Archivio del Tag ‘regionali’
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Brava Cina: capitalismo sociale, da noi inventato e perduto
Noi siamo abituati a pensare in termini eurocentrici, ma il mondo non è l’Europa, e lo sarà sempre meno se non capiamo politiche economiche che noi stessi abbiamo inventato, ma abbiamo abbandonato. In Cina c’è una “festa salariale”: il governo ha deciso di non tassare stipendi fino a 5.000 Yuan. Ha deciso di inserire detrazioni fiscali importanti se si hanno figli a scuola o genitori a carico. Ha deciso di poter detrarre spese mediche fino a 6.0000 Yuan l’anno (7.500 euro). Facciamo degli esempi: un operaio, da 4.500 Yuan ne prenderà 5.000 (prima era tassato al 10%). Un’impiegata, da 6.000 Yuan ne prenderà 8.000, perché ha figli a scuola e genitori a carico. Un responsabile da 9.300 Yuan che pagava il 25% di tasse avrà solo 31 Yuan di trattenute, perché ha un figlio a scuola e sta pagando un mutuo. Queste detrazioni diminuiranno se gli stipendi saranno accumulati oltre una certa misura, invogliando i lavoratori a fare spese per la propria famiglia. Cosa sta veramente facendo il governo cinese? Sta ponendo le basi per un welfare, attraverso la leva fiscale, che ha come scopo dare tranquillità salariale ai lavoratori cinesi.I cinesi non dovranno più preoccuparsi di aumentare il risparmio precauzionale. Stanno, in questo modo, orientando i consumi verso il mercato interno; e di conseguenza, anche il lavoro e la produzione saranno dedicati a questo mercato. Far crescere il salario sociale delle varie classi di lavoratori ha lo scopo di proteggersi dalle crisi sistemiche tipiche dell’Occidente, attraverso la crescita della domanda interna e un minor apporto di lavoro per le esportazioni. Cioè l’esatto contrario della strategia ordoliberista dell’Unione Europea. Il governo, con queste misure, aumenterà il rapporto deficit/Pil al 2,8%, ma molti analisti pensano che il Consiglio di Stato porterà il deficit/Pil al 5%, per rispondere alle crisi mondiali che sembrano convergere fra loro, in una specie di super-massa, o super-bolla.Aumentando il debito pubblico e diminuendo il risparmio precauzionale depositato dai cittadini, la banche pubbliche dirotteranno i loro enormi attivi verso la spesa pubblica e non più a investimenti privati che provocano, ormai da tempo, sovrapproduzione. L’impatto delle misure lo vedremo nei prossimi mesi. In buona sostanza, il governo cinese vuole evitare i danni che il capitalismo spinto produce, vuole distribuire i suoi frutti e armonizzarlo in un capitalismo più sociale, cosa che nel laboratorio-Italia si stava facendo, negli anni ‘60 del secolo scorso. Questa dinamica di crescita del mercato interno cinese potrebbe generare una crescita anche nel resto del mondo, in quota parte, per i prodotti che importeranno. Gli Usa hanno capito la posta in gioco, e non a caso premono per entrare in questo mercato. In Europa invece sono tutti intenti a varare norme e regole che strozzano i salariati: un continente che ormai vive in un altro mondo, e dallo stesso sarà buttato fuori.(Roberto Alice, “Mercato interno”, dal blog del Movimento Roosevelt del 4 marzo 2019. Appassionato studioso di economia e collaboratore del blog “Scenari Economici” diretto da Antonio Maria Rinaldi, Roberto Alice sarà tra i candidati del Movimento 5 Stelle alle elezioni regionali del Piemonte, maggio 2019).Noi siamo abituati a pensare in termini eurocentrici, ma il mondo non è l’Europa, e lo sarà sempre meno se non capiamo politiche economiche che noi stessi abbiamo inventato, ma abbiamo abbandonato. In Cina c’è una “festa salariale”: il governo ha deciso di non tassare stipendi fino a 5.000 Yuan. Ha deciso di inserire detrazioni fiscali importanti se si hanno figli a scuola o genitori a carico. Ha deciso di poter detrarre spese mediche fino a 6.0000 Yuan l’anno (7.500 euro). Facciamo degli esempi: un operaio, da 4.500 Yuan ne prenderà 5.000 (prima era tassato al 10%). Un’impiegata, da 6.000 Yuan ne prenderà 8.000, perché ha figli a scuola e genitori a carico. Un responsabile da 9.300 Yuan che pagava il 25% di tasse avrà solo 31 Yuan di trattenute, perché ha un figlio a scuola e sta pagando un mutuo. Queste detrazioni diminuiranno se gli stipendi saranno accumulati oltre una certa misura, invogliando i lavoratori a fare spese per la propria famiglia. Cosa sta veramente facendo il governo cinese? Sta ponendo le basi per un welfare, attraverso la leva fiscale, che ha come scopo dare tranquillità salariale ai lavoratori cinesi.
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Magaldi: Grillo in declino, senza idee. Orfano di Casaleggio
Bei tempi, quando Beppe Grillo attraversava a nuoto lo Stretto di Messina. Grande performance da sempre, lo spettacolo del vitalismo anche fisico del leader, come già Mao nello Yangtze. Era il 12 ottobre 2010, e l’autoironico Vaffa-man aveva 64 anni. Poco prima, ai NoTav “assediati” dalla polizia in valle di Susa, aveva detto: «Un bel giorno, un pugno di cinesi si misero in marcia e alla fine la vinsero, la loro rivoluzione. Bene, ascoltate: voi oggi siete quei cinesi». Era il Grillo che nel 2008 aveva tentato di concorrere alle primarie del Pd, rimediando le pernacchie del profetico Fassino: «Se vuol fare politica, Grillo si accomodi: può sempre fondare un suo partito». Detto fatto: l’ha fondato, ha battuto il Pd nel 2013 alla Camera e adesso, dopo l’alluvione di voti del 2018, è addirittura al governo (dopo aver sfrattato Fassino persino dal Comune di Torino). Ma a quanto pare, l’unica traccia della ventilata rivoluzione, ben poco “cinese”, è la lealtà dei 5 Stelle verso i NoTav, contro la grottesca Torino-Lione. Tutto il resto è evaporato nello zero-virgola del governo gialloverde, dopo le roboanti promesse della vigilia. Ecco perché oggi Grillo deve affrontare la peggiore delle nemesi, con gli ex supporter che bruciano le bandiere grilline davanti al teatri dove l’ex comico si esibisce. Tradimento? Questione di termini. Ma come chiamarla, la burla del finto reddito di cittadinanza, il sussidio nel quale il Sud aveva creduto in massa? L’altro guaio è che il nuotatore dello Stretto è rimasto solo, dopo aver perso Gianroberto Casaleggio.Tra chi se l’aspettava, la grigia parabola pentastellata, c’è il presidente del Movimento Roosevelt, Gioele Magaldi, osservatore privilegiato della scena italiana e autore del bestseller “Massoni” (Chiarelettere, 2014) che fotografa l’identità supermassonica dei peggiori globalizzatori. Una cupola reazionaria, che ha fondato l’attuale oligarchia del denaro chiamata neoliberismo: pochi ricchissimi, a spese della classe media che si sta impoverendo ovunque. O si cambia radicalmente paradigma, riesumando Keynes – con lo Stato che torna a investire massicciamente, non certo con deficit ridicoli come quello messo insieme dal governo Conte – o prima o poi assisteremo a una ribellione turbolenta e pericolosa. E a bruciare bandiere potrebbero non essere più solo i grillini delusi. In diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”, Magaldi evoca scenari cupi: dato che in Europa la maggioranza della popolazione sta sempre peggio, precarizzata e terremotata dalle politiche di rigore, è impensabile che si continui così, cioè raccontando – all’infinito – che lo Stato deve “risparmiare”. Prendiamo l’Italia, in avanzo primario da anni: il governo toglie ai cittadini (con le tasse) più soldi di quanti ne conceda in servizi (spesa pubblica). Il saldo, per i contribuenti, è negativo. Risultato: disoccupazione record, Pil crollato, perso il 25% del potenziale industriale. Di fronte a questo, valgono poco i minuetti di Di Maio e le ciance bellicose e velleitarie di Di Battista.Solo teatro, per canalizzare il dissenso dirottandolo verso obiettivi innocui? Secondo Magaldi, la storia poteva finire diversamente se Gianroberto Casaleggio non fosse prematuramente scomparso, nel 2016. L’ideologo grillino aveva quello che agli altri manca: una visione. Era persino riuscito a convertire al messianismo del web un uomo come Grillo, che un tempo – nei suoi show – fracassava i computer. Non è il caso di santificarlo, Casaleggio senior: aveva i suoi difetti, ammette Magaldi. Per esempio: lo slogan fondante dell’identità grillina, l’idolatria dell’onestà, «ricorda da vicino la “questione morale” agitata dal Berlinguer che convise gli operai a ingoiare l’austerità, la rinuncia ai loro diritti sociali». Per intenderci: «L’onestà non può essere un valore politico: chi ruba deve vedersela coi magistrati, prima che con gli elettori». Una falsa pista, che avvelena l’aria: «La pretesa “diversità morale” dei comunisti italiani, sempre pronti a presentarsi come gli unici onesti in un mondo politico corrotto – dice Magaldi – rivela il vizio storico di quel comunismo che poi, ovunque sia salito al potere, ha creato oligarchie autoritarie e antidemocratiche».Se non altro, al di là delle fascinazioni berlingueriane – aggiunge il presidente del Movimento Roosevelt – Casaleggio si sforzava di proiettare l’oggi nel domani, sulla base di una precisa visione del futuro. Fino a “fabbricare” da zero una nuova leva della politica italiana, spinta da speranze pulite. E’ un fatto innegabile, e si è verificato grazie al coraggio dello stesso Grillo, pronto a sparare i suoi “vaffa”– in assoluta solitudine – contro una casta impresentabile e decadente, avvinghiata ai propri privilegi mentre il paese scivolava verso il baratro della crisi. Poi, però, alla prova dei fatti, l’alternativa ha rivelato giorno per giorno la sua inconsistenza. Programmi deboli, poche idee, città come Roma amministrate in modo inguardabile. Idem il governo: ordinaria amministrazione, sotto la scure di Bruxelles. Cos’è mancato? «Un impianto ideologico solido, alternativo al dogma neo-aristocratico del neoliberismo». Casaleggio avrebbe potuto cambiare il corso delle cose? Forse sì, sostiene Magaldi, anche in base a un indizio rivelatore: «Aveva disposto che il mio saggio, “Massoni”, venisse presentato col massimo risalto sul web grillino. Obiettivo: insegnare ai pentastellati a distinguere tra massoni corretti e massoni sleali, senza sparare nel mucchio. Oggi invece il Movimento 5 Stelle demonizza la massoneria nel suo insieme, con una discriminazione che è pure incostituzionale. E lo fa in modo spregevolmente ipocrita: sa benissimo, infatti, che il governo gialloverde pullula di massoni, sia tra i ministri che tra i sottosegretari».Per inciso: era massone anche Gianroberto Casaleggio, spiega Magaldi, che in un libro di prossima uscita dettaglierà l’identità massonica dell’ideologo pentastellato. «Il problema – dice – è che la massonofobia è indice di fragilità: se sei debole, cioè senza veri argomenti, hai paura del massone, perché temi che sia più forte di te, in quanto dotato di una maggiore solidità ideologica». E non è vero nemmeno questo: «Oggi, purtroppo, le obbedienze massoniche italiane sono piene di “peones” confusi, che non rappresentano un pericolo per nessuno». La vera massoneria che conta è quella delle Ur-Lodges sovranazionali, che colonizzano le istituzioni italiane, europee e mondiali. Nel suo libro, Magaldi ne smaschera le trame, facendo nomi e cognomi e mettendo alla berlina i supermassoni neo-feudali. E questo, a Gianroberto Casaleggio piaceva: «Ebbi con lui uno scambio breve ma intenso», rivela l’autore. «Resto convinto che sarebbe stato proficuo, il nostro incontro, a partire dal banco di prova delle elezioni comunali di Roma, dove avevamo proposto