Archivio del Tag ‘Saddam Hussein’
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Boston, cronaca di una strage annunciata: prove generali?
Bombe assassine, ma in apparenza senza uno straccio di movente. E due attentatori-fantasma venuti dal nulla, non credibili e comunque messi subito a tacere: uno ucciso, l’altro impossibilitato a parlare. Tutto attorno, il caos: per ora, non regge nessuna ricostruzione dei fatti. Nettissimo invece il risultato politico: una grande città terrorizzata e messa in stato d’assedio per una decina di giorni. Gli attentati di Boston sono la “prova generale” di qualcosa che si va preparando da tempo? Lo suggerisce il programma dei 30.000 droni destinati a pattugliare il cielo degli Stati Uniti, dice Giulietto Chiesa. Obiettivo: non solo abbattere i terroristi in ogni parte del mondo, ma anche sorvegliare l’America in nome della sicurezza dei cittadini. L’aspetto più inquietante? L’immediata cortina fumogena del mainstream: è quella delle grandi occasioni, dall’attentato a Kennedy fino all’11 Settembre. A proposito: il terrore di Boston ha sovrastato l’altra notizia-bomba del giorno. Obama, rivela il “New York Times”, ha formalmente seppellito la verità sulle Twin Towers.
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Italia kaputt, a Palazzo Chigi il super-piazzista dell’euro
“Euro sì. Morire per Maastricht”. Era il 1997 ed Enrico Letta annunciava, nel suo saggio pubblicato da Laterza, che sarebbe valsa la pena di morire per l’euro e Maastricht come nel 1939 valeva la pena di “morire per la Polonia”. «Non c’è un paese che abbia, come l’Italia, tanto da guadagnare nella costruzione di una moneta unica», disse al “Corriere della Sera”, al termine del suo primo incarico importante, la partecipazione alla commissione per l’introduzione dell’euro. «Abbiamo moltissimi imprenditori piccoli e medi che, quando davanti ai loro occhi si spalancherà il grandissimo mercato europeo, sarà come invitarli a una vendemmia in campagna: è impossibile che non abbiano successo, il mercato della moneta unica sarà una buona scuola, ci troveremo bene». Questo è l’uomo a cui l’appena rieletto Napolitano affida il “governissimo”.
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Krugman: ieri le armi di Saddam, oggi la fobia del debito
Dieci anni fa l’America invase l’Iraq: in qualche modo la nostra classe politica decise che dovevamo rispondere a un attacco terroristico con la guerra a un regime che, per quanto spregevole, non aveva nulla a che fare con l’attacco. Alcune voci avvertirono che stavamo facendo un terribile errore – che i motivi per fare la guerra erano deboli e forse fraudolenti, e che era molto probabile che l’impresa, lungi dal darci la facile vittoria promessa, avrebbe probabilmente portato a costi e lutti molto pesanti. E questi avvertimenti si sono rivelati, ovviamente, fondati. Si è scoperto che non c’era alcuna arma di distruzione di massa; è ovvio, a posteriori, che l’amministrazione Bush ha deliberatamente ingannato, e portato in guerra, la nazione. E la guerra – che è costata migliaia di morti americani e decine di migliaia di vite irachene, e ha imposto costi finanziari di gran lunga superiori a quelli previsti dai suoi sostenitori – ha lasciato l’America più debole, non più forte, e ha finito per creare un regime iracheno più vicino a Teheran che a Washington.
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Foa: la verità del web spiazza i media e gli spin doctor
Era il 2003 – esattamente dieci anni fa – e un grande libro, completamente ignorato dai media, raggiunse in pochi giorni la vetta delle classifiche, senza neppure una recensione sui giornali. “La guerra infinita”, di Giulietto Chiesa, “spiegava” per la prima volta quello che sarebbe successo da lì in poi, a partire dall’occupazione dell’Iraq col falso pretesto delle inesistenti armi nucleari di Saddam. La menzogna elevata a sistema, su scala mondiale, come vera e propria arma di distruzione di massa. Motivazioni elementari: il declino di un impero, messo alle corde dalla penuria energetica e dal boom demografico del pianeta, ma con ancora un vantaggio formidabile: la supremazia tecnologico-militare. Uso della forza reso accettabile soltanto dall’arma vera: la manipolazione sistematica della verità. In un post visitatissimo su “Byoblu”, Marcello Foa denuncia il ruolo-chiave degli spin doctor nel condizionare il sistema dei media, e cita il caso-Grillo: finalmente, un fenomeno di massa che esplode, nonostante la congiura del silenzio organizzata da giornali e televisioni.
