Archivio del Tag ‘Romania’
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Craig Roberts: l’America mente sempre e ci distruggerà
L’atteggiamento aggressivo e insensato che i guerrafondai di Washington continuano a tenere nei confronti di Russia e Cina ha frantumato la costruzione geopolitica messa in atto da Reagan e Gorbaciov. Reagan e Gorbaciov alla fine alla guerra fredda bandirono la minaccia di un Armageddon nucleare. Ora i neocon, tutto l’apparato militare Usa – bilancio-dipendente – (che vivono sulle spalle dei contribuenti), tutto il complesso degli organi di sicurezza, e i politici americani – dipendenti da fondi elettorali versati dall’apparato militare e da quello della sicurezza – hanno resuscitato la minaccia nucleare. Il regime corrotto e doppiogiochista di Clinton, per primo, ruppe l’accordo che l’amministrazione di George Bush fece con Mosca nel 1990, quando Mosca acconsentì alla riunificazione della Germania che diventò membro della Nato e in cambio Washington convenne che non ci sarebbe stata nessuna espansione della Nato verso est. Gorbaciov, il segretario di Stato americano James Baker, l’ambasciatore degli Usa a Mosca Jack Matlock e tutti i documenti declassificati testimoniano il fatto che a Mosca fu assicurato che non ci sarebbe stata nessuna espansione della Nato in Europa Orientale.Nel 1999 il presidente Bill Clinton sbugiardò l’amministrazione del presidente George Bush e il corrotto Clinton fece entrare Polonia, Ungheria e la neonata Repubblica Ceca nella Nato. Anche il presidente George W. Bush sbugiardò di fatto suo padre George H.W. Bush e il segretario Stato di suo padre, James Baker. “Dubya”, il ben noto imbecille-ubriacone, nel 2004 fece entrare Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Slovacchia, Bulgaria e Romania nella Nato, e il regime corrotto e disperato di Obama ha aggiunto l’Albania e la Croazia nel 2009. In altre parole, nel corso degli ultimi 21 anni, tre presidenti degli Stati Uniti in carica per due mandati hanno insegnato a Mosca che la parola del governo degli Stati Uniti non ha nessun valore. Oggi la Russia è circondata da basi militari Usa e Nato, e altre arriveranno in Ucraina (che è stata parte della Russia per secoli), in Georgia (anche parte della Russia per secoli e paese natale di Stalin), in Montenegro, in Macedonia, in Bosnia-Erzegovina, e forse anche in Azerbaigian. Una grande distesa di terre che facevano parte dell’impero sovietico ora sono diventate parte dell’impero di Washington. L’“arrivo della democrazia” significava semplicemente “arrivo di nuovi padroni”.E’ sempre Washington che sceglie il burattino che sarà eletto segretario generale della Nato. L’ultimo è un ex politico e primo ministro norvegese, Jens Stoltenberg. Per ordine di Washington, il burattino ha messo subito le sue carte in tavola dicendo a Mosca che la Nato ha un esercito potente, che svolge il ruolo di polizia globale e che può essere dislocato ovunque voglia Washington. Affermazione questa in totale contraddizione con gli obiettivi e lo statuto della Nato. Igor Korochenko, membro del Consiglio del ministero della difesa russo, ha replicato al burattino-Stoltenberg: «Dichiarazioni di questo genere sono in contrasto con le norme del sistema di sicurezza internazionale, pertanto se la Nato dovesse rappresentare una minaccia per la Russia saranno prese misure sensibili». E le misure che possono essere prese, come rezione a una minaccia, non sono altro che quello che vi state aspettando: la disponibilità di tante armi nucleari da poter spazzar via Stati Uniti e Europa, parecchie volte.Quegli sciocchi arroganti di Washington, gongolandosi nella loro tracotanza da “nazione indispensabile”, hanno provocato Mosca fino al punto che ora la Russia ha uno schieramento di armi nucleari superiore a quello degli Stati Uniti. E’ questo il risultato che ha ottenuto Washington non mantenendo la parola data e mettendo basi missilistiche Abm sul confine della Russia: la Russia ha sviluppato un sistema di missili balistici intercontinentali supersonici che possono rapidamente cambiare traiettoria e non possono essere abbattuti da nessun sistema di difesa missilistica. Naturalmente, le società americane che guadagnano miliardi di dollari vendendo un inutile sistema Abm a Washington, negheranno tutto. Inoltre, paesi, come la Polonia, i cui governi sono tanto stupidi da accettare le basi Abm degli Usa, sarebbero annientati ancor prima di far funzionare quelle basi stesse. La stupidità dell’Europa orientale, o meglio dei governi-comprati-e-pagati per far sembrare credibile la politica di Washington sarà probabilmente la causa principale della “WW-III”, la Terza Guerra Mondiale. Chi sarà contento di entrare nel nuovo Armageddon è il complesso militare della sicurezza americana, una banda di avidi bastardi – composto da imprese “private” sovvenzionate solo da fondi pubblici, che pensano solo ai soldi, senza preoccuparsi del costo potenziale in vite umane.Il loro portavoce al Senato degli Stati Uniti, Jim Inhofe, membro della sottocommissione per le forze strategiche degli “Armed Services”, ha resuscitato l’argomento – che si raccontava 60 anni fa – che l’America è in ritardo nella corsa agli armamenti. Infatti, ricominciare la corsa agli armamenti è essenziale per far aumentare i profitti del complesso militare della sicurezza Usa e per i contributi delle campagne elettorali dei senatori. Ma quegli scriteriati di Washington non hanno ricominciato a “sfruculiare” solo le forze strategiche nucleari della Russia, ma anche quella della Cina. L’anno scorso la Cina ha fatto circolare una descrizione pittoresca su come il nucleare cinese potrebbe distruggere gli Stati Uniti. Lo ha fatto come risposta al folle piano di Washington di costruire nuove basi aeree e navali dalle Filippine al Vietnam, per controllare il flusso commerciale nel Mar Cinese Meridionale. Quanto può essere idiota un governo americano che pensa che la Cina possa sopportare una interferenza di questo genere nella sua sfera di influenza?La Cina ora ha aggiunto al suo arsenale nucleare una nuova variante di uno dei suoi apparati mobili Icbm, ma Washington non sa molto su questo nuovo missile, forse perché la Cia è troppo occupata a organizzare le proteste di Hong Kong. Sia la Russia che la Cina erano soddisfatte di essere entrate a far parte dell’economia mondiale e di poter rendere migliore la situazione economica dei loro cittadini con lo sviluppo economico. Ma subito dopo sono arrivati i neocon con l’“Unipower – la Superpotenza”, un branco di psicopatici arroganti che dicono che Washington non permetterà a nessun altro paese, nemmeno a Russia e Cina, di assurgere al rango di paese che può esercitare una politica estera indipendente dagli obiettivi di Washington. La guerra nucleare è tornata in scena. Prima Washington minaccia tutti quelli che vede come possibili rivali, poi quando questi rivali non accettano di sottomettersi, Washington li demonizza. Nelle storia scritta dagli storici di corte di Washington, i più grandi demoni dei tempi moderni furono i governi di Giappone e Germania durante la Seconda Guerra Mondiale insieme al governo sovietico di Stalin nel dopoguerra. Questi storici di corte americani non conoscono i fatti.Il Giappone fu costretto alla guerra da Washington, che tagliò la via di accesso alle risorse del paese, che poi fu “nuked” due volte mentre il suo governo stava cercando di arrendersi. Tutte le promesse del presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson fatte alla Germania, per mettere fine alla Prima Guerra Mondiale, come ad esempio nessuna concessione territoriale e nessun risarcimento, furono tradite. La Germania fu smembrata e parti di territorio tedesco consegnate a Polonia, Francia e Cecoslovacchia. Nonostante questa promessa del presidente americano Woodrow Wilson, invece, il Trattato di Versailles impose delle spese di riparazione impossibili, tanto che il preveggente John Maynard Keynes dichiarò che le riparazioni si sarebbero tradotte in una seconda guerra mondiale. Se la memoria non m’inganna, altri appezzamenti di terre tedesche furono assegnati anche a Belgio, Lituania e Danimarca. Questa umiliazione per un popolo industrioso e potente, messa in atto da eserciti che alla fine della Prima Guerra Mondiale occuparono territori stranieri, dimostrò – già da allora – la falsità delle cosiddette “potenze occidentali”.Furono i francesi, gli inglesi, gli americani che spianarono la strada ad Adolf Hitler. Nel 1935 Hitler era abbastanza forte da denunciare il Trattato di Versailles e se Hitler non avesse avuto l’arroganza di mandare le armate tedesche a marciare nelle steppe della Russia, dove si distrussero da sole, oggi lui, o chi per lui, sarebbe ancora al potere in Europa. La vera storia è tanto diversa da quella che Washington finge di conoscere e che viene insegnata nelle scuole americane. La maggior parte degli americani è cieca e inconsapevole che Washington sta portando il mondo ad un passo dalla guerra. Se Ebola e il riscaldamento globale non riusciranno a distruggere l’umanità, a farlo saranno l’ignoranza del popolo americano e la guerra di Washington per l’egemonia mondiale.(Paul Craig Roberts, “Washington sta distruggendo il mondo”, da “Information Clearing House” del 7 ottobre 2014, ripreso da “Come Don Chisciotte”).L’atteggiamento aggressivo e insensato che i guerrafondai di Washington continuano a tenere nei confronti di Russia e Cina ha frantumato la costruzione geopolitica messa in atto da Reagan e Gorbaciov. Reagan e Gorbaciov alla fine alla guerra fredda bandirono la minaccia di un Armageddon nucleare. Ora i neocon, tutto l’apparato militare Usa – bilancio-dipendente – (che vivono sulle spalle dei contribuenti), tutto il complesso degli organi di sicurezza, e i politici americani – dipendenti da fondi elettorali versati dall’apparato militare e da quello della sicurezza – hanno resuscitato la minaccia nucleare. Il regime corrotto e doppiogiochista di Clinton, per primo, ruppe l’accordo che l’amministrazione di George Bush fece con Mosca nel 1990, quando Mosca acconsentì alla riunificazione della Germania che diventò membro della Nato e in cambio Washington convenne che non ci sarebbe stata nessuna espansione della Nato verso est. Gorbaciov, il segretario di Stato americano James Baker, l’ambasciatore degli Usa a Mosca Jack Matlock e tutti i documenti declassificati testimoniano il fatto che a Mosca fu assicurato che non ci sarebbe stata nessuna espansione della Nato in Europa Orientale.
