Archivio del Tag ‘regime’
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Massimo Fini: addio Bossi, tramonta l’ultimo politico vero
La Lega è un prodotto del più grande sconvolgimento avvenuto in Europa nel dopoguerra, il tracollo dell’Unione sovietica, che portò alla fine di un Impero, alla liberazione dei ‘Paesi satelliti’, delle Repubbliche baltiche, alla riunificazione della Germania, alla disgregazione della Jugoslavia. Più modestamente in Italia molti elettori che per decenni avevano votato, turandosi il naso, per la Dc, il Psi, il pentapartito, scomparso il pericolo comunista, rivolsero la loro attenzione a questo movimento strano e nuovo, nel linguaggio, nei contenuti, nei programmi e nella dichiarata intenzione di dare battaglia alla partitocrazia, alle sue pratiche clientelari e lottizzatrici, alla sua corruzione di sistema. Contro la Lega i partiti, le tv, i giornali (tutti, perché tutti erano compromessi con la Prima Repubblica) organizzarono un fuoco di sbarramento quale non si era visto nemmeno all’epoca delle Brigate Rosse.
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La fine di Bossi, la Resistenza e i tecnocrati del tricolore
Correva l’anno 1997, il comandante partigiano era calabrese ma la sua divisione aveva difeso dai nazifascisti le montagne del Piemonte, intorno alla valle di Susa. Era una piccola armata mista, fatta di piemontesi e di “terroni” come il primo organizzatore dei ribelli, l’alpino abruzzese che li aveva raggruppati in montagna dopo l’8 settembre del ’43. Allora, i nemici che avevano di fronte erano due: fascisti e tedeschi. Ma quel giorno del ’97, il nemico divenne uno solo: l’esercito nazista. Le brigate nere furono semplicemente cancellate dalla memoria ufficiale. Italiani-contro? Guerra civile? Niente: colpo di spugna. Una storia troppo pericolosa da ricordare, dato che nell’aria spirava un altro “vento del Nord”, quello della secessione leghista. Meglio dunque fingere che la Resistenza fosse stata solo una guerra patriottica. Peccato che il massimo cerimoniere della mistificazione fosse nientemeno che l’uomo del Colle, il presidente della Repubblica.
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Diaz, undici anni dopo: chi ha paura di quel film-verità?
La furia dei tonfa, i manganelli dall’impugnatura a T: un rumore raggelante di braccia e gambe spezzate. Sangue e materia cerebrale che allagano il parquet della palestra scolastica, schizzano sugli intonaci, gocciolano dai termosifoni. «Un sabba infernale di grida e lamenti che hanno il suono osceno di bestie portate al macello», scrive Carlo Bonini su “Repubblica” il 24 marzo dopo aver visto in anteprima – insieme a due poliziotti e ad una delle vittime – il film sulla “macelleria messicana” alla scuola Diaz di Genova il 21 luglio 2001, girato da Daniele Vicari e prodotto da Domenico Procacci. Un film arduo: pochissime riprese a Genova per evitare disagi, e i mezzi della polizia usati per le riprese – furgoni e blindati – sequestrati per accertamenti al ritorno da Bucarest, dov’era stato allestito il set. Invitati all’anteprima, i politici – senza spiegazioni – non si sono fatti vedere né a Palermo né a Torino, dove in compenso hanno inviato i vigili urbani a verificare orari e capienza della sala.
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Licenziare per crescere? Barnard: siete bugiardi e criminali
Licenziare per crescere? Follia, ossimoro. Ma attenti: il nuovo dogma riciclato dal club di Mario Monti in realtà è roba vecchia. La coniò cent’anni fa l’economista inglese Arthur Cecil Pigou, alfiere della scuola “neoclassica” europea, nemica dell’economia democratica fondata sulla condivisione progressiva della ricchezza prodotta. Quello di Pigou non era un errore, ma un calcolo: impoverire milioni di lavoratori significa innanzitutto concentrare fortune inaudite nelle mani di pochissimi “rentiers”, veri eredi dei nobili che in Francia nel 1789 esasperarono il paese fino a far scoppiare la Rivoluzione. Come può un lavoratore amputato nel reddito essere poi colui che consuma abbastanza da sorreggere l’economia a cui l’azienda stessa si rivolge? E, come disse Keynes: in un’economia che soffre per il calo dei consumi, a loro volta come fanno le aziende ad assumere lavoratori?