di affiancare, al gruppo di Virginia Raggi, l’esperienza e la capacità di un economista post-keynesiano come Nino Galloni, vicepresidente del Movimento Roosevelt». Forse ci sarebbe stato il tempo di arrivare alle politiche 2018 con programmi meno volatili e con basi economiche assai più solide, da contrapporre all’ordoliberismo disonesto di Bruxelles, incarnato dai tecnocrati della Disunione Europea, tutti al servizio di inconfessabili interessi privatistici.Invece siamo arrivati al rogo delle bandiere grilline, in Puglia: «Piuttosto ovvio, se avevi promesso un vero reddito di cittadinanza. Cioè, tecnicamente: soldi che lo Stato dovrebbe assegnare a chiunque, a prescindere dal reddito». Una selva di contraddizioni: «Al Sud è molto rilevante l’economia sommersa: il sussidio elargito da Di Maio potrebbe finire a famiglie che campano di lavoro nero, a scapito di famiglie – magari meno abbienti – che invece le tasse le pagano». Meglio, sostiene Magaldi, l’alternativa proposta dal Movimento Roosevelt: il diritto al lavoro sancito per legge dalla Costituzione. Ovvero: lo Stato sarebbe obbligato ad assorbire la disoccupazione. Si parlerà anche di questo, il 30 marzo a Londra, al convegno internazionale promosso alla Westminster University. Tra i relatori lo stesso Galloni, accanto a Ilaria Bifarini, Antonio Maria Rinaldi, Danilo Broggi, Guido Grossi. «Ci sarà anche Pino Cabras, deputato 5 Stelle», annuncia Magaldi: «Storico collaboratore di Giulietto Chiesa, Cabras fece un’ottima presentazione del libro “Massoni” in Sardegna. Qualcuno, nel Movimento 5 Stelle, lo ha dissuaso dal partecipare all’evento di Londra. Ma lui ha la schiena diritta, e sa bene che vale la pena misurarsi con noi: insieme a svariati interlocutori europei, nella capitale britannica avremo modo di mettere a fuoco un vero piano per l’uscita strutturale dall’euro-crisi, che viene presentata come economica e invece è interamente politica».C’è bisogno di tutte le forze spendibili, insiste Magaldi, per rompere l’incantesimo della paura: la demonizzazione del deficit porta direttamente al declino, attraverso l’austerity. Il che è folle, in un mondo che non è mai stato così ricco di risorse e tecnologie. Quello che serve è “un New Deal rooseveltiano per l’Europa”, ispirato a Keynes: è il modello che – espandendo la spesa strategica – ha storicamente prodotto benessere diffuso, in tutto l’Occidente. Passaggio obbligato: trovare il coraggio politico di dire “no” al pensiero unico che ha inquinato cancellerie, ministeri e tecnocrazie, trasformando la governance europea in un incubo orwelliano fondato sulla post-verità. Verrà il giorno, dice Magaldi, in cui gli oligarchi soccomberanno. «E alla fine ci ringrazieranno – aggiunge – perché, senza un’inversione di rotta, la situazione sociale in tutta Europa si farà insostenibile», come dimostrano in modo squillante gli stessi Gilet Gialli in Francia. Certo, la rivoluzione della trasparenza ha un costo: ne sapeva qualcosa il leader svedese Olof Palme, assassinato a Stoccolma nel 1986. Voleva un’Europa libera e socialdemocratica, con pari opportunità per tutti. Valori fondanti: come il socialismo liberale di Carlo Rosselli, assassinato dai fascisti e detestato dai comunisti, e il sovranitarismo panafricano per il quale perse la vita Thomas Sankara, leader rivoluzionario del Burkina Faso, portavoce della ribellione contro la schiavitù neo-coloniale del debito.Rosselli, Palme e Sankara sono le tre icone che il Movimento Roosevelt ha scelto di illuminare, al convegno in programma il 3 maggio col patrocinio del Comune di Milano, alla vigilia delle europee: un’occasione – anche – per pesare le intenzioni dei candidati dei vari schieramenti politici in rotta verso Strasburgo. A che punto è la notte del neoliberismo? Lo capisce, il Pd zingarettiano, che per aiutare l’Italia deve buttare a mare 25 anni di fallimentare centrosinistra? Si rende conto, la Lega di Salvini, che non basta alzare dighe contro i disperati che arrivano dall’Africa? E i 5 Stelle, a loro volta, che intenzioni hanno? In Europa pensano di fare la stessa melina che stanno inscenando a Roma – ottenendo il falò delle loro bandiere e il tracollo dei consensi alle regionali – o comprendono che è il caso di compiere un drastico cambio di passo, come forse lo stesso Casaleggio avrebbe raccomandato? Magaldi ha idee terribilmente chiare: serve un network trasversale di politici “bonificati” dalla bugia neoliberista. Un’Europa democratica, sovrana, liberalsocialista. Investimenti robusti, epocali, per relegare il fantasma dello spread nella spazzatura della storia. Come ci si può arrivare? Formando politici nuovi, in tutta Europa. La consapevolezza del cambiamento crescerà in modo inesorabile, sostiene Magaldi. Fino al bel giorno in cui qualcuno dovrà mandare a stendere i signori di Bruxelles. Con ben altro coraggio che quello sin qui dimostrato dal governo Conte, e dai 5 Stelle smarriti e orfani di Casaleggio.Bei tempi, quando Beppe Grillo attraversava a nuoto lo Stretto di Messina. Grande performance da sempre, lo spettacolo del vitalismo anche fisico del leader, come già Mao nello Yangtze. Era il 12 ottobre 2012, e l’autoironico Vaffa-man aveva 64 anni. Poco prima, ai NoTav “assediati” dalla polizia in valle di Susa, aveva detto: «Un bel giorno, un pugno di cinesi si misero in marcia e alla fine la vinsero, la loro rivoluzione. Bene, ascoltate: voi oggi siete quei cinesi». Era il Grillo che nel 2008 aveva tentato di concorrere alle primarie del Pd, rimediando le pernacchie del profetico Fassino: «Se vuol fare politica, Grillo si accomodi: può sempre fondare un suo partito». Detto fatto: l’ha fondato, ha battuto il Pd nel 2013 alla Camera e adesso, dopo l’alluvione di voti del 2018, è addirittura al governo (dopo aver sfrattato Fassino persino dal Comune di Torino). Ma a quanto pare, l’unica traccia della ventilata rivoluzione, ben poco “cinese”, è la lealtà dei 5 Stelle verso i NoTav, contro la grottesca Torino-Lione. Tutto il resto è evaporato nello zero-virgola del governo gialloverde, dopo le roboanti promesse della vigilia. Ecco perché oggi Grillo deve affrontare la peggiore delle nemesi, con gli ex supporter che bruciano le bandiere grilline davanti al teatri dove l’ex comico si esibisce. Tradimento? Questione di termini. Ma come chiamarla, la burla del finto reddito di cittadinanza, il sussidio nel quale il Sud aveva creduto in massa? L’altro guaio è che il nuotatore dello Stretto è rimasto solo, dopo aver perso Gianroberto Casaleggio.
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Zingaretti pro-Tav: s’incunea tra i 5 Stelle, Salvini e Maroni
L’elezione plebiscitaria di Nicola Zingaretti alla guida del Pd inaugura una nuova stagione per il governo Conte: «Quella del tiro alla fune, con in mezzo una banderuola chiamata Movimento 5 Stelle». La scelta di Torino come prima tappa del “nuovo” Pd è simbolica, scrive Antonio Fanna sul “Sussidiario”: puntando sul Tav Torino-Lione, Zingaretti prova a dare «uno strattone alla fune per accentuare lo sfilacciamento nella maggioranza». In questo modo, il neo-segretario Pd s’incunea tra Lega e 5 Stelle, gettando sale sulla ferita: bruciano «le differenze tra i contraenti del contratto di governo, che nel braccio di ferro sulla Tav stanno giocando una partita molto rischiosa». Il calo elettorale, spiega Fanna, non consente ai 5 Stelle di cedere altro terreno a Salvini. E dal canto suo, il leader leghista «deve tenere duro sul fronte degli investimenti al Nord», dal momento che «non può permettersi che un ex di lusso come Roberto Maroni arrivi a ipotizzare un nuovo partito del Nord, autonomista e rappresentativo dei ceti produttivi che si sentono sempre più trascurati». Brinda il cartello trasversale pro-Tav: la grande opera inutile, doppione della ferrovia attuale, ottiene una nuova chance grazie alle debolezze dei gialloverdi.La svolta alla segreteria Pd, sottolinea Fanna, segna l’apertura della caccia al voto grillino, «un movimento che oggi sembra composto più da delusi che da militanti convinti». Torino è pur sempre la città in cui il Movimento 5 Stelle ha mandato a casa un dinosauro come Piero Fassino. Ora però i pentastellati «potrebbero subire una nuova batosta alle regionali, dopo quelle rimediate in Abruzzo e Sardegna». Molti delusi, aggiunge Fanna, «sono andati a ingrossare l’esercito dell’astensionismo, che in Sardegna ha toccato quasi il 50%». Rappresentano quindi un vasto bacino elettorale da riconquistare, e il Pd zingarettiano «sembra non volere più lasciare campo libero alla Lega, che in questo momento fa man bassa di consensi». I sondaggi dicono che il Pd sta recuperando, e che il voto delle ultime due regionali – con i 5 Stelle che scivolano al terzo posto, rilanciando l’antico “bipolarismo apparente” tra centrodestra e centrosinistra – indica una tendenza che investe tutto il paese. Ma non è tutto, aggiunge Fanna: «Luigi Di Maio teme poi di venire scavalcato dai duri e puri del suo movimento guidati dal presidente della Camera Roberto Fico, che ha molti punti di contatto con il Pd».Così, conclude l’analista, il “tiro alla fune” di Zingaretti potrebbe allargarsi e strattonare non solo il governo, per ottenere elezioni anticipate al momento poco ipotizzabili, ma soprattutto i grillini. «Questo invece è un obiettivo che, a partire dalle prossime elezioni regionali piemontesi, è già più a portata di mano». Paradigmatica la partita del Tav: a premere per l’infrastruttura più contestata d’Europa sono Zingaretti e l’eterno Chiamparino, portavoce di Confindustria. Con loro Salvini, tallonato da Maroni, più il solito Berlusconi e persino la Meloni. Operazione preliminare: tiro al piccione sul ministro grillino Toninelli, presentato come un minus habens nonostante abbia affidato la commissione sulla Torino-Lione (verdetto: negativo) al più prestigioso trasportista d’Europa, il professor Marco Ponti del Politecnico di Milano, già consulente della Banca Mondiale. La grande opera non servirebbe a nulla? Pazienza: non è cosa che turbi la Lega e Forza Italia, perfettamente allineate al Pd, nonostante la recita politica che opporrebbe virtualmente l’ex centrodestra all’ex centrosinistra. La farsa crolla, davanti alla prospettiva miliardaria degli appalti Tav.L’elezione plebiscitaria di Nicola Zingaretti alla guida del Pd inaugura una nuova stagione per il governo Conte: «Quella del tiro alla fune, con in mezzo una banderuola chiamata Movimento 5 Stelle». La scelta di Torino come prima tappa del “nuovo” Pd è simbolica, scrive Antonio Fanna sul “Sussidiario”: puntando sul Tav Torino-Lione, Zingaretti prova a dare «uno strattone alla fune per accentuare lo sfilacciamento nella maggioranza». In questo modo, il neo-segretario Pd s’incunea tra Lega e 5 Stelle, gettando sale sulla ferita: bruciano «le differenze tra i contraenti del contratto di governo, che nel braccio di ferro sulla Tav stanno giocando una partita molto rischiosa». Il calo elettorale, spiega Fanna, non consente ai 5 Stelle di cedere altro terreno a Salvini. E dal canto suo, il leader leghista «deve tenere duro sul fronte degli investimenti al Nord», dal momento che «non può permettersi che un ex di lusso come Roberto Maroni arrivi a ipotizzare un nuovo partito del Nord, autonomista e rappresentativo dei ceti produttivi che si sentono sempre più trascurati». Brinda il cartello trasversale pro-Tav: la grande opera inutile, doppione della ferrovia attuale, ottiene una nuova chance grazie alle debolezze dei gialloverdi.
