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Archivio del Tag ‘psiche’

  • “Io Apro”: sacrosanto, non si può vivere come scarafaggi

    Scritto il 14/1/21 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    “Io Apro”, certo. Chi l’avrebbe mai detto, che uscire una sera a cena sarebbe diventato un atto rivoluzionario? La verità è che è in corso un attentato, contro di noi: il settore che si sta colpendo più duramente è quello dell’intrattenimento, della socialità, delle relazioni, dell’espressione dell’essere umano. Ed è colpito anche l’aspetto psico-fisico della nostra salute. Io ho tre figli: ragazzi di 15, 18 e 21 anni. Gli sta calando addosso una forma subdola di depressione: hanno meno entusiasmo per lo studio e per la vita, i loro amici se ne stanno rintanati in casa, l’unica possibilità di vedersi la sera è rappresentata da un caffè all’autogrill. Come esponente del Movimento Roosevelt, aderisco alla “protesta gentile” dei ristoratori di “Io Apro”: a Roma, il 15 gennaio andremo a cena in un ristorante che violerà il divieto di aprire. Ci saranno con noi gli avvocati del Sostegno Legale Rooseveltiano per vigilare sull’operato delle forze dell’ordine, ove intervenissero. La Milizia Rooseveltiana, la nostra formazione di militanti, avrà una sorta di battesimo informale e ovviamente nonviolento.
    Chiarisco: il miliziano è un amante della vita, la Milizia stessa è un inno alla vita. Ammettiamolo: non possiamo vivere come scarafaggi kafkiani. E’ vero che il “bacarozzo” resiste a tutto, ma che vita fa? Il miliziano è “centrato”, spiritualmente: quindi, quando compie un’azione di protesta, di denuncia, di dissenso, sta difendendo cose molto più importanti di quelle che ci vendono, cioè l’essenza della vita. E attenti: è vero, abbiamo avuto un numero importante di morti, attribuiti al Covid, ma i media non parlano della morte di 400.000 aziende, che da marzo saranno ancora di più, “uccise” dalle restrizioni. Sono tantissime: rappresentano il 10% delle aziende italiane. E dietro ognuna di esse ci sono persone, famiglie, esseri umani. Sono il 10%, capite? Percentualmente, è come se fossero “morte” 6 milioni di persone.
    Il dramma è che ci hanno messo di fronte a questa scelta: morire di virus o morire di fame. La situazione è drammatica, ve l’assicuro. Aderire alla protesta di “Io Esco” non è fare una rivoluzione: è voler tornare a una vita degna di essere vissuta. E se è diventato “rivoluzionario” andare a cena fuori, farsi un aperitivo o bersi una birra al pub alle 11 di sera, allora siamo veramente messi male. Dunque, protestiamo. Ma non stiamo disobbedendo a delle cose sensate: sono misure insensate. Posso stare in un bar-tabacchi per giocare al superenalotto, mentre se voglio un caffè mi devo accontentare di un bicchiere da asporto. Non c’è logica, in quello che ci stanno proponendo. In compenso però c’è un disegno: ci vogliono soli e tristi. E’ a questo, che il miliziano si ribella. E’ un dovere umano, prima che civico. E’ un dovere di difesa dell’uomo, di quell’essere umano che Silvano Agosti ha proposto come patrimonio universale.
    Siamo una scintilla divina, dobbiamo tornare a pensarci come qualcosa di divino, non come un “bacarozzo” che deve sopravvivere mettendo da parte la gioia di vivere e la voglia di stare con le altre persone. Noi obbediamo a leggi superiori, quelle del giusnaturalismo: i diritti inviolabili dell’essere umano. E in questo, cito testualmente Bertrand Russell: «Non smettete mai di protestare. Non smettete mai di dissentire, di porvi domande, di mettere in discussione l’autorità, i luoghi comuni, i dogmi. Non esiste, la verità assoluta. Siate voci fuori dal coro, siate il peso che inclina il piano. Siate sempre in disaccordo, perché il dissenso è un’arma. Ma siate anche sempre informati: non chiudetevi alla conoscenza, perché anche il sapere è un’arma. Forse non cambierete il mondo, ma avrete contribuito a inclinare il piano nella vostra direzione, e avrete reso la vostra vita degna di essere raccontata. Un uomo che non dissente è un seme che non crescerà mai».
    (Claudio Testa, dichiarazioni rilasciate nella diretta web-streaming su YouTube “Disobbedienza civile a Roma”, con Gioele Magaldi e con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Il Movimento Roosevelt aderisce alla protesta di “Io Apro” in due ristoranti, a Roma e a Milano. Magaldi conferma il carattere nonviolento della protesta, ma avverte il governo: «Si sta per superare un limite: se qualcuno attenterà ai fondamenti ultimi della democrazia liberale, non porgeremo più l’altra guancia. La Milizia Rooseveltiana è pacifica e tale vuole restare, fintanto che la dialettica sarà fra persone che hanno solo una differente interpretazione della democrazia. Ma la nonviolenza non è un atteggiamento di acquiescenza e di disponibilità a farsi strappare di dosso la libertà: se poi si arriva alla tirannia, allora la rivoluzione non sarà più nonviolenta».

    “Io Apro”, certo. Chi l’avrebbe mai detto, che uscire una sera a cena sarebbe diventato un atto rivoluzionario? La verità è che è in corso un attentato, contro di noi: il settore che si sta colpendo più duramente è quello dell’intrattenimento, della socialità, delle relazioni, dell’espressione dell’essere umano. Ed è colpito anche l’aspetto psico-fisico della nostra salute. Io ho tre figli: ragazzi di 15, 18 e 21 anni. Gli sta calando addosso una forma subdola di depressione: hanno meno entusiasmo per lo studio e per la vita, i loro amici se ne stanno rintanati in casa, l’unica possibilità di vedersi la sera è rappresentata da un caffè all’autogrill. Come esponente del Movimento Roosevelt, aderisco alla “protesta gentile” dei ristoratori di “Io Apro”: a Roma, il 15 gennaio andremo a cena in un ristorante che violerà il divieto di aprire. Ci saranno con noi gli avvocati del Sostegno Legale Rooseveltiano per vigilare sull’operato delle forze dell’ordine, ove intervenissero. La Milizia Rooseveltiana, la nostra formazione di militanti, avrà una sorta di battesimo informale e ovviamente nonviolento.

  • Magaldi: violeremo il coprifuoco, è imposto da mascalzoni

    Scritto il 03/11/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    «A quel cialtrone di Giuseppe Conte trema la voce, ormai, nell’annunciare le nuove, inutili e devastanti restrizioni? Fa bene, ad avere paura: sa di essersi spinto troppo oltre, nel prestarsi a fare test di massa per dimostrare fino a che punto è possibile opprimere la popolazione, annullando democrazia e libertà, come vuole l’élite reazionaria che da decenni sta deliberatamente deprimendo l’Occidente». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ha una visione chiara dell’origine della crisi in corso: «Prima il terrorismo economico-finanziario, poi la farsa hollywoodiana del terrorismo jihadista, e adesso la pandemia da operetta: sempre le stesse forze manipolano la realtà e la politica contro gli interessi delle collettività, in Italia e nel mondo». Magaldi sfida Conte e i fautori del “coprifuoco” in arrivo: «Saremo la cattiva coscienza di questi mascalzoni, esecutori e mandanti di questa tragicommedia chiamata pandemia». E avverte: «Chi ha ancora sangue nelle vene sarà felice di partecipare alle imminenti “passeggiate” della Milizia Rooseveltiana: senza mascherina e violando il coprifuoco, inviteremo le forze dell’ordine a fare obiezione di coscienza, nei confronti di misure assolutamente inutili in chiave anti-Covid ma micidiali per dare il colpo di grazia all’economia familiare di milioni di italiani».
    Autore nel 2014 del bestseller “Massoni” (Chiarelettere), che svela il ruolo occulto delle superlogge “neoaristocratiche” nell’imposizione del globalismo mercantilista neoliberale, in cui emerge la Cina come modello alternativo a quello occidentale (efficienza economica, ma senza libertà), Magaldi accusa il “partito cinese”, trasversale e influente anche tra le fila del governo Conte, di aver manipolato l’emergenza sanitaria a scopo di potere. «Il governo ha offerto un atteggiamento paternalistico e dispotico. Bisognava dire, sia agli anziani (fragili) che agli ipocondriaci paurosi: state a casa, voi sì. Siate liberi di mettervi in lockdown, se non volete contagiarvi e quindi immunizzarvi. Conosco tanti anziani che hanno contratto il Covid, si sono curati e oggi stanno meglio di prima. Chi invece ha paura, stia casa: si trinceri in un auto-lockdown responsabile, ma non impedisca agli altri di vivere e lavorare». Magaldi torna a citare un virologo mainstream come Guido Silvestri, secondo cui un nuovo lockdown sarebbe irreparabile. «Silvestri dice: state calmi, ormai ci si cura e si guarisce da casa». Ovvio che il numero dei contagiati dipende dall’enorme numero di tamponi effettuati. «Se poi però il numero dei contagiati viene usato dai media come una clava per fare terrorismo psicologico, e su questo i politici costruiscono le loro restrizioni, tra ordinanze e Dpcm, è tutto un montare di una colossale manipolazione».
    Insomma, si decidano ad ammetterlo: «L’aumento delle rilevazioni dei contagi non comporta affatto un’ecatombe», afferma Magaldi. «Piuttosto, così facendo, abbiamo perso altro tempo prezioso: in questi mesi bisognava infatti rafforzare la medicina territoriale e allestire comunque, anche a costo di lasciarli vuoti, dei centri di terapia (intensiva e non). E invece non è stato fatto nulla, di tutto questo. E ora il governo pensa davvero di cavarsela con un nuovo lockdown?». Per Magaldi, occorrerebbe invece «tranquillizzare la popolazione, togliere qualunque coprifuoco, favorire la ripresa di tutte le attività economiche». E inoltre, «spiegare che la contagiosità è un dato fisiologico ampiamente previsto, e che la gran parte dei contagiati stanno bene e non sono in pericolo: la piccola parte di popolazione che avrà complicazioni sarà curabile all’ospedale e soprattutto da casa, in assoluta sicurezza». In altre parole: nulla di quanto serviva è stato fatto, mentre non si è esitato a varare misure demenziali e suicide per l’economia. Anche per questo è durissimo, il presidente “rooseveltiano”, con il governo Conte: «Molti protagonisti di questa fase storica – sottolinea – andranno processati: per danni alla salute fisica e psichica dei cittadini e per i danni irreparabili arrecati all’economia, quindi alla sicurezza sociale, oltre che per grave attentato alla Costituzione».
    Il “partito cinese”, trasversale e annidato anche nel governo italiano, «sta sfruttando la pandemia per devastare l’economia, che già era in sofferenza, in modo da ottenere un maggior controllo sociale», sostiene Magaldi, che spiega: «Una persona che sia privata della sua autonoma via alla libertà economica sarà più incline a sottomettersi al “padrone” istituzionale che gli dà la mancia, e parliamo di istituzioni oggi occupate da gente che ha in odio la democrazia». Il leader “rooseveltiano” ammette di provare «dolore», di fronte allo spettacolo degli italiani costretti a rinunciare a lavorare, e quindi a sostentarsi economicamente, con anche «la paura di chi vede esaurirsi gli ultimi risparmi: le nostre città sono diventate spettrali, i cittadini già rimpiangono la vita che non c’è più e che di questo passo non potrà più esserci, per lunghi anni». Al tempo stesso, però, secondo Magaldi questa è anche una formidabile opportunità: «E’ la grande occasione per mostrare chi è davvero coraggioso e chi è vigliacco, chi ha voglia di combattere e chi è soltanto un “leone da tastiera”, chi ha coscienza dei propri diritti e anche coscienza del proprio dovere, di difendere i suoi diritti e quelli degli altri».
    Se qualcuno aveva sperato che il governo Conte risarcisse le imprese azzerate dal lockdown e riportasse il paese verso la normalità è rimasto deluso. Al contrario, ora si corre verso nuove, devastanti restrizioni. «La misura è colma», sentenzia Magaldi, pronto a mobilitare la Milizia Rooseveltiana, formazione creata dal movimento da lui presieduto, sorto nel 2015 per democratizzare la politica. «Abbiamo bisogno che, ogni settimana, gruppi “rooseveltiani” (anche esigui) infrangano il lockdown, infrangano il coprifuoco e si facciano portare nei commissariati, diventino dei “fuorilegge” riconosciuti, naturalmente nel senso alto e nobile della disobbedienza civile. E’ quella cosa per la quale, di solito – aggiunge Magaldi – i rivoluzionari pacifici e nonviolenti vengono poi riconosciuti, dalle istituzioni e dello stesso popolo, come benemeriti eroi», ben distinti dai teppisti che devastano vetrine e si scontrano con le forze dell’ordine. «Chi lancia molotov non ha capito che, spesso, poliziotti e carabinieri sono assolutamente simpatetici con le ragioni dei manifestanti: sono cittadini anche loro, e si rendono ben conto di trovarsi a fare i “cani da guardia” di qualcosa che è profondamente iniquo, figlio di una volontà più proterva rispetto a quella dei cialtroni del governo italiano». La missione civile dei “rooseveltiani” è precisa: «Facciamo in modo che il mondo diventi consapevole che il danno di questa pandemia non è nel virus, ma è nelle cattive misure politiche prese per fronteggiarlo».
    Magaldi offre anche un preciso sguardo geopolitico, alla vigilia delle presidenziali Usa. «Col virus, il “partito cinese” voleva azzoppare Trump, sperando di poter utilizzare Biden come ariete dell’oligarchia, sorretta dai partner occulti dell’unico vero fascismo di oggi, cioè il comunismo cinese». “Ordo ab chao”, si dice in massoneria, intendendo il ricorso al caos per instaurare un nuovo ordine. «Ebbene: il caos è stato abbondantemente prodotto con il coronavirus, senza il quale la riconferma di Trump sarebbe stata scontata. Oggi le chance di Biden sono cresciute, ma attenzione: i sondaggi erano sbagliati già nel 2016, quando davano sicura vincente Hillary Clinton». Aggiunge Magaldi: «Sappiate che gli astri di Trump sono migliori di quelli di Biden: non significa per forza che vincerà, ma vuol dire che la sua storia ha da dare qualcosa di più fruttuoso, alla comunità americana e a quella mondiale». Joe Biden? «Sarebbe solo un comprimario, altri deciderebbero al suo posto: e questo è un bene». Grazie a un preciso patto supermassonico, spiega Magaldi, l’eventuale presidenza Biden sarebbe infatti co-gestita da una cabina di regia concorde su un punto: «La necessità di proseguire nel contrasto della pericolosa egemonia del “partito cinese” sull’Occidente, che oggi viene esercitata anche attraverso l’autoritarismo indotto dalla cosiddetta pandemia».