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Cremaschi: ho visto un mondo libero dal ricatto della paura
Ho visto un altro mondo e ora mi sembra un sogno. Non siamo più negli anni ’70, mi rinfaccia con rabbia e arroganza o semplicemente con tristezza chi mi chiede di tacere. E non sa fino a che punto potrei dargli ragione. Ho visto un mondo dove il posto di lavoro era la partenza, non l’arrivo incerto di un percorso a ostacoli. I primi volantini che da studente negli anni ’60 ho distribuito timidamente davanti a una fabbrica di Bologna chiedevano l’abolizione dell’apprendistato e dei contratti a termine, perché, si scriveva, servivano solo a pagare di meno e a sfruttare di più. Furono davvero aboliti. Ricordo quando il periodo di prova per entrare al lavoro durava due settimane per un operaio, poco più di un mese per un impiegato. Durante questo periodo il nuovo assunto era esentato dagli scioperi e da ogni partecipazione alla vita sindacale e politica nel luogo di lavoro. Erano gli stessi militanti sindacali a consigliare quel comportamento, suggerendo: poi, quando sarai confermato, ti potrai sfogare.Oggi la prova non finisce mai, contratti precari su contratti precari per fare sempre lo stesso lavoro. E siccome non c’è mai fine al peggio, a tutto questo si vuol aggiungere il nuovo contratto di lavoro renziano. Che stabilisce che per tre o quattro anni si potrà essere assunti in prova con paga ridotta, senza alcun diritto e licenziabili in qualsiasi momento. E dopo la conferma sarà lo stesso. Una nuova regola finalmente, diranno gli estimatori. Sì, la regola: o ti va bene così o quella è la porta. Quella stessa porta da cui puoi uscire improvvisamente se, una volta raggiunto con tanta fatica il fatidico posto fisso, ti comunicano che la tua azienda delocalizza, o che viene sostituita da una cooperativa del subappalto, o che la “spending review” ha imposto il taglio del servizio. Da lavoratore flessibile a risorsa, da risorsa a esubero. Il ciclo vitale del lavoratore subisce le stesse mutazioni della vita degli insetti, si passa in stadi diversi e sempre più spesso quello che si presenta come il più bello è quello che dura di meno. I lavoratori come farfalle.Neanche allora c’era davvero la piena occupazione e tuttavia il sistema aspirava ad essa, la disoccupazione di massa del dopoguerra era stata riassorbita, anche attraverso dolorose migrazioni interne. Ripeto: il posto di lavoro era la partenza, da lì ci si muoveva per cominciare a pensare al salario, all’orario, ai diritti, al rispetto e alla dignità. E da tutto ciò derivavano forza e orgoglio. Ricordo una delle prime assemblee operaie a cui mi capitò di assistere, ancora da studente abbastanza intimidito. Era in un cinema di Bologna ove le operaie di una fabbrica tessile si incontravano con il consiglio di fabbrica di una grande impresa metalmeccanica. Si scambiavano esperienze e solidarietà e i metalmeccanici naturalmente si vantavano un bel po’ davanti a centinaia di giovani donne. Uno di loro mostrò un fischietto e spiegò: questa è la nostra arma; qualcosa non va, una prepotenza ci sta per colpire? Noi fischiamo e tutti si fermano. Ricordo le risate e la commozione, gli applausi e una fischiata generale di prova.Oggi la condizione psicologica normale di chi lavora è un intreccio di rancore rassegnato e di paura. La paura di fronte al ricatto. Su questa paura si è lavorato per decine di anni. Anche buona parte dei sindacati ha finito per adeguarsi ad essa, persino per servirsene. Senza il sistema della paura, anche nella mutata organizzazione del lavoro, le persone troverebbero di nuovo il coraggio di alzare la testa. Si è investito sulla paura, si educa alla paura. Nel linguaggio politicamente corretto essa si chiama senso di responsabilità, accettazione delle compatibilità, persino giusto spirito della modernità e della competitività nelle versioni più sfacciate. Ma sempre di paura si tratta. Si afferma: o così o il lavoro sparisce. Ma una ricerca in Germania ha mostrato che su cento aziende che hanno annunciato la delocalizzazione, solo una o due l’hanno poi fatta davvero. Però quella minaccia è bastata per ottenere condizioni salariali e di lavoro peggiori. Colpiscine uno per educarne cento. E d’altra parte, se non fosse così, come spiegare che anche là dove l’attività non può essere delocalizzata, ma anzi deve essere rigidamente localizzata, domina il rapporto di lavoro fondato sulla paura?Le grandi cattedrali del consumo, quei mastodontici centri commerciali che spesso prendono il posto degli antichi insediamenti industriali ora dismessi, sono luoghi ove lavorano migliaia di persone. Anche qui dominano paura e rassegnazione, ognuna e ognuno hanno ormai il proprio contratto di lavoro, che si rinnova al ribasso periodicamente. E il centro commerciale non può certo essere spostato in Romania. Ma i contratti precari, le flessibilità articolate con astuzia sopraffina, in modo da fare sì che non ci siano due persone con gli stessi immediati interessi, la continua violenta sopraffazione ideologica verso tutto ciò che minimamente potrebbe alludere al conflitto, producono alla fine ciò che più interessa a chi comanda: la passività.(Giorgio Cremaschi, “Divieni farfalla, poi muori”, da “Carmilla online” del 3 ottobre 2014).Ho visto un altro mondo e ora mi sembra un sogno. Non siamo più negli anni ’70, mi rinfaccia con rabbia e arroganza o semplicemente con tristezza chi mi chiede di tacere. E non sa fino a che punto potrei dargli ragione. Ho visto un mondo dove il posto di lavoro era la partenza, non l’arrivo incerto di un percorso a ostacoli. I primi volantini che da studente negli anni ’60 ho distribuito timidamente davanti a una fabbrica di Bologna chiedevano l’abolizione dell’apprendistato e dei contratti a termine, perché, si scriveva, servivano solo a pagare di meno e a sfruttare di più. Furono davvero aboliti. Ricordo quando il periodo di prova per entrare al lavoro durava due settimane per un operaio, poco più di un mese per un impiegato. Durante questo periodo il nuovo assunto era esentato dagli scioperi e da ogni partecipazione alla vita sindacale e politica nel luogo di lavoro. Erano gli stessi militanti sindacali a consigliare quel comportamento, suggerendo: poi, quando sarai confermato, ti potrai sfogare.
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Isis: demolire la Siria e poi far esplodere il Caucaso russo
Terza Guerra Mondiale, istruzioni per l’uso. Ne parla George Friedman sul newsmagazine “Strafor”: tra Ucraina e Iraq, si dipana la “Strategia nel Mar Nero”. «Mentre altri analisti scrivevano dei “valori europei” che dovrebbero prender piede in Ucraina, quali ad esempio la “democrazia” e la “società aperta”, Friedman si è invece dedicato al posizionamento strategico, alla pianificazione militare e alla politica del petrolio e del gas della Russia», prende nota Arkady Dziuba. Friedman «ammette apertamente» che gli Usa abbiano pilotato la crisi ucraina per «infliggere un colpo strategico alla sicurezza nazionale russa». Nel complesso, è una «geo-strategia volta a precipitare il mondo nel caos». Notizia: «Nelle élites degli Stati Uniti sta cambiando la percezione degli eventi, che cominciano ad essere interpretati come parte di una “guerra mondiale” in corso». Conferma Giulietto Chiesa: «I fronti si vanno moltiplicando giorno dopo giorno». La campagna contro l’Isis? «E’ di fatto un nuovo tentativo di abbattere Assad, scompaginando definitivamente la Siria». E stavolta «la Russia non può intervenire direttamente perché è sotto attacco».Erdogan, scrive Chiesa su “Facebook”, continua nella sua linea “ottomana”, «puntando a far fuori i curdi in primo luogo, ma sapendo benissimo che aiuta Israele e l’Arabia Saudita, entrambi con l’obiettivo di riprendere l’offensiva contro l’Iran». Attenzione: «La Cina si muove per ora lentamente, ma si muove». Esempio clamoroso, «le recenti esercitazioni congiunte nel Golfo Persico, tra Cina e Iran». Intanto, «la crisi ucraina è completamente aperta e il peggio deve ancora venire». Dettaglio: «Quasi nessuno connette tutti questi fili. Hong Kong è l’inizio dell’offensiva americana contro Pechino. Siamo già su un piano inclinato che va verso un conflitto di enormi dimensioni». Il termine “guerra mondiale” è impressionante, ammette Arkady Dziuba in un post su “Strategic Culture”, tradotto da “Come Don Chisciotte”, «ma non c’è niente di veramente nuovo nel pensare in questi termini: la precedente crisi economica mondiale, paragonabile per dimensioni a quella presente, è stata superata grazie ad una “guerra mondiale”».A ben vedere, «una “guerra mondiale” permette di ridisegnare la mappa del mondo, di accedere a nuovi mercati, di cancellare i vecchi debiti e di stabilire, infine, nuove regole del gioco negli affari internazionali. Ed è questo il fattore più importante per gli Stati Uniti». Aggiunge Dziuba: «Giocare secondo quelle regole che la stessa America aveva stabilito in passato non serve a mantenere la leadership mondiale, ma soltanto a cederla ad una Cina arrembante». Secondo George Friedman, il problema più critico per gli Usa è quello di creare un unico piano integrato, che tenga conto delle sfide più urgenti. «Potrebbe non essere possibile, operativamente, coinvolgere in contemporanea tutti gli avversari ma, concettualmente, è essenziale pensare nei termini di un coerente centro di gravità per tutte le operazioni». Per Friedman, è sempre più chiaro che questo centro di gravità è costituito dal Mar Nero. In senso militare sono attualmente attivi due teatri, entrambi dotati di un’ampia importanza potenziale. Uno è costituito dall’Ucraina, l’altro dalla regione posta fra Siria e Iraq, dove le forze dell’Isis hanno lanciato un’offensiva, progettata come minimo per controllare quei due paesi, e come massimo per dominare tutta l’area mediorientale, fino all’Iran. Due teatri connessi fra loro, attraverso il Caucaso russo.Mentre la Russia ha continui problemi nell’Alto Caucaso, allo stesso tempo alcuni report parlano di «consulenti ceceni che lavorano con lo “Stato Islamico”». Secondo Friedman, gli gli americani non useranno il loro potere militare su vasta scala: prevedono di raggiungere gli obiettivi a spese degli alleati regionali (Turchia e Romania costituiscono, in questo senso, due paesi-chiave). Per Thomas Donnelly, analista militare, la fase aerea non è assolutamente sufficiente e gli Stati Uniti saranno coinvolti in Iraq per più di dieci anni. Secondo Friedman, tuttavia, la combinazione di aviazione e forze speciali non comporterà l’eliminazione dello “Stato Islamico”. «Considerando che gli Stati Uniti non metteranno “gli stivali sul terreno” (dichiarazioni del presidente Obama), questo significa che qualcun altro dovrà inviare delle forze di terra al posto loro». L’alleato naturale sarebbe l’Iran, ma il fatto sarebbe inaccettabile per Washington. Così, se l’America resterà a guardare – limitandosi a bombardamenti isolati – l’Isis potrà «passare gradualmente nel Caucaso Settentrionale, facendo emergere le forze sotterranee presenti in quell’area e aprendo un nuovo fronte», ovviamente contro Mosca. Lo “Stato Islamico”, conclude Dziuba, ha già dichiarato che la Russia è il suo principale nemico. Uno dei leader dell’Isis, Omar al Shishani, è in effetti di etnia cecena. E Dmitry Yarosh, leader del partito neonazista ucraino “Pravy Sektor” (settore destro), tempo fa aveva invitato Doku Umarov, leader di “Imarat Kavkaz” (Emirato del Caucaso) a unirsi nella lotta contro la Russia, benché Umarov fosse morto due mesi prima. E’ la “Strategia del Mar Nero”: l’Iraq non è mai stato tanto vicino a Mosca, e per combattere contro la Russia a quanto pare c’è chi recluta anche i fantasmi.Terza Guerra Mondiale, istruzioni per l’uso. Ne parla George Friedman sul newsmagazine “Strafor”: tra Ucraina e Iraq, si dipana la “Strategia nel Mar Nero”. «Mentre altri analisti scrivevano dei “valori europei” che dovrebbero prender piede in Ucraina, quali ad esempio la “democrazia” e la “società aperta”, Friedman si è invece dedicato al posizionamento strategico, alla pianificazione militare e alla politica del petrolio e del gas della Russia», prende nota Arkady Dziuba. Friedman «ammette apertamente» che gli Usa abbiano pilotato la crisi ucraina per «infliggere un colpo strategico alla sicurezza nazionale russa». Nel complesso, è una «geo-strategia volta a precipitare il mondo nel caos». Notizia: «Nelle élites degli Stati Uniti sta cambiando la percezione degli eventi, che cominciano ad essere interpretati come parte di una “guerra mondiale” in corso». Conferma Giulietto Chiesa: «I fronti si vanno moltiplicando giorno dopo giorno». La campagna contro l’Isis? «E’ di fatto un nuovo tentativo di abbattere Assad, scompaginando definitivamente la Siria». E stavolta «la Russia non può intervenire direttamente perché è sotto attacco».