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Giannuli: Salvini mollerebbe i 5 Stelle, ma non per Silvio
Codice degli appalti, nomine, Tav, autonomia, recessione e assenza di investimenti sono i nodi sui quali si misura quotidianamente la distanza tra M5S e Lega. Tanto che il Quirinale, preoccupato per lo stallo del paese, starebbe lavorando attivamente alla rottura del patto di maggioranza, favorendo una ricomposizione del centrodestra (cui non mancherebbe un’interlocuzione col Pd). Una trappola che Salvini ha fiutato: lo dimostrano le garanzie di fedeltà fatte a Di Maio e il lavoro di “protezione” discreta del leader 5 Stelle che il ministro dell’interno ha raccomandato ai suoi. Salvini ha un problema di tempo: vuole liberarsi dei 5 Stelle, però non può farlo prima di avere normalizzato la destra, togliendosi dai piedi Berlusconi. Due le strade: o tenendo a bagnomaria Forza Italia e prendendosene un pezzetto ogni tanto, vedi le ultime elezioni, o aspettando che il Cavaliere tolga il disturbo. A quel punto si va al voto e Salvini si candida come capo di tutta la destra, con l’obiettivo di fare un governo suo. Questa situazione di stallo corre il rischio di durare troppo, e non è detto che il vento continui a soffiare nelle vele di Salvini. In realtà un poco sta calando, e Salvini se n’è accorto. In Sardegna non ha stravinto, e in Abruzzo è andato bene ma non benissimo. Può anche succedere che le tensioni nel governo esplodano tra una settimana. Ma è meno probabile.Quali sono i fattori più destabilizzanti? Ce ne sono diversi. La crisi economica, le pressioni dell’Unione Europea, la manovra d’autunno. Ancor prima le elezioni in Basilicata (il 24 marzo). Non è la Lombardia, è vero, però una terza sconfitta di seguito dei 5 Stelle anticiperebbe il risultato delle europee, condizionandole. Per quanto Salvini non abbia interesse a esasperare la situazione, i 5 Stelle potrebbero essere tentati di puntare i piedi su tutto. A cominciare dalla Tav e dall’autonomia differenziata, proprio per far vedere che non è Salvini a comandare. Sulla Tav, Tria ha ragione. Anche ammettendo che l’opera è sbagliata (e io sono tra quelli che l’hanno sempre pensato), non si possono firmare accordi internazionali, accettare i finanziamenti dell’Ue e poi tirarsi indietro perché è cambiato il governo. Più dei soldi vale la parola del paese. Venir meno ai patti vuol dire scoraggiare tutti gli investitori, anche coloro che potrebbero acquistare il nostro debito pubblico, con buona pace delle missioni di Giorgetti a Londra e negli Stati Uniti.Gli Usa vedono nell’Italia un grimaldello per scardinare l’Unione Europea, l’Ue è pronta a giocare in Italia con Mario Draghi la sua ultima carta. Come andrà a finire? E’ presto per dirlo. Occorre innanzitutto vedere quale sarà il risultato delle europee, che secondo me ci daranno un Europarlamento ingovernabile, per quello che conta il Parlamento Europeo. Io non sono affatto sicuro che socialdemocratici e popolari insieme avranno ancora la maggioranza, e ci metto anche i liberali. Si prospetta il caos? E’ molto probabile. Senza contare la stagione delle elezioni nazionali che si aprono dopo le europee. Se i partiti antieuropeisti hanno successo, l’Unione Europea rischia di perdere i paesi uno alla volta. Previsioni sul risultato italiano? Non sappiamo nemmeno quali saranno le liste. De Magistris si candida? Pizzarotti fa l’accordo con la Bonino? Si fa il listone di Calenda oppure no? Le variabili sono ancora troppe. Scissione 5 Stelle? Secondo me prima delle europee è difficile, a meno che non si mettano a fare espulsioni. Dopotutto, è possibile.(Aldo Giannuli, dichriarazioni rilasciate a Federico Ferraù per l’intervista “Salvini vuole mollare M5S ma Berlusconi non glielo permette”, pubblicata da “Il Sussidiario” il 1° marzo 2013).Codice degli appalti, nomine, Tav, autonomia, recessione e assenza di investimenti sono i nodi sui quali si misura quotidianamente la distanza tra M5S e Lega. Tanto che il Quirinale, preoccupato per lo stallo del paese, starebbe lavorando attivamente alla rottura del patto di maggioranza, favorendo una ricomposizione del centrodestra (cui non mancherebbe un’interlocuzione col Pd). Una trappola che Salvini ha fiutato: lo dimostrano le garanzie di fedeltà fatte a Di Maio e il lavoro di “protezione” discreta del leader 5 Stelle che il ministro dell’interno ha raccomandato ai suoi. Salvini ha un problema di tempo: vuole liberarsi dei 5 Stelle, però non può farlo prima di avere normalizzato la destra, togliendosi dai piedi Berlusconi. Due le strade: o tenendo a bagnomaria Forza Italia e prendendosene un pezzetto ogni tanto, vedi le ultime elezioni, o aspettando che il Cavaliere tolga il disturbo. A quel punto si va al voto e Salvini si candida come capo di tutta la destra, con l’obiettivo di fare un governo suo. Questa situazione di stallo corre il rischio di durare troppo, e non è detto che il vento continui a soffiare nelle vele di Salvini. In realtà un poco sta calando, e Salvini se n’è accorto. In Sardegna non ha stravinto, e in Abruzzo è andato bene ma non benissimo. Può anche succedere che le tensioni nel governo esplodano tra una settimana. Ma è meno probabile.
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Giannini: ci crediate o no, il governo sta riparando l’Italia
Non sparate sul governo gialloverde: sta facendo molte più di quanto non si veda, specie sui grandi media (tutti schierati all’opposizione). Lo sostiene Marco Giannini, studioso di economia, un tempo vicino ai 5 Stelle. Sbagliano, giornali a televisioni, a descrivere l’azione dell’esecutivo come fallimentare: da una parte fanno leva sullo spread – che non misura l’economia ma solo la speculazione finanziaria, complice la Bce (ai tempi della lira, infatti, lo spread non esisteva) – e dall’altra scaricano lo smottamento industriale su una compagine in carica da meno di un anno. La produzione industriale ha perso il 5,5%: solo un cretino potrebbe non capire che un simile cedimento è dovuto a «questi 8 anni di lunga, controproducente e immotivata austerità», scrive Giannini, in una riflessione ripresa da “Come Don Chisciotte”. Rigore immotivato? Ma certo: perché l’Italia – ricorda Giannini – è in avanzo primario da anni. Cioè: lo Stato intasca, in termini di tasse, più di quanto non spenda, in servizi, per i cittadini. Il famoso debito pubblico? Colpa dei tassi d’interesse. Potrebbero essere normalizzati? Certo: «Servirebbero circa sette anni per “ripulire” il debito da questo aspetto critico», se solo la Bce «operasse come le normali banche centrali». Per contro, l’Italia ha partite correnti invidiabili (ottimo equilibrio import/export). E il governo? Ci crediate e no, insiste Giannini, sta lavorando sodo – checché ne dicano i media, legati a Pd e Forza Italia, spodestati nel 2018.I bersagli preferiti dalla stampa, osserva Giannini, sono Di Maio e Toninelli, “colpevoli” di aver scelto come alleato la Lega e non il Pd, sottomesso a Francia e Germania (secondo uno studio tedesco, il giochetto è già costato 73.000 euro a ogni italiano, in favore di tedeschi e olandesi). Giornali e Tv esaltano i dissidenti 5 Stelle appena si distinguono da Salvini sul tema migranti? C’è puzza di Soros, avverte Giannini. Attaccare Di Maio in quanto succube del leader leghista? Sarebbe stato meglio «attivare i neuroni per creare piani programmatici accattivanti», alle prime avvisaglie di flessione nei consensi. Il vicepremier grillino? «E’ stato un uomo leale con il suo alleato, non certo un suddito: e credo che gli italiani questo lo abbiano capito e apprezzato – dice Giannini – al di là del risultato delle regionali». Quanto al ministro delle infrastrutture, Toninelli «è descritto come un principiante, ma nessuno chiarisce il perché». Se la motivazione sono le gaffe commesse nelle interviste, Giannini ricorda la mitica Gelmini, col suo tunnel per neutrini dal Cern di Ginevra fino al Gran Sasso, per non parlare del “milione di posti di lavoro” di Berlusconi o del leggendario “Enrico stai sereno” rivolto da Renzi al povero Letta. In confronto, Toninelli è un campione di serietà e correttezza.Stiamo ai fatti, raccomanda Giannini: è assai più densa di quello che sembra, l’agenda gialloverde, pur inevitabilmente mediata dai compromessi indispensabili tra Lega e 5 Stelle. Esempio: il reddito di cittadinanza (pur in versione “magra”) è stato comunque approvato, con salario minimo di 5 euro l’ora (cifra bassissima per volere della Lega). «Un po’ poco per il centro-nord dato il costo della vita, forse sufficiente per evitare esclusione sociale per il centro-sud». Se non altro, «le aziende che assumono un soggetto che sta ricevendo il reddito ottengono un bonus fino a 18.000, visto che alleggeriscono lo sforzo profuso dallo Stato». Per Giannini in reddito di cittadinanza «è un provvedimento sacrosanto, una misura anti-ciclica presente non a caso in tutta l’Ue». Troppo misero e troppo normato? Il problema vera si chiama euro, sottolinea Giannini: «L’italiano non vuole la disoccupazione, vuole salari più alti, vuole meno tasse, vuole la crescita, vuole un Rdc più esteso e vuole però anche la moneta unica, che queste conquiste preclude». Come dire: nell’Eurozona, è impossibile pretendere di più. E gli altri partiti? «Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia promettono di abolire il Rdc qualora vincessero le elezioni». Ed è singolare che un sindacato come la Cgil «dopo anni di silenzio di fronte a esodati, austerity, tagli indiscriminati e deflazione salariale» oggi manifesti contrarietà a questo provvedimento «che, giusto o sbagliato, estende i diritti sociali e certo non li restringe».Vogliamo parlare di pensioni di cittadinanza? Se un cittadino ha un assegno inferiore ai 780 euro raggiungerà questo ammontare mensile a patto che abbia una Isee inferiore a 9.360 euro, un patrimonio mobiliare inferiore a 6.000 euro e un patrimonio immobiliare (esclusa la prima casa) inferiore a 30.000 euro. «Dai calcoli Inps sono circa 500.000 le persone interessate al provvedimento». La “Quota 100” era presente nei programmi delle due forze di governo: «E’ stata approvata insieme al reddito di cittadinanza e rappresenta un primo passo concreto per superare la legge Fornero», ricorda Giannini. E sono oltre 100.000 le domande già inviate: tutti «posti di lavoro che si liberano». Salvini voleva la Flat Tax universale? L’ha ottenuta almeno per le partite Iva: aliquota al 15% fino ai 65.000 mila euro. Poi c’è il decreto Inail, con taglio medio del 32% del costo del lavoro (valore: 1,8 miliardi). «Dalla lotta