    «A quel cialtrone di Giuseppe Conte trema la voce, ormai, nell’annunciare le nuove, inutili e devastanti restrizioni? Fa bene, ad avere paura: sa di essersi spinto troppo oltre, nel prestarsi a fare test di massa per dimostrare fino a che punto è possibile opprimere la popolazione, annullando democrazia e libertà, come vuole l’élite reazionaria che da decenni sta deliberatamente deprimendo l’Occidente». Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, ha una visione chiara dell’origine della crisi in corso: «Prima il terrorismo economico-finanziario, poi la farsa hollywoodiana del terrorismo jihadista, e adesso la pandemia da operetta: sempre le stesse forze manipolano la realtà e la politica contro gli interessi delle collettività, in Italia e nel mondo». Magaldi sfida Conte e i fautori del “coprifuoco” in arrivo: «Saremo la cattiva coscienza di questi mascalzoni, esecutori e mandanti di questa tragicommedia chiamata pandemia». E avverte: «Chi ha ancora sangue nelle vene sarà felice di partecipare alle imminenti “passeggiate” della Milizia Rooseveltiana: senza mascherina e violando il coprifuoco, inviteremo le forze dell’ordine a fare obiezione di coscienza, nei confronti di misure assolutamente inutili in chiave anti-Covid ma micidiali per dare il colpo di grazia all’economia familiare di milioni di italiani».

  • Magaldi: lockdown criminale, chi lo impone va processato

    Scritto il 01/11/20 • nella Categoria: idee • (1)

    Quel tanghero di Massimo Giannini, direttore della “Stampa”, ci ha appena detto che bisogna essere disposti a cedere quote di libertà in nome della salute? Nossignore: non si può essere disposti a sacrificare un bene certo, come la libertà, in nome di una salute che è soltanto presunta. All’inizio dell’esplosione pandemica ci avevano spiegato che tre quarti della popolazione mondiale si sarebbe infettata, visto l’alto tasso di contagiosità (e il basso tasso di letalità). Quindi, piuttosto che “cagarsi addosso” e vivere con la “museruola”, vivere di nuovo segregati nella depressione e nella distruzione ormai quasi completa del sistema economico ordinario, è meglio affrontare il rischio di un problema che, peraltro, molti stanno curando brillantemente a casa. Questo perché forse in ospedale ti curano anche peggio, e non scordiamoci che all’inizio della pandemia molti morti sono stati causati dalla negligenza del sistema sanitario, dalle scelte mediche attuate e dal terrorismo indotto, che ha gettato i cittadini, a valanga, a cercare rimedio nel posto sbagliato, mentre probabilmente bastava intanto una più adeguata prevenzione, e poi una serie di opportuni accorgimenti terapeutici.
    Cito un virologo mainstream come Guido Silvestri, secondo cui un nuovo lockdown sarebbe irreparabile. Silvestri dice: state calmi, ci si cura e si guarisce da casa. Se aumentiamo il sistema dei tamponi, aumenterà anche il numero dei contagiati. Se il numero dei contagiati viene usato dai media come una clava per fare terrorismo psicologico, e poi su questo i politici costruiscono le loro restrizioni, tra ordinanze e Dpcm, è tutto un montare di una colossale manipolazione. Lo ammettano: l’aumento delle rilevazioni dei contagi non comporta affatto un’ecatombe. Piuttosto, così facendo, abbiamo perso altro tempo: in questi mesi bisognava allestire comunque, anche a costo di lasciarli vuoti, dei centri di terapia (intensiva e non), e invece non è stato fatto un cazzo, di tutto questo. E poi arriva quel gran cialtrone del governatore della Campania, che – dopo non aver fatto niente di utile per migliorare la situazione – ora decide di chiudere tutto. Quanto a cialtronaggine, forse De Luca supera persino lo stesso Conte: chiudiamo tutto, dice, e così conservo questo mio piccolo palcoscenico da guitto, senza arte né parte, che governa una Regione che d’altra parte l’ha appena stra-votato. Ai campani viene da dire: ve lo meritate, De Luca, e adesso tenetevelo.
    Certo l’alternativa a De Luca qual era? Anche a livello nazionale, non è che l’opposizione – se fosse al governo – farebbe meglio: questa è una classe politica da buttare letteralmente nel cesso. Non c’è un’idea, non c’è una visione di paese, non c’è coraggio. All’opposizione si fanno belli del disagio cui va incontro la cialtronaggine di Conte, ormai finalmente penalizzato dai sondaggi sull’umore degli italiani, ma – a parte questo lucrare sull’altrui insipienza – non c’è una sapienza, che viene contrapposta. Se chiedeste a Meloni e Salvini cosa farebbero, al posto di Conte, questi si metterebbero a biascicare: non lo sanno dire, perché non lo hanno in mente. Cosa fare, oggi? Tranquillizzare la popolazione, togliere qualunque sistema di coprifuoco, favorire la ripresa di tutte le attività economiche. E spiegare che la contagiosità è un dato fisiologico ampiamente previsto, i cui numeri derivano dai tamponi. Ma la gran parte dei contagiati stanno bene e non sono in pericolo. Una parte avrà sintomi influenzali, e solo una piccola parte avrà complicazioni più gravi (curabili all’ospedale e soprattutto da casa, in assoluta sicurezza).
    Il governo ha offerto un atteggiamento paternalistico e dispotico. Bisognava dire, sia agli anziani (fragili) che agli ipocondriaci paurosi: state a casa, voi sì. Siate liberi di mettervi in lockdown, se non volete contagiarvi e quindi immunizzarvi. Conosco tanti anziani che hanno contratto il Covid, si sono curati e oggi stanno meglio di prima. Se invece avete paura, state a casa: trinceratevi in un auto-lockdown responsabile, ma non rompete i coglioni agli altri. Intendiamoci: capisco gli anziani e anche gli ipocondriaci, spaventati da questo terrorismo psicologico sparso a piene mani, da mesi. A loro va tutta la mia solidarietà e simpatia. Ma in questi giorni, per strada, abbiamo anche a che fare con gente che se avesse un’arma la userebbe, per eliminare il pericoloso “untore” che a distanza di 50 metri ha osato abbassarsi la mascherina per respirare, per prendersi giustamente una boccata di ossigeno, sapendo che l’uso prolungato della mascherina può causare danni alla salute.
    Ci stanno proponendo un nuovo lockdown? Saranno processati. Ormai bisogna pensare che molti protagonisti di questa fase storica andranno processati: per danni alla salute fisica e psichica dei cittadini e per i danni irreparabili arrecati all’economia, quindi alle condizioni di sussistenza, oltre che per grave attentato alla Costituzione. Il “partito cinese”, trasversale e annidato anche nel governo italiano, sta sfruttando la pandemia per devastare l’economia, che già era in sofferenza, in modo da ottenere un maggior controllo sociale: una persona che sia privata della sua autonoma via alla libertà economica sarà più incline a sottomettersi al “padrone” istituzionale che gli dà la mancia, e parliamo di istituzioni oggi occupate da gente che ha in odio la democrazia. Provo dolore, di fronte allo spettacolo degli italiani costretti a rinunciare a lavorare, e quindi a sostentarsi economicamente, con la paura di chi vede esaurirsi anche gli ultimi risparmi. Le nostre città sono diventate spettrali: i cittadini già rimpiangono la vita che non c’è più, e che di questo passo non potrà esserci più, per lunghi anni.
    Al tempo stesso, però, questa è una grande occasione: è la grande occasione per mostrare chi è davvero coraggioso e chi è vigliacco, chi ha voglia di combattere e chi è soltanto un “leone da tastiera”, chi ha coscienza dei propri diritti e anche coscienza del proprio dovere, di difendere i suoi diritti e quelli degli altri. Durante l’estate appena trascorsa si credeva che sarebbero diminuite le restrizioni, e che il governo avrebbe inondato con una pioggia di miliardi le attività danneggiate. Si sperava che saremmo tornati a un trend di vita normale, ma così non è stato. Anzi: ci stanno proponendo un nuovo lockdown. Ebbene, ora la misura è colma. Il Movimento Roosevelt rivolgerà al governo un ultimatum, con misure per assistere gli italiani. E scenderà in campo la Milizia Rooseveltiana, per fare una rivoluzione, con le sue incursioni radicalmente teatrali. Abbiamo bisogno che, ogni settimana, gruppi “rooseveltiani” (anche esigui) infrangano il lockdown, infrangano il coprifuoco e si facciano portare nei commissariati, diventino dei “fuorilegge” riconosciuti, naturalmente nel senso alto e nobile della disobbedienza civile. E’ quella cosa per la quale, di solito, i rivoluzionari pacifici e nonviolenti vengono riconosciuti, dalle istituzioni e dello stesso popolo, come benemeriti eroi.
    Quindi, attenzione: chi scaglia bottiglie, sfascia le vetrine dei negozi e lancia molotov contro le forze dell’ordine non ha capito nulla. Spesso, poliziotti e carabinieri sono assolutamente simpatetici con le ragioni dei manifestanti: sono cittadini anche loro, e si rendono ben conto di trovarsi a fare i “cani da guardia” di qualcosa che è profondamente iniquo. Quindi solidarizzate, fraternizzate con le forze dell’ordine. Cercate, con loro e con l’opinione pubblica, una sintonia. E non si tratta nemmeno di demonizzare questi poveracci che sono al governo: sono solo camerieri e maggiordomi. C’è una volontà più proterva, che va oltre il governo italiano, anche se ricade su segmenti amministrativi e governativi. Noi dobbiamo testimoniare, di fronte all’opinione pubblica italiana, che – in modo reiterato e minuzioso – si può e si deve rintuzzare queste misure che sono state prese. Ci sono gli sguardi del mondo, sull’Italia. Facciamo in modo che il mondo diventi consapevole che il danno di questa pandemia non è nel virus, ma è nelle cattive misure politiche prese per fronteggiarlo.
    (Gioele Magaldi, dichirazioni rilasciate il 31 ottobre 2020 nella diretta web-streaming “Pane al pane”, di MrTv, su YouTube).

    Quel tanghero di Massimo Giannini, direttore della “Stampa”, ci ha appena detto che bisogna essere disposti a cedere quote di libertà in nome della salute? Nossignore: non si può essere disposti a sacrificare un bene certo, come la libertà, in nome di una salute che è soltanto presunta. All’inizio dell’esplosione pandemica ci avevano spiegato che tre quarti della popolazione mondiale si sarebbe infettata, visto l’alto tasso di contagiosità (e il basso tasso di letalità). Quindi, piuttosto che “cagarsi addosso” e vivere con la “museruola”, vivere di nuovo segregati nella depressione e nella distruzione ormai quasi completa del sistema economico ordinario, è meglio affrontare il rischio di un problema che, peraltro, molti stanno curando brillantemente a casa. Questo perché forse in ospedale ti curano anche peggio, e non scordiamoci che all’inizio della pandemia molti morti sono stati causati dalla negligenza del sistema sanitario, dalle scelte mediche attuate e dal terrorismo indotto, che ha gettato i cittadini, a valanga, a cercare rimedio nel posto sbagliato, mentre probabilmente bastava intanto una più adeguata prevenzione, e poi una serie di opportuni accorgimenti terapeutici.

