Archivio del Tag ‘prigionieri’
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Cambiare verso, ma col metodo Einaudi e senza diktat
Fino a ieri, la propaganda avanzava a colpi di frasi fatte: ce lo chiede l’Europa, siamo all’ultima spiaggia, ci metto la faccia. Ora siamo all’incubo, denominato “Patto del Nazareno”. Niente più democrazia, ma «filibustering, tagliole, ghigliottine e canguri». Il problema, avverte Umberto Baldocchi, si pone direttamente agli italiani più che ai partiti: «Ma è davvero possibile costruire un sincero e duraturo compromesso costituzionale? Ed è sensato cercarlo?». Incubo, perché «alcune condizioni extracostituzionali vengono poste ex ante e legate ad accordi segreti tra due sole delle parti in gioco». Qualcuno è evidentemente “più uguale” degli altri, come nel mondo di Orwell, per giunta in un tema come quello della revisione costituzionale. «Questo è un incubo e un diktat». Il compromesso del “do ut des”, sosteneva Luigi Einaudi, «non è indice di tollerante adattamento parziale alle idee opposte», ma solo di «puro calcolo partigiano egoistico». Nient’altro che «falso compromesso», il quale «trasforma i codici in antologie di norme arlecchinesche e dà il governo in mano a faccendieri intriganti».Il vero compromesso, per Einaudi, è invece «avvicinamento tra gli estremi, superamento degli opposti in una unità superiore». Lo ricorda Baldocchi in un intervento sul blog di Aldo Giannuli, rievocando il lontano 1945, quando l’Italia doveva “cambiare verso” dopo la disastrosa avventura fascista. Allora c’erano partiti schierati in campi ideologici opposti. Agli italiani, «diseducati dalla dittatura», il futuro presidente liberale spiegava cos’è un dignitoso compromesso in politica. Cioè non un semplice gioco delle parti, uno scambio mercantile. Nel “Porcellum”, ad esempio, «una parte riesce a buggerare l’altra», mentre «in un vero compromesso ognuno dovrebbe ottenere qualcosa e cedere in cambio qualcos’altro: ad esempio il Senato non elettivo in cambio delle preferenze o viceversa». L’Italicum, cioè un “Porcellum” depurato da imbrogli e da insidie sarebbe dunque un buon compromesso? «Niente affatto, direbbe Einaudi. E qui è appunto la misura dell’aberrazione in cui siamo caduti, che ci fa prigionieri dell’incubo».Per Einaudi, insiste Baldocchi, il vero compromesso è il superamento degli interessi contrapposti, puntando al vantaggio comune per tutti, «non al vantaggio derivante dalla somma di tutti gli interessi particolari». Tantomeno, questa pretesa «può dunque fondarsi su alcuna condizione immodificabile posta in premessa, cioè su un diktat: qui è il peccato originale della riforma che si sta costruendo». Vogliamo un buon Parlamento? Ok, allora dobbiamo sapere che un buon Parlamento è quello che produce «leggi giuste ed efficaci (piuttosto che tante leggi)», e blocca «le leggi squilibrate, ingiuste o inefficaci». Il bicameralismo? «Era stato pensato per questo, anche per impedire le leggi cattive», di qui il il “rallentamento” imposto al percorso di alcune leggi. «Penso che nessuna parte politica possa dichiarare apertamente che gradirebbe un Parlamento incapace di impedire l’approvazione di leggi suggerite “dall’alto” come la riforma Fornero o il pareggio di bilancio in Costituzione», sottolinea Baldocchi. Leggi «che solo noi, tra i paesi europei, credo, abbiamo introdotto», e che rischiano di soffocare – insieme al Fiscal Compact – ogni possibilità di ripresa economica.