agli sprechi della burocrazia (compreso il numero delle leggi, da ridurre) e della abolizione completa dei finanziamenti all’editoria – aggiunge Giannini – Di Maio ha promesso una ulteriore riduzione del cuneo fiscale, in favore di aziende e lavoratori, e sgravi aggiuntivi per le imprese che assumono». Insomma, le formichine gialloverdi lavorano: è avviato l’iter per ridurre i parlamentari da 945 a 600.Quanto alle pensioni d’oro, chi riceve più di centomila euro l’anno dovrà cedere dal 10 al 20% come contributo di solidarietà. Gli stessi vitalizi dei parlamentari «vengono ricalcolati con il metodo contributivo con un taglio medio del 20%», e il ricavato «dovrebbe riversarsi in un fondo per le pensioni minime» (norma approvata col voto favorevole della sola maggioranza). Quanto alla geopolitica, Giannini apprezza la neutralità dei gialloverdi (specie 5 Stelle) sulla crisi del Venezuela, dove l’Eni ha forti interessi dopo gli accordi col governo Maduro (meglio non ripetere l’autogoal della Libia). Capitolo migranti: gli sbarchi sono calati del 95%. Salvini, leale coi grillini, non ha però espulso nessun clandestino. Tra le novità maggiori, di cui non si parla, secondo Giannini c’è il problema idrogeologico: 11 miliardi di euro in tre anni stanziati per la prevenzione e la messa in sicurezza del territorio. In altre parole, «finalmente usciamo dal medioevo». Volendo, si può parlare anche della legge anticorruzione, che «ha inasprito le pene per i reati di corruzione e ha modificato la prescrizione, rendendola meno “agevole”». Di fatto, «è stata aumentata la trasparenza su fondazioni e donazioni ai partiti».Nota dolente, il rapporto deficit-Pil: il governo ha ceduto a Bruxelles, calando dal 2,4 al 2,04%. Ma attenzione: Pd e Forza Italia avrebbero subito un semplice 0,8% senza battere ciglio. Siamo a un 2% pieno: «Il valore simbolico rappresentato da questo livello è importante – dice Giannini – sebbene non rappresenti la manovra espansiva di cui avremmo bisogno per uscire dalla crisi e per una efficace reindustrializzazione». I “paletti” di Bruxelles, come noto, vietano politiche di questo tipo. «Al contrario di ciò che viene detto dai media, sforando ci si indebita ma si permette all’economia di ripartire (e di rientrare dello sforamento con un surplus in sviluppo)». Purtroppo continua Giannini, la congiuntura mondiale – che vede anche la Germania col segno meno – si riflette sullo Stivale. L’analista già di area 5 Stelle cita anche il decreto sblocca-cantieri, che «renderà più trasparenti le gare d’appalto, semplificando la burocrazia che ne rallenta la realizzazione». Sta inoltre per essere attivato il Fondo Nazionale Innovazione, che rispetto ai precedenti 200 milioni destina un miliardo di euro all’anno per chi apre una startup.Sono infine stati stanziati 45 milioni in 3 anni per la blockchain, tecnologia che segnerà una rivoluzione paragonabile a Internet, «un database in cui verranno registrate transazioni di ogni tipo, che favorirà il flusso di informazioni dal commercio, alla medicina, dall’industria e alla finanza, riducendo la burocrazia». L’impressione generale, conclude Giannini, è che questo governo sia davvero un esecutivo “del fare” e che stia cercando coraggiosamente di impiegare le poche risorse a disposizione nel modo più “performante” e produttivo. «Assistendo ai molti dispositivi messi in gioco su trasparenza, semplificazione, riduzione del carico fiscale sulle imprese ed estensione dei diritti sociali – dice – mi sento di non rilevare un appiattimento sulla Lega da parte del M5S». Sembra tuttavia che questa falsa rappresentazione «sia dovuta in larga parte al frastuono da campagna elettorale di stampa e Tv», oltre che «all’enfatizzazione della questione migratoria rispetto alle questioni socio-economiche e giuslavoriste». Come dire: lasciamoli lavorare. Non hanno ancora risultati smaglianti da esibire, ma di problemi ne stanno risolvendo ogni giorno, e non pochi, grazie a una fatica che il più delle volte non affiora, sui soliti media.Non sparate sul governo gialloverde: sta facendo molte più di quanto non si veda, specie sui grandi media (tutti schierati all’opposizione). Lo sostiene l’antropologo Marco Giannini, studioso di economia, un tempo vicino ai 5 Stelle. Sbagliano, giornali a televisioni, a descrivere l’azione dell’esecutivo come fallimentare: da una parte fanno leva sullo spread – che non misura l’economia ma solo la speculazione finanziaria, complice la Bce (ai tempi della lira, infatti, lo spread non esisteva) – e dall’altra scaricano lo smottamento industriale su una compagine in carica da meno di un anno. La produzione industriale ha perso il 5,5%: solo un cretino potrebbe non capire che un simile cedimento è dovuto a «questi 8 anni di lunga, controproducente e immotivata austerità», scrive Giannini, in una riflessione ripresa da “Come Don Chisciotte”. Rigore immotivato? Ma certo: perché l’Italia – ricorda Giannini – è in avanzo primario da anni. Cioè: lo Stato intasca, in termini di tasse, più di quanto non spenda, in servizi, per i cittadini. Il famoso debito pubblico? Colpa dei tassi d’interesse. Potrebbero essere normalizzati? Certo: «Servirebbero circa sette anni per “ripulire” il debito da questo aspetto critico», se solo la Bce «operasse come le normali banche centrali». Per contro, l’Italia ha partite correnti invidiabili (ottimo equilibrio import/export). E il governo? Ci crediate e no, insiste Giannini, sta lavorando sodo – checché ne dicano i media, legati a Pd e Forza Italia, spodestati nel 2018.
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5 Stelle: dovevano aprire la scatoletta, e ora sono il tonno
Sono diventati la scatoletta di tonno. Dovevano aprire il Parlamento e invece sono arroccati come gli ultimi giapponesi. Prendevano in giro gli altri quando commentavano le elezioni e non sentivano il Bum! E invece ora stanno cercando di spiegarci in tutti i modi che in Abruzzo e in Sardegna sono andati benissimo, anche se hanno perso tre quarti dei voti. E già che ci sono, si danno alle spese pazze, loro, i francescani: 16 milioni e 812 mila euro per lo staff della presidenza del consiglio, 866.480 euro più di quanto spendesse Gentiloni, 2 milioni e 641 mila euro più di Renzi. Apertura alle liste civiche? Per carità, ci sta. Anzi, secondo molti la proliferazione di liste e candidati è uno dei punti di forza delle elezioni amministrative. Tuttavia, risulta piuttosto antipatico per chi diceva che tutto il resto era merda e che solo loro, solo il loro logo, solo il loro nome fossero una garanzia. E che ancora oggi attribuiscono le loro sconfitte alle orride ammucchiate altrui. Poi, certo, si sono alleati con Salvini, tanto per dire. Normale che da domani valga tutto. Fine dei due mandati? Dicono per i consiglieri comunali, ma è il più classico inizio della fine.Stare in Parlamento significa anche imparare a come muoversi e il professionismo della politica forse è stato buttato via con un po’ troppa fretta, dagli sprezzanti grillini. Che vivaddio, forse stanno imparando che il problema non è chi fa solo politica nella sua vita: il problema è che se non sai fare politica, ti fai fregare ogni volta dal ministro dell’inferno. Ma non finisce qua. Vincono sempre, anche quando perdono. Sì, esattamente come quegli altri. E come quegli altri i hanno imparato ad abusare dei numeri senza nemmeno bisogno di leggerli, solo per darli in pasto ai propri elettori. Perdi 30 punti percentuali tra le politiche e le regionali, nel giro di un anno? Sì, ma alle regionali precedenti eravamo a zero, quindi siamo cresciuti di dieci punti. Non puoi più fare il 2,4% di deficit in legge di bilancio? Pazienza facciamo il 2,04%, che magari qualcuno ci casca. Non bastasse, sono diventati un pozzo di veleni, come un qualunque partito di sinistra. Correnti e sotto correnti, a costante ricerca di un capro espiatorio, veleni senza nome contro il capo politico Luigi Di Maio, e lui – naturalmente non eletto da nessuno, non sia mai, a proposito della democrazia del Movimento – che nel partito dell’uno vale uno fa la voce grossa contro tutti.Roba da sbellicarsi dal ridere anche la promessa rivoluzione interna che, come tutto il resto, arriverà calata dall’alto. Come in un qualunque partito. La freschezza? Persa. E poi diciamolo: questo mito della freschezza era una cagata pazzesca se addirittura Grillo, giusto l’altro ieri, ha accusato i suoi di essere inesperti. Lui che fino all’altro ieri voleva sorteggiare i parlamentari, per dire. Con Travaglio che cercava di convincerci che non avere condanne perché non si era nemmeno avuto l’occasione di compierne (con lavoretti stagionali come unica esperienza professionale) fosse una virtù. E il bello è che li difendono pure, per spirito di appartenenza, come accade in qualunque partito: eppure sarebbe così facile ammattere che Danilo Toninelli non è adatto a fare il ministro. Eccovela, insomma, la prossima la scatoletta di tonno. Ora tocca aspettare che qualcuno si proponga di aprirla e convinca abbastanza gente a dargli il voto per farlo. Nel frattempo, su Rousseau si registra la fila per una poltrona a Strasburgo: 2994 aspiranti candidati per le europee, che lo scranno fa gola a tutti. Alla faccia dell’antipolitica.(Giulio Cavalli, “Buongiornissimo, Di Maio: ora i Cinque Stelle sono come tutti gli altri partiti, forse pure peggio”, da “Linkiesta” del 27 febbraio 2019).Sono diventati la scatoletta di tonno. Dovevano aprire il Parlamento e invece sono arroccati come gli ultimi giapponesi. Prendevano in giro gli altri quando commentavano le elezioni e non sentivano il Bum! E invece ora stanno cercando di spiegarci in tutti i modi che in Abruzzo e in Sardegna sono andati benissimo, anche se hanno perso tre quarti dei voti. E già che ci sono, si danno alle spese pazze, loro, i francescani: 16 milioni e 812 mila euro per lo staff della presidenza del consiglio, 866.480 euro più di quanto spendesse Gentiloni, 2 milioni e 641 mila euro più di Renzi. Apertura alle liste civiche? Per carità, ci sta. Anzi, secondo molti la proliferazione di liste e candidati è uno dei punti di forza delle elezioni amministrative. Tuttavia, risulta piuttosto antipatico per chi diceva che tutto il resto era merda e che solo loro, solo il loro logo, solo il loro nome fossero una garanzia. E che ancora oggi attribuiscono le loro sconfitte alle orride ammucchiate altrui. Poi, certo, si sono alleati con Salvini, tanto per dire. Normale che da domani valga tutto. Fine dei due mandati? Dicono per i consiglieri comunali, ma è il più classico inizio della fine.
