiti, che probabilmente prende ordini da Oltretevere – abbia finora salvaguardato il paradigma economico vigente: i primi aiuti limitati a 25 miliardi, e appena 600 euro alle partite Iva, sono cose ridicole. Inoltre, Conte teme molto la situazione: con gli italiani sta facendo il gioco della rana bollita. Sapeva perfettamente com’era la situazione. Se avesse voluto, avrebbe potuto preparsi per tempo (e ne aveva tutta l’autorità). Conte avrebbe potuto preparare gli italiani fin da subito, facendo un discorso – anzi, facendolo fare a Mattarella, che per una volta nella vita avrebbe dovuto fare il presidente della Repubblica.Mattarella avrebbe dovuto dire: italiani, stiamo per avere un enorme problema sanitario. Avrebbe dovuto spiegarlo, senza il timore di provocare panico o reazioni isteriche. Qui invece vanno tutti con i piedi di piombo: il 31 gennaio fanno un decreto senza capo né coda, giuridicamente illecito, dichiatando lo stato d’emergenza fino al 31 luglio. E poi, a piccole tappe, cucinano la rana bollita: restringono, restringono, restringono (dimostrando una cialtroneria allucinante). Quindi è molto probabile, secondo me, che Conte venga silurato dall’alto, magari per decisione di Trump. Si creerebbe una situazione senza precedenti. Un’ulteriore eccezionalità: nella storia italiana, la prima crisi di governo in una situazione di stato d’emergenza, il cui lo stesso governo è già esautorato. Infatti già adesso sta lavorando solo per gli affari correnti. Non solo il Parlamento non funziona e i tribunali sono chiusi, ma lo stesso governo non sta facendo niente, a parte piccoli atti. Andare al voto sarebbe impensabile. Idem un governo di larghe intese. Se Conte viene silurato dall’alto, è probabile che ci sveglieremo una mattina con Vito Crimi presidente del Consiglio.Il nuovo capo politico dei 5 Stelle ha appena minacciato Conte di staccare la spina al governo, se ci fosse un patteggiamento, un cedimento sul Mes. Intanto, Grillo è scomparso, lo stesso Di Battista è sparito. E Di Maio si fa vedere il meno possibile. Secondo me, è verosimile che sia stato fatto un accordo sottobanco per mettere il governo nelle mani di Vito Crimi, con l’appoggio esterno della Lega e forse anche di Fratelli d’Italia (e magari, chissà, pure di Forza Italia). Il compito: far uscire l’Italia dall’emergenza in tempi relativamente brevi, riaprendo gradualmente scuole, fabbriche attività commerciali (mentre Francia, Gran Bretagna e Germania saranno ancora nell’occhio del ciclone: ne risentiranno per mesi). Tagliati i fili che ci legano al rigore europeo e alle logiche di Maastricht, il governo Crimi sarebbe di fatto autorizzato a emettere dal nulla la moneta, facendo venir meno il paradigma del signoraggio bancario. A mio parere, si tornerebbe a banche centrali nazionali, con emissione di valuta priva di debito. Una persona come Crimi, secondo me, potrebbe guidare solo questa transizione, in attesa di elezioni. Sono ipotesi, congetture: vedremo.Escludo invece un governo Draghi. Spesso apprezzo le analisi di Gioele Magaldi, il quale – mesi fa – disse che Draghi sarebbe passato armi e bagagli dall’altra parte della barricata. Io resto scettico: un personaggio come Draghi va messo alla prova. Però, la sua ultima uscita pubblica è clamorosa: dice che sarà necessario stampare moneta e addirittura cancellare il debito privato dei cittadini, cestinando anche le cartelle di Equitalia. Credo che Draghi finirà al Quirinale: ho questo sentore. Mattarella è vicino alla fine del suo mandato. Ipotesi: potrebbero accelerare la sua uscita, magari con un pretesto? So però che ci saranno molti soldi. Trump e Boris Johnson hanno fatto una dichiarazione quasi congiunta. Trump ha detto: se sarà necessario, ai cittadini distribuiremo contanti dagli elicotteri – e quindi scavalcando le banche, contro la logica (del “nuovo ordine mondiale”) dell’abolizione del contante. Boris Johnson ha detto la stessa cosa: denaro contante ai cittadini. Sono dichiarazioni di guerra, secondo me. Il cambio di sistema è già in atto: il paradigma di ieri sta crollando. E’ inevitabile, che ci sia un nuovo paradigma. E speriamo che vada in questa direzione.(Nicola Bizzi, dichiarazioni rilasciate il 25 marzo 2020 alla trasmissione web-radio “Forme d’Onda”, condotta da Stefania Nicoletti. Editore, proprietario della casa editrice Aurola Boreale, Bizzi è uno storico indipendente: è autore di lavori recenti, come lo studio dedicato a Ipazia di Alessandria. Assai rilevante il volume “Da Eleusi a Firenze”, in cui Bizzi ricostruire l’ascendenza della “comunità misterica eleusina” dietro le quinte della storia, per esempio nella fioritura politico-culturale del Rinascimento italiano).L’Italia è conosciuta e temuta nel mondo anche per la mafia. Oggi la mafia tace, non è più la stagione delle stragi. Ma è molto forte, e finora è stata zitta. Le mafie, che si basano su grandi traffici internazionali come quello della droga, controllano una parte della politica. Sappiamo tutti della “trattativa”, di cosa è stato insabbiato: lo possiamo immaginare. Deputati e senatori sarebbero a repentaglio, se qualcuno parlasse troppo? A mio parere, si sta scatenato una situazione di rivolte, nel Sud. Sicuramente sono innescate dal problema sociale: molte famiglie non riescono più a pagare bollette e affitto, né a comprare da mangiare. Molti video che stanno girando i questi giorni, però (assalti alle vetrine delle banche) sembrano costruiti: c’è qualcosa che sta creando un clima di rivolta. Secondo me, sono segnali indirizzati alla politica. Come a dire: «Siamo scontenti, perché non ci lasciate “lavorare”», (visto che la mafia si regge sul lavoro nero e sui traffici). «E allora noi cominciamo a parlare. Parleremo tanto, e vediamo se salta il coperchio della pentola». Questa è una mia interpretazione personale. Ma è uno dei fattori che, secondo me, potrebbero portare a un repentino cambio di governo – che ritengo molto probabile, anche per il quadro internazionale, che sta rapidamente cambiando.