«Se su questo siamo d’accordo – continua Baldocchi – ne discende una semplice conseguenza per delineare il nuovo Senato: accanto alla Camera che vota la fiducia e promuove la legislazione ordinaria, bisogna realizzare una seconda Camera di garanzia, che abbia l’autorità e l’indipendenza necessaria per impedire le leggi che stravolgono la Costituzione, “rallentando” razionalmente il processo legislativo». Potrebbe mai farlo un Senato ridotto a «Camera dei replicanti», gremito di «sindaci e assessori dei medesimi partiti che hanno costituzionalizzato il pareggio di bilancio – oggi forse qualcuno direbbe “a loro insaputa”– sotto la pressione di condizionamenti estemporanei e mediatizzati come quelli di una crisi degli spread?». Ovvio: una Camera di garanzia può soltanto essere eletta dai cittadini, magari con liste indipendenti, regionali, e durata diversa da quella della Camera. «Non fu un caso che, nella Polonia del 1946, la strada alla dittatura fu aperta rinviando le elezioni politiche e indicendo un referendum in cui si chiese (e si ottenne) l’abolizione del Senato previsto dalla Costituzione del 1921, evidentemente “pericoloso” per il potere comunista, che infatti procedette poi a smantellare la Costituzione».E quello del Senato è solo un esempio, conclude Baldocchi . Riformare la Costituzione? Certamente, ma col “metodo Einaudi”, pensando al destino dell’Italia. «Una proposta fuori tempo massimo? Non credo, non c’è persona che possa dettare il tempo massimo alla democrazia, nessuno ne dovrebbe avere il potere, se in democrazia non esistono decisioni ultime e irrivedibili, specie in una fase di mutamenti epocali come quella che viviamo». Ingenua utopia? «Neppure. Secondo me sarebbe sano realismo, vera realpolitik. Altrimenti avremo sì una legge approvata coi metodi nuovi della turbo-democrazia di Renzi, ma non una “riforma”, bensì un codice di “norme arlecchinesche” (espressione educata per dire “Porcellum”)», progettate per «rendere ingovernabile il paese», dopo aver dato super-poteri di breve durata a una sola parte. Di questo passo, si avrebbe «una “riforma” che si dovrà “riformare” il prima possibile, come è oggi per la legge elettorale o per il Titolo V», mentre ben altre esigenze stringono il paese. Problema: «Sta ai cittadini, però, chiedere apertamente questo cambiamento: i parlamentari da soli non possono farcela».Fino a ieri, la propaganda avanzava a colpi di frasi fatte: ce lo chiede l’Europa, siamo all’ultima spiaggia, ci metto la faccia. Ora siamo all’incubo, denominato “Patto del Nazareno”. Niente più democrazia, ma «filibustering, tagliole, ghigliottine e canguri». Il problema, avverte Umberto Baldocchi, si pone direttamente agli italiani più che ai partiti: «Ma è davvero possibile costruire un sincero e duraturo compromesso costituzionale? Ed è sensato cercarlo?». Incubo, perché «alcune condizioni extracostituzionali vengono poste ex ante e legate ad accordi segreti tra due sole delle parti in gioco». Qualcuno è evidentemente “più uguale” degli altri, come nel mondo di Orwell, per giunta in un tema come quello della revisione costituzionale. «Questo è un incubo e un diktat». Il compromesso del “do ut des”, sosteneva Luigi Einaudi, «non è indice di tollerante adattamento parziale alle idee opposte», ma solo di «puro calcolo partigiano egoistico». Nient’altro che «falso compromesso», il quale «trasforma i codici in antologie di norme arlecchinesche e dà il governo in mano a faccendieri intriganti».
