Archivio del Tag ‘salario minimo’
-
Tanto a pochi, agli altri le briciole: riecco l’antico Draghi
«Il governo Draghi, voluto per la salvezza del paese, con questa prima manovra di bilancio fa il suo compitino tecnocratico». Ovvero: «Comincerà ad attuare i progetti del Recovery, ma la visione di un mondo post-pandemico non c’è». Così Mario Barbati, su “Micromega”, boccia l’aspetto socio-economico dell’attesissimo avvento dell’ex Super-Mario a Palazzo Chigi. La sintesi: «Aumentano il Pil come paradossalmente povertà e lavoro precario. Degli oltre 830.000 nuovi posti di lavoro creati nell’ultimo anno, il 90% sono a termine: solo l’1% dura più di un anno. Tolto il salario minimo legale dal Pnrr, smantellato il ‘decreto dignità’ che limitava i contratti a termine, vengono messi in discussione i redditi di sostegno e le pensioni». Inoltre, si omette di contrastare 203 miliardi di economia sommersa, «che sarebbero decisivi se davvero si volesse attuare una redistribuzione della ricchezza». Rinviata ancora la “plastic tax”, alla faccia della “transizione ecologica”. La legge di bilancio? Una manovra da 30 miliardi, che Draghi definisce «espansiva». Si alleggerisce la pressione fiscale con 12 miliardi, di cui 8 per il taglio delle tasse su società e persone, ma senza ripartizioni (che saranno «definite insieme al Parlamento» nelle prossime settimane).Rinviata la riforma delle pensioni: “Quota 102” è solo un compromesso – scrive Barbati – che «non risolve una questione che dura da anni» e in più «alimenta una narrazione, peraltro falsa, che il lavoro per i giovani si crei innalzando l’età di pensionamento, mettendo lavoratori di diverse generazioni contro». Unica nota positiva: l’aumento delle protezioni sociali per i senza lavoro. Il nodo vero? «Il Pil sale, i salari scendono». Si domanda l’analista: «Ha senso, un sistema in cui aumentano il Pil (oltre il 6% quest’anno, come dichiarato dal premier) e al tempo stesso la povertà, ormai anche tra molti lavoratori? E per quanto tempo può reggere, dopo quasi due anni di pandemia? Superare l’austerità se non si leniscono le profonde disuguaglianze degli ultimi decenni, che anzi sono accresciute con la pandemia, se non si affrontano la questione salariale e la precarietà, non ha senso». In Italia, annota Barbati, più di 5 milioni di lavoratori dipendenti hanno un reddito inferiore ai 10.000 euro annui, determinando il fenomeno della povertà che si diffonde tra chi lavora. «Rappresentazione plastica di un modello sociale da ribaltare».Una delle poche ma significative modifiche del Pnrr targato Draghi (nella versione Conte-Gualtieri c’era) è stata l’eliminazione dell’introduzione del salario orario minimo, cioè di una legge che fissi una soglia di base sotto la quale il datore di lavoro non può scendere. La misura è in vigore in 21 Stati dell’Unione Europea su 27 (comprese Germania, Francia, Spagna) e sarebbe indispensabile – scrive sempre Barbati – in un paese in cui non solo esistono una miriade di contratti collettivi nazionali diversi (900) ma anche milioni di lavoratori fuori dalla contrattazione collettiva, sfruttati con stipendi da fame e zero diritti. In Italia (e non solo) il neoliberismo «si è tradotto con offerte di lavoro, richiesta di manodopera, delle risorse intellettuali al massimo ribasso: trasformando il lavoro in una merce, anche abbastanza scadente». Ma il Belpaese «non poteva che distinguersi tra gli altri». L’Italia è infatti «l’unico Stato in Europa – dati Ocse alla mano – in cui dal 1990 ad oggi gli stipendi sono diminuiti invece che aumentare. E se negli ultimi trent’anni la ricchezza è invece aumentata, se ne deduce facilmente che sia finita in pochissime mani».Con l’aumento del costo delle materie prime dopo i blocchi pandemici (e quindi i rincari di carburante, energia, gas) quella dei salari «dovrebbe essere la priorità di un paese che si vuole rilanciare». In Germania, «l’Spd di Scholz ha vinto le elezioni con la proposta di alzare il salario minino a 12 euro all’ora». La nostra Costituzione prevede che “il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa” (articolo 36). «È la Costituzione che andrebbe applicata, ribaltando il concetto della crescita slegata dal benessere e dal lavoro delle persone, cominciando dal salario minimo orario, lasciando la contrattazione collettiva ma fissando una soglia di dignità per tutti». Riassume Barbati: «Oggi 3,5 milioni di dipendenti privati, 600.000 lavoratori domestici, 370.000 operai agricoli non raggiungono i 9 euro lordi all’ora».Vero, dall’inizio del 2021 sono stati creati oltre 830.000 posti di lavoro (in aumento, rispetto agli anni precedenti). Ma quasi il 90% di questi nuovi lavori creati «è stato attivato con un contratto a termine». Modeste – e inferiori al 2020 – le posizioni a tempo indeterminato. «Da luglio, l’eliminazione del vincolo ha prodotto 10.000 licenziamenti». In che modo, si domanda l’analista di “Micromega”, questi dati sono coerenti con le dichiarazioni che Draghi ha dedicato ai giovani? «Il mio impegno – ha detto – è seguire le vostre ambizioni, dopo anni in cui l’Italia si è dimenticata di voi». La promessa: «Fare in modo che questa ripresa sia duratura e sostenibile». La retorica del “niente sarà più come prima”, del “ne usciremo tutti migliori” che ci ha allegramente accompagnato durante la pandemia – scrive Barbati – deve ora fare i conti con una realtà dura a morire, perché frutto di politiche durate decenni. «La pandemia, che ha squadernato un paese in cui pochi hanno tanto e molti hanno poco, rischia di finire esattamente come era iniziata. Senza un cambio di direzione verso una giustizia distributiva e sociale».L’applicazione della Costituzione, continua Barbati, dovrebbe essere la stella polare per le riforme e gli investimenti del Recovery Plan. Invece il Pnrr (230 miliardi di euro di risorse insperate) «rischia di andare a favore dell’alta economia e di cambiare poco o niente nella vita comune di cittadini, studenti, lavoratori e imprese». In effetti, «già prima della pandemia globale, l’Italia era contrassegnata da forti disuguaglianze, gap e divari generazionali, di genere, territoriali e sociali». E ora «il Recovery, che è il più grande piano d’investimenti pubblici della storia repubblicana, rischia di vedere il mercato e non la politica come principale regolatore dell’economia». Non solo. «Concretamente, il Piano rischia di essere una sommatoria di progetti, al momento senza un coordinamento visibile, con misure eterogenee che mancano di un progetto-paese in grado di creare un modello di sviluppo sostenibile non a favore di alta finanza e poche grandi imprese – come avvenuto negli ultimi 30 anni – ma a vantaggio della vita delle persone in armonia con l’ambiente».Per Barbati, «manca un riscontro sulla ricaduta nella creazione di lavoro, nella rigenerazione urbana, nella riconversione ambientale». Il portale che il governo ha dedicato al Recovery Plan (“Italia Domani”) prevede la condivisione sugli esiti dei singoli progetti, ma senza informazioni su ogni fase del processo attuativo, come tra l’altro chiesto dall’Europa. «Sul piatto della transizione ecologica ci sono 70 miliardi, ma nei documenti inviati a Bruxelles mancano impegni chiari sulla sostituzione graduale del carbone e del gas naturale». La mobilità sostenibile? Vale 31 miliardi in nuove infrastrutture: ma «privilegia i treni Av anziché il trasporto locale, regionale e cittadino». C’è anche il rischio di aumentare, anziché diminuire, «il divario tra nord e sud, tra aree ricche e povere». E questo «perché ci saranno enti locali in grado di sfruttare i bandi e altri incapaci di farlo». La quarta missione (istruzione e ricerca) stanzia complessivamente 33 miliardi, di cui quasi 12 per la ricerca. «Sparisce il piano Amaldi, che proponeva un aumento dei fondi per la ricerca pubblica nella misura di 15 miliardi in 5 anni, per far sì che l’Italia passasse dallo 0,5% del Pil in ricerca pubblica allo 0,7% francese».Se Barbati approva (almeno sulla carta) il piano per l’edilizia scolastica e gli asili nido, punta il dito sul tema della concorrenza: la soluzione è davvero aprire ai mercati, in tutti i settori, «in nome dell’ideologia neoliberista superata dai fatti e dalla storia»? Nel Piano si impone agli enti pubblici «una motivazione anticipata e rafforzata che dia conto del mancato ricorso al mercato». Soluzione che in alcuni casi potrebbe essere utile – dice Barbati – per spezzare le rendite, i monopoli troppo garantiti, i legami clientelari con la politica; in altri casi, però, «potrebbe essere deleteria, perché in passato le “liberalizzazioni” hanno riguardato servizi di interesse generale, come i monopoli naturali attraverso concessioni esclusive ai privati». Esempi? «Il caso Autostrade: 11 miliardi di utili per Benetton & soci, continui aumenti delle tariffe, risparmi e negligenza assassina sugli investimenti in sicurezza. La storia recente dimostra che le “public utilities” (il trasporto pubblico, i servizi idrici, le reti ad alta velocità) non dovrebbero più dipendere dal dominio di logiche di profitto, perché sono servizi di interesse generale». Conclude Barbati: non si capisce come il Pnrr possa contrastare la precarietà. «Istruzione, sanità, welfare universale rischiano ancora una volta di essere sacrificate sull’altare delle grandi opere e degli affari per pochi».«Il governo Draghi, voluto per la salvezza del paese, con questa prima manovra di bilancio fa il suo compitino tecnocratico». Ovvero: «Comincerà ad attuare i progetti del Recovery, ma la visione di un mondo post-pandemico non c’è». Così Mario Barbati, su “Micromega”, boccia l’aspetto socio-economico dell’attesissimo avvento dell’ex Super-Mario a Palazzo Chigi. La sintesi: «Aumentano il Pil come paradossalmente povertà e lavoro precario. Degli oltre 830.000 nuovi posti di lavoro creati nell’ultimo anno, il 90% sono a termine: solo l’1% dura più di un anno. Tolto il salario minimo legale dal Pnrr, smantellato il ‘decreto dignità’ che limitava i contratti a termine, vengono messi in discussione i redditi di sostegno e le pensioni». Inoltre, si omette di contrastare 203 miliardi di economia sommersa, «che sarebbero decisivi se davvero si volesse attuare una redistribuzione della ricchezza». Rinviata ancora la “plastic tax”, alla faccia della “transizione ecologica”. La legge di bilancio? Una manovra da 30 miliardi, che Draghi definisce «espansiva». Si alleggerisce la pressione fiscale con 12 miliardi, di cui 8 per il taglio delle tasse su società e persone, ma senza ripartizioni (che saranno «definite insieme al Parlamento» nelle prossime settimane).