  • Biglino: la Chiesa non ci imponga le sue idee sull’eutanasia

    Scritto il 11/10/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    L’Obolo di San Pietro, al centro dell’ennesimo scandalo vaticano finito sui giornali? Esisteva già al tempo degli Atti degli Apostoli: era una donazione obbligatoria, che poteva costare la vita ai trasgressori. Lo rammenta il biblista Mauro Biglino, citando l’uccisione dei discepoli Anania e Saffira, giustiziati proprio da San Pietro (come ricordato dallo stesso Bergoglio) per aver sottratto ai “gesuani” una parte del ricavato della vendita di un terreno di famiglia. Biglino ne prende spunto per commentare il Bollettino Stampa della Santa Sede, numero 476 del 22 settembre 2020, in cui il Vaticano riprende il tema dell’eutanasia. «Liberissimi di pensarla come vogliono, purché non pretendano di imporre il loro credo allo Stato laico, trasformandolo in legge, contro la libertà e i diritti di non la pensa come loro: non solo atei e agnostici, ma anche valdesi, anglicani, buddisti e induisti». Biglino è autore del saggio “La Bibbia non l’ha mai detto” (Mondadori), scritto con la professoressa Lorena Forni, giurista e docente dell’università Milano Bicocca: molte leggi dello Stato traggono ispirazione proprio dalla Bibbia, o meglio da traduzioni erronee dell’Antico Testamento. Nel suo ultimo intervento (di seguito, proposto testualmente), Biglino cita i tantissimi passaggi veterotestamentari da cui risulta proibitivo ricavare l’idea che, per gli autori biblici, la vita fosse un “dono di Dio”, vista l’enorme quantità di stragi e massacri ordinati dallo stesso Yahwè.
    Oggi devo iniziare chiedendovi il permesso di apportare una piccola variazione ad un proverbio famosissimo, che è quello che dice “il lupo perde il pelo ma non il vizio”. Ecco, mi viene da dire che talvolta “il lupo non perde né il pelo né il vizio”. E ve lo  dico adesso, all’inizio; poi vedremo, in un racconto che vi leggerò dal Nuovo Testamento alla fine di questa chiacchierata, come le cose siano collegate. In questi giorni siamo tutti a conoscenza degli ennesimi scandali che colpiscono, che interessano le finanze del Vaticano, compreso l’Obolo di San Pietro, cioè quella raccolta di denaro che i fedeli conferiscono al Vaticano e che deve (dovrebbe) essere impiegato per aiutare i bisognosi e in parte,  al Vaticano che deve essere, dovrebbe essere, impiegato per aiutare i bisognosi. Quello che mi interessa è riprendere ciò che la Chiesa ha pubblicato pochissimi giorni fa nel Bollettino Stampa della Santa Sede, il numero 476 del 22 settembre, dove il Vaticano riprende il tema dell’eutanasia. Il Bollettino è intitolato “Lettera Samaritanus bonus”, e la Chiesa entra nuovamente nel tema dell’assistenza al “fine vita”, ovviamente ivi compresa l’eutanasia.
    Vi entra però, a mio avviso, a gamba tesa: cioè vi entra con un tono, con una ferocia, con una perentorietà, alle volte mi sembra quasi con un’arroganza che non sono assolutamente giustificabili: non perché la Chiesa non abbia la libertà di esprimere (è un suo diritto) ciò che pensa dell’eutanasia e delle modalità per l’assistenza al “fine vita”, ma per il fatto che il Vaticano si pone come il detentore primo e ultimo di una verità assoluta e non discutibile, arrivando al punto da definire l’eutanasia un crimine: il che significa definire criminali quelli che eventualmente la praticano. Ora, a definire crimine o criminali può essere, in uno Stato laico, la legge – cioè la cosiddetta legge positiva, quella che viene scritta, concordata e accettata, e che da quel momento diventa vigente (e nessun pensiero religioso, nei tempi moderni, può pensare di – o addirittura voler – condizionare la giurisprudenza di uno Stato laico: questo vigeva nei tempi biblici, nel momento in cui non c’era distinzione tra Stato laico e stato religioso; le leggi che sono state pronunciate, i regolamenti che sono stati pronunciati da Yahweh regolamentavano tutta la vita del singolo, quindi non c’era una distinzione tra chi seguiva una corrente religiosa e chi non la seguiva. Quelle erano le leggi e quelle andavano andavano seguite.
    Ora, io capisco che la Chiesa sia entrata nuovamente in questo tema perché, dopo la vicenda del dj Fabo (accompagnato in Svizzera per avere l’eutanasia), la Corte Costituzionale italiana si è pronunciata e ha sancito la legittimità di quel comportamento, dicendo che tutta una serie di considerazioni possono già essere tratte dalla Costituzione così com’è e dalla giurisprudenza. Ora, è chiaro che questo prelude prima o poi alla formulazione di una legge che lasci quantomeno libertà di scelta, perché non si può accettare che, in uno Stato laico ovviamente, una confessione religiosa imponga la sua morale. E dico una confessione religiosa perché, se la Chiesa cattolica romana si pone contro l’eutanasia, dobbiamo pensare ad esempio che il Sinodo Valdese si è pronunciato a favore della pratica dell’eutanasia. Cosa dobbiamo dire? Che i teologi valdesi che si rifanno allo stesso libro a cui si rifanno i teologi cattolici sono dei religiosi, dei teologi, dei pensatori di seconda categoria? Sono degli amorali o, peggio ancora, sono degli immorali? O, nel momento in cui questo diventasse legge e la praticassero, sarebbero di fatto dei criminali, perché l’eutanasia per la Chiesa cattolica è un crimine? Assolutamente no! Cosa pensiamo delle altre religioni? Per esempio c’è una delle varie pratiche buddiste che accetta il suicidio; così vale per il Giainismo; l’Induismo lascia libertà di coscienza; nella Chiesa anglicana c’è una discussione in atto…
    Insomma, voglio dire: il pensiero della Chiesa Romana non è il pensiero unico, e non può e non deve essere presentato come pensiero unico; ma soprattutto non deve essere accettato come pensiero unico da uno Stato laico che deve ascoltare tutti, tutti: deve ascoltare gli atei, gli agnostici, e deve ascoltare anche tutte le altre confessioni religiose che, come abbiamo visto per i valdesi, pur partendo dagli stessi libri, pur rifacendosi allo stesso Dio, hanno un pensiero diverso. Quindi, questo è assolutamente importante. E adesso vediamo alcune cose che sono scritte in questo Bollettino: una, per esempio, nel capitolo “Prendersi cura del prossimo”, si dice che non si può praticare l’eutanasia perché «nella sofferenza è contenuta la grandezza di uno specifico mistero che soltanto la rivelazione di Dio può svelare». Bene, questo è il pensiero della Chiesa. Benissimo, direi: nulla da dire, fino a che non si ha la pretesa di farlo diventare il pensiero unico. Perché ad esempio c’erano (ci sono) i pensatori che si rifanno allo stoicismo, che hanno un pensiero completamente diverso: «Bene è ciò che segue il corso della natura e il male consiste nell’andare contro tale corso naturale».
    Visto che la Chiesa fa appello al diritto naturale, che ovviamente lei fa risalire a Dio (cioè al Dio Padre dell’Antico Testamento) – ma il diritto naturale lo citava anche Aristotele, quando diceva che la schiavitù era un fatto naturale – anche qui ci sarebbe quindi molto da discutere. Cioè: il diritto naturale ha delle interpretazioni che per certi aspetti lo relativizzano. E gli stoici sostengono che il suicidio «non sia in certe circostanze una forzatura del corso degli eventi, quanto piuttosto il contrario». Il suicidio stoico è considerato un atto di estrema libertà individuale, come il compimento di quel cammino di ogni uomo verso il perfezionamento e la completa realizzazione; ciò che la Chiesa invece vede nell’applicazione della sua morale indirizzata da quel suo Dio che – e qui lo dico e lo ripeto – nell’Antico Testamento non c’è. Quindi è una morale che e stata elaborata da teologi: pensiamo a Sant’Agostino, che distingueva tra persecuzione giusta e persecuzione ingiusta. La persecuzione giusta era quella della Chiesa perché era fatta in nome dell’amore (cioè: si poteva uccidere in nome dell’amore). Ma la Chiesa dice che la vita è un dono di Dio. Però la cosa strana è che dice che questo dono è indisponibile all’uomo. Ma allora, che dono è?
    Se io vi regalo un libro e vi dico: questo libro è vostro – però attenzione: lo dovete leggere, non lo dovete sgualcire, non lo potete prestare, non lo potete regalare, lo dovete mettere in una precisa posizione nella vostra libreria – questo è un dono o una imposizione? Un dono diventa nella disponibilità di chi l’ha ricevuto. Invece il Vaticano dice che la vita è un dono indisponibile. Ora, se i cristiani per fede vogliono accettare questo, sono liberissimi di farlo; ma non possono pretendere di imporre questa loro visione agli altri, perché altri – che non hanno quella fede – devono essere liberi di non ritenere la vita un dono di Dio, e quindi di farne ciò che vogliono. La Chiesa cita, sempre dentro questo Bollettino 476, Matteo 7, 12 che dice: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro». Ma se noi portiamo alle estreme conseguenze questa affermazione, allora cosa dobbiamo dire? Io ad esempio ho firmato un documento nel quale descrivo tutta una serie di condizioni all’interno delle quali io non voglio continuare a vivere perché non è più vita. Be’, siccome io voglio che gli altri facciano a me questo, stando a quanto c’è scritto in Matteo 7, 12, io dovrei farlo gli altri. Ma non mi sogno di farlo, perché ritengo che gli altri siano liberi di decidere di continuare a vivere qualunque siano le condizioni nelle quali si trovano a continuare a vivere.
    Sono due cose diverse, due cose assolutamente diverse. E questo vale per molte religioni: l’Induismo per esempio che lascia libertà di coscienza, il Buddismo l’ho detto prima… il Dalai Lama che in un’intervista ha detto che vale (cioè che è necessario) valutare caso per caso. Quindi vuol dire che ci sono scelte diverse, possibilità di scelte diverse: dunque il dono non può essere un’imposizione. Questo principio del fare agli altri ciò che vorreste fosse fatto a voi non può essere esteso: perché, se portato alle estreme conseguenze, crea l’anarchia, ovviamente (perché già una persona credente non vuole l’eutanasia, io la voglio e quindi chi dei due ha ragione? Nessuno dei due. Quindi bisogna lasciare libertà di scelta). La Chiesa dice anche che «l’annuncio della vita dopo la morte non è un’illusione o una consolazione ma una certezza che sta al centro dell’amore». Questo è scritto nel Bollettino che vi ho citato; ma la Chiesa dimentica ciò che scrive la Nuova Enciclopedia Cattolica nella edizione americana, la quale afferma che «parlando della resurrezione di Cristo», che è garanzia della resurrezione della vita dopo la morte per tutti, afferma che «l’ipotesi è di per sé storicamente indimostrabile perché il solo contesto, cioè la crocifissione di Gesù per motivi di sedizione, è oggetto di valutazione storica. I racconti della resurrezione non contengono quindi elementi che possano essere oggetto di una ricerca storica in quanto si tratta di dichiarazioni teologiche».
    Benissimo, dichiarazioni teologiche che valgono per chi crede in quella teologia, ma che non possono essere imposte a tutti, tanto meno possono essere imposte a tutti in uno Stato laico che deve necessariamente ascoltare tutti e lasciare libertà di scelta, perché una morale può essere diversa da un’altra e non necessariamente superiore. Ricordo che, partendo dallo stesso libro, cattolici romani e valdesi la pensano diversamente: eppure il libro è lo stesso. Vediamo un attimo questo libro perché, quando si dice che la vita è un dono di Dio e in quanto tale non è nella disponibilità dell’uomo, mi pare, anzi sono certo, che il Vaticano dimentica centinaia di passaggi anticotestamentari: ve ne leggo pochissimi. In Giosuè 10, 40 si fa una sorta di verbale delle battaglie che Giosuè, il successore di Mosè, ha combattuto per conquistare la cosiddetta Terra Promessa, che era un dono di Dio. E qui si dice chiaramente, nella sintesi che fa al versetto 40: «Così Giosuè conquistò tutta la regione», e fa l’elenco: «Non lasciò alcun superstite e votò allo sterminio ogni vivente, come aveva ordinato Yahweh l’Elohim di Israele». Cioè: Giosuè stermina tutti per ordine di Dio, quello stesso Dio che sarebbe garante del diritto naturale e che avrebbe donato la vita come dono indisponibile per l’umanità.
    Ma qui la Bibbia ci dice chiaramente che quel dono è disponibile, tant’è che lo si può azzerare semplicemente per andarsi a conquistare dei territori, non soltanto con l’approvazione (dietro ordine) di Dio. Ma c’è di peggio: vi leggo un paio di altri passi tra le centinaia disponibili. Sempre nel Libro di Giosuè, quando si parla della spartizione dei territori tra le varie tribù d’Israele, si dice che «la porzione dei figli di Dan risultò troppo piccola per loro», e quindi avevano bisogno di un territorio più grande. E allora cosa fanno? Provvede Dio? No! Devono provvedere da soli. E come fanno? Dimenticando che la vita è un dono di Dio e non è disponibile per l’umanità: quindi noi non possiamo fare ciò che vogliamo né della nostra né della vita degli altri. «I Daniti, giunti a Lais, trovarono quel popolo pacifico e che si sentiva sicuro, lo passarono a fil di spada e dietro diedero alle fiamme la città». Cioè, cosa fanno i Daniti? Trovano una città di gente che vive tranquilla, che non fa del male a nessuno, che non ha nessun appoggio perché erano lontani da Sidone, non avevano contatti con Amman (quindi non potevano ricevere aiuto o rinforzi) e i seguaci di quel Dio che fa il dono indisponibile della vita cosa fanno? Li massacrano.
    Li massacrano, per prendere quel territorio che serviva loro perché, come è scritto sempre nel Libro dei Giudici al capitolo 18, «a quella terra non mancava nulla anzi era molto ricca». Era molto ricca, e quindi i Daniti se la prendono. Ma siccome per sfortuna loro ci vivevano degli altri, loro li uccidono. Ora, come si fa a dire che questo Dio ci ha dato questa vita come dono indisponibile? Sempre nel Bollettino si dice: «L’uomo, in qualunque condizione fisica o psichica si trovi, mantiene la sua dignità originaria di essere creato a immagine di Dio». Nella Bibbia forse se ne sono dimenticati: i seguaci di Yahweh se ne sono sicuramente dimenticati. E Yahweh non glielo ha ricordato, non gli ha mai detto: non uccidete quelli là, perché sono immagine mia. L’uomo, si legge sempre nel Bollettino, «può vivere e crescere nello splendore divino perché è chiamato ad essere “ad immagine e gloria di Dio”», e il testo cita la Prima Lettera ai Corinti, capitolo 11, versetto 7. E andiamo a vedere. Qui San Paolo, sant’uomo, parla di come ci si deve comportare quando si partecipa all’assemblea. E dice che l’uomo non deve coprirsi il capo, mentre la donna sì. E dice: deve coprirsi il capo «a motivo degli angeli», perché – come ho già ricordato – le capigliature lunghe delle ragazze, e soprattutto delle ragazze giovani, eccitavano sessualmente gli angeli: quindi le donne dovevano coprirsi il capo a loro tutela.
    Ma questo non lo dice soltanto San Paolo; ne parla Tertulliano nei suoi scritti, ne parlano gli scritti di Qumran che dicono appunto: le donne che partecipano all’assemblea abbiano il capo coperto dove sono presenti i Malakim, cioè di angeli: abbiano il capo coperto a loro tutela. Ma torniamo al nostro tema: l’uomo non deve coprirsi il capo essendo “a immagine e gloria di Dio” e quindi, essendo “a gloria di Dio” la Chiesa dice l’uomo non può fare ciò che vuole del suo corpo…  La Chiesa si ferma qui, nella citazione del versetto 7, essendo “immagine e gloria di Dio”. Ma il versetto 7 prosegue: «Mentre la donna è gloria dell’uomo». Cioè: la donna non è gloria di Dio. Come la mettiamo? Se portiamo alle estreme conseguenze questo versetto, possiamo dire che l’eutanasia non è praticabile sul maschio, ma la donna può scegliere: perché tanto lei non è gloria di Dio  («mentre la donna è gloria dell’uomo poiché non l’uomo deriva dalla donna ma la donna dall’uomo»). Quindi la donna è gloria dell’uomo, non di Dio: e allora come la mettiamo? Perché si cita soltanto una parte del versetto e non l’altra?
    Insomma, ci sono tutta una serie di cose che ci fanno dire che la Chiesa, come ogni altra confessione religiosa, ha il diritto di esprimersi, e lo Stato laico ha il dovere di ascoltare tutte le forme di pensiero, sia religiose che filosofiche, che quelle della laicità etica o della eticità laica, quella degli agnostici, quella degli atei: deve ascoltare tutti. Invece qui siamo di fronte ad una situazione nella quale qualcuno dice che chi fa quella pratica indipendentemente dalla legge è un criminale. Questo non è accettabile, perché significa entrare prima già in un processo, in un iter legislativo che è comunque difficoltoso, ma che deve essere lasciato al libero pensiero laico di uno Stato laico. Io ho iniziato dicendovi che talvolta il lupo non perde né il pelo né il vizio, e vi ho accennato alle vicende nelle quali è coinvolto anche l’Obolo di San Pietro. Ora, l’Obolo di San Pietro è un qualcosa che è iniziato da subito. Se noi leggiamo gli Atti degli Apostoli, leggiamo che gli appartenenti alla setta dei Gesuani dovevano vendere i loro beni e mettere il denaro i piedi degli apostoli. Di una setta, si trattava: bisogna dirlo con chiarezza. Una setta, cioè un piccolo gruppo di persone che cercavano di diffondere una loro visione di quel Gesù.
    I Gesuani poi sono ancora un gruppo diverso rispetto ai cristiani, che hanno presentato nel mondo occidentale tutta un’altra visione di Gesù partendo da Paolo (quindi Paolo era in contrasto con i Gesuani). Bene, all’interno dei Gesuani guidati da Pietro, tutti gli appartenenti a quella setta dovevano vendere i loro beni e mettere il denaro ai piedi di Pietro, in particolare; poi gli apostoli avrebbero provveduto alla redistribuzione, ma intanto il discorso era: il denaro lo date a noi, lo gestiamo noi. Ora per fortuna quest’obbligo non c’è più, però comunque la richiesta di avere donazioni per la Chiesa è continua – e donazioni non soltanto delle monetine che si mettono in chiesa alla domenica, ma donazioni e anche elargizioni molto importanti, intere eredità che la Chiesa accumula (e non stiamo a parlare della ricchezza che ha accumulato, perché è nota a tutti). Bene, ma cosa succede? Succede che due persone, marito e moglie, appartenenti a questo gruppo, a questa setta di Gesuani, vendono un loro bene, consegnano quasi tutto il denaro a Pietro e ne trattengono una parte. Tutti noi sappiamo che all’interno delle sette vige – sia in forma strutturata, sia in forma quasi naturale – una sorta di regime poliziesco, per cui c’è chi va a riportare le cose e i capi le vengono sempre a sapere.
    Pietro, informato del fatto che Anania e Saffira si erano trattenuti una piccola parte del denaro per le loro esigenze personali, convoca Anania e gli dice, in sostanza: ma come mai Satana, cioè l’avversario, ti ha riempito il cuore? Come hai potuto pensare in cuor tuo ad una azione simile? Non hai mentito agli uomini ma a Dio. «All’udire queste parole Anania cadde a terra morto e un grande spavento si impadronì di tutti quelli che ascoltavano. Subito alcuni giovani si mossero per avvolgerlo e portarlo a seppellire». Cosa dobbiamo pensare? Che Anania sia morto di spavento, sia morto d’infarto, sia morto di ictus? la cosa più naturale è che sia stato ucciso da Pietro, anche – leggiamo, andando avanti nel racconto – che «circa tre ore dopo si presentò anche sua moglie ignara dell’accaduto». Pietro, pensate che astuzia – e qui siamo all’interno delle più sofisticate tecniche di indagine poliziesca, che consistono nell’avere informazioni da più parti per trovare conferme facendo in modo che chi ha le informazioni non possa parlarsi, le dice: «Dimmi, è per tal prezzo che avete venduto il campo?». E lei, ignara di ciò che era avvenuto, dice: sì, per tale prezzo. E Pietro le dice: «Ma perché vi siete accordati per tentare lo Spirito? Ecco alla porta i passi di coloro che hanno sepolto tuo marito, porteranno via anche te. Ella gli cade improvvisamente ai piedi morta».
    «Quei giovani, entrati, la trovarono morta e la portarono a seppellire vicino al marito. Un grande spavento si diffuse per tutta la Chiesa e in quanti ascoltavano queste cose». Cioè, nessuno doveva permettersi di trasgredire alle regole della setta: voi vendete tutto ciò che avete, e il denaro lo portate qui: chi non obbedisce, muore. Ma Pietro non era quello che aveva sentito dire da Gesù “perdonare fino a settanta volte sette”? Se n’erano dimenticati? Pietro si era dimenticato del fatto che la vita è un dono indisponibile di Dio? Uno dirà: va be’, ma questa qui è un’interpretazione di Biglino. Sapete chi ha scritto di questo, dicendo che Pietro li ha uccisi? Ne ha scritto Girolamo, quello che ha tradotto la Bibbia in latino, se non ricordo male nella Lettera 109; poi in una lettera successiva ha cercato di recuperare un po’, dicendo «ma lo ha scritto Porfirio». Bene, possiamo discutere quanto volete. Sentiamo cosa ne dice il Papa, cosa ne ha detto il Papa Francesco. Siamo al 16 ottobre del 2018, nel Bollettino 758 della Santa Sede è riportato l’incontro che Francesco ha avuto con i seminaristi della Lombardia. A un certo punto hanno cominciato a fargli tutta una serie di domande. E un sacerdote gli chiede che cosa pensa degli scandali che stanno travagliando la Chiesa. Eravamo nel 2018: scandali. Ora siamo nell’ ottobre 2020: scandali, per combinazione finanziari, Obolo di San Pietro.
    Il Papa risponde così: «E’ necessario che ci siano degli scandali, lo dice Gesù stesso: lo scandalo è dall’inizio della Chiesa, pensate ad Anania e Saffira, quei due che volevano truffare la comunità, uno scandalo. Pietro ha risolto in modo chiaro lo scandalo, in quel caso: ha, tra virgolette, tagliato la testa a tutti e due». Lo dice il Papa. Quindi: a partire dall’Obolo di San Pietro, cioè quello che veniva dato a San Pietro allora, fino agli scandali attuali, siamo di fronte a una struttura che ha, lo ripeto, il diritto di esprimere il suo pensiero, anche perché coloro che credono a quella struttura aspettano che quella struttura si esprima, perché spesso purtroppo non hanno voglia di leggere da soli ciò che c’è scritto nella Bibbia, e allora preferiscono farselo raccontare da altri. Benissimo, anche questo è un diritto legittimo, non ci interessa. Quello che però voglio ribadire, sottolineare, è che nessuna struttura può pensare di imporre la sua etica ad uno Stato laico, soprattutto quando quella struttura fa derivare la sua visione etica e morale da dei testi che quella struttura fa derivare da un Dio che quella stessa struttura ha inventato a tavolino: questo è assolutamente inaccettabile.
    (Mauro Biglino, video-intervento “Vaticano, Bollettino Santa Sede 0476″, pubblicato sul canale YouTube “Il vero Mauro Biglino” il 3 ottobre 2020).