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Menzogne in prima pagina, da Saddam alla bara di Chávez
Sempre loro, sempre gli stessi. Quelli che raccontarono che la Cia e l’Fbi, poveri dilettanti, non sapevano niente dei “misteriosi” attentatori dell’11 Settembre, impegnati a prendere lezioni di volo e poi a volare davvero, quel maledetto giorno, mentre la difesa aerea degli Stati Uniti era impegnata, per la prima volta nella sua storia, in 7 diverse esercitazioni contemporanee, coi caccia tenuti lontanissimi da Manhattan e i radar schermati da strani videogame. E’ sempre lui, l’eterno mainstream, che prende per buono il film sulla fine di Bin Laden e quello sulle “fosse comuni” di Gheddafi, dopo aver creduto alle terribili “armi di distruzione di massa” di Saddam. Viene il turno di un formidabile avversario come Hugo Chávez? Niente paura: il “dittatore socialista”, quattro volte eletto democraticamente, secondo il Tg3 non ha cambiato la faccia del Venezuela, cioè del paese che ha sconfitto la fame, l’analfabetismo e la mortalità infantile, superando anche il Brasile dei record nella distribuzione del nuovo benessere. Irrilevante, Chávez. Evidentemente, i venezuelani si disperano perché sono cretini, gente di razza inferiore.
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Caccia alle streghe: così muore l’ultimo eroe democratico
«Nella società umana – ci insegnava il professor Ringold – la trasgressione più grande di tutte è pensare – il pen-sie-ro-cri-ti-co, – diceva il professor Ringold, battendo le nocche sul piano della cattedra per scandire ogni sillaba – ecco l’estrema trasgressione». Nel romanzo “Ho sposato un comunista” di Philip Roth, il professor Ringold è un vecchio insegnante di liceo (ormai novantenne) passato attraverso la caccia alle streghe scatenata negli Stati Uniti d’America tra l’immediato dopoguerra e la metà degli anni ’50, quando migliaia di persone, intellettuali, scrittori, cittadini di ogni ceto sociale e di ogni età furono messi sotto accusa perché sospettati di coltivare idee socialiste («È stata una vera e propria ondata di fascismo, la più violenta e dannosa che questo paese abbia mai avuto», ebbe a dire Eleanor Roosevelt).
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Desmond Tutu: perché rifiuto di parlare con Tony Blair
L’immoralità della decisione di Stati Uniti e Gran Bretagna di invadere l’Iraq nel 2003, fondata sulla menzogna che l’Iraq possedesse armi di distruzione di massa, ha destabilizzato e polarizzato il mondo in misura maggiore rispetto a qualsiasi altro conflitto nella storia. Anziché riconoscere che il mondo in cui vivevamo – con sempre più raffinate forme di comunicazione, trasporti e sistemi d’arma – necessitava di una leadership sofisticata che tenesse insieme la famiglia globale, i leader che allora guidavano gli Stati Uniti e il Regno Unito costruirono falsi pretesti per comportarsi come bulli al parco giochi e trascinarci più lontano. Ci hanno spinti sin sull’orlo del precipizio in cui ci troviamo ora, con lo spettro di Siria e Iran davanti a noi. Se i leader possono mentire, allora chi mai dovrebbe dire la verità?
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La guerra democratica: noi ipocriti, i peggiori assassini
Con un profetico bestseller, Giulietto Chiesa la battezzò “la guerra infinita”: era l’incubo che doveva metter fine al breve sogno della pacificazione globale, dopo il lungo inverno della guerra fredda. I Grandi si promisero una pace duratura, ma mentivano: appena l’Urss abbassò le armi, l’America ne approfittò per assediarla e conquistare posizioni in tutto il mondo. «Da quando è crollato il contraltare sovietico – dice oggi Massimo Fini – le democrazie occidentali, Stati Uniti in testa, hanno inanellato otto guerre in vent’anni». Così, la “guerra asimmetrica” di cui parlava Giulietto Chiesa – potenti eserciti super-tecnologici contro sparute armate di miliziani irregolari e vaste stragi di civili – è ora la “guerra democratica”, nella traduzione di Massimo Fini: oggi il boia siamo noi, l’Occidente “umanitario” e ipocrita, che uccide a distanza, rifiutandosi di guardare in faccia le vittime dilaniate, a migliaia, da missili-killer che cadono lontano dalle nostre case.