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Bifarini: cari italiani, siamo finiti. Subiremo una catastrofe
Siamo di fronte a una crisi economica senza precedenti nella storia moderna. Credo che sia addirittura peggiore di una guerra, cui è stata paragonata. Durante i conflitti mondiali, infatti, esisteva comunque un’industria bellica a fare da traino. Oggi è fermo tutto, sia dal lato della produzione che della domanda. Resistono solo i consumi primari, quelli di generi alimentari. A farne le spese per primi saranno le partite Iva, i lavoratori autonomi, i commercianti, i ristoratori, i liberi professionisti, le agenzie immobiliari, i centri di benessere, le palestre, gli albergatori e tutto il fiorente settore del turismo italiano col suo indotto. Possiamo dire che gli unici a salvarsi, almeno per ora, saranno i dipendenti pubblici e i pensionati. A guadagnarci? Probabilmente i detentori del capitale, che a breve potranno fare shopping di quello che rimarrà del paese a bassissimo prezzo, vista la inevitabile svalutazione sia degli immobili che degli asset produttivi e strategici. Misure alternative per non bloccare il paese? Sarebbe stato più opportuno adottare una strategia mirata e non replicare il cosiddetto modello Whuan. La Cina, infatti, ha applicato il blocco a una sola regione, seppur popolosa come l’Italia, e non all’intero paese come abbiamo fatto noi. La loro economia ha continuato a produrre e a muoversi, seppur a ritmi rallentati, mentre noi abbiamo paralizzato l’Italia intera.Inoltre, visto il ritardo della Cina nel comunicare l’infezione, possiamo fidarci che sia stata davvero debellata, da loro? Andavano fatti tamponi a tappeto, come in Corea, per individuare e isolare i contagiati. Inoltre, poiché i dati dell’Iss confermano che l’età media dei deceduti è di circa 80 anni e si tratta prevalentemente di persone con una o più patologie pregresse, per i tre quarti di sesso maschile, occorreva effettuare una profilazione dei soggetti più a rischio e adottare misure specifiche, per essi. Non si può fermare l’intero paese, riservando ai bambini, che hanno un rischio pressoché nullo, le stesse restrizioni degli anziani, che anzi possono uscire a fare la spesa o per portare fuori il cane. Maggiore è l’esposizione al rischio, maggiori devono essere le restrizioni e anche le tutele. Sarebbe stato opportuno offrire alle persone più fragili al virus un servizio di consegna a domicilio di cibo e medicinali. Laddove necessario, mettere a disposizione degli alloggi per separare genitori e figli di età adulta, che possono contagiarsi all’interno dello stesso nucleo familiare. È illusorio e ingenuo credere che tra conviventi non avvenga il contagio. Le fasce più deboli hanno bisogno di maggiore protezione: questo è il compito dello Stato, e non riservare lo stesso trattamento restrittivo a tutti.È possibile che i prezzi dei beni di prima necessità aumentino, e che alcuni prodotti diventino introvabili? Per la legge della domanda e dell’offerta che regola il mercato, sì. È chiaro che, se blocchi tutte le attività produttive, prima o poi potrebbe verificarsi una situazione del genere. Inoltre il panico che si è diffuso tra la popolazione spinge a comportamenti istintivi, che aumentano la domanda di alcuni beni per la paura di non trovarli in futuro. Se la situazione non si sblocca velocemente, che fine faranno, tra poco, tutte quelle famiglie che non possono contare sui risparmi? Credo che sia stata innescata una bomba a orologeria. Secondo le stime la disoccupazione italiana, che era finalmente scesa sotto il 10%, arriverà al 20%. Io credo che potrebbe andare ben oltre, considerato che il solo turismo offre il 6% dell’occupazione totale nazionale. Molte aziende ed esercizi commerciali costretti a interrompere la loro attività non riapriranno più. A pagarne le spese per primi saranno tutti quei lavoratori, per lo più giovani e precari, della ristorazione, del commercio e delle Pmi. I primi a essere licenziati saranno loro; senza poter contare su risparmi messi da parte, dovranno tornare a vivere con i propri genitori, laddove ne abbiano la possibilità, non potendo più permettersi un affitto, un’abitazione autonoma.Poi sarà la volta dei loro datori di lavoro che, esauriti gli eventuali risparmi, senza un flusso di liquidità non potranno più sostenere i costi fissi e gli investimenti fatti per la loro attività. Insomma, sarà un effetto domino che travolgerà tutti. Rischiamo rivolte popolari? Quando la povertà si diffonde a tutti gli strati sociali, la situazione diventa fuori controllo. Per il momento viene potenziata la presenza delle forze dell’ordine, e addirittura è previsto l’esercito in strada. Ma siamo di fronte a una situazione inedita, imprevedibile. I 25 miliardi stanziati dal governo? Acqua fresca, purtroppo. Secondo una stima del centro di ricerche Cerved, se questa situazione dovesse protrarsi fino a maggio – ma ormai sembra un’ipotesi irrealistica – la perdita stimata per il nostro tessuto produttivo sarebbe di 275 miliardi di euro, nel periodo 2020/2021. Nel caso in cui invece questa situazione di emergenza dovesse durare fino a dicembre la perdita totale ammonterebbe a 641 miliardi. Ma queste previsioni sono state fatte prima dell’ulteriore stretta delle restrizioni. D’altronde tutta l’economia è ferma, a parte il comparto alimentare: cosa dobbiamo aspettarci?L’Italia tornerà a essere quella che è stata fino a un mese fa? Per un’economia già fragile come la nostra, con un Pil quasi immobile da anni, già vicina alla recessione, questo sarà il colpo di grazia. Abbiamo un debito pubblico già elevatissimo ed è possibile che vengano applicate le misure già sperimentate in Grecia dalla Troika. Difficile trovare soluzioni per uscire fuori da questo disastro annunciato: una volta distrutta l’economia reale, il tessuto produttivo nazionale e quella rete di Pmi che da sempre rappresenta il cuore pulsante nazionale, dell’Italia rimarrà ben poco. Anche il turismo, da sempre nostro settore trainante, faticherà molto a riprendersi, sia per il danno d’immagine che l’Italia ha subito più di altri, sia per un inevitabile e prolungato rallentamento dei viaggi a livello mondiale. Come magra consolazione possiamo dire che neanche per il resto delle economie avanzate la situazione tornerà come prima; ma, sfortunatamente, saremo noi a pagare il prezzo più alto.(Ilaria Bifarini, dichiarazioni rilasciate a Pietro di Martino per l’intervista “Ecco cosa sta per succedere all’Italia”, ripresa dal blog della Bifarini il 27 marzo 2020).Siamo di fronte a una crisi economica senza precedenti nella storia moderna. Credo che sia addirittura peggiore di una guerra, cui è stata paragonata. Durante i conflitti mondiali, infatti, esisteva comunque un’industria bellica a fare da traino. Oggi è fermo tutto, sia dal lato della produzione che della domanda. Resistono solo i consumi primari, quelli di generi alimentari. A farne le spese per primi saranno le partite Iva, i lavoratori autonomi, i commercianti, i ristoratori, i liberi professionisti, le agenzie immobiliari, i centri di benessere, le palestre, gli albergatori e tutto il fiorente settore del turismo italiano col suo indotto. Possiamo dire che gli unici a salvarsi, almeno per ora, saranno i dipendenti pubblici e i pensionati. A guadagnarci? Probabilmente i detentori del capitale, che a breve potranno fare shopping di quello che rimarrà del paese a bassissimo prezzo, vista la inevitabile svalutazione sia degli immobili che degli asset produttivi e strategici. Misure alternative per non bloccare il paese? Sarebbe stato più opportuno adottare una strategia mirata e non replicare il cosiddetto modello Whuan. La Cina, infatti, ha applicato il blocco a una sola regione, seppur popolosa come l’Italia, e non all’intero paese come abbiamo fatto noi. La loro economia ha continuato a produrre e a muoversi, seppur a ritmi rallentati, mentre noi abbiamo paralizzato l’Italia intera.
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Covid: la dismisura dell’alieno, nuovo padrone del mondo
Lo spettacolo delle bare sui camion militari, l’overdose quotidiana di ansia somministrata dalla televisione, gli ospedali ridotti a pietose trincee alle prese con una disfatta catastrofica. L’Italia in preda al panico sembra una drammatica finestra sul mondo, a sua volta travolto dall’apocalisse. Si assiste a un crescente delirio di paura e caos, voci contraddittorie, misure d’emergenza, accuse incrociate e sospetti. Storie di ordinaria follia, ormai, dilatate dalle dimensioni di un’enormità dilagante, intercontinentale, in apparenza inarrestabile, di fronte a cui qualsiasi ragionevole constatazione – i tagli alla sanità, riflesso criminale dell’infame scure neoliberista – rischia di perdere il suo impatto decisivo, addirittura storico. E appaiono sempre più surreali, oggi, le perduranti divisioni geopolitiche tra l’Impero del Mare e l’Eurasia, gli opposti sistemi di governance messi a dura prova dal cosmopolitismo biologico del virus: di qua una post-democrazia imperiale e militarizzata, aggressiva e manipolatrice, svuotata di sovranità e dominata dalle fake news di regime; di là un autoritarismo arcaico, apertamente brutale, che per ora fa a meno della finzione democratica.