    L’Obolo di San Pietro, al centro dell’ennesimo scandalo vaticano finito sui giornali? Esisteva già al tempo degli Atti degli Apostoli: era una donazione obbligatoria, che poteva costare la vita ai trasgressori. Lo rammenta il biblista Mauro Biglino, citando l’uccisione dei discepoli Anania e Saffira, giustiziati proprio da San Pietro (come ricordato dallo stesso Bergoglio) per aver sottratto ai “gesuani” una parte del ricavato della vendita di un terreno di famiglia. Biglino ne prende spunto per commentare il Bollettino Stampa della Santa Sede, numero 476 del 22 settembre 2020, in cui il Vaticano riprende il tema dell’eutanasia. «Liberissimi di pensarla come vogliono, purché non pretendano di imporre il loro credo allo Stato laico, trasformandolo in legge, contro la libertà e i diritti di chi non la pensa come loro: non solo atei e agnostici, ma anche valdesi, anglicani, buddisti e induisti». Biglino è autore del saggio “La Bibbia non l’ha mai detto” (Mondadori), scritto con la professoressa Lorena Forni, giurista e docente dell’università Milano Bicocca: molte leggi dello Stato traggono ispirazione proprio dalla Bibbia, o meglio da traduzioni erronee dell’Antico Testamento. Nel suo ultimo intervento (di seguito, proposto testualmente), Biglino cita i tantissimi passaggi veterotestamentari da cui risulta proibitivo ricavare l’idea che, per gli autori biblici, la vita fosse un “dono di Dio”, vista l’enorme quantità di stragi e massacri ordinati dallo stesso Yahwè.

  • Firmano 15.000 scienziati: le misure anti-Covid sono follia

    Scritto il 08/10/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    In qualità di epidemiologi di malattie infettive e scienziati della salute pubblica, nutriamo gravi preoccupazioni per gli impatti dannosi sulla salute fisica e mentale delle politiche Covid-19 prevalenti e raccomandiamo un approccio che chiamiamo Protezione mirata. Provenienti sia da sinistra che da destra e da tutto il mondo, abbiamo dedicato la nostra carriera alla protezione delle persone. Le attuali politiche di blocco stanno producendo effetti devastanti sulla salute pubblica a breve e lungo termine. I risultati (per citarne alcuni) includono tassi di vaccinazione infantile più bassi, peggioramento degli esiti delle malattie cardiovascolari, meno screening per il cancro e deterioramento della salute mentale – che porta a una maggiore mortalità in eccesso negli anni a venire, con la classe lavoratrice e i membri più giovani della società che portano il peso più gravoso. Tenere gli studenti fuori dalla scuola è una grave ingiustizia. Mantenere queste misure in atto fino a quando un vaccino non sarà disponibile causerà danni irreparabili, con danni sproporzionati ai meno privilegiati.
    Fortunatamente, la nostra comprensione del virus sta crescendo. Sappiamo che la vulnerabilità alla morte da Covid-19 è più di mille volte maggiore negli anziani e negli infermi rispetto ai giovani. In effetti, per i bambini, Covid-19 è meno pericoloso di molti altri danni, compresa l’influenza. Man mano che l’immunità cresce nella popolazione, il rischio di infezione per tutti, compresi i più vulnerabili, diminuisce. Sappiamo che tutte le popolazioni alla fine raggiungeranno l’immunità di gregge – cioè il punto in cui il tasso di nuove infezioni è stabile – e che questo può essere assistito da (ma non dipende da) un vaccino. Il nostro obiettivo dovrebbe quindi essere quello di ridurre al minimo la mortalità e i danni sociali fino a raggiungere l’immunità della mandria. L’approccio più compassionevole, che bilancia i rischi e i benefici del raggiungimento dell’immunità della mandria, è quello di consentire a coloro che sono a minimo rischio di morte di vivere normalmente la loro vita per costruire l’immunità al virus attraverso l’infezione naturale, proteggendo meglio coloro che sono al rischio. Chiamiamo questa protezione “mirata”.
    L’adozione di misure per proteggere i vulnerabili dovrebbe essere l’obiettivo centrale delle risposte di salute pubblica al Covid-19. A titolo di esempio, le case di cura dovrebbero utilizzare personale con immunità acquisita ed eseguire frequenti test Pcr di altro personale e di tutti i visitatori. La rotazione del personale dovrebbe essere ridotta al minimo. I pensionati che vivono a casa dovrebbero farsi consegnare generi alimentari e altri generi di prima necessità. Quando possibile, dovrebbero incontrare i membri della famiglia all’esterno piuttosto che all’interno. È possibile attuare un elenco completo e dettagliato di misure, compresi gli approcci alle famiglie multigenerazionali, che rientra nell’ambito e nelle capacità dei professionisti della sanità pubblica.
    Coloro che non sono vulnerabili dovrebbero essere immediatamente autorizzati a riprendere la vita normalmente. Semplici misure igieniche, come lavarsi le mani e stare a casa quando si ammalano, dovrebbero essere praticate da tutti per ridurre la soglia di immunità della mandria. Le scuole e le università dovrebbero essere aperte all’insegnamento di persona. Le attività extracurriculari, come gli sport, dovrebbero essere riprese. I giovani adulti a basso rischio dovrebbero lavorare normalmente, piuttosto che da casa. Dovrebbero aprire ristoranti e altre attività. Le arti, la musica, lo sport e altre attività culturali dovrebbero riprendere. Le persone più a rischio possono partecipare se lo desiderano, mentre la società nel suo insieme gode della protezione conferita ai più vulnerabili da coloro che hanno costruito l’immunità di gregge.
    (”Dichiarazione di Great Barrington”, redatta il 4 ottobre 2020 a Great Barrington, Massachusetts, Stati Uniti. Primi firmatari: Martin Kulldorff, professore di medicina presso l’Università di Harvard, biostatistico ed epidemiologo con esperienza nella rilevazione e nel monitoraggio di epidemie di malattie infettive e nella valutazione della sicurezza dei vaccini; Sunetra Gupta, professore all’Università di Oxford, epidemiologo con esperienza in immunologia, sviluppo di vaccini e modelli matematici di malattie infettive; Jay Bhattacharya, professore presso la Stanford University Medical School, medico, epidemiologo, economista sanitario ed esperto di politiche per la salute pubblica che si occupa di malattie infettive e popolazioni vulnerabili. Hanno finora aderito quasi 15.000 medici e scienziati. E’ possibile sostenere la Dochiarazione con una sottoscrizione on-line, da parte del pubblico).
    https://gbdeclaration.org/