-
Conte, Merkel e gli zombie che “Politico” scambia per eroi
«Giuseppe Conte è il leader più credibile al mondo», sintetizza “Tpi” nel presentare la clamorosa classifica che sta rimbalzando ovunque. Se i comici sono un po’ fuori allenamento, in mezzo alle disgrazie del 2020, a tirare su il morale a tutti provvede infatti l’edizione europea dello statunitense “Politico”, realizzata a Bruxelles in jount-venture con il principale editore digitale in Europa, il tedesco Axel Springer. “Politico” vanta un team di 500 redattori, distribuiti in tutto il mondo: la tribuna vip del mainstream media internazionale, quello che non ha mai osato raccontare la nuda verità né previsto nessuna crisi. E cosa dicono, i gran sacerdoti dell’informazione? Tra cose, innanzitutto. La prima riguarda Angela Merkel, incoronata Papessa d’Europa (questo sì, che è uno scoop). La seconda: la merkeliana Ursula von der Leyen sarebbe la leader dei “sognatori”. E qui si comincia a ridere, ma non quanto di fronte al ritratto di “Giuseppi” Conte, numero uno degli “spender” europei, una specie di Masaniello dal tocco felice. Per capire in che mani sia l’informazione, basta leggere le pagelle di quelli che “Politico” presenta come “Gli attori, i sognatori e i rivoluzionari che daranno forma al prossimo anno in Europa”.Una galleria di zombie, che “Politico” scambia per esseri politicamente viventi, nonché capaci di decisioni autonome: come se non esistessero nemmeno, i poteri che dominano il mondo, che oggi lo stanno mettendo alla frusta come in tempo di guerra (e che, per inciso, presiedono alla somministrazione editoriale delle notizie destinate al gregge). La simpatica macellaia Angela Merkel, reginetta del rigore e affamatrice di mezza Europa, Grecia in primis, dopo i brillanti esordi come spia della Stasi, feroce polizia politica della Germania Est (”Le vite degli altri”, al cinema), su “Politico” rifulge, abbagliante, in tutto il suo splendore. «Dopo quasi 16 anni come cancelliera, Angela Merkel è destinata a ritirarsi dopo le elezioni tedesche dell’autunno 2021», singhiozzano i redattori di “Politico”, «con un record segnato dalla stabilità piuttosto che dall’ambizione». In confronto ad Angela, Batman e Superman non sono nessuno: «Negli ultimi dieci anni e mezzo, la Merkel è stata la mano ferma attraverso una serie di cataclismi, dalla Grande Recessione e dalla crisi dell’Eurozona al Covid-19». Che tempra: «Ha tenuto insieme l’Europa di fronte alla Brexit e alla belligeranza di Donald Trump», quel noto mascalzone, «diventando, per processo di eliminazione, il “leader del mondo libero”, di fatto, quando Washington si è ritirata».Al ritratto “giornalistico” manca solo l’incoronazione imperiale, ma soltanto perché il Sacro Romano Impero non è ancora stato nominalmente istituito. Quanto al culto merkeliano, niente paura: l’altare, come si legge, è bell’e pronto. E alla destra della divinità siede già la regina dei “dreamer”, la quasi altrettanto divina Ursula, che infatti «vuole rendere di nuovo grande l’Europa». E come? Presto detto: la prima voce citata da “Politico” è «il rafforzamento dei diritti Lgbt», la cui fragilità – com’è noto – ha determinato la grande crisi europea, la morte per denutrizione dei bambini greci, le spietate politiche di rigore, i tagli alla sanità e alle pensioni, l’esplosione del precariato e della disoccupazione. Insieme al “diritti Lgbt” è citata l’altra grande sfida che assilla gli europei nel 2020, ovvero «la lotta al razzismo». A seguire: «La garanzia di un salario minimo a tutti i lavoratori europei, la riduzione delle emissioni di gas serra del 55% e la creazione di un’Unione Europea della Sanità che darebbe alla burocrazia dell’Ue maggiore influenza su una prerogativa nazionale ferocemente custodita». C’è da mettersi a piangere dalla commozione, vero? Meglio tenere il fazzoletto a portata di mano, allora, perché “Politico” riesce a superare se stesso nel celebrare il primo ministro italiano, amatissimo dai poteri che contano.«Il coronavirus ha devastato l’Italia, ma per Conte, almeno politicamente, è stato un vantaggio»: almeno questo, “Politico” lo ammette. Comunque, «se l’Italia è troppo grande per fallire, Giuseppe Conte è l’uomo che l’Europa spera sarà in grado di continuare a sostenerla». Eccoci al punto: “Giuseppi” sarebbe la pedina su cui puntano i massimi poteri, quelli che muovono i fili delle marionette Angela & Ursula. La tesi di “Politico”: ha fatto benissimo, Conte, a imporre all’Italia il brutale lockdown di marzo e aprile: così facendo ha infatti costretto l’Ue a provare «vergogna», al punto da indurre i cattivoni di Bruxelles a metter mano al portafogli con una pioggia di miliardi (di cui non s’è ancora vista nemmeno l’ombra: l’Italia infatti sta in piedi solo grazie alla generosità di Christine Lagarde, ma la signora della Bce è relegata in posizione assai defilata, tra i benefattori). Del resto, “Politico” bada al sodo: di Conte apprezza «il suo stile cliché italiano fiammeggiante», e cioè il fatto di «presentarsi alle riunioni a bordo di una Maserati, in un abito neo-dandy, cercando di flirtare con Angela Merkel». Certo, “Giuseppi” dovrà guardarsi dall’invidia dei paesi “frugali” (che infatti friggono, di fronte allo spettacolo dell’improvvisa ricchezza degli italiani, trasformati in nababbi). E dovrà anche «gettare qualche osso» ai suoi avversari «di estrema destra», cioè «Salvini e l’ascendente Giorgia Meloni».La leader di Fratelli d’Italia figura al terzo posto tra i “disgregatori” europei, contrapposti a valorosi “doers” come Orban, Macron, Erdogan e il “bluffer” Boris Johnson. La piccola Giorgia («sono italiana, sono cristiana») è presentata come «leader appena incoronata dell’estrema destra europea», al punto che ora sembra «pronta a diffondere», in tutto il continente, «la sua capacità di distruggere senza autodistruggersi» (in questo, seconda solo al coronaviurs). Tra i biechi disgregatori figura il russo Pavel Durov, reo di aver creato un social media come Telegram, capace di fare concorrenza a WhatsApp, ovvero di «fare a pezzi le persone», divenendo uno strumento del Male. «Telegram è anche il modo in cui i teorici della cospirazione tedeschi di “QAnon” e i manifestanti anti-maschera organizzano marce a Berlino». Capito, che guaio? Ma niente paura, già si ode l’avanzata dei cavalieri del Bene, cioè le piattaforme immacolate come Facebook e Twitter, le quali «cercano di reprimere la disinformazione e l’incitamento alla violenza». A proposito di disinformazione e omissioni: è grande come una casa, la maggiore “dimenticanza” di quegli sbadati di “Politico”: nel loro pantheon europeo è clamorosamente vuota la poltrona di uno dei personaggi più influenti del pianeta, Mario Draghi. Strano, no?Proprio Draghi, già sommo pontefice dell’euro-potere, si macchiò nel 2019 del peggiore dei crimini: rinnegò le sue malefatte e si mise a bocciare le politiche “fallimentari” dei suoi ex sodali, cioè i morti viventi, gli ectoplasmi, i camerieri e i maggiordomi che oggi “Politico” finge di scambiare per statisti decisivi per il futuro europeo. Compreso il più fantasmatico di tutti, il nostro anonimo “Giuseppi”, con il suo stile «cliché italiano fiammeggiante»: senza i poderosi acquisti della Bce, non avrebbe potuto sfoggiare a lungo la Maserati e la pochette, menando ancora il can per l’aia dopo un anno di supercazzole sui “ristori”. E se è stata la Bce ad acquistare camionate di Btp a costo zero, lo si deve anche e soprattutto al grande assente, nel pantheon di “Politico”: quel Draghi che a marzo, sul “Financial Times”, aveva messo in chiaro che vent’anni di politica europea (cioè di Angela Merkel e sudditi) andrebbero gettati al macero, pena la morte civile di un continente tuttora in mano ai prestanome di un’associazione a delinquere che ha organizzato a tavolino l’inesistente “scarsità di denaro”, a scopo predatorio e di dominio. E quindi: come lo si sarebbe potuto invitare, l’imbarazzante Draghi, tra i Magnifici del 2021? E se si fosse messo a dire la verità, come sta facendo da un anno e mezzo a questa parte? Volete mettere, lo sconcerto?La voglia di ridere, se mai ci fosse, svanirebbe comunque velocemente nello scoprire che il Tribunale Islamico di “Politico” mette nel mirino anche una scrittrice, nientemeno: si tratta di Joanne Kathleen Rowling, celeberrima creatrice di Harry Potter, relegata tra i reprobi “disgregatori”. Sembra di rivivere, sia pure in modo incruento, l’epoca della “fatwa” scagliata dall’ayatollah Khomeini contro Salman Rushdie, autore dei “Versi satanici” che secondo i teocrati dell’Iran insolentivano il Profeta. Merita dunque la condanna a morte anche la Rowling? Certo, il suo crimine è scioccante: ha osato contestare uno dei massimi dogmi della nuova religione, cioè la sacralità dei diritti civili (Lgbt) utilizzata per oscurare i diritti sociali e quindi annullare il futuro dei giovani, dando loro l’illusione di essere liberi, anche se quella sessuale è l’unica vera libertà che ormai viene loro lasciata. L’accusa mossa all’autrice di Harry Potter è spaventosa: “transbofia”. Roba da plotone d’esecuzione. Quello di “Politico”, per ora si esercita sulla Rowling. Ma solo a un demente potrebbe sfuggire qual è il vero bersaglio: noi, la nostra libertà di opinione. All’avvento del totalitarismo nazista, Bertolt Brecht si affrettò a lasciare la Germania. Con lui Theodor Adorno, Herbert Marcuse, Erich Fromm. Non è mai un bel posto, quello dove si mettono alla berlina i filosofi e gli scrittori. E il Verbo di “Politico”, sotto forma di carta straccia digitale, è un avvertimento maleodorante: essere eretici, d’ora in poi, costerà caro.(Giorgio Cattaneo, “Conte, Merkel e gli zombie che ‘Politico’ scambia per nostri amici”, dal blog del Movimento Roosevelt dell’8 dicembre 2020).«Giuseppe Conte è il leader più credibile al mondo», sintetizza “Tpi” nel presentare la clamorosa classifica che sta rimbalzando ovunque. Se i comici sono un po’ fuori allenamento, in mezzo alle disgrazie del 2020, a tirare su il morale a tutti provvede infatti l’edizione europea dello statunitense “Politico”, realizzata a Bruxelles in joint-venture con il principale editore digitale in Europa, il tedesco Axel Springer. “Politico” vanta un team di 500 redattori, distribuiti in tutto il mondo: la tribuna vip del mainstream media internazionale, quello che non ha mai osato raccontare la nuda verità né previsto nessuna crisi. E cosa dicono, i gran sacerdoti dell’informazione? Tra cose, innanzitutto. La prima riguarda Angela Merkel, incoronata Papessa d’Europa (questo sì, che è uno scoop). La seconda: la merkeliana Ursula von der Leyen sarebbe la leader dei “sognatori”. E qui si comincia a ridere, ma non quanto di fronte al ritratto di “Giuseppi” Conte, numero uno degli “spender” europei, una specie di Masaniello dal tocco felice. Per capire in che mani sia l’informazione, basta leggere le pagelle di quelli che “Politico” presenta come “Gli attori, i sognatori e i rivoluzionari che daranno forma al prossimo anno in Europa“.
-
Carceri private e schiavi al lavoro: l’ultimo scandalo Usa
L’ultimo scandalo americano? Sarebbe «l’uso, da parte del multi-miliardario ebreo Mike Bloomberg, di call center operati da carcerati per la pubblicità della sua campagna presidenziale». Attenzione: la popolazione carceraria degli Stati Uniti è superiore di 21.100 unità rispetto alla somma dei detenuti di Cina e India, due paesi la cui popolazione complessiva è pari a otto volte quella degli States. A denunciare lo sfruttamento professionale dei carcerati, nel “paese della libertà”, è un economista come Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan. A utilizzare manodopera reclusa sono colossi come Apple, ma non solo: stivali e abbigliamento per i militari vengono prodotti facendo lavorare i detenuti. «Chiaramente, le autorità hanno legittimato le carceri private e l’appalto del lavoro penitenziario a basso costo ad entità private che lo utilizzano a scopo di lucro», scrive Craig Roberts, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte”. Secondo “The Intercept”, Bloomberg vale 54 miliardi di dollari, ed Apple molto di più. Domanda: «Se Apple può usare il lavoro dei carcerati, perché non può farlo Bloomberg? Quelli che ci guadagnano sono gli appaltatori che affittano i detenuti-lavorari a Bloomberg, ad Apple, al Dipartimento della difesa: incassano il salario minimo statale per i lavori penitenziari, mentre i carcerati sono retribuiti con pochi dollari al mese».In passato, ricorda Craig Roberts, i detenuti lavoravano alla manutenzione delle strade pubbliche e non venivano pagati. Ma attenzione: «Lavoravano per la comunità, che a sua volta pagava le spese della loro incarcerazione». Oggi invece «lavorano per le aziende private e generano profitti per le aziende private». Secondo l’analista, «quello che stiamo vivendo è il ritorno del feudalesimo». Sintetizzando: «Lo Stato arresta la gente e la incarcera nelle prigioni private». Sempre lo Stato, poi, «usa i soldi dei contribuenti per pagare le aziende private che gestiscono queste prigioni». A quel punto, «questi centri di detenzione privati affittano il lavoro dei prigionieri ad altre società private che, a loro volta, rivendono i prodotti di questo lavoro a multinazionali e ad enti governativi sulla base del salario minimo sindacale». Si noti: «Questo totale sfruttamento del lavoro è perfettamente legale». Per Craig Roberts, «non è diverso dai signori feudali che mettevano sotto servaggio gli uomini liberi e si appropriavano del loro lavoro». E parliamo, nella maggior parte dei casi, di detenuti non condannati: «Il 96% circa dei carcerati non ha mai ricevuto un processo. Sono stati costretti ad autoincriminarsi, accettando un “patteggiamento” per evitare una punizione più severa».Il restante 4%, secondo Craig Roberts, non ha comunque avuto un procedimento equo, «perché i processi equi non garantiscono le massime percentuali di condanne», e secondo l’analista «le carriere dei funzionari di polizia, dei pubblici ministeri e dei giudici vengono prima della giustizia». Per Roberts, «oggi, una pena detentiva andrebbe considerata alla stregua di un servaggio, anche più pesante di quello dell’era feudale». Nel medioevo, almeno, esisteva ancora una certa reciprocità: «Gli uomini liberi, che coltivavano i propri terreni, non avevano protezione contro le bande dei predoni, vichinghi, saraceni, magiari, ed entravano al servizio di un signore in grado di dar loro la protezione di una fortezza e dei cavalieri con la corazza». Invece, «il servo della gleba di oggi deve dare alla prigione privata tutto il suo lavoro». Accusa Roberts: «Le privatizzazioni sono il canto delle sirene dei libertari fautori del libero mercato», che però nella maggior parte dei casi «avvantaggiano gli interessi privati a spese dei contribuenti». Nella vicenda delle carceri privatizzate, «i contribuenti forniscono profitti alle società private che gestiscono le carceri», e le aziende «guadagnano ulteriormente affittando il lavoro dei prigionieri», offerto a basso costo alle multinazionali.«Forse questo è un motivo per cui gli Stati Uniti hanno non solo la più alta percentuale di popolazione carceraria, ma anche il più alto numero di detenuti in assoluto: l’America ha più persone in carcere di quante ne abbia la Cina, un paese la cui popolazione è quattro volte maggiore». La privatizzazione del settore pubblico investe anche l’esercito americano, continua Craig Roberts: «Molte attività precedentemente svolte dagli stessi militari sono ora affidate a società private. I cuochi dell’esercito e la corvè cucina sono spariti. Anche il settore rifornimenti è stato dato in appalto. Persino la vigilanza armata nelle basi militari è fornita da compagnie private». Tutti questi esempi «rappresentano l’uso del denaro pubblico per la creazione di profitti privati, tramite l’esternalizzazione di quelle che dovrebbero essere le funzioni di un governo». E la privatizzazione dei servizi dell’esercito «è una delle ragioni per cui le spese degli Stati Uniti nel settore della difesa sono così elevate». In Florida, lo Stato ha privatizzato persino l’ispettorato della motorizzazione, creando ritardi e disservizi persino per il pagamento delle multe, transazioni di cui ora beneficia (con la sua percentuale) un soggetto privato.«In sostanza, le privatizzazioni delle funzioni pubbliche sono un modo per trasformare i pagamenti delle tasse in profitti per gruppi privati particolari», riassume Roberts, che smentisce la tesi secondo cui le privatizzazioni ridurrebbero i costi: «Aggiungendo ulteriori passaggi che generano profitti privati, le privatizzazioni aumentano i costi. Nella maggior parte dei casi, le privatizzazioni sono un modo per favorire chi è ben ammanigliato». Oltre a creare flussi di reddito per interessi privati, le privatizzazioni «creano anche ricchezza privata trasferendo beni pubblici in mani private a prezzi sostanzialmente inferiori al valore di mercato». E’ accaduto per la svendita delle società statali britanniche e francesi e del servizio postale britannico. «Le privatizzazioni forzate imposte alla Grecia dall’Ue hanno creato ricchezza per gli Europei del nord a spese della popolazione greca». In una parola, «le privatizzazioni sono un metodo di saccheggio». Letteralmente: «Dal momento che le opportunità per un profitto onesto sono sempre di meno, si fanno strada le razzie. Aspettatevene sempre di più», avverte Craig Roberts, pensando anche agli affaroni che si accumulano, negli Usa, sfruttando gli stessi detenuti.L’ultimo scandalo americano? Sarebbe «l’uso, da parte del multi-miliardario ebreo Mike Bloomberg, di call center operati da carcerati per la pubblicità della sua campagna presidenziale». Attenzione: la popolazione carceraria degli Stati Uniti è superiore di 21.100 unità rispetto alla somma dei detenuti di Cina e India, due paesi la cui popolazione complessiva è pari a otto volte quella degli States. A denunciare lo sfruttamento professionale dei carcerati, nel “paese della libertà”, è un economista come Paul Craig Roberts, già viceministro con Reagan. A utilizzare manodopera reclusa sono colossi come Apple, ma non solo: stivali e abbigliamento per i militari vengono prodotti facendo lavorare i detenuti. «Chiaramente, le autorità hanno legittimato le carceri private e l’appalto del lavoro penitenziario a basso costo ad entità private che lo utilizzano a scopo di lucro», scrive Craig Roberts, in un post tradotto da “Come Don Chisciotte“. Secondo “The Intercept”, Bloomberg vale 54 miliardi di dollari, ed Apple molto di più. Domanda: «Se Apple può usare il lavoro dei carcerati, perché non può farlo Bloomberg? Quelli che ci guadagnano sono gli appaltatori che affittano i detenuti-lavoratori a Bloomberg, ad Apple, al Dipartimento della difesa: incassano il salario minimo statale per i lavori penitenziari, mentre i carcerati sono retribuiti con pochi dollari al mese».