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Gioele Magaldi: non tutti i coronavirus vengono per nuocere
L’emergenza spread, l’incubo Mario Monti e “l’economicidio” del Pil, il crollo del made in Italy e il boom della disoccupazione. Infine, al posto di una doverosa battaglia per il ritorno alla sovranità nazionale, è andata in scena l’emergenza migranti, presentata come piaga biblica. Ora siamo all’emergenza virus, e senza colpo ferire: ovvero, senza che nel frattempo la politica sia rinsavita, si sia ripresa, sia riuscita finalmente a uscire dal coma, a recuperare lucidità. La parola “sfacelo”, forse, rende l’idea: la Libia nel caos e l’Italia sfrattata da Tripoli, il disastro del viadotto Morandi, Salvini al Papeete e le Sardine alla corte dei Benetton, concessionari negligenti delle autostrade. C’è qualcosa che non stia franando, in Italia? Vedasi il Movimento 5 Stelle, fino a ieri plebiscitario: dal referendum sull’euro alla genuflessione alla Merkel, tramite Ursula von der Leyen, fino all’inaudito governo-vergogna col nemico storico, il Pd, servizievole maggiordomo di Bruxelles. Impossibile anche solo ipotizzare qualcosa di diverso dalla sottomissione, per personaggi come Gualtieri e Gentiloni: impensabile, il pretendere dignità per l’Italia schiacciata dal rigore, dal Mes, da qualunque diavoleria progettata per mantenere sotto scacco la penisola.Quanto a Conte, giù la maschera: prima scatena il panico, poi si accorge dei danni anche economici provocati dalla gestione dilettantesca dell’epidemia. Ma attenti: forse, non tutti i coronavirus vengono per nuocere. Lo afferma, provocatoriamente, un osservatore come Gioele Magaldi. Il suo Movimento Roosevelt è nato nel 2015 per tentare di scuotere i partiti, risvegliandoli: non possiamo continuare così, incassando sconfitte e rinunciando a riconquistare il futuro. Capitolo fondamentale, le regole europee: di rigore si muore, e il rigore non è figlio di nessuna saggezza economica. E’ solo delirio ideologico, partorito da menti malate e bugiarde: quelle di un’élite che Magaldi definisce “neoaristocratica”, che ha forgiato il dogma neoliberista (tagliare lo Stato, la spesa pubblica) per depredare interi paesi, privatizzando beni strategici e condannandoli così al declino, come avviene per l’Italia. Nel saggio “Massoni”, edito da Chiarelettere, Magaldi – massone lui stesso, di marca progressista – sostiene che sia interamente massonico il gotha del potere globalista. Dopo la stagione rooseveltiana e keynesiana del benessere diffuso, questo super-potere è stato egemonizzato da un’élite reazionaria, neo-feudale, ispirata anche filosoficamente da dottrine elitarie.A reggere il pianeta sarebbe una sorta di aristocrazia dello spirito, nutrita di teorie come la “sinarchia” ottocentesca del marchese Alexandre Saint-Yves d’Alveydre: solo noi possiamo capire il mondo e dunque governarlo, non certo il popolo bue. Da lì all’attuale “aristocrazia del denaro”, il passo è breve: solo business, in poche mani, dietro le quinte della psico-geopolitica di oggi. Magaldi lo ripete fino alla nausea: smettiamo di ragionare in termini di Occidente, Russia e Cina. Non è più tempo, non serve: i sistemi-paese esistono sempre, anche in termini “imperiali”, ma a decidere sono ormai altri soggetti, che restano in ombra: conventicole trasversali, comitive apolidi, comitati d’affari composti da americani e cinesi, europei e russi. Detengono leve formidabili: finanziarie, militari, di intelligence, mediatiche. Sono loro, a monte, a fare e disfare qualsiasi progetto, dalle crisi economiche alle eroiche imprese dell’Isis. Lo scopo è sempre occulto, i metodi raffinati. Molto più a valle, i media – ormai innocui e reticenti – ripetono la lezioncina del momento. E in fondo alla catena ci siamo noi, sempre a corto di informazioni attendibili. Vale anche per il coronavirus?Mentre giornali e televisioni si guardano bene dall’esplorare spiegazioni eterodosse e magari imbarazzanti, il web si scatena: nel mirino ci sono soprattutto gli Usa, in guerra con la Cina, capaci – in mille modi, teoricamente – di piegare il colosso asiatico. Anche su questo punto, Magaldi si esprime in controtendenza: e se fosse stato lo stesso sistema-Cina ad auto-sabotarsi, con il virus, per mascherare l’attesa frenata economica, comunque in arrivo, restituendo alla nuova superpotenza orientale un volto meno minaccioso, più umano e meritevole di solidarietà internazionale? Per accettare la plausibilità del ragionamento occorre prestare fede alla mole di informazioni che Magaldi dichiara di possedere, custodite in 6.000 pagine di dossier riservati. Antefatto: nel lontano 1980, la superloggia reazionaria “Three Eyes” dominata da Kissinger estende i suoi tentacoli in Cina, promettendo di inserire i cinesi nel grande gioco dell’economia, all’alba della grande gloablizzazione, senza pretendere che, in cambio, la Cina diventi democratica, accetti la presenza di sindacati e limiti l’inquinamento della sua industria.Sono le basi dello storico boom, grazie a cui – una volta entrata nel Wto – la Cina (che sorregge le sue aziende con poderosi aiuti di Stato) sbaraglierà la concorrenza occidentale, imponendo prodotti a basso costo e mettendo in crisi le aziende concorrenti, occidentali, a cui nel frattemo l’élite neoliberista (sempre lei) ha tolto gli auti statali e aumentato a dismisura il carico fiscale, attraverso le politiche di austerity. La Cina, riconosce Magaldi, ha saputo approfittare di questo “regalo” sbalordendo il mondo: ha debellato la povertà in pochissimi anni, dando vita a realizzazioni che sono d’esempio per l’intero pianeta. Ha fatto tutto da sola? No, ovviamente: è stata aiutata, con regole tuccate in partenza. Tecnicamente: concorrenza sleale. Le menti del piano? Occidentali, purtroppo. L’obiettivo: trasformare lo stesso Occidente in una altrettanto gigantesca Cina: cioè un sistema efficientissimo, che produce miliardi, ma senza più diritti democratici. Non ci credete? E’ utile ricordare la violentissima repressione degli studenti di Pechino, che nel 1989 invasero piazza Tienanmen reclamando l’avvento della democrazia, sull’onda dell’entusiasmo per la Perestrojka di Gorbaciov: i carri armati di Deng Xiaoping fecero capire da che parte stesse, l’impenetrabile dirigenza del Celeste Impero, un tempo “rossa”.Magaldi è tra quanti considerano il veleno neoliberista come una sorta di virus: un’arma di distruzione di massa. Dalla Cina, dice, c’è comunque da imparare. Il suo riscatto economico, ovviamente, non poteva prescindere dal ruolo finanziario dello Stato. E vale anche per noi, che ce lo siamo dimenticato: fu il Piano Marshall a far risorgere l’Italia ridotta in macerie. Fu l’Eni di Mattei a farla balzare in vetta alle classifiche. E ancora: fu la politica “socialista” della Prima Repubblica a far volare il made in Italy, mediante poderosi investimenti sociali e infrastrutturali. Con abbondanti lacrime di coccodrillo, una fetta del paese ha appena riabilitato Craxi. Al culmine del suo potere, il leader del Psi osò opporsi alla superpotenza americana durante la crisi di Sigonella, per difendere la sovranità italiana. Oggi, i nostri politici calano le brache al primo stormir di fronde che provenga dai grigi burocrati di Bruxelles. Ieri sapevamo dire di no a Reagan, oggi diciamo di sì al primo Dombrovskis che passa per strada. Eppure, l’Italia era diventata la quinta potenza mondiale proprio grazie al deficit: ospedali, scuole, ferrovie, autostrade. Il gruppo pubblico Iri era il maggior conglomerato industriale d’Europa: era stragetico, per alimentare lo sterminato indotto privato. E’ stato smantellato da Prodi, poi coadiuvato da Draghi per le restanti privatizzazioni all’italiana.Di nuovo: Prodi e Draghi (entrambi supermassoni, secondo Magaldi) si sono limitati ad eseguire ordini. C’era un piano: sabotare l’Italia, potenza scomoda perché forte della sua economia mista, pubblico-privata. Come la Cina di oggi? Sì, ma con una differenza: era un paese democratico, con diritti sociali conquistati al prezzo di dure lotte politiche e sindacali, persino negli anni agitati degli opposti estremismi. Terrorismo e strategia della tensione: tutte operazioni «progettate sempre dalla “Three Eyes” anche attraverso la P2 di Gelli». Ma neppure le bombe erano riuscite a piegare il Belpaese. C’è voluto il crollo del Muro di Berlino, la rottamazione giudiziaria della classe politica della Prima Repubblica, l’avvento dei privatizzatori al governo (D’Alema, Amato, Prodi). Prima ancora: Ciampi aveva aperto la prima gravissima falla, staccando Bankitalia dal Tesoro e impedendo alla banca centrale di continuare a finanziare lo Stato a costo zero. Di colpo, il debito pubblico – risorsa strategica per la crescita – divenne un problema. Poi è stato fatto diventare addirittura una colpa, nella distorsione orwelliana della narrazione economica neoliberista.E adesso eccoci qui, alle prese con il coronavirus e senza i soldi per affrontare l’emergenza. Gli