    In qualità di epidemiologi di malattie infettive e scienziati della salute pubblica, nutriamo gravi preoccupazioni per gli impatti dannosi sulla salute fisica e mentale delle politiche Covid-19 prevalenti e raccomandiamo un approccio che chiamiamo Protezione mirata. Provenienti sia da sinistra che da destra e da tutto il mondo, abbiamo dedicato la nostra carriera alla protezione delle persone. Le attuali politiche di blocco stanno producendo effetti devastanti sulla salute pubblica a breve e lungo termine. I risultati (per citarne alcuni) includono tassi di vaccinazione infantile più bassi, peggioramento degli esiti delle malattie cardiovascolari, meno screening per il cancro e deterioramento della salute mentale – che porta a una maggiore mortalità in eccesso negli anni a venire, con la classe lavoratrice e i membri più giovani della società che portano il peso più gravoso. Tenere gli studenti fuori dalla scuola è una grave ingiustizia. Mantenere queste misure in atto fino a quando un vaccino non sarà disponibile causerà danni irreparabili, con danni sproporzionati ai meno privilegiati.

  • Della Luna: dal Messia a Q-Anon, le profezie consolatorie

    Scritto il 30/5/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Il 29 maggio 2020 è passato senza che avverassero le profezie di Q-Anon per questa data, che doveva vedere il completamento della liberazione del mondo annunciata da Q-Anon, anche per bocca di un misterioso “colonnello Gregory Lane” della Usaf, di stanza ad Aviano, il quale – si dice – via Twitter aveva preannunciato per il 27 maggio la notizia del secolo, che puntualmente non c’è stata. E aveva dichiarato, il 26 maggio, che fosse stato disattivato il server dell’applicazione di tracciamento Immuni – cosa mai avvenuta. Q-Anon prediceva che Trump, assieme a una falange di militari e altri soggetti, con l’aiuto di Putin, servendosi principalmente dei marines e della Us Navy, avrebbe sgominato, appunto entro ieri, la cupola mondiale di satanisti-pedofili-schiavisti-omicidi-usurai, succhiatori di adenocromo prelevato dai bambini rapiti e rinchiusi sottoterra – mostri legati all’area liberal dei Democrats. Molte persone in tutto il mondo – anche diversi miei amici – hanno creduto in questa ‘profezia’: seguivano le riferite imprese dei marines nei tunnel sotterranei dei mostri (che però nessuno vedeva), e continuavano a credere in essa anche dopo il mancato avverarsi di altre sue precedenti predizioni, come i tre giorni di oscuramento elettrico o del web in periodo pasquale (un triduo durante cui Trump e i marines dovevano arrestare tutti i malfattori, iniziando da Bill Gates).
    La psiche umana si è sempre fabbricata, nel corso della storia, simili miti consolatori, che le hanno consentito di sopportare le condizioni presenti e di andare avanti verso il futuro anche quando il volto di questo appariva, come appare oggi, buio e minaccioso; e anche quando, come pure accade oggi, l’uomo si sente impotente dinnanzi a tremendi mali che incombono e che colpiscono la capacità di vivere e di sperare. Gli ebrei, per esempio, vivevano (e molti di loro ancora vivono) nell’aspettazione del Messia, un re della stirpe di Davide, che li dovrebbe liberare dall’oppressione straniera, riportandoli alla potenza tra le genti. Gesù, cioè Joshua, fu creduto il Messia per un certo tempo; poi, siccome non si comportava come un condottiero, deluse gli ebrei e successe ciò che sappiamo. I suoi discepoli credevano che suo Padre sarebbe intervenuto all’ultimo momento per salvarlo dalla morte. Gesù annunciava che «non passerà questa generazione che avverranno queste cose», cioè il suo ritorno in gloria e il giudizio universale di Dio in terra (che era l’aspettativa tradizionale degli ebrei).
    Quando i cristiani videro che gli ultimi di quella generazione stavano morendo e la profezia non si avverava, si inventarono che il giudizio sarebbe stato non in terra ma in cielo: ognuno, alla morte, nell’Aldilà, sarebbe stato sottoposto a un giudizio particolare; e poi, alla fine dei tempi, ci sarebbe stata una resurrezione di tutti i morti per il giudizio universale. E’ così che si forma gran parte della cervellotica teologia cristiana. I Testimoni di Geova profetizzavano che  il giudizio e l’Apocalisse sarebbero avvenuti nel 1914; quando il 1914 fu trascorso senza che avvenissero, si inventarono che nel 1914 fosse avvenuta l’intronazione di Cristo sulla Terra, e che il giudizio-apocalisse sarebbe avvenuto “presto”, ma in un tempo indefinito. Sono passati, da allora, 106 anni. Presumo che il terzo segreto di Fatima sia tenuto nascosto dalla Chiesa perché probabilmente contiene una profezia con una data, e la Chiesa giustamente teme che, se la divulga e poi il fatto predetto non si avvera, un grande ridicolo e discredito ricada su di essa e sulla fede. Vari culti ufologici hanno formulato profezie sull’avvento degli alieni per salvare o punire gli uomini a seconda dei loro meriti, fissando date precise, che ovviamente non hanno visto materializzarsi la profezia.
    Anche il marxismo esprimeva una profezia consolatoria: il capitalismo crollerà per le sue contraddizioni interne e lascerà il campo al socialismo. Al contrario, il capitalismo si adatta, scarica le proprie contraddizioni sulla società e, anziché avverarsi il motto “proletari di tutto il mondo, unitevi!”, si sono uniti i capitalisti di tutto il mondo e hanno diviso i proletari gli uni contro gli altri. In Germania si formò la leggenda di Federico Barbarossa, che, sebbene morto annegato, in realtà aspetterebbe, nella torre di un castello, un segnale per ritornare e guidare i germani alla riscossa. In Messico, dopo la sua uccisione, si formò il mito di Pancho Villa, che non sarebbe morto ma si preparerebbe a ritornare, in sella al suo destriero, per guidare il suo popolo alla lotta per la libertà e la giustizia sociale. Insomma, la profezia consolatoria è una struttura immanente della psiche umana, che sempre si riattiva dopo ogni smentita; e gli uomini non imparano dalla storia delle sue smentite, oppure non vogliono imparare o non possono sopportare di capire questa realtà e di non credere più.
    (Marco Della Luna, “Dal Messia a Q-Anon, le profezie consolatorie”, dal blog di Della Luna del 30 maggio 2020).

    Il 29 maggio 2020 è passato senza che avverassero le profezie di Q-Anon per questa data, che doveva vedere il completamento della liberazione del mondo annunciata da Q-Anon, anche per bocca di un misterioso “colonnello Gregory Lane” della Usaf, di stanza ad Aviano, il quale – si dice – via Twitter aveva preannunciato per il 27 maggio la notizia del secolo, che puntualmente non c’è stata. E aveva dichiarato, il 26 maggio, che fosse stato disattivato il server dell’applicazione di tracciamento Immuni – cosa mai avvenuta. Q-Anon prediceva che Trump, assieme a una falange di militari e altri soggetti, con l’aiuto di Putin, servendosi principalmente dei marines e della Us Navy, avrebbe sgominato, appunto entro ieri, la cupola mondiale di satanisti-pedofili-schiavisti-omicidi-usurai, succhiatori di adenocromo prelevato dai bambini rapiti e rinchiusi sottoterra – mostri legati all’area liberal dei Democrats. Molte persone in tutto il mondo – anche diversi miei amici – hanno creduto in questa ‘profezia’: seguivano le riferite imprese dei marines nei tunnel sotterranei dei mostri (che però nessuno vedeva), e continuavano a credere in essa anche dopo il mancato avverarsi di altre sue precedenti predizioni, come i tre giorni di oscuramento elettrico o del web in periodo pasquale (un triduo durante cui Trump e i marines dovevano arrestare tutti i malfattori, iniziando da Bill Gates).

  • Fani: paura e diffidenza, la mascherina è un rituale magico

    Scritto il 28/5/20 • nella Categoria: idee • (2)

    «La maschera è sempre negativa: copre una falsità, un inganno, una finzione». Lo ricorda lo scrittore e formatore Maurizio Fani, che è anche psicologo e psicoterapeuta. Le “museruole” che gli ambigui gestori dell’emergenza Covid ci costringono a indossare? Puzzano di rituale collettivo: simboleggiano sottomissione e annullamento della personalità. D’accordo, c’è anche l’elemento medico, precauzionale. Ma in quale misura? L’Oms e lo stesso ministero italiano della sanità ne raccomandano l’uso, alle persone sane, «solo se stanno fornendo assistenza a persone certamente malate di Covid-19, o con sintomi che facciano sospettare la malattia». Molti autorevoli virologi le temono: «Non vanno usate, specialmente in luoghi all’aperto», dice il professor Giulio Tarro, allievo prediletto di Albert Sabin, l’inventore del vaccino contro la poliomielite. «Le mascherine non sono il massimo dell’igiene», avverte Tarro: «Io starei attento nel loro uso, riuso e abuso: e quando arriverà il caldo, sarà bene gettarle via». L’Ordine dei Medici Sportivi di Cagliari – racconta Fani – ha sollevato un problema: un pericolo, la mascherina, per chi pratica attività sportiva.