-
Grillo, fai un regalo all’Italia: chiudi il Movimento 5 Stelle
Quelli che sin dagli esordi avrebbero voluto che non esistesse e quelli come me, furibondi con il Movimento da almeno tre anni, commenteranno: “Cosa parli ancora del M5S, che è bene che sparisca dalla faccia della Terra!?” (aggiungendo magari qualche comprensibile insulto a Grillo e al sottoscritto, in quanto editorialista costantemente controvento). Secondo la mia interpretazione, costoro hanno ragione al 90% perché, in realtà, finché è stato in vita Gianroberto Casaleggio questa forza politica era davvero qualcosa di straordinario e solo chi ha militato può saperlo: l’essere antisistema (aristocrazie finanziarie parassitarie), la partecipazione dal basso, le leggi create sulla piattaforma, eccetera.Il successo del 2018 preparato dai media (ricordate gli applausi a Di Maio a La7?) e da loro incensato fu un detonatore sotto le terga dei pentastellati: promuovevano il 5S se si prostrava agli “europeones”, al pensiero dominante franco-germanocentrico razzista contro gli italiani, ma in itinere creavano le basi per distruggerlo avvicinando esponenti grillini di spicco nelle istituzioni, per “blandirli” e infine utilizzarli per creare divisioni ovviamente mal tollerate dai cittadini, soprattutto quando riguardavano temi caldi come l’immigrazione.La naturale tendenza al cambiamento del 5S doveva essere avvelenata e stravolta: l’unico irrinunciabile valore grillino condiviso da tutti gli italiani con un cervello non delegato era la fine dell’austerity, della deindustrializzazione, della colonizzazione estera; e doveva essere terminato. A causare la fine del Movimento non è stata quindi la scelta di essere né di destra né di sinistra, e infatti la stessa Lega è votata in modo trasversale e ha sostituito abilmente il 5S nella lotta all’establishment; la vera causa della fine del 5S era nella sua radice! Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio, dopo anni di Berlusconi, credettero fosse sensato imperniare questa forza politica sin dagli albori sul progressismo (quello che uccise il Pci sull’altare del “Washington Consensus”), ma non si resero conto che la vittoria auspicata contro i cosiddetti “poteri forti stranieri” dentro questo schema non sarebbe stata possibile, dato che le lobbies si nutrono proprio di questo paradigma! E’ stato semplice per l’establishment agire su schiere di eletti ad esso affini e su attivisti pseudo-ribelli in cerca di posto al sole, fancazzisti e adolescenti perenni; bastavano una Carola o una Greta, figuriamoci qualche comoda poltrona.Paradossalmente, visto che si autodefiniscono progressisti, non è da loro che potrà giungere a noi qualsivoglia cambiamento, perché la loro “anima” ed arma è una forma di feroce conformismo pronto alla discriminazione; e quindi, se dovrà nascere qualcosa di nuovo dovrà essere pragmatico e agli antipodi rispetto al “fu M5S”. Le orde di piddini inconsapevoli interni al 5S non studiavano (e sposavano) quelle battaglie geopolitiche ed economiche vitali per l’Italia (ma purtroppo complesse e poco comprese dalle masse), ma in linea con i pochi neuroni di cui disponevano si vestivano di stereotipi emotivi berciando su questioni orecchiabili come la pace, l’ambiente, gli omosessuali, la corruzione, l’Europa, l’anticlericalismo, i migranti (da assistere una volta resi degli straccioni apolidi, anziché da emancipare nei loro paesi), e tutto per ottenere quella ottantina di voti con i quali approdare in Parlamento nel 2013. Successivamente, in rispetto del dogma che gli incapaci di norma sono furbissimi nelle dinamiche da branco, costoro si sono impossessati gerarchicamente del potere interno al Movimento.A questo punto per loro è stato semplice “ragionare da casta” prostituendo tutto il prostituibile; non mi riferisco solo a Di Maio, ma a quelli che lo affiancano al governo e soprattutto a chi adesso lo accusa e ha cercato di trasformare il 5S nella succursale del Pd, tra cui l’inguardabile Lombardi, Luigi Gallo e la Ruocco. Un avvelenamento dei pozzi, quindi, quello agito sul povero Movimento premendo costantemente sui peones e sul solito principio attivo letale dell’establishment: “glebalizzare” le maggioranze facendosi servire dalle minoranze arcobaleniche (lobbies Lgbt, pseudo-pacifisti, pseudo-femministi, pseudo-ambientalisti, anticlericalisti, “decresciuti felicemente”, ecc) che se ne fregano di temi quali il lavoro e la vita delle famiglie perché interessate patologicamente al loro monotema. Con questi presupposti, approdare al fantastico mondo delle politiche del rigore spacciate per espansive (!?!) e da lì al vergognoso tentativo di alleanza definitiva con il Pd (con la Lega era solo un contratto) il passo è stato breve. Tutto perfetto, se non ci fosse un fattore stranamente ancora presente e fastidioso per i nostri padroni esteri: gli elettori.E pensare che con nuove elezioni un binomio Di Battista – Salvini avrebbe potuto fare moltissimo per la nostra nazione (termine legato antropologicamente ai diritti umani e alla cultura, ditelo alle capre radical chic): magari eleggere un presidente della Repubblica libero e con a cuore il nostro Stato. Invece qualcuno, cioè Beppe Grillo con la sua corte di scherani (uno tra tutti, il presidente della Camera Roberto Fico) per qualche ragione oscura, manco fosse un ricattato, ha operato improvvisamente e violentemente in direzione opposta. Tranquilli, ciò significa che anche quel binomio di cui sopra non avrebbe funzionato a causa dei peones; quindi meglio così, il M5S deve chiudere baracca per il nostro bene. Beppe Grillo se vorrà salvare la faccia dovrà dovrà portare profonde scuse pubbliche agli italiani, esporre le scomode verità elencate in pezzi come questo e lasciare a chi è rimasto fuori da questa immondizia il compito di fondare qualcosa di differente.Questo soggetto dovrà “imporre” democraticamente ai cittadini una grammatica differente, una nuova visione con determinate linee valoriali e con fondamenta coerenti con l’obiettivo della liberazione dal giogo neoliberista sfrenato, perbenista-schiavista (e non ad esso funzionale). Ferme restando alcune regole presenti nel M5S incentrate sull’opportuno concetto “di cittadino punto e basta” (no condanne, no tessere di altri partiti da almeno 5 anni, massimo 2 mandati, no alle correnti – tutti contributi che riconosco ai fondatori del Movimento) il nuovo soggetto politico non dovrà “ripartire” ma iniziare da capo senza temere di prendere anche un misero 5%. Questa volta al centro di questo movimento dovrà esserci un paradigma identitario, patriottico, che si ponga a difesa delle nostre splendide tradizioni a cominciare dalla riscoperta dei valori cristiani della famiglia tradizionale, del Natale (iniziando da quello alle porte) festa bellissima ma ormai umiliata, rarefatta strategicamente dall’attuale Pontefice e derisa dagli adepti di ideologie massonico-anticlericali come il gender e il suicidio assistito (confuso a dovere con l’eutanasia, vedasi “Suicidio assistito, l’ennesimo abuso della lobby massonica”).Se davvero un simile nuovo soggetto politico si affaccerà nel panorama democratico, esso innanzitutto dovrà manifestare concreta vicinanza ai pilastri dello Stato come le forze di sicurezza, carabinieri e polizia, come le università e i suoi giovani, come i sindacati. Meritocrazia, competenza, capacità, scuola, ricerca, innovazione tecnologica e ambientale, giustizia sociale (salario orario minimo garantito), efficienza della pubblica amministrazione, sicurezza (idrogeologica e cittadina), lotta alle grandi evasioni ed elusioni dovranno fare il resto. Come target economico di questo movimento dovranno esservi la valorizzazione dell’economia reale regolamentando la finanza selvaggia ed estremista, la fine della austerity, l’abolizione del Fiscal Compact e del pareggio di bilancio, l’attuazione di politiche davvero espansive, la piena occupazione anche “di cittadinanza attiva” e il riaffermare del principio che vede la Costituzione sopra ogni trattato internazionale. Nessun attuale eletto nelle fila degli attuali partiti-movimenti potrà candidarsi per almeno 5 anni.A livello strettamente geopolitico il nuovo movimento dovrà porsi come obiettivo l’Italia, sostenuta nelle sue peculiarità: se il nostro Stato continuerà ad appiattirsi sulla Ue come fosse una realtà continentale (lo sono Francia e Germania), finirà per condannarsi alla desertificazione socioeconomica e ad essere ininfluente. L’Italia perciò dovrà guardare fortemente verso Mosca, verso il Mediterraneo e verso le correnti di Trump e Johnson nel mondo anglosassone senza comunque chiudere alla Via della Seta; con i vicini centroeuropei la scelta più sensata sarà edificare rapporti simili a quelli presenti in passato in ambito Cee (un po’ come fanno gli inglesi specularmente col Brexit), concordando inoltre l’uscita dalla moneta unica. Sui temi migratori l’Italia dovrà tornare a chiudere i porti alle Ong (fermo restando l’aiuto verso i veri profughi) ma allo stesso tempo dovrà stabilire quote annuali di stranieri da integrare lavorativamente (esiste anche una fisiologica richiesta di manodopera estera) ma anche da formare culturalmente, spiegando loro cosa è stato fatto loro dal neocolonialismo, in primis francese, con particolare riguardo alla tematica del franco Cfa.La linea scelta da Grillo negli ultimi tempi invece è quella del kamikaze, perché al sistema mafioso internazionale poco importa se il M5S scompare: ciò che importa ad esso è il piazzare Mario Draghi (ne sia consapevole o meno) alla presidenza della Repubblica a costo di sacrificare vecchi e nuovi servi. Se notate ogni mossa dei media, del Pd, delle più alte cariche della Repubblica e via discorrendo, fino all’ultimo mandarino di sistema di provincia, è sotto sotto quello di difendere una moneta privata e straniera che paghiamo a caro prezzo: l’euro. Per il bene dell’Italia, il M5S deve scomparire perché qualsiasi cosa venisse riproposta da Di Maio e soci sarebbe una minestra riscaldata, la fase dell’innamoramento (cit. Alberoni) è terminata, e pure quella dell’amore visto che siamo addirittura alla sopportazione e alla commiserazione (Di Maio). E’ un vero peccato, non perché ne sia l’autore, che questo pezzo passi inosservato e poco condiviso sui social (mi auguro l’opposto) perché il sogno di tanti 5S è stato distrutto da qualcuno che a mio avviso passerà alla storia come un giullare traditore, mentre le energie contenute in questo sogno potrebbero ancora emancipare l’Italia e portarla fuori dal soffocamento organizzato da Parigi e Berlino, permesso sin dai decenni precedenti da una classe politica di complici e incapaci.(Marco Giannini, “Grillo passerà alla storia come un giullare traditore se non chiuderà la baracca pentastellata”. Fino al 2016, con la svolta “eurista” dei 5 Stelle al Parlamento Europeo, Giannini aveva sostenuto il M5S. Antropologo, è autore del saggio “Il neoliberismo che sterminò la mia generazione”, edito da Andromeda).Quelli che sin dagli esordi avrebbero voluto che non esistesse e quelli come me, furibondi con il Movimento da almeno tre anni, commenteranno: “Cosa parli ancora del M5S, che è bene che sparisca dalla faccia della Terra!?” (aggiungendo magari qualche comprensibile insulto a Grillo e al sottoscritto, in quanto editorialista costantemente controvento). Secondo la mia interpretazione, costoro hanno ragione al 90% perché, in realtà, finché è stato in vita Gianroberto Casaleggio questa forza politica era davvero qualcosa di straordinario e solo chi ha militato può saperlo: l’essere antisistema (aristocrazie finanziarie parassitarie), la partecipazione dal basso, le leggi create sulla piattaforma, eccetera. Il successo del 2018 preparato dai media (ricordate gli applausi a Di Maio a La7?) e da loro incensato fu un detonatore sotto le terga dei pentastellati: promuovevano il 5S se si prostrava agli “europeones”, al pensiero dominante franco-germanocentrico razzista contro gli italiani, ma in itinere creavano le basi per distruggerlo avvicinando esponenti grillini di spicco nelle istituzioni, per “blandirli” e infine utilizzarli per creare divisioni ovviamente mal tollerate dai cittadini, soprattutto quando riguardavano temi caldi come l’immigrazione.
