Archivio del Tag ‘profughi’
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Fortress Europe: profughi del terrore, ora cosa sarà di loro?
I profughi arrivati in Italia dalla Libia sono già una massa di 23.000 persone, per lo più non libici ma intrappolati dalla guerra o addirittura “deportati” dal regime di Gheddafi come ritorsione dopo l’attacco della Nato. Stivati nei centri di accoglienza, non hanno nessuna possibilità di uscire dalla clandestinità, né di essere rimpatriati a spese dell’Italia, perché sono troppi. Che fine faranno? E cosa accadrà, ora, con il crollo di Tripoli e il caos che potrebbe regnare in un paese svuotato, pieno di civili terrorizzati e miliziani armati fino ai denti? Domande che Gabriele Del Grande, giornalista indipendente e creatore di “Fortress Europe”, monitor-web della “tratta degli schiavi” nel Mediterraneo, si pone ormai da anni, seguendo da vicino le rotte della disperazione che portano, via mare, all’Europa.
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La Ue: clandestino è il governo che incarcera i migranti
“Peruano clandestino, Mano Negra illegal”: se Manu Chao è stato il primo a tradurre in protesta – con un’orazione pop datata 1998 – l’insopportabile discriminazione del migrante costretto a diventare “desaparecido” in un Occidente senza diritti per chi viene dalla fame, dalla paura e dalla disperazione, il cantante franco-iberico non poteva aspettarsi che uno degli Stati fondatori dell’Unione Europea, celebrata patria delle libertà civili, arrivasse nel 2009 a proclamare reato la clandestinità, costringendo i profughi a incorrere nelle more della giustizia penale. Dopo due anni, mentre un’Italia riluttante bombarda la Libia e fa i conti col Nord Africa in rivolta, lo stop arriva da Bruxelles: vietato arrestare gli irregolari.
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Quest’inutile Europa in frantumi, che ormai litiga su tutto
Europa, aprile 2011. Le elezioni finlandesi potrebbero essere la pietra tombale sull’Unione Europea. La maggioranza dei finnici non vuol sapere di portare una parte del peso che dovrebbe servir a dar una mano a quei terroni dei portoghesi. Figurarsi che cosa si pensa, nel paese di Aalto e di Sibelius, di quegli altri terroni degli spagnoli, dei greci, degli italiani, anch’essi in difficoltà. Frattanto irlandesi, islandesi e svedesi danno a loro volta sfogo al loro malumore. I tedeschi, dal canto loro, mandano a dire di non aver alcuna voglia di accollarsi una parte del peso e dei costi per i tunisini che arrivano in Italia: e ricordano, poco generosamente ma molto realisticamente, che quando furono sommersi dai kosovari dovettero cavarsela da soli.
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Eritrea, fuga dall’orrore: disperato appello all’Italia
Dopo la Libia, l’Eritrea. Appello al governo italiano: staccate subito la spina alla dittatura di Iseyas Afewerki, a capo del più feroce regime africano. «Se l’Italia continua a sostenerlo, si prepari a subire l’invasione dei profughi, in fuga dalla fame e dal terrore». L’appello è firmato dal “Comitato per la solidarietà con i popoli del nord Africa in rivolta”. Ultimo allarme, i 68 cadaveri di eritrei annegati il 17 aprile sulla rotta di Lampedusa. Con lo scoppio del conflitto in Libia, la situazione è peggiorata: i giovani eritrei cercano scampo in mare, «costretti anche a nascondersi per non essere confusi con le centinaia di mercenari che il regime di Asmara ha effettivamente inviato a sostegno di Gheddafi».
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Fuga dalla Libia, strage in mare: ed è solo l’inizio
Trecento migranti caduti in mare, solo 53 recuperati: gli altri sono morti o dispersi, nelle acque tra Lampedusa e Malta. «Erano in gran parte eritrei e somali, scappati da Tripoli prima che la guerra arrivasse anche lì», scrive Gabriele Del Grande su “Fortress Europe”, il newsmagazine che compie un accurato monitoraggio dell’esodo. Una catastrofe: «Dagli anni Novanta, nel Canale di Sicilia hanno perso la vita almeno 4.500 persone». Gli ultimi naufraghi, scrive Del Grande, si erano appena imbarcati a Zuwarah sulla rotta libica per Lampedusa, che da un paio di settimane sembra essersi riaperta, «evidentemente con il consenso di Gheddafi e delle sue milizie».
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Il vescovo di Tunisi: non gettate a mare la nostra speranza
State attenti: se la crisi in Libia non si risolve alla svelta, l’Italia sarà letteralmente invasa. Per questo, oltre a tifare per una rapida uscita di scena di Muhammar Gheddafi – contro cui il 29 marzo Usa, Francia e Gran Bretagna hanno annunciato la possibilità di armare massicciamente i ribelli – è necessario che l’Italia rispetti i tunisini che si ammassano a Lampedusa: sono “profughi della fame”, spiazzati dal disordine esploso nel loro paese che ha comunque assistito alle frontiere 120.000 persone in fuga dalla Libia. A parlare è l’arcivescovo di Tunisi, portavoce dei 30.000 cattolici liberi di professare la loro fede in Tunisia: per favore, non rigettate a mare chi oggi chiede aiuto e ha bisogno di tempo per risollevarsi.