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Zanoli: orrore Gaza, cancellatemi dai Giusti d’Israele
anoli, riferisce la Bbc, ha scritto all’ambasciata israeliana all’Aja affermando che il 20 luglio un F-16 israeliano ha distrutto la casa della sua pronipote a Gaza, uccidendo tutti coloro che si trovavano al suo interno. L’ambasciata israeliana non ha voluto rilasciare commenti. «Il gesto di Henk Zanoli è per me dolorosissimo – scrive Gad Lerner – ma non posso che definirlo nobile».Avvocato in pensione, Zanoli ha mosso aspre critiche all’operazione “Margine protettivo”, avvertendo che le «vergognose» azioni dell’esercito di Tel Aviv potrebbero portare a possibili condanne per «crimini di guerra» e «crimini contro l’umanità», racconta il “Fatto Quotidiano”. Zanoli ricorda inoltre di aver perso suo padre nel lager nazista di Mauthausen, dove fu internato nel 1941 per aver osato protestare contro l’occupazione militare dell’Olanda da parte di Hitler. L’uomo resistette alle atroci crudeltà del campo di sterminio fino al febbraio 1945, morendo poco prima della liberazione dei prigionieri superstiti. Zanoli e sua madre Johana avevano ricevuto il riconoscimento di “Giusto tra le nazioni” nel 2011 per avere salvato la vita a Elhanan Pinto, un piccolo ebreo tenuto al riparo dai nazisti nella loro abitazione di famiglia di Eemnes, vicino a Utrecht, tra il 1943 e il 1945.Poi, la storia della famiglia Zanoli è tornata a intrecciarsi con la Terrasanta: la pronipote di Zanoli, Angelique Eijpe, divenuta un diplomatico olandese, ha sposato l’economista palestinese Ismail Ziadah, nato in un campo profughi nel centro della Striscia. Durante gli ultimi bombardamenti israeliani, la coppia non si trovava a Gaza. Ma la madre di Ziadath, tre fratelli, una cognata e una nipotina di tre anni hanno perso la vita nei raid. Così, Zanoli ha chiesto la cancellazione del suo nome dal Giardino dello Yad Vashem, il memoriale di Gerusalemme che celebra la memoria di salvatori di ebrei, come l’Oskar Schindler protagomista del kolossal di Spielberg. Il piccolo salvato da Zanoli oggi vive in Israele – fu lui a segnalare allo Yad Vashem l’eroismo dei suoi salvatori olandesi – mentre i suoi genitori furono barbaramente sterminati in un lager, insieme ad altri milioni di ebrei europei.Come racconta il sito ufficiale del museo dell’Olocausto, nel 1943 Henk Zanoli, allora poco più che ventenne, da Emmes fece un rischiosissimo viaggio verso Amsterdam (guardie e controlli erano ovunque) per andare a prendere il bambino e accompagnarlo a casa. Intollerabile, quindi, il dolore per i parenti appena uccisi a Gaza. Per Gad Lerner, giornalista di fede ebraica, il drammatico gesto di Henk Zanoli «esplicita una lacerazione che viviamo in molti: l’Israele che c’è offusca l’eterno Israele che è in noi». Per Paolo Barnard, assai più critico con le autorità di Tel Avibv, il massacro di Gaza «infanga la memoria delle vittime di Auschwitz». Roger Waters, leader dei Pink Floyd, chiede di boicottare Israele denunciando l’apartheid che conduce ogni giorno contro i palestinesi. Zeev Sternhell, considerato il più autorevole storico israeliano, chiede addirittura che la comunità internazionale isoli il governo di Tel Aviv. Per il collega Ilan Pappe, secondo cui il “peccato originale” di Israele è proprio la “pulizia etnica” della Palestina, Israele è ormai «fuori dal mondo civile», vista la barbarie dei bombardamenti su Gaza. A cui si sono opposti 50 soldati “obiettori di coscienza”, tra cui il giovanissimo Udi Segal: meglio il carcere, piuttosto che uccidere innocenti.«E’ davvero terribile che oggi, quattro generazioni dopo, la nostra famiglia debba sopportare l’uccisione di altri suoi membri a Gaza. Uccisioni di cui è responsabile lo Stato di Israele. Per me, dunque, conservare questa medaglia sarebbe un insulto alla memoria della mia coraggiosa madre». Così Henk Zanoli, olandese, 91 anni, fino a ieri “Giusto tra le Nazioni” insieme alla madre Johana per aver salvato un bambino ebreo durante la Shoah, “restituisce” la massima onorificenza israeliana per protesta contro il genocidio dei palestinesi nella Striscia. E spiega, al quotidiano israeliano “Haaretz”: «Continuare a sentirmi orgoglioso dell’onore concessomi dallo Stato di Israele, in queste circostanze sarebbe un insulto». Zanoli, riferisce la Bbc, ha scritto all’ambasciata israeliana all’Aja affermando che il 20 luglio un F-16 israeliano ha distrutto la casa della sua pronipote a Gaza, uccidendo tutti coloro che si trovavano al suo interno. L’ambasciata israeliana non ha voluto rilasciare commenti. «Il gesto di Henk Zanoli è per me dolorosissimo – scrive Gad Lerner – ma non posso che definirlo nobile».