spiccioli di cui parla il governo Conte fanno ridere, dice Magaldi, esattamente come i margini di flessibilità – solo briciole – graziosamente concessi dal potere feudale eurocratico, insediato a Bruxelles senza nessuna investitura popolare. Magaldi, europeista convinto, su questo è chiarissimo: servono gli eurobond, per sostenere i debiti pubblici e archiviare per sempre il fantasma dello spread. L’ha ripetuto anche Christine Lagarde, fino a ieri custode – con Draghi – del rigore europeo. E a proposito di Draghi, che sottobanco contende a Prodi la successione a Mattarella: l’ex cavaliere nero dell’ordoliberismo europeo ora sostiene che bisogna ribaltare il tavolo, mettere fine alla scarsità artificiosa di moneta e, addirittura, esplorare le possibilità offerte dalla Mmt, la liquidità illimitata per sostenere l’economia europea. Per Magaldi, il problema sta nel manico: lo statuto della Bce impone alla banca centrale di tenere bassa l’inflazione. Errore: il primo obiettivo dovrebbe essere la piena occupazione, costi quel che costi (anche perché, oltretutto, l’emissione di moneta oggi non costa nulla). Non è economia, è solo politica. E se quella italiana dorme ancora, chissà che non sia il maledetto coronavirus a svegliarla. Si citofoni alla Disunione Europea, reclamando il dovuto: oggi per l’Italia, domani per tutti. In modo che un giorno, finalmente, una Unione Europea cominci a esistere, per davvero.L’emergenza spread, l’incubo Mario Monti e “l’economicidio” del Pil, il crollo del made in Italy e il boom della disoccupazione. Infine, al posto di una doverosa battaglia per il ritorno alla sovranità nazionale, è andata in scena l’emergenza migranti, presentata come piaga biblica. Ora siamo all’emergenza virus, e senza colpo ferire: ovvero, senza che nel frattempo la politica sia rinsavita, si sia ripresa, sia riuscita finalmente a uscire dal coma, a recuperare lucidità. La parola “sfacelo”, forse, rende l’idea: la Libia nel caos e l’Italia sfrattata da Tripoli, il disastro del viadotto Morandi, Salvini al Papeete e le Sardine alla corte dei Benetton, concessionari negligenti delle autostrade. C’è qualcosa che non stia franando, in Italia? Vedasi il Movimento 5 Stelle, fino a ieri plebiscitario: dal referendum sull’euro alla genuflessione alla Merkel, tramite Ursula von der Leyen, fino all’inaudito governo-vergogna col nemico storico, il Pd, servizievole maggiordomo di Bruxelles. Impossibile anche solo ipotizzare qualcosa di diverso dalla sottomissione, per personaggi come Gualtieri e Gentiloni: impensabile, il pretendere dignità per l’Italia schiacciata dal rigore, dal Mes, da qualunque diavoleria progettata per mantenere sotto scacco la penisola.
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Magaldi: ma il coronavirus fa comodo alla dirigenza cinese
E se fosse una colossale recita, quella della Cina ridimensionata dal coronavirus? Se lo domanda Gioele Magaldi, atlantista dichiarato, mai tenero con Pechino. Di più: l’autore di “Massoni”, besteller o ormai anche long-seller che svela i retroscena supermassonici del grande potere, parla di «voci inquietanti e autorevoli, benché ancora da verificare, interne al sistema-Cina». Voci che espongono la seguente versione: «Alle autorità cinesi, non è affatto dispiaciuta l’emergenza coronavirus». Motivo? E’ l’alibi perfetto «per non compromettere il prestigio della nomenklatura, di fronte alla grande frenata economica attesa da tempo, ben prima che esplodesse il virus: già i dati sul boom erano taroccati, e la picchiata comunque in arrivo era assai più grave di quanto ammesso». Non solo: una Cina messa alla frusta dall’epidemia, che ha permesso al governo di imporre ulteriori restrizioni alla libertà chiedendo ai cinesi enormi sacrifici, cambia anche la percezione del colosso asiatico. Un paese fragile, in difficoltà: non più la minacciosa superpotenza onnivora e inarrestabile. Un cinico trucco da gattopardi, dunque, per poi “risorgere” tra un paio d’anni permettendo a Xi Jinping di continuare a fare la parte dell’eroe? Di certo, se anche il panico da coronavirus fosse un gioco spregiudicato e pericoloso, è già chiara a tutti l’identità del vero, grande perdente: l’Italia.«Come al solito, c’è qualcuno che ha interesse a indebolire il nostro paese: evidente l’intenzione di colpirci, addirittura puntando a metterci tutti in quarantena, con un allarmismo devastante per l’economia nazionale. Ma dobbiamo anche essere nitidi e impietosi sulla modalità irrespondabile, sciamannata e sgangherata del governo Conte nel gestire questa supposta emergenza». Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt ed esponente italiano della massoneria progressista sovranazionale, ragiona a ruota libera, nella trasmissione in web-streaming su YouTube “Massoneria On Air”. «Vi sembra possibile far chiudere anche i bar a Milano e impedire riunioni pubbliche e private, nemmeno fossimo sotto il fascismo, o in Corea del Nord? E per cosa, poi? Per un virus che, a quanto a pare, provocherebbe solo una forma di influenza, in grado di insidiare – come qualunque altra affezione influenzale – solo gli invidivui già deboli, anziani e molto malati?». Ovvio: «La nornale influenza, ogni anno, provoca delle morti. Ma non è, che per questo, chiudiamo le scuole e le università, vietiamo gli assembramenti, fermiamo il campionato di calcio».Siamo veramente alla follia, aggiunge Magaldi, a meno che non si calcoli che «c’è chi, dalla sua posizione apolide, sovranazionale, approfitta di queste situazioni per danneggiare l’Italia». Se è così, trova un alleato involontario «in questi poveracci al governo». Uno su tutti, «quell’ineffabile cicisbeo di Luigi Di Maio, improvvidamente elevato a cariche ministeriali», che ha detto ai turisti: venite pure in Italia, non c’è di che preoccuparsi. Fantastico, vero? Prima scateni il panico, scambiando il coronavirus per l’Ebola. Poi scopri che tutto questo minaccia l’economia e devasta l’immagine internazionale dell’Italia. E allora dichiari, candidamente, che in fondo il coronavirus non è la peste bubbonica di manzoniana memoria, ma solo un’influenza un po’ più fastidiosa. Ma se è così, perché traformare il Nord Italia in zona di guerra, sottoponendolo allo stato d’assedio? «Siamo alle comiche finali, davvero. L’Italia è stata la prima a bloccare i voli diretti dalla Cina, trascurando però i passaggeri provenienti da scali intermedi». Errori su errori, di gestione e di comunicazione. «Per queste cose, qualcuno poi dovrà pagare, visto che si parla di danni economici ingenti: e non è giusto che a rimetterci sia solo il popolo, e non anche i governanti».Piuttosto: «Perché invece non cogliere l’occasione, per chiedere a Bruxelles una deroga ai trattati europei?». Serve un radicale allentamento del rigore, per finanziare «il grande New Deal rooseveltiano di cui l’Italia ha bisogno, per rilanciare l’economia». Quale migliore opportunità di quella offerta dal coronavirus, che sta esibendo un’Italia piegata dall’emergenza? Ma forse è chiedere troppo, al professor-avvocato Conte, che non trova di meglio che sparacchiare a casaccio sugli ospedali lombardi. Ben altra, secondo Magaldi, è invece la capacità mostrata da Pechino nel gestire la catastrofe sanitaria, con le sue ricadute sociali, economiche e politiche. Attenti, niente è come sembra: il regime di Pechino – in apparenza, soltanto vittima della crisi scatenata dal coronavirus – è in realtà il grande beneficiario politico dell’epidemia che sta mettendo in ginocchio il popolo cinese. Sembra paradossale, ma a guadagnarci sarebbe proprio la dirigenza cinese: spettacolare diversivo, il coronavirus, all’indomani dello stop imposto da Trump con dazi e sanzioni. Risultato: Pechino ha la scusa per la grande decrescita dell’economia, e nel frattempo censura ulteriormente i cinesi e mostra al mondo un volto più umano, dimesso, sofferente.In fondo, comunque, «Trump non è altro che l’epifenomeno di una consapevolezza, per quanto tardiva, che ormai attraversa anche ambienti politici avversi alla Casa Bianca». Tutto nasce nel 1980, secondo Magaldi, su iniziativa di una potentissima superloggia massonica reazionaria, la “Three Eyes” di Kissinger: «L’ala neoaristocratica della massoneria globale ha inserito la Cina nel gioco economico mondiale, senza pretendere che si democratizzasse. Attenti: non fu sciatteria, ma una precisa intenzione». Obiettivo, costruire una specie di mostro: economicamente formidabile, ma senza democrazia. «Chi ha consentito al dirigismo cinese, non democratico e liberticida, di espandersi quasi senza limiti, voleva un’involuzione antidemocratica anche per il mondo occidentale». Fortissima la suggestione, anche subliminale, creata dal nuovo modello di Pechino: se la Cina cresce così tanto, perché non imitarla? Problema: «Si è lasciato che il governo cinese finanziasse le sue aziende, chiamate a competere con quelle occidentali che invece si vedevano privare del sostegno pubblico». Beninteso: «Ha fatto