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Il “funerale” in Piemonte, poi la scissione: addio 5 Stelle?
Dopo l’Abruzzo anche la Sardegna: il crollo dei 5 Stelle sembra inarrestabile. Questa caduta dei consensi è una tendenza che sta toccando tutta l’Italia. Presto si voterà in Basilicata, ci saranno le comunali in Sicilia e le regionali in Piemonte, queste ultime in contemporanea con le europee, e questi appuntamenti elettorali ci confermeranno il sospetto che si tratti ormai di un trend nazionale inevitabile. Di Maio sta cercando disperatamente un rilancio dopo queste sconfitte. Da tempo parla di trasformazione del movimento in partito tradizionale. Il vero nodo che pongono i dissidenti, cioè quel 41% che ha votato contro Salvini sul caso Diciotti, non è tanto avere venti segretari regionali, come sembra si voglia proporre nei prossimi giorni, ma chi li elegge. Di Maio li vuole nominare lui, mentre giustamente i dissidenti dicono che devono essere eletti dalla base, regione per regione. E’ una cosa mai successa nel Movimento, perché all’idea di strutturarsi in partito c’è sempre stato prima il rifiuto di Casaleggio padre e ora del figlio Davide. Di Maio rischia di prendere un sonoro schiaffone dalla base? Sì, e possiamo già contare i mesi ormai prima che si arrivi alla scissione. Scissione che poi sarà indicata da Casaleggio, a seconda della posizione che prenderà. Lui è di destra, mentre i dissidenti come Fico sono di estrema sinistra. Assisteremo a una guerra totale.Una scissione tra l’anima di sinistra e quella più governativa? Secondo me, avverrà più per il metodo che per il merito. L’unico che è rimasto fedele all’anima del Movimento, nel caso del voto su Salvini, è stato Nicola Morra. Nel senso che nel M5S, che da dieci anni sostiene la politica dei manettari, adesso si sono messi a fare i garantisti con Salvini. Anzi, più che manettari, direi forcaioli. Hanno tradito la loro stessa anima, è evidente a tutti. Quanto vale Fico? Lui cerca di accreditarsi quel 41%. In realtà, di coloro che usciranno allo scoperto nella votazione su Salvini sono solo in 4. Fino alle europee staranno tutti zitti per la paura folle di essere espulsi. Rimarranno tutti fedeli a Salvini in nome del potere, della poltrona e dello stipendio. Insomma, tra gli eletti e la base c’è una differenza totale: sono due cose completamente diverse. Molti degli eletti non sono stati scelti con le “parlamentarie”, ma direttamente da Di Maio, come nel caso di personaggi come il comandante De Falco, che si è rivelato persona onesta e tutta d’un pezzo, ma neanche questi gli garantiscono fedeltà.Vorrei sottolineare un aspetto curioso: nessun organo di stampa ha approfondito chi sono i personaggi con cui Di Maio ha stretto alleanza in vista delle europee. Forse perché si tratta di signor nessuno, sono una barzelletta. Dei quattro alleati, due non sono neppure presenti nei rispettivi Parlamenti nazionali, uno è un rocker fascista polacco impresentabile. Sono tutti personaggi assurdi, peggio dei Gilet Gialli. I 5 Stelle non hanno nulla in comune con nessuno di loro. Che programma presenteranno? Sono alla disperata ricerca di qualche parola d’ordine forte, che gli faccia recuperare qualche voto, visto che Di Battista, dopo le figuracce che ha fatto da quando è tornato in Italia, è stato messo a tacere. Lo scenario più plausibile? Se vanno sotto il 20% sarà un crollo. Se invece riescono a dire che hanno gli stessi voti del 2014, il 21%, potranno sperare di tirare avanti ancora un po’. Fino a una inevitabile crisi di governo? La crisi di governo probabilmente ci sarà: quando in una coalizione uno dei due partiti crolla e l’altro raddoppia, nonostante tutta la buona volontà, non si può più stare insieme. E poi il classico centrodestra con Lega e Forza Italia sta funzionando benissimo. Il Piemonte darà un’indicazione decisiva: al Nord i grillini sono ormai al 10% rispetto al 20% raggiunto alle politiche. E quando sei al 10% nella parte che conta dell’Italia sei già morto e finito.(Mauro Suttora, dichirazioni rilasciate a “Il Sussdiario” per l’intervista “Crollo M5S, prima il funerale in Piemonte e alle europee, poi la scissione”, pubblicata il 26 febbraio 2019. Giornalista e scrittore, Suttora è un profondo conoscitore del Movimento 5 Stelle).Dopo l’Abruzzo anche la Sardegna: il crollo dei 5 Stelle sembra inarrestabile. Questa caduta dei consensi è una tendenza che sta toccando tutta l’Italia. Presto si voterà in Basilicata, ci saranno le comunali in Sicilia e le regionali in Piemonte, queste ultime in contemporanea con le europee, e questi appuntamenti elettorali ci confermeranno il sospetto che si tratti ormai di un trend nazionale inevitabile. Di Maio sta cercando disperatamente un rilancio dopo queste sconfitte. Da tempo parla di trasformazione del movimento in partito tradizionale. Il vero nodo che pongono i dissidenti, cioè quel 41% che ha votato contro Salvini sul caso Diciotti, non è tanto avere venti segretari regionali, come sembra si voglia proporre nei prossimi giorni, ma chi li elegge. Di Maio li vuole nominare lui, mentre giustamente i dissidenti dicono che devono essere eletti dalla base, regione per regione. E’ una cosa mai successa nel Movimento, perché all’idea di strutturarsi in partito c’è sempre stato prima il rifiuto di Casaleggio padre e ora del figlio Davide. Di Maio rischia di prendere un sonoro schiaffone dalla base? Sì, e possiamo già contare i mesi ormai prima che si arrivi alla scissione. Scissione che poi sarà indicata da Casaleggio, a seconda della posizione che prenderà. Lui è di destra, mentre i dissidenti come Fico sono di estrema sinistra. Assisteremo a una guerra totale.
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Casaleggio massone, ma guai a dirlo all’Italietta gialloverde
Cari amici 5 Stelle, prendete nota: il vostro amato fondatore e ideologo, Gianroberto Casaleggio, era massone. Chi lo afferma? Gioele Magaldi, naturalmente, cioè il “grembiulino” che più di ogni altro, in Italia, ha svelato l’identità liberomuratoria di moltissimi potenti, da Ciampi a Napolitano, da D’Alema a Draghi. Proprio sicuro, Magaldi, che Casaleggio senior indossasse il grembiulino? «Lo immaginavo, ma non ne ero certo. Ora invece ho acquisito la documentazione che lo comprova», afferma l’autore del saggio “Massoni”, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Beninteso: per Magaldi, severo giudice dei “cattivi massoni” al comando dell’Ue, stare in massoneria può essere un titolo di merito. L’importante è non essere ipocriti: il governo gialloverde ha addirittura messo al bando – a parole – la presenza dei massoni nell’esecutivo, pur sapendo che il club pullula di grembiulini (da Tria a Moavero, solo per citare alcuni ministri). Che faccia faranno, Di Maio e Di Battista, nello “scoprire” che anche il compianto Casaleggio era massone? Chi può dirlo: oggi staranno a leccarsi le ferite per la batosta alle regionali in Sardegna, che segue a ruota quella appena rimediata in Abruzzo. Inutile lamentarsi, dice Magaldi, è il minimo che gli potesse capitare: avevano promesso di tutto e non hanno mantenuto niente. Ma niente paura, sono in buona compagnia: con loro c’è Renzi, altro fanfarone, e presto anche Salvini vedrà sgonfiarsi la bolla che finora l’ha fatto volare.E’ una panoramica a tutto campo, quella che Magaldi offre nella video-chat settimanale con Frabetti. Tema: l’inconsistenza dei 5 Stelle come specchio dell’evanescenza generale del sistema politico italiano, dopo tante chiacchiere spese sul cambiamento di cui ancora non c’è traccia. Renzi? «Triste spettacolo, vederlo in televisione a “Non è l’Arena” con Giletti su “La7”: non una parola sui suoi errori, solo l’esecrazione per quella che considera la gogna mediatica alla quale è stato sottoposto per via della vicenda giudiziaria che ha coinvolto i suoi genitori». Parentesi: c’è da domandarsi se sia davvero il caso di infliggere gli arresti (sia pure domiciliari) per reati non terribili. Stesso dicasi per Roberto Formigoni, pessimo esponente del più retrivo clericalismo affaristico, che in Lombardia ha privatizzato ampie fasce di sanità. Di nuovo: è proprio indispensabile la punizione del carcere? Senza con questo contestare i magistrati, Magaldi precisa: «Sul piano politico, fa male vedere che solo qualcuno paga per tutti, mentre chi è troppo potente resta intoccabile». Ma se il declino del “Celeste” si accompagna a quello della Compagnia delle Opere, in auge con la Chiesa conservatrice di Wojtyla e Ratzinger, suona surreale la performance televisiva del Renzi vittimista, versione 2019. Tecnicamente: uno zombie, ormai osteggiato anche nel suo partito. E senza neppure l’onestà elementare – politica, intellettuale – di ammettere di aver fallito su tutta la linea.Il buon Matteo, dice Magaldi, avrebbe dovuto dire, sinceramente: come erede della sinistra italiana avrei dovuto trovare il coraggio di rompere con l’austerity di Bruxelles e quindi imporre la giusta quota di deficit per far ripartire l’occupazione, anziché vendere la fuffa del Jobs Act (insieme a un’orrida riforma della Costituzione). Il Chiacchierone di Rignano ricorda qualcuno: per la precisione, i giovani leoni che promettevano agli italiani un futuro di lusso, addirittura a 5 Stelle. Letteralmente, reddito di cittadinanza significa che l’essere italiani darebbe diritto, di per sé, a una somma di denaro – a prescindere dal reddito e dalle condizioni dei singoli e delle famiglie. Invece, il Di Maio che vende la “sconfitta della povertà” si riduce a elargire un magrissimo sussidio sotto forma di card per acquisti, ma solo dopo una folle trafila bizantina per selezionare i requisiti per i pochissimi “fortunati”. Molto meglio, sostiene Magaldi, il “diritto al lavoro” sancito per legge, in Costituzione, come chiede il Movimento Roosevelt: «Lo Stato sarebbe obbligato a trovare un lavoro a tutti, e questo consentirebbe ai giovani di non dipendere più finanziariamente dalle famiglie».Facile a dirsi: bello, il libro dei sogni firmato Magaldi. E i soldi? Appunto: quelli bisogna conquistarseli, insiste Magaldi, risolvendosi a portare fino in fondo il braccio di ferro con Bruxelles. Dove sta scritto che i paesi Ue debbano sottostare al diktat arbitrario del rigore di bilancio, sorvegliato da tecno-massoni neoliberisti per lo più agli ordini di potentati finanziari privatistici? I patti erano chiari, sembra dire Magaldi ai gialloverdi: non dovevate rovesciare il tavolo europeo, come promesso alle elezioni? Poi non lamentatevi, se non l’avete fatto: vi mancano i fondi per realizzare i programmi, quindi è logico che gli elettori vi stiano scaricando. Per ora tocca ai 5 Stelle, ma presto potrebbe venire il turno di Salvini, sostiene Magaldi: sul problema-migranti (reale, sentito) finora ha campato alla grande, ma attuando solo la “pars destruens”, senza curarsi troppo del futuro. E’ bastato, per ora, a deviare l’attenzione generale dal fallimento del governo nei confronti di Bruxelles. Ma domani il ballon d’essai potrebbe sgonfiarsi, quando anche gli elettori leghisti chiederanno conto, a Salvini, del mancato rispetto delle promesse elettorali più forti, come la radicale riforma fiscale giustamente ventilata. Il 30 marzo, a Londra, il Movimento Roosevelt presieduto da Magaldi farà sentire la voce degli economisti keynesiani nel convegno che chiede a gran voce “Un New Deal rooseveltiano per l’Europa”. Prendano appunti, i 5 Stelle: probabilmente il tema sarebbe piaciuto a Gianroberto Casaleggio, massone visionario.Cari amici 5 Stelle, prendete nota: il vostro amato fondatore e ideologo, Gianroberto Casaleggio, era massone. Chi lo afferma? Gioele Magaldi, naturalmente, cioè il “grembiulino” che più di ogni altro, in Italia, ha svelato l’identità liberomuratoria di moltissimi potenti, da Ciampi a Napolitano, da D’Alema a Draghi. Proprio sicuro, Magaldi, che Casaleggio senior avesse frequentato qualche loggia? «Lo immaginavo, ma non ne ero certo. Ora invece ho acquisito la documentazione che lo comprova», afferma l’autore del saggio “Massoni”, in diretta web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. Beninteso: per Magaldi, severo giudice dei “cattivi massoni” al comando dell’Ue, stare in massoneria può essere un titolo di merito. L’importante è non essere ipocriti: e invece il governo gialloverde ha addirittura messo al bando – a parole – la presenza dei massoni nell’esecutivo, pur sapendo che il club pullula di grembiulini (da Tria a Moavero, solo per citare alcuni ministri). Che faccia faranno, Di Maio e Di Battista, nello “scoprire” che anche il compianto Casaleggio era massone? Chi può dirlo: oggi staranno a leccarsi le ferite per la batosta alle regionali in Sardegna, che segue a ruota quella appena rimediata in Abruzzo. Inutile lamentarsi, dice Magaldi, è il minimo che gli potesse capitare: avevano promesso di tutto e non hanno mantenuto niente. Ma sono in buona compagnia: con loro c’è Renzi, altro fanfarone, e presto anche Salvini vedrà sgonfiarsi la bolla che finora l’ha fatto volare.