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Gaza, strage per il gas: insulto alla memoria di Auschwitz
«Il “nazismo” sionista precede quello tedesco di 30 anni. Il sionismo è un’aberrazione dell’umanità. Israele è il più ignobile insulto esistente alla memoria di sei milioni di ebrei sterminati in Germania». Paolo Barnard, autore del saggio “Perché ci odiano” sul risentimento arabo contro il brutale colonialismo occidentale e sionista – condanna senza mezzi termini l’ennesima operazione di pulizia etnica che le truppe di Tel Aviv stanno conducendo a Gaza sparando nel mucchio e colpendo donne, vecchi e bambini. La musica è sempre la stessa: «Dobbiamo dire ai palestinesi dei territori occupati che non esiste soluzione per loro, continueranno a vivere come cani, e se vogliono possono andarsene», tagliò corto Moshe Dayan nel 1967. Se lo sfratto dei palestinesi prosegue anche oggi con tanta disumanità, aggiunge un osservatore internazionale come Pepe Escobar, dipende anche da un motivo contingente: il colossale giacimento di gas naturale davanti alla costa di Gaza, “la prigione a cielo aperto più grande del mondo”. Sangue in cambio di gas: i palestinesi devono preparasi a lasciare anche Gaza, perché «Israele vuole tutto», anche le loro risorse energetiche.Alla fine, scrive Escobar su “Rt” in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”, il premier “Bibi” Netanyahu «ha avuto la sua guerra nuova di zecca». L’Operazione Barriera Protettiva, «ovvero l’attuale pulizia etnica al rallentatore messa in atto a Gaza» dall’esercito israeliano, «è il sogno erotico del primo ministro» di Tel Aviv. Prezioso il pretesto del rapimento di tre studenti israeliani, dopo che l’Anp e Hamas avevano formato un governo unitario in Cisgiordania, mentre il segretario di Stato americano John Kerry «stava portando avanti un gioco ipocrita chiamato “tavolo di pace” tra Israele e Palestina», piano che «come previsto è fallito miseramente». Due palestinesi – non appartanenti ad Hamas – hanno rapito tre coloni adolescenti israeliani mentre facevano autostop di notte vicino a Hebron. «Uno degli autostoppisti in qualche modo è riuscito a chiamare il numero di emergenza della polizia israeliana con il cellulare», così «i rapitori hanno perso la testa e sparato immediatamente ai ragazzi, sbarazzandosi poi dei corpi». La testa in realtà l’hanno persa tutti gli israeliani, continua Escobar: per tre settimane l’esercito ha condotto feroci rastrellamenti, con decina di migliaia di soldati, mentre «i media si sono scatenati, immolando i palestinesi in una pira funeraria di stampo razzista».Ipotesi dietrologica: sono stati gli 007 israeliani a simulare un rapimento condotto da palestinesi, per poi incolpare Hamas e bombardare Gaza? Escobar smentisce: le prove, scrive, puntano alla tribù Qawasmeh della regione di Hebron, storicamente conosciuta come antagonista di Hamas e ostile verso i coloni israeliani. «C’è anche la possibilità che i rapitori volessero usare gli autostoppisti come merce di scambio per la restituzione di prigionieri palestinesi». Quello che conta è che Netanyahu e la sua intelligence, lo Shin Bet, «sapevano fin dall’inizio che i ragazzi erano morti – e chi era responsabile». Ma “Bibi”, semplicemente, «non poteva sorvolare sulla possibilità di sfruttare l’accaduto – durante le tre settimane di folle ricerca – come motivazione per perseguire Hamas nella Zona Ovest e a Gaza, un’operazione già pianificata da tempo». I numeri, aggiunge Escobar, non rendono giustizia all’orribile massacro: in un solo giorno 167 morti, per lo più civili, inceneriti da 30 missili israeliani e sepolti dalle macerie di 200 case distrutte, senza contare gli oltre mille feriti e 1.500 edifici lesionati.In Israele, ovviamente, nemmeno un morto. Un portavoce militare «si è macabramente vantato che Gaza – un campo di concentramento-baraccopoli de facto – stava venendo bombardata ogni 4 minuti e mezzo». Il messaggio: «Che “Bibi” la possa fare franca è tutto ciò che le strade arabe – e di tutto il sud del mondo – devono sapere circa il depositario delle navi da guerra e degli aerei statunitensi in Medio Oriente». Quello che invece pochi sanno, continua Escobar, è che 14 anni fa sono stati scoperti al largo della costa di Gaza 1,4 trilioni di piedi cubi di gas naturale, del valore di almeno 4 miliardi di dollari. Altra “dimenticanza”: durante l’ultima invasione israeliana di Gaza – l’Operazione Piombo Fuso – i giacimenti di gas palestinesi furono confiscati da Israele. Quella “operazione” era già una guerra energetica, come denunciò Nafeez Ahmed. «Bisogna guardare al tutto da fuori», avverte Escobar: «I 122 trilioni di piedi cubi di gas, più i potenziali 1,6 miliardi di barili di greggio del bacino del Levante sparsi nelle acque territoriali di Israele, Siria, Libano, Cipro e ovviamente Gaza: queste acque territoriali sono alacremente contese come quelle del Mar Cinese del Sud. Neanche a dirlo, Tel Aviv le vuole tutte».Per integrare il quadro, «Israele si sta preparando ad affrontare un crescente incubo di sicurezza energetica». E’ coinvolto nell’operazione persino Tony Blair, responsabile politico della falsificazione delle prove sulle “armi di distruzione di massa” di Saddam e ora insider strategico della Jp Morgan: l’ex premier britannico ha proposto di “sviluppare” lo sfruttamento dei giacimenti di gas di Gaza attraverso un accordo tra la British Gas e le autorità palestinesi, escludendo totalmente Hamas e la popolazione di Gaza. «Il modo in cui Gaza è mantenuta come un campo di concentramento, soggetto a violenze di massa ininterrotte, è già abbastanza rivoltante», continua Escobar. In più, «bisogna aggiungere la componente-chiave economica: in tutti i modi possibili a Gaza deve essere impedito di accedere ai giacimenti Marina-1 e Marina-2», i quali «verranno inghiottiti da Israele», che già controlla «tutte le risorse naturali palestinesi – acqua, terra ed energia». Ecco il “segreto” dell’Operazione Barriera Protettiva: «Senza schiacciare Hamas, che controlla Gaza, gli israeliani non potranno trivellare la costa». Per Israele, quindi, i palestinesi vanno sfrattati da Gaza.Secondo Michael Klare, «la nuova, ininterrotta e collettiva aggressione a Gaza è soprattutto una guerra energetica che versa sangue in cambio di gas». Tutto questo, naturalmente, può avvenire senza che il resto del mondo lo impedisca, anche grazie al consenso che il mainstream ha sempre assicurato al colonialismo israeliano, fingendo di non sapere che la fine della secolare convivenza pacifica tra ebrei e arabi in Palestina è stata imposta unilateralmente dai sionisti, decisi a ottenere l’esclusiva sulla Terra Santa anche a prezzo del bagno di sangue. La pulizia etnica, avviata tre decenni prima di Auschwitz, secondo il grande storico israeliano Ilan Pappe è “il peccato originale di Israele”, sempre sottaciuto dai media. E’ Paolo Barnard a ricordare le terribili parole contenute nelle memorie di David Ben Gurion, padre dello Stato ebraico: «C’è bisogno di una reazione brutale», scriveva Ben Gurion nel 1948. «Dobbiamo essere precisi su coloro che colpiamo. Se accusiamo una famiglia palestinese non c’è bisogno di distinguere fra colpevoli e innocenti. Dobbiamo fargli del male senza pietà, altrimenti non sarebbe un’azione efficace».