benissimo, la Cina, a sostenere la sua industria, oltretutto con risultati sbalorditivi».Anche Magaldi ammira le immense capacità dei dirigenti di Pechino: «Hanno ottenuto obiettivi impensabili, favolosi, e in tempi rapidissimi. E hanno fatto uscire dalla povertà centinaia di milioni di persone, attraverso realizzazioni straordinarie». In questo, aggiunge, il “Frankenstein” cinese va sicuramente imitato. «E’ l’Occidente, semmai, che deve tornare a consentire al pubblico di sostenere il privato, permettendogli di competere alla pari coi cinesi. E la stessa Cina, da parte sua, deve poter continuare a espandersi, ma cambiando le sue regole: non possiamo pensare che il XXI secolo sia egemonizzato da una potenza non democratica». Temi che ormai, s’è visto, occupano il posto d’onore nell’agenda statunitense: il neo-protezionismo di Trump piace pure ai democratici, se è di stampo anti-cinese. Anche per questo, probabilmente, vale la pena usare le stesse lenti – dietrologiche – per leggere meglio cosa può nascondersi, a livello speculativo, dietro a una tragedia sociale come quella del coronavirus, che sembra destinata a incidere in modo pesantissimo nell’evoluzione geopolitica. E il vero sconfitto, sembra concludere Magaldi, potrebbe essere l’Occidente: guai, se non capisse che la formula cinese (massiccio intervento dello Stato nell’economia) è la chiave vincente per scacciare la crisi neoliberista che da decenni ci opprime.E se fosse una colossale recita, quella della Cina ridimensionata dal coronavirus? Se lo domanda Gioele Magaldi, atlantista dichiarato, mai tenero con Pechino. Di più: l’autore di “Massoni”, bestseller e ormai anche long-seller che svela i retroscena supermassonici del grande potere, parla di «voci inquietanti e autorevoli, benché ancora da verificare, interne al sistema-Cina». Voci che espongono la seguente versione: «Alle autorità cinesi, non è affatto dispiaciuta l’emergenza coronavirus». Motivo? E’ l’alibi perfetto «per non compromettere il prestigio della nomenklatura, di fronte alla grande frenata economica attesa da tempo, ben prima che esplodesse il virus: già i dati sul boom erano taroccati, e la picchiata comunque in arrivo era assai più grave di quanto ammesso». Non solo: una Cina messa alla frusta dall’epidemia, che ha permesso al governo di imporre ulteriori restrizioni alla libertà chiedendo ai cinesi enormi sacrifici, cambia anche la percezione del colosso asiatico. Un paese fragile, in difficoltà: non più la minacciosa superpotenza onnivora e inarrestabile. Un cinico trucco da gattopardi, dunque, per poi “risorgere” tra un paio d’anni permettendo a Xi Jinping di continuare a fare la parte dell’eroe? Di certo, se anche il panico da coronavirus fosse un gioco spregiudicato e pericoloso, è già chiara a tutti l’identità del vero, grande perdente: l’Italia.
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Ong, l’industria dei Buoni: stipendi da centomila euro l’anno
Sulle Ong in affari e la questione dei migranti il mainstream chiede prove e rincara la dose: «Dobbiamo ringraziare queste organizzazioni che aiutano gli altri, che contribuiscono ad abbattere la povertà e l’analfabetismo», ci stanno ripetendo da qualche giorno in tutte le trasmissione politicizzate della televisione. Eppure, a prescindere dai dettagli sulla questione degli sbarchi, che le organizzazioni no-profit siano per alcuni assolutamente profit è un po’ il segreto di Pulcinella. Anzi, è accertato che ai piani alti del settore stia un business molto remunerativo, caratterizzato da voto di scambio e lauti stipendi. In questi ultimi dieci anni sono diverse le analisi svolte da cooperanti “insider” e giornalisti che hanno denunciato le disparità di trattamento economico nel mondo della cooperazione internazionale; gente come Tarcisio Arrighini, che al tema ha dedicato il libro “Il mercato degli aiuti”, alla veneta Valentina Furlanetto, che ha analizzato i bilanci di Onlus e Ong nel suo approfondimento “L’industria della carità”, scoprendo le montagne di soldi che circolano tra vestitini donati ai poveri, vendita di azalee e persino adozioni di bambini.Beninteso: gli stipendi dei cooperanti sono mediamente più bassi rispetto a chi lavora (sempre mediamente) nel mondo del “profit”. Vi è anche maggiore precarietà, visto che alcune attività richieste dalle associazioni sono legate al periodo, all’emergenza e, quindi, alla stagionalità. Ma nel mondo di Onlus, Ong e della cooperazione in generale non vi sono solo gli operatori semiprofesssionali e i volontari. Curiosando nel sito “Open-cooperazione”, ad esempio, si possono vedere alcune statistiche sugli stipendi del terzo settore nel 2015, dalle quali emerge come stipendio più alto registrato tra gli associati italiani del sito la cifra di 103.200 euro. Niente male, per un manager che si occupa di poveretti… Il punto da capire è questo: le organizzazioni che fanno volontariato all’estero cercano e ottengono tutta una serie di fondi, da quelli pubblici a quelli privati, anche tramite il meccanismo del “fundraising”, per il quale spesso gli organizzatori frequentano anche dei corsi di formazione.Mentre l’operatore riceve stipendi nella media o sotto la media – e spesso, soprattutto se novizio, lavora gratis magari in cambio di qualche benefit (viaggi pagati, ecc) – i manager che organizzano la struttura del servizio guadagnano una percentuale sui progetti che vengono presentati ai grandi finanziatori. E’ dunque evidente che se il finanziatore ritiene che il progetto che l’organizzatore gli presenta può essere buono in termini di “posizionamento”, immagine e indotto, può decidere di conferire altissime cifre, anche milioni di euro. Con oltre 40.000 associazioni non governative, quasi un migliaio di organizzazioni governative internazionali, milioni di milioni di capitali pubblici e privati mossi, non possiamo più fingere di non vedere che profughi e rifugiati non fanno altro che aumentare al pari del numero dei poveri, dato che la povertà si misura in rapporto alla differenza con la ricchezza. E non sarà certo l’aumento del numero delle organizzazioni, governative o non governative, o dell’entità dei finanziamenti, pubblici o privati, la strada che ci condurrà verso la soluzione.Chi afferma il contrario o non ha ben compreso di cosa si sta parlando o sta sognando. Sentite cosa scriveva “Repubblica” nel 2013 (oggi ha cambiato liena editoriale): «Amnesty International ha concesso una buonuscita d’oro al suo ex-segretario generale, Irene Khan, che ha ricevuto una liquidazione di 500 mila sterline (circa 600 mila euro), apparentemente più del doppio di quanto inizialmente stabilito dal suo contratto. Sempre Amnesty ha organizzato un evento per la raccolta di fondi di beneficenza l’anno scorso a New York con ospiti del calibro della rock band Coldplay e dell’arcivescovo sudafricano Desmond Tutu, finendo per spendere di più di quanto ha incassato: un “buco” da 750 mila sterline (900 mila euro). Save The Children, per parte sua, avrebbe evitato di criticare uno dei suoi maggiori donatori e sponsor, la British Gas, azienda fornitrice di servizi alla popolazione britannica, per le bollette troppo alte, a detta di molti commentatori, imposte alle famiglie del Regno Unito. E infine si è scoperto che Comic Relief, l’organizzazione che fa mettere un “naso rosso” da clown ai suoi rappresentanti e finanziatori, investe milioni di sterline in fondi di investimento che acquistano tra l’altro azioni di aziende che producono armamenti, alcolici e tabacco, non proprio il massimo per un’associazione che sostiene la pace e le iniziative benefiche per l’infanzia».(Massimo Bordin, “Quanto si guadagna in una Ong?”, post apparso su “Micidial” il 29 aprile 2017 e ora rilanciato dall’autore, alla luce delle recenti polemiche italiane su migranti e Ong).Sulle Ong in affari e la questione dei migranti il mainstream chiede prove e rincara la dose: «Dobbiamo ringraziare queste organizzazioni che aiutano gli altri, che contribuiscono ad abbattere la povertà e l’analfabetismo», ci stanno ripetendo da qualche giorno in tutte le trasmissione politicizzate della televisione. Eppure, a prescindere dai dettagli sulla questione degli sbarchi, che le organizzazioni no-profit siano per alcuni assolutamente profit è un po’ il segreto di Pulcinella. Anzi, è accertato che ai piani alti del settore stia un business molto remunerativo, caratterizzato da voto di scambio e lauti stipendi. In questi ultimi dieci anni sono diverse le analisi svolte da cooperanti “insider” e giornalisti che hanno denunciato le disparità di trattamento economico nel mondo della cooperazione internazionale; gente come Tarcisio Arrighini, che al tema ha dedicato il libro “Il mercato degli aiuti”, alla veneta Valentina Furlanetto, che ha analizzato i bilanci di Onlus e Ong nel suo approfondimento “L’industria della carità”, scoprendo le montagne di soldi che circolano tra vestitini donati ai poveri, vendita di azalee e persino adozioni di bambini.