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Software manipolabile e affari privati, l’imbroglio Rousseau
Si scrive Movimento 5 Stelle, ma si legge “sistema Casaleggio”. Ovvero: come si tradisce una rivoluzione. Non perché al governo c’è Di Maio piuttosto che Di Battista, ma perché «il calcolo e l’inganno hanno dato il benservito al desiderio di rinnovamento e alla passione politica». A dirlo è Marco Canestrari, sviluppatore e blogger. Oggi vive e lavora a Londra, ma un tempo seguiva Grillo ovunque, scrive sul “Sussidiario” Federico Ferraù, che lo ha intervistato. Il tecnico ha visto nascere, per avervi collaborato e lavorato, la macchina organizzativa del M5S. Quello che sa lo ha scritto con Nicola Biondo in “Supernova”. La piattaforma Rousseu? «Il voto ha valore zero, non è certificato da nessuno e si svolge attraverso un software manipolabile, insicuro e privato», dice Canestrari. Alla vigilia della votazione sull’autorizzazione a procedere contro Savini, ha detto: «Quale sarà il modo in cui questa volta prenderanno in giro i propri elettori lo sanno solo loro». Dopo il voto in Abruzzo – tra Tav, riforme e caso Diciotti – i 5 Stelle appaiono incerti e frastornati, annota Ferraù. Per Canestrari «c’è una cosa che spiega tutto», e cioè «i due giorni di assenza di Di Maio dopo il voto in Abruzzo, l’incertezza, il cambio di marcia, l’idea di una struttura più tradizionale». Il problema? «Siamo ancora abituati all’idea del movimento che aveva Casaleggio: Gianroberto, intendo». Ormai il capo è il figlio Davide, e secondo Canestrari il movimento «non è più l’evoluzione dei MeetUp, ma il ramo d’azienda politico di un’entità più grande che io chiamo “sistema Casaleggio”».«Mentre Gianroberto voleva mettere alla prova nella realtà le sue teorie sulla rete – sostiene Canestrari – a Davide interessa solo mantenere e sviluppare il controllo del sistema. E lo fa attraverso la piattaforma Rousseau, con cui conosce tutto, ma proprio tutto, di iscritti ed eletti a M5S». L’accusa: è il sistema-Casaleggio ad avere al suo interno il M5S. «Il movimento, l’associazione Rousseau, la piattaforma: si tratta di vere e proprie unità organizzative aziendali». Qualche giorno fa, aggiunge Canestrari, l’edizione americana di “Wired” ha rilanciato una notizia interessante: la conferma di un incontro tra Steve Bannon e Davide Casaleggio in Italia ai primi di giugno 2018. «Perché gli aderenti al movimento e gli eletti non l’hanno saputo? Di cos’hanno parlato i due? La verità – dice Canestrari – è che ad avere in mano il pallino è Davide, non altri. Lo fa come presidente della Casaleggio Associati e dell’Associazione Rousseau, seguendo un’agenda sconosciuta a tutti gli altri». Quindi la piattaforma Rousseau è la vera la leva dell’ingranaggio? Soltanto in apparenza, dice Canestrari: «Nella sostanza è solo uno specchietto per le allodole che serve a profilare gli utenti, siano essi iscritti, candidati o parlamentari».La sua gestione, prosegue il tecnico, è segnata da episodi controversi: «E’ stato il Garante della privacy a dire che i gestori sapevano come votavano gli iscritti alla piattaforma perché i dati erano conservati “in chiaro”». Aggiunge Canestrari: «Davide Casaleggio sa tutto, è questo il segreto del suo “soft power”, che in M5S non è paragonabile a quello di nessun altro, nemmeno Di Maio, figuriamoci Grillo». Come sono oggi i rapporti tra Casaleggio e Di Maio? «Sono ottimi – risponde Canestrari – per il semplice motivo che gli interessi sono convergenti». Quello di Davide è «mantenere il controllo della struttura», e Canestrari ricorda che l’associazione Rousseau «incassa quasi 9 milioni di euro a legislatura dai parlamentari e dalle donazioni al M5S». Ma se i grillini volessero liberarsi di Rousseau non potrebbero farlo, sostiene sempre Canestrari, «perché nessuno può rimuovere Casaleggio dal suo ruolo: la sua carica nell’associazione non è elettiva, la può occupare solo un socio fondatore e Davide è l’unico rimasto dopo la morte del padre». E alla luce di tutto questo – domanda Ferraù – Di Maio che ruolo ha? «E’ l’amministratore delegato del ramo d’azienda politico del sistema-Casaleggio». E’ evidente che le dispute sulle correnti di Fico, Di Battista e via dicendo «sono solo accademia», teatro. «Ciò che conta è chi resta e chi se ne va. E a restare sarà Davide Casaleggio».Nel suo blog, Canestrari parla di evidenti conflitti d’interesse: proprio mentre Di Maio annunciava il riconoscimento legale alla tecnologia blockchain (ad uso del Made in Italy), la Casaleggio Associati presentava un rapporto sulla tecnologia blockchain ad uso delle imprese. «In platea c’erano gli imprenditori che stavano aspettando di capire come accedere a quei fondi: indovinate chi gli farà le consulenze». Sempre secondo Canestrari, il “sistema-Casaleggio” viene prima di qualsiasi nodo politico sul tappeto, come il Tav Torino-Lione che oppone i 5 Stelle alla Lega. «Io penso che il governo regga – dice l’informatico – per il semplice motivo che il 70% dei parlamentari sono di prima nomina e nel settembre del 2022 matureranno il diritto alla pensione». Poi ci sono ragioni anche politiche: «Nel febbraio del ’22 si elegge il presidente della Repubblica: dubito che Di Maio e Salvini vogliano lasciarsi sfuggire l’opportunità di decidere chi va al Colle». Nel frattempo potranno esserci, al massimo, «dei rimescolamenti di poltrone». E sul Tav valsusino, domanda Ferraù, alla fine i 5 Stelle cosa faranno? «Andiamo a vedere cos’è successo quando hanno affrontato un problema del genere: il Tap si è fatto, il Muos anche, lo stesso dicasi per il Terzo Valico».«Tutte le battaglie che in questi anni il movimento ha appoggiato non sono mai state battaglie sue, ma di altri che il M5S appoggiava», sottolinea Canestrari. «Alla fin fine non sono mai stati in grado di rispondere in modo decisivo alle esigenze di chi manifestava. E poi, in un’opera che muove interessi così grandi, non vedo speranze per il M5S». Si può immaginare che, al massimo, sulla Torino-Lione «trovino un compromesso». E se in Italia i consensi sono in calo, per l’ex consulente di Grillo il vero problema sono le elezioni europee: «Il Movimento è alla disperata ricerca di compagni di strada per formare un gruppo e potrebbe non farcela. Significherebbe dire addio ai fondi e alle cariche». Canestrari non esclude una possibile intesa con il gruppo di Salvini, «magari con altro nome», che consenta ai grillini «di portare a casa i soldi e qualche carica», cedendo «alla destra europea». Nel periodo che ha condotto alla formazione del governo gialloverde, ricorda Ferraù, Mattarella ha certamente favorito i 5 Stelle. Sarà ancora così? Canestrari ne dubita: «Penso che il Quirinale abbia capito che il M5S si muove secondo logiche in parte sconosciute e in parte non riconducibili a obiettivi politici tradizionali, e che quindi il suo giudizio sia molto più cauto».Si scrive Movimento 5 Stelle, ma si legge “sistema Casaleggio”. Ovvero: come si tradisce una rivoluzione. Non perché al governo c’è Di Maio piuttosto che Di Battista, ma perché «il calcolo e l’inganno hanno dato il benservito al desiderio di rinnovamento e alla passione politica». A dirlo è Marco Canestrari, sviluppatore e blogger. Oggi vive e lavora a Londra, ma un tempo seguiva Grillo ovunque, scrive sul “Sussidiario” Federico Ferraù, che lo ha intervistato. Il tecnico ha visto nascere, per avervi collaborato e lavorato, la macchina organizzativa del M5S. Quello che sa lo ha scritto con Nicola Biondo in “Supernova”. La piattaforma Rousseu? «Il voto ha valore zero, non è certificato da nessuno e si svolge attraverso un software manipolabile, insicuro e privato», dice Canestrari. Alla vigilia della votazione sull’autorizzazione a procedere contro Savini, ha detto: «Quale sarà il modo in cui questa volta prenderanno in giro i propri elettori lo sanno solo loro». Dopo il voto in Abruzzo – tra Tav, riforme e caso Diciotti – i 5 Stelle appaiono incerti e frastornati, annota Ferraù. Per Canestrari «c’è una cosa che spiega tutto», e cioè «i due giorni di assenza di Di Maio dopo il voto in Abruzzo, l’incertezza, il cambio di marcia, l’idea di una struttura più tradizionale». Il problema? «Siamo ancora abituati all’idea del movimento che aveva Casaleggio: Gianroberto, intendo». Ormai il capo è il figlio Davide, e secondo Canestrari il movimento «non è più l’evoluzione dei MeetUp, ma il ramo d’azienda politico di un’entità più grande che io chiamo “sistema Casaleggio”».