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Strana violenza: se il potere ha paura, scatena i black bloc
Un mondo diverso è possibile? In teoria, sì. Ma appena la svolta si avvicina, ecco che arrivano loro: sfasciano tutto, devastano città, terrorizzano manifestanti e adesso scatenano anche la guerriglia con la polizia, dando al governo di turno il pretesto perfetto per seppellire sotto la repressione qualsiasi domanda di cambiamento. Loro sono i neri, gli incappucciati: da più di dieci anni, puntualissimi guastatori di qualsiasi “primavera” civile. Sono i migliori alleati del potere che dichiarano di voler combattere, dice senza esitazioni Franco Fracassi, che dopo il saggio “G8 Gate” sulla catastrofe genovese del 2001 ha dedicato ai black bloc un accurato studio monografico. Il libro prova a far luce sull’origine del più ambiguo fenomeno degli ultimi anni, regolarmente in campo ad inquinare qualsiasi pacifica contestazione sociale: molti di loro sono ragazzi ingenui, alcuni di estrema destra, manovrati però da un’abile regia.
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Gli Usa non lasceranno Kabul: la guerra infinita conviene
Doveva essere un’operazione di polizia internazionale per catturare Osama Bin Laden e sgominare Al Qaeda dopo l’attentato del secolo, quello dell’11 Settembre: così almeno secondo la Casa Bianca, lo stesso super-potere che due anni dopo invaderà l’Iraq col pretesto delle inesistenti “armi di distruzione di massa” di Saddam Hussein. Inabissato “con rito islamico” il fantasma di Bin Laden nelle acque dell’oceano, il ritiro dall’Afghanistan resta un miraggio. Copione invariato: bombardamenti, stragi di civili, attentati, soldati uccisi, bare avvolte nelle bandiere e politici occidentali che ripetono che il contingente internazionale rimarrà nel paese asiatico “per difendere la pace e la sicurezza”. Una favola tragica: l’Afghanistan resta un paese in macerie perché l’abbiamo condannato a rivestire lo stesso ruolo che Israele gioca in Medio Oriente, ossia quello di fabbrica e fucina della instabilità regionale.
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Chomsky: il mondo ha paura di Israele, non dell’Iran
Nel numero di gennaio-febbraio della rivista “Foreign Affairs” un articolo di Matthew Kroenig intitolato “È il momento di attaccare l’Iran” spiega perché un attacco è l’opzione meno peggiore. Sui media si fa un gran parlare di un possibile attacco israeliano contro l’Iran, mentre gli Stati Uniti traccheggiano tenendo aperta l’opzione dell’aggressione, ciò che configura la sistematica violazione della carta delle Nazioni Unite, fondamento del diritto internazionale. Mano a mano che aumentano le tensioni, nell’aria aleggiano i fremiti delle guerre in Afghanistan e Iraq. La febbrile retorica della campagna per le primarie negli Usa rinforza il suono dei tamburi di guerra. Si suole attribuire alla “comunità internazionale” – nome in codice per definire gli alleati degli Stati Uniti – le preoccupazioni per l’imminente minaccia iraniana. I popoli del mondo, però, tendono a vedere le cose in modo diverso.
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La diserzione della politica: cittadini sempre più indifesi
L’incredibile Bersani demolito in mondovisione da Marco Travaglio in soli 13 minuti, senza essere riuscito a dire una parola a giustificazione della Tav Torino-Lione. E poi Alfano che blatera contro il “pericolo rosso” e le nozze gay, mentre il suo capo Berlusconi festeggia l’assoluzione di Dell’Utri in Cassazione. Così, il dialogo con la popolazione italiana – dalla valle di Susa militarizzata alle retrovie dell’ultimo corteo romano della Fiom – è affidato ai reparti antisommossa, mandati “al fronte” da un governo di anonimi tecnocrati che nessuno ha eletto. Ormai, avverte Lorenzo Guadagnucci, stanno usando la polizia contro di noi, secondo lo schema inaugurato al famigerato G8 di Genova: per Andrea Camilleri, quelle erano «prove tecniche di colpo di Stato».