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Distruggere l’Italia: i grillini eguagliano il “record” di Monti
Da quando governano l’Italia, i grillini hanno stabilito un record assoluto: il danno che hanno prodotto al paese in così breve arco di tempo non ha precedenti. Forse gli unici contendenti sono i tecnici montiani, che avvilirono e danneggiarono scientificamente l’Italia, con cognizione di causa, a differenza dei grillini che lo bombardano a capocchia con gaia incompetenza e una miscela letale di ignoranza e arroganza. No, la questione non è Di Maio, l’Emilia o la Calabria. È l’M5S in sé. Ogni capitolo fallimentare dei grillini ha la faccia di un testimonial. Si comincia con gli enti locali, col fulgido esempio di Virginia Raggi che è riuscita a far rimpiangere tutti i sindaci che l’hanno preceduta (e ce ne voleva) e a dare il colpo di grazia e disgrazia a una città già in ginocchio e autolesionista di suo. Si finisce col premier Contebis che rappresenta la più vistosa negazione del movimento 5stelle: è un maggiordomo di Palazzo, domestico dell’establishment mondiale, annunciatore di rimedi per un domani che si sposta ogni giorno; democristiano con attaccamento vinavil alla poltrona, paraculista e trasformista, ora filo-dem, borioso e fumoso, figurante istituzionale. Incarnazione perfetta e gaia del vuoto al governo e del nulla in politica.Nel mezzo scorrono le relative faccine che testimoniano i vari capitoli del fallimento grillino: la fatuità egizio-partenopea del tardoprogressista Roberto Fico, col suo gne-gne napoletano sinistrese, pessima imitazione della già pessima Boldrini che l’ha preceduto; le improvvisate sciampiste cinquestelle che occuparono i ministeri con risultati penosi; il proverbiale Danilo Tonninelli (una enne l’ha guadagnata sul campo), prototipo del grillino doc, simbolo ottuso di tutti i no grillini a ogni opera; la ministra dell’autoDifesa Elisabetta Trenta che si è moltiplicata per sei ed è passata da Trenta a Centottanta (metri quadri), con le forze armate che portavano a spasso il cane, e lei che riceve gli eserciti di tutto il mondo a casa, perciò ha bisogno di una casa grande; il ministro alla pubblica ricreazione Lorenzo Fioramonti, che ha ridotto la scuola a un osservatorio climatico e si occupa di plastica e merendine da un punto di vista eco-progressista; per non dire delle pulcinellate di Gigino Di Maio, i suoi voltafaccia e i suoi vistosi errori presentati in modo trionfale: povertà abolita, disoccupazione battuta, acciaieria risanata, Alitalia in via di decollo, manette annunciate ai grandi evasori e occhiolino strizzato ai molti evasori, l’infatuazione suicida filo-cinese e altre enormi cappellate. Oggi lui è diventato il capro espiatorio ma il difetto è nel manico e in tutti gli ombrelli della ditta.Il reddito di cittadinanza resta la porcata più vistosa dei grillini, dal punto di vista del danno erariale, del danno sociale, del danno morale. Si ha ogni giorno di più la certezza che non produrrà un solo posto di lavoro in più né un solo lavoro nero in meno. Non è un reddito d’inclusione o d’inserimento, è solo un gravoso costo, parassitario e diseducativo, che peggiora il tessuto sociale del paese e il bilancio dello Stato, santifica l’inerzia, la demeritocrazia e pure il malaffare. È la versione stracciona, plebea e lazzarona del comunismo. All’inizio si disse che era un’indennità-divano, i grillini reagivano indignati, ma quella previsione era già ottimistica: molti titolari del reddito non stanno nemmeno a casa loro ma continuano di soppiatto i loro lavori neri e qualcuno addirittura continua le attività criminose, come si è visto. C’è poi TeleCasalino, un tempo Tg1, un imbarazzante volantino grillino e contino. Per non dire degli altri, dal ministro della giustizia Alfonso Bonafede al ministro Vincenzo Spadafora e a tutta la gaia compagnia dei grillini. E per non risalire ai mandanti, Beppe Grillo e la Casaleggio & Associati, più qualche predicatore manettaro.Il fallimento dei grillini ha la faccia sconsolata dell’esule, il Comandante Ale Diba, al secolo Alessandro Di Battista, la cui eclissi dimostra la fine del fervore originario, quando i grillini erano ancora una minacciosa promessa in pubertà. Non si è mai visto un movimento perdere nel giro di pochi mesi di governo tante milionate di voti e sparire dai territori con una velocità impressionante. Hanno esaurito il credito, ormai. Resta il problema di trovare quale discarica possa contenere così tanti rifiuti ammassati in così poco tempo. La parabola dei grillini è un monito per gli elettori e i cittadini che votandoli s’illusero di punire tutti gli altri: i movimenti eruttati dal nulla, nati soltanto dal cabaret, dal vaffa e dal rifiuto di tutto, dove uno vale l’altro, dove i deputati sono burattini nelle mani della Piattaforma, dove la democrazia diretta è una caricatura che nasconde un’autocrazia eterodiretta da non-eletti, dove si può nominare a sorteggio e si può diventare ministri non sapendo nulla, non avendo mai fatto nulla nella vita, non avendo la più pallida idea, poi producono solo danni e nulla.Per arginare la deriva corrotta della politica, il malaffare, devi trovare gente motivata e seria, non pescata così, random, spesso nullafacente. Appena a uno di questi dai in mano un po’ di potere, diventa un arraffone e vuole sistemarsi per la vita. E quando gli ricapita? Infine i grillini hanno fatto saltare l’unica eredità buona della seconda repubblica, l’alternanza bipolare, reimmettendo al centro un partito bifronte. La sinistra merita giudizi negativi molto severi, sa essere più contro che con i cittadini, almeno quelli in regola. Ma è un avversario da sconfiggere sul terreno dei fatti, della politica e delle idee; invece i grillini sono una mucillagine urticante, una grottesca complicazione del quadro, e da alleati della sinistra al governo sono solo un’aggravante del malgoverno. Che tornino presto al Nulla da cui provengono. È l’augurio per un paese stremato, che ha già troppi guai per doversi caricare pure dei grillini.(Marcello Veneziani, “Il gaio fallimento dei grillini al governo”, da “La Verità” del 24 novembre 2019; articolo ripreso sul blog di Veneziani).Da quando governano l’Italia, i grillini hanno stabilito un record assoluto: il danno che hanno prodotto al paese in così breve arco di tempo non ha precedenti. Forse gli unici contendenti sono i tecnici montiani, che avvilirono e danneggiarono scientificamente l’Italia, con cognizione di causa, a differenza dei grillini che lo bombardano a capocchia con gaia incompetenza e una miscela letale di ignoranza e arroganza. No, la questione non è Di Maio, l’Emilia o la Calabria. È l’M5S in sé. Ogni capitolo fallimentare dei grillini ha la faccia di un testimonial. Si comincia con gli enti locali, col fulgido esempio di Virginia Raggi che è riuscita a far rimpiangere tutti i sindaci che l’hanno preceduta (e ce ne voleva) e a dare il colpo di grazia e disgrazia a una città già in ginocchio e autolesionista di suo. Si finisce col premier Contebis che rappresenta la più vistosa negazione del movimento 5stelle: è un maggiordomo di Palazzo, domestico dell’establishment mondiale, annunciatore di rimedi per un domani che si sposta ogni giorno; democristiano con attaccamento vinavil alla poltrona, paraculista e trasformista, ora filo-dem, borioso e fumoso, figurante istituzionale. Incarnazione perfetta e gaia del vuoto al governo e del nulla in politica.