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Galtung: licenza di uccidere, su ordine del fascista Obama
Barack Obama? Il capo di una «nazione-killer», che – per cercare di rallentare il proprio inesorabile declino imperiale – sperimenta un nuovo «fascismo globale», senza frontiere, fatto di terrorismo di Stato e uccisioni mirate ma molto imprecise, con migliaia di vittime civili. Lo afferma l’insigne sociologo norvegese Johan Galtung. In piena crisi, incalzato dai repubblicani, Obama «si rigioca il trucco retorico progressista che lo ha portato al potere nel 2008», anche se appena due anni dopo «si è svelato il bluff», subito punito dal rovescio elettorale delle votazioni di medio termine. Il pericolo? Si chiama fascismo, dice letteralmente Galtung, che avverte: «Ce n’è una varietà nazionale e una globale». Obama spia gli americani violando la loro privacy. E in più, addestra reparti-killer per eliminare segretamente “nemici” in tutto in mondo, americani e non.
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Bengasi contro Tripoli: la Libia sarà la nuova Somalia
Un’assemblea delle tribù e delle milizie riunita a Bengasi ha dato vita al “Consiglio provvisorio di Barqa”, Cirenaica, chiedendo la piena autonomia della regione da Tripoli. Mustafa Abdel Jalil, presidente del Cnt fino alle prossime elezioni di giugno, ha definito l’iniziativa la «sedizione dell’est» accusando non meglio precisati «paesi arabi» di avere fomentato la «cospirazione». Poi la minaccia: «Devono sapere che gli infiltrati e i fedelissimi dell’ex regime tentano di utilizzarli e noi siamo pronti a dissuaderli, anche con la forza». Replica Hamid Al-Hassi, capo militare della Cirenaica: «Siamo pronti a dare battaglia. Siamo dunque a quel rischio di guerra civile che lo stesso Jalil paventava di fronte all’anarchia delle milizie che spadroneggiano in Libia». La Libia “liberata” dalla Nato sta per diventare la nuova Somalia?
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Nazisti bianchi: grazie a loro, ormai la verità è fuorilegge
Un parlamento di camerieri sta portandoci via la Costituzione a colpi di maggioranze bulgare. Camerieri di chi? Dei “proprietari universali”, quelli che – Giulio Tremonti dice – stanno pian piano portandoci in un “nazismo bianco”. Chissà poi perché bianco. Forse perché di carta; carta come il denaro che creano; carta come i nostri risparmi; carta perché lo possono bruciare quando fa loro comodo. Camera e Senato stanno votando l’introduzione del pareggio in bilancio nella Costituzione italiana. La maggioranza dei due terzi è assicurata dall’inesistenza dell’opposizione. L’inesistenza dell’opposizione conferma che il parlamento è fatto di camerieri. Il circolo è chiuso.
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La guerra di Fabio, a tu per tu con Gheddafi morto
Disertori e civili, giovani e non. Tutti originari di Zawiya e tutti volontari della guerra civile contro Gheddafi, la loro “rivoluzione”. «Vuoi venire con noi? E va bene, ma sappi che rischierai la pelle». Lui lo sa perfettamente: si chiama Fabio, è di Torino, ha in tasca una laurea in ingegneria ma, a trent’anni, ha deciso di gettarsi nella passione della sua vita: la fotografia di guerra, direttamente dal fronte. Per questo è accorso a Bengasi allo scoppio della rivolta, poi ha seguito i combattimenti a Brega e Ras-Lanuf, quindi ha deciso di seguire i suoi compagni di avventura, la squadra di combattenti di Zawiya, fino alla destinazione finale: Tripoli. Dopo la presa della capitale, Fabio si è spinto nella nella “città proibita” di Sirte, santuario blindato del morente regime e teatro della battaglia definitiva. Ed è stato il primo reporter al mondo a realizzare, a Misurata, i primi scatti “fermi” al corpo ormai senza vita di Muhammar Gheddafi.