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Alberoni: per il futuro non ci serve la Nato, ma la Russia
La Nato è nata nel 1948 e fra i suoi paesi membri oggi abbiamo Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Belgio, Germania, Danimarca, Norvegia, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania; a sud e a est Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Turchia. In sostanza un semicerchio che stringe la Russia a occidente, a nord e a sud. Anche solo guardandone la forma geografica si capisce che è stata creata in funzione anti Urss all’epoca della Guerra fredda, però continua a esistere anche ora che l’Urss non esiste più e i principali pericoli militari non ci vengono dalla Russia ma dall’area islamica, mentre la più pericolosa competizione economica è quella della Cina. La Nato è tenuta in vita dagli Usa e dal Regno Unito che ci fanno litigare con la Russia per impedirci di stabilire con essa una profonda integrazione economica, e invece spingerci ad acquistare petrolio e gas dai paesi del Golfo controllati da loro.Tutti i paesi europei sono danneggiati da questa politica e la Russia viene spinta a integrarsi con la Cina. È venuto il momento di domandarci perché dobbiamo continuare a fare parte di una organizzazione che ci reca solo danno. La Russia per noi non è un nemico, ma un amico, appartiene alla cultura europea, è un partner economico ideale, combatte l’integralismo islamico che invece gli americani hanno favorito con la loro politica in Afghanistan, in Irak e in Siria. È stata la Nato ad abbattere Gheddafi dando la Libia in mano agli islamisti e inondando l’Italia di immigrati. E non dimentichiamo che il presidente Obama voleva bombardare l’esercito di Assad aiutando le forze che hanno poi creato il Califfato.Oggi la Nato dovrebbe essere riorganizzata con nuovi scopi e con nuovi membri. E per prima cosa dovrebbe farne parte la Russia, per costituire un fronte comune contro l’integralismo islamico e la immensa potenza militare che fra poco sprigionerà la Cina. Oggi la Nato, che guarda a nemici del passato, dovrebbe pensare al futuro. Magari facendo anche qualcosa per il presente: per esempio mettere fine alle emigrazioni nel Mediterraneo da essa stessa provocate.(Francesco Alberoni, “La Nato è morta e la Russia non è più un nemico”, da “Il Giornale” del 15 settembre 2014).La Nato è nata nel 1948 e fra i suoi paesi membri oggi abbiamo Stati Uniti, Canada, Regno Unito, Francia, Belgio, Germania, Danimarca, Norvegia, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania; a sud e a est Spagna, Portogallo, Italia, Grecia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Turchia. In sostanza un semicerchio che stringe la Russia a occidente, a nord e a sud. Anche solo guardandone la forma geografica si capisce che è stata creata in funzione anti Urss all’epoca della Guerra fredda, però continua a esistere anche ora che l’Urss non esiste più e i principali pericoli militari non ci vengono dalla Russia ma dall’area islamica, mentre la più pericolosa competizione economica è quella della Cina. La Nato è tenuta in vita dagli Usa e dal Regno Unito che ci fanno litigare con la Russia per impedirci di stabilire con essa una profonda integrazione economica, e invece spingerci ad acquistare petrolio e gas dai paesi del Golfo controllati da loro.
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Strage inventata? Certo, per preparare quella vera
Il set di un film dell’orrore, per colpire l’opinione pubblica e legittimare la deposizione del tiranno. Accadde in Romania nel fatidico 1989, quando a Timisoara furono rastrellati negli obitori i corpi di persone appena decedute. Vennero martoriati e feriti per simulare le torture, in realtà mai subite. Il tutto, a beneficio delle telecamere. Per Rosanna Spadini, quel precedente dimostra un passaggio d’epoca: «La società dello spettacolo diventa schiava di se stessa», e lo spettacolo «viene trasformato in strumento di disperazione e di morte». Si rompe un patto millenario con gli spettatori, fondato sulla promozione culturale della società. Resta solo la scenografia teatrale, ed è «un teatro che rinnega se stesso, un teatro che uccide», ora anche sul palcoscenico della navigazione web, che proietta l’individuo «in un altrove extraterritoriale, slegato dallo spazio fisico del suo corpo e dal tempo della sua coscienza». Notizie sensazionali, immagini devastanti. Ma c’è il trucco: è tutto falso. La Spadini la chiama «arte dalla meraviglia multimediale dei visual network». Da allora, la messinscena servirà a dare legittimità mediatica a tutte le guerre contemporanee.
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Triste miracolo: paghe da fame per un tedesco su quattro
Mario Monti, 20 gennaio 2013: «Noi ammiriamo la Germania e vogliamo imitarla in alcune riforme». Beppe Grillo, 15 marzo 2013: «Dobbiamo realizzare un piano comparabile con l’Agenda 2010 tedesca, quel che ha dato buoni risultati in Germania lo vogliamo anche noi» Matteo Renzi, 17 marzo 2014: «La pretesa di creare posti di lavoro con una legislazione molto severa e strutturata è fallita, dobbiamo cambiare le regole del gioco: in questo senso abbiamo nella Germania il nostro punto di riferimento». “Fare come la Germania” è il mantra di tutti, fino al Jobs Act renziano. Storia: nel 2003 il socialdemocratico Schroeder ha smantellato i diritti sociali e tagliato gli stipendi ai lavoratori, per poter rilanciare un’economia basata interamente sull’export e quindi sul basso costo del lavoro. La riforma prende il nome da Peter Hartz, industriale della Volkswagen. Un genio? Fate voi: “Hartz ammette di aver corrotto i sindacalisti Vw ed evita 10 anni di carcere”, titolò di recente il “Sole 24 Ore”. Facile, no? Risultato: nel regno della Merkel dilagano i mini-job da 450 euro, che dopo una vita di lavoro danno diritto a una pensione di 200 euro mensili.Sul sito “MeMmt.info”, Daniele Della Bona ripercorre i passaggi chiave del falso “miracolo” tedesco, basato sul doppio ricatto imposto ai lavoratori e ai partner europei, costretti alla politica di rigore per colpire l’industria nazionale e quindi smantellare la concorrenza industriale, dell’Italia in primis, così scomoda per la manifattura tedesca. Per Roland Berger, storico consulente di Berlino, la chiave delle riforme iniziate nel 2003 è stata «una liberalizzazione del mercato del lavoro», con stipendi rimasti al palo rispetto all’incremento della produttività, a tutto vantaggio del capitale industriale. «Poi è seguito il taglio dei costi del sistema sociale, l’aumento dell’ età pensionabile a 67 anni, la creazione di un segmento di bassi salari». Una confessione peraltro tardiva, rileva Della Bona nel post ripreso dal blog “Vox Popoli”. Più tempestivo era stato lo stesso Schroeder, il cancelliere che regalò un maxi-sconto a Gazprom per poi essere profumatamente assunto dalla compagnia russa. Già nel 2005, al World Economic Forum di Davos, Schroeder ammise: «Abbiamo dato vita ad uno dei migliori settori a bassa salario in Europa».La chiave del boom tedesco sono i famigerati mini-job, per i quali non è obbligatorio neppure versare contributi sociali. Paghette da fame, per 15 ore settimanali. In compenso, il business trova super-conveniente questa formula di assunzione: nel 2003 i minijobber erano 5 milioni e mezzo, nel 2011 erano almeno 7,5 milioni. Una catastrofe, secondo Della Bona, per i lavoratori tedeschi: esplosione di operai con bassi salari, boom del lavoro temporaneo e part-time, crollo dei salari reali medi, aumento della disuguaglianza sociale e reddituale, calo delle tutele contrattuali per tutti i lavoratori. A chi era funzionale questo disegno? E chi ne ha tratto beneficio? «La prima conseguenza è stata quella di creare un mercato del lavoro altamente segmentato», con alcuni lavoratori ben pagati e «un esercito di bassi salariati, spesso costretti a chiedere un sussidio per sopravvivere o a svolgere un secondo lavoro: fra i minijobber sono 2,5 milioni quelli con un secondo impiego». Non a caso, la quota di lavoratori nella categoria a basso salario (cioè inferiore ai 2/3 del salario medio) è il 24,3% degli occupati: è pagato con un’elemosina un lavoratore tedesco su 4, cioè quasi 8 milioni e mezzo di occupati.Nel 2010, secondo Eurostat, all’interno dell’Unione Europea, su 27 paesi membri soltanto 6 avevano una quota di lavoratori a basso salario maggiore di quella tedesca: Estonia, Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia e Romania. «Non solo 8,4 milioni di lavoratori percepivano nel 2012 una paga oraria inferiore ai 9,30 euro, ma – di questi – 6,6 milioni guadagnavano meno di 8,5 euro all’ora, 5,7 milioni meno di 8 euro, 4 milioni