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Ilva: quel regalo di Prodi all’Ue che piegò l’industria italiana
Un’antologia di Spoon River della politica industriale: il paragone tra gli ultimi decenni dell’economia italiana e il celebre “cimitero” letterario rischia di diventare ancora più calzante se ad aggiungersi alla grande massa di settori strategici, centri produttivi di vitale importanza e campioni nazionali smantellati da scelte politiche scriteriate (specie le privatizzazioni selvagge), carenze nella definizione delle priorità strategiche e disastri dei gestori privati dovesse aggiungersi l’Ilva. La corsa frenetica a demolire l’economia mista imperniata nell’Istituto di Ricostruzione Industriale (Iri) è stata devastante. Lo ha fatto notare con durezza e nitida chiarezza il direttore del “Quotidiano del Sud” Roberto Napoletano in un recente editoriale: «La vecchia Stet dell’Iri ha ricostruito l’impero romano regalando all’Italia il primato mondiale delle telecomunicazioni e i segreti dell’industria del futuro globale. (…) La vecchia Italstat dell’Iri regala all’Italia un player globale delle costruzioni e delle grandi opere. Apre e chiude i cantieri, si percepisce il progetto paese dello Stato imprenditore, le due Italie sono riunificate con l’Autostrada del Sole costruita e inaugurata prima della scadenza prevista». Entrambe finiranno poi per naufragare dopo la fine dell’epoca d’oro dello Stato-imprenditore.Destino analogo a quello dell’acciaio: «La vecchia Finsider dell’Iri ha regalato all’Italia l’impianto che garantiva a tutti i paesi europei l’indipendenza nella disponibilità di una materia cruciale (l’acciaio) per lo sviluppo industriale. L’uscita dall’orbita pubblica è stata fatale». Il susseguirsi di caos giudiziari, problematiche amministrative e incertezze politiche, dai Riva a Arcelor Mittal, ha fatto il resto. E ora l’Italia rischia di ritrovarsi di fronte a una Caporetto industriale. La chiusura dell’Ilva, la perdita dell’1,5% del Pil legato all’acciaio, la distruzione di 10.700 posti di lavoro diretti e decine di migliaia indiretti per il contenzioso tra il governo Conte II e Arcelor-Mittal, compratore in ritiro dello stabilimento, per il problema dello “scudo penale” previsto dal piano firmato da Luigi Di Maio e ipotizzato prima di lui da Carlo Calenda, certificherebbe il fallimento della (non) strategia italiana dell’acciaio. Iniziata quando Romano Prodi decise di mettere in liquidazione Italsider e Finsider, nel corso del suo mandato da direttore dell’Iri e presidente del Consiglio, perché…ce lo chiedeva l’Europa. Perché l’Ue chiedeva che l’Italia, svenandosi, pagasse il prezzo dell’entrata nell’euro privandosi dei gioielli di famiglia. E iniziando una spirale decrescente che ha fatto venire meno la compatta integrazione di filiera e portato al degrado delle condizioni ambientali e lavorative in Ilva.I lavoratori dell’Ilva di Taranto, per troppo tempo, hanno dovuto scegliere tra due alternative: la trappola della povertà, ovvero l’abbandono di un posto di lavoro che tra standard ambientali insani e tumori dilaganti rappresentava comunque una delle poche opportunità occupazionali dell’area, o l’accettazione di una precarietà di condizioni disarmante e degradante. Un governo desideroso di fare davvero politica industriale dovrebbe in primo luogo vincolare la vendita dell’Ilva alla risoluzione di questa asimmetria. Tante sono le questioni su cui ci dovremmo interrogare: perché introdurre lo scudo penale per Arcelor Mittal senza condizionarlo a una sorta di “golden power” pubblico, ovvero monitorando strettamente il compratore imponendogli il rispetto di un serio piano ambientale, la transizione operativa e la tutela di standard definiti? Perché non proporre altro che un cambio repentino di legislazione che Arcelor ha potuto cogliere come palla al balzo per svincolarsi? Perché non aver fatto chiarezza sui contratti di affitto dell’ex Ilva stipulati anche dai commissari straordinari? Perché il Conte II ha questa smania di smantellare ciò che, pur confusamente, il Conte I aveva concluso senza proporre un piano di lungo periodo alternativo?La verità è che manca la politica, la vera visione strategica delle priorità del paese. Manca la volontà di indirizzare lo sviluppo dello Stato nei settori strategici, di tutelare l’occupazione e il futuro produttivo del paese. Lo vediamo in questi giorni: Fca e Peugeot vanno verso la conclusione di un’alleanza strategica in cui il governo italiano non ha saputo intervenire con il potere di persuasione morale, pensando che i cambi di residenza fiscale neghino la realtà, che impone di preservare il futuro del settore auto. Lo vediamo sui gasdotti, sulle trivelle, sui porti, su Alitalia, sui cantieri navali, sulle telecomunicazioni. Lo vediamo quando 10.700 persone rischiano il posto di lavoro e un polo tanto importante di evaporare come neve al sole: non sarebbe riduttivo pensare all’ipotesi di dimissioni del governo Conte in caso di chiusura dell’Ilva. È il deserto della politica. Di un sistema paese che ha smesso di pensarsi tale. E di una politica che pensa alla supremazia dei mercati e non a come intervenire, laddove necessario, per tutelare lavoro e produzione. Il padre della grande stagione dell’acciaio italiano, Oscar Sinigaglia, partì ragionando da un assunto semplice: senza acciaio non c’è industria. Sarebbe meglio che anche a Roma si iniziasse a capire un pensiero tanto basilare quanto vitale per un comparto chiave e, a cascata, per l’economia.(Andrea Muratore, “Quel regalo di Prodi all’Europa che piegò l’industria dell’Italia, dietro il disastro Ilva il vuoto si una seria politica industriale”, dall’inserto “InsideOver” de “Il Giornale” del 10 novembre 2019).Un’antologia di Spoon River della politica industriale: il paragone tra gli ultimi decenni dell’economia italiana e il celebre “cimitero” letterario rischia di diventare ancora più calzante se ad aggiungersi alla grande massa di settori strategici, centri produttivi di vitale importanza e campioni nazionali smantellati da scelte politiche scriteriate (specie le privatizzazioni selvagge), carenze nella definizione delle priorità strategiche e disastri dei gestori privati dovesse aggiungersi l’Ilva. La corsa frenetica a demolire l’economia mista imperniata nell’Istituto di Ricostruzione Industriale (Iri) è stata devastante. Lo ha fatto notare con durezza e nitida chiarezza il direttore del “Quotidiano del Sud” Roberto Napoletano in un recente editoriale: «La vecchia Stet dell’Iri ha ricostruito l’impero romano regalando all’Italia il primato mondiale delle telecomunicazioni e i segreti dell’industria del futuro globale. (…) La vecchia Italstat dell’Iri regala all’Italia un player globale delle costruzioni e delle grandi opere. Apre e chiude i cantieri, si percepisce il progetto paese dello Stato imprenditore, le due Italie sono riunificate con l’Autostrada del Sole costruita e inaugurata prima della scadenza prevista». Entrambe finiranno poi per naufragare dopo la fine dell’epoca d’oro dello Stato-imprenditore.