«Gli inglesi – disse nel 2000 il futuro presidente israeliano Chaim Weizmann – ci hanno detto che in Palestina ci sono dei negri, gente di nessun valore». E’ un destino di sangue, deciso a tavolino e imposto al mondo, per il quale i palestinesi di Gaza sono ancora oggi dei “negri” senza diritti. E’ storia: il sionista Yossef Weitz, continua Barnard, aveva preparato una lista dettagliata dei villaggi palestinesi da distruggere, «coi nomi e cognomi di uomini, donne e bambini disarmati, e questo anni prima dei Protocolli di Wannsee compilati dai nazisti per sterminare gli ebrei in Europa». La coscienza israeliana viene mantenuta in letargo da una disinformazione martellante, nonostante la rivolta civile di molti israeliani che si oppongono al militarismo, intellettuali e pacificisti, studiosi, veterani dell’esercito come i “Refuseniks” che si rifiutano di partecipare a operazioni di sterminio della popolazione palestinese. Già nel 1948, un uomo come Aharon Ciszling, ministro del primo governo del neonato Stato di Israele, rifletteva amaramente: «Adesso anche gli ebrei si sono comportati (contro i palestinesi) come i nazisti, e tutta la mia anima ne è turbata». Oltre mezzo secolo dopo, la politica di Israele non è cambiata. Ora tocca a Gaza, che ha la “colpa” di essere affacciata su un mare di gas.«Il “nazismo” sionista precede quello tedesco di 30 anni. Il sionismo è un’aberrazione dell’umanità. Israele è il più ignobile insulto esistente alla memoria di sei milioni di ebrei sterminati in Germania». Paolo Barnard, autore del saggio “Perché ci odiano” sul risentimento arabo contro il brutale colonialismo occidentale e sionista, condanna senza mezzi termini l’ennesima operazione di pulizia etnica che le truppe di Tel Aviv stanno conducendo a Gaza sparando nel mucchio e colpendo donne, vecchi e bambini. La musica è sempre la stessa: «Dobbiamo dire ai palestinesi dei territori occupati che non esiste soluzione per loro, continueranno a vivere come cani, e se vogliono possono andarsene», tagliò corto Moshe Dayan nel 1967. Se lo sfratto dei palestinesi prosegue anche oggi con tanta disumanità, aggiunge un osservatore internazionale come Pepe Escobar, dipende anche da un motivo contingente: il colossale giacimento di gas naturale davanti alla costa di Gaza, “la prigione a cielo aperto più grande del mondo”. Sangue in cambio di gas: i palestinesi devono preparasi a lasciare anche Gaza, perché «Israele vuole tutto», anche le loro risorse energetiche.
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Juncker letale per Italia e Francia, e Londra lascerà l’Ue
Condoglianze all’Europa, guidata dal super-falco del rigore Jean-Claude Juncker. Fastidioso per la Gran Bretagna, che non lo voleva – e anche per questo punterà sull’uscita dall’Ue col referendum del 2017 – il nuovo super-tecnocrate neoliberista imposto dalla Merkel come presidente della Commissione Europea sarà un’autentica condanna a morte per Francia e Italia, dove Hollande e Renzi saranno costretti a subire ancora più austerity, assistendo al boom inarrestabile di Marine Le Pen e Beppe Grillo. Lo sostiene l’autorevole analista economico del “Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchard, secondo cui il lussemburghese Juncker è un vero maestro del “metodo” da gangster attribuito al francese Jean Monnet, uno dei tanti “padri” dell’atroce Ue. Testualmente: «Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo di vedere cosa succede: se non c’è nessuna protesta, perché la maggior parte delle persone non capisce cosa stiamo facendo, andiamo avanti passo dopo passo fino a quando siamo oltre il punto di non ritorno», ha dichiarato candidamente Juncker al tedesco “Der Spiegel”.La sinistra caricatura di Europa disegnata dal Trattato di Lisbona, scrive Pritchard nell’articolo tradotto da “Voci dall’estero” e ripreso dal blog “Vox Populi”, non ha dato al Parlamento Europeo il potere di scegliere il presidente della Commissione, prerogativa che rimane ai leader nazionali dell’Ue. Gli eurodeputati? Hanno solo il diritto di sfiduciare la Commissione, ma non possono nominarla. «Eppure è esattamente quello che hanno fatto: una cricca di falchi integralisti a Strasburgo ha imposto a forza il presidente Juncker», un diktat accettato dagli «spauriti leader dell’Ue» solo per «ottenere concessioni o ingraziarsi il favore di