meno di 7 euro, 2,5 meno di 6 euro e 1,7 milioni avevano una paga oraria inferiore addirittura ai 5 euro». Non solo i mini-job “costano” pochissimo e fanno “risparmiare” anche sui contributi previdenziali, ma minacciano di terremotare l’impianto socio-produttivo della Germania, perché creano «le premesse per sostituire lavoratori che avevano contratti a tempo indeterminato». Secondo l’Instituts für Arbeitsmarkt und Berufsforschung (Iab), «il fenomeno è maggiormente visibile nei servizi: qui, molti minijobber svolgono lavori in precedenza assegnati ad occupati a tempo pieno – ma lo fanno con una paga più bassa». Le prove della sostituzione sono visibili anche nel commercio al dettaglio, nel turismo, nella sanità e nel sociale, scrive lo Iab, istituto di ricerca interno all’Agenzia federale per il lavoro. «Soprattutto nelle piccole aziende con meno di 10 dipendenti, i ricercatori hanno potuto confermare che la creazione di nuovi minijobs va di pari passo con l’eliminazione degli occupati a tempo pieno con regolare contratto».I ricercatori dello Iab ritengono «un pericolo» la sostituzione dei lavoratori regolari nelle piccole imprese: indeboliscono le casse sociali e quindi il sistema sociale tedesco. «In particolare, i lavoratori che per un lungo periodo hanno svolto un minijob, rischiano la trappola della povertà in vecchiaia a causa di una pensione troppo bassa». Non solo: «I minijobber non hanno diritto alle ferie e non hanno accesso ai bonus e alle indennità aziendali». Un trend che viene confermato dai dati dell’Ocse: la quota complessiva di lavoratori a tempo determinato e part-time è aumentata notevolmente a partire dal 2003, superando abbondantemente la soglia del 50% fra i giovani occupati tedeschi. «Non dovrebbe dunque stupire che i salari reali medi siano calati in Germania fra il 2003 e il 2009 di oltre il 6%». La situazione tedesca ha allarmato persino l’Ilo, l’International Labour Office delle Nazioni Unite, secondo cui il boom della Germania non è affatto dovuto a un aumento della produttività, ma solo al super-sfruttamento dei lavoratori sottopagati, dal momento che «gli sviluppi della produttività sono rimasti in linea con gli altri paesi dell’Eurozona».Il trucco, a tutto danno dei lavoratori tedeschi, sono state «politiche di deflazione salariale che non solo hanno avuto un impatto sui consumi privati, ma hanno anche condotto ad un ampliamento delle disuguaglianze reddituali ad un velocità mai vista prima, nemmeno dopo la riunificazione, quando molti milioni di persone della Germania Est persero il loro lavoro». Addirittura la Commissione Europea, nel 2012, «ormai a babbo morto», si è accorta del problema, aggiunge Della Bona. Il commissario europeo agli affari sociali, Laszlo Andor, intervistato dal giornale tedesco “Faz.net”, ha infatti riconosciuto che «il mercato del lavoro in Germania è sempre più segmentato», visto che «un gran numero di occupati ha solo un minijob». Pessimo scenario: «Se continua così – avverte Andor – il divario fra lavori regolari e minijobs crescerà rapidamente: i minijobber rischiano di restare in questa situazione e di cadere nella trappola della povertà». La stretta tedesca sui salari, dice ancora il commissario europeo, ha danneggiato gli altri Stati Ue: «Con la sua politica mercantilista, la Germania ha rafforzato gli squilibri in Europa e causato la crisi».Meglio tardi che mai, dirà qualcuno. Peccato che adesso tutti ripetano che anche i paesi del Sud Europa dovrebbero fare come la Germania, ben interpretata dalla stessa Merkel a Davos nel 2013: «Per ottenere riforme strutturali è necessario esercitare pressione», ha detto la cancelliera, ammettendo che «anche in Germania i disoccupati sono dovuti arrivare fino a 5 milioni, prima di ottenere la disponibilità all’attuazione delle riforme strutturali». Rispondendo ai Verdi, nella primavera 2013 il governo tedesco ha risposto – mentendo – che la mancanza di competitività dei paesi in crisi nasce da salari troppo alti e scarsa produttività. La strada maestra, ovviamente, sarebbe «la flessibilizzazione del salario, che in futuro dovrà essere orientato allo sviluppo della produttività», per «garantire l’occupazione e aumentarla». Ci sarebbe da ridere, se non fosse che tutti i partner europei – a cominciare da Renzi – mostrano di credere ancora, nei fatti e negli atti di governo, alla fiaba atroce dell’austerity espansiva made in Germany. I lavoratori tedeschi sono condannati anche dall’Epl, l’indice di protezione del lavoro dell’Ocse, che misura la facilità con la quale si può essere licenziati. Quando si parla di Germania, sottolinea Della Bona, dobbiamo tenere a mente che a Berlino ci sono le grandi multinazionali mercantiliste e i lavoratori, e che l’euro ha beneficiato sicuramente le prime e danneggiato enormemente i secondi.«La politica economica e commerciale tedesca di tipo mercantilistico (esportare il più possibile e ridurre le importazioni per mantenere un saldo estero positivo: “essere competitivi”, come si dice spesso sui media) ha dapprima condotto a una forte riduzione dei salari dei lavoratori tedeschi, fortemente scesi in termini reali a partire soprattutto dal 2003», e ora minaccia – di conseguenza – di mettere in crisi il bilancio statale (esattamente come in Italia) a causa del crollo dei consumi interni e del gettito fiscale. «Se il salario non cresce, difficilmente il lavoratore tedesco può comprare beni e servizi prodotti a casa propria o all’estero: meno soldi hai e meno cose compri». Ci guadagna solo l’industriale tedesco, che fa affari d’oro in due modi: sottopagando i lavoratori e beneficiando della politica europea decisa a Berlino per colpire la concorrenza, come quella italiana. Il super-export tedesco è esploso alla fine degli anni ‘90, «mentre il volume dei consumi delle famiglie, gli investimenti interni e i salari reali sono rimasti pressoché stazionari». Non stupisce che, dall’ingresso nell’euro fino alla crisi finanziaria del 2007, la Germania sia stata il paese che è cresciuto meno in Europa, come conferma l’outlook 2013 del Fmi.Infine, a completare l’affresco ci sono i dati – truccati – della disoccupazione. Ufficialmente, l’Agenzia federale per il lavoro a settembre 2012 parla di 2,7 milioni di disoccupati e di 5 milioni di “persone in età lavorativa ricevono un sussidio di disoccupazione”. Con questi numeri si arriva ad un tasso di disoccupazione di circa l’11.9 %, rileva Della Bona. Ma la stessa agenzia fornisce anche il motivo per cui circa 2,3 milioni di persone in grado di lavorare, destinatarie di un sussidio di disoccupazione, non siano incluse nel tasso di disoccupazione ufficiale: «Non vengono considerati disoccupati tutti coloro che si trovano all’interno di un programma di politica del mercato del lavoro (formazione e inserimento)», cioè quasi 1 milione di persone. Anche chi ha un basso reddito, e per questo riceve un’integrazione, non viene considerato disoccupato: erano 655.000 persone già nel maggio 2012. Sono escluse dal calcolo dei disoccupati altre 630.000 persone, quelle che ricevono un sussidio perché crescono dei figli o vanno a scuola. Poi ci sono 248.000 persone assistite perché “non capaci di lavorare”, e altri 235.000 individui “anziani” che ricevono un sussidio perché hanno più di 58 anni e negli ultimi 12 mesi, semplicemente, non hanno più lavorato. Solo metà dei beneficiari del sussidio è registrata come disoccupata, ammette la stessa agenzia. Anche così, truccando le cifre, la Germania continua a raccontare il suo miracolo triste da 400 euro al mese.Mario Monti, 20 gennaio 2013: «Noi ammiriamo la Germania e vogliamo imitarla in alcune riforme». Beppe Grillo, 15 marzo 2013: «Dobbiamo realizzare un piano comparabile con l’Agenda 2010 tedesca, quel che ha dato buoni risultati in Germania lo vogliamo anche noi» Matteo Renzi, 17 marzo 2014: «La pretesa di creare posti di lavoro con una legislazione molto severa e strutturata è fallita, dobbiamo cambiare le regole del gioco: in questo senso abbiamo nella Germania il nostro punto di riferimento». “Fare come la Germania” è il mantra di tutti, fino al Jobs Act renziano. Storia: nel 2003 il socialdemocratico Schroeder ha smantellato i diritti sociali e tagliato gli stipendi ai lavoratori, per poter rilanciare un’economia basata interamente sull’export e quindi sul basso costo del lavoro. La riforma prende il nome da Peter Hartz, industriale della Volkswagen. Un genio? Fate voi: “Hartz ammette di aver corrotto i sindacalisti Vw ed evita 10 anni di carcere”, titolò di recente il “Sole 24 Ore”. Facile, no? Risultato: nel regno della Merkel dilagano i mini-job da 450 euro, che dopo una vita di lavoro danno diritto a una pensione di 200 euro mensili.