-
Germania, cresce ancora il divario tra poveri e super-ricchi
Diseguaglianze dei redditi: il divario tra ricchi e poveri ha toccato un nuovo massimo storico in Germania. «Dieci anni di crescita, un boom economico e l’aumento dei salari non sono riusciti ad arrestare la tendenza di una crescente disparità di reddito», scrive Isabella Bufacchi sul “Sole 24 Ore”. Secondo la Fondazione Hans-Böckler, vicina al mondo dei sindacati, la disparità di reddito disponibile ha continuato ad allargarsi tra il 2005 e il 2016: alla fine del 2016, il coefficiente di Gini, il noto metro per misurare la disuguaglianza, era superiore del 2% rispetto al 2005. «Le famiglie povere sono sempre più al di sotto della soglia di povertà», avverte il rapporto dell’istituto di ricerca Wsi. Due i fattori chiave: chi ha redditi elevati ha tratto maggiore beneficio dai profitti aziendali e dai rialzi delle azioni in Borsa, mentre la stragrande maggioranza delle famiglie è rimasta indietro. Pur in una situazione di apparente benessere diffuso – disoccupazione ai minimi storici e crescita economica dal 2010 – il reddito disponibile è salito per il ceto medio ma non per i più poveri, con grandi disparità di trattamento tra chi percepisce regolarmente lo stipendio e chi no.Secondo Dorothee Spannagel, tra gli autori del rapporto Wsi, il settore delle retribuzioni molto basse continua ad essere molto ampio, mentre i super-ricchi (multimilionari e miliardari) hanno tratto più beneficio dal boom della Borsa, dall’impennata dei prezzi nel mercato immobiliare, dagli alti profitti aziendali. Riflessi negativi: «La disuguaglianza riduce la partecipazione sociale e politica e compromette il funzionamento dell’economia sociale di mercato». La crescita economica degli ultimi anni non è dunque servita a ridurre la disparità tra ricchi e poveri: uno sviluppo macroeconomico positivo non è sufficiente per ridurre le disuguaglianze e la povertà. La stampa tedesca – ricorda sempre il “Sole 24 Ore” – cita anche un recente studio dell’istituto di ricerca Diw, secondo il quale la ricchezza in Germania è distribuita in modo molto disomogeneo: l’1% dei tedeschi più ricchi ha quasi un quinto del patrimonio netto nazionale, il 10% ha il 56 per cento. Il 50% della popolazione è il ceto più povero, circa 40 milioni di persone. Soluzioni? Dorothee Spannagel indica «una tassazione più alta per la popolazione con i redditi più elevati e un aumento dei salari minimi».La ricerca, aggiunge Bufacchi sul “Sole”, tiene conto del coefficiente di Gini, l’indicatore più comune della distribuzione del reddito con valori compresi tra zero (tutte le famiglie hanno lo stesso reddito) e uno (una singola famiglia ha l’intero reddito nel paese). Alla fine del 2016, il coefficiente Gini del reddito familiare disponibile in Germania era di 0,295 con un aumento del 19% della disuguaglianza rispetto alla fine degli anni ‘90, quando il Gini era poco meno di 0,25 e comunque in aumento rispetto allo 0,289 del 2005. «La disuguaglianza in Germania è aumentata molto rapidamente alla fine degli anni ‘90 e nella prima metà degli anni 2000». Svariati analisi ricordano che Berlino ha a lungo evitato di investire per ammodernare le infrastrutture. E la Germania, con la riforma Hartz, è stato il primo paese industriale europeo a esasperare la “flessibilità” sul lavoro, convincendo gli operai ad accettare salari modesti. Già dirigente della Volkswagen (accusato di avver corrotto i sindacati per danneggiare i lavoaratori), Peter Hartz è stato poi preso a modello dal cancelliere socialdemocratico Gerhard Schroeder. Se in Germania sono legali i mini-job da 400 euro al mese, il tallone d’Achille di Berlino è l’export: un’economia interamente vocata alle esportazioni, anche demolendo in modo sleale la concorrenza dell’Italia (sabotata da Bruxelles) alla fine rende più fragile il sistema industriale tedesco.Diseguaglianze dei redditi: il divario tra ricchi e poveri ha toccato un nuovo massimo storico in Germania. «Dieci anni di crescita, un boom economico e l’aumento dei salari non sono riusciti ad arrestare la tendenza di una crescente disparità di reddito», scrive Isabella Bufacchi sul “Sole 24 Ore”. Secondo la Fondazione Hans-Böckler, vicina al mondo dei sindacati, la disparità di reddito disponibile ha continuato ad allargarsi tra il 2005 e il 2016: alla fine del 2016, il coefficiente di Gini, il noto metro per misurare la disuguaglianza, era superiore del 2% rispetto al 2005. «Le famiglie povere sono sempre più al di sotto della soglia di povertà», avverte il rapporto dell’istituto di ricerca Wsi. Due i fattori chiave: chi ha redditi elevati ha tratto maggiore beneficio dai profitti aziendali e dai rialzi delle azioni in Borsa, mentre la stragrande maggioranza delle famiglie è rimasta indietro. Pur in una situazione di apparente benessere diffuso – disoccupazione ai minimi storici e crescita economica dal 2010 – il reddito disponibile è salito per il ceto medio ma non per i più poveri, con grandi disparità di trattamento tra chi percepisce regolarmente lo stipendio e chi no.
-
Le fiabe di Don Marco (Travaglio) per incantare Rousseau
Si prova quasi tenerezza di fronte all’ingenuità delle frottole sciorinate da Marco Travaglio nel tentativo di orientare il voto della cosiddetta “base grillina” sulla fantomatica piattaforma Rousseau. Un tempo icona del giornalismo “con la schiena diritta”, celebrato nel santuario televisivo del collega Michele Santoro, il giustizialista Travaglio rimediò una tiepida figura nel 2013, quando l’Orribile Cavaliere – spintosi nella tana dei leoni – se la cavò benissimo di fronte alle domanducce dell’inquistore del “Fatto”. Ora, seppellito nonno Silvio, Travaglio ha semplicemente sostituito il Nemico. Il nuovo Uomo Nero, va da sé, si chiama Matteo Salvini. Pregustando il delitto eccellente, Travaglio riesce a digerire di tutto: dall’indecente grillismo “di lotta e di governo”, che ha fatto ridere l’Italia, all’eroico Renzi, riabilitato a tempo di record come geniale stratega. «Non avendo mai avuto tessere – pigola Travaglio, lindo come un giglio – non ho il problema del voto su Rousseau. Ma – aggiunge – se fossi iscritto, non avrei dubbi sul Sì al Conte-2». Nobile, il Cavaliere della Giustizia: il giornalista più sfacciatamente politico d’Italia non si sporca con la politica, ci mancherebbe; ma in questo caso si può ben fare un’eccezione. Ed ecco allora, sul “Fatto”, i dieci motivi per votare Sì al “governo dei prestanome”.Primo: i 5 Stelle (anche se non lo sanno) nacquero come «coscienza critica del centrosinistra». Nel 2007, scrive Travaglio, Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio «sfidarono il Pd a opporsi davvero al berlusco-leghismo e a cambiare registro, cancellando le leggi-vergogna e sposando legalità e ambiente». Le loro proposte le portarono a Prodi, non a Berlusoni e Bossi. «E Grillo si iscrisse al Pd per candidarsi alle primarie, non a FI o alla Lega». Vero: quello che gli interessava, infatti, era sfasciare subito il neonato partito di Veltroni, Fassino e D’Alema, che infatti lo mandarono a stendere. «Ora, 12 anni dopo, il Pd cambia idea e tende la mano. Grillo l’ha subito afferrata. Perché i 5 Stelle dovrebbero respingerla?». E certo, sarebbe un peccato. L’oligarca Grillo, peraltro, non ha solo “teso la mano” al nemico storico: ha anche gambizzato Di Maio e imposto il suo potere monarchico ai sudditi, i parlamentari terrorizzati dalle elezioni anticipate. Ma queste sono quisquilie, per Marco Travaglio, che preferisce sfoderare il violino per dedicare una bella serenata ai votanti di Rousseau. «Il programma del Conte-2 include le bandiere storiche M5S», che diamine. Infatti: «Alt a nuovi inceneritori e trivelle, revisione delle concessioni autostradali, infrastrutture eco-compatibili, investimenti in green economy, riforma Bonafede della giustizia, pene più alte agli evasori, salario minimo, taglia-parlamentari. Bandiere stracciate da Salvini e accettate dal Pd. Perché dire No a se stessi e alla propria storia?».Qui Travaglio tocca il culmine della comicità involontaria. Si è già dimenticato delle altre “bandiere storiche” dell’armata grillina? Trivelle e Tap, Ilva e Tav, vaccini, Muos, F-35. Tutte “stracciate da Salvini”? Ridicolo. Ma il travaglismo “prestato alla politica” non si ferma qui: «Conte può restare premier solo con il governo M5S-centrosinistra. E merita di restarci». Ma certo: altrimenti come farebbero a brindare, gli amiconi dell’Italia? Sono già pronti col calice in mano: Macron e Merkel, il maxi-criminale Juncker (recordman dell’elusione fiscale in Lussemburgo ai danni del Belpaese), e perfino quel simpaticone di Günther Oettinger, quello che “saranno i mercati a insegnare agli italiani come votare”. Vogliamo deluderli, tutti questi Conte-Boys? Ma non si esaurisce qui, la predica di Don Marco: «Salvini e B. vedono il governo giallo-rosa come il fumo negli occhi: due ottime ragioni per farglielo trovare subito». Buona, questa: lo sanno anche i sassi, che Salvini si sta fregando le mani all’idea che Renzi & Grillo estinguano il Pd e i 5 Stelle, riversando altri milioni di voti sulla Lega grazie al governo patibolare del professor-avvocato di Volturara Apula, il compare dell’euro-brigata coalizzata contro gli italiani.Poi, Travaglio scende senza paura nell’officina inguardabile delle trattative: «Zinga non voleva Conte premier né Di Maio ministro e chiedeva un solo vicepremier Pd, poi ha ceduto su tutti e tre i punti». Vero, ma in cambio di cosa? Quale meravigliosa sorpresa è stata riservata all’ex elettore italiano? Ma attenzione: «Di Maio ha rinunciato a Palazzo Chigi, ricompattando un movimento in rotta e a rischio di estinzione. E recuperando Grillo in prima linea». Bum! Di Maio – preso a calci da Grillo, a reti unificate – avrebbe “ricompattato” i parlamentari? E il valletto avrebbe addirittira “recuperato” l’imperatore, spingendolo – lui, Giggino – a muovere il fondoschiena, ai suoi ordini, per schierarsi in prima linea? Siamo ormai nel regno del surreale. «Se vincesse il No – piange Travaglio – i gruppi parlamentari si spaccherebbero», finalmente. «Conte andrebbe a casa», ma magari!, «e Salvini avrebbe ciò che vuole». E cioè: «Voto, vittoria e “pieni poteri”». Brr, che paura. Si sono visti, i pieni poteri di Salvini: sberle rimediate sul deficit, gogna mediatica, ostracismo squadristico. Salvini ha dovuto assistere alla lapidazione di Armando Siri, l’inventore della Flat Tax, per un semplice avviso di garanzia. E’ stato inoltre accusato di sequestro di persona (in italiano: privare qualcuno della libertà di andare dove vuole) per aver impedito a stranieri di sbarcare in Sicilia (non di dirigersi altrove). Toglie il sonno, in effetti, l’idea che un simile mostro possa tornare in auge.«Le due alternative al governo Conte-2 sono peggiori», svela l’illuminato maestro Travaglio: «Elezioni, cioè governo Salvini-Meloni-B., che cancellerebbe Reddito, dl Dignità, Anticorruzione, blocca-prescrizione e reato di abuso d’ufficio e ripartirebbe con inceneritori e trivelle; nuovo Salvimaio, che coprirebbe i 5 Stelle di ridicolo e servirebbe a Salvini per tradirli di nuovo e/o per finire di mangiarseli». Finge di non vedere, Travaglio – reticente coi grillini e con i suoi lettori – che Salvini sta facendo di tutto per evitarlo, il “governo Salvini-Meloni-B”. Quanto al tesoro nazionale che l’ipotetico esecutivo “neofascista, razzista e xenofobo” comprometterebbe, c’è da mettersi le mani nei capelli: il reddito di cittadinanza – unica misura percepibile, del grillismo di governo – è una bazzecola, a fronte del super-tradimento dei 5 Stelle, al seguito dei domatori Grillo e Conte, in favore del feroce rigore eurocratico di Ursula von der Leyen. Una coltellata all’alleato Salvini, concepita per costingere il leghista a staccare la spina e chiudere la breve e ambigua stagione di semi-libertà che gli italiani si erano conquistati con il voto del 2018. Il Belpaese deve tornare una semplice espressione geografica, una colonia periferica e depredabile dal Sacro Romano Impero, tra gli applausi del post-giornalismo nazionale.Il seguito del sermone di Travaglio è un piccolo capolavoro letterario che oscilla tra il cabaret e la metafisica. «L’unica opzione migliore, per un iscritto, è un monocolore M5S. Mission impossible: dovrebbe superare il 40%. Questo Parlamento è grillino al 33%: il prossimo mi sa di no». Così scrive – senza ridere – il direttore del “Fatto Quotidiano”. «Un Pd così sbiadito e diviso, senza leader né slogan forti – aggiunge – è un alleato meno insidioso e concorrenziale del monolite Salvini». E avanti di questo passo: «Le coalizioni tra diversi sono sempre rischiose. Ma forse, dopo la cura Salvini, il M5S ha comprato mutande di ghisa per non farsi fregare». Prego? Chi ha votato a tradimento per Macron e Merkel in Europa, la Lega o i 5 Stelle? La decima e ultima tappa dell’orazione travagliesca suona persino puerile: «Fino a un mese fa Salvini era sempre tra i piedi e in prima pagina. Ora sfugge ai radar. Chi lo rivuole in copertina?». Nel 2011, un giornalista di ben altra caratura – Paolo Barnard – accusò Travaglio di depistare i lettori su falsi bersagli, proprio come i 5 Stelle hanno fatto con gli elettori. Valgono una crociata i decretucci come lo “spazzacorrotti” o il demenziale taglio dei parlamentari, mentre i veri lestofanti – Juncker e i compari di Ursula – si allontanano indisturbati col bottino, centinaia di miliardi di euro. I tempi cambiano, comunque: da quando è diventato l’organo di stampa del grillismo governativo, il “Fatto Quotidiano” vende meno di 30.000 copie al giorno. Ne ha perse diecimila solo nell’ultimo anno.Si prova quasi tenerezza di fronte all’ingenuità delle frottole sciorinate da Marco Travaglio nel tentativo di orientare il voto della cosiddetta “base grillina” sulla fantomatica piattaforma Rousseau. Un tempo icona del giornalismo “con la schiena diritta”, celebrato nel santuario televisivo del collega Michele Santoro, il giustizialista Travaglio rimediò una tiepida figura nel 2013, quando l’Orribile Cavaliere – spintosi nella tana dei leoni – se la cavò benissimo di fronte alle domanducce dell’inquistore del “Fatto”. Ora, seppellito nonno Silvio, Travaglio ha semplicemente sostituito il Nemico. Il nuovo Uomo Nero, va da sé, si chiama Matteo Salvini. Pregustando il delitto eccellente, Travaglio riesce a digerire di tutto: dall’indecente grillismo “di lotta e di governo”, che ha fatto ridere l’Italia, all’eroico Renzi, riabilitato a tempo di record come geniale stratega. «Non avendo mai avuto tessere – pigola Travaglio, lindo come un giglio – non ho il problema del voto su Rousseau. Ma – aggiunge – se fossi iscritto, non avrei dubbi sul Sì al Conte-2». Nobile, il Cavaliere della Giustizia: il giornalista più sfacciatamente politico d’Italia non si sporca con la politica, ci mancherebbe; ma in questo caso si può ben fare un’eccezione. Ed ecco allora, sul “Fatto”, i dieci motivi per votare Sì al “governo dei prestanome”.