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Anche l’Italia tra gli sconfitti della guerra contro Gheddafi
Gheddafi voleva una moneta unica africana, sostenuta dai proventi del petrolio, per uno sviluppo autonomo dell’Africa, capace di sganciare il continente nero dal controllo dell’Occidente: scommessa stroncata sul nascere, con la guerra. Un golpe, travestito da rivoluzione: non che i libici fossero felici di subire la spietata dittatura di Gheddafi, ma i leader della “nuova Libia” – tutti quanti: Jalil, Jibril, Younis – erano i più stretti collaboratori del “macellaio di Tripoli”. Qualcuno lo aveva capito fin dall’inizio: mentre le folle di Tunisi e del Cairo avevano assediato i palazzi del potere, il 17 febbraio 2011 erano stati gruppi armati ad attaccare posti di polizia e sedi governative a Bengasi. Operazione celebrata dai media come “lotta di liberazione”, in realtà pianificata da Parigi e Londra con l’appoggio di Washington, e totalmente subita da Roma: Berlusconi quella guerra non la voleva, e nel deserto libico l’Italia ha perso una quota molto rilevante della propria sovranità energetica.
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Salviamo la Grecia dai suoi salvatori: sono dei criminali
Nel momento in cui un giovane greco su due è disoccupato, 25.000 persone senza tetto vagano per le strade di Atene, il 30 per cento della popolazione è ormai sotto la soglia della povertà, migliaia di famiglie sono costrette a dare in affidamento i bambini perché non crepino di fame e di freddo e i nuovi poveri e i rifugiati si contendono l’immondizia nelle discariche pubbliche, i “salvatori” della Grecia, col pretesto che i Greci «non fanno abbastanza sforzi», impongono un nuovo piano di aiuti che raddoppia la dose letale già somministrata. Un piano che abolisce il diritto del lavoro e riduce i poveri alla miseria estrema, facendo contemporaneamente scomparire dal quadro le classi medie.
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Forze inglesi a Damasco, non è Assad a massacrare i siriani
Stanno macellando la Siria, a cannonate: non i presunti “boia” del regime di Assad, ma i brutali miliziani armati dall’Occidente. «Sono loro che ci terrorizzano», dichiara un testimone in una drammatica intervista realizzata a Homs dalla prestigiosa giornalista indipendente Silvia Cattori: «Ci minacciano se solo mettiamo il naso fuori di casa, siamo noi a chiamare l’esercito in nostro aiuto». E la versione dei media, che propongono una rivolta popolare contro l’oppressione della dittatura? Un diluvio di menzogne, senza uno straccio di prova. Per questo, Russia e Cina hanno posto il veto all’Onu contro una risoluzione anti-Assad. Ma c’è di peggio: oltre alla “legione libica” proveniente da Bengasi, in Siria – contro l’esercito di Damasco – sarebbero in azione reparti scelti del Qatar e addirittura forze speciali inglesi.
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Debito sovrano e moneta alternativa: a lezione dai nazisti
I tedeschi hanno il terrore che l’eccesso di debito pubblico spinga la Bce a stampare grandi quantità di moneta, facendo scoppiare l’inflazione. Intransigenza sui bilanci da risanare, niente emissione di Eurobond e zero acquisti di titoli del debito pubblico da parte della Bce: la cancelliera Merkel sta spingendo l’Europa in una pericolosa recessione e in una crisi di fiducia che potrebbero avere conseguenze devastanti. Ma i tedeschi dovrebbero ricordarsi di ciò che accadde dopo la Prima Guerra Mondiale, avverte Stefano Sylos Labini dal blog “Sbilanciamoci”: solo lo Stato, attraverso l’emissione di “moneta alternativa”, permise di far uscire la Germania dal baratro nel quale era sprofondata. Titoli pubblici non spendibili, disoccupazione, imprese ferme: un’enorme disponibilità potenziale, che gli Stati europei potrebbero sbloccare trasformando i titoli di Stato in moneta complementare.