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Repressione: l’Eurogendfor in Ucraina, Moldavia e Georgia
Hanno firmato per associarsi all’Ue, ma non sanno cosa li aspetta: a far rispettare l’ordine pubblico, in Stati “difficili” come la Georgia, la Moldavia e soprattutto l’Ucraina potrebbe intervenire il pugno di ferro dell’Eurogendfor, la nuova gendarmeria multinazionale europea con poteri speciali, di cui i media continuano a non parlare. L’accordo verso Bruxelles coi paesi dell’Est Europa è stato presentato come «una svolta decisiva per la democrazia e i diritti umani», osserva Andrei Akulov, ma la micidiale disinformazione sull’intesa ha evitato di estendere all’opinione pubblica alcuni fondamentali dettagli. «Un bel giorno le popolazioni di questi Stati potrebbero avere un risveglio più duro di quanto avrebbero mai potuto immaginarsi», specie se si sognassero di esprimere malcontento sociale. Sulla loro “buona condotta”, infatti, in base al trattato appena siglato “vigilerà” l’Eurogendfor, polizia militare anti-crisi costituita nel 2006 da Francia, Italia, Olanda, Portogallo, Romania e Spagna.La caratteristica principale di Eurogendfor è la flessibilità, scrive Akulov in un post su “Strategic Culture” ripreso da “Come Don Chisciotte”. «Può intervenire velocemente in qualsiasi conflitto ad alta intensità, rispondendo a controllo militare (formalmente sarebbe sotto controllo civile), agendo congiuntamente ad altre forze militari o in maniera indipendente». Eurogendfor «può anche intervenire in qualsiasi momento della fase iniziale di un conflitto per ricostituire l’ordine precedente assieme alle forze dell’ordine locali o indipendentemente». La super-polizia europea potrà rimpiazzare le polizie nazionali, di fatto scavalcando la sovranità dei paesi, se i governi ne chiederanno l’intervento di fronte a situazioni di pericolo per l’ordine pubblico. Il contingente, oggi forte di 2.500 uomini in grado di intervenire in 30 giorni in ogni angolo del mondo, non potrà subirà alcun processo per i danni che dovesse causare a cose e persone: nessun giudice potrà fermare i Robocop europei. «Per cui, ad esempio, potranno andare in Ucraina e sparare indiscriminatamente senza affrontare alcuna conseguenza», rileva Akulov.Secondo il trattato che avvicina Ucraina, Moldavia e Georgia all’Unione Europea, Eurogendfor è configurata come forza operativa «rapidamente dispiegabile» per «sostenere la politica di sicurezza comune e difesa, anche se utilizzata in strutture esterne all’Ue». Si domanda Akulov: «Le popolazioni di Georgia, Ucraina e Moldavia sono informate di tutto questo? Ne sono consapevoli? Qualcuno si è preso la briga di spiegar loro cosa significa?». Bruxelles accelera: il 24 giugno il Consiglio Europeo ha deciso regole e procedure per la “clausola di solidarietà” che stabilisce che l’Unione e suoi membri devono agire congiuntamente per difendere uno Stato membro, se vittima di attacchi terroristici o disastri naturali. Al che, l’Unione è tenuta a mobilitare le forze speciali in suo possesso. Sempre il 24 giugno è stato inoltre attivato l’accordo di “Risposta Politica Integrata alle Crisi”, per disporre immediate contromisure in caso di gestione strategica di una crisi locale: gli organi dell’Ue saranno quindi obbligati a intervenire, anche con risorse militari.Tra i pochissimi politici che protestano c’è il tedesco Andrej Hanko, parlamentare della Linke, secondo cui la “clausola di solidarietà” «rafforza il corso verso la militarizzazione degli affari interni, poichè il personale militare può essere inviato in un altro Stato membro a richiesta», anche solo per reprimere manifestazioni e scioperi. Per il britannico Nigel Farage, leader indipendentista dello Ukip, ci si prepara a fronteggiare «la prospettiva di malcontento civile diffuso, persino una rivoluzione in Europa». Aggiunge Akulov: «Viene alla mente la situazione in Ucraina, Moldavia e Georgia. È un finto segreto che questi Stati siano di fronte al pericolo di manifestazioni di malcontento popolare durante l’attuazione delle misure richieste dagli accordi stipulati. La gente sarà felice del crollo degli standard di vita a cui è abituata? E se iniziassero a pensare, e a chiedere informazioni circa la situazione? Per loro c’è l’Eurogendfor».Hanno firmato per associarsi all’Ue, ma non sanno cosa li aspetta: a far rispettare l’ordine pubblico, in Stati “difficili” come la Georgia, la Moldavia e soprattutto l’Ucraina potrebbe intervenire il pugno di ferro dell’Eurogendfor, la nuova gendarmeria multinazionale europea con poteri speciali, di cui i media continuano a non parlare. L’accordo verso Bruxelles coi paesi dell’Est Europa è stato presentato come «una svolta decisiva per la democrazia e i diritti umani», osserva Andrei Akulov, ma la micidiale disinformazione sull’intesa ha evitato di estendere all’opinione pubblica alcuni fondamentali dettagli. «Un bel giorno le popolazioni di questi Stati potrebbero avere un risveglio più duro di quanto avrebbero mai potuto immaginarsi», specie se si sognassero di esprimere malcontento sociale. Sulla loro “buona condotta”, infatti, in base al trattato appena siglato “vigilerà” l’Eurogendfor, polizia militare anti-crisi costituita nel 2006 da Francia, Italia, Olanda, Portogallo, Romania e Spagna.
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Ragazzi, eravamo ricchissimi. E vi hanno rubato tutto
Questo è per voi, il giovane, la giovane, italiani. Vi guardate intorno persi nella nebbia perché milioni di voi già dai 16 anni hanno capito che semplicemente il futuro non c’è. Liceo, università, specializzazione, quello che vi pare, ma la strada finisce in un mini-job part-time verticale, apprendistato gratis, i fortunati 800 euro al mese. Cioè: Albania, Romania, o Tanzania. Ma vi faccio questa domanda: qualcuno di voi si è mai… VOLTATO INDIETRO voltato indietro? Voltatevi indietro un attimo, per favore, ecco, così: cosa si vede? Si vede un paese, l’Italia, le cui donne 70 anni fa non avevano le calze, sedevano su cumuli di macerie e si chiedevano perché le truppe americane non facessero rumore quando camminavano. Povere donne, non conoscevano l’esistenza della scarpe di gomma. Non c’era nulla, l’Italia aveva il Pil del Bangladesh.Poi cosa si vede? Si vede che i vostri nonni, padri e madri HANNO FATTO I COMPITI A CASA hanno fatto i compiti a casa. Dopo 35 anni dai cumuli di macerie, e dai mandarini solo due volte all’anno in tavola, l’Italia diventa la quinta potenza mondiale, il primo paese al mondo per risparmio privato e per ricchezza privata pro-capite. Scese Cristo e moltiplicò i pesci? No, no. Tuo nonno e tuo padre fecero i compiti a casa. E arriviamo al 1994, quando le agenzie di rating ci definivano “Economia leader d’Europa”, quando stracciavamo la Germania sia in produzione che export. Ricchi, ricchissimi. E arrivate voi. I giovani italiani si presentano dal Notaio dopo il 1994 per reclamare LA GIUSTA EREDITA’ la giusta eredità del quinto paese più ricco del mondo, quindi lavoro garantito, stipendi per casa, matrimonio e bei risparmi. No? Il Notaio apre le carte e dice: NON C’E’ PIU’ NULLA, MI DISPIACE Non c’è più nulla, mi dispiace.Nulla? Eh???? DOVE SONO FINITI I SOLDI, IL 5° PIL DEL MONDO, GLI ENORMI RISPARMI, LA 1a RICCHEZZA PRIVATA DEL MONDO, IL LAVORO, CIOE’ TUTTA L’EREDITA’ DEI 70 ANNI DI LAVORO DI TUO NONNO E DI TUO PADRE? Dove sono finiti i soldi, il 5° Pil del mondo, gli enormi risparmi, la 1a ricchezza privata del mondo, il lavoro, cioè tutta l’eredità dei 70 anni di lavoro di tuo nonno e di tuo padre? Ancora giratevi indietro, ragazzi. Cosa si vede? Si vede che i padri fondatori dell’Italia si erano seduti sulle macerie della guerra e avevano scritto la PIU’ AVANZATA COSTITUZIONE la più avanzata Costituzione nell’interesse pubblico del mondo. Anno 1948. Diritti garantiti, Stato sovrano, Parlamento sovrano, Costituzione sovrana. Una legislazione del lavoro che era invidiata da tutto il pianeta. I giovani italiani si presentano oggi dal Notaio per reclamare LA SECONDA GIUSTA EREDITA’ la seconda giusta eredità: si chiama DIRITTI DELLA COSTITUZIONE ITALIANA GA-RAN-TI-TI diritti della Costituzione italiana ga-ran-ti-ti. Il Notaio apre le carte e dice: NON C’E’ PIU’ NULLA, MI DISPIACE Non c’è più nulla, mi dispiace.Nulla? Eh???? Sì, nulla. Non vi avevano detto che nel 1993 dei tecnocrati europei che nessun italiano ha mai eletto avevano creato il Trattato di Maastricht, poi nel 2007 quello di Lisbona, che hanno esautorato il Parlamento del tutto, hanno tolto all’Italia la sovranità monetaria, e hanno persino soppresso la nostra Costituzione. Risultato: NON AVETE NESSUN DIRITTO CHE L’ITALIA POSSA OGGI DIFENDERE PER VOI Non avete nessun diritto che l’Italia possa oggi difendere per voi. Shock. Ricapitoliamo: Esistevano per voi giovani, DUE EREDITA’ CAPITALI due eredità capitali, costruite per voi dai vostri nonni, padri, madri, e Padri Fondatori, che vi avrebbero garantito il futuro di dignità e prosperità e democrazia. Erano lì fino al 1999! Oggi non ci sono più. MA COME E’ POSSIBILE Ma come è possibile? Come accade che 70 anni di lavoro per voi svaniscano nel nulla negli ultimi 5 minuti?Chi vi ha… RUBATO IL FUTURO E LA VITA STESSA QUANDO VI SPETTAVA DI DIRITTO IN EREDITA’ DOPO 70 DI LAVORO, VITA, LOTTA E MORTE DEI VOSTRI NONNI, GENITORI E PADRI FONDATORI rubato il futuro e la vita stessa quando vi spettava di diritto in eredità dopo 70 anni di lavoro, vita, lotta e morte dei vostri nonni, genitori e padri fondatori? Risposta: Unione Europea dei Tecnocrati non eletti che lavorano per un pugno di speculatori Neofeudali, primi fra tutti i tedeschi, che vogliono divorare l’Italia. Chi vi scrive pubblica da 5 anni le prove su prove su prove di questo crimine contro di voi, perpetrato attraverso la creazione dell’Eurozona coi suoi Trattati di cui sopra.Soluzione: LE DUE EREDITA’ SONO VOSTRE! RIPRENDETELE, IN DUE MODI: le due eredità sono vostre! Riprendetele, in due modi: a) Assediare il Parlamento, che s’inginocchi a chiedere scusa agli italiani, stracci i Trattati Ue della rapina storica contro l’Italia, riporti la sovranità monetaria e costituzionale in Italia; b) Gridare alle forze armate della Repubblica di arrestare Giorgio Napolitano, principale complice della rapina storica in Italia, dissolvere il governo di Renzi servo dei tedeschi distruttori dell’Italia, e che riportino la sovranità monetaria, parlamentare e costituzionale in Italia. Fuori dall’Eurozona. Le forze armate hanno giurato fedeltà alla Costituzione, devono farlo. Poi tornate dal Notaio e reclamate le vostre EREDITA’ eredità, questa volta nel nome dei vostri nonni, padri e madri, che ve l’avevano lasciata. Alzate la testa, ragazzi, la piazza è vostra, ma non per fare casino. Per reclamare CIO’ CHE VI SPETTA IN EREDITA’ ciò che vi spetta in eredità.(Paolo Barnard, “Giovani, se capite questo farete le barricate”, dal blog di Barnard del 3 maggio 2014).Questo è per voi, giovani italiani. Vi guardate intorno persi nella nebbia perché milioni di voi già dai 16 anni hanno capito che semplicemente il futuro non c’è. Liceo, università, specializzazione, quello che vi pare, ma la strada finisce in un mini-job part-time verticale, apprendistato gratis, i fortunati 800 euro al mese. Cioè: Albania, Romania, o Tanzania. Ma vi faccio questa domanda: qualcuno di voi si è mai… voltato indietro? Voltatevi indietro un attimo, per favore, ecco, così: cosa si vede? Si vede un paese, l’Italia, le cui donne 70 anni fa non avevano le calze, sedevano su cumuli di macerie e si chiedevano perché le truppe americane non facessero rumore quando camminavano. Povere donne, non conoscevano l’esistenza della scarpe di gomma. Non c’era nulla, l’Italia aveva il Pil del Bangladesh.