Berlino». Tesi: il centrodestra (Ppe) avrebbe l’autorità per imporre la sua scelta, avendo “vinto” le elezioni europee. Lettura miope: «Il terremoto elettorale di maggio è andato in direzione completamente opposta: un urlo primordiale dei popoli europei contro la prepotenza dell’Ue e la distruzione di posti di lavoro causata dalla brutale austerità».Infatti, in Francia il Fronte Nazionale ha vinto chiedendo l’uscita dall’euro e col rifiuto viscerale del progetto dell’Unione Europea. «Bisogna essere politicamente analfabeti – protesta Pritchard – per ritenere saggio o appropriato, in questo momento, affidare la macchina Ue a un vecchio insider, uno dei maggiori responsabili delle disgraziate decisioni che hanno portato l’Europa nella sua attuale empasse». Per dirla con Beppe Grillo, «ovunque passi Juncker in Europa, non cresce più l’erba». E Marine Le Pen ha annunciato che si rifiuterà di ratificarne la nomina: «Io non parteciperò alla votazione per il carceriere della prigione: cercherò la fuga dalla prigione». Designare Juncker, sottolinea Pritchard, è stato il massimo “regalo” possibile alla Le Pen e a Grillo. Il neo-presidente della Commissione è «il volto di politiche terrificanti», che hanno intrappolato l’Europa in un drammatico “decennio perduto”, quello dell’euro. Eppure, il Ppe vanta il suo successo (numerico) alle europee. Una commedia degli equivoci: quanti elettori greci, tra quelli che hanno votato Nuova Democrazia, si sono resi conto che avrebbero lanciato alla guida di Bruxelles un uomo come Juncker, candidato a inasprire ulteriormente il rigore? E quanti elettori irlandesi di Fine Gael volevano davvero un’ulteriore integrazione nell’Ue?«Cerchiamo di essere onesti», scrive Pritchard. «Questa parodia è stata imposta dal blocco tedesco di europarlamentari, sia per aumentare i poteri della propria istituzione sia perché il presidente Juncker è ritenuto (per ora) il più sicuro curatore dello status quo nell’Ue, che serve abbastanza bene gli interessi tedeschi». Questo status quo «è rovinoso per la Francia e per l’Italia, eppure François Hollande e Matteo Renzi hanno acconsentito docilmente, lasciando David Cameron a fare una resistenza donchisciottesca contro una decisione che è quasi suicida per l’Unione Europea stessa». Pensavano di assicurarsi un po’ di flessibilità sull’austerità con un compromesso? Illusioni: «Nelle conclusioni del vertice non c’è stato nessun cambiamento sostanziale delle norme Ue sul disavanzo». Infatti, la politica di Bruxelles non cambia di una virgola: «La stagnazione permanente dell’economia è già tradotta in legge nell’Ue grazie al Fiscal Compact. Ogni paese deve tagliare il proprio debito pubblico in maniera meccanica per vent’anni, finché non raggiunge il rapporto del 60% del Pil, indipendentemente dalla politica monetaria o dallo stato dell’economia mondiale. Questo sta già incalzando la Francia, che scivola sempre più a fondo in una trappola di deflazione da debito, con una crescita zero che fa impennare la traiettoria del debito, nonostante un pacchetto di austerità dopo l’altro».Secondo Gilles Carrez, capo della commissione finanze del Parlamento francese, entro il prossimo anno la Francia sfonderà il tetto del 100%: questo significa che il debito dovrà essere tagliato di 40 punti percentuali, ossia di un 2% all’anno, nel bel mezzo di una crisi di disoccupazione. L’Italia sta anche peggio, continua Pritchard, con un debito che si avvita sopra il 133%. «Il signor Renzi può provare a guadagnare un piccolo margine di manovra per investimenti supplementari, ma a questo punto il compito è troppo arduo per qualsiasi leader politico». Colpa della «camicia di forza» dell’Uem, l’unione monetaria europea: l’euro obbliga il governo italiano «a ottenere un surplus di bilancio primario del 5% del Pil anno dopo anno, sempreché la Banca Centrale Europea riesca a raggiungere il