-
Renzi-2, il ritorno: Italia ko, oscurati Zingaretti e i 5 Stelle
Tutto sembra ormai predisposto per il lancio del nuovo governo M5S-Pd-Leu e gruppi misti di varia natura. Un governo di legislatura, con 5 “pilastri” che non sono quelli della fede islamica ma quelli annunciati da Zingaretti perché il partito democratico torni ad occuparsi della cosa pubblica, salvando al tempo stesso il lauto stipendio di tanti parlamentari. Si sostanziano delle solite dichiarazioni di principio e hanno per tema, rispettivamente: la ricollocazione piena e senza riserve dell’Italia in Europa (leggi: ritorno servile sotto Eurogermania), il pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa (leggi: nessuna concessione a istanze di democrazia diretta, care ai pentastellati), lo sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale (leggi: niente che significhi qualcosa di serio), la discontinuità nella politica sull’immigrazione (leggi: tutti potranno tornare a sbarcare sui lidi del Belpaese), le ricette economico-sociali per ridistribuire la ricchezza e avviare gli investimenti produttivi (leggi: la solita patrimoniale sugli immobili e un programma generico che presuppone tempi diversi e/o provvedimenti forse in contraddizione tra di loro, come potrebbero esserlo il salario minimo e la contemporanea crescita produttiva delle imprese).Indisponibile, invece, il segretario del Pd ad un governo istituzionale o comunque di breve durata come suggeriva Renzi. E del resto, Zingaretti avrebbe preferito andare direttamente al voto per una serie di motivi abbastanza comprensibili: disfarsi della massiccia rappresentanza parlamentare controllata da Renzi e recuperare una buona parte dei voti perduti nelle precedenti elezioni a vantaggio dei Cinquestelle. Bisogna tuttavia tener conto non solo di Renzi, ma di Franceschini, Delrio, Gentiloni, Orlando etc… e anche, naturalmente, di Mattarella; e allora, nella ritrovata, apparente unità del partito, il segretario del Pd si limita a porre qualche condizione al governo con i pentastellati: che sia di legislatura e che si basi sui 5 pilastri, che prefiguri una lunga e fruttuosa intesa politica tra le due forze (leggi: accordi elettorali nelle elezioni amministrative), che infine rappresenti una discontinuità con il precedente governo, nel nome del presidente del Consiglio, dei ministri più rappresentativi e soprattutto nella cancellazione di alcuni provvedimenti (leggi: quelli sulla sicurezza e non solo).Ai 5 punti “irrinunciabili” di Zingaretti, Di Maio ne affianca 10, il primo dei quali è la riduzione del numero dei parlamentari e su queste basi si vedranno oggi pomeriggio le delegazioni di Pd e M5S. Con quante possibilità di condividere i 15 punti e/o di trovare una sintesi comune? Molte, al di là delle dichiarazioni di principio poco conciliabili ma che sembrano formulate unicamente per incantare i rispettivi elettorati. Lo scoglio più difficile da superare sembra proprio quello sulla riduzione dei parlamentari, ma il paradosso è che proprio su questo punto potrebbero essere gettate le basi per un’intesa politica di lunga durata: riduzione dei parlamentari (non 345 ma in numero minore) nel contesto di una nuova legge elettorale anti-Lega, secondo una prassi già sperimentata con il Rosatellum, concepito per far vincere il Pd con l’aiuto di Forza Italia contro il cosiddetto populismo e che invece ha avuto l’effetto di rendere possibile la maggioranza gialloverde.Sia come sia, il governo M5S-Pd-Leu che, a meno di clamorose quanto impensabili sorprese, nascerà la prossima settimana, non può essere definito un “inciucio”, perché è sostenuto da una maggioranza parlamentare altrettanto legittima di quella che ha governato il paese negli ultimi 14 mesi. Il problema semmai è un altro e riguarda la concezione della democrazia: sostenere come ha fatto Renzi nel suo discorso in Senato (altri lo hanno imitato magari fuori del Parlamento) che andare a votare significherebbe far vincere la Lega di Salvini, denuncia un atteggiamento elitario e oligarchico che nulla ha a che vedere con i principi della democrazia, rappresentativa o diretta che sia. L’intesa Pd-M5S ha molte implicazioni. Renzi controllerà di fatto il nuovo esecutivo pur non facendone parte e Zingaretti più che segretario del suo partito ne sarà il notaio, dal momento che per tenere tutti uniti sceglie l’uovo oggi piuttosto che la gallina domani.I Cinquestelle non sono da meno: evitano il dimezzamento della rappresentanza parlamentare e salvano lo stipendio per tutti gli oltre 300 tra deputati e senatori, ma nel loro orizzonte s’intravede già il grigiore dell’insignificanza che li destina ad essere una ruota di scorta del sistema. La Lega, dal canto suo, paga il momentaneo scotto di una mossa in apparenza inopportuna, incomprensibile anche per molti dei suoi, ma è forse l’unica forza a mantenere intatta la prospettiva di un cambiamento nel panorama asfittico e opportunistico della politica italiana. Cosa ha portato Salvini a fare la scelta che ha fatto? Lo si è capito in Senato, nonostante il poco lucido discorso, quando invece di ribattere punto su punto le accuse di un neodemocristiano, dalla cronaca reso eroe per un giorno – lui che i media hanno sempre irriso come un burattino nelle mani dei due vicepresidenti – il leader della Lega si è limitato a poche parole significative per spiegare il suo gesto.Frasi purtroppo non comprensibili a tutti o addirittura da iniziati, per di più inframmezzate dalla solita inguardabile ostentazione del rosario: che senso ha rimanere in un governo accanto a un movimento che ha bocciato le autonomie, che alla proposta di riforma fiscale basata su tre aliquote progressive di riduzione delle tasse (dunque neanche la Flat Tax) si sente opporre – come ingenuamente ha riferito lo stesso Nicola Morra ai giornalisti qualche ora più tardi – che non ci sono le coperture finanziarie, che si schiera ipocritamente per il NoTav, quando è lo stesso presidente del Consiglio ad approvarla, che in luogo degli investimenti produttivi propone in modo demagogico il salario minimo a imprese già sull’orlo del fallimento? Con quale faccia la Lega si sarebbe rivolta ai suoi dopo la finanziaria? Meglio perdere qualcosa oggi che perdere tutto domani! Questo il messaggio in codice di Salvini. C’erano altre strade? Può darsi. Servirsi della clausola contenuta nel contratto di governo per dirimere le contese? Presentare comunque la cosiddetta Flat Tax in Parlamento, mediare sulla legge per le autonomie, spiegare che il salario minimo viene dopo la ripresa delle aziende in crisi? Forse sì e forse no.(Sergio Magaldi, “Pd, l’uovo oggi o la gallina domani?”, da “Lo Zibaldone di Sergio Magaldi” del 23 agosto 2019).Tutto sembra ormai predisposto per il lancio del nuovo governo M5S-Pd-Leu e gruppi misti di varia natura. Un governo di legislatura, con 5 “pilastri” che non sono quelli della fede islamica ma quelli annunciati da Zingaretti perché il partito democratico torni ad occuparsi della cosa pubblica, salvando al tempo stesso il lauto stipendio di tanti parlamentari. Si sostanziano delle solite dichiarazioni di principio e hanno per tema, rispettivamente: la ricollocazione piena e senza riserve dell’Italia in Europa (leggi: ritorno servile sotto Eurogermania), il pieno riconoscimento della democrazia rappresentativa (leggi: nessuna concessione a istanze di democrazia diretta, care ai pentastellati), lo sviluppo basato sulla sostenibilità ambientale (leggi: niente che significhi qualcosa di serio), la discontinuità nella politica sull’immigrazione (leggi: tutti potranno tornare a sbarcare sui lidi del Belpaese), le ricette economico-sociali per ridistribuire la ricchezza e avviare gli investimenti produttivi (leggi: la solita patrimoniale sugli immobili e un programma generico che presuppone tempi diversi e/o provvedimenti forse in contraddizione tra di loro, come potrebbero esserlo il salario minimo e la contemporanea crescita produttiva delle imprese).