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Voto europeo inutile, non ci sono alternative al regime
«Chi vota avvelena anche te, digli di smettere». Antonio De Martini è fra quanti rivendicano il diritto all’astensione come gesto politico legittimo e significativo, in assenza di democrazia reale. «Non c’è italiano che abbia fino ad oggi avuto il coraggio di ammettere quel che tutti sanno, ossia che la Repubblica ha cessato di esistere trent’anni or sono, che siamo in un regime senza alternative da almeno vent’anni, e che il regime sta diventando monopartitico e consociativo da almeno tre anni». La verità? «Non sanno come uscirne: non c’è un solo personaggio, rispettabile», disposto ad ammettere che «questa è la caricatura di una democrazia, il fantasma di una repubblica, la parodia di uno Stato». Il solo movimento di opposizione? «La magistratura che continua a fare il suo dovere, con le note eccezioni». Che ci sia «una continuità transpartitica e criminale in questo regime – un fil rouge – è stato dimostrato dai recentissimi arresti di Milano per corruzione, in pubblici appalti i cui protagonisti sono gli stessi della tornata di Tangentopoli 1992 (un nome imposto alla stampa per sdrammatizzare i reati)».In un intervento sul “Corriere della Collera”, ripreso da “Come Don Chisciotte”, De Martini accusa il presidente Napolitano, ricordando che all’epoca di Mani Pulite era a capo della corrente “migliorista” del Pci, quella «più colpita dalla Tangentopoli 1992», che affondò la dirigenza milanese del partito, capitanata da Barbara Pollastrini e Gianni Cervetti. Oggi, di fronte allo scandalo Expo, il capo dello Stato «usa il suo supremo magistero per rassicurare i cittadini che l’incidente non avrà conseguenze sull’afflusso degli elettori alle elezioni europee». Protesta De Martini: da Napolitano «non una parola sul reato, sulla mancanza di distinzioni politiche tra i ladri e non una parola sui ricettatori che sono impegnati nelle elezioni europee, non una parola per chiedere di rivedere i meccanismi di controllo. Non una promessa di giustizia». Uno scenario che denota «miseria morale e umana» e fotografa la «meschina preoccupazione» della casta politica, al timone dell’Italia che affonda dopo aver ceduto la sua sovranità ai “signori dello spread”, i padroni dei mercati finanziari.«Ormai – continua De Martini – le elezioni europee sono state scelte come elemento di disinformazione principale per distrarre gli elettori e come pretesto per condurre una campagna contro il movimento di Beppe Grillo», in cui peraltro De Martini non nutre fiducia: «La sua irrilevanza a livello europeo apparirà evidente dopo il risultato: anche se ottenesse tutti i seggi a disposizione dell’Italia (73), verrebbe annegato tra i rappresentanti degli altri 27 paesi che costituiscono l’Unione (750)». Marine Le Pen? Annunciata come grande moralizzatrice, secondo “Le Monde Diplomatique” non ha mai superato l’8% a livello nazionale. A monte, pesa la grande menzogna sulle elezioni europee, strombazzata da uno slogan pubblicitario martellante: “Scegli tu chi guiderà l’Europa”. «Niente di più falso», replica De Martini. «La tenzone tra Juncker e Schultz è falsa come un biglietto da tre euro. Il presidente della Ue non viene scelto dal Parlamento, bensì dal Consiglio, il quale può benissimo – l’ha già fatto – non tenere conto del risultato elettorale nella scelta del presidente».Mentre in tutta Europa «le elezioni europee vengono viste come un evento secondario, caratterizzato da una affluenza decrescente che non influisce sulla politica nazionale», in Italia invece si dice il contrario. Secondo De Martini, parlano i numeri: in Francia l’astensionismo è crescente dal 2009 in poi ed è previsto che aumenti ancora. In Italia, dal 14% di astensioni dal voto del 1976 siamo passati al 50 % delle scorse elezioni, per non parlare del 52% raggiunto alle elezioni siciliane. In Spagna, aggiunge il blogger, la crisi «non favorirà certo l’affluenza al voto», mentre l’Inghilterra l’anno prossimo «farà un referendum per andarsene dalla Ue», e nel frattempo «Romania e Bulgaria sono in stato di allarme per l’Ucraina». Da noi, aggiunge De Martini, le elezioni vengono richieste a furor di popolo solo alle comunali di Roma, perché il sindaco Marino «ha rifiutato di accettare il piano-mazzette proposto dalla sua maggioranza e pretende che nessuno rubi». Sicché esiste «una concordia da larghe intese per sostituirlo al più presto», tenendo conto che nella coalizione c’è anche «il principale quotidiano cittadino, di proprietà di un gruppo che avrebbe in appalto la costruzione del metrò su cui il sindaco ha avuto la pretesa di indagare».Per De Martini, «il risultato delle elezioni europee – previa martellante campagna statale per la partecipazione e previa elargizione di 80 euro al popolino – serve a consentire che l’esperienza governativa di Matteo Renzi e compagnia possa definirsi democratica almeno nella versione rosé, utile a non incuriosire troppo qualche legalitario residuo». Secondo il “Corriere della Collera”, la scelta non esiste: «Berlusconi e Renzi sono tanto simili da sembrare padre e figlio», mentre un successo di Grillo non basterebbe a dare uno scossone al sistema. «La pura verità è che l’astensione dal voto è il solo strumento democratico utile da usare da parte dei cittadini che non vogliano ricorrere alla violenza per ristabilire la legalità e attirare l’attenzione del mondo». Votare alle europee? «Serve solo a legittimare cambiamenti di quote nella ripartizione del bottino». E se poi il dibattito si allarga ora anche agli euroscettici, il remie Ue «se ne avvantaggerebbe, e avrebbe la pretesa di rappresentare tutti, anche i contrari», acquisendo più forza nell’imporre «i suoi dogmi di austerity».«Chi vota avvelena anche te, digli di smettere». Antonio De Martini è fra quanti rivendicano il diritto all’astensione come gesto politico legittimo e significativo, in assenza di democrazia reale. «Non c’è italiano che abbia fino ad oggi avuto il coraggio di ammettere quel che tutti sanno, ossia che la Repubblica ha cessato di esistere trent’anni or sono, che siamo in un regime senza alternative da almeno vent’anni, e che il regime sta diventando monopartitico e consociativo da almeno tre anni». La verità? «Non sanno come uscirne: non c’è un solo personaggio, rispettabile», disposto ad ammettere che «questa è la caricatura di una democrazia, il fantasma di una repubblica, la parodia di uno Stato». Il solo movimento di opposizione? «La magistratura che continua a fare il suo dovere, con le note eccezioni». Che ci sia «una continuità transpartitica e criminale in questo regime – un fil rouge – è stato dimostrato dai recentissimi arresti di Milano per corruzione, in pubblici appalti i cui protagonisti sono gli stessi della tornata di Tangentopoli 1992 (un nome imposto alla stampa per sdrammatizzare i reati)».