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Libia, nessuna trattativa con Gheddafi: guerra lunga
Soluzione diplomatica per metter fine alla guerra civile in Libia? A una sola condizione: che Gheddafi sparisca. Nessuna trattativa finché il Colonnello è ancora al potere: lo dicono esplicitamente gli insorti. Si potrà negoziare una riconciliazione con l’esercito, i clan e le milizie di Tripoli, ma non con il raìs. Su questo punto convergono tutte le voci dal 25 marzo, quando la Nato ha deciso di assumere il controllo delle operazioni Onu: la «via diplomatica» evocata da Sarkozy e Cameron, “imbrigliati” dall’Alleanza Atlantica, non prevede di rispondere ai messaggi che Gheddafi sta lanciando: l’ultimo “no” è arrivato da Addis Abeba, alla riunione d’emergenza dell’Unione Africana. E la guerra si prolunga: almeno 3 mesi, secondo la Nato. Sul campo, finora, quasi 10.000 morti. Col rischio di 250.000 persone in fuga.
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Fratelli d’Italia e di Gheddafi, il nostro eroe impresentabile
L’unica cosa che sappiamo è che non sappiamo niente, non possiamo prevedere niente, non possiamo prevedere innanzitutto quanto durerà e soprattutto non possiamo prevedere cosa succederà dopo: tanto più oggi, dove siamo di fronte a una strana faccenda che non si riesce bene a distinguere tra guerra civile, rivolta per la libertà, rivoluzione, non si sa neanche come chiamarla, visto che manca una leadership, manca un’analisi seria sulla natura, sui componenti di questa ribellione che è in parte tribale, in parte sicuramente aspira a più libertà, in parte è islamica, non sappiamo quanto fondamentalista islamica e soprattutto non sappiamo quali saranno le possibili ritorsioni che ha in animo Gheddafi e che può permettersi Gheddafi nei confronti di chi lo ha attaccato.
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L’Italia sempre più incerta verso il voto sulla Libia
Come in un formicaio impazzito, i partiti di ora in ora cambiano incessantemente posizione sulla guerra libica. Smarcamenti e riposizionamenti studiati allo scopo di approdare nel modo più indolore ad un appuntamento a suo modo solenne: la discussione in Parlamento (con tanto di voto) sulla partecipazione militare italiana alla missione di guerra, un dibattito che dovrebbe svolgersi entro le prossime 48 ore e che rappresenterà uno spartiacque, uno di quegli eventi destinati ad entrare se non nei libri di storia, quantomeno nella memoria degli italiani elettori.
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Gheddafi trema: scontri a Bengasi, s’incendia anche la Libia
Il contagio della rivolta nel mondo arabo e islamico è arrivato anche in Libia, paese che confina con sia con Egitto che con la Tunisia. È di almeno 38 feriti il bilancio degli scontri fra manifestanti e polizia appoggiata dai sostenitori del leader libico Muhammar Gheddafi, scoppiati a Bengasi nella notte fra il 15 e il 16 febbraio. Mentre a Lampedusa – dove è stato dichiarato lo stato d’emergenza – si ammassano migliaia di profughi tunisini, a tremare è ora il regime di Tripoli, al quale il governo Berlusconi ha affidato il controllo della frontiera mediterranea. Dopo aver fatto il tifo per Ben Alì e Mubarak – i presidenti-dittatori rovesciati dalla furia popolare tunisina ed egiziana – ora Gheddafi deve fare i conti con il popolo libico galvanizzato dall’ondata democratica maghrebina.
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Con Gheddafi, l’Italia reintroduce di fatto la pena di morte
«Immagino che abbiano scambiato il peschereccio per una nave che trasportava clandestini», ha detto Roberto Maroni nel tentativo di dare una spiegazione all’arrembaggio dei corsari libici contro l’imbarcazione italiana. Maroni è considerato la testa più lucida della Lega Nord. Ed è ritenuto, anche in ampi settori del campo a lui avverso, un ottimo ministro dell’Interno. Insomma, è uno che non parla a vanvera. Ma quell’affermazione, se anche l’avesse fatta Giorgio Straquadanio, il teorico del meretricio come strumento di lotta politica, non sarebbe stata meno attendibile.
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Eritrei “liberati” nel deserto: ponte aereo per salvarli?
Per i 205 profughi eritrei rinchiusi nel carcere di Al Birak ci sono state in questi giorni due notizie: una buona e una cattiva. Quella buona è che sono stati liberati; quella cattiva è che della libertà, privi di ogni cosa e circoscritti in mezzo al deserto, non sanno che farsene. Da quanto si è appreso, per loro si sono finalmente aperte le porte del campo profughi di Al Birak, una ridente cittadina della Libia centro-orientale, sorta all’estremità di un altopiano roccioso posto a 350 metri sul livello di quel bellissimo mare della Cirenaica che si intravede a 800 chilometri di distanza se si guarda a nord. A sud, invece, ci si affaccia sullo splendido deserto sabbioso dell’Erg di Ubari: un entusiasmante susseguirsi di dune alte decine di metri ed estese per decine di chilometri.