-
Colonia Italia, l’agenda neoliberista del servizievole Di Maio
Siamo alle solite, nel vecchio usurato copione. In Italia, dal dopoguerra in poi, o c’è un governo gradito ai mondialisti e agli americani, vedi Dc e poi governi tecnici Pd, oppure c’è un governo voluto dal popolo che puntualmente viene annerito, definito “fascista”, “razzista”, con tanto di diabolizzazione del capo, vedi caso Craxi, poi Berlusconi, poi adesso Salvini. Questo copione viene snocciolato agli italiani nel frame emotivo della tifoseria da stadio dove due squadre devono assolutamente contrastarsi anche qualora avessero trovato, per miracolo, una sinergia, e agendo sulle leve della manipolazione di massa a cui si prestano i media appartenenti ai grandi gruppi, Rai compresa, che sottostà ai diktat dei gruppi di pubblicità. Ed è così che le due squadre di governo dovevano sin da prima della loro nascita mai unirsi in quei punti sovranisti, tanti, che condividevano nei programmi elettorali, insieme al programma della Meloni che, primo errore, è stata scartata sin da subito da Luigi Di Maio al momento di formare il governo.Pertanto la Meloni per tutta la durata di questo governo ha giocato al gioco di gettare olio sul fuoco della zizzania del divide et impera voluto dalla finanza internazionale, allo scopo di riformare un centrodestra – voluto da Trump e Bannon – tanto poco sovranista quanto di stampo liberista, pro-privatizzazioni, per le autonomie e le riforme costituzionali, tra cui il presidenzialismo, riforme del tutto non necessarie per il popolo italiano ma che vanno, assieme al taglio dei deputati fortemente voluto da M5S e FdI, nel senso di castrare e silenziare il Parlamento con un governo ancora più forte e per di più espresso – nel caso del presidenzialismo alla francese – da un uomo forte al comando. Ricordiamo che i punti in comune per cui alcuni sovranisti hanno voluto e votato questo governo erano, sia il reddito di cittadinanza che la Flat Tax, sia misure anticicliche keynesiane che la separazione tra banche commerciali e banche d’affari, sia la nazionalizzazione di Bankitalia che una banca pubblica per gli investimenti, sia strumenti monetari aggiuntivi, come i minibot, che la sospensione dei limiti ai contanti e nessun aumento dell’Iva, il superamento della legge Fornero e la rimessa in discussione del Fiscal Compact.Questi erano i punti in comune tra i tre partiti, che però hanno poi finito per dare la priorità a tutti gli altri punti, populisti e poco sovranisti, come le autonomie, il taglio dei deputati, oltre a una misura raffazzonata del reddito di cittadinanza, perché dalla copertura troppo corta, un non superamento della legge Fornero che ha partorito un topolino, quota cento, e per finire il regalo alla Francia: la Tav. Sin dall’inizio, dicevo, comunque il governo è nato male: con il siluramento di Savona all’economia, e l’infiltrazione nel governo di ministri come Tria, in economia, che proprio non ne ha voluto più sapere di minibot, di superamento del deficit e di Flat Tax, oltre a personaggi non politici, come Moavero agli esteri e la Trenta alla difesa che hanno spudoratamente remato contro Salvini, denunciandolo persino negli ambienti comunitari (Moavero alla Commissione) per il decreto sicurezza-bis fatto e votato giustamente per fermare le Ong con il toto-clandestini all’Italia e quell’enorme inganno chiamato “immigrazione” di (finti) “profughi”.Quindi dal punto di vista programmatico viene fuori che a partire dallo strappo sulla von der Leyen (di cui non si è capito il non detto do ut des, ma che possiamo facilmente immaginare nello scambio di favori al M5S di cariche di commissari e di altro tipo, ancora da scoprire entro ottobre quando si voteranno i commissari europei), la Lega si è vista pesantemente penalizzata a livello europeo nonostante la vittoria schiacciante elettorale – con un piddino italiano alla presidenza del Parlamento Europeo – e tanto di stigmatizzazione generale del personaggio Salvini, con la tecnica, già usata per Berlusconi e Craxi, di “character assassination”. Tecnica utilizzata per tutti quei personaggi fuori dalle righe, nel mondo, che non si adeguano al linguaggio del perbenismo ipocrita e mondialista, onde creare le condizioni presso l’opinione pubblica di un loro siluramento o assassinio quanto meno traumatizzante ed eclatante: Saddam Hussein, Gheddafi, Laurent Gbagbo, oppure Orban, Chavez, Putin, Al Assad, Fidel Castro, il presidente nord coreano, eccetera; la lista è lunghissima e la tecnica è sempre la stessa. Dopo la “character assassination” si passa ai fatti con infiltrazioni e maneggi interni i quali, se non bastano, lasciano posto all’embargo economico, di qualsiasi tipo esso sia. In Europa, essendo impossibile per via dell’unione doganale, interviene lo spread.Perché stigmatizzare Salvini? Perché Salvini negli ultimi interventi si è pronunciato contro alcune misure che l’Ue vuole assolutamente imporci, ad esempio: l’eliminazione totale e illegale dei contanti; il rafforzamento della fattura elettronica e agenda digitale indiscriminata; le privatizzazioni demaniali di cui ha parlato Conte nel suo intervento; l’obbedienza ai criteri di deficit imposti dal Fiscal Compact, del tutto ingiustificati poiché paesi come Francia, Spagna e Portogallo, ma anche Belgio continuano allegramente a sforare il 3% o ci si avvicinano. Inoltre traspare ben chiara la volontà di Salvini, dagli ultimi interventi, di alleggerire assolutamente l’onere fiscale degli italiani con la Flat Tax e di chiudere i porti, due misure imprescindibili per la ripresa del paese o per lo meno per non farlo affossare del tutto, e verso le quali il 5S è risultato più prudente. Al punto che nei 10 punti programmatici per un eventuale rimpasto di governo, Di Maio uscendo dal Colle ha completamente omesso sia la Flat Tax, sia una soluzione “porti chiusi” – senza citare il decreto sicurezza bis, votato dal suo gruppo che non poteva immediatamente rimettere in discussione – parlando in cambio di soluzioni assieme alle politiche dell’Unione Europea e la modifica del regolamento di Dublino.Ma come, non lo sanno che vi è un tacito consenso europeo e internazionale per portarli tutti da noi (e in Grecia), cioè nei due paesi presi di mira da chi ci ha denominati Piigs, ossia i mercati, come strumento per destabilizzarci e farci fallire più facilmente? Una lista di dieci punti, quella di Di Maio, che mescola appunto misure volute dall’establishment finanziario – riduzione dei parlamentari, Green Deal, conflitto di interessi Rai (quale?) per un modello Bbc, velocizzare la giustizia per pignoramenti più rapidi, autonomie e riforme enti locali – con timidissime misure sovraniste, come il salario minimo orario (più che giusto, ma senza strumenti monetari aggiuntivi e senza alleggerimento fiscale non farà che penalizzare ulteriormente micro e mini imprese) – sostegno nascite, disabilità e aiuto casa (più che giusto, ma senza dire “no alla patrimoniale” sono solo parole) – rintracciabilità dei grandi evasori (bisogna capire chi intenda per grandi evasori, la mafia nostrana che opera in contanti, scusa suprema per digitalizzarci tutti, o le grandi multinazionali i cui flussi infrasocietari devono essere resi pubblici alle nostre autorità fiscali, per cui basterebbe la volontà politica compatta?).Per ultimo, banca pubblica per gli investimenti per il Sud e separazione tra banche d’affari e banche commerciali: come vedete, questi due punti, che sono l’abc di una politica anticiclica, o keynesiana che dir si voglia, vengono in fondo alla lista; e poi, visto che 10 punti sono tanti, per un governo provvisorio, non verranno mai attuati. La tattica è sempre la stessa. Chi di noi aveva visto che nel contratto la priorità era il taglio dei deputati? Non certo i sovranisti che studiano la moneta, o chi studia gli abusi delle banche; eppure improvvisamente questo punto è andato all’ordine del giorno, perché all’agenda globalista che si intromette continuamente nei nostri affari premono più di tutto, oltre alle misure di austerità, le riforme della nostra Costituzione e dell’assetto dello Stato per andare verso un assetto costituzionale di regioni forti onde minare lo Stato centrale insieme a governi forti – presidenzialismo – e sempre meno importanza del Parlamento, già esautorato da anni, relegato al ruolo del passa carte dei decreti di governo.Il solito copione, fino a quando non metteremo la moneta al centro di un nuovo contratto sociale, sia nazionale che internazionale, non cambierà mai; ma anzi abbiamo visto che questi, alla minima burrasca dei media e dei mercati hanno smesso persino di citare la parola minibot, che – ricordiamo – era una proposta del senatore della Lega Claudio Borghi. In poche parole, il “sospettato” antieuropeismo mai sopito della Lega, oramai fugato dal M5S con molteplici dichiarazioni nel senso dell’euroadesione, oltre alla determinazione di contrastare il limite al contante, e di perseverare con la Flat Tax, il deficit al 3% e i porti chiusi hanno fatto il resto, essendo le misure più impopolari per i mercati e l’Europa loro lacché. As usual. Colonia rimane chi si comporta come tale. E noi lo rimaniamo.(Nicoletta Forcheri, “Colonia Italia, solito copione”, da “Scenari Economici” del 23 agosto 2019).Siamo alle solite, nel vecchio usurato copione. In Italia, dal dopoguerra in poi, o c’è un governo gradito ai mondialisti e agli americani, vedi Dc e poi governi tecnici Pd, oppure c’è un governo voluto dal popolo che puntualmente viene annerito, definito “fascista”, “razzista”, con tanto di diabolizzazione del capo, vedi caso Craxi, poi Berlusconi, poi adesso Salvini. Questo copione viene snocciolato agli italiani nel frame emotivo della tifoseria da stadio dove due squadre devono assolutamente contrastarsi anche qualora avessero trovato, per miracolo, una sinergia, e agendo sulle leve della manipolazione di massa a cui si prestano i media appartenenti ai grandi gruppi, Rai compresa, che sottostà ai diktat dei gruppi di pubblicità. Ed è così che le due squadre di governo dovevano sin da prima della loro nascita mai unirsi in quei punti sovranisti, tanti, che condividevano nei programmi elettorali, insieme al programma della Meloni che, primo errore, è stata scartata sin da subito da Luigi Di Maio al momento di formare il governo.
-
Il finto sovranismo della “serva Italia” e l’inganno di Grillo
Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.L’euro e le sue regole sono uno strumento essenziale a questo fine (vedi i miei “Euroschiavi”, “Tecnoschiavi”, “Cimiteuro”, “Traditori al Governo”, “Oligarchia per popoli superflui”). L’Italia neanche se unita e neanche se guidata da autentici statisti – quali oggi non esistono né in Italia né altrove in Occidente – potrebbe battere il liberal-capitalismo finanziario imperante, e affrancarsi da tale programma: gli strumenti finanziari, monetari, mediatici e giudiziari in mano agli interessi dominanti sono troppo forti; prima bisognerebbe che il loro apparato di potenza fosse abbattuto da un rivolgimento perlomeno continentale. Soprattutto sotto leader modesti come Salvini, Di Maio, Renzi, con certezza non si raggiunge la libertà. I tentativi di affrancamento, come quello, vago e timido, del governo gialloverde, non possono che fallire e ricadere in danno agli italiani. Dai tempi dell’occupazione longobarda, e poi franca, normanna, francese, spagnola, austriaca, la gran parte dei politici italiani aspira a collaborare coi padroni stranieri aiutandoli a sfruttare l’Italia, perché aiutandoli si eleva verso di essi e sopra i comuni italiani. E’ un tratto culturale storicamente consolidato. In Italia, fare il Quisling non è un titolo di demerito, ma all’opposto di nobiltà; questo va ricordato a coloro che hanno dato del Quisling al Quirinale: non è un vilipendio, è un encomio.Da tutto quanto sopra consegue che agli italiani conviene un governo non ribelle agli interessi stranieri, specificamente franco-tedeschi, piuttosto che uno ribellista ma impotente, che attira ritorsioni su di loro. Un governo sottomesso ma dialogante, che attenui la violenza del processo di spolpamento, espropriazione ed invasione afroislamica, e lo diluisca nel tempo, dando modo alla popolazione generale di vivere decentemente qualche anno in più, e alla parte più valida di essa di emigrare e trasferire aziende e patrimonio all’estero. Agli intellettuali antisistema non conviene farsi partito politico, sia perché non vi è spazio per l’azione politica, sia perché verrebbero attaccatati dai magistrati politici e dall’apparato mediatico. L’azione antisistema, di critica e controproposta al regime tecnofinanziario, sebbene impossibile sul piano governativo, potrebbe invece parallelamente continuare sul piano culturale e informativo: la critica intelligente e competente potrebbe costituire un’associazione internazionale di ricerca scientifica socio-economica, geostrategica e storica, meglio se con sede all’estero (fuori della portata della giustizia nostrana), indipendente da ogni ente pubblico e dal capitale privato, avente lo scopo di mettere in luce la verità, gli inganni e i meccanismi monetari-finanziari che essi nascondono.Ora qualche nota sulla crisi di governo in atto. Salvini l’ha aperta in un momento scelto razionalmente, forse non il migliore, ma verosimilmente l’ultimo possibile (non voglio pensare l’abbia aperta confidando nelle assicurazioni di Zingaretti, che non si sarebbe alleato coi grillini ma avrebbe spinto per le elezioni: se Salvini si fosse fidato di tali dichiarazioni, ignorerebbe l’abc della politica, ossia che menzogna e dissimulazione sono parte essenziale del metodo politico). Poi l’ha gestita male, con tentennamenti, incertezze, contraddizioni e scarse analisi economico-giuridiche. Al Senato non si è difeso efficacemente dalle stroncature di Conte: ha replicato usando argomenti deboli mentre ne aveva a disposizione di ben più forti; non ha ribattuto sul piano giuridico-costituzionale; è apparso in pallone, impacciato, patetico nei suoi appelli alla Madonna e nel suo offrirsi come bersaglio.La sua difesa è stata fatta molto meglio dalla senatrice Bernini di Forza Italia, che ha smascherato l’ipocrisia e le contraddizioni di Conte. Salvini è un buon comunicatore, ha un buon fiuto, non è stupido, è ben sopra la media dei politici nostrani, ma adesso tutti hanno potuto vedere che non ha la saldezza né la preparazione culturale dello statista. E’ o è stato un leader carismatico, e i leader carismatici perdono il carisma allorché appaiono perdenti. Però Salvini può ancora rinquartarsi e recuperare, specialmente se la Lega va all’opposizione e fa opposizione dura e aggressiva nelle piazze, o anche se ricuce con il partito della Casaleggio & Associati, perlomeno al fine di proteggersi dagli attacchi giudiziari stando al governo. Però in ogni caso dovrebbe colmare le sue lacune in diritto costituzionale ed economia internazionale. Ad ogni modo, la carica sovranista e antisistema dei capi grillini e leghisti era da tempo andata scemando e riducendosi a poche banalità pressoché inoffensive e a denunce sterili.Ben diversamente, Grillo era partito, prima che fosse fondato il M5S, da una vera critica antisistema, che metteva in luce il fattore centrale del potere e dell’iniquità, che spoglia della loro sovranità i popoli: la privatizzazione della sovranità monetaria, il monopolio privato della produzione e allocazione della moneta e del credito. Poi, divenendo capo di una formazione partitica assieme alla Casaleggio e Associati, aveva smesso di parlare di queste cose, troppo autenticamente disturbanti per il sistema, e si era giustificato, ad usum imbecillium, asserendo che si tratterebbe di cose che la gente non capisce. Era passato alla dottrina del vaffa, più alla portata della classe cui si rivolgeva, e ben tollerabile per il sistema. Tuttavia, ancora nei due anni precedenti le elezioni politiche del 2018, alcuni esponenti grillini, segnatamente Villarosa (attuale sottosegretario alle finanze), Pesco e Sibilia, si erano interessati e avevano approfondito con impegno la materia monetaria e bancaria, richiedendo e ricevendo la collaborazione mia e di altri studiosi di questo campo, organizzando eventi pubblici e promettendo iniziative concrete una volta al governo. Ma, al contrario, una volta accomodatisi sulle poltrone governative, i predetti non solo non hanno preso alcuna concreta e visibile iniziativa, ma hanno addirittura rifiutato ulteriori contatti con noi.Evidentemente avevano ricevuto ordini di scuderia e calcolato la loro convenienza. Si sono allineati al sistema, con tutto il Movimento, il quale si è rivelato e confermato uno strumento per raccogliere il dissenso antisistema e poi neutralizzarlo, anzi portarlo al sistema convertendolo in consenso ad esso, a braccetto col partito dei finanzieri detto Pd, e con la risibile mascheratura di contentini demagogici, rumorosi e dannosi come il cosiddetto reddito di cittadinanza, il salario minimo, una riforma giacobina e incompetente del processo penale. E dopo hanno votato Ursula von der Leyen, falco finanziario germano-rigorista, gettando completamente la maschera: servono interessi opposti a quelli dichiarati. Ancor prima, Movimento e Lega erano entrambi passati da posizioni critiche verso l’euro, spavaldamente contemplanti la possibilità di uscirne senza danno (Borghi, Bagnai) in caso di rifiuto di opportune e strutturali riforme dell’apparato europeo, a posizioni di definitiva accettazione dell’euro e di arrendevolezza a Bruxelles. Ma ciò non è bastato ad evitare l’isolamento e la marginalizzazione dell’Italia in sede europea, né a ottenere più margini di spesa pubblica. Insomma, come governo antisistema il governo gialloverde era fallito prima di cadere, o più precisamente prima di nascere. Non abbiamo perso molto. Anzi, abbiamo guadagnato in chiarezza.(Marco Della Luna, “Il soranismo della serva Italia”, dal blog di Della Luna del 22 agosto 2019).Nell’800 l’Italia unitaria è nata serva al servizio di potenze dominanti, per loro volere e intervento. Con le guerre coloniali e con l’inopportuna partecipazione alla Prima Guerra Mondiale ha cercato invano di affrancarsi e di parificarsi a Francia, Germania, Regno Unito. Poi ci ha provato Mussolini. Poi, nel secondo dopoguerra, in diversi modi, grandi personaggi hanno tentato di difendere gli interessi nazionali dal predominio e dall’ingerenza degli interessi stranieri: Mattei, Moro, Craxi, Berlusconi; i primi due stati neutralizzati da criminali, il terzo dalla giustizia, il quarto di nuovo dalla giustizia in collaborazione con lo spread (Draghi-Merkel). Gli spavaldi economisti che prospetta(va)no una facile e vantaggiosa uscita dell’Italia dall’euro per sottrarsi al rigorismo recessivo, forse non tenevano presente la realtà storica. E’ stato provato che l’Italia è inserita, da poteri tecno-finanziari esterni ad essa e contrari ai suoi interessi, in un certo programma europeo o atlantico, che comprende il suo spolpamento e la cessione dei suoi assets a controllo straniero.