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Guerra e gas, obbedire a Obama è un pessimo affare
Dall’abbraccio mortale con Obama abbiamo tutto da perdere, se il presidente americano pretende che l’Europa si prepari a una guerra – fredda, o addirittura calda – con la Russia di Putin. Lo sostiene Manlio Dinucci, considerando il “pacco atlantico” che la Casa Bianca ha proposto all’Unione Europea. Per dirla con Susan Rice, consigliera per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la loro missione consiste nel «premere per l’unità dell’Occidente» di fronte alla «invasione russa della Crimea». Primo passo, l’ulteriore rafforzamento della Nato, cioè «l’alleanza militare che, sotto comando Usa, ha inglobato nel 1999-2009 tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due ex repubbliche della Jugoslavia (distrutta dalla Nato con la guerra)». Inarrestabile marcia verso est: basi, forza militare, capacità nucleare, “scudo antimissile” per minacciare Mosca. Fino al “golpe” di Kiev che ha spinto la Crimea a tornare sotto l’ala del Cremlino. Completa il quadro lo sviluppo del Trattato Transatlantico, il Ttip, detto anche “la Nato economica”, funzionale al sistema geopolitico Usa.Significativo, scrive Dinucci sul “Manifesto”, è che la visita di Obama in Europa si sia aperta con il terzo summit sulla sicurezza nucleare: una creazione dello stesso Obama, «non a caso Premio Nobel per la Pace», per “mettere in sicurezza” l’immenso arsenale atomico occidentale: alle 8.000 testate nucleari americane, tra cui 2.150 pronte al lancio, si aggiungono le 500 testate francesi e britaniche, che portano il totale Nato a oltre 2.600 testate pronte al lancio, a fronte delle circa 1.800 russe. Potenziale ora accresciuto dalla fornitura del Giappone agli Usa di oltre 300 chili di plutonio e una grossa quantità di uranio arricchito adatti alla fabbricazione di armi nucleari, cui si aggiungono 20 chili da parte dell’Italia. Nel club nucleare c’è anche Israele, l’unica potenza nucleare in Medio Oriente (non aderente al Trattato di non-proliferazione), che possiede fino a 300 testate e produce tanto plutonio da fabbricare ogni anno 10-15 bombe tipo quella di Nagasaki.Obama ha ordinato che circa 200 bombe B-61 schierate in Germania, Italia, Belgio, Olanda e Turchia (violando il trattato di non-proliferazione) siano sostituite con nuove bombe nucleari B61-12 a guida di precisione, progettate in particolare per il caccia F-35, comprese quelle anti-bunker per distruggere i centri di comando in un “first strike” nucleare. La strategia di Washington ha un duplice scopo, sostiene Dinucci: da un lato, ridimensionare la Russia, che ha rilanciato la sua politica estera (si veda il ruolo svolto in Siria) e si è riavvicinata alla Cina, e dall’altro «alimentare in Europa uno stato di tensione che permetta agli Usa di mantenere tramite la Nato la loro leadership sugli alleati». Alcuni sono veri e propri alleati, come la Germania: «Con il governo tedesco Washington tratta per la spartizione di aree di influenza». Con altri, come l’Italia, semplici paesi satelliti, la Casa Bianca «si limita a pacche sulle spalle sapendo di poter ottenere ciò che vuole».Contemporaneamente, continua Dinucci, Obama preme sugli alleati europei perché riducano le importazioni di gas e petrolio russo. Obiettivo non facile. L’Unione Europea dipende per circa un terzo dalle forniture energetiche russe: Germania e Italia per il 30%, Svezia e Romania per il 45%, Finlandia e Repubblica Ceca per il 75%, Polonia e Lituania per oltre il 90%. L’amministrazione Obama, scrive il “New York Times”, persegue una «strategia aggressiva» che mira a ridurre le forniture energetiche russe all’Europa: essa prevede che la Exxon Mobil e altre compagnie statunitensi forniscano crescenti quantità di gas all’Europa, sfruttando i giacimenti mediorientali, africani e altri, compresi quelli statunitensi la cui produzione è aumentata permettendo agli Usa di esportare gas liquefatto.In questo quadro rientra la “guerra dei gasdotti”: obiettivo statunitense è bloccare il Nord Stream, che porta nella Ue il gas russo attraverso il Mar Baltico, e impedire la realizzazione del South Stream, che lo porterebbe nella Ue attraverso il Mar Nero. Entrambi i grandi gasdotti aggirano l’Ucraina, attraverso cui passa oggi il grosso del gas russo, e sono realizzati da consorzi guidati dalla Gazprom di cui fanno parte compagnie europee. Paolo Scaroni, numero uno dell’Eni, ha avvertito il governo che, se venisse bloccato il progetto South Stream, l’Italia perderebbe ricchi contratti, come l’appalto da 2 miliardi di euro che la Saipem si è aggiudicata per la costruzione del tratto sottomarino.Dall’abbraccio mortale con Obama abbiamo tutto da perdere, se il presidente americano pretende che l’Europa si prepari a una guerra – fredda, o addirittura calda – con la Russia di Putin. Lo sostiene Manlio Dinucci, considerando il “pacco atlantico” che la Casa Bianca ha proposto all’Unione Europea. Per dirla con Susan Rice, consigliera per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la loro missione consiste nel «premere per l’unità dell’Occidente» di fronte alla «invasione russa della Crimea». Primo passo, l’ulteriore rafforzamento della Nato, cioè «l’alleanza militare che, sotto comando Usa, ha inglobato nel 1999-2009 tutti i paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due ex repubbliche della Jugoslavia (distrutta dalla Nato con la guerra)». Inarrestabile marcia verso est: basi, forza militare, capacità nucleare, “scudo antimissile” per minacciare Mosca. Fino al “golpe” di Kiev che ha spinto la Crimea a tornare sotto l’ala del Cremlino. Completa il quadro lo sviluppo del Trattato Transatlantico, il Ttip, detto anche “la Nato economica”, funzionale al sistema geopolitico Usa.
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Piano Usa: guerra in Europa, prima che crolli il dollaro
«C’è l’intento del Pentagono di colpire la Russia prima del collasso planetario del dollaro». In questa chiave Carlo Tia inquadra i drammatici sviluppi che oppongono Mosca e Washington in Ucraina. «Gli scambi tra la Cina e la Russia sono ormai in yuan, fra la Cina e l’Iran in oro», scrive Tia su “Megachip”. «La stessa Cina si sta liberando di circa 50 miliardi di dollari al mese – trasformati in obbligazioni “ricomprate” forzosamente dal Belgio, non si sa esattamente da chi – per sostenere il dollaro (più esattamente, i petrodollari). Lo stesso George Soros sta pesantemente speculando al ribasso a Wall Street. Sono tutti segni di una prossima depressione mondiale, da cui forse gli Stati Uniti potrebbero uscire solo con una prolungata guerra in Europa». A conferma del “pilotaggio” della crisi esplosa a Kiev, lo scoop del “Giornale”: in una telefonata alla “ambasciatrice” dell’Ue, Catherine Ashton, il ministro degli esteri dell’Estonia, Urmas Paet, dice che i cecchini che hanno sparato sulla folla di piazza Maidan non erano uomini di Yanukovich ma probabilmente «della coalizione appoggiata dall’Occidente».Resta la domanda: perché gli europei non si sono resi conto della trappola mortale tesa a loro dagli Usa? E’ ormai chiaro, sostiene Tia, che secondo i piani dei registi delle Ong operanti in Ucraina (gente del calibro di George Soros e Zbigniew Brzezinski) è contemplata una guerra civile fra i russofoni dell’est e gli ucraini dell’ovest. «Pochissimi media occidentali – continua Tia – hanno trasmesso la registrazione trapelata del colloquio di Victoria Nuland, incaricata Usa della cura dei rapporti diplomatici con Europa ed Eurasia, con l’ambasciatore statunitense in Ucraina». La Nuland disponeva e comandava la composizione del nuovo governo di Kiev dopo aver cacciato Yanukovich, presidente pessimo ma regolarmente eletto. La “strategia della tensione” innescata a Kiev darebbe agli Usa e alla Nato «il pretesto di intervenire per “pacificare” l’Ucraina, stabilirsi minacciosamente nel Mar Nero e proiettarsi sempre di più nel Caucaso e verso il Mar Caspio, ricchissimo di risorse petrolifere e di gas».Grazie alle nuove tecnologie di “fracking”, aggiunge Tia, la stessa Ucraina è diventata nel giro di pochi anni un campo d’interesse primario per esplorazioni e sfruttamento di nuove aree. Lo sviluppo di simili giacimenti (specie da parte di compagnie nordamericane) insidia direttamente la posizione dominante russa di Gazprom. Molto evidente anche la volontà di colpire la Cina, che in questa crisi è schierata con Putin: «I cinesi – rivela l’analista di Megachip – hanno di recente acquistato diritti di sfruttamento agricolo su circa 6 milioni di ettari di terre ucraine coltivabili. Cosa che ha fatto venire il sangue alla testa alla Monsanto e affini. Dico “aveva”, perché il governo fantoccio messo su dagli americani ha revocato subito i diritti concessi l’anno scorso ai cinesi». Per Carlo Tia, il rischio concreto è drammatico: «I meccanismi della guerra sono innescati. Se dovesse fare fino in fondo la sua corsa il gioco automatico delle alleanze, fra non molti giorni ci troveremo in guerra».Nel piano bellico, secondo Tia, si collocano anche le dotazioni del Muos in Sicilia, l’installazione di scudi antimissile in Polonia, l’apertura di basi americane in Romania e Bulgaria, senza contare la Turchia, membro della Nato, che controlla gli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Il governo di Ankara ha appena concesso a una grande nave da guerra Usa di entrare nel Mar Nero, in violazione della Convenzione di Montreaux, mentre ad Atene c’è una presenza navale ancora più pesante, la portaerei “George Bush”. Secondo la Russia, la convenzione che vieta l’ingresso nel Mar Nero di navi da guerra non appartenenti a paesi affacciati su quel mare, è già avvenuta in questi giorni con la comparsa della fregata statunitense “Taylor” e della “Mount Whitney”, nave-comando della Sesta Flotta».Da questa crisi, è evidente, l’Europa ha tutto da perdere. Perché allora asseconda l’offensiva statunitense alla frontiera russa? «La Germania – scrive Tia – ha abboccato all’amo di una espansione verso un mercato ucraino di 46 milioni e mezzo di abitanti, previa distruzione del modello di economia sociale di mercato dell’Ucraina, e della sua industria, soprattutto all’est del Paese». E la Francia di François Hollande «è stata pesantemente minacciata a partire dal dossier iraniano nel corso del recente viaggio del presidente francese a Washington». Bocciata, di fatto, la missione a Teheran condotta da 140 grandi industriali francesi, «che avevano creduto al clima (fasullo) di buoni nuovi rapporti con l’Iran». Motivo: «Obama ha detto senza peli sulla lingua che tutte le relazioni della Francia (e dell’Europa) devono rispettare non solo le sanzioni che non sono ancora state tolte, ma anche quelle, soprattutto commerciali e finanziarie, che gli Usa dettano unilateralmente».Un gioco pericoloso, che potrebbe chiamarsi Terza Guerra Mondiale, se gli Usa faranno precipitare la situazione con l’adesione dell’Ucraina all’Ue, spingendo i missili della Nato fino ai confini con la Russia. «La Cina, da parte sua, ben sapendo di essere il prossimo obiettivo, ha dichiarato di sostenere la Russia, ed è comunque sotto attacco, sia finanziariamente sia economicamente: il piano americano attuale consiste nel far deragliare l’economia cinese e poi destabilizzarla nelle regioni occidentali, che saranno, per la Cina, l’equivalente dell’Ucraina per la Russia». Di fatto, aggiunge Tia, il mondo si sta avviando ad una bipolarizzazione molto pericolosa: Cina e Russia da un lato, Stati Uniti e Europa al suo guinzaglio dall’altro lato. «È questa una tappa del disegno di dominio planetario degli Usa: ricreare un clima di tensione continua, di fronte alla quale gli europei non potranno che compattarsi attorno allo Zio Sam, per non buttarsi nelle braccia dell’altro blocco».«C’è l’intento del Pentagono di colpire la Russia prima del collasso planetario del dollaro». In questa chiave Carlo Tia inquadra i drammatici sviluppi che oppongono Mosca e Washington in Ucraina. «Gli scambi tra la Cina e la Russia sono ormai in yuan, fra la Cina e l’Iran in oro», scrive Tia su “Megachip”. «La stessa Cina si sta liberando di circa 50 miliardi di dollari al mese – trasformati in obbligazioni “ricomprate” forzosamente dal Belgio, non si sa esattamente da chi – per sostenere il dollaro (più esattamente, i petrodollari). Lo stesso George Soros sta pesantemente speculando al ribasso a Wall Street. Sono tutti segni di una prossima depressione mondiale, da cui forse gli Stati Uniti potrebbero uscire solo con una prolungata guerra in Europa». A conferma del “pilotaggio” della crisi esplosa a Kiev, lo scoop del “Giornale”: in una telefonata alla “ambasciatrice” dell’Ue, Catherine Ashton, il ministro degli esteri dell’Estonia, Urmas Paet, dice che i cecchini che hanno sparato sulla folla di piazza Maidan non erano uomini di Yanukovich ma probabilmente «della coalizione appoggiata dall’Occidente».