suo obiettivo di inflazione del 2%, cosa che per ora non riesce a fare». Con lo 0,5% attuale, per conformarsi alle regole l’Italia deve ottenere un surplus vicino al 7%. «Ma ciò non è né possibile né auspicabile, in un paese con una forza lavoro che si contrae e una demografia alla giapponese».Secondo Pritchard, «Renzi avrebbe dovuto affrontare la cancelliera tedesca Angela Merkel quando il suo successo elettorale schiacciante era ancora fresco, chiedendo un blitz di reflazione per cambiare completamente il panorama economico europeo». Ma il giovane premier italiano «ha perso la sua chance, il che porta a chiedersi se non sia soltanto un chiacchierone, che probabilmente verrà messo a tacere in fretta». Forse, aggiunge l’analista del “Telegraph”, per Renzi «era impossibile ottenere di più senza l’aiuto di Hollande», che però è ormai «una figura tragica che replica le politiche deflazionistiche di Pierre Laval nel 1935». Morale: «Per Francia e Italia, gli orrori della trappola della deflazione da debito possono restare dissimulati finché regge il ciclo di liquidità globale, se la Cina va avanti ancora con gli stimoli e se il capo della Fed, la Yellen, si preoccupa di creare posti di lavoro al di sopra di tutto. Ma una volta che il ciclo cambia, Renzi e Hollande malediranno il giorno in cui hanno accettato di venire a patti con la Merkel a Bruxelles», cedendo sull’infelicissima scelta di Juncker.Nel frattempo, la Germania teme seriamente che il Regno Unito possa salutare la sgangherata compagnia europea, dopo che la Merkel «ha allegramente perseguito i suoi interessi con effetti venefici sulla psicologia politica della Gran Bretagna», facendo salire il consenso per un’uscita del paese dalla Ue fino a un record del 47,39%. Berlino ora si sta preoccupando di limitare i danni, aggiunge Pritchard: il vice-cancelliere Sigmar Gabriel ha detto che l’uscita britannica significherebbe la disintegrazione del progetto europeo. «Non dobbiamo sottovalutare l’impatto sugli Stati anglosassoni e sui mercati finanziari», ha detto. «L’Europa sembrerebbe lacerata e indebolita agli occhi del mondo: già viene considerata un continente in declino». Anche per il terribile ministro delle finanze Wolfgang Schauble, l’uscita britannica sarebbe «assolutamente inaccettabile». Ha ragione, dice Pritchard: «Un’uscita britannica sconvolgerebbe la chimica interna dell’Unione Europea, rischiando una reazione a catena», aumentando la solitudine dell’egemone Germania. Non solo: il Regno Unito continua a crescere più dell’Eurozona del 2% annuo, e l’aumento è anche demografico – oltre 400.000 abitanti l’anno – proprio in un momento in cui la Germania sta entrando in una crisi demografica. Dunque la situazione è critica, e oggi un uomo come Juncker è davvero il peggior presidente possibile.Condoglianze all’Europa, guidata dal super-falco del rigore Jean-Claude Juncker. Fastidioso per la Gran Bretagna, che non lo voleva – e anche per questo punterà sull’uscita dall’Ue col referendum del 2017 – il nuovo super-tecnocrate neoliberista imposto dalla Merkel come presidente della Commissione Europea sarà un’autentica condanna a morte per Francia e Italia, dove Hollande e Renzi saranno costretti a subire ancora più austerity, assistendo al boom inarrestabile di Marine Le Pen e Beppe Grillo. Lo sostiene l’autorevole analista economico del “Telegraph”, Ambrose Evans-Pritchard, secondo cui il lussemburghese Juncker è un vero maestro del “metodo” da gangster attribuito al francese Jean Monnet, uno dei tanti “padri” dell’atroce Ue. Testualmente: «Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo di vedere cosa succede: se non c’è nessuna protesta, perché la maggior parte delle persone non capisce cosa stiamo facendo, andiamo avanti passo dopo passo fino a quando siamo oltre il punto di non ritorno», ha dichiarato candidamente Juncker al tedesco “Der Spiegel”.