-
Nasce il Psai: basta rigore, la rivoluzione che serve all’Italia
La Commissione Europea? Abolita. E allora chi governa l’Europa? Un esecutivo finalmente normale, votato dal Parlamento Europeo, democraticamente eletto. E la Bce? Deve cambiare il suo mandato: dovrà creare lavoro, sotto la direzione della politica, e non badare più soltanto alla stabilità dei prezzi per contenere l’inflazione. E il pareggio di bilancio imposto da Monti? Va eliminato subito dalla Costituzione italiana. Di più: bisogna creare la piena occupazione, grazie a un’agenzia speciale per il lavoro, in ogni caso limitato a 35 ore settimanali e remunerato con salari dignitosi. E ancora: ci spetta un reddito universale (per tutti, anche per chi un lavoro ce l’ha già). Cos’è, uno scherzo? No: è la bozza programmatica del Psai, cioè il “Partito che serve all’Italia”. L’aggettivo “rivoluzionario” suona persino eufemistico. Siamo di fronte all’eresia pura, all’utopia. Letteralmente: non esiste, oggi, un posto così. Sarebbe un paradiso. E noi siamo ormai abituati all’inferno ordinario nel quale siamo stati sprofondati poco alla volta, a colpi di austerity e neoliberismo selvaggio spacciato per legge divina (“ce lo chiede l’Europa”, quella del “pilota automatico” che privilegia i soliti super-poteri finanziari, che usano i loro burattini all’Ue per trasformare in legge il loro business privato).Cos’è, allora, questa specie di Rivoluzione della Felicità? Un diversivo letterario? Ma no, dicono i fautori del Psai: si può fare. “The impossible, made possible”. Parola di Nino Galloni, uno dei cervelli dell’esperimento. Cos’è mancato, finora? Una sola qualità, fondamentale: il coraggio politico. Ecco perché nasce, il Psai. Riassunto delle puntate precedenti: fino all’altro ieri (Berlusconi & Prodi, poi Monti e il pallido Letta, quindi l’illusione Renzi e l’avatar Gentiloni) sarebbe stato “lunare” mettere in discussione il predominio della finanza speculativa, mascherato dietro l’oligarchia Ue. Le ostilità le hanno aperte un anno fa i gialloverdi, i 5 Stelle e soprattutto la Lega. Poi però il governo Conte – frenato da Mattarella, Bankitalia e tutto l’eterno establishment italiano telecomandato dall’estero – ha ridotto l’esecutivo alla caricatura di se stesso, almeno stando alle promesse della vigilia. In mano a Di Maio (e Tria), lo sbandierato “reddito di cittadinanza” è diventato una barzelletta, mentre Salvini si costringe ad alzare la voce contro la “capitana” di turno, nella speranza di far dimenticare la pietosa figura rimediata a Bruxelles: prima il “niet” all’espansione del deficit, poi la minaccia della procedura d’infrazione per far ingoiare all’Italia la sua ennesima esclusione dal bunker-Europa, presidiato da Merkel e Macron e ora affidato alle due maschere di turno del Trattato di Aquisgrana, la francese Christine Lagarde e la tedesca Ursula Von del Leyen.Passi avanti, da parte dell’Italia? Uno: la consapevolezza, ormai acquisita, che questa Unione Europea – fatta così – è un clamoroso imbroglio. Non si spiega altrimenti, alle elezioni e nei sondaggi, il successo della Lega: un voto sulla fiducia, nella speranza che un giorno possa fare davvero qualcosa, per il paese, l’unico partito che ha avuto il fegato di spedire in Parlamento Bagnai e Borghi, e a Strasburgo Antonio Maria Rinaldi. In altre parole: s’è capito che è ora di sfrattare Friedman, von Hajek e gli altri cantori del totalitarismo neoliberista, recuperando la lezione di Keynes. O lo Stato torna a investire a deficit, o dell’Italia – senza soldi – non resterà più nulla. Parola d’ordine: inversione radicale della rotta, cestinando quarant’anni di falsi dogmi – il peggiore, la famosa “austerity espansiva” coniata a Harvard (più tagli, più cresci), ha fatto ridere il mondo: i conti di Kenneth Rogoff, sommo sacerdote del rigore, erano vergognosamente errati, sbagliatissimi. E’ vero il contrario: più spendi, più cresci. Si chiama: moltiplicatore della spesa pubblica. Se spendi 100 in termini di deficit strategico, puoi arrivare a produrre anche 300, in termini di Pil. Lo sanno tutti, da Draghi alla Commissione Ue, ma fingono di non saperlo. E obbligano l’Italia a restare in una situazione tragica di “avanzo primario”, ovvero: da decenni, lo Stato incassa (con le tasse) più di quanto spenda per i cittadini. Il che equivale al suicidio dell’economia nazionale.Lo sa anche Salvini, naturalmente, così come Borghi, Bagnai e Rinaldi. Il problema? Finora la Lega ha abbaiato, ma senza mordere. Attenuanti? Svariate: appena i leghisti si muovono, qualche magistrato li blocca. E Armando Siri, l’ideologo della Flat Tax, è stato rottamato per via giudiziaria (pur essendo solo indagato) col benservito dei 5 Stelle, ormai nel panico per aver disatteso qualsiasi promessa elettorale. E dunque, che fare? Elementare: un nuovo partito. Un altro? Ebbene sì, ma diverso: generato dal basso, da gruppi e associazioni. Il primo e unico partito capace di sviluppare una piattaforma democratica di tipo rivoluzionario, in grado di rovesciare – in modo strutturale – tutte le premesse (bugiarde) su cui si fonda il rigore europeo. Galloni, coraggioso economista post-keynesiano, è fra i cervelli dell’operazione. Era consulente del governo quando l’Italia tentava di limitare i danni dell’imminente Trattato di Maastricht, prima che Mani Pulite spazzasse via Craxi e Andreotti. Il cancelliere Kohl arrivò a reclamarne l’allontanamento. Che c’entrava, la Germania? Aveva preteso lo scalpo industriale dell’Italia, sua maggiore concorrente, in cambio della rinuncia al marco, richiesta dalla Francia come viatico per il via libera di Parigi alla riunificazione tedesca. Da allora, l’inevitabile: crisi su crisi. Ma ora basta, dice Galloni, insieme agli altri promotori del Psai (assemblea costituente a Roma il 14 luglio: data non casuale, anniversario della Rivoluzione Francese).E la rivoluzione del “Partito che serve all’Italia”? Altrettanto eversiva: si tratta di abbattere il nuovo Ancien Régime fondato a Bruxelles, che ha instaurato l’attuale “nuovo feudalesimo”, col risultato di deprimere più di mezza Europa, Grecia e Italia in testa. Il traguardo numero uno dei nuovi aspiranti rivoluzionari? Ovvio: abbattere l’austerity europea per salvare l’Italia dalla crisi (e ridare dignità all’Europa, su base finalmente democratica). Centrali i temi economici. Prima bomba: creare una banca interamente pubblica, per introdurre «una moneta parallela sovrana e non a debito, non convertibile fino al 3% del Pil, con l’obiettivo di rilanciare l’economia senza generare debito». Proprio grazie alla leva monetaria, sostiene il Psai, potrà agire in modo incisivo «un Alto Istituto per la Piena Occupazione, incaricato di dare lavoro ai disoccupati». Altra bomba: se fosse al governo, il Psai introdurrebbe un “reddito universale”, destinato a tutti, da adattare annualmente in base all’andamento dell’economia. Reddito vero, «da aggiungersi al normale salario già percepito». Altro che il reddito-burletta elemosinato da Di Maio. Premessa imprescindibile : «Eliminare il pareggio di bilancio dalla Costituzione». E poi, creare un’agenzia di rating indipendente da Wall Street, «che renda noti e credibili i criteri di giudizio riguardo gli asset patrimoniali e il debito pubblico e privato», sottraendo l’Italia alle consuete pressioni da parte della grande speculazione.L’affondo, rispetto al mondo finanziario, è frontale: «Vogliamo riformare il sistema bancario e introdurre in Italia una legge simile al Glass-Steagall Act», si legge nella bozza programmatica del Psai. Obiettivo: «Separare l’attività delle banche commerciali e quella delle banche d’affari», mettendo al sicuro i risparmi degli italiani e il credito destinato alle aziende. Fu Roosevelt a imporre il Glass-Steagall Act, per salvare l’America dalla Grande Depressione innescata dalle bolle finanziarie. E fu Bill Clinton ad abolirlo, dopo mezzo secolo (e lo scandalo Lewinsky), per la gioia di Wall Street. Non ha nessuna timidezza, il nascente “Partito che serve all’Italia”, neppure di fronte ai maggiori simboli del potere economico mondiale: vorrebbe «obbligare le multinazionali a replicare a livello nazionale le strutture organizzative globali», per mettere fine alla piaga dello sfruttamento, dei licenziamenti facili e delle delocalizzazioni. Programma folle? Certo, in giro non s’era mai sentito niente di simile: roba da far cadere dalla sedia qualsiasi conduttore televisivo. Il piglio, “garibaldino”, ricorda epoche lontane come gli anni ruggenti, sfrontati e coraggiosi dell’Italia di Enrico Mattei, che infatti poi riuscì a stupire il mondo.Eppure, ragiona Galloni, non c’è altro da fare: cambia tutto, se l’Italia trova finalmente la forza di rigettare l’austerity, recuperando sovranità e capacità di spesa. Ridiventa un mercato appetibile per gli investimenti produttivi, ma soprattutto rianima la domanda interna, l’occupazione, i consumi. In alre parole: riaccende il futuro. Si può fare, dunque? La risposta è sì, per il Psai. Il motore? La moneta parallela: basta a garantire lavoro e investimenti, restituendo agli italiani i loro diritti. Per esempio: età pensionabile non superiore ai 65 anni, orario lavorativo di sole 35 ore settimanali, salario minimo garantito e drastica riduzione delle tasse, anche per i pensionati. L’Iva? Ridotta al minimo per i beni essenziali. Già, ma l’Europa? Ecco, appunto: il Psai propone «un radicale ripensamento dell’attuale Disunione Europea». Come? Restituendo sovranità ai popoli europei: «Occorre attribuire al Parlamento Europeo il potere legislativo, abolendo la Commissione Europea». Il Psai parla anche di «promozione dell’elezione diretta del presidente del Consiglio Europeo, per renderlo indipendente dall’influenza di singoli paesi, o gruppi di paesi». Non è tutto: oltre a eleggere un nuovo governo europeo, finalmente sovrano e legittimato dal voto, il Parlamento di Strasburgo dovrebbe ottenere «la competenza sulle politiche monetarie», attualmente appannaggio della Bce.La stessa banca centrale – almeno, nel libro dei sogni che il Psai sembra prendere molto sul serio – dovrebbe essere sottoposta a una revisione completa del suo mandato: la Bce «va legata al potere politico, cambiando la sua “mission”: dovrà preoccuparsi di creare piena occupazione». Quanto all’euro, la valuta comune «è da convertire in una moneta contabilmente trasparente, sovrana e in grado di rilanciare l’economia senza generare debito». In altre parole, il Psai chiede di ridiscutere integralmente i trattati europei, ritenendoli «lesivi del diritto di autodeterminazione dei popoli e della dignità della persona umana». Insomma, robetta da niente. Illusioni? Miraggi? Non per i promotori del “Partito che serve all’Italia”, la cui scommessa è palese: creare la prima piattaforma rivoluzionaria che si sia mai vista, dalla nascita dell’Unione Europea, per tentare di dire finalmente le cose come stanno, proponendo inoltre soluzioni pratiche (estremamente sensate) per uscire dal tunnel. Una road map, destinata al giudizio degli elettori. Di più: un nuovo alfabeto, per demifisticare l’economicismo miserabile che ha oscurato la politica, riducendola al piccolo derby tra avversari apparenti, destinati – comunque si voti – a eseguire gli ordini dell’eterno “pilota automatico”, in realtà manovrato dall’oligarchia del denaro che sta impoverendo l’intero continente.La Commissione Europea? Va abolita. E allora chi governa l’Europa? Un esecutivo finalmente normale, votato dal Parlamento Europeo, democraticamente eletto. E la Bce? Deve cambiare il suo mandato: dovrà creare lavoro, sotto la direzione della politica, e non badare più soltanto alla stabilità dei prezzi per contenere l’inflazione. E il pareggio di bilancio imposto da Monti? Va eliminato subito dalla Costituzione italiana. Di più: bisogna raggiungere la piena occupazione, grazie a un’agenzia speciale per il lavoro, in ogni caso limitato a 35 ore settimanali e remunerato con salari dignitosi. E ancora: ci spetta un reddito universale (per tutti, anche per chi un lavoro ce l’ha già). Cos’è, uno scherzo? No: è la bozza programmatica del Psai, cioè il “Partito che serve all’Italia”. L’aggettivo “rivoluzionario” suona persino eufemistico. Siamo di fronte all’eresia pura, all’utopia. Letteralmente: non esiste, oggi, un posto così. Sarebbe un paradiso. E noi siamo ormai abituati all’inferno ordinario nel quale siamo stati sprofondati poco alla volta, a colpi di austerity e neoliberismo selvaggio spacciato per legge divina (“ce lo chiede l’Europa”, quella del “pilota automatico” che privilegia i soliti super-poteri finanziari, che usano i burattini dell’Ue per trasformare in legge il loro business privato).