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Polveriera Europa, replay: la Grande Guerra del 2014
I giornalisti internazionali hanno predetto un’archetipica “situazione Sarajevo” per quest’anno. Una scintilla che potrebbe causare una detonazione come quella che circa un secolo fa vedeva protagonista l’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. Difficilmente accadrà anche quest’anno che un nazionalista radicale spari al successore al trono dell’impero; nonostante ciò, esistono oggi una serie di sconvolgimenti potenziali in Europa e altrove. Esaminiamo la situazione. La Germania, “fortezza economica” dell’Europa, sembra essere entrata in un periodo di incertezze, proprio come prima dello scoppio della “grande guerra”. All’inizio del nuovo anno, la caduta improvvisa della cancelliera tedesca (forse un presagio della rottura dell’Eurozona?) è stato un evento infausto. La signora Merkel, che appariva come una figura politica indebolita (anche a causa delle stampelle), è riuscita ad assemblare una “grande coalizione”, la cui durata è incerta.La diseguaglianza sociale ed economica nel paese è peggiorata, con la Merkel. Ma anche prima del piccolo incidente sportivo, la cancelliera non sembrava disposta a fare grandi passi (come spesso accade nella miglior tradizione autoritaria ereditata da Guglielmo di Prussia e Germania) e aveva già indicato un “erede al trono”, per assicurare stabilità e continuità anche nel periodo post-Merkel. In altre parole, le politiche economiche neoliberali probabilmente continueranno ad essere applicate in Germania e in Europa per ancora un po’ di tempo. Il 2014 ripropone la situazione del 1914: una possibile Germania imperialista del XXI secolo; il declino della monarchia spagnola e una repubblica italiana fatiscente. Con la sua “volontà d’acciaio”, nel suo terzo mandato la cancelliera sembra determinata a proseguire le politiche draconiane di austerity (distruggendo ulteriormente la crescita economica e favorendo la disoccupazione). Questa scelta implica più fatica e meno guadagni per i milioni di persone che riceveranno questo trattamento, come ad esempio gli spagnoli.A differenza di Berlino e della sua calma apparente, la capitale spagnola si trova ad assistere a continue proteste. Nel frattempo, un vecchio re (a sua volta zoppo per una brutta caduta e costretto ad usare le stampelle per camminare) sta affrontando una “crisi della fiducia in se stesso”. Il re di Spagna Juan Carlos, la cui popolarità un tempo era il simbolo del ritorno alla democrazia dopo il regime franchista, sta assistendo ad una crescente ondata di proteste popolari. Il crescente dissenso della popolazione è fomentato da interminabili scandali dovuti ad episodi di corruzione. La figlia è attualmente coinvolta in uno scandalo per truffa e riciclaggio di denaro. Nel calderone, anche una costante crisi economica. La Spagna riuscì a rimanere neutrale allo scoppio della Prima Guerra Mondiale.Nel 2014, il paese è ancora in prima linea nella lotta contro l’austerity in Europa. Il futuro della monarchia resta incerto. In tutto il Mediterraneo, il 2013 si è concluso con le strade invase da proteste, come ad esempio in Italia (una repubblica decrepita, se mai è stata una repubblica) con la “protesta dei forconi”. Come la Spagna, l’Italia è contaminata da una profonda corruzione, instabilità sociale, sistematica instabilità istituzionale (a causa delle associazioni criminali), che ostacolano il processo democratico. Ne consegue una diffusione di movimenti demagogici o clownesco-populistici e la crescente xenofobia. Il movimento anti-politico, da quelle parti, sta sfruttando l’ondata di rabbia contro Roma e Bruxelles (il quartier generale dell’Unione Europea).I Balcani, storica polveriera d’Europa, sono nuovamente pronti ad esplodere. Non ci saranno omicidi in programma forse per il prossimo anno nei Balcani, ma sicuramente troverete sul menù un radicale cambiamento politico. Gli scioperi di massa e i movimenti di protesta che sono scoppiati in Grecia nel 2008 si sono estesi agli stati del Sud dei Balcani. Le proteste di massa contro l’aumento del costo della vita, che ha raggiunto livelli usurari (sull’onda della privatizzazione di massa), e contro il costo dell’energia imposto ai consumatori locali, stavano per rovesciare il governo in Bulgaria. Nella vicina Romania, la corruzione dilagante e la lotta epica tra il movimento civile sociale e un’azienda mineraria canadese, sono quasi riusciti a scuotere le fondamenta del governo rumeno. Nonostante quest’elenco di situazioni esplosive, Bruxelles rifiuta ostinatamente di allentare le restrizioni connesse alla libertà di movimento imposta ai cittadini di questi due stati. Il loro ingresso nella “zona Schengen” è stato nuovamente rimandato a data da definirsi. Sicuramente una politica di contenimento di questo tipo sarà pericolosa nel 2014.Oltre ai confini meridionali d’Europa, troviamo ancora forti instabilità nel 2014, che ricordano misteriosamente le tensioni del 1914, quando stava per iniziare la guerra. La promessa di una benigna “primavera araba” si è trasformata in un incubo terribile. In Egitto, Tunisia, Libia, Yemen e, più recentemente, in Libano, si stanno sviluppando conflitti somiglianti a guerre civili. Nel caso della Siria, non è una somiglianza ma una tragica realtà. Questa instabilità regionale rischia di contagiare la Turchia (gli Stati Uniti chiudono le alleanze nella regione). A quei tempi la Turchia era senza dubbio il fulcro dell’Impero Ottomano che governava sulla maggior parte del Medio Oriente. Circa un secolo fa entrò sfortunatamente, già distrutta, nella “grande guerra”. Questo accelerò la sua rovina e condusse al genocidio armeno del 1915. Per quanto tempo ancora Ankara potrà stare a guardare, prima di essere risucchiata nel più ampio conflitto dei suoi vicini? Il 2014 probabilmente sarà determinante.Internamente la Turchia è afflitta da forti dissensi e scossa da continue proteste dal giugno scorso. Il dissenso popolare nei confronti dell’autoritarismo del primo ministro Ergodan non si è placato. La continua lotta tra il movimento laico (kemalista) e quello neo-islamico (e all’interno del partito Akp stesso, “Adalet ve Kalkinma Partisi”, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) rischia di distruggere lo stato turco nel 2014, con le modalità già sperimentate un secolo fa dall’Impero Ottomano. Il potere del governo ha inoltre subito un ulteriore indebolimento negli ultimi tempi a causa degli scandali per corruzione che hanno interessato i suoi vertici. La conseguente epurazione dei corpi di polizia e di pubblica sicurezza ha inasprito la situazione. La tregua con i ribelli curdi nelle zone orientali del paese rimane instabile. In ultimo, il tentativo della Turchia, ormai vecchio di decenni, di diventare un membro dell’Unione Europea, è essenzialmente congelato a causa della repressione contro attivisti e giornalisti locali. Quindi, come nel 2014, il paese è un calderone che galleggia nel mare di instabilità che caratterizza la regione.Passando all’Asia, troviamo crescenti movimenti di protesta in Thailandia, Cambogia e Bangladesh, o rivolte in corso contro le trincerate e corrotte oligarchie locali. Fino ad ora questi sollevamenti sono stati brutalmente repressi con l’ausilio delle forze militari. Chissà se gli eventi attuali saranno la scintilla di un’esplosione simile a quella del 1914. Probabilmente no. Tuttavia questi paesi emergenti sembrano essere nel mezzo di quella che io chiamo “situazione pre-rivoluzionaria”. Quello che vedremo accadere da queste parti nel 2014 somiglia moltissimo allo scenario della rivoluzione messicana (1910-1920), un decennio di dure lotte per liberarsi di quel regime corrotto conosciuto come “Porfiriato”. Se aggiungiamo a quanto detto il rischio di uno scontro militare tra i “grandi poteri” locali, siano essi in crescita o in crisi, così come accadeva nel 1914 (lo dimostra l’attuale ostentazione militare sulle contese Diaoyu e Tiaoyutai nel lontano oriente), si ha realmente l’impressione che la storia si ripeta ancora una volta.(Michael Werbowski, “La polveriera storica, il 2014 come il 1914 in Europa e nel mondo?”, da “Global Research” del 10 gennaio 2014, tradotto e ripreso da “Come Don Chisciotte”).I giornalisti internazionali hanno predetto un’archetipica “situazione Sarajevo” per quest’anno. Una scintilla che potrebbe causare una detonazione come quella che circa un secolo fa vedeva protagonista l’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo. Difficilmente accadrà anche quest’anno che un nazionalista radicale spari al successore al trono dell’impero; nonostante ciò, esistono oggi una serie di sconvolgimenti potenziali in Europa e altrove. Esaminiamo la situazione. La Germania, “fortezza economica” dell’Europa, sembra essere entrata in un periodo di incertezze, proprio come prima dello scoppio della “grande guerra”. All’inizio del nuovo anno, la caduta improvvisa della cancelliera tedesca (forse un presagio della rottura dell’Eurozona?) è stato un evento infausto. La signora Merkel, che appariva come una figura politica indebolita (anche a causa delle stampelle), è riuscita ad assemblare una “grande coalizione”, la cui durata è incerta.