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La cricca totalitaria delle bufale sul clima alterato dall’uomo
Il clima è sempre cambiato da un decennio all’altro. Ci sono state grandi oscillazioni durante gli anni ’30. Abbiamo avuto il “dust bowl” (serie di tempeste di sabbia) durante l’estate e nel 1936 un freddo record. Nel 1936 l’ondata di freddo del Nord America, che colpì anche il Giappone e la Cina, è ancora oggi una delle più intense mai registrate nella storia. Non possiamo dare la colpa di quanto avvenne alle mamme che portavano in macchina i ragazzini a giocare a calcio, bruciando combustibili fossili. Le automobili erano ancora un lusso negli anni ’30. Semplicemente, non esiste alcuna prova di cambiamenti climatici causati dall’uomo. Nessuno è disposto a denunciare questa assurdità semplicemente mostrando le marcate oscillazioni di temperatura registrate nei secoli. Si tratta di un segreto ben celato, ma il 95% dei modelli climatici che, come ci viene detto, provano il legame tra le emissioni umane di CO2 e il catastrofico riscaldamento globale si sono rivelati, dopo circa due decenni di stasi nelle temperature, sbagliati. Non dovrebbe sorprendere. Ci siamo dovuti sorbire le stramberie dei catastrofisti climatici per circa 50 anni. Nel gennaio 1970, la rivista “Life”, basandosi su “solide prove scientifiche”, sosteneva che entro il 1985 l’inquinamento atmosferico avrebbe ridotto della metà la luce del Sole che raggiunge la Terra.Di fatto, in quel periodo, la luce del Sole è diminuita tra il 3 e il 5%. In un discorso del 1971, Paul Ehrlich dichiarava: «Se fossi un giocatore d’azzardo, scommetterei che l’Inghilterra non esisterà più nel 2000». Spostiamoci velocemente al mese di marzo 2000 e a David Viner, scienziato ricercatore esperto presso l’Unità di Ricerca Climatica dell’Università East Anglia, che dichiarò a “The Independent”: «Le nevicate sono ormai una cosa che appartiene al passato». Nel dicembre 2010 il “Mail” online riferiva del «dicembre più freddo mai registrato, con temperature scese a meno 10 °C portando il caos in tutta la Gran Bretagna». Anche noi australiani abbiamo avuto le nostre previsioni sbagliate. Forse la più assurda è stata la dichiarazione dell’allarmista climatico Tim Flannery del 2005: «Se i tabulati del computer sono corretti, le attuali condizioni di siccità diventeranno permanenti nell’Australia dell’Est». Le precipitazioni successive e le gravi inondazioni hanno mostrato che i tabulati, o le sue analisi, erano sbagliati. Ci siamo bevuti una previsione sbagliata dopo l’altra. Inoltre, il gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici (Ipcc) è stato ripetutamente colto in flagrante per false rappresentazioni della realtà e metodi scadenti.Gli uffici metereologici sembrano aver dato una “aggiustatina” ai dati per adattarsi alla narrazione prevalente. L’affermazione della Nasa che il 2014 è stato l’anno più caldo mai registrato è stata rivista, dopo che era stata messa in discussione, a una probabilità di appena il 38%. Gli eventi meteorologici estremi, che una volta erano imputati al riscaldamento globale, non lo sono più, dal momento che la loro frequenza e intensità sono in diminuzione. E allora perché, vista la mancanza di prove, le Nazioni Unite insistono perché il mondo spenda centinaia di miliardi di dollari all’anno in futili politiche che hanno come obiettivo i cambiamenti climatici? Forse Christiana Figueres, segretario esecutivo della struttura dell’Onu del cambiamento climatico, ha la risposta? Lo scorso febbraio, la Figueres ha detto a Bruxelles: «È la prima volta nella storia dell’umanità che ci stiamo ponendo il compito di cambiare intenzionalmente, entro un determinato periodo di tempo, il modello di sviluppo economico che regna da almeno 150 anni dalla rivoluzione industriale». In altre parole, la vera agenda si concentra sull’autorità politica. Il riscaldamento globale è solo l’amo.Abbiamo anche avuto modo di ascoltare la Figueres affermare che la democrazia è un sistema di governo scadente per combattere il cambiamento climatico. La Cina comunista, ha detto, è il modello migliore. Non stiamo parlando di fatti o di logica. Parliamo di un nuovo ordine mondiale sotto il controllo dell’Onu. Quest’ordine si oppone al capitalismo e alla libertà e ha fatto del catastrofismo ambientale un argomento familiare per raggiungere il suo obiettivo. La Figueres dice che, al contrario della Rivoluzione Industriale, «quella che sta avvenendo è una trasformazione centralizzata». Dal suo punto di vista, la divisione nelle opinioni sul riscaldamento globale negli Usa è «molto deleteria». Naturalmente. Nel suo mondo autoritario, non è ammesso spazio per la discussione o il disaccordo. Capiamoci, il cambiamento climatico è il campo di una battaglia che i totalitaristi e i loro accoliti non possono perdere. Come dice Timothy Wirth, presidente della Fondazione Onu: «Anche se la teoria (del cambiamento climatico) è sbagliata, faremo la cosa giusta in termini di politica economica e ambientale».Dopo aver guadagnato così tanto terreno, gli eco-catastrofisti non ne cederanno un centimetro. Dopo tutto, hanno messo le mani sull’Onu e hanno a disposizione tanti soldi. Hanno un alleato enormemente potente alla Casa Bianca. Hanno arruolato con successo accademici conformisti e media mainstream obbedienti e ingenui (la “Abc” e “Fairfax” in Australia) per far loro portare avanti la narrazione a discapito delle prove. Continueranno a dipingere il movimento sul cambiamento climatico come nato dal consenso spontaneo e indipendente di scienziati, politici e cittadini preoccupati, che credono che l’attività umana sia “in maniera estremamente probabile” la causa dominante del riscaldamento globale (“in maniera estremamente probabile” è un termine scientifico?). E continueranno a mobilitare l’opinione pubblica, utilizzando la paura e gli appelli alla moralità. Il sostegno dell’Onu verrà assicurato attraverso la promessa di redistribuzione di ricchezza dall’Occidente, anche se le sue prescrizioni di politica anti-crescita prolungheranno inutilmente la povertà, la fame, le malattie e l’analfabetismo nei paesi più poveri del mondo.La Figueres ha dichiarato a un recente summit sul clima a Melbourne che lei «contava veramente sulla leadership dell’Australia» perché si assicurasse che gran parte del carbone rimanesse nel suolo. Speriamo che, come il primo ministro indiano Narendra Modi, Tony Abbot non la ascolti. L’India conosce l’importanza dell’energia a basso costo e si prevede che superi la Cina come il leader mondiale di importazione di carbone. Persino la Germania si accinge a mettere in marcia il maggior numero di centrali elettriche a carbone degli ultimi 20 anni. Esiste la possibilità concreta che Figueres e coloro che condividono la sua ambizione di un potere centralizzato riusciranno nel loro intento. Mentre si avvicina la conferenza Onu di dicembre sul cambiamento climatico, verrà messa pressione sull’Australia perché firmi ulteriori trattati sul cambiamento climatico, che distruggeranno posti di lavoro. Resistere sarà politicamente difficile. Ma resistere dovremmo. Stiamo già pagando un inutile prezzo sociale ed economico per gesti vuoti. Quando è troppo, è troppo.(Martin Armstrong, “Quando gli ambientalisti ignorano la storia”, articolo apparso su “Weekend Australian” il 30 settembre 2019 e ripreso da “Voci dall’Estero”).Il clima è sempre cambiato da un decennio all’altro. Ci sono state grandi oscillazioni durante gli anni ’30. Abbiamo avuto il “dust bowl” (serie di tempeste di sabbia) durante l’estate e nel 1936 un freddo record. Nel 1936 l’ondata di freddo del Nord America, che colpì anche il Giappone e la Cina, è ancora oggi una delle più intense mai registrate nella storia. Non possiamo dare la colpa di quanto avvenne alle mamme che portavano in macchina i ragazzini a giocare a calcio, bruciando combustibili fossili. Le automobili erano ancora un lusso negli anni ’30. Semplicemente, non esiste alcuna prova di cambiamenti climatici causati dall’uomo. Nessuno è disposto a denunciare questa assurdità semplicemente mostrando le marcate oscillazioni di temperatura registrate nei secoli. Si tratta di un segreto ben celato, ma il 95% dei modelli climatici che, come ci viene detto, provano il legame tra le emissioni umane di CO2 e il catastrofico riscaldamento globale si sono rivelati, dopo circa due decenni di stasi nelle temperature, sbagliati. Non dovrebbe sorprendere. Ci siamo dovuti sorbire le stramberie dei catastrofisti climatici per circa 50 anni. Nel gennaio 1970, la rivista “Life”, basandosi su “solide prove scientifiche”, sosteneva che entro il 1985 l’inquinamento atmosferico avrebbe ridotto della metà la luce del Sole che raggiunge la Terra.