-
Della Luna: l’Eurolager è una banda di ladri, denunciamoli
«Il governo Conte fa bene a piegarsi alle richieste di Bruxelles e ad evitare la procedura di infrazione (che comporterebbe un esproprio delle funzioni politico-economiche in favore degli eurocrati). E’ il male minore, oggi». Lo sostiene l’avvocato Marco Della Luna, acuto saggista euroscettico. «L’euro ha un effetto tecnico inevitabile: deindustrializzare l’Italia trasferendone le risorse e gli assets migliori a paesi più efficienti e dominanti entro la Ue: lo scopo fondativo dell’Ue è esattamente questo, e non solo nei confronti dell’Italia», scrive Della Luna nel suo blog. «Se l’Italia resta nell’euro e nell’Ue è destinata a una fine certa e miseranda, ma non a un tracollo immediato, perché – mentre è in corso il suo svuotamento – viene mantenuta in vita finanziariamente». Psicologia: «La gente non si ribella perché ha paura dei tracolli e dei sacrifici immediati e non pensa al lungo termine. Ed è per questo che la si può portare dove si vuole, quindi le si concede la “democrazia”». Aggiunge Della Luna: «Rompere la gabbia dell’euro e dell’Ue sarebbe pertanto un obiettivo da perseguire anche a costo di sacrifici, ma può farlo soltanto un governo unito, guidato da grandi economisti, sostenuto dal consenso popolare. Un governo capace di resistere alle pressioni, ai ricatti e alle ritorsioni dell’Ue, e al contempo di rimpiazzare l’euro e di ricollegare l’economia nazionale ai fornitori e clienti esteri di cui necessita, essendo la nostra un’economia di trasformazione molto dipendente dagli scambi internazionali».Oggi, al contrario, abbiamo «un governo disunito, balordo e demagogico in economia, privo di veri statisti soprattutto economici, sostenuto dalla maggioranza di un popolo che però non vuole uscire dall’euro». Soprattutto, l’esecutivo gialloverde «è tenuto sotto la spada di Damocle da un Quirinale che è garante della Ue, che vieta di nominare ministri dell’economia eurocritici imponendo invece l’europeista Tria, e che – a detta delle malelingue – avrebbe precedenti di golpe su ordine germanico». Ovviamente, con siffatte premesse, «non si può andare allo scontro con gli interessi europeisti, per quanto siano rovinosi per l’Italia». Quindi, propone Della Luna, «cerchiamo di archiviare il reddito di cittadinanza, la Quota 100, il salario minimo, le chiusure domenicali, lo shock fiscale». Il taglio delle tasse «fa ripartire la domanda e gli investimenti solo in un quadro di stabilità, di sicurezza, di futuro ragionevolmente buono e di umore diffusamente positivo», mentre oggi «il quadro è di instabilità, di debolezza e divisione del governo, di futuro preoccupante, e l’umore generale è negativo». Non funzionerebbe nemmeno una distribuzione di denaro alla popolazione: per tornare a consumare, gli italiani avrebbero bisogno di prospettive rassicuranti, viceversa metterebbero da parte il denaro in più, come scorta di sicurezza per ripararsi dagli scossoni in arrivo.Infatti, sostiene Della Luna, «oggi sta aumentando la propensione al risparmio perché le aspettative sono giustamente fosche». Meglio quindi usare le risorse disponibili per fare investimenti pubblici infrastrutturali, nell’immediato. Ma nel medio-lungo periodo? Il nodo da sciogliere è sempre lo stesso: il rapporto con l’Ue. «L’Italia attuale, a causa anche delle regole finanziarie europee e dell’euro (oltre che dell’incompetenza economica dei suoi governi), ha una cattiva tendenza in quanto a Pil, rapporto deficit/Pil, rapporto debito/Pil, andamento della produttività (competitività)». Dal canto suo, «l’Ue reagisce e continuerà a reagire imponendo misure recessive e proibendo il ricorso a rimedi come i minibot». La combinazione di questi due fattori farà sì che il contrasto con Bruxelles «continuerà ad aggravarsi, a farsi sempre meno gestibile e ricomponibile». Della Luna ipotizza esiti preccupanti. Il peggiore? «Colpo di Stato europeista del Quirinale, sottomissione dell’Italia, sua grecizzazione, sua spoliazione totale (se si riuscirà a inibire la protesta popolare e a reprimere le forze che la esprimeranno) e africanizzazione (colonia franco-tedesca)».Oppure: «Uscita dall’Italia dall’euro e dell’Ue, verso un futuro incerto ma condizionato dall’essere un sistema-paese inefficiente, con una classe politica scadente, e molto dipendente da fornitori e clienti – quindi un futuro tendente al Terzo Mondo». Terza ipotesi: «Una riforma organica della Ue che sostituisca le regole finanziarie errate e infondate con regole aderenti alla realtà, limitando lo strapotere e l’approfittamento franco-tedesco, e consentendo l’introduzione dei minibot o di altre misure per rimonetizzare l’economia reale italiana che oggi ristagna anche per carenza di liquidità e la diffusa insolvenza». Della Luna vede anche in teoria l’uscita dall’euro e dalla Ue da parte della Germania e di altri paesi, se non addirittura lo scioglimento della stessa Ue. Cosa conviene all’Italia? Per evitare l’ipotesi più pericolosa – il commissariamento – occorre «cercare un forte alleato esterno», cioè gli Usa o l’Eurasia russo-cinese, cercando di «riformare l’istituto della Presidenza della Repubblica per limitare i suoi poteri di ingerenza». Se possibile, aggiunge Della Luna, bisognerebbe eleggere al Colle, appena possibile, «un personaggio non di parte euro-bancaria». Mattarella? «Potrebbe essere costretto a dimettersi dallo scandalo della magistratura, dato che per ben cinque anni è stato presidente del Csm, quindi conosceva bene e non denunciava ciò che ora, costretto dalle rivelazioni pubbliche, denuncia con enfatica prosopopea».Lo sbocco numero due sarebbe l’Italexit. «Dato che la struttura e gli effetti tecnici pianificati di euro e Ue sono di sottomettere e spogliare l’Italia, bisogna uscire». Sennonché, rileva Della Luna, per uscire dall’euro e dall’Ue «bisogna avere un governo coeso, con ministri competenti, indipendente dal Quirinale, in grado di sostenere lo scontro contemporaneo con questo, con la Ue e con la Bce». E anche capaci di gestire «la fase di transizione verso un nuovo assetto», risolvendo enormi problemi. Esempio: con che valuta pagare le materie prime? Come convertire la produzione industriale oggi integrata nella Ue? Come difendersi dalle ritorsioni? «Dato che queste condizioni allo stato mancano, non bisogna cercare di uscire ora, né andare ora allo scontro, che probabilmente finirebbe con un nuovo golpe», come quello che nel 2011 portò il “macellaio” Monti a Palazzo Chigi. Quanto al terzo ipotetico sbocco, cioè la riforma democratica dell’euro-sistema, per Della Luna sarebbe di gran lunga l’esito più desiderabile. Ma è anche assai difficile da attuare, «perché l’attuale assetto euro-comunitario è conforme ai piani e agli interessi dei potentati bancari che controllano l’Ue». Per Della Luna «vale la pena in ogni caso di tentare», anche perché il tentativo può portare alla “fuga” della Germania o al suicidio dell’Ue.Per tentare di costringere l’Ue ad adottare finalmente regole democratiche, secondo Della Luna «bisogna guadagnare qualche mese», periodo in cui «sostituire Mattarella e dotarsi di un governo coeso e competente con un idoneo ministro dell’economia», nonché «revocare i provvedimenti costosi e improduttivi in termini di Pil, emettendo invece provvedimenti sani e intelligenti (in modo che Bruxelles non possa imputare il malandare dell’economia italiana a misure economiche sbagliate e demagogiche». Bisognerebbe anche «smascherare e criticare a fondo le falsità, le aberrazioni, le iniquità e i conflitti di interesse nell’Ue, nella Bce e nei rapporti tra grande finanza e governi, insistendo fino a ottenere la messa in comune del debito pubblico, l’approvazione degli eurobot e dei minibot, il livellamento dell’extra-surplus commerciale tedesco, l’eguaglianza di tutti i paesi comunitari rispetto alle regole comuni». Quelle falsità, iniquità, aberrazioni e incompatibilità di interessi «sono tanto gravi, strutturali e oscene, che una campagna di informazione e denuncia ben fatta potrebbe avere effetti delegittimanti e devastanti per eurocrati ed eurobanchieri, perciò costituirebbe uno strumento forte per negoziare l’uscita dall’Eurolager».«Il governo Conte fa bene a piegarsi alle richieste di Bruxelles e ad evitare la procedura di infrazione (che comporterebbe un esproprio delle funzioni politico-economiche in favore degli eurocrati). E’ il male minore, oggi». Lo sostiene l’avvocato Marco Della Luna, acuto saggista euroscettico. «L’euro ha un effetto tecnico inevitabile: deindustrializzare l’Italia trasferendone le risorse e gli assets migliori a paesi più efficienti e dominanti entro la Ue: lo scopo fondativo dell’Ue è esattamente questo, e non solo nei confronti dell’Italia», scrive Della Luna nel suo blog. «Se l’Italia resta nell’euro e nell’Ue è destinata a una fine certa e miseranda, ma non a un tracollo immediato, perché – mentre è in corso il suo svuotamento – viene mantenuta in vita finanziariamente». Psicologia: «La gente non si ribella perché ha paura dei tracolli e dei sacrifici immediati e non pensa al lungo termine. Ed è per questo che la si può portare dove si vuole, quindi le si concede la “democrazia”». Aggiunge Della Luna: «Rompere la gabbia dell’euro e dell’Ue sarebbe pertanto un obiettivo da perseguire anche a costo di sacrifici, ma può farlo soltanto un governo unito, guidato da grandi economisti, sostenuto dal consenso popolare. Un governo capace di resistere alle pressioni, ai ricatti e alle ritorsioni dell’Ue, e al contempo di rimpiazzare l’euro e di ricollegare l’economia nazionale ai fornitori e clienti esteri di cui necessita, essendo la nostra un’economia di trasformazione molto dipendente dagli scambi internazionali».
-
Se l’Ue ci vuole morti, meglio trattare con Parigi e Berlino
Oggi Draghi ha annunciato che l’abbassamento dei tassi di interesse (alcuni sono già negativi!) ed il quantitative easing continueranno. Senza di essi, vale a dire con tassi di interesse e acquisti di titoli pubblici in linea con quanto fa la Fed (a discapito di Trump), sarebbe prevedibile un accumulo di liquidità disponibile solo sulle obbligazioni, e quindi in grado di mettere in grande crisi le Borse, fino ad un loro crollo. Ma la missione di Matteo Salvini a Washington – se coronata da pieno successo, vale a dire un riavvicinamento Russia-Usa in chiave anticinese e antieuropea – apre ad uno scenario di rafforzamento della posizione internazionale dell’Italia. Posizione debole, per ragioni che risalgono agli omicidi di Mattei e Moro, alla soppressione di Craxi, alle politiche economiche scelte in Italia dopo il 1981. Di contro, l’Ue non è così intelligente da giocarsela bene con la Cina stessa: ben altro c’è da attendersi da Francia e Germania, in grande difficoltà e sempre con la carta da giocare di uno svincolamento dall’Eurozona per avvicinarsi a superpotenze alternative alla stessa imbelle Ue (vedi Africa, per esempio). D’altra parte, la Russia di oggi è una superpotenza solo militare; non fa paura agli Usa come una superpotenza economica.A casa nostra si delineano scenari chiari purchè non si finisca a dare con una mano e prendere con l’altra: è importantissimo che al promesso e ineludibile calo (della pressione) delle tasse non faccia da controbilanciamento un pari taglio della spesa pubblica (quella fu la causa prima del crollo della classe media negli Usa dei Bush); così – ma questo pare più che altro, almeno si spera, un mero problema di comunicazione – il salario minimo garantito deve significare un livello minimo della paga oraria (non la definizione di un “reddito minimo” che, nelle esperienze passate, ha creato più problemi che altro). Quindi, il taglio delle tasse (necessario, prioritario, sacrosanto e promesso) o si accompagna ad una rottura totale con la Commissione per via del deficit – finchè non si dimostrasse, ma ci vuole almeno un annetto contabile – che alla minore pressione corrisponde un maggiore gettito, o si accompagna alla introduzione di qualche moneta non a debito (ad esempio i minibot, a determinate condizioni).La linea moderata – verso la Commissione – non considera che l’obiettivo della Ue consiste nella sottomissione dell’Italia (resa totale e incondizionata, quindi le “trattative” sono inutili: o si china la testa completamente o tanto vale alzare il tiro e prepararsi allo scontro). Paradossalmente, sarebbe meglio trattare con Francia e Germania direttamente, dopo aver portato la comunità sull’orlo di una crisi monetaria e di nervi. Infatti, il comparto metalmeccanico (delizia e croce della Germania) sta entrando in crisi, e le tensioni sociali – soprattutto in Francia – stanno aumentando.(Nino Galloni, “Se Draghi non stacca la spina, se Salvini…”, da “Scenari Economici” del 19 giugno 2019).Oggi Draghi ha annunciato che l’abbassamento dei tassi di interesse (alcuni sono già negativi!) ed il quantitative easing continueranno. Senza di essi, vale a dire con tassi di interesse e acquisti di titoli pubblici in linea con quanto fa la Fed (a discapito di Trump), sarebbe prevedibile un accumulo di liquidità disponibile solo sulle obbligazioni, e quindi in grado di mettere in grande crisi le Borse, fino ad un loro crollo. Ma la missione di Matteo Salvini a Washington – se coronata da pieno successo, vale a dire un riavvicinamento Russia-Usa in chiave anticinese e antieuropea – apre ad uno scenario di rafforzamento della posizione internazionale dell’Italia. Posizione debole, per ragioni che risalgono agli omicidi di Mattei e Moro, alla soppressione di Craxi, alle politiche economiche scelte in Italia dopo il 1981. Di contro, l’Ue non è così intelligente da giocarsela bene con la Cina stessa: ben altro c’è da attendersi da Francia e Germania, in grande difficoltà e sempre con la carta da giocare di uno svincolamento dall’Eurozona per avvicinarsi a superpotenze alternative alla stessa imbelle Ue (vedi Africa, per esempio). D’altra parte, la Russia di oggi è una superpotenza solo militare; non fa paura agli Usa come una superpotenza economica.