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Salvini-Diciotti, Magaldi: quando la Lega tifava per i giudici
Ma che razza di democrazia è, quella in cui si affida a un’anomima piattaforma informatica la decisione sulla sorte di un ministro, per giunta alleato di governo? Possibile che i 5 Stelle non riescano a difendere in modo netto Matteo Salvini, senza dover consultare gli iscritti? Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, prende atto della preoccupante debolezza politica dei pentastellati: la loro classe dirigente non osa assumersi la piena responsabilità di schierarsi fino in fondo con il leader della Lega, messo alla berlina dalla magistratura per aver ostacolato lo sbarco dei migranti a bordo della nave Diciotti. Sequestro di persona? Questa l’ipotesi di reato, formulata dai magistrati siciliani. Durissimo, in proposito, un altro esponente del Movimento Roosevelt, Gianfranco Carpeoro: non è possibile sanzionare un politico per un legittimo atto governativo, dice Carpeoro in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «I migranti della Diciotti non erano affatto sequestrati: nessuno impediva loro di dirigersi altrove, Salvini ha solo frenato il loro ingresso in Italia», sostiene Carpeoro, che ipotizza un abuso extra-costituzionale. «Mi auguro – aggiunge – che altri magistrati valutino l’operato dei colleghi che hanno deciso di indagare Salvini».L’avvocato Pierluigi Winkler, altro “rooseveltiano”, fa notare che il sequestro di persona, come reato, dovrebbe avere alle spalle una finalità criminale: e di quale crimine si dovrebbe accusare il governo italiano, in questo caso? Concorda lo stesso Magaldi, a sua volta in diretta web su YouTube con Frabetti: «E’ evidente che Salvini non ha commesso alcun reato, e bene ha fatto il resto del governo – cioè i 5 Stelle e lo stesso Conte – a dichiararsi corresponsabile della decisione di Salvini. Quello che stupisce, semmai – aggiunge Magaldi – è che Di Maio e soci non abbiano trovato il coraggio di prendere la decisione di proteggere Salvini dall’azione giudiziaria, ricorrendo invece alla consultazione online degli iscritti». Democrazia diretta? «Va bene che il popolo dev’essere sovrano. Ma se proponesse una follia? Un gruppo dirigente deve sapersi assumere precise responsabilità, senza rinunciare a dire come la pensa». Pesa, sui 5 Stelle, il recentissimo passato giustizialista: tanti voti sono arrivati al movimento di Grillo proprio grazie alla retorica anti-casta, alla crociata contro i privilegi. Fino al punto da esporre un alleato di governo al rischio di farsi processare – concedendo l’autorizzazione a procedere – solo per aver tenuto fede alla sua linea politica?Gli stessi leghisti, peraltro – ricorda Magaldi – sono reduci della stessa “malattia” dei 5 Stelle: anche loro, guidati da Bossi, agitarono il cappio in Parlamento nella battaglia campale contro i politici corrotti. Invasione di campo, da parte della magistratura? «Negli anni ‘90, gli esponenti forcaioli della Lega Nord erano ben lieti che il pool di Mani Pulite facesse a pezzi i partiti della Prima Repubblica». Beninteso: i reati vanno perseguiti, e i partiti italiani scontavano un tasso elevato di corruzione, oltre all’ipocrisia sul finanziamento pubblico (tollerato, benché irregolare). Per contro, gli stessi magistrati – per decenni – non avevano mai osato mettere sotto accusa ministri e segretari di partito. Il motivo? Geopolitico: l’Italia era troppo importante, come baluardo contro l’impero sovietico. Per consentire ai pm di indagare Craxi c’è stato bisogno del crollo del Muro di Berlino. Magistrati anche valorosi e in totale buona fede, aggiunge Magaldi, sono diventati lo strumento di un gioco pericoloso, costruito per indebolire l’Italia. Un gioco avviato proprio in quegli anni dal separatismo nordista della Lega di Bossi, che – nella sua vulgata – criminalizzò l’intero processo dell’unità nazionale, rappresentando il Risorgimento come una tragica farsa.Suscita malinconia, oggi, riscontrare la singolare consonanza di vedute tra i vetero-leghisti degli anni ‘90 e i propagandisti neo-borbonici, cioè tra il Nord che si ritiene vampirizzato finanziariamente dal Meridione “scansafatiche” e il Sud che, a sua volta, si dichiara vittima dell’imperialismo coloniale nordista, garibaldino e sabaudo. Pura ignoranza della nostra storia, dice Magaldi: impossibile dimenticare che i combattenti meridionali aderirono all’esercito di Garibaldi perché non ne potevano più del regime assolutista dei Borboni, violento e autoritario, privo di Costituzione, fondato sull’arbitrio e sullo sfruttamento schiavistico di milioni di “cafoni” costretti a faticare nei latifondi. Pessima, poi, la gestione post-unitaria dopo la perdita di Cavour, col prevalere degli aspetti più reazionari della pessima monarchia torinese. Ma da qui a rimpiangere la cricca parassitaria del sovrano di Napoli, ne corre. Piuttosto: ci siamo mai domandati perché periodicamente esplodono queste polemiche fondate sulla non-conoscenza della storia?Se voglio colpire un paese, ragiona Magaldi, per prima cosa lo divido, mettendo il Nord contro il Sud. Poi magari uso la magistratura per decapitarne la classe dirigente (nel caso dell’Italia, protagonista di un notevole riscatto economico nei decenni del dopoguerra). In altre parole, la manipolazione produce una specie di harakiri: un paese indifeso, proprio quando i grandi poteri globalizzatori stanno per assalirlo e depredarlo, grazie alle regole truccate della nuova Ue. Fino a ritrovarsi poi con Mario Monti a Palazzo Chigi, spedito a commissariare l’Italia dagli stessi poteri che hanno lavorato, anche con l’aiuto della Lega Nord, per sabotare il Belpaese. Quindi è bene prestare la massima attenzione, se il potere giudiziario si mette contro il potere esecutivo. «Provo una sorta di compassione – ammette Magaldi – per come il Movimento 5 Stelle sta facendo di tutto per dissipare il consenso che aveva raccolto in questi anni. Possiamo anche relativizzare la recente débacle alle regionali abruzzesi, ma come non vedere che l’elettorato contesta ovunque il mancato rispetto delle promesse elettorali?». Pessima idea, quella di rifugiarsi nella piattaforma Rousseau sul caso Salvini-Diciotti: «Se per assurdo gli iscritti decidessero un bel giorno che dobbiamo ripristinare le leggi razziali, i dirigenti 5 Stelle si adeguerebbero?».Ma che razza di democrazia è, quella in cui si affida a un’anonima piattaforma informatica la decisione sulla sorte di un ministro, per giunta alleato di governo? Possibile che i 5 Stelle non riescano a difendere in modo netto Matteo Salvini, senza dover consultare gli iscritti? Gioele Magaldi, presidente del Movimento Roosevelt, prende atto della preoccupante debolezza politica dei pentastellati: la loro classe dirigente non osa assumersi la piena responsabilità di schierarsi fino in fondo con il leader della Lega, messo alla berlina dalla magistratura per aver ostacolato lo sbarco dei migranti a bordo della nave Diciotti. Sequestro di persona? Questa l’ipotesi di reato, formulata dai magistrati siciliani. Durissimo, in proposito, un altro esponente del Movimento Roosevelt, Gianfranco Carpeoro: non è possibile sanzionare un politico per un legittimo atto governativo, dice Carpeoro in web-streaming su YouTube con Fabio Frabetti di “Border Nights”. «I migranti della Diciotti non erano affatto sequestrati: nessuno impediva loro di dirigersi altrove, Salvini ha solo frenato il loro ingresso in Italia», sostiene Carpeoro, che ipotizza un abuso extra-costituzionale. «Mi auguro – aggiunge – che altri magistrati valutino l’operato dei colleghi che hanno deciso di indagare Salvini».