  • Scuola di paura: l’infanzia negata dei bambini in isolamento

    Scritto il 07/5/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    Mi chiamo Marika Adianto, ho 45 anni, sono mamma di una bambina di 10 anni e sono un’insegnante di scuola primaria a Genova. Scrivo dopo lunghe riflessioni e gran frustrazione con la necessità di dare voce alla mia categoria o ad una parte della mia categoria (non ho la presunzione di rappresentare tutti gli insegnanti), ma soprattutto ai bambini. Vorrei sottoporre a chi legge una serie di riflessioni che sento la necessità assoluta di condividere. Anche in questa occasione, a mio avviso, alla scuola non è stata prestata la dovuta attenzione da parte delle istituzioni. Si è scelto di chiuderla, sono stati stanziati alcuni milioni di euro per la Dad [didattica a distanza], ma non c’è stata una riflessione, non c’è stato un pensiero-guida volto ad una ripartenza a settembre in una condizione di benessere. Il benessere delle bambine e dei bambini e di chi si occupa di loro. L’occasione ghiotta che ci ha offerto questa situazione è la possibilità di ripensare e rivalutare il nostro micromondo della scuola. La riflessione iniziale sarebbe dovuta essere: quale scuola e, di conseguenza, quale società vogliamo costruire o ricostruire per settembre? Cosa vogliamo trasmettere ai nostri bambini e ragazzi? Su quali principi e basi vogliamo riaccogliere, riaprire, incontrare nuovamente i nostri giovani?
    Ciò che emerge è che si voglia seguire non il tanto nominato principio di prudenza, ma, purtroppo il principio di paura. Ciò che noi adulti saremo in grado di lasciare a questa generazione in dono sarà la paura. Paura del contagio, paura del contatto, paura del respiro, paura della contaminazione, paura della vicinanza. Paura di vivere. Ho quindi deciso di scrivere, per la mia coscienza, per il mio intelletto, per la mia dignità e per l’amore e la passione che ho per il mio lavoro che io non sono d’accordo e non voglio solo condividere il mio sdegno, ma sento la necessità di fare proposte. Di essere costruttiva. Chi pensa al piano-scuola per il rientro, ancora una volta, sembra non aver mai avuto a che fare con un bambino. I bambini non conoscono o non dovrebbero conoscere il distanziamento sociale, termine che in realtà mi rifiuto di usare perché implica una lontananza non solo fisica, ma umana dagli altri. Distanza che a priori mi risulta inaccettabile. I bambini si assembrano.
    Assembramento. Altro termine che evoca periodi terribili della nostra storia di italiani, di esseri umani. I bambini si assembrano, per fortuna lo fanno. In maniera innata si avvicinano, ricercano contatto, abbracciano, ricercano conforto, si scambiano oggetti, giochi e si parlano a distanza ravvicinata. Si riesce a immaginare una scuola, un mondo, in cui tutto ciò non accada? Si riesce ad accettare un mondo in cui tutto ciò non accada anche per un “breve” periodo di tempo? Io non ci riesco. Chi lavora con i bambini sa che il rischio zero non esiste. Chi lavora con i bambini sa che il rapporto maestra-bambino si crea attraverso i gesti: un abbraccio, una carezza sulla testa, una mano piccola in una mano grande. Gesti che accompagnano: aiutare ad impugnare la matita, la forchetta, allacciare una scarpa, soffiare un naso (sì, addirittura soffiare un naso). A scuola tutto è condivisione e vicinanza, la scuola è questo: stare seduti vicini in biblioteca mentre la maestra legge un albo illustrato, stare vicini a merenda per confidarsi un segreto, fare musica insieme in cerchio, condividere un progetto di arte, mangiare a mensa insieme, scambiarsi le penne e le macchinine.
    In una intervista di ieri, la ministra rilascia alcune dichiarazioni che paiono l’anteprima di quelle che saranno le disposizioni per settembre e parla di dividere le classi, una metà a casa e una metà a scuola, di far ruotare i gruppi e di permettere ai bambini di seguire le lezioni attraverso una telecamera posizionata in classe. Provo a spiegare perché, secondo me, tutto ciò non ha senso: prendiamo il caso di una classe di 24 bambini/ragazzi. Invece di lasciarne a casa metà si potrebbe pensare di creare due classi di 12 e consentire a tutti di andare a scuola. Perché quello che conta in ambito educativo, pedagogico, didattico è la presenza fisica. Non lo dico io, lo dicono i fatti e la Dad ce lo sta dimostrando: non funziona (ma ci tornerò tra poco). Inoltre: si riesce ad immaginare la frustrazione e il disagio del gruppo di bambini a casa? Con chi staranno se i genitori devono lavorare e i nonni sono una categoria a rischio? Si ritiene che il collegamento con la telecamera consenta la socialità – davvero??? O li renda semplicemente spettatori della vita altrui?
    E ancora: la telecamera è una forma di controllo. Cosa si deve controllare? Che gli insegnanti mantengano le distanze? Che non ci si sfiori? Che il protocollo di sicurezza sia rispettato? E’ davvero questa la società che vogliamo? Davvero vogliamo essere sorvegliati e sorvegliarci osservando per ore uno schermo? Davvero vogliamo che i nostri bambini stiano seduti tutto il tempo scuola lontani dagli altri, divisi magari da uno schermo di plexiglass, con la mascherina sulla faccia per quattro, sei ore al giorno? Questo è il ricordo della loro infanzia o adolescenza che vogliamo lasciare loro? Vogliamo seriamente riflettere sulle difficoltà di respirazione e comunicazione che implica l’uso della mascherina? Perché qui non si tratterebbe di fare la spesa per venti minuti al supermercato; qui, se dovesse essere imposto l’obbligo della mascherina a scuola, si parla di ore, di ore con la mascherina davanti al naso e alla bocca. E non ci sono ancora studi che ci possano dire davvero se questo oggetto non sia invece più dannoso che utile. Qualcuno ci ha pensato? Io sì. Molti di noi insegnanti lo hanno fatto e si interrogano.
    E poi: che incidenza può avere sulla salute fisica e psichica dei bambini il lasciarli ore a casa davanti ad uno schermo “in collegamento” con i compagni a scuola? C’è stata o c’è una riflessione a riguardo? Quanto potrà incidere questa scelta sulla vita dei nostri bambini? Molto, a mio modesto avviso, e non in senso positivo. Da anni si parla dei problemi di attenzione e di iperattività chiamando in causa la sovraesposizione allo schermo e la sedentarietà… e cosa si propone per la scuola del futuro? Che stiano a casa seduti davanti allo schermo oppure a scuola seduti. Distanti, mi raccomando. Mi chiedo: saremo noi insegnanti i responsabili se non dovesse essere mantenuta questa distanza? Saremo noi a dover diventare i vigili dei nostri alunni? E’ questo che ci verrà chiesto? Di tenerli lontani da noi e tra loro? E’ davvero questa la scuola che vogliamo, la società che vogliamo? Io non credo di farcela.
    Le nostre scuole hanno, spesso, molte aule. Le nostre scuole hanno, in molti casi, giardini o spazi all’aperto che non possono essere utilizzati perché inagibili, in abbandono, senza manutenzione. Assumendo i tanti precari che lavorano nella scuola si potrebbero creare classi meno numerose. Stanziando denaro per l’edilizia scolastica si potrebbero riqualificare ambienti e spazi esterni. Il denaro investito nella scuola, a mio avviso, non andrebbe utilizzato esclusivamente per la tecnologia, ma anche e oso dire, soprattutto, per la ristrutturazione. E non solo. Per ripensare gli spazi. E si torna sempre alla necessità di ripensare. Riflettere. Rimettere la pedagogia al centro dei nostri pensieri insieme all’educazione civica, alla formazione del cittadino. Inoltre: vogliamo seriamente pensare ai bambini con bisogni educativi speciali, ai bambini con piano educativo individualizzato? Sono stati i più penalizzati tra tutti i bambini. Possiamo pensare di tenerli lontani fisicamente dagli insegnanti di sostegno (e da tutti gli insegnanti)? Possiamo pensare di mettere loro la mascherina e di fargliela tenere per ore? Possiamo pensare di metterli seduti in cucina e farli assistere alle lezioni a distanza per farli “socializzare”?
    E qui si inserisce il discorso sulla Dad, che sta penalizzando soprattutto loro, i bambini in difficoltà. A differenza della scuola vera, quella dove ci si assembra, la Dad non consente un intervento significativo e di qualità da parte degli insegnanti a livello educativo, pedagogico e didattico. Non saprei dirlo meglio di così: non si riesce davvero ad arrivare ai bambini e alle bambine. Perché? Semplicemente perché non è reale. Ci ha aiutato a mantenere un minimo di contatto, ci ha permesso di vederli in questi mesi. Ma non è sufficiente. Perché questa modalità di relazione non è reale. La Dad può essere sopportata da tutti per un breve periodo di emergenza. Ma non è accettabile nella normalità. Perché immagino e spero che alla normalità si voglia tornare. Le scelte che si faranno incideranno sulla vita di milioni di persone, lo faranno in maniera significativa, segneranno una generazione. Non si può non riflettere su tutto ciò, con umiltà. Perché quello che, dal mio punto di vista, manca, è l’ascolto di chi la scuola la vive ogni giorno, da anni. Io sono solo diciotto anni che insegno, ma quotidianamente imparo da colleghe che da quaranta anni aiutano i bambini a crescere. Possibile che non si pensi di dar loro voce? Chi è più esperto di chi con i bambini trascorre in media cinque ore al giorno? Nessuno. Quello di cui abbiamo bisogno è di essere ascoltati. Perché siamo noi gli esperti. Siamo noi la task force gratuita della quale avvalersi per ripartire umanamente a settembre. Per favore, ascoltateci! Grazie.
    (Marika Adianto, “Lettera di un’insegnante”, pubblicata su “Luogo Comune” il 3 maggio 2020).

    Mi chiamo Marika Adianto, ho 45 anni, sono mamma di una bambina di 10 anni e sono un’insegnante di scuola primaria a Genova. Scrivo dopo lunghe riflessioni e gran frustrazione con la necessità di dare voce alla mia categoria o ad una parte della mia categoria (non ho la presunzione di rappresentare tutti gli insegnanti), ma soprattutto ai bambini. Vorrei sottoporre a chi legge una serie di riflessioni che sento la necessità assoluta di condividere. Anche in questa occasione, a mio avviso, alla scuola non è stata prestata la dovuta attenzione da parte delle istituzioni. Si è scelto di chiuderla, sono stati stanziati alcuni milioni di euro per la Dad [didattica a distanza], ma non c’è stata una riflessione, non c’è stato un pensiero-guida volto ad una ripartenza a settembre in una condizione di benessere. Il benessere delle bambine e dei bambini e di chi si occupa di loro. L’occasione ghiotta che ci ha offerto questa situazione è la possibilità di ripensare e rivalutare il nostro micromondo della scuola. La riflessione iniziale sarebbe dovuta essere: quale scuola e, di conseguenza, quale società vogliamo costruire o ricostruire per settembre? Cosa vogliamo trasmettere ai nostri bambini e ragazzi? Su quali principi e basi vogliamo riaccogliere, riaprire, incontrare nuovamente i nostri giovani?

  • Virus e paura: ecco la mutazione che sconvolgerà l’umanità

    Scritto il 12/4/20 • nella Categoria: idee • (2)

    No, non sarà solo una grave crisi economica e sociale, non genererà solo miseria e volontà di ricostruzione, non cambierà solo gli assetti politici e il rapporto tra potere e cittadini; non inciderà solo sulle relazioni, i viaggi, la globalizzazione, il rapporto tra le generazioni. Dall’emergenza mondiale alle prese col mistero dei virus avverrà la Mutazione, qualcosa di profondo, globale, radicale. La Mutazione antropologica che sconvolgerà l’umanità, non solo nei comportamenti e nei consumi, ma anche nell’anima e nella visione della vita e della morte. L’espressione che più rende l’idea del tempo che verrà è Medioevo prossimo venturo, tratta dal libro famoso di un ingegnere-futurologo, Roberto Vacca, che nei primi anni Settanta prefigurò una grande crisi dello sviluppo e un ritorno a una specie di Medioevo. Un’utopia rovesciata, cioè una distopia, o piuttosto una previsione, se non una profezia. La Mutazione allinea una serie di elementi psicologici insorti in questi giorni: in primis la paura, il terrore del contagio e del mondo esterno; quindi il mistero, la percezione di trovarsi di fronte a un evento imponderabile, di cui ci sfugge l’essenziale, anche se sappiamo tutto intorno; poi l’isolamento radicale di massa come mai l’avevamo conosciuto, tutti soli, barricati in casa, a fronteggiare il male senza possibilità di contatti; quindi la prossimità del limite, inteso come misura, confine invalicabile, ma anche come vicinanza della morte, che avevamo rimosso; infine la noia della cattività, il vuoto dei giorni e della vita, l’assenza di impegni, se non l’appello biologico ad autoconservarsi, per sé e per gli altri.
    Incrociando questi fattori interiori con la situazione esterna, il collasso sociale, l’incertezza totale, il crollo del ciclo produzione-consumo, sorge la Mutazione, non solo di abitudini e aspettative, ma anche psichica, senza precedenti. Anzi usiamo la parola rimossa: spirituale. Non è forse un caso il nesso originario tra spirito e respiro, che hanno la medesima radice in spiritus e pneuma. Una società priva di spiritualità soffoca, non respira, come per il virus. Non sappiamo se a questa crisi spirituale risponderà, almeno in occidente, un risveglio del cristianesimo. Nei primi giorni dell’emergenza la fede e la Chiesa per la prima volta da secoli risultavano sparite davanti alla tragedia. Irrilevanti, defilate. Le chiese chiuse, il silenzio del papa barricato e solo, la stessa preghiera solitaria del vescovo di Milano alla Madonnina in cima al Duomo, confermavano l’idea che questa crisi nasceva senza i conforti religiosi. La religione regrediva, per ragioni di salute, a programma tv o social. Come in una forzata svolta protestante, nasceva la religione per individui soli, fuori dalla Chiesa, una religione bricolage domestico, faidate. Interiors. Poi non sono mancati esempi luminosi. Uno tra tutti: don Giuseppe Berardelli nella bergamasca, che capovolgendo il motto egoista mors tua vita mea ha ceduto il suo respiratore a un paziente più giovane, andando incontro alla morte. Con tanti eroi medici e infermieri, vanno onorati anche i sacerdoti martiri.
    Ma il tema in campo non è quello della religione umanitaria e pro-migranti dell’era Bergoglio: è la religione che risponde al bisogno di spiritualità, alla fame di senso e di sacro, al saper addomesticare la morte, accettare i limiti e il mistero. La religione dei simboli, dei riti, della liturgia e soprattutto alla preghiera. La religione del rosario, dei santi e dei martiri; la religione che consola per la morte e proietta nella resurrezione, nella beatitudine immortale. Non sappiamo se sarà la religione cristiana ad accompagnare la Mutazione o altre vie spirituali. Così come non sappiamo se sarà l’antico mondo nazional-conservatore, o il nuovo populismo sovranista, a rappresentare il bisogno di ordine e di comunità organica, di stato autorevole e decisore, che emerge nel mondo. L’esperienza del contagio ci riconduce a una visione della società come organismo: se una parte del corpo s’infetta contagia il resto. Siamo dunque consorti, comunità di destino. Tornano i valori? Torna piuttosto il terreno che li precede, su cui possono sorgere. L’idea stessa di libertà, dopo questa esperienza muterà radicalmente: non liberare all’infinito i propri desideri, non libertà come liberazione da ogni vincolo; ma libertà per qualcosa, in vista di qualcosa. Con senso della misura, responsabilità, in rapporto con l’autorità e con l’ordine.
    Si, la libertà come diritto alla differenza, libertà di opinione e di voto, libertà di movimento; ma la libertà come Diritto Assoluto, diritto di avere diritti, non può funzionare. Il bisogno che sorge in questa situazione è esistenziale e spirituale. Veniamo da una società benestante ma depressa, che usa farmaci e terapie, ricorre a guru e psicanalisti per tenere a bada il mostro dell’angoscia. Ora che l’età dell’ansia esplode sono possibili due ipotesi opposte ma non inconciliabili: che si entri in una depressione di massa senza precedenti o che si guarisca di fronte ai pericoli reali dai pericoli mentali. Mi sembra che le due ipotesi si sovrappongano. Ad entrambe la risposta non può essere solo una “disperata vitalità”, per dirla con Pasolini: ma un rinnovato senso spirituale, sorto dopo questa ascesi di massa nelle proprie case, nelle città morte che dovranno rinascere quando scenderanno dai loro rifugi milioni di eremiti di cui già parlava Montale mezzo secolo fa. Per ora la nostra salvezza è lo smartphone e i suoi parenti stretti. Ma quando torneremo guardinghi all’aria aperta, ci vorrà altro, non basterà internet. Ci vorrà eternet.
    (Marcello Veneziani, “La Mutazione che sconvolgerà l’umanità”, riflessione pubblicata da “Panorama” e ora ripresa dal blog di Veneziani).

    No, non sarà solo una grave crisi economica e sociale, non genererà solo miseria e volontà di ricostruzione, non cambierà solo gli assetti politici e il rapporto tra potere e cittadini; non inciderà solo sulle relazioni, i viaggi, la globalizzazione, il rapporto tra le generazioni. Dall’emergenza mondiale alle prese col mistero dei virus avverrà la Mutazione, qualcosa di profondo, globale, radicale. La Mutazione antropologica che sconvolgerà l’umanità, non solo nei comportamenti e nei consumi, ma anche nell’anima e nella visione della vita e della morte. L’espressione che più rende l’idea del tempo che verrà è Medioevo prossimo venturo, tratta dal libro famoso di un ingegnere-futurologo, Roberto Vacca, che nei primi anni Settanta prefigurò una grande crisi dello sviluppo e un ritorno a una specie di Medioevo. Un’utopia rovesciata, cioè una distopia, o piuttosto una previsione, se non una profezia. La Mutazione allinea una serie di elementi psicologici insorti in questi giorni: in primis la paura, il terrore del contagio e del mondo esterno; quindi il mistero, la percezione di trovarsi di fronte a un evento imponderabile, di cui ci sfugge l’essenziale, anche se sappiamo tutto intorno; poi l’isolamento radicale di massa come mai l’avevamo conosciuto, tutti soli, barricati in casa, a fronteggiare il male senza possibilità di contatti; quindi la prossimità del limite, inteso come misura, confine invalicabile, ma anche come vicinanza della morte, che avevamo rimosso; infine la noia della cattività, il vuoto dei giorni e della vita, l’assenza di impegni, se non l’appello biologico ad autoconservarsi, per sé e per gli altri.

  • Onore agli aristocratici. I nostri nemici? Sono solo reazionari

    Scritto il 11/4/20 • nella Categoria: idee • (4)

    Propongo ai lettori una piccola provocazione/riflessione lessicale. Secondo me le superlogge massoniche di cui parla Magaldi nel bellissimo libro “Massoni”, se non sono progressiste non possono essere definite aristocratiche ma solo reazionarie, né i loro affiliati definiti fratelli (in senso lato, estendendo il significato anche alle affiliate donne). Platone sosteneva che il governo dei filosofi è il più adatto ai bisogni dei governati. Filosofo è colui che ama la conoscenza e che quindi è nella condizione migliore per metterla in pratica (il verbo greco “fileo” significa anche “far volentieri una cosa”, “compierla abitualmente”). Chi ha responsabilità di governo deve possedere due caratteristiche: la conoscenza di come agire e la coscienza del risultato, sentendo su di sé la gioia o il dolore degli altri come fossero gioia o dolore propri. Deve essere “àristos”, “il migliore” in questo campo e quindi “il più adatto” a esercitare la guida. Il governo dei migliori è l’aristocrazia. Migliori nella conoscenza e migliori nell’usarla, perché attenti al benessere altrui e disposti a correggersi se necessario. La vera aristocrazia è aristocrazia interiore, quella dei valori spirituali, non della finanza, dell’economia, dell’esoterismo o dell’ermetismo se svincolati dal Giusto, dal Buono e dal Progresso per gli esseri umani. Gli aristocratici sono governanti illuminati che lavorano per rendere illuminati, oltre che liberi dal bisogno, anche coloro che guidano.
    La parola italiana fratello (e l’equivalente in inglese, tedesco, olandese) deriva da un verbo sanscrito che significa “sostenere”. Fratelli sono coloro che si aiutano e si nutrono a vicenda. In sanscrito, dallo stesso termine derivano la parola marito e la parola moglie, come coloro che si sostengono a vicenda. Chi sfrutta le debolezze altrui per soggiogarlo e arricchirsi o perpetua l’ignoranza umana per servirsene, ha perduto la qualifica originaria di “fratello”. Ricordo con gratitudine la riflessione della scrittrice Marina Valcarenghi: «Nelle mie fiabe i principi e le principesse non sono regnanti forcaioli, ma simboli di aristocrazia interiore, cioè di ricerca della consapevolezza, e il matrimonio non è l’istituzione ma la fusione fra il maschile e il femminile, l’inizio della maturità psico-fisica, così come la conquista del trono simboleggia la conquista di un’autonomia, per cui siamo padroni di noi stessi e quindi del nostro mondo interiore». Credo che considerare aristocratici e fratelli coloro che negli ultimi decenni hanno portato alla rovina interi Stati e alla sofferenza milioni di individui non sia rendere onore alla tradizione iniziatica dell’umanità.
    Ritengo anche che le stesse logge anti-progressiste non meritino di essere definite conservatrici. In fondo, la conservazione ha un ruolo fondamentale nel trasmettere le radici e la tradizione sotto forma di conoscenza antica. L’opposto di conservatore, in questo senso, non è progressista, ma dissipatore. La distinzione non è mia, appartiene al giornalista Camillo Langone (ed è una delle poche sue riflessioni che mi sento di condividere). Non può essere considerato un iniziato colui che dissipa il senso autentico della tradizione esoterica sposato in origine dalla massoneria, cioè portare la conoscenza al servizio del popolo per sottrarlo al potere dei regnanti forcaioli e farlo progredire socialmente e nello spirito. Scriveva Carlo Rosselli che «il socialismo è in primo luogo rivoluzione morale e in secondo luogo trasformazione materiale e, come tale, si attua sin da oggi nelle coscienze dei migliori senza bisogno di aspettare il sole dell’avvenire». Ripartiamo dunque oggi dalla rivoluzione morale che nasce nella coscienza dei migliori e, attraverso alcune distinzioni linguistiche, riprendiamoci il gusto e la gioia di usare le parole per ciò che realmente evocano.
    (Zvetan Lilov, “Fratellanza e aristocrazia”, dal blog del Gruppo Rebis dell’8 aprile 2020).

    Propongo ai lettori una piccola provocazione/riflessione lessicale. Secondo me le superlogge massoniche di cui parla Magaldi nel bellissimo libro “Massoni”, se non sono progressiste non possono essere definite aristocratiche ma solo reazionarie, né i loro affiliati definiti fratelli (in senso lato, estendendo il significato anche alle affiliate donne). Platone sosteneva che il governo dei filosofi è il più adatto ai bisogni dei governati. Filosofo è colui che ama la conoscenza e che quindi è nella condizione migliore per metterla in pratica (il verbo greco “fileo” significa anche “far volentieri una cosa”, “compierla abitualmente”). Chi ha responsabilità di governo deve possedere due caratteristiche: la conoscenza di come agire e la coscienza del risultato, sentendo su di sé la gioia o il dolore degli altri come fossero gioia o dolore propri. Deve essere “àristos”, “il migliore” in questo campo e quindi “il più adatto” a esercitare la guida. Il governo dei migliori è l’aristocrazia. Migliori nella conoscenza e migliori nell’usarla, perché attenti al benessere altrui e disposti a correggersi se necessario. La vera aristocrazia è aristocrazia interiore, quella dei valori spirituali, non della finanza, dell’economia, dell’esoterismo o dell’ermetismo se svincolati dal Giusto, dal Buono e dal Progresso per gli esseri umani. Gli aristocratici sono governanti illuminati che lavorano per rendere illuminati, oltre che liberi dal bisogno, anche coloro che guidano.

  • Galloni: il virus smaschera il rigore. Ma come affrontarlo?

    Scritto il 25/3/20 • nella Categoria: idee • (Commenti disabilitati)

    La grande vittima della pandemia – la prima, ma non sarà l’ultima – è la suprema verità finanziaria: le risorse sono limitate. Può l’emergenza aver modificato una suprema verità? No. Essa era un falso. Come facevano le banche centrali a creare moneta (a costo zero, soprattutto dopo lo sganciamento della moneta stessa dall’oro)? Con una magia di contabilità: al passivo dello stato patrimoniale veniva messo il valore nominale dell’emissione monetaria, all’attivo i titoli; siccome i due valori si eguagliavano (interessi a parte, che potevano andare nel conto profitti e perdite), l’operazione si annullava, cioè si nascondeva. Ma era un artificio che, adesso, risulta evidente: si possono far crescere i debiti (i titoli di Stato, ad esempio) oppure no. Ma, domani, i debiti si potranno: cancellare, monetizzare, cartolarizzare, derivare… Di quanti soldi abbiamo bisogno, nelle attuali circostanze e nel futuro? Finalmente possiamo invertire il paradigma e chiederci: di cosa abbiamo bisogno? E i soldi non ci mancheranno! Unico limite: se le capacità produttive sono tutte utilizzate al massimo, la successiva immissione monetaria non determina effetti reali; ma, adesso, abbiamo bisogno – ad esempio – di mascherine; e possiamo riconvertire aziende tessili e simili, assumere lavoratori, ecc.
    Per parlare del futuro, ovvero delle prospettive degli investimenti futuri, dovremmo prima cercare di capire cosa succederà dell’attuale emergenza. Come è stato accennato (nell’articolo che mi precede), occorre partire non dall’1% della popolazione che presenta sintomi gravi o ha bisogno di assistenza vitale (che è, orami evidente a tutti, il “bottle neck” motore di tutte le decisioni governative), ma del restante 99% circa della popolazione: come rafforzarne le difese immunitarie e proteggerlo. Il 99%, infatti, comprende anche le persone più fragili perché anziane (non sto dicendo che il virus risparmi i giovani!) o immunodepresse: nei limiti delle cose ragionevoli e possibili, anziani, immunodepressi, eccetera, dovrebbero trovarsi in situazioni di minor contato con i portatori sani e coi malati. Invece si mette in isolamento la parte sana o priva di sintomi, ovvero quella che dovrebbe assicurare – comunque – la continuità della vita sociale: non possiamo stare troppo tempo senza respirare, bere, nutrirci. E, mentre si sbaglia nell’impostazione di fondo perché si guarda solo all’emergenza in termini di cure urgenti e posti letto (il che è giusto, beninteso, ma non basta) non si sa né quanto durerà, né se si ripeterà una stagione sì e l’altra no.
    Quindi, si fanno paragoni in base all’esperienza di altri paesi: in Cina è stata isolata un’area corrispondente all’1% della popolazione – che è stata rifornita dall’esterno, con le dovute cautele. In Italia si è voluto isolare il 100% della popolazione, ovviamente in modo meno restrittivo e, via via, più restrittivo. Ma non si sa come sarà la situazione a metà aprile, a fine maggio, in autunno: c’è chi giura che l’estate passerà tranquilla, ma anche chi (sempre tra esperti virologi e medici) ritiene che la mutazione del virus stesso potrebbe comportare una sua maggior resistenza al calore estivo. Chi scommette sull’Italia perché il Sud – più caldo – appare alquanto immune, sottovaluta che, pur con eccezioni che non confermano la regola, il virus si è sviluppato in modo più deciso dove più intense erano le attività produttive e l’inquinamento. Come si è fatto per l’ambiente, si commette lo stesso errore: allora si diceva (vi ricorderete) “occorre fermare il surriscaldamento”, oggi occorre “fermare” il virus. Non è così: occorre affrontare (saper affrontare) il virus, del pari dell’emergenza climatica. Il virus non si ferma. Il virus si affronta: come si debellerà? Come è sempre avvenuto, ovverosia con una diffusione che ne depotenzi la forza. Ma quante vittime, per ottenere tale risultato? Allora: evitare che il contagio faccia tante vittime, ma rinforzare la popolazione affinché aumentino i casi di coloro che costruiscono gli anticorpi, ovvero presentano sintomi trascurabili, o si rivelano immuni.
    Temibili virus sono stati debellati coi vaccini, ma qui non sappiamo se i tempi di costruzione di un vaccino sono inferiori alla mutazione stagionale! Abbiamo visto che la combinazione con pregressi vaccini antinfluenzali e determinate tipologie di medicinali ha aggravato le condizioni dei pazienti: ma non sappiamo se la catena causativa vada da mali pregressi a indebolimento verso il Sars o viceversa. Pare ci siano medicinali – spesso usati per altre patologie – in grado di risolvere o attenuare la malattia in esame. In ogni caso sarebbe importante rafforzare la popolazione con vitamine, regole alimentari, fisiche e psichiche adeguate. Chiarito che il limite delle risorse monetarie è dato dalla disponibilità di risorse reali, rimane l’incognita delle tempistiche e della dinamica futura dell’emergenza. Oltre un certo limite, infatti, le imprese chiudono (anche per mancanza di domanda che, però, dev’essere sostenuta da adeguate iniezioni pubbliche di moneta/reddito aggiuntiva); e solo un coordinamento europeo, internazionale, può assicurare ai paesi, via via o ad intermittenza in situazioni più gravi, di essere riforniti di beni e servizi essenziali che potrebbero scarseggiare.
    (Nino Galloni, “Ai tempi del Corona”, dal blog del Movimento Roosevelt del 22 marzo 2020. Economista post-keynesiano, allievo del professor Federico Caffè, Galloni è vicepresidente del Movimento Roosevelt).