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Magaldi: niente è come sembra, e in troppi stanno barando
Viviamo strani giorni, cantava Battiato. Prendi l’Italia: in soli cinque anni ha voltato le spalle al conducator Renzi, trionfatore alle europee con il 40%, per dare una chance all’alieno governo gialloverde. Ma non doveva regnare in eterno, il Fanfarone di Rignano? Com’è possibile che si sia letteralmente estinto, consegnando il paese (provvisoriamente) agli apprendisti stregoni grillini e ai vetero-leghisti già forcaioli, abilmente riciclati da Salvini? Esecutivo bifronte, in tutti i sensi: diviso ormai sul 90% del programma, e incagliato su troppi nodi difficili da sbrogliare. Tanto peggio per i 5 Stelle, i più esposti al vento contrario: facile alzare la voce coi migranti, grazie a una politica low-cost, tutta immagine e quasi senza stanziamenti. Più complicato esaudire il sogno costoso del reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio. Tutti colpevoli, in ogni caso. Il loro peccato? Uno: non aver osato assolvere al compito ricevuto dagli elettori, e cioè riscattare l’Italia liberandola dalla tagliola di un’Ue finita in mano a un potentissimo clan di oligopolisti prezzolati. Lo afferma Gioele Magaldi, il primo a cantare fuori dal coro neo-sovranista di fronte al cedimento del governo Conte sul deficit 2019. Il presidente del Movimento Roosevelt è stato anche il primo (oltre che l’unico) a smascherare il teatrino dell’austerity: dietro il rigore – ha spiegato nel saggio “Massoni” – c’è assenzialmente un club di supermassoni reazionari. Ecco perché, anziché sparare a casaccio contro “l’Europa”, sarebbe più utile fare nomi e cognomi.Lo stesso dicasi per l’altro tasto dolente, assai caro a tanta parte del popolo del web: l’odiato imperialismo yankee, il Deep State che trasforma la superpotenza egemone in uno strumento di violenza e guerra, sfruttamento e oppressione (tema in auge praticamente sempre, ora rinverdito dalle vistose pressioni Usa sul Venezuela di Maduro). A costo di ripetersi, Magaldi insiste: sono stato proprio io – dice, in web streaming su YouTube – a spiegare, più precisamente di altri, quale America ha fatto del male agli americani e al resto del mondo. Brutto spettacolo: le trame golpiste della superloggia “Three Eyes”, il neoliberismo a mano armata, i neocon. Ma erano americani anche i Roosevelt e i Kennedy, così come Martin Luther King. E se tutte le potenze mondiali hanno sempre e solo perseguito la logica mercantile del dominio, almeno – dice Magaldi, convinto atlantista – gli Stati Uniti restano la prima democrazia del mondo e la prima repubblica a essersi dotata di un governo parlamentare elettivo, sulla scorta di una Costituzione che proclamò l’estrema eresia del “diritto alla felicità”, per tutti, in un mondo allora retto soltanto da imperi e monarchie, senza diritti e senza suffragio universale. Questo ovviamente non assolve l’America dai suoi peccati, ma almeno – sottolinea Magaldi – dovrebbe imporre il sano esercizio dei distinguo: buoni e cattivi non sono mai la stessa cosa, anche se coabitano sotto la stessa bandiera.Viviamo strani giorni, inutile negarlo: i 5 Stelle sprofondano alle regionali in Abruzzo facendo impallidire il 40% incassato un anno fa dagli abruzzesi alle politiche, ma lo stesso Salvini – pensando a Renzi – farebbe meglio a non dormire sugli allori. E se il voto è diventato così volatile, ragiona Magaldi, è perché gli italiani sono veramente stufi di essere presi in giro: l’allora padrone del Pd aveva solo finto di sfidare Bruxelles, e i gialloverdi sembrano scivolare lungo la stessa china. Non avendo osato tener duro sul deficit per alimentare la crescita, saranno costretti – vista l’inevitabile flessione del Pil – a procedere con sanguinosi tagli lineari. Strani giorni, appunto: mentre diventano sempre più evanescenti le categorie del Novecento, destra e sinistra, visti soprattutto gli imbarazzanti portavoce del centrodestra e del centrosinistra, stenta ancora ad affermarsi una visione del presente più realistica, capace cioè di fotografare il vero scontro: da una parte l’apolide oligarchia del denaro, dall’altra i difensori della sovranità democratica (che non è né di destra né di sinistra, ma è stata confiscata dai poteri privatizzatori col servile contributo di entrambi gli schieramenti, che per tutta la Seconda Repubblica hanno solo e sempre fatto finta di combattersi, per poi eseguire i dettami neoliberali della medesima élite transnazionale).Strani giorni, questi, in cui Di Maio – in preda al panico pre-elettorale da sondaggi – organizza fuori tempo massimo uno sgangherato gemellaggio con frange dei Gilet Gialli, ottenendo uno scontro diplomatico con la Francia, in rivolta contro il supermassone Macron. Più che azzoppato, il ducetto dell’Eliseo: praticamente impresentabile, eppure capace di siglare il tragicomico Trattato di Aquisgrana con Angela Merkel, con la quale poi Giuseppe Conte si intrattiene amabilmente al bar, sparlando dei suoi “azionisti” politici, i 5 Stelle. Tanto teatro, e pochissima sostanza commestibile. Non è sul tavolo – su nessun tavolo – il cambio di paradigma, keynesiano, per il quale Gioele Magaldi si batte. In queste sabbie mobili, il Movimento Roosevelt annuncia inziative di sapore strategico nei prossimi mesi. A Londra il primo appuntamento, il 30 marzo: un’agenda da aggiornare con Nino Galloni, Guido Grossi, Ilaria Bifarini, Antonio Maria Rinaldi e altri cervelli dell’economia democratica, per chiarire che – obbedendo a questa Ue – non si va da nessuna parte.Poi in Sicilia è in arrivo un forum sui migranti, per ribadire che il Mediterraneo e l’Africa si possono (e si devono) abbracciare, con una visione strategica di partnership, nel segno del rispetto per la sovranità del terzo mondo. Una battaglia costata la vita a Thomas Sankara, cui il Movimento Roosevelt dedicherà un convegno a Milano, il 3 maggio. L’evento milanese vuol recuperare la memoria di Sankara ma anche di Carlo Rosselli, alfiere italiano del socialismo liberale «assassinato dai fascisti ma detestato anche dai comunisti». Due icone, per il fronte progressista universale che si richiama ai diritti dell’uomo, esattamente come lo svedese Olof Palme, altro massone progressista, ucciso a Stoccolma dai sicari dell’oligarchia euro-atlantica che progettava questa globalizzazione e questa Unione Europea. Globalizzazione che poi ha realizzato, sottolinea Magaldi, con il pieno contributo di supermassoni neo-aristocratici mediorientali, asiatici, cinesi e russi.Ecco perché è così difficile, oggi, “nazionalizzare” una geopolitica ormai interamente “privatizzata” da opachi comitati d’affari, che – all’occorrenza – si dedicano anche al terrorismo, alle “rivoluzioni colorate”, ai maxi-attentati come quello dell’11 Settembre per poi incassare i dividendi della “guerra infinita” (Iraq e Afghanistan, Libia e Siria), fino all’estrema propaggine dell’orrore, incarnata dall’Isis del supermassone Al-Baghdadi. Ci stanno sanguinosamente prendendo in giro? Esatto, ribadisce Magaldi. E la via d’uscita, insiste, è una sola: si chiama democrazia. Un’Ue non-democratica non può continuare a tiranneggiare il governo italiano, che sarà pieno di difetti ma è stato votato dai cittadini. E se Lega e 5 Stelle fingono di dormire, Magaldi scommette sul cantiere del “Partito che serve all’Italia”: un modo per dire che, prima o poi, il velo dovrà cadere. Obiettivo: smascherare il vero avversario e consentire allo Stato di tornare a spendere per i cittadini, mettendo fine allo scandalo silenzioso dell’avanzo primario, con gli italiani che – da troppi anni – versano allo Stato più denaro, sotto forma di tasse, di quanto il governo non ne spenda per loro.Viviamo strani giorni, cantava Battiato. Prendi l’Italia: in soli cinque anni ha voltato le spalle al conducator Renzi, trionfatore alle europee con il 40%, per dare una chance all’alieno governo gialloverde. Ma non doveva regnare in eterno, il Fanfarone di Rignano? Com’è possibile che si sia letteralmente estinto, consegnando il paese (provvisoriamente) agli apprendisti stregoni grillini e ai vetero-leghisti già forcaioli, abilmente riciclati da Salvini? Esecutivo bifronte, in tutti i sensi: diviso ormai sul 90% del programma, e incagliato su troppi nodi difficili da sbrogliare. Tanto peggio per i 5 Stelle, i più esposti al vento contrario: facile alzare la voce coi migranti, grazie a una politica low-cost, tutta immagine e quasi senza stanziamenti. Più complicato esaudire il sogno costoso del reddito di cittadinanza sbandierato da Di Maio. Tutti colpevoli, in ogni caso. Il loro peccato? Uno: non aver osato assolvere al compito ricevuto dagli elettori, e cioè riscattare l’Italia liberandola dalla tagliola di un’Ue finita in mano a un potentissimo clan di oligopolisti prezzolati. Lo afferma Gioele Magaldi, il primo a cantare fuori dal coro neo-sovranista di fronte al cedimento del governo Conte sul deficit 2019. Il presidente del Movimento Roosevelt è stato anche il primo (oltre che l’unico) a smascherare il teatrino dell’austerity: dietro il rigore – ha spiegato nel saggio “Massoni” – c’è essenzialmente un club di supermassoni reazionari. Ecco perché, anziché sparare a casaccio contro “l’Europa”, sarebbe più utile fare nomi e cognomi.
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Abruzzo, Caporetto 5 Stelle: più vicina la fine del governo
«Nel decennale del tragico terremoto dell’Aquila parte dall’Abruzzo un terremoto di altro genere, meno cruento, ma destinato a far sentire le proprie onde sussultorie sino a Roma». Lo scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, di fronte al risultato delle regionali in Abruzzo: vittoria del centrodestra e tracollo dei 5 Stelle, che vedono dimezzare il 40% ottenuto alle politiche meno di un anno fa. Quello che ha più colpito chi ha potuto osservare l’andamento del consenso attraverso i sondaggi – osserva Del Duca – è stato il progressivo indebolimento dei grillini, rimontati persino dal Pd. «La batosta grillina appare ancora più evidente di fronte a un’ottima tenuta del centrodestra unito, che stravince con un candidato targato Fratelli d’Italia», Marco Marsilio, ma soprattutto «grazie a una Lega straripante». Per la maggioranza gialloverde «non ci poteva essere un campanello d’allarme più rumoroso». Nell’immediato è probabile che non succeda nulla, aggiunge Del Duca, anche perché Salvini si è affrettato a spiegare che a Roma non cambia nulla. «Ma fra due settimane, se il trend abruzzese dovesse essere confermato nelle elezioni regionali della Sardegna, allora davvero si potrebbero aprire scenari imprevedibili».Secondo il “Sussidiario”, la sconfitta in Abruzzo potrebbe avviare la resa dei conti dentro il Movimento 5 Stelle, con Di Maio sul banco degli imputati. «E una seconda solenne sconfitta in terra sarda potrebbe costituire per la sua leadership il colpo di grazia». Del resto, annota Del Duca, l’elenco dei fronti caldi per i grillini si allunga giorno dopo giorno: la Tav, la Francia e da ultimi la polemica di Di Battista contro Napolitano e quella contro la Banca d’Italia. «Per di più, solo in quest’ultimo caso si è registrata una perfetta identità di vedute con l’alleato leghista. Per il resto la distanza è siderale». Si pensi alla crisi venezuelana, all’autonomia delle Regioni del Nord, alla legittima difesa o all’autorizzazione a procedere contro Salvini per il caso Diciotti. «Unica speranza di invertire il trend, il reddito di cittadinanza». Il Movimento 5 Stelle «vive con apprensione l’isolamento crescente che verifica intorno a sé, compreso il crescente pressing del Quirinale, che ormai non perdona passi falsi. «Alla Lega, al contrario, si rivolgono in tanti, ad esempio sindacati e imprenditori, come l’unica forza ragionevole, in grado di stoppare le leggerezze di un governo giudicato del tutto inadeguato».Finora, prosegue Del Duca, il rapporto personale fra Salvini e Di Maio ha puntellato il traballante governo Conte. Presto però potrebbe non bastare, «se l’ala dura dei grillini dovesse pretendere di più». Allo stesso modo, Salvini «potrebbe non riuscire più a resistere alle sirene di chi gli chiede di staccare la spina». Per prendere una decisione sul futuro il tempo stringe: a fine maggio ci sono le europee, ma soprattutto – in prospettiva – si preannuncia «una legge di bilancio drammatica, con la necessità di trovare una cifra enorme, 23 miliardi, solo per evitare l’aumento automatico dell’Iva». Sarà quindi una manovra “lacrime e sangue”, «di quelle che si possono fare solo in una fase immediatamente successiva a un turno elettorale, non subito prima». Secondo Del Duca, infatti, “zoppica” l’ipotesi che questo governo possa arrivare a fine anno, e poi portare il paese alle elezioni a inizio 2020. Mattarella si convincerà che il voto è il male minore per il paese? «Dall’Abruzzo però potrebbe davvero essere partita una valanga in grado di travolgere l’esecutivo gialloverde».«Nel decennale del tragico terremoto dell’Aquila parte dall’Abruzzo un terremoto di altro genere, meno cruento, ma destinato a far sentire le proprie onde sussultorie sino a Roma». Lo scrive Anselmo Del Duca sul “Sussidiario”, di fronte al risultato delle regionali in Abruzzo: vittoria del centrodestra e tracollo dei 5 Stelle, che vedono dimezzare il 40% ottenuto alle politiche meno di un anno fa. Quello che ha più colpito chi ha potuto osservare l’andamento del consenso attraverso i sondaggi – osserva Del Duca – è stato il progressivo indebolimento dei grillini, rimontati persino dal Pd. «La batosta grillina appare ancora più evidente di fronte a un’ottima tenuta del centrodestra unito, che stravince con un candidato targato Fratelli d’Italia», Marco Marsilio, ma soprattutto «grazie a una Lega straripante». Per la maggioranza gialloverde «non ci poteva essere un campanello d’allarme più rumoroso». Nell’immediato è probabile che non succeda nulla, aggiunge Del Duca, anche perché Salvini si è affrettato a spiegare che a Roma non cambia nulla. «Ma fra due settimane, se il trend abruzzese dovesse essere confermato nelle elezioni regionali della Sardegna, allora davvero si potrebbero aprire scenari imprevedibili».