    La grande vittima della pandemia – la prima, ma non sarà l’ultima – è la suprema verità finanziaria: le risorse sono limitate. Può l’emergenza aver modificato una suprema verità? No. Essa era un falso. Come facevano le banche centrali a creare moneta (a costo zero, soprattutto dopo lo sganciamento della moneta stessa dall’oro)? Con una magia di contabilità: al passivo dello stato patrimoniale veniva messo il valore nominale dell’emissione monetaria, all’attivo i titoli; siccome i due valori si eguagliavano (interessi a parte, che potevano andare nel conto profitti e perdite), l’operazione si annullava, cioè si nascondeva. Ma era un artificio che, adesso, risulta evidente: si possono far crescere i debiti (i titoli di Stato, ad esempio) oppure no. Ma, domani, i debiti si potranno: cancellare, monetizzare, cartolarizzare, derivare… Di quanti soldi abbiamo bisogno, nelle attuali circostanze e nel futuro? Finalmente possiamo invertire il paradigma e chiederci: di cosa abbiamo bisogno? E i soldi non ci mancheranno! Unico limite: se le capacità produttive sono tutte utilizzate al massimo, la successiva immissione monetaria non determina effetti reali; ma, adesso, abbiamo bisogno – ad esempio – di mascherine; e possiamo riconvertire aziende tessili e simili, assumere lavoratori, ecc.

  • Carotenuto: la Cina guarisce dal virus, ma non ce lo dicono

    Scritto il 12/3/20 • nella Categoria: segnalazioni • (Commenti disabilitati)

    Questa mattina, per vedere le ultime notizie sul coronavirus, apro il sito dell’Ansa, la principale agenzia di stampa italiana, quella che dà il la alla comunicazione dei media. E trovo il seguente comunicato, che è in comune tra l’agenzia italiana e la francese Afp. Eccolo: «Roma, 6 marzo. La Cina ha riportato 30 nuovi morti legati al coronavirus, 143 nuove infezioni e 16 cosiddetti “contagi di ritorno”, i casi importati da persone arrivate nel paese. Nel complesso, sono 3.042 le persone decedute in Cina per il Covid-19, ha riferito la Commissione sanitaria nazionale (Nhc)». Bene, questo l’aggiornamento. Ma d’istinto non mi fido, visto come viene fatta la comunicazione dei media su certi argomenti, diciamo, “delicati” per l’opinione pubblica. Anche perché nei giorni precedenti una notizia che mi era sembrata importante, era che in Cina l’epidemia stava perdendo forza. Che era quella che mi interessava di più. Ma da questo comunicato proprio non si evinceva. E allora mi sono ricordato di quando – quasi 50 anni fa – ero un giovanissimo praticante giornalista, e dei giornalisti anziani – proprio dell’Ansa – mi diedero un loro libro a scopo istruttivo.
    Il libro era una sorta di manualetto su come presentare, come scrivere una notizia. Nel quale trovai un tesoro di indicazioni su come, scrivendo sempre cose vere, si poteva camuffare, deviare, alterare la verità di certi fatti. E condurre di conseguenza i lettori a farsi un’idea sbagliata dei fatti, o tale da indirizzarli a trarne certe, volute conclusioni. E allora, sulla base di questo ricordo, mi dico: bene, facciamo una verifica. Visto che Ansa e Afp citano la fonte, il governo cinese, vado a vedere cosa scrive il comunicato originale cinese. E cosa scopro? Che nel comunicato Ansa manca un pezzo… e il pezzo, guarda caso, sono le buone notizie: quelle che non vanno troppo evidenziate, se si vuole tenere la gente in tensione. Chi vuole vada a vedere tutto il comunicato cinese del 6 marzo, e si renderà conto del fatto che in quello dell’Ansa manca proprio la parte fondamentale: i dati su quanti sono i guariti del giorno e il loro totale, e su quanto si stanno riducendo i malati.
    E’ questo il classico modo tendenzioso di dare notizie, che segue la linea editoriale attuale di tutti i principali media: esaltare il problema e mandare in panico la gente, per trarre il massimo di benefici nel rafforzare il potere e gli interessi di quei gruppi anti-coscienza dai quali anche i media dipendono. E inoltre terrorizzare non aiuta nemmeno ad allertare maggiormente la gente a prendere le giuste misure di contenimento e igieniche. In effetti non fa altro che mandare in confusione le persone; e anzi, proprio per questo creare ulteriori ansie, agitazione e confusione che rischiano di produrre l’effetto opposto: una minore attenzione logica alle misure da prendere. E allora mi è venuto in mente di fare il contrario: di valutare direttamente – senza l’ulteriore filtro dei media, cosa emerge dai numeri cinesi. Pur sapendo che potrebbero essere in parte manipolati. Ma fiducioso nel fatto che, dopo i primi tentativi falliti di nascondere il problema, Pechino ha optato per una maggiore trasparenza. Confermata da alcune équipes di scienziati e osservatori internazionali che stanno seguendo le vicende sul territorio.
    I numeri dovrebbero essere sostanzialmente giusti, nella direzione di un retrocedere dell’epidemia, anche perché in varie province cinesi stanno diminuendo ufficialmente i livelli di allerta e di misure anti-contagio. Ma vediamoli, questi numeri, partendo da un grafico costantemente aggiornato da parte della John Hopkins University. Ecco, in questo grafico si vede l’andamento del virus: la linea superiore ocra è quella dei contagiati cinesi, quella verde quella dei guariti mondiali, in grandissima parte cinesi, e quella gialla mostra l’andamento dei contagiati nel resto del mondo. Cosa si vede? Che la tendenza dei contagiati cinesi non è più in rapida salita: circa 100-200 contagiati in più al giorno negli ultimi giorni, rispetto ai 3-4000 al giorno di un mese fa. Mentre la linea gialla in basso, dei contagiati del resto del mondo, comincia a salire negli ultimi 10 giorni, anche se ancora per il momento a ritmi inferiori a quelli cinesi.
    Ma quello che è interessante e positivo è che non solo stanno diminuendo di molto i contagiati cinesi; a questo si aggiunge il dato fondamentale espresso dalla linea verde: le guarigioni – soprattutto cinesi – stanno aumentando: tra le 1.770 e le quasi 3.000 al giorno negli ultimi giorni. Il che fa vedere anche graficamente come le due linee, ocra e verde, almeno per quello che riguarda la componente cinese, tendano ad unirsi entro un paio di settimane. Evidenziando una probabile, totale o pressoché totale scomparsa del virus in Cina. Avete sentito sui media qualcuno evidenziare la possibile prossima fine dell’epidemia cinese? Poco o niente, altro è quello che si vuole suscitare nella gente. E per l’Italia e il resto del mondo? Se la tendenza fosse simile, e le misure di contenimento messe in atto dai governi sufficientemente efficaci, l’evoluzione del virus potrebbe essere la stessa.
    In Italia stiamo entrando nella zona di picco, in particolare nelle zone rosse, e potremmo vedere tra non molto una diminuzione analoga a quella cinese dei nuovi casi ed un aumento giorno per giorno dei guariti, fino all’auspicabile esaurimento dell’epidemia. E questo, senza che si sia trovato ancora il vaccino o l’antivirale specifico. Ma esaminiamo ancora meglio e in particolare il caso più eclatante, quello della provincia dell’Hubei, con capoluogo Wuhan (undici milioni di abitanti). E lo facciamo per due motivi: per capire come si comporta questa epidemia in una zona rossa chiusa, dove ormai la gente è esposta al contagio, contagiata, guarita o già morta. E perchè questa provincia ha quasi lo stesso numero di abitanti dell’Italia: 58.500.000.
    Nell’Hubei, come nelle zone rosse ormai chiuse, non si tratta tanto e solo di limitare il contagio per non estenderlo fuori dalla zona rossa, quanto soprattutto di farlo finire. Le autorità cinesi hanno chiuso la zona, compartimentato, isolato le persone in casa, anche con estrema durezza, e costruito ospedali in tutta fretta. Reagendo forse con minore preparazione della nostra, presi di sorpresa dall’esplodere del virus, che probabilmente circolava già da qualche mese nella provincia senza suscitare alcun allarme. Vediamo allora la sintesi di cosa è successo e di cosa sta succedendo nell’Hubei in questa tabella, i cui dati sono estratti dai bollettini del governo cinese. Da questi dati si vede che nell’Hubei il 5 febbraio c’è stato il massimo di nuovi contagiati giornalieri, ancora relativamente pochi morti, e pochi guariti. Poi il 19 febbraio si arriva al punto di svolta: i guariti superano i contagi giornalieri, improvvisamente di parecchio: 1.209 guariti rispetto a 349 contagiati.
    E infine i dati del 5 marzo, quando l’evoluzione dell’epidemia ha progressivamente prodotto molti meno contagiati giornalieri, fino a 126, un numero più limitato di morti, 29, e soprattutto un numero più elevato di guarigioni, 1487. E molto interessante appare il fatto che nei totali, sulla destra della tabella, al momento del punto di svolta del 19 febbraio, su 62.031 contagiati ne erano guariti 10.337 e ne rimanevano da guarire 49.665, mentre ora su 67.592 ne sono guariti ben 41.956 e ne rimangono da guarire molti di meno: 22.695. E vediamo anche qualche dato percentuale di bilancio su questa vicenda sia nell’Hubei che in tutta la Cina. Cosa si vede? Che fino ad ora le percentuali di contagiati e di morti sono veramente minime, anche in relazione alla sola provincia dell’Hubei, di gran lunga fino ad ora il principale focolaio del mondo: 0,12% di contagiati e 0,005% di morti.
    Se tutto andasse secondo quanto prevedibile dagli andamenti statistici attuali, alla fine dell’epidemia la provincia-focolaio dell’Hubei avrà avuto circa 3.500 morti, pari allo 0,006% della sua popolazione. A meno di inattese riprese della virulenza dell’epidemia. Vediamo ora se da questi dati possiamo trarre qualche considerazione che riguarda la situazione italiana. Prima di tutto diciamo che nelle prossime settimane vedremo quando si raggiunge il picco, vale a dire il massimo di contagi giornalieri, quando questi cominciano a diminuire, e poi osservando quando si verifica il punto di svolta, quando i guariti giornalieri pareggeranno i contagiati, e poi finalmente quando i guariti giornalieri cominceranno ad essere sostanzialmente superiori ai nuovi contagi. E capiremo meglio le dimensioni del fenomeno che ci riguarda ed i suoi prevedibili tempi. Andasse nella maniera peggiore, come nell’Hubei, cosa che al momento riteniamo alquanto remota, avremmo 3.500 morti.
    In questa ipotesi ne potremmo avere anche di più, perché la percentuale di popolazione molto anziana italiana è superiore a quella cinese. Sarebbe qualcosa di drammatico, certamente, ma comunque non al di là di quello al quale siamo abituati ogni anno, anzi forse meno. Infatti, secondo una stima del nostro Istituto Superiore di Sanità, ogni anno ci sono in Italia dagli 8 ai 12.000 morti per la normale influenza. Con tutto che i vaccini anti-influenzali ci sono e vengono usati da circa metà della popolazione anziana. Quindi non andiamo in panico. Aspettiamo serenamente che l’epidemia passi, rinviando svaghi, vacanze e impegni laddove è possibile: non durerà per sempre. Sopportiamo il peso anche economico delle conseguenze dell’epidemia, con pazienza e fiducia. E osserviamo le misure cautelari che vengono indicate, più che altro per salvaguardare gli anziani in peggiori condizioni fisiche: più si espande il virus, più sono destinati a morirne.
    Non facciamoci prendere da ansie e paure immotivate, che favoriscono una maggiore presa su di noi da parte dei vari poteri di manipolazione, che sfruttano questo virus per condizionare la nostra psiche, dirigendola verso pensieri e scelte a loro favorevoli: per chi vuole convincerci a prendere per paura più farmaci e vaccini, anche quando non servono e ci ammalano; per chi vuole renderci sempre più dipendenti dalle macchine, dall’elettronica, e avvolgerci in una rete digitale disumanizzante e pericolosa per la salute; per chi vuole farci lavorare e studiare da soli, chiusi in una stanza, a contatto solo con una macchina, invece che nella meravigliosa esperienza di crescita della interazione umana con gli altri: gli insegnanti, i colleghi, i parenti, gli amici… E allora noi adottiamo un atteggiamento di vera e propria resistenza morale: prima di tutto informiamoci bene, per sfuggire alle sirene portatrici di disastri dei media; e portiamo ancora più al centro della nostra vita e del nostro tempo i valori umani, gli scambi di bene tra individui, gli ideali elevati, il rapporto con la natura, lo sforzo creativo del bene da fare ogni giorno. Fare questo ogni giorno, proprio nonostante le continue aggressioni alla nostra psiche e ai nostri corpi, ci renderà interiormente molto più forti ed evoluti nella giusta direzione della coscienza.
    (Fausto Carotenuto, “Coronavirus, cosa avviene veramente in Cina e quanto riguarda l’Italia”, dal blog “Coscienze in Rete” del 6 marzo 2020).

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